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Autunno/Inverno - Fall/Winter 2015-16
DIRETTORE EDITORIALE Marco Uzzo • marco.uzzo@bookmoda.com DIRETTORE RESPONSABILE Cinzia Malvini • cinzia.malvini@bookmoda.com CAPO REDATTORE Flavia Impallomeni • flavia.impallomeni@bookmoda.com REDAZIONE Valentina Uzzo • valentina.uzzo@bookmoda.com HANNO COLLABORATO Testi: Enrico Maria Albamonte, Paolo Bagnara, Barbara Bolelli, Silvia Cutuli Editorial: Salvatore Antonelli, Adriano Cattide, David Ciorba, Angelo De Luca, Paolo De Vita, Alessandra De Vito, Claudio Ferri, Elena Florentina, Luigi Gaballo, Anthony Joseph Hernandez, Giovanni Iovino, Giulia Mantovani, Achille Mauri, Emilio Minervino, Valeria Orlando, Leonardo Persico, Ronnie Peterson, Serena Pompei, Elisa Rampi, Alba Russo, Franco Sassara, Sara Schiavo, Stefano Sciuto, Jimi Urquiaga, Federica Zani PRODUZIONE Giuseppe Grippa • produzione@bookmoda.com Marco Arnaboldi • marco.arnaboldi@bookmoda.com FASHION EDITOR Sabrina Mellace • sabrina.mellace@bookmoda.com SERVIZI FOTOGRAFICI Giulia Bertuletti, Marco D’Amico, Matteo Felici, Lorenzo Marcucci, Brandon Mercer, Dario Plozzer, Ursu FOTOGRAFO SFILATE imaxtree.com SEGRETERIA DI DIREZIONE Cecilia Scolari • cecilia.scolari@bookmoda.com SEGRETERIA DI REDAZIONE segreteria@bookmoda.com TRADUZIONI Caroline Sowden TIPOGRAFIA BIEFFE Spa Via Mariano Guzzini, 38 - 62019 Recanati (MC) Tel. +39 0717578017 - Fax +39 0717578021 www.graficabieffe.it DIFFUSIONE Estero: Agenzia Italiana Esportazione S.r.l. Via Manzoni, 12 - 20089 Rozzano (MI) Tel. +39 025753911 r.a. - Fax +39 0257512606 Italia: Via Campania 12 - 20098 San Giuliano Milanese (MI) Tel. +39 (0)257512612 - Numero verde 800827112 Mail generale: info_messinter@messinter.it Mail ufficio diffusione: messinter.diffusione@messinter.it PUBBLICITÀ Publifashion S.r.l. - Via Manzoni, 14 - 20089 Rozzano (MI) Tel. +39 0292986.1 ADVERTISEMENTS FOR JAPAN Yoshinori Shimizu - 1-13-4 Miwa BLDG 2F - Ginza - Chuo - Ku - Tokyo Tel./Fax +81/335676867 - Mob. +81/9080086913 PRESIDENTE Giovanna Roveda • giovanna.roveda@bookmoda.com EDIZIONI
Via A. Manzoni, 14 - 20089 Rozzano (MI) Tel. +39 0292986.1 e-mail: redazione.milano@bookmoda.com Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 558 del 18.11.2011 - N° Iscrizione ROC 9982 È vietata la riproduzione anche parziale di articoli, disegni e fotografie pubblicati senza previa autorizzazione della società Publifashion s.r.l. All rights reserved. No part of this magazine may be reproduced, including articles, drawings or photos, without the written permission of the publisher, società Publifashion s.r.l.
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EDITORIAL LETTER Cinzia Malvini
on ho mai capito le distinzioni di genere e se proprio devo dirla tutta non le ho mai amate, a partire dalla Festa della donna o dei Pride, più o meno gay. Ho sempre pensato che non sia quello un elemento importante per valutare una persona e le sue qualità. La penso diversamente, invece, per l’abito. Le cose che indossiamo, come le scegliamo e poi le portiamo raccontano molto, moltissimo di noi, del carattere e delle sensazioni, degli umori del periodo o addirittura del giorno che stiamo vivendo. La bella linea, neanche troppo sottile, che divide genere e abito oggi, però, appare più liquida che mai: ci si veste, sembrerebbe, indifferentemente da uomini o da donne, senza necessariamente appartenere all’una o all’altra categoria. La commistione stilistica nei casi peggiori rischia di sfociare in una “caciara” estetica, se va bene invece si può restare incantati davanti all’ardire di uno stile e un’eleganza molto speciali. Doveva essere un po’ così nell’Inghilterra alla fine del XIX secolo e a seguire nella Francia dei primi ’900: di “boysh” all’epoca, certamente, non si parlava, però, era anche così che si vestiva, in uno speciale mix di genere maschile e femminile. Da Alexandra di Danimarca, regina del Regno Unito dal 1901, che amava indossare completi giacca-pantalone in tessuto Principe di Galles, a Mademoiselle Chanel, che mai ha smesso di desiderare gli abiti dei suoi amici e dei suoi amanti. Troppo lungo sarebbe poi l’elenco a seguire dei casi di specie (o di genere!): basti ricordare per tutti quel new look con cui nel 1966 Yves Saint Laurent scompagina e mischia di nuovo le carte, servendo sulla tavola dello stile più internazionale un fantastico smoking maschile, questa volta per lei. Si parla anche di questo nel nuovo numero di Book Woman che fa il punto, soprattutto visivo, su quell’a-gender tanto di moda, di nuovo, a dispetto dei tempi. E pensare che correva l’anno 1799 quando la Prefettura di Parigi emetteva la seguente ordinanza: “Tutte le donne che desiderano vestirsi come gli uomini, dovranno presentarsi alla Prefettura di Polizia per ottenere l’autorizzazione”. Che spesso era data per motivi pratici, come tenere le redini del cavallo, ma anche, e più di sovente, negata. Storie di tre secoli fa: oggi per “il vestito per due”, l’unica autorizzazione richiesta è quella del buon gusto. Che proprio come il bello stile e la buona educazione non conosce né tempo né età. Né, tantomeno, genere.
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I
’ve never understood the distinction between the genders and, to be quite honest, I have never even liked them, starting from International Women’s day and Pride, whether gay or not. I have always believed that this is not the important issue when evaluating someone and their qualities. I see it another way, for clothes. The clothes we wear, how we choose them and how we wear them say a lot, an awful lot, about us, about our personality, our feelings, our mood of the moment or even of that particular day itself. However the not so fine line that divides the genders and their clothes today seems more fluid than ever: it would seem that we dress as men or women indifferently and regardless of which sex we belong to. In the worst case of mixing styles the risk is of becoming an aesthetic mess. If all goes well though we will be captivated by the daring of a very special kind of style and elegance. It must have been similar in the England of the end of the 19th century and later in France in the early 1900s: at the time it certainly wasn’t called “boyish” but that was how they dressed, in a specific kind of mixture of male and female clothing. From Alexandra of Denmark, Queen of Great Britain from 1901, who liked wearing Prince of Wales check trouser suits, to Mademoiselle Chanel, who never stopped wanting her male friends’ and lovers’ suits. The number of specific cases (or genders!) is far too long to list: it’s just enough to remember the new look with which Yves Saint Laurent threw everything into disorder and reshuffled the cards in 1966, to place on the table of international style a fantastic men’s dinner suit, but this time for her. This topic is also covered, especially visually, in the latest issue of Book Woman, that genderless look that is so fashionable again despite the times. And to think it was way back in 1799 when the Paris Prefecture issued the following order: “All those women who wish to dress like men must apply to the police Prefecture for authorisation”. Which was often given for practical reasons, such as riding a horse, but also, and more often, refused. Stories three centuries old: today the only permission required to wear a suit is that of good taste which, just like stylishness and good manners, is both timeless and ageless. And, of course, genderless.
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SOMMARIO From left, Valentino jacket, shirt, trousers and shoes, Etro bag, Persol by Luxottica glasses, Manuel Bozzi rings; Valentino dress and shoes, Persol by Luxottica glasses, Marco Grisolia scarf.
page
EDITORIAL LETTER
Photographer: Marco D’Amico Fashion: Sabrina Mellace
I
chapter
BEYOND GENDER
20
PORTRAITS 31 page
page
42
CONTROVERSIAL FASHION 50 page
chapter
II
page
55
EDITORIAL A DAY IN GIORGIO ARMANI
GAMINES page
70
chapter
III EDITORIAL page
85
WE-MEN
HERNO 103 RAIN COLLECTION page
IV
chapter
16
page
EDITORIAL
115
LADY LODO
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CONTENTS chapter
V
page
FOCUS
131 page
EDITORIAL
147
A BASIC INSTINCT
chapter
VI page
163
EDITORIAL MELANCHOLY
page
187
chapter
LIBRARY VIII
chapter
IX
EDITORIAL
THE DREAMERS
page
203
X JEWELRY
chapter
page
221
XI
chapter
18
EDITORIAL
page
231
PUPPET SHOW
VII chapter
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SUBVERTISING
Dalla strada alla strada, passando per il suo studio. Il tragitto che compiono le opere di Vermibus, artista berlinese che ha fatto del Subvertising il suo lavoro, è breve quanto intenso. Inizia e finisce in strada. La sua arte? Recuperare gli annunci pubblicitari in giro per il mondo, sottoporli a un processo di trasformazione estetica e morale, dirottando completamente il loro messaggio, e riportarli in strada con tutto un altro significato, in un nuovo originale contesto, il suo. Un gesto che potrebbe sembrare simile alla pittura, ma non lo è. Vermibus non utilizza nuovi colori per creare un’immagine, lui stravolge i colori di quell’immagine, di un viso preesistente, per crearne, su carta lucida, uno nuovo. Una tecnica che ricorda un tipico trucco tribale, il volto di un fantasma, di una mummia, un ritratto d’arte vudù che utilizza parti umane come i denti e i capelli per creare delle figure antropomorfe. Così come la pittura vorticosa dell’artista irlandese Francis Bacon, che come Vermibus, lavorava il colore per rendere l’immagine più interessante, scomponendo il soggetto fino a generare un effettivo conflitto visivo. Nelle opere di Vermibus i ritratti vengono disumanizzati e viene data loro una maggiore individualità, quella di cui prima, secondo lui, erano stati privati dal brand, ma grazie alla sua personale, parodistica, interpretazione tornano ad avere una propria identità. Obiettivo centrato in pieno: le advertising ora si fanno notare. Le persone si incuriosiscono, si fermano a guardare, scattano una foto. Valentina Uzzo
From the street and back to the street, via his studio. The route taken by the works of the Berlin artist, Vermibus who has made Subvertising his work, is as short as it is intense. It starts and ends in the street. His art? He collects advertising posters from the streets, transforms them, both aesthetically and morally, completely subverting their message and takes them back to the street with an entirely different message, a new and original meaning, his own. An action that might appear to be similar to painting but it is not. Vermibus doesn’t use new colours to create a picture, he removes the colours from the existing image, of an existing face, to create a new image. A technique mindful of tribal makeup, faces of ghosts, mummies, voodoo art that uses human parts such as teeth and hair to create anthropomorphic figures. Like the vertiginous paintings of the Irish painter Francis Bacon, who, like Vermibus, worked the paints to make the image more interesting, breaking down the subject until he has, effectively, generated a visual conflict. Vermibus dehumanises the models in these posters thus giving them more individuality, with, according to him, what they had to start with. What has been taken away by the brand advertised has returned to have its own identity thanks to his intervention and interpretation. And it works: now people stop and look at the posters. They are intrigued, they pause and take photographs.
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Artwork by Vermibus.
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PORTRAITS
ELLEN PAGE by Flavia Impallomeni
“Sono qui oggi perché sono gay. E perché… forse posso fare la differenza. Posso aiutare gli altri ad avere una vita più facile e con più speranza. Senza contare che sento un obbligo personale e una responsabilità sociale. Ma lo faccio anche con una punta di egoismo. Sono stanca di nascondermi, stanca di mentire. Ho sofferto per anni, perché ero spaventata all’idea di rivelarmi. Il mio spirito ha sofferto, la mia salute mentale e anche le mie relazioni ne hanno sofferto”. Sono queste le parole che Ellen Page ha usato per dichiarare la sua omosessualità. L’attrice canadese, diventata celebre per l’ interpretazione di un’adolescente incinta in Juno, del 2007, parte per la quale è stata candidata all’Oscar, le ha pronunciate il giorno di San Valentino dello scorso anno, appena ventisettenne, di fronte al pubblico della conferenza “Time to Thrive”, organizzata dalla Human Rights Foundation. “L’amore, la sua bellezza, le sue gioie e, sì, anche i suoi dolori, sono il regalo più bello che un essere umano possa dare e ricevere. E ci meritiamo di vivere l’amore pienamente, egualmente, senza vergogna e senza compromessi”, aveva concluso. E quali migliori parole per descrivere anche l’intensa relazione che vive sullo schermo nella pellicola Freeheld, in cui recita al fianco di Julianne Moore. La storia vera della pluridecorata detective Laurel Hester, che, malata terminale, lotta disperatamente, perché la sua pensione venga assegnata alla compagna Stacie Andree. “Sono semplicemente incantata e impressionata da ciò che Laurel e Stacie hanno fatto, hanno avuto un’incredibile coraggio che molte persone non hanno”, afferma l’attrice, che ha raccontato di essere rimasta talmente colpita da entrare nella produzione del film. “Sono onorata di poter far parte di questo progetto. È una storia estremamente umana e quando si percepisce il lato umano, si scopre la capacità di comprendere coloro che potrebbero avere un punto di vista diverso dal nostro - e aggiunge a proposito dell’incontro con Stacie Andree che interpreta nel film - Quando puoi attingere direttamente all’esperienza, si riesce a capire meglio una persona e si è in grado di trasmetterne più dimensioni e sfaccettature”. “Mi relaziono in modo personale con questo film perché sono omosessuale e quando vedi due esseri umani trattati come ‘inferiori’ per la loro preferenza sessuale - e ti viene detto che il tuo amore non è valido - è straziante. Ma la possibilità di interpretare un personaggio che si innamora ed esplora la profondità dell’amore è meraviglioso”, conclude Ellen Page che, accompagnata dalla fidanzata Samantha Thomas, lo scorso ottobre, ha calcato il tappeto rosso del Festival del Cinema di Roma dove Freeheld è stato presentato.
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“I am here today because I am gay. And because.... perhaps I can make a difference. I can help others have an easier and more hopeful life. Apart from the fact that I feel it is a personal obligation and a social responsibility. But I am doing it a little for myself as well. I am tired of hiding and tired of lying. I suffered for years because I was frightened to come out. My spirit suffered, my mental health and my relationships suffered”. These are the words Ellen Page used to declare her homosexuality. This Canadian actress, famous for her role as a pregnant teenager in the 2007 film Juno for which she was nominated for an Oscar, made this pronouncement on St. Valentine’s day last year when she was twenty-seven years old, at the “Time to Thrive” conference organised by the Human Rights Foundation. “Love, its beauty, its joy and its pain too, is the most beautiful gift a human being can give and receive. And we should live love to the full, in equality, without shame and without compromise”, she concluded. And also what better words to describe the intense relationship of her role in the film Freeheld, in which she appears with Julianne Moore. This is the true story of the much acclaimed female detective Laurel Hester who, when discovering herself to be terminally ill, desperately fights for her partner, Stacie Andree to receive her pension. “I am simply captivated and moved by what Laurel and Stacie did, they had incredible courage, that most people don’t have” said the actress, who said she was inspired by the story to take part in the film production. “I am honoured to have a role in this project. It is a very human story and when you see the human side you discover your ability to understand those who might have a different point of view to your own”, and she adds, apropos her meeting with Stacie Andree who she plays in the film “When you can refer directly to your own experience you can understand a person better and you can transmit more aspects of it and in more depth”. “I relate to this film in a personal way because I am gay and when you see two people treated as ‘inferiors’ because of their sexual preferences and you are told your love does not count - it is heart-breaking. But the chance to play a person who falls in love and explore the depth of that love is marvellous” concludes Ellen Page who last October walked the red carpet at the Rome Film Festival where Freeheld was shown, accompanied by her partner Samantha Thomas.
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PORTRAITS
A still from Freeheld, distributed by Videa, courtesy of US Ufficio Stampa. 35
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PORTRAITS
BEATRICE BORROMEO by Valentina Uzzo
“La incontrai per la prima volta tanti anni fa, io con lo zaino in spalla insieme al mio fidanzato, lei con suo marito nel suo splendido yacht. Al tempo ero amica di suo figlio Alexander. Quel giorno ci invitò a colazione e poi ci disse: ‘Perché non restate qui tutta la settimana?’ e visto che noi eravamo in tenda, ci siamo detti perché no? Da quel momento siamo diventate molto amiche”. Beatrice Borromeo Arese Taverna, ora anche Casiraghi, ricorda il primo incontro con Diane von Fürstenberg e il forte legame di amicizia che oggi le unisce, nella vita come nel lavoro. “È un rapporto di grande rispetto da parte mia, la trovo una persona in grado di ispirare tante donne. Indipendentemente dalla differenza di età, Diane tende a tenerle tutte sotto la sua ala protettiva. Per questo sono molto felice oggi di essere qui!”. A lei, infatti, la stilista-imprenditrice belga, newyorkese di adozione, presidente per nove anni del CFDA, ha chiesto di presentare il suo secondo libro, edito da Marsilio Editori, La donna che volevo essere. Un’autobiografia coinvolgente, appassionante, intensa. La storia di una vita scritta da una donna, per le donne. Un inno alla forza, all’indipendenza, all’eleganza di cuore, che Beatrice ha sempre dimostrato di avere. “L’eleganza non è un fatto di cultura, qualcosa che si eredita necessariamente dalla famiglia, non è acquistabile. Credo che abbia poco a che fare con quello che indossi, ma molto con la propria personalità e con quello che vuoi esprimere. Un aspetto che Diane interpreta a modo suo nel libro e che io condivido in pieno. Conosco tante persone, di ogni rango sociale, che sono eleganti per la loro gentilezza di cuore, per il loro atteggiamento e per la loro capacità di ascoltare gli altri e mettersi nei panni degli altri. Si è eleganti in tanti modi e credo che quello di cui si è più soliti discutere sia anche il meno interessante”. La giovane e bella Casiraghi, classe 1985, non è stata solo una modella, con il grande vanto di aver debuttato nel mondo della moda, appena 15enne e quasi per gioco, sulla passerella di Chanel. Non è solo una conduttrice televisiva, innamorata, come lei usa definirsi, del reportage documentaristico. Oggi, fresca di nozze con Pierre Casiraghi, si divide tra il lavoro di giornalista e l’impegno sociale. Tra gli ultimi progetti, il gala benefico organizzato nel Principato “Sail for a Cause”, a cui ha partecipato accompagnata dal neo sposo. “Ammiro quel tipo di donna che si mette all’opera e che cerca di fare il possibile nell’ambiente in cui vive, per avere un impatto positivo sulla realtà che la circonda. Questa, per me, è femminilità. A modo loro, ognuna è femminile nel senso più autentico, proprio perché riesce a esprimere il suo carattere e i bisogni, ambizioni e fragilità. Tutto quello, alla fine, che riguarda se stesse con molta onestà”.
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“I met her for the first time many years ago, me, rucksack on my back, together with my boyfriend, her with her husband on their splendid yacht. At the time I was a friend of Alexander, her son. That day she had invited us to lunch but had then said: ‘Why don’t you stay for a week?’ and seeing that we were camping, we thought why not? From then on we became great friends”. Beatrice Borromeo Arese Taverna, now Casiraghi too, recalls her first meeting with Diane von Fürstenberg and the bond of friendship that still unites them, both in their private and their working lives. “I hold her in great esteem, for my part, I think she’s a woman who is able to inspire many other women. Independently of any age gap, Diane tends to keep them all under her protective wing. That is why I am very pleased to be here today!” In fact, it was to her, that the designer, business woman, New Yorker by adoption, president of the CFDA for nine years, had asked to present her second book, published by Marsilio Editori, The Woman I Wanted To Be an enthralling, impassioned and emotive autobiography. The story of a life written by a woman for women. A hymn to the strength, the independence and the innate elegance that Beatrice herself has always shown to possess. “Elegance is not a case of culture, it is not something that is necessarily inherited from the family, it cannot be acquired. I believe it has very little to do with what you wear but a lot to do with personality and what you want to express. An aspect that Diane, in her book, interprets in her own way and that I totally agree with. I know a lot of people from all levels of society who are elegant because of their goodness, their attitude and their ability to listen to others and see things from others’ points of view. One can be elegant in many ways and the elegance we mostly talk about is also the least interesting”. The young and beautiful Casiraghi, born in 1985, has not only been a model, with the claim of having debuted in the world of fashion, almost for fun, at just 15 years old on the Chanel catwalk. She is not only a television presenter, in love, as she herself describes it, with documentary reportage. Today, just married to Pierre Casiraghi, she divides her time between journalism and social commitments. Among her most recent projects, a charity gala organised in the Principality, “Sail for a Cause”, in which she and her husband took part. “I admire the type of woman who buckles down and tries to do her best in her life, make a positive impact on the reality that surrounds her. That for me is femininity. In their way each one of them is feminine, in the most authentic meaning of the word, precisely because they are able to express their character and needs, ambition and fragility. In short, everything that regards them, with great honesty”.
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PORTRAITS
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AL DI LÀ DEI GENERI LA NUOVA IDENTITÀ ESTETICA BEYOND GENDER THE NEW IDENTITY AESTHETIC Enrico Maria Albamonte
Eddie Redmayne in The Danish Girl, courtesy of Universal Pictures.
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LEI COME LUI O LUI COME LEI
SHE DRESSING LIKE HIM AND HE DRESSING LIKE HER Paolo Bagnara 50
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CONTROVERSIAL FASHION
È giusto che la moda sorprenda e faccia discutere suscitando critiche, rimpianti e rifiuti. Se no, non sarebbe moda. Poi quando sarà omologata e pacificamente accettata il ciclo sarà chiuso e gli autori staranno già pensando ad altro. Che la moda provochi, anticipi e scandalizzi è una storia vecchia come il cucco, dalle prime minigonne a quando lei cominciò a portare i pantaloni, a quando lui si innamorò delle cravatte a fiorellini che ricordavano gli imprimé dei vestitini della nonna oppure si decise ad adottare colori come il rosa o il viola, un tempo appannaggio del glamour femminile. Per non parlare poi del New Look di Christian Dior che, osannato a Parigi nel gennaio 1947, incontrò poco dopo un pesante scoglio a New York, tranne poi essere accettato e clonato al punto che ancor oggi la maison di Avenue Montaigne lo sta rivisitando. E adesso ci risiamo. Più che mai, come non mai. Non fossero bastati al loro tempo l’unisex o lo stile androgino, adesso gli stilisti non solo buttano là proposte “agender”, o se si preferisce “no gender” o “genderless”, che stuzzicano la curiosità del consumatore destandone giudizi che vanno dal consenso alla contestazione, ma battibeccano fra di loro e questo non succedeva dai tempi in cui Chanel lanciava strali contro Christian Dior (“Non è un sarto, ma un tappezziere”) e mollava pesanti frecciate a Yves Saint Laurent (“Più mi copia e più ha successo”). Battibecchi fra stilisti ovvero frecciate tipo “Buoni tutti a pescare dal vintage” o “Assemblare alla buona non è creare”: insomma “Volemose ‘bbène” o come diceva Anna Frank “Litigare serve per conoscersi”. Limitiamoci a cercar di capire. Da anni alle sfilate si mescolano i sessi e sulle passerelle femminili le ragazze sono affiancate dai ragazzi e viceversa e questo serve a ingolosire i buyer, facendo balenar loro anticipazioni mirate al business, al dio denaro, all’incremento delle vendite, al nume tutelare dei fatturati che debbono crescere, crescere, crescere. Adesso il vezzo si accentua e diventa movimento, linea di pensiero e discussione. Il carico da novanta lo ha messo Gucci con i suoi boys in T-shirt di pizzo scarlatto e camicie di crêpe di seta
It is right that fashion should surprise us, cause debate, criticism, regret and opposition. Otherwise it just wouldn’t be fashion. Then when it has been assimilated and peacefully accepted the cycle ends and the designers will already be thinking up something new. That fashion shocks, anticipates and scandalises is a story as old as the hills, from the first mini-skirts to when women began wearing trousers, to when he was mad about ties in granny floral prints or decided to adopt colours like pink or violet, once entirely the domain of feminine glamour. And that’s without mentioning Christian Dior’s New Look, launched in Paris in January of 1947, and which would soon afterwards meet with a wall of hostility in New York but then not only be accepted but copied to the extent that this fashion house on Avenue Montaigne is still revisiting it today. And now we laugh about it. More than ever. And as if in their time unisex and the androgynous style was not enough the designers are now not only offering us “agender” or “genderless” looks that arouse the curiosity of the consumer by sparking opinions that go from approval to disapproval, but are attacking each other. This has not happened since Chanel sniped at Christian Dior (“He is not a dressmaker but an upholsterer”) and had a go at Yves Saint Laurent too (“The more he copies me the more successful he is”). Spats between designers or rather sniping such as “Everyone can dip into vintage” or “Knocking together is not creating”: in short “Fair play please” or, as Anna Frank said “Arguing serves to get to know each other”. Let’s just try and understand it. For years both sexes have appeared together on the cat walks, men with women and vice versa. This serves to tempt buyers, suggest ideas to them, it is aimed at doing business, at the money god, at increasing sales, at the god of sales volume which has to grow, grow, grow. Now that trait has been accentuated and become a movement, a line of thought and subject of discussion. The trump card was played by Gucci with his boys in scarlet lace T-shirts and silk crêpe shirts with bows. Let the future decide whether it works or not, certainly Jean Paul Gaultier already experimented with men in lace
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Photo Brandon Mercer Fashion Jimi Urquiaga All images, Giorgio Armani.
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(FE)MALE
GAMINES Barbara Bolelli
French Vogue, Paris, 1996, from Helmut Newton. Work,Taschen, Š Helmut Newton.
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(FE)MALE
TRA FEMMINILE E MASCHILE “Allorché di due farete uno, allorché farete la parte interna come l’esterna, la parte esterna come l’interna e la parte superiore come l’inferiore, allorché del maschio e della femmina farete un unico essere sicché non vi sia più né maschio né femmina […] allora entrerete nel Regno”, Vangelo di Tommaso
NEITHER FEMININE NOR MASCULINE “When you make the two one, and when you make the inside like the outside and the outside like the inside, and the above like the below, and when you make the male and the female one and the same, so that the male not be male nor the female female […]; then will you enter the Kingdom”, The Gospel of Thomas
Salvador Dalí, Gala Contemplating the Mediterranean Sea which at Twenty Metres Becomes the Portrait of Abraham Lincoln Homage to Rothko, 1976, Minami Art Museum, Tokyo, from Dalí. The Paintings, Taschen, © Salvador Dalí, Fundació Gala-Salvador Dalí/ VG Bild-Kunst, Bonn 2013.
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Photo Marco D’Amico Fashion Sabrina Mellace
From left, Etro coat, shirt and trousers, Bottega Veneta shoes; Etro jacket, shirt, trousers, rings and shoes.
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From left, Prada sweater, shirt, trousers and shoes, Marco Grisolia scarf; Calvin Klein coat and dress, Marco Grisolia scarf, Flaminia Barosini Jewellery Designer ring, Missoni shoes.
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From left, Giorgio Armani jacket and trousers, Marco Grisolia scarf, Pantofola d’Oro shoes; Giorgio Armani jacket and trousers, Marco Grisolia scarf, Flaminia Barosini Jewellery Designer rings, Jimmy Choo shoes.
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HERNO RAIN COLLECTION
CONVERSAZIONE CON CLAUDIO MARENZI, ROMANTICO E TECNOLOGICO UOMO DELLA PIOGGIA
A CONVERSATION WITH CLAUDIO MARENZI, BOTH ROMANTIC AND TECHNOLOGICAL RAIN MAN
Text Valentina Uzzo Photo Matteo Felici Fashion Serena Pompei All images, Herno.
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HERNO RAIN COLLECTION
“Non basta produrre un capospalla ben fatto per essere protagonisti sul mercato”. Herno lo sa bene. Con la presentazione della nuova collezione donna primavera/estate 2016, l’azienda di Lesa, sulle rive del Lago Maggiore, ha messo in piedi una coreografia digitale in omaggio alla tradizione del marchio e soprattutto al capo intorno al quale ancora oggi, a distanza di quasi 70 anni, ruota attorno l’esistenza e il successo del brand: l’impermeabile. I primi modelli, quelli più emblematici, tornano a far parlare di sé, raccontandone la romantica storia unita alla più tecnologica bellezza, nella nuova Rain Collection. Un’ode alla pioggia, ma anche un orgoglio, come testimonia Claudio Marenzi, presidente e ad di Herno.
“It is not enough to produce a well-made coat to be a market leader”. Herno is more than aware of that. This company, based in Lesa on the shores of Lake Maggiore, set up a digital choreography for the presentation of the new spring/summer 2016 womenswear collection, in tribute to the brand’s traditions and above all to the one garment around which, still today, almost 70 years on, its existence and the success of the brand revolves: the rain coat. The earliest and most symbolic styles are back in the spotlight, united to the beauty of technology and telling their romantic story in the new Rain Collection. An ode to the rain, but also an object of deep pride, as related by Claudio Marenzi, president and ad of Herno.
Nella collezione P/E 2016 Herno torna a far parlare le sue origini. In che modo? Herno nasce come casualwear, che in Italia, di fatto, negli anni ’50 corrispondeva al classico impermeabile. Negli anni successivi, poi, siamo divenuti famosi per questo capo: un successo che ha portato la nostra azienda a sviluppare le collezioni attuali, quindi, con la piuma, la pelle, le lane, sempre nel concetto di sportswear. Con questa collezione abbiamo voluto far capire da dove arriviamo, qual è il nostro heritage. Abbiamo recuperato i vecchi capi degli anni ’50 e ’60 e li abbiamo reinterpretati in un modo nuovo, con nuove forme e tessuti più moderni, come il cotone trattato anti pioggia e il poliestere leggerissimo. Abbiamo pensato di creare una piccola collezione capsula con gli otto modelli che meglio rappresentano la nostra tradizione: dal monopetto al doppiopetto, fino al trench e su ognuno di loro abbiamo applicato l’etichetta originale, la stessa che i miei genitori utilizzavano quando iniziarono a produrre i capi negli anni ’40. Abbiamo voluto sottolineare gli inizi di Herno, coniugando tradizione e tecnologia, un binomio che ci appartiene molto e che è il cuore della nostra azienda e la nostra forza. Uno dei motivi del successo è il fatto che siamo una realtà manifatturiera, semplice, ma di ricerca. Così, durante la presentazione abbiamo posizionato al centro della sala uno dei nostri trench, in gesso, con un’altezza superiore ai due metri, dove, a ritmo di musica (creata ad hoc da Andro dei Negramaro, ndr) e attraverso la tecnica del video mapping, abbiamo mostrato tutta la nuova collezione.
In the new S/S 2016 collection reference is made to the company origins. In what way? Herno began as a brand of casualwear which, in the Italy of the 50s, meant the classic rain coat. Over the years that followed we became famous for that item of clothing: a success that led our company to develop the present collections, thus now using the lightest down padding, leather and wools but always in the context of casual wear. We wanted to express our origins, our heritage in this collection. We looked back to our 50s and 60s styles and reinterpreted them in a modern way, gave them new shapes in modern fabrics such as rain-proofed cotton and the lightest of polyesters. We decided to produce a small capsule collection with eight styles that best represented our tradition: both single and double-breasted styles and trench coats and we attached the original label to each of them, the same ones my parents used when they began production in the 40s. We wanted to underline Herno’s beginnings, mix tradition with technology, two words we associate ourselves with very closely, which are our strength and at the heart of our company. One of the reasons for our success is the fact that, yes we are simply manufacturers but with added research. So for our presentation we positioned one of our trench coats made in plaster and over two metres high in the middle of the room where, to the sound of music (composed expressly by Andro of the Negramaro, ed) and using video mapping, we showed all the new collection.
Chi ha scelto il nome Herno? Mio padre e mia madre hanno avuto l’idea, nel 1948. Il nome del fiume che passa di fianco all’azienda è senza h, diciamo che inizialmente l’hanno fatto con uno scopo di internazionalizzazione. Ma era anche un modo per equilibrare il nome, perché se si prova a coprire con una mano l’h, ci sono solo quattro lettere, non c’è un centro, per cui, aggiungendone una, diventa più equilibrato. Devo dire che il risultato è un nome bello, corto, facile da ricordare.
Who chose the name Herno? My father and mother had the idea in 1948. The name of the river that runs down the side of the factory is without the h, let’s say that initially they chose it to give an international feel. But it was also a way of giving the name balance, if you cover the h with your hand there are only four letters, there is no centre. By adding a letter the word is better balanced. I must say the result is a good name, short and easy to remember.
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Photo Dario Plozzer Fashion Luigi Gaballo
Fendi
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Blumarine coat and dress. Opposite page, Michael Kors dress, Aquilano.Rimondi jacket.
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FOCUS
IRIS VAN HERPEN:
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FOCUS
Magnetic Motion (settembre, 2014), Biopiracy (marzo, 2014), Hybrid Holism (2012), Crystallization (2010), Radiation Invasion (2009), Fragile Futurity (2007). Solo ascoltando i nomi di alcune delle sue collezioni, fino alla più recente Hacking Infinity, che lo scorso marzo ha sfilato al Palais de Tokyo durante la fashion week parigina, si comprende fin da subito che non stiamo parlando di una stilista qualsiasi, ma che forse sarebbe meglio definirla un’artista. Non stiamo parlando di semplici abiti, ma di vere e proprie sculture, esposte anche al Metropolitan di New York e al Museum of Fine Arts di Boston. Non è una questione di moda, ma dell’accezione di quest’ultima come forma d’arte. Visionaria e concettuale, l’olandese Iris van Herpen, appena trentenne (a soli 27 anni è diventata la più giovane ad aver fatto parte del calendario ufficiale della Paris Haute Couture), combina l’artigianalità con la tecnologia, i metodi tradizionali e antichi del fatto a mano con futuristiche realizzazioni a computer, tra cui anche i primi esempi nella moda di stampa in 3D. Creazioni che hanno affascinato l’altrettanto visionaria e concettuale Björk, quanto Beyoncé, Lady Gaga, Tilda Swinton. “‘La forma segue la funzione’, non è uno slogan che condivido - si legge nel sito ufficiale della designer - Al contrario trovo che la forma completi e cambi il corpo e con esso l’emozione”. Ne nascono fusioni interdisciplinari tra architettura, musica, filosofia, moda e mix di inusuali materiali a metà tra l’organico e l’artificio tecnologico. Oppure, a proposito del movimento: “È così essenziale nel e per il corpo e lo è altrettanto nel mio lavoro. Unendo forme,
Magnetic Motion (September, 2014), Biopiracy (March, 2014), Hybrid Holism (2012), Crystallization (2010), Radiation Invasion (2009) and Fragile Futurity (2007). Just seeing the names of some of her collections, including the most recent Hacking Infinity, shown in March at the Palais de Tokyo for Paris fashion week, it is immediately clear that we are not simply talking about a straightforward fashion designer but perhaps it would be better to call her an artist. We are not talking about clothes but sculptures that can even be seen at the Metropolitan in New York and at the Museum of Fine Arts in Boston. It is not a question of fashion but of accepting fashion as an art form. Visionary and conceptual, the just thirty year old Dutch Iris van Herpen (at 27 she became the youngest designer ever to show during the official Paris Haute Couture week), combines craftsmanship with technology, traditional, ancient handcraft techniques with futuristic digital technology, including the first examples in fashion of 3D printing. Creations which have caught the attention of the equally visionary and conceptual Björk, as well as Beyoncé, Lady Gaga and Tilda Swinton. “‘Form follows function’, is not a slogan with which I concur - it says on her official website - On the contrary I find that forms complement and change the body and thus the emotion”. From this originate interdisciplinary fusions of architecture and music, philosophy, fashion and a mixture of unusual organic and technical materials. And then, on movement: “It is very important in and for the body, and so it is in my
Opposite page, Iris van Herpen, Hybrid Holism, July 2012. 133
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Opposite page, Legs, France, 1988, Š Patrick Lichfield.
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Photo Dario Plozzer Fashion Luigi Gaballo
Fendi coat and bag, Dolce&Gabbana sunglasses.
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Herno jacket, Ermanno Scervino skirt, Furla bag, Sergio Rossi ankle boots.
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Photo Lorenzo Marcucci Fashion Sabrina Mellace
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Meissen Couture dress.
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Valentino dress.
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LIBRARY
CROSS PURPOSE Opposite page, Iron John Cross, 1992, © Maggie Nimkin Photography.
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“LA CROCE REALIZZATA DA ADRIA È UN TENTATIVO DI CONQUISTARE LE FORZE DI AGGRESSIONE CHE MINACCIANO L’ESISTENZA PER COSTRUIRE UN MONDO MIGLIORE” “ADRIA’S CROSS IS AN ATTEMPT TO CONQUER THE FORCES OF AGGRESSION THAT THREATEN EXISTENCE AND THUS BUILD A BETTER WORLD” CATHY CASH SPELLMAN
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LIBRARY
VALENTINO MIRABILIA ROMAE Detail of the Sibylle Palmifera toga from the haute couture F/W 2014-15 collection. 196
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Photo Ursu Fashion Sara Schiavo
From left, Laura Strambi dress, Bernard Delettrez earrings and bracelet, Fratelli Rossetti shoes; Anteprima cardigan and dress, Atos Lombardini collar, Alice Sambenati earrings and rings, Benedetta Bruzziches bag, Lorena Antoniazzi shoes.
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From top, Bazar Deluxe sheepskin, Angelo Marani sweater, Erika Cavallini trousers, Bernard Delettrez ring, Benedetta Bruzziches clutch; Erika Cavallini fur and brooch, Roy Roger’s dress, Bernard Delettrez earrings and rings; Herno coat, Lardini sweater, Ottica Mondello glasses. Opposite page, from left, Lardini jacket and trousers, Stone Island sweater; Woolrich sweater, Anteprima skirt, Lorena Antoniazzi hat, Erika Cavallini necklace, Bernard Delettrez ring, Atos Lombardini socks, Moreschi bag and shoes; Laura Strambi vest and skirt, Woolrich sweater, Lorena Antoniazzi collar, Alice Sambenati earcuff and rings, Fragiacomo shoes.
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JEWELRY
EDEN Sprigiona la forza seduttiva del serpente la collezione Eden di Damiani, grazie a gioielli dalla doppia anima. Ammalianti, i preziosi uniscono il tocco rock della ceramica nera con l’oro rosa alla romantica eleganza dei diamanti. Di estrema femminilità, le sinuose spirali si ammantano di uno stile più che mai contemporaneo. The Eden collection by Damiani emanates the seductive power of the snake through jewels with a dual spirit. These enchanting gems unite a touch of rock through the black ceramic and pink gold, with the romantic elegance of diamonds. The extreme femininity of their serpentine spirals are in a more than ever contemporary style.
Sotto, orecchini clip in ceramica nera e oro rosa. A destra, dall’alto, bracciale in oro rosa con full pavé di diamanti brown; anello in oro rosa con diamanti brown; bracciale e anello in ceramica nera e oro rosa. Below, earrings with clip in black ceramic and pink gold. On the right, from top, bracelet in pink gold with brown diamonds full pavé; ring in pink gold and brown diamonds; bracelet and ring in black ceramic and pink gold.
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OPERA Sono le suggestioni artistiche del Rinascimento italiano con cenni allo stile gotico veneziano che diventano decoro prezioso nella collezione Opera di casa Buccellati. Evocativi delle più celebri arie liriche teatrali, bracciali, collane, anelli e orecchini esibiscono forme armoniche e sinuose in differenti combinazioni d’oro. Buccellati has transformed inspiration from the art of the Renaissance with hints of Venetian gothic into refined decoration for its Opera collection. Evocative of the most celebrated arias, the bracelets, necklaces, rings and earrings are a harmony of undulating forms in a variety of golds.
Dall’alto, orecchini in oro bianco con pendente staccabile grazie a un castone in oro bianco con brillante, 274 diamanti tondi taglio brillante 3,81 ct., 4 zaffiri facettati ovali 5,67 ct.; anello in oro bianco con 100 diamanti tondi taglio brillante 1,44 ct., 1 zaffiro facettato ovale 2,79 ct.; bracciale Cuff in oro giallo inciso a “rigato” con 150 diamanti tondi taglio brillante 1,87 ct., 5 zaffiri 1,90 ct.; anello in oro bianco e oro giallo con 72 diamanti tondi taglio brillante 1,03 ct.,1 diamante 1,55 ct. From top, earrings in white gold with the pendant detachable thanks to a white gold bezel set with a diamond, 274 round brilliant-cut diamonds cts. 3,81, 4 oval faceted sapphires cts. 5,67; ring in white gold with 100 round brilliant-cut diamonds cts. 1,44, 1 oval faceted sapphire cts. 2,79; Cuff bracelet in yellow gold, “rigato” engraved with 150 round brilliant-cut diamonds cts. 1,87, 5 sapphires cts. 1,90; ring in white gold and yellow gold with 72 round brilliant-cut diamonds cts. 1,03, 1 diamond cts. 1,55.
BUCCELLATI 224
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Photo Giulia Bertuletti Fashion Sabrina Mellace
Dolce&Gabbana bag, Bottega Veneta ring.
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Shiseido Ever Bloom eau de parfum, Drome turtleneck. Opposite page, Shiseido Ever Bloom eau de parfum.
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