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Mandato d’arresto internazionale per Putin: quali scenari?
from Eureka
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Venerdì 17 marzo 2023 la Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato d’arresto nei confronti del Presidente russo Vladimir Putin con l’accusa di deportazione e trasferimento illegale di minori dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa, crimini di guerra che sarebbero stati commessi in territorio ucraino almeno dal 24 febbraio 2022. I giudici hanno chiesto inoltre l’arresto per la Commissaria russa ai Diritti dei Bambini Lvova-Belova, per accuse simili. Organizzazioni come Human Rights Watch stanno conducendo indagini sulla vicenda. I rapporti mostrano che i minori sono stati prelevati da orfanotrofi e case di accoglienza e dati in adozione a fa- miglie russe, come parte di una politica volta a distruggere l’identità ucraina. La Russia si difende parlando di un progetto umanitario per gli orfani traumatizzati dalla guerra, ma ci sono prove che suggeriscono come molti bambini non siano orfani, rendendo sempre più evidente come si tratti di una strategia propagandista russa per presentare il Paese come un salvatore caritatevole.
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Approfondiamo tale inchiesta con Maria Caterina Baruffi, Professore ordinario di Diritto internazionale all’Università di Bergamo.
L’idea alla base della CPI, condivisa dall’Assemblea Generale ONU, che nel 1998 ha adottato il trattato istitutivo (Statuto di Roma), è quella di un tribunale permanente per perseguire i responsabili dei crimini più gravi del diritto internazionale (genocidio, crimini contro l’umanità, di guerra e di aggressione). Gli Stati che oggi aderiscono alla Corte costituiscono i due terzi dell’intera comunità internazionale; tra marzo e aprile 2022, la situazione in Ucraina è stata oggetto di deferimento alla Corte da parte di 43 Stati, dando così avvio all’indagine. Più di un terzo degli Stati parte hanno quindi riconosciuto la sua competenza al riguardo.
Perché allora la CPI è un organo lontano dall’essere globalmente riconosciuto?
«Se è vero che sono 123 gli Stati che hanno sottoscritto lo Statuto della CPI e che riconoscono la sua giurisdizione e la vincolatività delle sue decisioni, lo è altrettanto che tra essi non figurano Paesi importanti come Stati Uniti, Cina, i grandi assenti, unitamente alla Federazione Russa che ha ritirato la firma nel 2016, nonché India e Israele. Non c’è neppure l’Ucraina. Nonostante la mancanza della ratifica dello Statuto da parte di uno Stato, la CPI diviene comunque competente qualora tale Stato abbia dichiarato di accettarne la giurisdizione per i crimini che siano stati commessi sul suo territorio. Così è avvenuto per l’Ucraina con dichiarazioni ad hoc nel 2014 e 2015. È ancora elevato il numero degli Stati non soggetti alla giurisdizione della CPI e, soprattutto, alla Corte manca il sostegno “politico” dei Paesi grandi che non avallano l’idea di una giustizia globale. Non va dimenticato che la CPI intende integrare, e non sostituire, i sistemi penali nazionali e persegue i casi solo quando gli Stati non sono disposti o non sono capaci di farlo. Inoltre, essa non ha un sistema automatico di esecuzione dei suoi mandati, che vengono diramati a tutte le polizie del mondo, anche dunque di Paesi non aderenti, tramite l’In- terpol. Per l’esecuzione delle sue decisioni deve affidarsi agli Stati aderenti, i quali non sempre hanno adempiuto il loro obbligo di assistenza. Rimangono comunque aperte due questioni. La prima: bisogna vedere se si giunge o meno ad una condanna; la seconda: l’eventuale condanna va fatta valere, ma la sua esecuzione non è scontata perché richiede la cooperazione degli Stati».
In altri termini, qualora Putin si trovasse in uno Stato firmatario, potrebbe sì essere arrestato, ma se tale Stato non adempisse ai suoi obblighi, potrebbe rientrare indisturbato in Russia. La decisione della CPI segna comunque una svolta, poiché si tratta di un mandato d’arresto di un Capo di Stato ancora in carica e membro permanente del Consiglio di Sicurezza ONU (CdS), la cui attuale presidenza potrebbe essere pregiudicata da tale incriminazione.
Potrebbe invece Putin godere dell’immunità diplomatica?
«Seppur con qualche tentennamento nella giurisprudenza, le immunità diplomatiche vengono generalmente estese anche ai Capi di Stato finché dura la loro funzione. L’immunità dalla giurisdizione riguarda qualsiasi atto e quindi anche i crimini internazionali, nonostante lo Statuto CPI non riconosca la possibilità di eccepire l’immunità da parte dell’indagato. I precedenti della CPI negli oltre vent’anni di attività non sono incoraggianti, essendo state adottate pochissime decisioni nei confronti di Capi di Stato quali Gheddafi e Al Bashir, Presidente del Sudan (Paese non firmatario), senza peraltro che il mandato emesso nei confronti di quest’ultimo venisse eseguito dal Sudafrica, Paese (firmatario) in cui questi si era recato e dove l’allora Presidente Zuma, rifiutandosi di rispettare gli impegni assunti, gli aveva riconosciuto l’immunità».
In agosto è in programma il quindicesimo Summit Brics (le principali economie emergenti: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e Putin dovrebbe parteciparvi. Quale potrebbe essere lo scenario?
«In effetti potrebbe ripetersi quanto accaduto con Al Bashir in Sudafrica: in occasione della visita di Putin in tale Paese, questo potrebbe decidere di riconoscergli l’immunità, vanificando così il mandato di arresto. Al momento, non si hanno però indicazioni su quale potrebbe essere il comportamento del Sudafrica sotto la presidenza di Ramaphosa. Nell’ipotesi, difficile da immaginare, che venisse data esecuzione al mandato, Putin dovrebbe essere consegnato alla CPI. In caso invece di contumacia, la CPI potrebbe sospendere il procedimento per un anno, rinnovabile solo dal CdS».
Spetta quindi agli Stati attivarsi. In tal senso potrebbero comportarsi i Paesi dell’Unione, visto il suo ruolo significativo in sede di negoziazione dello Statuto di Roma e la conclusione dell’Accordo di Cooperazione e Assistenza con la CPI nel 2006.
Quali azioni UE rilevano in questa vicenda?
«L’Unione, che pur non ha le competenze per intervenire in crisi di politica estera e di difesa di questo genere, ha manifestato la volontà di avere un ruolo attivo sin dall’inizio. L’Alto Rappresentante UE ha considerato il mandato una “importante decisione della giustizia internazionale”. Il Consiglio europeo, lo scorso marzo, ha confermato la necessità di agire perché i responsabili siano chiamati a rispondere delle proprie azioni in conformità del diritto internazionale. In occasione del vertice UE-Ucraina a febbraio 2023, è stato creato un Centro internazionale per il perseguimento del crimine di aggressione nei confronti dell’Ucraina (ICPA), al fine di coordinare le indagini, preservare e archiviare le prove per i futuri processi. La Commissione europea nel novembre 2022, appoggiata poi dal Parlamento europeo, ha promosso la costituzione di un tribunale speciale per l’Ucraina, sull’esempio di quello per la ex-Jugoslavia. La proposta, tuttavia, non pare al momento percorribile per le difficoltà nella raccolta del necessario consenso in seno al CdS per il sicuro veto russo e per il rischio che la sua istituzione sia vista come l’ennesima espressione della volontà di taluni Stati e non già come parte organica del progetto di giustizia penale internazionale che, avviato ormai 25 anni fa, ruotava attorno, appunto, alla CPI con carattere permanente».
Il rischio di non trovare una visione unanime tra i leader degli Stati emerge anche dalla dichiarazione dell’Ungheria che ha affermato che Putin non sarà arrestato nel caso in cui mettesse piede sul suo territorio.
L’UE potrebbe intervenire nei confronti dell’Ungheria?
«Il fatto che l’Ungheria non darebbe seguito al mandato di arresto è stato giustificato con la mancata promulgazione del trattato istitutivo della CPI perché “contrario alla Costituzione”. Secondo tuttavia la CPI, avendo l’Ungheria ratificato il trattato nel 2001, essa ha l’obbligo di cooperare con la Corte. Quanto all’Accordo tra UE e CPI, esso vincola l’Unione in quanto tale, ma non i singoli Stati membri. Ciò non esclude però che l’UE possa richiedere il rispetto dei principi dello Stato di diritto e dei diritti umani che sono alla base sia di detto Accordo sia del trattato UE. Si potrebbe perciò ipotizzare, nel caso di mancato rispetto degli obblighi assunti nei confronti della CPI, l’avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione per la violazione dei principi fondamentali dell’UE. I tempi e gli esiti di tale procedura sarebbero comunque incerti e soprattutto non vi è allo stato alcuno strumento azionabile dall’UE per costringere l’Ungheria a dare esecuzione al mandato di arresto della CPI, essendo necessaria la collaborazione dello Stato interessato. Di certo, l’Ungheria non mostra al momento alcuna volontà di collaborare, tanto che alla Conferenza dei Ministri della Giustizia di circa 40 Paesi riunitisi, lo scorso marzo, a Londra per manifestare concretamente il loro sostegno alla CPI, l’unica firma tra i 27 Paesi UE a mancare è stata proprio quella dell’Ungheria».
In conclusione, non ci resta che attendere l’evoluzione delle possibili reazioni. Pur prospettandosi delicati equilibri politico-diplomatici, che potrebbero vanificare del tutto l’azione della CPI, si auspica in ogni caso una convergenza tra i poteri sovrani nella conclusione del conflitto in nome della tutela dei diritti umani.
Alessandra Carpe