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Una montagna per tutti Gianluigi Bozza
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La montagna per tutti
Le mutazioni che hanno portato il festival a essere quello che è: la “svolta” della seconda metà degli anni Ottanta, quando strutturalmente e concettualmente qualcosa è cambiato
di Gianluigi Bozza
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10 Gianluigi Bozza laureato in Sociologia, è giornalista, saggista, programmatore e organizzatore di iniziative culturali. Critico cinematografico, è stato direttore del Trento Film Festival negli anni Novanta. È stato Dirigente alle attività culturali della Provincia Autonoma di Trento, e ha fatto parte del Consiglio Direttivo del Festival dal 2009 al 2014 N ella seconda metà degli anni Ottanta intorno al futuro del Trento Film Festival e ai suoi possibili sviluppi si aprì un profondo ripensamento segnato da appassionate discussioni, anche polemiche, frutto dei mutamenti allora in corso che stavano segnando un profondo allontanamento dei riferimenti che fino ad allora avevano caratterizzato la manifestazione, nata piuttosto casualmente nel 1952 e divenuta una sorta di appuntamento annuale (organizzato dal comune di Trento e dal Club alpino italiano) fra appassionati di montagna. In questo ambito si proponevano testimonianze cinematografiche e fotografiche sulle imprese e sulle pratiche alpinistiche, sull’ambiente naturale e sulle genti di montagna in ogni parte del mondo. Innanzitutto erano cambiati e stavano ridefinendosi i modi di praticare e concepire l’alpinismo; accanto a quello “classico” delle grandi spedizioni (himalayane e andine) e dell’arrampicata “accademica”, si era gradatamente affermato quello dell’escursionismo di massa indotto dall’importanza crescente del turismo estivo sulle Alpi (assolutamente da assecondare secondo le comunità locali) e dalla facilità di viaggiare non solo in Europa; e poi nuovi modi di arrampicare avevano iniziato a disorientare preesistenti convinzioni e pratiche.
LO SVILUPPO DI UNA COMUNITÀ
Al contempo le comunità che erano rimaste a popolare le montagne erano sempre più orientate a ricercare un futuro diverso dall’emigrazione e dal progressivo impoverimento. In Trentino la pro-
grammazione urbanistica era divenuta lo strumento strategico fondamentale di proiezione nel futuro: una nuova viabilità più rapida e sicura, la diffusione in periferia di nuove offerte formative, gli investimenti nel turismo come nuova industria, la modernizzazione dell’agricoltura e degli allevamenti, l’università e la ricerca come connettori e proiezioni di un futuro assolutamente diverso delle società alpine. Questa prospettiva era perseguita con determinazione, insieme alle molteplici opportunità offerte dal nuovo statuto di autonomia. È in questo contesto che – soprattutto nella città di Trento (divenuta sede universitaria e del governo autonomistico provinciale) – maturò gradatamente la convinzione che il Film Festival potesse-dovesse giocare un proprio ruolo significativo nella formazione della rinnovata identità che ci si sforzava di delineare politicamente, economicamente e culturalmente. Il Trentino e il suo capoluogo come protagonisti e come uno dei riferimenti strategici per lo sviluppo delle comunità dell’arco alpino: questa, in sintesi, la strategia. Nel consiglio direttivo erano compresenti il Comune, il Cai e (con il ruolo più incisivo nel finanziamento) la Provincia Autonoma (di cui sono stato rappresentante dalla metà degli anni Settanta fino a quando divenni direttore). Il ripensamento della manifestazione era imposto anche da altri fattori: il raffreddarsi dell’interesse del pubblico (che nel frattempo era divenuto soprattutto televisivo) per i lavori proposti e per l’alpinismo in senso stretto; la scarsità di materiali cinematografici e televisivi sui temi fondativi (a cui si era supplito parzialmente introducendo dal 1955 il tema dell’esplorazione, poi l’editoria di montagna e l’ampliamento degli approcci delle tematiche affrontate dagli esperti negli incontri “alpinistici”); il diversificarsi vorticoso delle forme di comunicazione e del ruolo dell’industria culturale.
UN “APPROCCIO LAICO”
Il compito di dare uno scossone radicale alla situazione stagnante e di incertezza del Film Festival fu assegnato (non da tutti i componenti del direttivo con entusiasmo) a Emanuele Cassarà, acuto e combattivo interprete (e protagonista) dei cambiamenti che erano in corso da tempo nell’alpinismo (Pietro Crivellaro ha definito quello di Cassarà un “approccio laico”, che evidenziava quanto fossero ormai consunte le retoriche ideali e romantiche delle grandi conquiste e che l’epopea dell’alpinismo fosse da tempo definitivamente tramontata). Allacciò contatti con alpinisti come Bonatti e Messner (che non avevano ritenuto fino a allora il festival un evento con cui collaborare perché, sostanzialmente, non in grado di rappresentare e comprendere il loro modo di intendere e frequentare le montagne), seppe creare intorno alla manifestazione un’attenzione nuova creando uno spazio di testimonianze e di conoscenze che sarebbero rimaste una importante eredità. Dopo il suo scossone, Cassarà non accettò di proseguire come direttore. E così da consigliere e collaboratore per la parte cinematografica mi ritrovai direttore (con un passato di organizzatore di cineforum e di critico cinematografico, di professione funzionario della Provincia dagli albori dei cambiamenti aperti dal nuovo statuto). Il festival si fondava su un’organizzazione leggerissima (sostanzialmente la segretaria Daniela Cecchin) che si rianimava da febbraio con alcuni apporti operativi “stagionali” e con il fondamentale contributo organizzativo e operativo anche di alcuni componenti del direttivo. L’obiettivo fondamentale era di porre le fondamenta per un’organizzazione più stabile e indipendente sotto tutti i profili che potesse condurre dopo alcuni anni la manifestazione a un assetto autonomo, a una vera e propria istituzione culturale, facendo crescere gradatamente un gruppo di giovani operatori culturali professionisti.
DALL’ALPINSIMO ALL’AMBIENTE ALL’ARTE
Un’istituzione con una progettualità ampia, animata dalla convinzione che possa esistere una montagna per tutti e infinite modalità e possibilità di apprezzare, vivere e frequentare la montagna. Dall’alpinismo (con tutta la sua storia e le sue configurazioni, i suoi protagonisti e le loro culture) alle realtà dei montanari di ogni continente, dall’ambiente a ogni forma di nuove conoscenze della natura, con una coscienza critica delle complessità e dei rischi della modernizzazione forzata e della globalizzazione. Attraverso il cinema e gli altri media audiovisivi, il consolidamento e l’enfasi sull’editoria (Montagna Libri), i legami con le altre forme di espressione artistica (dalla pittura alla fotografia, dalla scultura alla grafica; importante la scelta dei manifesti nel periodo, anche di quelli ”censurati”), incontri e momenti di riflessione con protagonisti ed esperti non solo durante le settimane della manifestazione. In sintesi si è abbozzato (con il direttivo di allora) un progetto che si è venuto a precisare e arricchire soprattutto negli ultimi vent’anni.