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Settant’anni di racconto del futuro

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Istantanee dal festival Settant’anni di racconto del futuro

La rassegna cinematografica trentina vista con gli occhi dell’attuale presidente Mauro Leveghi

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02 Mauro Leveghi è nato a Trento e ha conseguito la laurea in Scienze forestali presso l’Università di Padova, con la tesi “Caratteri della vegetazione forestale nella riserva naturale integrale delle Tre cime del Monte Bondone”. È stato componente del Consiglio regionale e provinciale e consigliere comunale di Trento. Dal 2018 è presidente del Festival S ettant’anni sono un bel traguardo. È un compleanno davvero speciale quello del Trento Film Festival, fondato nel 1952: il primo e più longevo festival cinematografico al mondo dedicato alla montagna, all’esplorazione e all’avventura. Negli ultimi anni, accanto a questi temi, si è aggiunto l’interesse crescente per le questioni ambientali, culturali e di attualità che hanno reso più variegato e stimolante il ricco programma del festival. Ne parliamo in una chiacchierata a tutto campo con il suo presidente Mauro Leveghi, alla guida della rassegna dal 2018.

Cosa significa per il Trento Film Festival compiere 70 anni?

«Significa principalmente sapersi evolvere, cambiare pelle mantenendo quei valori fondamentali che ci hanno sempre contraddistinto: prima di tutto il forte legame con il territorio e le sue istituzioni. La manifestazione, alle sue origini, aveva una forte vocazione verso temi dell’alpinismo per poi trasformarsi, nel tempo, in un festival della cultura di montagna».

COME È CAMBIATO IL VOLTO DEL FESTIVAL Quali sono stati i passaggi fondamentali di questa trasformazione?

«Il volto del festival è cambiato grazie ai film proiettati in sala. Se inizialmente le pellicole si occupavano quasi esclusivamente del resoconto delle grandi spedizioni, progressivamente le tematiche si sono ampliate anche alle questioni ambientali, sociali ed economiche della montagna. Nel celebrare i primi settant’anni abbiamo organizzato

una grande mostra evento che racconta questo percorso. Non tanto dal punto di vista cronologico, quanto del rapporto con la comunità da cui il festival trae i suoi valori».

Quali sono questi valori?

«Oltre all’identità territoriale, di cui ho già detto, c’è anche la capacità di mettere a sistema la fitta rete di contatti offerti dalla collettività, sempre con un occhio rivolto a ciò che accade nel mondo. Senza dimenticare la sostenibilità o, come la chiama Annibale Salsa, la durabilità nel tempo. Su questo punto c’è un elemento, a mio avviso importantissimo, che la montagna ci insegna: la montagna è un sensore delle mutazioni, dei cambiamenti climatici, che non sono il futuro ma il passato prossimo».

In questo senso qual è il ruolo del festival?

«Il festival è una sorta di campo base, nel quale si fanno riflessioni attraverso i racconti e le narrazioni che provengono dalle trame dei film. Un campo base dal quale guardare al futuro e per conquistare spazi di futuro».

UNO SGUARDO SUL MONDO Secondo lei, qual è il filo rosso che lega l’edizione del 1952 a quella di oggi?

«Credo che siamo sempre riusciti a cogliere le novità. La settima arte, il cinema, deve anche rompere gli schemi, andare oltre i paradigmi consolidati. Poi voglio sottolineare un altro aspetto e cioè che questa rassegna cinematografica non è una nostra creazione, ma il frutto dello sguardo degli uomini e delle donne che stanno osservando il mondo. Occorre partire da questi punti di vista per cogliere l’essenza delle nostre riflessioni».

Che festival s’immagina fra settant’anni?

«Le protagoniste saranno sempre le opere che, nel raccontare il presente, offrono uno sguardo al futuro. Ci fanno riflettere, ponendoci delle provocazioni e dei dubbi. Proprio quei dubbi e quelle provocazioni da cui partire per capire un mondo che è in continua evoluzione. Credo che il festival, da questo punto di vista, sia un ottimo strumento di stimolo per la riflessione».

Nel celebrare i primi settant’anni abbiamo organizzato una grande mostra evento

Se mi state cercando, sono in giro alla scoperta del mondo…

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