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Avvoltoio vola via

Luca Calzolari, Direttore di Montagne360

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“Dove vola l’avvoltoio? Avvoltoio vola via. Vola via dalla terra mia, che è la terra dell’amor”. Avemmo voluto parlare della primavera che tanto ci è mancata e che ha cominciato a far sentire la sua presenza. Avremmo voluto parlare della pandemia che sembra regredire, della fine dell’emergenza, del progressivo e mai scontato ritorno alla normalità, delle montagne e del nostro vivere con la natura, nella natura, per la natura. E invece no. Anziché attingere alla letteratura per prendere a prestito le parole d’intellettuali e poeti che più e meglio di noi hanno saputo raccontare le fioriture, la speranza e il trascorrere delle stagioni, ecco che stavolta attingiamo a quelle stesse fonti per far riemergere una canzone di pace di una guerra non troppo lontana e mai dimenticata. Dove vola l’avvoltoio è una canzone contro la guerra scritta da Italo Calvino e musicata da Sergio Liberovici. Entrambi facevano parte del collettivo Cantacronache, nato a Torino nel 1957. Insieme a loro c’erano scrittori, musicisti e poeti, tra cui Michele Straniero, Fausto Amodei, Emilio Jona, Gianni Rodari, Franco Fortini, Umberto Eco e altri ancora. «Per capire meglio occorre andare alla fonte della tradizione orale e collettiva, quella di chi ha combattuto», ci ha raccontato l’etnomusicologo Franco Castelli a margine della registrazione di una puntata di Cordate vocali, il format che racconta suoni e immagini dei cori del Club alpino italiano e che trovate on-line sul canale YouTube del Cai. È stato proprio Castelli a ricordarci del testo scritto da Calvino, così terribilmente e drammaticamente attuale, quando gli abbiamo chiesto il titolo di una canzone da intonare per invocare la pace. Già, perché si è tornati a parlare di guerra. Anzi, si è tornati a viverla. E se è vero che tenere viva la memoria non è un esercizio ideologico o di stile ma il modo più concreto per stimolare le coscienze e imparare dai nostri errori, allora non c’è dimostrazione più evidente dell’orrore che un conflitto è capace di generare. Perché al di là dei vincitori e dei vinti, c’è qualcuno che sarà sempre e comunque vittima. Ma chi nelle trincee della prima guerra mondiale ha cantato per chiedere la pace? «Non gli ufficiali, ma i fanti combattenti che si sono trovati a vivere l’inferno», ci ha detto Castelli. «Erano pastori della Sardegna, pescatori della Sicilia, contadini delle Langhe. Per la maggior parte giovani, in gran parte poco o nulla alfabetizzati». Eppure ci risiamo, come se quelle parole cantate e quel sangue sparso e quelle vite spese non fossero stati sufficienti a farci capire che un tale orrore non si sarebbe mai dovuto ripetere. Né allora, né oggi, né mai. Mai e poi mai. Invece parliamo e leggiamo di invasioni, bombe, massacri. Vediamo i profughi in arrivo, organizziamo aiuti che forse non saranno determinanti nel porre fine al dolore, ma sicuramente possono essere di sostegno a chi, all’improvviso, si è visto privare di tutto. Nel suo editoriale, qua su Montagne360, il presidente generale del Cai Vincenzo Torti ha ribadito e amplificato la posizione di “ferma condanna” da parte del Club alpino italiano. Torti cita Erasmo da Rotterdam, Hannah Arendt, Marco Aurelio. Questo a dimostrazione del fatto che scegliere la pace e l’amore non è solo una via per ripudiare la guerra, ma una vera e propria scelta di vita. La pace è un valore universale. E in tanti lo hanno ribadito, ognuno nel proprio spazio di prossimità, raccogliendo e inviando aiuti alla popolazione ucraina. E tutti hanno espresso posizioni di condanna. Non solo in Italia, ma anche in tutto il resto d’Europa. A cominciare dal Ghm, Gruppo di alta montagna francese cui aderiscono alpinisti di tutto il mondo. «Tutti i nostri pensieri vanno ai nostri amici ucraini e russi che sono direttamente colpiti e che si oppongono apertamente a questa guerra» hanno scritto, ricordando tra l’altro che una delle salite più significative dello scorso anno è stata realizzata in Nepal proprio da un trio ucraino, sull’Annapurna III. Una posizione condivisa anche dai vari gruppi europei di speleologia. Al congresso internazionale in programma a luglio in Francia, ad esempio, saranno applicate limitazioni agli speleologi russi, che saranno esclusi dal congresso dell’Union international de speleologie, nel caso in cui dovessero presentare lavori a nome delle proprie organizzazioni nazionali. Dal canto suo, com’era ovvio che fosse, anche l’Associazione speleologica ucraina ha espresso la sua decisa protesta contro le azioni delle forze di occupazione russe. «I civili muoiono sotto il fuoco, compresi i bambini» dicono. «Le nostre pacifiche città e i nostri paesi vengono demoliti e il nostro patrimonio culturale viene distrutto». E allora continuo a pensare alle parole scritte da Calvino. “L’avvoltoio andò dal bosco e il bosco disse: No avvoltoio, vola via, avvoltoio vola via. Tra le foglie in mezzo ai rami passan sol raggi di sole, gli scoiattoli e le rane, non più i colpi del fucil”.

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