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Aneddoti e narrazioni di un rito collettivo Alessandro Giorgetta

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Aneddoti e narrazioni di un rito collettivo

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Una presenza al Festival lunga mezzo secolo. Cinquant'anni di punti di vista differenti e una sola grande certezza: la bellezza è da ricercare negli incontri (soprattutto quelli informali)

di Alessandro Giorgetta

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Alessandro Giorgetta direttore editoriale del Cai ed ex alpinista, ha iniziato a frequentare il Festival nel 1972 come direttore della Sede centrale Cai. Dal 1980 al 1987 ha partecipato come collaboratore del Cai e del Touring club italiano, poi come redattore della rivista mensile del Club alpino. Dal 2008 al 2014 è stato consigliere del Trento Film Festival H o frequentato il Festival per cinquant’anni. Esattamente mezzo secolo. Non un anno di più, non un anno di meno. Un tempo nel quale ho osservato, attraversato e vissuto i cambiamenti, l’alternanza delle generazioni e tutta quella straordinaria umanità che ha reso il Trento Film Festival un evento imperdibile. D’accordo, lo ammetto: in questi cinquant’anni so di aver potuto godere di un punto di vista privilegiato. Anzi, c’è di più. Perché la mia percezione non si è basata su una sola angolatura bensì su prospettive che si rinnovavano ogni volta in base ai ruoli e alla funzioni che ho assunto nel corso degli anni. Prima come direttore della Sede centrale del Club alpino italiano, quando il presidente generale era Giovanni Spagnolli, allora presidente del Senato. Dal 1972 ho quindi partecipato come suo delegato. Ma quando Spagnolli era presente, be’, tutta la mia attenzione era rivolta ai suoi impegni istituzionale e al problema della logistica e

della sicurezza. Del resto quelli erano gli anni di piombo.

L’IMPORTANZA DI CONDIVIDERE

Le sale cinematografiche e gli spazi di confronto ho iniziato a frequentarli e conoscerli a partire dagli anni Ottanta. Prima come collaboratore del Cai e del Touring club italiano, poi come redattore della rivista mensile del Cai, infine come consigliere del Festival (per due trienni). Dal 2014 ho continuato a frequentare Trento, ma stavolta come direttore editoriale Cai. Da tutte queste esperienze ho capito che per me il Festival era – ed è – una sorta di rito collettivo. C’è infatti qualcosa che va oltre la rappresentazione del mondo alpinistico internazionale col media cinematografico. Quello che più contava, soprattutto nei primi anni, erano gli incontri. La vitalità del festival si basava, infatti, sulle persone più che sulle rappresentazioni. In questo confronto – spesso informale – erano coinvolti tutti: alpinisti, produttori, registi, giornalisti, e così via. Nessuno era un mondo a sé, tutti parlavano e discutevano e condividevano idee, esperienze, opinioni. Ritengo che il Festival di Trento, che rappresenta un unicum al mondo, abbia profondamente contribuito al cambiamento della cultura della montagna.

LUOGHI IRRINUNCIABILI

Confesso di non essere mai stato un grande esperto di cinema, ma forse questo mi ha reso ancor più libero nell’esprimere giudizi sulle pellicole, che almeno nei primi anni erano tutte molto simili tra loro. Pur con i limiti delle apparecchiature di allora, seguivano stesso il medesimo cliché narrativo. Certo, poi ci sono stati film che hanno segnato il cambiamento, come È vietato sporgersi di Robert Nicod (1985) e Free Solo di Jimmy Chin e Elizabeth Chai Vasarhelyi (2018). Irrinunciabili erano però le manifestazioni collaterali e certi luoghi che non si potevano non frequentare. Lo spirito del Festival, così come i cambiamenti, si percepiva in occasione dei premi Itas (al Castello del Buonconsiglio) e Sat (via Manci). Mentre questi due luoghi erano un po’ troppo istituzionali, negli appuntamenti della Sezione operaia società alpinistica tridentina (Sosat) la situazione si alleggeriva, complice forse lo straordinario buffet che offriva abbondanti bevute. Ricordo poi le serate del venerdì al Centro Santa Chiara, gli incontri informali nella Birreria Pedavena, più recentemente il tendone del Campo Base e, non ultima, la sala stampa, sempre affollatissima. Ogni giornalista

La vitalità del festival si basava sulle persone più che sulle rappresentazioni

arrivava con la sua Lettera22. In questa grande sala, nel silenzio generale, si sentiva il ticchettio incessante dei tasti delle macchine da scrivere. Prima che arrivassero i computer (e internet), gli articoli venivano inviati per fax o addirittura dettati al telefono.

SCONTRI E RISATE

L’elenco dei luoghi e degli eventi da ricordare sarebbe lunghissimo, quindi limito il mio ricordo alle tavole rotonde su cui si concentrava il dibattito ed emergevano con forza nuove tendenze culturali. A partecipare, tra gli altri, erano Dino Buzzati, Fosco Maraini e Mario Rigoni Stern. Ma tanti sono i personaggi protagonisti del Festival, a volte anche loro malgrado. Ricordo nel 1974 la celebrazione della spedizione di Guido Monzino sull’Everest. Il Festival aveva deciso di premiare Rinaldo Carrel e Mirko Minuzzo, i primi due ad arrivare in vetta, che però in quei giorni stavano partecipando al corso guide. Arrivarono a Trento abbandonando il corso, ma furono subito richiamati con la minaccia dell’espulsione. Questo, oltre a un certo imbarazzo, creò anche uno scontro istituzionale. Ricordo inoltre le discussioni a seguito delle provocazioni del giornalista e direttore del festival Emanuele Cassarà, l’articolo presentato nel 1994 dalla rivista Cai sulla vicenda di Bonatti sul K2 (che sollevò l’ira di Reinhold Messner contro Silvia Metzeltin) e anche Rolly Marchi. Chi era? Un personaggio notissimo, non solo a Trento. Fu inventore del “Trofeo Topolino”, gara di sci nazionale dedicata ai bambini. Girava per la città col cappello da cowboy. Sia chiara una cosa: al Festival ci sono stati anche contrasti (che spesso aiutano a crescere), ma soprattutto momenti di condivisione e partecipazione. A volte anche leggeri. Un episodio divertente riguarda ad esempio Mauro Corona. Durante un evento dedicato alle cascate di ghiaccio disse che la più bella cascata l’aveva fatta uscendo da un’osteria, proprio a Trento. Scivolò sul marciapiede ghiacciato, e lì si addormentò. Il Trento Film Festival ha raccontato anche queste storie.

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