SEGNALI DAL CLIMA a cura di Mario Vianelli
La calda estate
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Nel bel mezzo di un’estate funestata da eventi climatici disastrosi è stato pubblicato il sesto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change
F
ino all’inizio della scorsa estate il minuscolo villaggio di Lytton, nella Columbia Britannica, era conosciuto quasi soltanto dai pescatori di salmoni e per il suo clima temperato, mitigato nei valori estremi dall’effetto delle masse d’aria provenienti dal non lontano Oceano Pacifico. Dopo una decina di giorni con temperature superiori ai 30°, il 29 giugno i termometri della locale stazione meteorologica hanno toccato 49,6°, la più alta temperatura mai registrata in Canada; e un paio di giorni dopo è iniziato un incendio che ha praticamente distrutto l’abitato. L’assoluta anomalia dell’ondata di calore in Nord America è stata il preludio di un’estate densa di notizie attinenti al clima: inondazioni, uragani, incendi e siccità campeggiavano nei titoli dei media, in compagnia di flagelli biblici come le invasioni di topi in Australia e di locuste in Africa e in Medio Oriente; e anche in 10 / Montagne360 / ottobre 2021
Europa si sono registrate alluvioni devastanti e temperature da record: 47.4° in Andalusia e fino a 48,8° a Floridia, in Sicilia. E nei giorni attorno a Ferragosto pioveva su gran parte della Groenlandia (ne parliamo nella notizia di pagina 6, ndr), con l’acqua che cadeva dal cielo – e scorreva sul ghiaccio, aumentandone la fusione – perfino al Summit Camp, la stazione di ricerca posta a 3216 metri di altezza al centro della calotta glaciale. Pochi giorni prima era stato pubblicato il sesto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), intitolato Climate Change 2021: the Physical Science Basis, il più aggiornato ed esaustivo compendio delle conoscenze sulla materia, corredato da modelli di previsione dei futuri scenari. La crisi climatica è stata per qualche giorno al centro dell’attenzione mondiale, prima di scomparire dai titoli e dai dibattiti davanti all’avanzata dei talebani in
Afghanistan. Il rapporto afferma in via definitiva che l’odierna crisi climatica è provocata dalle emissioni prodotte dall’uomo, ma il suo merito principale è di fornire dati certi su cui potranno discutere i rappresentanti dei 190 paesi che si ritroveranno in novembre a Glasgow in occasione della Cop26, la Conferenza delle Parti che dovrà finalizzare i piani di intervento nazionali per tagliare le emissioni allineandole agli Accordi di Parigi stipulati durante il Cop21. Qui erano stati stabiliti traguardi per limitare il riscaldamento globale a 1,5° rispetto alla media dell’era preindustriale, obiettivo che il rapporto definisce senza mezzi termini non raggiungibile e in ogni caso non sufficiente a interrompere le tendenze in atto. Nonostante gli sforzi, pur notevoli, per ridurre le emissioni, queste a livello globale continuano a crescere in modo allarmante: in Cina, India e numerosi altri Paesi, la crescita economica è ancora sostenuta dal carbone e ogni anno decine di milioni di persone accedono a un tenore di vita più dispendioso e consumista; altri Paesi (con in testa Stati Uniti, Australia e Paesi del Golfo) hanno popolazioni assuefatte a consumi smodati (molto superiori alla media europea) e non paiono intenzionati a rinunciarvi. L’unica soluzione efficace sarebbe una completa, e rapida, rivoluzione delle pratiche produttive e dello stile di vita della parte “ricca” dell’umanità, cosa che attualmente rientra nel campo dell’utopia: ormai è chiaro che il cambiamento climatico non riguarda soltanto le generazioni più giovani e future ma è già qui, lo stiamo già vivendo e la vera sfida sarà trovare i modi più adeguati per conviverci. Ÿ