EDITORIA
La tradizione continua Come ogni anno si rinnova l’appuntamento con l’A nnuario del Club alpino accademico italiano. È appena uscita l’edizione 2020/2021, che offre il pretesto per ripercorrere la storia (guardando al futuro) di Mauro Penasa*
I
l mio incontro con l’alpinismo tecnico data il 1979: allora, per chi abitava vicino alle montagne e ne subisse in qualche modo il fascino era normale scarpinare verso i rifugi alpini, a socializzare fino a tarda ora tra canti e bevute, o addirittura fare una puntata a qualche sperduto bivacco. Tutto questo aveva un vago sapore di alpinismo, di cui si sentiva il richiamo nella fresca brezza delle serate sui monti. Ma il passo verso la scalata tecnica su roccia richiedeva nozioni difficili da racimolare al di fuori della cerchia di esperti che appartenevano di solito alle Sezioni del Cai. Un buon corso di roccia, di quelli che ti prendono a sonori ceffoni, mi avrebbe socchiuso la porta di quel mondo epico, e indicato la via per coltivare una grande passione. UN TESTO “SACRO” Non doveva passare molto tempo che mi ritrovai in mano la copia dell’annuario Caai 1981, il primo di una lunga serie che fino al 2000 sarebbe stata prodotta da un selezionato comitato di redazione, presieduto da Giovanni Rossi e coadiuvato da Carlo Ramella per gli aspetti di carattere tipografico. Si trattava di una pubblicazione severa, che incuteva un indiscutibile senso di rispetto, per la montagna e per gli alpinisti che su questa avevano compiuto e ancora compivano gesta che indicavano una via ardua e rischiosa, ma anche piena di ricompense. Chiunque provenisse da un’attività sportiva, basata su allenamenti e sacrifici, non si spaventava della fatica e dell’impegno richiesto dalla scalata di difficili pareti, ma, nel confronto con uno sport agonistico, era evidente fin da subito il respiro infinitamente ampio che l’alpinismo aveva, e il profondo viaggio interiore che poteva consentire. L’annuario Caai ne era una testimonianza tangibile. Erano tempi molto diversi da oggi: non c’era internet e neppure il cellulare, il flusso di informazioni passava attraverso le guide alpinistiche, e i nostri sogni si alimentavano con i pochi libri che venivano pubblicati ogni anno, e con le poche riviste di settore, da sempre la Rivista Mensile, seguita poi 62 / Montagne360 / ottobre 2021
dalla Rivista della Montagna e successivamente da Alp. L’annuario era una grande occasione di entrare in contatto con chi conosceva la storia e i suoi personaggi, e aveva ben presenti le problematiche dell’alpinismo di alto livello. Molti di quelli che vi scrivevano o si occupavano della sua redazione erano delle vere enciclopedie viventi, in particolare Giovanni Rossi. In un mondo in cui lo scritto cartaceo era ancora la base nel tramandare conoscenza e tradizione, l’annuario ha rappresentato l’alpinismo colto fatto di documentazione (ricordo le biblioteche di Giovanni e di Carlo, nelle quali era stipato un numero infinito di volumi, che probabilmente avevano letto dal primo all’ultimo, e che soprattutto ricordavano con buon dettaglio). E poi, trattandosi dell’annuario di una Sezione fatta di alpinisti di punta, c’erano i contributi di tanti che relazionavano viaggi e salite. Nella mia maturazione alpinistica questo aspetto mi coinvolse in modo particolare, e diventò un’occasione per raccontare le mie avventure in terre lontane. IL CAMBIAMENTO Tra il 1981 e il 2000 Giovanni ha curato la pubblicazione di diciannove numeri di alto valore culturale, per un totale di oltre duemila pagine. Il formato grande non agevolava l’impaginazione, ma rafforzava l’impressione di importanza nello sfogliare il volume. Continua era la ricerca della rivisitazione storica, a rinvigorire le radici della nostra passione, e quella della trattazione etica, a prendere le distanze da derive per le quali la montagna non era il fulcro attorno a cui ruotare un mondo, bensì un semplice terreno su cui era possibile praticare discipline sempre più contaminate da interessi economici. Dopo vent’anni di lavoro Giovanni Rossi decise infine di passare la mano. Il successivo comitato di redazione ebbe chiara da subito la necessità di una strutturazione più definita, con sezioni separate dedicate alla cronaca, alla storia dell’alpinismo, al pensiero e alla riflessione, all’esame di aspetti puramente tecnici, con l’interesse a incrementare il