Montagne360 | Ottobre 2021

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NOMI COMUNI DI MONTAGNA a cura di Bruno Tecci e Franco Tosolini - Illustrazioni di Luca Pettarelli

14 – Parete Normali parole che tra le vette assumono significati speciali. Come sella, terrazzo, camino – e molte altre – che nella prima definizione d’un dizionario hanno un certo senso, mentre in una relazione, guida o mappa di montagna ne acquistano un altro. Molto più pieno per chi le vette le ama e le frequenta. Tutto da scoprire per chi si sta avvicinando a esse. Questo processo, quando ci si trova lì nelle Terre alte, è per tutti istantaneo: da semplici vocaboli su carta i termini mutano in sensazioni ed esperienze vive. E a quel punto le altre comuni accezioni svaniscono.

Bruno Tecci, narratore per passione, comunicatore di mestiere. Istruttore sezionale del Cai di Corsico (MI). Autore di Patagonio e la Compagnia dei Randagi del Sud (Rrose Sélavy) e di Montagne da favola (Einaudi Ragazzi). Franco Tosolini, ricercatore e divulgatore storico. Istruttore regionale di alpinismo del Cai della Lombardia. È autore e coautore di saggi e libri tra cui La strategia del gatto (Eclettica). Luca Pettarelli, illustratore e allenatore di karate. Con le sue pitture a olio ha collaborato al volume Montagna (Rizzoli). Nel 2016 è stato selezionato alla Bologna Children’s Book Fair.

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Associare i termini montagna e parete è così facile e frequente che, spesso, sono usati impropriamente come sinonimi. La parete, secondo il vocabolario, è un elemento verticale di un edificio con la prevalente funzione di separare i diversi ambienti sia tra di loro sia con l’esterno. In alpinismo, invece, la parete è il fianco di roccia o di ghiaccio, molto ripido, di una montagna. Per molto ripido intendiamo che per salirci si deve, necessariamente, arrampicare. Se bastasse camminare, infatti, saremmo su un versante, un declivio, una rampa, non certo su una parete. Affinché una parete sia associata a una determinata montagna, inoltre, è (quasi) sempre necessario che al suo termine si giunga nei pressi della cima. La parete Nord del Gran Paradiso, per esempio – un meraviglioso scivolo di quattrocento metri di ghiaccio – conduce vicino alla sua vetta. La parete Nord-Ovest della Civetta, denominata anche “parete delle pareti”, è un’impressionante e paurosa bastionata rocciosa, dove è stata scritta la storia dell’alpinismo, che termina proprio in cima al Monte Civetta. Messo in questo modo il gioco sembra facile e logico. Invece ci sono delle curiose eccezioni. Si pensi, ad esempio, al Monte Bianco. Non esiste la parete (Nord, Sud, Est) del Monte Bianco. La salita in vetta al re delle Alpi, infatti, non avviene per pareti ma per versanti (il versante italiano, quello francese, quello della Brenva, e così via). È vero che all’interno del gruppo vi sono moltissime strutture minori che racchiudono infinite pareti, sia di roccia sia di ghiaccio, di rara bellezza, ma nessuna è “la parete” del Bianco. Il Monte Rosa, invece, a differenza di suo fratello maggiore, una parete ce l’ha: la famosa Est del Rosa. Quella incredibile e superba muraglia di ghiaccio e roccia che per duemilacinquecento metri cade a picco sul paese di Macugnaga. La parete Est del Monte Rosa è la più alta d’Europa, però la cosa che colpisce, in questo caso, è che c’è la parete, ma non la mon-

tagna. Come noto, infatti, la cima del Monte Rosa non esiste. Si tratta di un massiccio composto da diverse decine di vette, molte delle quali superiori ai quattromila metri, ma nessuna denominata Monte Rosa. La parte Est del Rosa, anch’essa testimone di grandi imprese (e tragedie) alpinistiche, conduce sulla Punta Dufour, la sommità più alta del gruppo. La catena alpina è ricca di monti privi di pareti e di altri che, invece, ne hanno più d’una. Pensiamo al Cervino, che ne ha addirittura quattro; alla regina Marmolada, che contrappone la sua parete Sud di roccia dolomitica al ghiacciaio adagiato a settentrione; al Cristallo che ne è privo, e così via. L’elenco continuatelo voi. Nel 1966, in seno a una mostra fotografica a Monaco di Baviera, venne stabilito che la montagna più bella del mondo fosse l’Alpamayo. Una vetta di quasi seimila metri nella Cordigliera Bianca del Perù. Ora, tralasciando il fatto che per ogni alpinista la montagna più bella è quella che si ha nel cuore, occorre quantomeno rilevare che gli ideatori di quel concorso di bellezza avessero confuso (oramai lo abbiamo capito) i sostantivi montagna e parete. Se guardiamo l’Alpamayo da qualsiasi versante, escluso quello sudoccidentale, vedremo un intricato ammasso di roccia e ghiaccio, canali e seracchi che costituiscono un’anonima montagna che di bello ha veramente poco. Se invece ci affacciamo alla sua parete Sud-Ovest allora ci troveremo al cospetto di “un’architettura glaciale fatta di archi rampanti da cattedrale gotica, formata da un regolare alternarsi di costole e canali che ne fanno una sorta di gigantesco merletto”. Le parole che descrivono questa parete di encomiabile e disarmante bellezza sono tratte dal libro su Casimiro Ferrari scritto da Alberto Benini. Il lecchese Casimiro Ferrari, l’ultimo re della Patagonia, el jefe, tanto burbero e collerico quanto coraggioso e impavido, sarà l’uomo che traccerà la prima via di salita, conosciuta come canaleta Ferrari, sulla parte Sud-Ovest dell’Alpamayo. La parete più bella del mondo. Ÿ ft


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