Notiziario 1/2021

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CAI LECCO 1874n ° 1 / 2 0 2 1

EDITORIALE

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IN QUESTO NUMERO

IL VALORE DELLA LIBERTÁ

Il ruolo del CAI davanti alle nuove priorità del dopo pandemia di Alberto Pirovano, presidente CAI Lecco

SENTIERI E PAROLE

SUL SENTIERO DEL VIANDANTE

Dopo dieci anni l’idea è diventata finalmente realtà di Sergio Poli

ANDARE IN RIFUGIO

Regole e comportamenti alla luce del nuovo regolamento nazionale di Alberto Pirovano

TANTI CUORI E UNA CAPANNA

Sfogliando l’album visitatori della “Stoppani” nei primi anni dalla fondazione di Adriana Baruffini

AVVENTURA LOW COST AL MONTE BUCKLAND

Quattro amici e una cima mai scalata di Rinalma e Cesare Giudici

L’ANNO DELLA VALANGA

Nel gennaio del 1986 la slavina che distrusse il rifugio Tedeschi al Pialeral di Angelo Faccinetto

COME I POPOLI DEL DESERTO

Consigli di alimentazione per chi fa trekking col grande caldo di Donatella Polvara

LO STAMBECCO BIANCO

Una storia di apertura, di accoglienza, di convivenza di Mario Bramanti

PERSONAGGI

IL GRANDE VOLONTARIO

La figura di Giuseppe Spreafico, tecnico, educatore, operaio al servizio della montagna di Annibale Rota

RICORDANDO “PEPETTO”

Un maestro, un compagno di tante gite, sopratutto un amico di Mario Bonacina

QUEL GIORNO ALL’ARSENALE

Tra montagne e mare un ricordo di Ugo Merlini, presidente nazionale degli alpini di Marco Milani

ALPINISMO e ARRAMPICATA

IL REGALO DI BERNA

La nuova via al Pilastro Ghiglione, Grandes Jorasses di Matteo Della Bordella

SCIALPINISMO

NOME DEL PORCO CANE

e cronache dall’Al(di)qua

IN PANDEMIA

Emiliano Alquà

considerazioni di Stefania “Steppo” Valsecchi sulla stagione in zona rossa di Adriana Baruffini

Notiziario quadrimestrale della sezione di Lecco “Riccardo Cassin”del Club Alpino Italiano N° 1/2021

Redazione: Adriana Baruffini, Alberto Benini, Angelo Faccinetto

Direttore responsabile: Angelo Faccinetto Impaginazione e Grafica: BitVark - Pavia

Tipografia: A.G.Bellavite Missaglia - Lecco

Testata di proprietà del Club Alpino Italiano sezione di Lecco “Riccardo Cassin” Sede: via Papa Giovanni XXIII, 11 23900 Lecco Tel: 0341363588 Fax: 0341284717 www.cai.lecco.it sezione@cai.lecco.it

Autorizzazione Tribunale di Lecco N. 5/78 del 20/06/1978

Spedizione in A.P. -45%- Art. 2 Comma 20/b legge 662/96

Tiratura 2200 copie Chiuso in redazione 25/05/2021

DI AMBROGINA FARINA

una segretaria

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DIGITALE

Sorgenti

CAI LECCO

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Monti Sorgenti

e

Sara Sottocornola

COVID

Stampato secondo la filosofia GreenPrinting® volta alla salvaguardia dell’ambiente attraverso l’uso di materiali (lastre, carta, inchiostri e imballi) a basso impatto ambientale, oltre all’utilizzo di energia rinnovabile e automezzi a metano.

Stampato secondo la filosofia GreenPrinting® volta alla salvaguardia dell’ambiente attraverso l’uso di materiali (lastre, carta, inchiostri e imballi) a basso impatto ambientale, oltre all’utilizzo di energia rinnovabile e automezzi a metano.

ZeroEmissionProduct® A.G. Bellavite ha azzerato totalmente le emissioni di Gas a effetto Serra prodotte direttamente o indirettamente per la realizzazione di questo prodotto.

In copertina: Con le ciaspole verso il monte Olano in Val Gerola. Foto di Mauro Lanfranchi. ZeroEmissionProduct® A.G. Bellavite ha azzerato totalmente le emissioni di Gas a effetto Serra prodotte direttamente o indirettamente per la realizzazione di questo prodotto.
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Ritratto di
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appassionata Gli amici e le amiche del GEO
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2021, un’edizione speciale di
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Off di Domenico Sacchi 77 RECENSIONI 79 VITA DI SEZIONE 47 17 62 IL GRANDE VOLONTARIO ANDARE IN RIFUGIO IL NOME DEL PORCO CANE 55 IL REGALO DI BERNA 7 SUL SENTIERO DEL VIANDANTE

li cinema, teatri, musei etc. Insomma, senza voler fare analisi sociologiche, di cui capisco poco, mi pare di capire che tutti quanti auspichiamo non solo un ritorno alla “normalità”, ma vorrem mo anche approfittare del prossimo, auspicabile, “rinascimento” per con centrarci su attività veramente capaci di farci vivere più serenamente.

Questa voglia di outdoor e la ne cessità di rimanere ancora nei pressi delle proprie città ha spinto, e sta spin gendo, molte persone ad avvicinarsi al

nostro mondo. A volte con le dovute cautele, a volte in modo un po’ im provvisato e purtroppo pericoloso. A noi appassionati più esperti, come già ho avuto modo di scrivere nei pre cedenti editoriali, è richiesta pazienza, capacità di comprensione e voglia di trasferire conoscenza a chi si avvicina per la prima volta.

Intanto speriamo che anche le no stre istituzioni, chiamate a spendere nei prossimi anni una mole di dena ro mai vista, sappiano leggere il fu

turo con la lungimiranza richiesta a una classe dirigente degna del pro prio appellativo. Non sarà facile, per ché saranno molte le spinte – e già in Lombardia ne stiamo vedendo qual che segnale - per far sopravvivere modelli di pseudo-sviluppo turistico anacronistici e abbandonati dai paesi più pragmatici.

Starà anche a noi vigilare e far sentire la nostra voce nei modi pre visti dalle regole di convivenza civile.

Sono

le 7.30 di un giorno qual siasi di qualche anno fa. Mio figlio, di allora tre anni, sta seduto sulla tazza del gabinetto con i piedi ciondolanti. I gomiti sono ap poggiati sulle cosce e le mani sorreg gono il viso ancora appesantito dal sonno; pare in attesa di una… ispira zione. Inaspettatamente arriva una di quelle domande a tradimento che pa iono preparate per mettere in difficoltà gli adulti, o forse modellate da Morfeo nella notte appena trascorsa. “Papà, ma che cosa è la libertà?” grida dal cesso sul quale l’ispirazione fisiologica pare sostituita da una questione filosofica.

Paola ride e sussurra “Adesso voglio vedere come te la cavi!”. La risposta

mi arriva spontanea dopo il “ma cosa ti viene in mente?” di rito.

“Vedi Gabriele, la libertà è una cosa molto preziosa - forse la più preziosa -, ma è anche magica. La si ricono sce solo quando non la si ha, o meglio quando la si perde”.

“Allora io ne devo avere tanta,risponde - perché non mi sono mai accorto di non averla” e via con il ru more dello sciacquone a interrompere la nostra disquisizione mattutina.

Ecco penso che negli ultimi mesi molti di noi abbiano compreso cosa fosse la libertà. Una certa compressio ne – senz’altro motivata dalle neces sità superiori di dover limitare i danni della pandemia e di proteggere i più deboli – ci ha reso consci di quanto valore possa avere una serata al risto rante con gli amici, una giornata sugli sci e in generale la straordinarietà di

tutte quelle cose, anche quotidiane, considerate normali in tempi ordinari.

Alla prima reazione di disorienta mento, a volte anche di rabbia, verso limitazioni apparentemente contrad dittorie o quanto meno poco coor dinate, è seguita, per molti, una fase di riflessione naturale. Un periodo in cui ognuno di noi ha cominciato a stila re una sorta di lista delle priorità - o forse delle libertà irrinunciabili - e gli indicatori statistici mettono ai primi posti i viaggi e la volontà di poter ri tornare, ma per molti di scoprire per la prima volta, alla vita all’aria aperta ed in generale a quelle attività che nel mar keting rientrano nel generico outdoor.

Voglia di outdoor

Il desiderio di tornare a frequenta re centri commerciali sta in fondo, preceduto dalle attività culturali, qua

di Alberto Pirovano*
Il valore della libertà
Il ruolo del CAI davanti alle nuove priorità del dopo pandemia
Editoriale4
*Presidente CAI Lecco Gita al Magnodeno degli accompagnatori di AG; un primo cauto recupero della libertà di muoversi nella natura. Foto di Marco Giudici Visita guidata alla mostra “Rispetta la natura. L’arte e il bosco in dialogo”. Foto di Marta Marioni

SUL SENTIERO DEL VIANDANTE

Dopo dieci anni l’idea è diventata finalmente realtà di Sergio Poli* [Pubblicità Bellavite]

In apertura nella doppia immagine: Via dell’Abbadia prima e dopo la sistemazione della scala. Foto di Sergio Poli

In questa pagina dall’alto: L’arrivo a Pradello prima e dopo la costruzione della scala Pagina a fronte: Torrione di Realba. Foto di Sergio Poli

Sulnostro notiziario seziona le n.3-2010, uscito nei primi mesi del 2011, fu pubblicato un articolo intitolato “Mission Impossible: a piedi da Lecco ad Abbadia”, nel quale si proponeva la realizzazione della pri ma tappa del Sentiero del Viandante,

Sentieri e Parole

conosciutissimo cammino che per corre la riva orientale del Lario.

Fino ad allora, anzi fino a ieri, questo lungo itinerario non partiva da Lec co, come sarebbe stato naturale, ma da Abbadia, trascurando completa mente il primo tratto del nostro lago, percorribile solo dalle auto lungo la trafficatissima Statale 36 – in realtà anche dalle biciclette, a rischio però della propria vita.

Aprire un nuovo sentiero è un’im presa piuttosto impegnativa da molti punti di vista – tecnico, economico, amministrativo - anche se potrebbe sembrare semplice; come nelle rela zioni che descrivono l’apertura di una nuova via di roccia, anche qui si vuol dare conto di come sono stati supe rati i diversi passaggi.

Nella stesura di un articolo non bi sognerebbe abusare della pazienza del lettore, ma l’interesse, a volte fin troppo pressante, dimostrato dai me dia e dall’opinione pubblica per questo sentiero ci ha spinto ad entrare nel dettaglio, per cui la relazione è venu ta piuttosto lunga – ce ne scusiamo fin d’ora; ci auguriamo però di dare un’informazione completa ed esau riente, che possa ricostruire corretta mente il lungo processo che ha porta to alla realizzazione del sentiero.

Ci sono voluti infatti dieci anni tondi per realizzare quell’idea, appa rentemente semplice e logica, molta caparbietà e pazienza per cogliere le opportunità che prima o poi arrivano. E anche un po’ di fortuna: mai avrei immaginato di poter tradurre in realtà in prima persona, come direttore dei lavori per conto di Ersaf (l’ente regio nale per servizi all’agricoltura e alle foreste, ndr), quell’antica intuizione. Oggi finalmente quell’idea è diventata realtà.

dal fatidico 2010, anno in cui abbiamo cominciato a studiare il possibile per corso.

Il primo tratto della tappa, dal cen tro di Lecco alla località Pradello non sembrava presentare particolari dif ficoltà; in effetti, è bastato seguire il tracciato, già esistente, lungo il “vallo paramassi” per risolvere quasi metà del percorso. Ma il vero problema si presentava oltre Pradello: dove passa re? Si era partiti con l’idea di seguire il sentiero di servizio della linea elettrica, che corre poco a monte della ferro via; con il susseguirsi dei sopralluo ghi e dei tentativi ci siamo resi conto però che quella soluzione presentava troppe difficoltà: continui e consistenti saliscendi per superare i valloni; ec cessiva vicinanza alla superstrada, con il conseguente rumore del traffico che in certi momenti è davvero insoppor tabile; e infine il periodico taglio del la vegetazione arborea da parte delle ditte addette alla manutenzione della linea, che rendeva impossibile il pas saggio in certe stagioni per il riscop pio di rovi e spine, inestricabili.

Dieci anni di tentativi Com’è giusto che sia per un trac ciato di montagna, ancorché “oriz zontale”, la prima tappa del sentiero si è rivelata irta di ostacoli, sia naturali che – diciamo – umani, il cui supera mento non è stato semplice, a partire

La soluzione è stata semplice e al tempo stesso complessa: bastava in fatti passare da un’altra parte, stando più alti sul versante, evitando o al meno riducendo così i saliscendi (si sale e si scende solo due volte), il ru more – ancora presente ma almeno attenuato – e stando anche un po’ all’ombra della boscaglia, cosa che non guasta su quei pendii assolati. É stato però necessario trovare una traccia esistente – una delle molte – presenti sul versante, sceglierla e seguirla, mi gliorandola e consolidandola fino ad arrivare quasi ad Abbadia, dove co munque c’era l’ultimo insormontabile ostacolo: il temibile salto della galleria.

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Il merito di aver trovato “la traccia buona” va riconosciuto interamen te a Giuliano Maresi, Ragno di lungo corso e tenace apritore di sentieri (i Tecètt, il Rotary…), che con ostinazione e perseveranza ha individuato, e poi riaperto, una traccia che supera prati camente l’intero tratto Pradello - Ab badia. Non si contano le ore di lavoro con pala e piccone, quasi sempre da solo, con le quali Giuliano nel 201617 ha lavorato sul sentiero. Per chi poi (nel 2020…) è intervenuto a sistema re il percorso definitivo, quella traccia (la ruta Maresi per gli addetti ai lavori, date le frequentazioni patagoniche del suddetto) è stata veramente fonda mentale.

Anche la natura ha però oppo sto una certa resistenza: ricordiamo

Sentieri e Parole

la frana “del Costone”, con un fronte di un centinaio di metri – non certo insignificante quindi - avvenuta nel 2017 a metà del percorso, che ha co stretto l’Anas a collocare ulteriori reti paramassi a protezione della strada sottostante, e Giuliano ad abbassare la traccia per stare al riparo delle reti; altri crolli di roccia avvenuti ad Abba dia sempre in quel periodo, che hanno indotto il sindaco a vietare l’accesso alla spiaggia, che è anche l’approdo fi nale del sentiero, e reso necessari il disgaggio della parete soprastante e la collocazione di reti paramassi, con ulteriori costi (e rallentamenti del pro getto) inizialmente non previsti. Per non parlare del Covid, che nella prima vera 2020 con il lock-down totale ha fermato il cantiere per un paio di mesi. Non sono mancate anche le diffi coltà economiche: il budget del Pro getto Interreg, ancorché piuttosto ric co, non era sufficiente a sostenere i maggiori costi venutisi a creare per la collocazione delle reti e la messa in

sicurezza delle pareti. Restava esclu sa proprio l’apertura del tracciato, che inizialmente rappresentava il cuore del progetto. Per fortuna – è il caso di dirlo - Regione Lombardia ha ricono sciuto l’utilità pubblica dell’opera, e ne ha consentito il finanziamento (70mila euro) da parte di Ersaf, che ha poi re alizzato direttamente questo lotto di lavori. Procedura inusuale ma quanto mai opportuna.

Anche la collocazione della “segna letica Cai” in ambito cittadino non è stata del tutto indolore: si trattava di contemperare le esigenze dell’escur sionista con quelle del codice della strada, cosa non sempre possibile per questioni di visibilità e di uso dei pali. Nel caso del Viandante è stato trovato un onorevole compromesso, ma per la realizzazione della rete escursionistica cittadina, in cui il Cai Lecco è impe gnato da anni, occorrerà valutare caso per caso i singoli nodi, e il lavoro è ancora tutto da affrontare.

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Qui sopra: Discesa finale in costruzione. Pagina a fronte: La discesa su Abbadia a lavori finiti. Foto di Sergio Poli

Ultima difficoltà, infine, è stata la collocazione della celebre scala sul tetto della galleria della SS36, cioè direttamente sopra un manufatto non certo progettato per tale uso; la cosa ha comportato lunghi e comples si passaggi autorizzativi, che solo nel marzo 2021, cioè a lavori quasi ulti mati, con ormai tutto il sentiero aperto tranne quel passaggio-chiave, è stato possibile risolvere.

Ma tutto è bene quel che finisce bene: le difficoltà sono alle spalle e a opera finita non ce le si ricorda più.

Descrizione del percorso

Dalla stazione di Lecco ad Abba dia ci sono poco più di sei chilometri, percorribili in circa due ore e mezza, con un dislivello di un centinaio di metri. Il sentiero è classificabile come “E” (Escursionistico), ma la natura ac cidentata del fondo, spesso instabile e ciottoloso, le condizioni climatiche quasi sempre calde, e l’assoluta man canza d’acqua lungo l’intero tratto

sconsigliano di prenderlo alla leggera, soprattutto con bambini.

Come detto, il Sentiero del Viandan te è solo un tratto del lungo itinerario Milano - passo del San Bernardino; per questo si è optato per seguire intera mente il lungolago di Lecco, anche se tale percorso è leggermente più lungo rispetto al viale Turati, sia perché ob biettivamente molto bello, sia perché lo si è collegato, all’altezza del Palazzo delle Paure - Museo della montagna, proprio al “Sentiero di Leonardo” che parte da Milano, segue il Canale della Martesana e risale l’Adda lungo l’alzaia fino a Lecco, creando così un itinera rio di respiro davvero internazionale. E’stata segnalata anche una “bretella” che permette di raggiungere il lungo lago dalla stazione di Lecco, per chi intende partire direttamente dalla no stra città.

Dal termine del lungolago, invece di proseguire lungo la pista ciclabile ver

so Pradello si attraversa la SP72 (sul le strisce!) e si arriva alle Caviate, da dove si risale la storica via dell’Abbadia - nome suggestivo - che sovrappassa la ferrovia su un ponte e arriva al tor nante dal quale si guadagna, con un tratto di scala, il vallo paramassi. Lo si segue stando al riparo delle reti – at tenzione alla testa! - fino al suo termi ne, scendendo a Pradello con un’altra artistica scalinata, invece di salire ver so le numerose falesie di arrampicata, indicate con frecce in legno. Da qui in cinque minuti su asfalto si raggiunge il ristorante “I Bodega” (antica locan da Giazzìma) e si risale il primo tratto del Sentiero dei Tecètt che si abban dona dopo pochi minuti per prendere a sinistra la nuova traccia segnalata dalle frecce del sentiero. L’ambiente è mediterraneo: boscaglia di orniello e carpino nero, arbusti con suggestive fioriture di pero corvino in primavera, e rosso foliage di sommacco in au tunno, ghiaioni e pareti calcaree sopra la testa. Gli sporadici pini piantati ne

gli scorsi decenni, purtroppo, ospitano consistenti colonie di processionaria: occorre evitare di passare a fine in verno, soprattutto nelle giornate ven tose, per chi ha problemi di asma. Non è raro poi incontrare camosci, cervi e caprioli, evidentemente non disturbati dal rumore del traffico.

Il lungo saliscendi porta dapprima alla recente frana del Costone (biso gna perdere quota per passare al ri paro delle reti), poi al canale di Realba con la caratteristica tubazione che porta acqua alla centrale elettrica sul lago, per approdare infine sul tetto della galleria stradale. Qui il tracciato è obbligato: si segue il corridoio re cintato fino alla scala in ferro, la si di scende proseguendo sul tetto dell’altra galleria per approdare con una sug gestiva discesa sulla spiaggia di Ab badia Lariana. Un ultimo breve tratto di sentiero consente di scavalcare la pericolosa SP72 evitandone l’attraver samento, e di raggiungere finalmente l’antica chiesa di san Martino di Borbi no, termine della tappa. Da qui, volen

do, in pochi minuti si può arrivare alla stazione ferroviaria di Abbadia e far ritorno a Lecco, oppure… proseguire con la seconda tappa.

Un consiglio: evitare di percorrere il sentiero nelle calde giornate esti ve. Se proprio si vuole, meglio partire al mattino presto, protetti dalle pareti che mantengono l’ombra fino a metà mattina. Assolutamente sconsigliabile affrontare il sentiero al pomeriggio, quando non c’è scampo dal sole.

Considerazioni tecnico-mediatiche Chi ha esperienza nella realizza zione di itinerari e sentieri sa che tali opere rappresentano un settore un po’ di nicchia nel panorama mediatico, nel senso che solitamente interessano una parte limitata dell’opinione pub blica; nel caso del Sentiero del Vian dante, invece, c’è stata una notevole attenzione da parte dei media, cosa lusinghiera senz’altro, ma anche forie ra di qualche problema per gli addetti ai lavori.

gione contingente, legata al periodo particolare che stiamo vivendo: la “zona rossa” ci ha tenuti tutti confinati all’interno dei limiti comunali, costrin gendoci a ripercorrere compulsiva mente, come criceti nella ruota, i sen tieri attorno a casa. Sarà per questo motivo che attorno alla realizzazione del Viandante si è concentrato un in teresse così assiduo da parte dell’opi nione pubblica, soprattutto nell’ultimo periodo: le persone attendevano con ansia crescente la fine dei lavori sul sentiero per poterci finalmente andare. La posa della scala con tanto di elicot tero è diventata addirittura un even to mediatico, rilanciato con video dai canali social e dalla stampa locale.

I media, captando l’attesa – e for se anche per dimenticare per un momento la pandemia - non sem pre hanno dato informazioni puntuali, pubblicando notizie di “sentiero aper

Tanta attenzione ha forse una ra

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Sentieri e Parole Sotto: La famosa scala di Abbadia. Pagina a fronte: Il vallo paramassi molto frequentato. Foto di Sergio Poli

to” quando invece lavori erano anco ra in pieno svolgimento. Ne sono te stimonianza le decine di persone che percorrevano quotidianamente il sen tiero ancora in costruzione, ignorando tranquillamente i cartelli di divieto e le recinzioni di cantiere, e intralciando il lavoro degli operai impegnati a fissa re parapetti o a realizzare gradini. Una cosa spiacevole.

Ha suscitato una certa eco me diatica anche quanto pubblicato dal viaggiatore-scrittore Enrico Brizzi, che fidandosi di ciò che aveva letto in internet (sul sito ufficiale del sen tiero!) è giunto ad Abbadia pronto ad affrontare l’ultima tappa del Viandante, data come percorribile; trovando in vece ancora mancante la scala, ha do vuto rinunciare al suo progetto, mani festando però giustamente sui social il

suo disappunto.

Infine, sono state rese pubbliche al cune critiche sulla “difficoltà” del per corso da parte di persone mal consi gliate dai media, e che evidentemente non avevano adeguata preparazione per affrontare un sentiero come que sto. Questa tappa del Viandante è a tutti gli effetti un itinerario escursio nistico, e nemmeno dei più semplici, non certo turistico: chi si immagina di poterlo percorrere senza l’adeguata preparazione ed attrezzatura (scar poni, bastoncini, borraccia nello zaino), come passeggiando sulla pista ciclabi le, è opportuno che rinunci. Il terreno, lo ripetiamo, è piuttosto “ostile”: del resto, se per cinquant’anni nessuno era riuscito a superare questi pochi chilometri, un motivo ci sarà stato…

sentiero del Viandante oltre Colico, fino a Morbegno, testimonia la validità di quell’idea e la voglia di “cammini” ormai dilagante anche dalle nostre parti. Per questo è doveroso ricordare qui tutti coloro che hanno collaborato durante la lunga gestazione del lavo ro, quando “la prima tappa” era ancora solo un’intuizione vaga e indefinita.

tive abbiamo anche avuto l’onore di accompagnare il noto viaggiatore e scrittore Albano Marcarini, che già nel 2007 aveva dato alle stampe con Lyasis una piccola guida del Sentie ro del Viandante storico da Abbadia a Colico, corredata dai suoi deliziosi paesaggi ad acquerello; l’autore si è impegnato a completare quella gui da aggiungendo la descrizione della “nuova” prima tappa.

Un lavoro di squadra

Come più sopra ricordato, in molti hanno creduto nell’idea, che eviden temente era valida se in tanti ci hanno speso tempo, fatica e… paia di pan taloni. Il recente prolungamento del

Anzitutto Alberto Benini, compagno di mille avventure, che ha condiviso le prime uscite alla ricerca del passaggio migliore, arrivando almeno a circo scrivere il problema Poi Paolo Ferrara, capofila dell’ “accordo di programma” fra i comuni rivieraschi - lui di Va renna, che ha cercato e trovato finan ziamenti per valorizzare, segnalare e manutenere le tappe già esistenti del sentiero, oltre a sposare subito con entusiasmo la ricerca e l’apertura del la prima tappa. Del contributo fonda mentale di Giuliano Maresi abbiamo già detto: di questa squadra lui può essere considerato il centravanti.

Nelle prime fasi ancora esplora

Citiamo anche i funzionari del la Provincia di Lecco, della Comunità Montana Lario Orientale-Valle San Martino e del Consorzio Foresta le Lecchese, che in vari tempi e per quanto in loro potere hanno cercato di trovare i finanziamenti per effet tuare i lavori di recupero.

Arriviamo alle persone che hanno dato l’affondo finale, che ha permesso di portare a casa il risultato: Il grup po di lavoro del progetto Interreg “Le Vie del Viandante 2.0”. Prima fra tutti Katiuscia Vassena del Comune di Lec co, che ha seguito “dietro le quinte” tutte le fasi di realizzazione dei la

vori, di affidamento degli appalti e di autorizzazione da parte dei vari enti (Anas, Ferrovie, Demanio lacuale) e dei privati; la già vice sindaca di Lecco Francesca Bonacina, che ha creduto nel progetto anche oltre i suoi compiti istituzionali; Christian Adamoli, che ha redatto la perizia geologica indispen sabile per poter svolgere i lavori, con sapevole che qualche sasso può sem pre cadere, ma che mettendo le reti al posto giusto si può ragionevolmente passare; la progettista e direttrice dei lavori ing. Claudia Anselmini, che ha steso il progetto generale e coordi nato gli interventi; la bergamasca Im presa Bettineschi, che ha fatto posa re dai grandi Tore e Mario Panzeri le reti protettive (fondamentali!), messo in sicurezza il tracciato nei punti più pericolosi e realizzato la famosa scala sulla galleria della SS36.

Fondamentale anche il contributo “tecnico” del CAI di Lecco, soprattut to nella persona di Alessandro Perego (del CAI Merate…), che ha rilevato con gps il tracciato, permettendone l’in serimento nella Rete escursionistica

lombarda (Rel), e contribuito a progettare la segnaletica.

Grande merito va a Regione Lombardia e ad Ersaf, che hanno trovato nel proprio bilancio fondi necessari per i lavori; a Carlo Bodega per l’ospitalità ed il suppor to logistico nella fase di cantiere; infine, diamo il giusto riconoscimento ai lavora tori Ersaf, che quest’opera hanno realiz zato sfidando il Covid, la fatica e il caldo, mettendoci davvero del proprio per creare qualcosa di bello che durasse nel tempo.

Parafrasando Papa Francesco, “Nessuno può farcela da solo”; come si può vedere dall’elenco qui sopra, la “squadra” infatti è stata davvero numerosa.

Tutti bravi. Adesso però bisogna pensare alle manutenzioni.

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Sentieri e Parole
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Sentieri e Parole *Tecnico forestale ERSAF Qui sopra: Men at work. Pagina a fronte: La segnaletica del Viandante. In chiusura a tutta pagina: Una roccia erosa dall’acqua lungo il Sentiero del Viandante. Foto di Sergio Poli

ANDARE IN RIFUGIO

Comeabbiamo più volte detto anche quest’estate ci aspet tiamo un aumento della fre quentazione dei nostri rifugi, non tutti però sanno cosa sia un rifugio alpino, ancor meno sono quelli capaci di di stinguere una struttura del Club Alpi no Italiano da altre analoghe strutture. Con questo articolo vorremmo dare una sorta di vademecum per vecchi e nuovi frequentatori.

Dopo esattamente trent’anni è an dato in pensione il vecchio regola mento rifugi sostituito da un nuovo documento più snello ed in linea con le esigenze attuali. Ricordando che il regolamento rifugi, tecnicamente “Re golamento strutture ricettive del Club Alpino Italiano”, si applica alle sole strutture di proprietà delle sezioni del CAI, l’occasione è quindi buona per ripassare e aggiornare i corretti com portamenti da tenere in rifugio.

Il regolamento è diviso in cinque titoli, ma quelli di interesse per noi frequentatori sono i primi due. Questi

titoli li trovate nel box qui sotto.

Al di là del nome, il rifugio è un al bergo in quota?

No, il rifugio è una struttura ricetti va finalizzata alla pratica dell’alpinismo e dell’escursionismo. Non è solo una struttura ricettiva, ha anche compiti di presidio del territorio, di supporto alle operazioni di soccorso e di educa zione ambientale e culturale. Il tutto in un luogo in cui la sobrietà è cercata e caratterizzante. In virtù di queste peculiarità all’ospite è richiesta colla borazione con il gestore.

È vero che un rifugio ha l’obbligo di ospitalità? È obbligatorio prenotare per il pernottamento?

Il rifugio ha l’obbligo del ricovero di emergenza, quindi solo in caso di si tuazioni di emergenza imprevedibili il gestore è tenuto a dare ospitalità, an che oltre i limiti ordinari. Attenzione però, se si arriva tardi senza aver pre notato, non vi è alcun obbligo. D’altra parte, il gestore non può considerare i posti di emergenza come posti letto

da “vendere”.

Per le prenotazioni ora la situazio ne è più chiara. È sempre obbligatoria per i gruppi di oltre dieci persone e raccomandata a tutti gli altri. La pre notazione deve essere accettata for malmente dal gestore che manterrà il posto fino alle 18.00 del giorno pre visto, salvo accordi specifici. Il gestore potrà chiedere una caparra peniten ziale pari al valore del solo pernotta mento.

Come socio CAI ho il diritto di pre cedenza sugli altri?

No, ai soci è riservato un trat tamento economico di favore con sconti dedicati, ma non esiste alcuna precedenza. Da parte sua il gestore non può discriminare l’accettazione o meno della prenotazione sulla base dell’appartenenza o meno al sodalizio.

Se per un imprevisto o cambio delle

Regole e comportamenti alla luce del nuovo regolamento nazionale.
Castagnata sociale 2016 alla capanna Stoppani. Foto di Adriana Baruffini
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Sentieri e Parole

previsioni meteo fossi costretto a do ver rinunciare?

È possibile disdire la prenotazio ne entro le 18.00 del terzo giorno precedente la data di arrivo prevista. Quindi se prevedi di dormire in rifu gio il sabato sera, dovrai disdire en tro il mercoledì antecedente, oltre tale termine la caparra sarà trattenuta dal gestore.

Cosa devo fare all’arrivo in rifugio?

Appena giunti al rifugio si deve se gnalare il proprio arrivo al gestore che farà le registrazioni di rito. Solo con il permesso del gestore, e seguendo le sue indicazioni, potrai accedere alle camere. Generalmente le attrezza ture andranno depositate nell’appo sito deposito, quindi porta con te un sacchetto o una busta in cui tenere le cose personali da portare in camera.

Sono obbligato a fare la mezza pensione o comunque ad effettuare consumazioni in rifugio?

Nei rifugi CAI non vi è obbligo di consumazione ed è quindi possibile

consumare cibi propri. Tieni però pre sente che il gestore esercita un’attività da cui trae il proprio sostentamento. Il tuo diritto a consumare tuoi cibi non deve andare in conflitto con il diritto/dovere del rifugista di servire al meglio gli ospiti che hanno deciso diversamente. Il gestore ti indicherà il luogo, sempre comunque nella sala da pranzo, in cui potrai consumare il tuo cibo. Se non sei socio CAI il gestore potrà chiedere un contributo per l’uti lizzo del posto. Ricorda che per motivi di sicurezza nei rifugi italiani è vietato usare fornelletti propri, quindi non po trai scaldare i tuoi pasti.

Tariffario, listino… cosa sono? C’è ancora l’elenco prezzi per i soci del CAI?

Da qualche anno non c’è più il vec chio tariffario con l’elenco delle con sumazioni a prezzo prestabilito. Ogni rifugio è un mondo a sé ed anche la composizione dei menù cambia. Il nuovo sistema di tariffazione prevede prezzi vincolati, e vincolanti per il ge

store, solo per il pernottamento e l’ac qua. Per i pasti è previsto uno sconto del 10% sull’intero costo applicabile ai pasti sopra i 15 € (bevande escluse); per la mezza pensione sono previsti degli sconti del 25% per soci under 25 anni, e del 15% per gli altri soci.

Oltre al tariffario troverai in rifugio il listino delle singole voci concordato tra sezione e gestore ed obbligatoria mente affisso.

Per dormire serve il sacco a pelo o altro? È possibile fare la doccia?

Ogni rifugio è attrezzato in funzio ne della tipologia di frequentazione e delle proprie caratteristiche, tra cui l’abbondanza o meno di acqua. Con viene sempre confrontarsi con il rifu gista rammentando però l’obbligo di uso del sacco lenzuolo, a volte sosti tuito da biancheria messa a disposi zione dal gestore.

Generalmente è possibile fare la doccia negli orari previsti allo scopo.

Si tenga presente che i rifugi sono spesso ubicati in ambienti delicati e

la depurazione delle acque è spesso una criticità. Il gestore potrebbe chie dere, o almeno suggerire, di utilizzare detergenti biologici a volte mettendoli a disposizione direttamente. In gene rale balsami e detergenti disinfettanti vanno poco d’accordo con i sistemi di depurazione dei rifugi.

Posso stare quanto voglio in rifu gio?

Ci sono rifugi ad alta frequentazio ne che, per dare a tutti la possibilità di pernottare, limitano il numero massi mo di giorni di permanenza. Questo limite è stabilito dalla sezione proprie taria, ma il gestore ha facoltà di pro lungare la durata massima in funzione della frequentazione del momento. È vero che il CAI non ama gli animali e non vuole i cani nei propri rifugi? No, il CAI è anche un’associazione ambientalista e non può che ben vole re tutti gli animali cani compresi. Molti rifugi hanno però problematiche legate alla disponibilità di acqua ed energia elettrica, oltre che di spazio. Gli amanti dei cani hanno il diritto di stare con i propri beniamini, ma anche gli altri ospiti devono poter godere di am bienti tranquilli e puliti. I rifugi CAI se guono, e non può essere diversamen te, la legge nazionale. Generalmente è vietato agli animali l’accesso alle ca mere da letto, ma molti rifugi si sono attrezzati con camere “pet friendly”. Il regolamento chiede agli ospiti, in sede di prenotazione, di informarsi con il gestore sulle regole per l’accesso dei cani.

A chi rivolgermi per reclami o la mentele?

Reclami, lamentele o anche semplici segnalazioni devono sempre essere inviate alla Sezione proprietaria ed al presidente della Commissione Centra le Rifugi, la cui mail è ccroa@cai.it.

REGOLAMENTO STRUTTURE RICETTIVE DEL CLUB ALPINO ITALIANO

TITOLO 1 (PREAMBOLO)

Il Rifugio del Club Alpino Italiano è la casa del Socio aperta a tutti i frequentatori della Montagna.

Struttura nata per dare rifugio agli alpi nisti, nel corso degli anni si è trasformata in porta di accesso alle montagne; punto di partenza e arrivo di impegnative salite ma anche di facili escursioni.

Il Rifugio è un presidio di ospitalità in quota sobrio, essenziale e sostenibile, pre sidio culturale e del territorio, centro di attività divulgative, formative, educative e di apprendimento propedeutiche alla co noscenza e alla corretta frequentazione della Montagna.

Non è un albergo ma un laboratorio del “fare montagna” che sa contenere insieme etica dell’alpinismo, socialità, accoglien za, alta performance in ambiente, turismo consapevole, rispetto e tutela del Paesag gio montano.

Le strutture ricettive del Club Alpino Italiano comprendono manufatti edilizi delle sezioni, sottosezioni e gruppi del Cai contenuti nell’elenco ufficiale dei rifugi, dei punti di appoggio, delle capanne sociali e dei bivacchi fissi in pro prietà diretta o in affido.

Le Sezioni dispongono delle strutture ricettive del Cai in pro prietà o in affido nel rispetto del seguente regolamento, al quale si attengono con scrupolo.

Tutte le strutture ricettive del Cai espongono l’emblema del sodalizio.

TITOLO 2 (IL RIFUGIO, LA SUA GESTIONE, LE NORME COMPORTAMENTALI, IL TARIF FARIO, LA MANUTENZIONE)

Art. 1 (Definizione di Rifugio Cai)

Il Rifugio:

1. è una struttura ricettiva finalizzata alla pratica dell’alpinismo e dell’escursionismo organizzata per dare ospitalità e possibilità di sosta, ristoro, pernottamento e servizi connessi;

2. ha l’obbligo del ricovero di emergen za;

3. è soggetto ad applicazione del “Tarif

fario” approvato annualmente dal Comita to Centrale di Indirizzo e Controllo (CC);

4. è dotato di materiale di pronto-soc corso, di piazzola per elisoccorso se non raggiungibile con altri mezzi, di apposito locale invernale aperto nei periodi di chiu sura dell’attività ricettiva;

5. è classificato dal CC su proposta dell’OTCO Rifugi Opere Alpine, secondo criteri che tengono conto del grado di accessibilità e del costo di gestione (vedi allegato 1);

6. può essere affidato dalla sezio ne proprietaria o affidataria ad un socio custode volontario o ad un gestore eco nomico mediante contratto. Il “Contratto Tipo” è approvato dal CC e la sua ado zione da parte della sezione assicura ad essa la tutela ed assistenza legale in tutti i rapporti con il gestore;

7. è mantenuto in efficienza secon do criteri definiti in apposite “linee guida per interventi di ristrutturazione dei rifu gi” (vedi allegato 2) approvate dal CC, su proposta dell’OTCO Rifugi Opere Alpine, attenendosi ai seguenti criteri: frazione camere 4 posti\camerate, rapporto po sti a sedere\posti letto, contrapposizione linguaggi preesistenza\ampliamento, ri duzione degli impatti ambientali, manife stazione dei colori sociali;

8. espone l’emblema del CAI all’ingresso all’esterno del fabbricato, collocato in maniera visibile sulla faccia ta/ingresso, accostato all’in segna che riporta il nome del Rifugio e l’eventuale indica zione della sezione proprie taria/affidataria. L’emblema è riportato sul materiale di comunicazione istituzionale, sul listino prezzi e sulle even tuali divise del personale di servizio. Art. 2 (Trattamento del socio)

Il socio: 1. gode di un trattamento economico privilegiato rispetto al non socio, secondo modalità stabilite dal tariffario; 2. se appartenente a un sodalizio ade rente alla convenzione di reciprocità gode del trattamento di reciprocità. Art. 3 (Il gestore)

Nella scelta del gestore, e nell’affida mento della custodia del rifugio, la sezione tiene conto della sua conoscenza dei luo ghi, della condivisione dei valori propri del

Raduno sociale alla Capanna Lecco, giugno 2016. Foto di Raimondo Brivio

CAI, della capacità tecnica di adempiere al suo compito e di assumersi la responsa bilità di titolare del presidio del territorio alpino che il rifugio rappresenta.

Il gestore:

1. accoglie frequentatori con cordialità e organizza la loro sistemazione;

2. fa rispettare le regole di ordine e di sicurezza necessarie in una struttura aperta al pubblico;

3. risponde alle domande di informazione da parte dei frequentatori ospiti, consi gliandoli ed assistendoli in caso di bisogno;

4. allerta i soccorsi in caso di incidente;

5. assicura, nei limiti del proprio contratto, le prestazioni di ristora zione e dei servizi nel rispetto delle leggi in materia;

6. può richiedere al non socio che con suma propri cibi un contributo economico nella misura massima stabilita dal tariffario CAI.

Art. 4 (Prenotazione dei posti letto)

La prenotazione dei posti letto:

1. è raccomandata a tutti i frequentatori;

2. è obbligatoria per i gruppi costituiti da più di dieci persone;

3. può essere effettuata tramite i canali di comunicazione di cui è dotato il rifugio (sito web, telefono, mail, eventuali specifi che piattaforme dedicate di prenotazione) oppure direttamente presso il rifugio;

4. è considerata valida solo se accettata ed esplicitamente confermata dal gestore;

5. salvo accordi specifici è da conside rarsi valida fino alle ore 18.00 del giorno previsto di arrivo. Decorso tale termine, in assenza di comunicazioni da parte del prenotante, il gestore può disporre diver samente dei posti letto.

6. Il gestore ha facoltà di chiedere una caparra penitenziale, in sede di prenota zione, nella misura massima del costo del pernottamento stabilito dal tariffario. In caso di recesso dell’utente tale caparra verrà ritenuta dal gestore cui null’altro sarà dovuta.

7. Qualora l’utente receda entro le ore 18.00 del terzo giorno antecedente l’arri vo previsto in rifugio, salvo diversi accordi, potrà recuperare la caparra penitenziale.

8. All’atto della prenotazione, l’ospite è tenuto a verificare la possibilità di intro

durre eventuali animali nel rifugio. Art. 5 (Registrazione)

1. L’ospite si presenta al gestore al suo arrivo per effettuare la registrazio ne esibendo documento d’identità e la sua eventuale tessera CAI, di sodalizio in reciprocità, o la certificazione di iscrizio ne valida per l’anno in corso in corso di validità, comunica il proprio programma di ascensione o escursione ed eventuali necessità particolari Art. 6 (Organizzazione del pernot tamento)

1. La capacità massima di posti letto del rifugio è affissa all’ingresso del rifugio insieme alle procedure di sicurezza ed al piano di evacuazione.

2. Il gestore ha la respon sabilità della destinazione dei posti. L’accesso alle stanze si effettua sotto il suo controllo.

3. In caso di situazioni di urgenza, o in caso di avverse condizioni meteorologi che, il gestore ha facoltà di organizzare in via eccezionale posti di emergenza in aggiunta alla capacità ricettiva della strut tura. In ogni caso questi posti dovranno essere collocati in spazi che in nessun modo possano ostruire e ostacolare le vie di fuga e le uscite di sicurezza.

Art. 7 (Tariffario)

1. Il tariffario, annualmente deliberato dal Club Alpino Italiano, deve essere ob bligatoriamente affisso in posizione di im mediata visione e consultazione.

2. I prezzi sono indicati nel listino affisso all’ingresso e devono rispettare quanto previsto per la categoria a cui la struttura appartiene.

Art. 8 (Consumazioni)

1. Nel rifugio non vige l’obbligo di consuma zione.

2. Il rifugio mantiene, anche nella ristorazione, un profilo di so brietà.

3. Il frequentatore tiene in considera zione le difficoltà di approvvigionamento, anche idrico, del rifugio, evitando di avan zare richieste non consone all’ubicazione e alle dotazioni della struttura.

Art. 9 – (Durata del soggiorno)

1. Il numero massimo di giorni di per manenza nel rifugio può essere stabilito dalla sezione CAI proprietaria.

2. Il gestore ha facoltà di prolungare la durata massima del soggiorno in funzione della frequentazione del momento, previa comunicazione alla sezione CAI proprie taria.

Art. 10 (Raccomandazioni e obblighi)

L’ospite:

1. deposita il materiale alpinistico nell’apposito locale o all’esterno;

2. non calza gli scarponi durante la per manenza all’interno dei locali;

3. prende conoscenza del piano di eva cuazione e osserva le disposizioni di sicu rezza impartite dal gestore;

4. rispetta il riposo altrui, mantenendo un comportamento corretto, attenendosi agli orari indicati dal gestore;

5. mantiene il silenzio durante gli arrivi e le partenze notturne;

6. utilizza obbligatoriamente il saccolenzuolo, chiedendolo eventualmente al gestore qualora non ne disponga;

7. piega e ripone le coperte;

8. lascia le camere entro l’orario indica to dal gestore.

Art. 11 (Divieti)

Nel rifugio è vietato: 1. fumare;

2. consumare pasti e bevande fuori da gli spazi dedicati;

3. accendere fornellini o fiamme libere fuori dagli eventuali locali appositamente predisposti;

4. asciugare abiti e materiale di fronte ad apparecchi di riscaldamento; 5. utilizzare apparec chiature sonore;

6. abbandonare rifiuti all’interno o all’esterno;

7. introdurre animali nelle camerate, salvo verifica con il Gestore in sede di prenota zione.

Art. 12 (Reclami e Re sponsabilità)

1. Eventuali osservazioni o reclami de vono essere indirizzati:

- alla Sezione proprietaria e/o affida taria;

- al Presidente del OTCO Rifugi ed Opere Alpine (ccroa@cai.it).

2. Il gestore e il Club Alpino Italiano non sono responsabili di furti e smarrimenti all’interno del rifugio o nelle immediate vicinanze.

La copertina dell’album

di Adriana Baruffini

Scorrendo

l’archivio storico del CAI Lecco, disponibile in for ma digitale dalla fondazione nel 1874 fino al 1969, ho fissato l’at tenzione sul primo album visitatori della Capanna Stoppani relativo agli anni 1896-1904. L’ho sfogliato pagi na dopo pagina, cercando di decifrare e contestualizzare le firme e i com menti. Sulla seconda di copertina, in elegante grafia a mano con penna a inchiostro, la dicitura “Dono della Dit ta Fratelli Grassi alla Sezione di Lec co del Club Alpino Ital. “ Nelle pagine successive, gli spazi preordinati per la registrazione di alcuni dati da par te dei visitatori, in linea con quanto predisposto dal CAI nazionale: data, nome, appartenenza o meno al soda lizio, scopo della visita, destinazione di eventuali ascensioni, e poi commen ti e annotazioni varie. Nei primi anni il tutto è redatto in calligrafia (stile italico, inglese, ornato…), utilizzan do penna e calamaio, con un effetto estetico gradevole che viene un po’

meno col passare degli anni, quando la frequentazione divenuta più numerosa e popolare si associa alla comparsa di grafie meno accurate e all’utilizzo più frequente della matita: meno macchie ma anche purtroppo minore leggibilità.

Al di là dei dati formali e burocrati ci, comunque importanti da un punto di vista statistico, le pagine dell’album sono una miniera di informazioni re lative a personaggi ed eventi che aiu tano a ricostruire, attraverso la vita della capanna, un pezzo di storia della sezione CAI di Lecco e dell’ambiente alpinistico lombardo di quegli anni. E poiché il mondo della montagna è un tassello importante nel quadro sociale e culturale, il libro si presta ad esse re letto come un affresco di ben più ampio respiro, un esempio di piccola storia dentro la grande storia.

Gli anni delle origini

Il libro visitatori fu introdotto nel gennaio 1896, quattro mesi dopo l’i naugurazione della capanna, avvenuta il 15 settembre 1895. Presidente della

sezione era all’epoca Mario Cermenati che seguì nel 1890 a Giovanni Pozzi, e mantenne l’incarico fino alla morte avvenuta nel 1924. Vice-presidente era Giuseppe Ongania, segretario G.D. Valsecchi, ispettore Carlo Mauri di Ce sare, uno dei direttori del CAI Lecco. Custode per tutti quegli anni fu An drea Invernizzi la cui moglie Gesuina Beretta pare fosse un’ottima cuoca, capace di offrire squisite “polentine con pollo alla cacciatora” o addirittura pranzi luculliani”. L’Invernizzi svolgeva anche il compito di guida accompa gnando gli ospiti nella salita al Rese gone per la Valle Comera, più rara mente per Valnegra, o nel percorso delle creste fino alla cima Pozzi. Guida plurilodata perché “brava e prudente” e, in caso di sosta prolungata al rifugio causa maltempo, “tiene compagnia e presta lodevole servizio”. Altre guide citate sono Riccardo Moschini, Fau

TANTI CUORI E UNA CAPANNA Sfogliando l’album visitatori della “Stoppani” nei primi anni dalla fondazione
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stino Fumagalli di Germanedo, Pietro Menaballi di Olate e Angelo Vitali di Acquate, mentre Egidio Figini, Serafi no Figini e Vincenzo Spreafico sono classificati come portatori.

Visitatori e mete

Le firme lasciate dai visitatori indi cano un andamento in crescita delle presenze soprattutto nei primi anni: a un anno dall’inaugurazione a cui avevano partecipato 300 persone, l’i spettore Carlo Mauri di Cesare lasciò orgogliosamente scritto: “A tutt’oggi nel 1897 visitarono questa Stazione Alpina 460 persone, dico quattrocen tosessanta!!!!”; l’anno dopo i visitatori erano diventati 1500, nel 1904 sono registrate 528 presenze. I maschi sono in maggior numero, ma anche il sesso femminile è molto ben rappresentato, come pure i bambini; i visitatori sono per lo più affiliati al CAI Lecco o ad altre associazioni alpinistiche e pro vengono nella maggior parte dei casi da Lecco, Milano e Brianza. Fra i rioni di Lecco che all’epoca erano comuni a sé sono citati Lecco, Acquate, Castello, Germanedo e Pescarenico, meno San Giovanni, Laorca e Rancio: evidente mente la vicinanza del San Martino dirotta su altri sentieri.

Nella maggior parte dei casi si transita o si pernotta al rifugio per raggiungere la mattina dopo la Piz za d’Erna o il Resegone. Un esempio dei tempi impiegati: “partenza dalla Stazione Alpina alle 5 e 3/4, rientro alle 11 e 1/2 dopo un’ora di sosta”. Talvolta la capanna diventa un luo go di villeggiatura, come nel caso di una famiglia di nove persone che ad

agosto 1904 vi soggiornò all’ingrasso per 12 giorni: “[…] La detta qui fami glia mangia persino 6 volte al giorno e più 15 litri di latte al giorno. Si cresce 2 Kg al giorno si guadagna 40 gradi di ossigeno ogni 3 ore. Cresce barba e capelli, si viene rossi come gambe ri sani come corni robusti come leoni forti come tori insomma si sta bene ai monti”.

Le presenze individuali non sono frequenti. Prevalgono nettamente i gruppi famigliari, a volte con bambini di cui vengono indicati con orgoglio l’età e il tempo impiegato per rag giungere la meta (“2 ore precise per due bambini di anni 9 e 4½”), oppure gruppi ben strutturati di amici con de nominazioni spesso fantasiose o go liardiche, come i Cacciatori e alpinisti, la Compagnia della domenica (tutta al femminile), il Circolo Alpino dei Mal mostosi di Pescarenico, il Circolo dei Divertenti Cinquanta, la Compagnia della Malpensata, la Lega dei Balandra ni, la Compagnia dei Mareii, la Com pagnia dei trombettieri che omaggia nei suoi brindisi Cermenati, Stoppani e Bacco. Inevitabili i commenti sul tempo (particolarmente de plorata la nebbia che offusca il panorama) e suggeri menti di migliorie: “Si vor rebbe esprimere un piccolo voto, che la Direzione del CAI migliorasse la condi zione dei cuscini a vantag gio dei dormienti” oppure Sarebbe desiderabile che la Capanna Stoppani fosse dotata di un piccolo harmo nium e di camicie da notte”.

L’occasione per rag giungere il rifugio possono essere ricorrenze private, come una veglia notturna

di fidanzamento, una luna di miele, il ricordo di persone care scomparse, il saluto a due amici ferrovieri in tra sferimento da Lecco a Firenze, l’addio nostalgico di un diciottenne in par tenza per il Collegio Ufficiali di Napoli, tripudio di amore per la montagna e patriottismo. Qualcuno festeggia alla capanna il cambio di secolo. Spesso a motivare i salitori è semplicemente il desiderio di trovare pace e tranquillità, come attestano infiniti commenti in prosa o in versi che lasciano trasparire emozioni autentiche, sia pure spesso affogate nella retorica. Due esempi: “Viva la montagna dove si può illu dersi di essere uomini liberi e felici” e “Addio capanna da me cinque volte visitata, ora il peso degli anni è trop po, sebbene con dolor bisogna sola ti lasci”.

Tra gli ospiti c’è una discreta rap presentanza delle scuole che compio no gite di istruzione: la prima è un’e scursione ginnastica del Ginnasio A. Ghislanzoni di Lecco, poi è la volta di

un gruppo di studentesse di Bergamo in visita alla capanna accompagnate da loro professori che annotano: “Un giorno almeno di lasciar felici da banda i libri degli antichi autori per temprare lo spirito alla lettura del libro universale della natura”. A luglio 1897 compare il collegio Valenti di Lecco (“alpinisti in erba più plurititolati”), quattro anni più tardi il Collegio Volta. Il 18 febbraio 1904, auspice la sezione CAI di Mon za, arriva la prima “carovana scolasti ca” degli studenti universitari lombardi provenienti da Milano e Pavia.

Intellettuali, industriali e artigiani Se andiamo a esaminare l’attività lavorativa dei visitatori ci accorgiamo che nei primi due anni i titoli dichiarati sono solitamente quelli di ingegnere, dottore, ragioniere, professore, ma estro, avvocato. Non manca qualche aristocratico come “la famiglia dei Conti Agliati padroni di cascine nel circondario di Milano ereditate dagli avi”. A breve si aggiungono le varie

attività artigianali e commerciali (con un elenco variegatissimo di arti e mestieri) e le mansioni che rientrano nella pubblica amministrazione, come il dipendente del tribunale, il carabinie re, il necroforo, l’affissatore, la levatrice di condotta e perfino il regolatore del Monte di Pietà. C’è anche uno spazio per gli artisti: un violinista, un pittore che lascia tanto di schizzi a tutta pa gina, i musicanti della banda Manzoni di Lecco. Il 5 ottobre 1900 arriva fin lassù la “distinta compagnia che agi sce al Teatro di Lecco, stagione 1900, opera Andrea Chénier”.

A proposito di artisti, nell’aprile del 1898 soggiorna alla capanna Rinaldo Cermenati, autore di un ritratto del fratello Mario custodito nella Galle ria comunale d’arte dei Musei Civi ci di Lecco; insieme ad altri firma un messaggio di non facile interpretazio ne: “Qui staremo aspettando la sacra desiata primavera d’Italia… qui lon tani dalle macchie e dall’ombra della livida faccia della fiera arte di stato”. Auspicio di tempi nuovi per l’arte o allusione alla grave crisi politica e sociale di quel periodo? Accanto ai pitto ri, si registra la presenza di noti fotografi lecchesi come Federico Mariani autore di numerose foto di gruppo (è rimasta famosa quella che ritrae escursionisti della So cietà Alpina Operaia), e Giu seppe Pessina pioniere del la cartolina e fotografo del paesaggio. I grandi assenti, almeno nelle prime pagine dell’album, sono gli operai delle fabbriche: la frequen tazione della montagna a scopo ludico è ancora un privilegio di pochi. Ma non bisognerà attendere mol

Pagina precedente: 1904, sosta alla Stop pani durante una gita al Resegone. Foto archivio G. Comi- CAI Lecco In questa pagina a sinistra: 1938, al pinisti lecchesi alla Stoppani. Fra loro: Arnaldo Sassi (sulla porta); il sen. Um berto Locatelli (con berretto bianco); Augusto Corti (ultimo a destra in pie di); Felice Butti (in ginocchio dietro il cane). Foto archivio G. Comi-CAI Lecco. Sopra: 1899, gita SEL al Resegone per l’inaugurazione della bandiera sociale. Qualcuno lascia uno schizzo dello stem ma

to perché in un clima politico mutato l’insegnamento di Stoppani sul valore educativo dell’alpinismo riesca ad at tecchire, amplificato da Mario Cerme nati alla presidenza del CAI Lecco e dal proselitismo di varie associazioni che vedono nell’andare per monti lo strumento per sottrarre gli operai alla schiavitù del lavoro e alla piaga dell’al coolismo.

Sezioni CAI e altre associazioni Dopo il CAI Lecco, le sezioni CAI di Milano, Monza e Bergamo sono le più rappresentate. In alcuni casi la meta è la stessa capanna, raggiunta a piedi da uno dei comuni di Lecco, o da Mila no e Brianza con un avvicinamento in

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treno. Più raramente si arriva al rifu gio a piedi da Bergamo via Brumano, o addirittura da Brescia o da Monza.

A proposito di Monza, c’è anche chi nel 1899 percorre la tappa di avvici namento a Lecco in bicicletta, pernotta alla Stoppani, sale al Resegone per poi scendere dalla Val d’Erve a Calolzio corte e rientrare a Monza in bicicletta. La geografia della frequentazione si allarga già a partire dall’estate del 1896 e si incominciano a registrare spora diche presenze anche di iscritti a CAI più lontani (Torino, Mantova, Piacenza, Belluno), di non soci o di appartenenti ad associazioni non alpinistiche che lasciano la loro firma in occasioni di eventi sociali: il Touring Club Ciclisti co Italiano (TCCI) che poi diventerà Touring Club Italiano (TCI), l’associa zione Ginnastica di Lecco e la Canot

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tieri di Lecco.

CAI Lecco e SEL

La sezione di Lecco del CAI è ov viamente quella che fa registrare il maggior numero di presenze. La Stoppani ospita momenti importan ti della vita associativa ed è punto di appoggio per varie gite sociali.

La prima si svolse il 1° marzo 1896 con destinazione la Pizza d’Erna, so sta alla Stoppani e “ritorno dalla Valle Boazzo per la via di Ballabio a Lecco”. Tra i partecipanti una figura di spic co nell’ambiente alpinistico lecchese: Giuseppe Ongania protagonista di importanti ascensioni nelle Alpi, sin daco di Lecco per vari anni, di idee progressiste, ingegnere che progettò e seguì lavori per la costruzione sia della capanna Stoppani che della Lec co ai Piani di Bobbio.

Il 27 giugno del 1897 la capanna ospita la cerimonia di inaugurazione del vessillo sociale del CAI Lecco, “of ferto dalle Signore Socie della Sezio

ne” con grande concorso di lecchesi e rappresentanze del CAI Milano e della Società Alpina Operaia Antonio Stoppani. Tra le firme, compare sull’al bum quella di Ernesto Pozzi avvocato e garibaldino, fratello di Giovanni (il medico-alpinista che fu il primo pre sidente di fatto del CAI Lecco). L’e vento è così ricordato: “Il presidente Mario Cermenati pronuncia il discor so inaugurale ricevuto da altisonanti hurrà . Dopo alcune parole del Rap presentante della Sezione di Milano si suona l’inno alpino del Gomez e si im bandiscono le mense. Regnano sovra ne l’allegria e la cordialità.” La firma di Mario Cermenati compare sull’album in molte altre occasioni, e la sua figura di scienziato, uomo politico e alpinista che si è speso per la realizzazione di rifugi sulle montagne di Lecco è spes so ricordata anche quando lui non è fisicamente presente.

La SEL (Società Escursionisti Lec chesi) nasce nel 1899. L’8-9 luglio

dello stesso anno organizza una gita al Resegone per l’inaugurazione della propria bandiera sociale. Il CAI offre ospitalità gratuita per la notte. Presenti Mario Cermenati e Giuseppe Ongania in rappresentanza del CAI Lecco, inol tre soci della Società Alpina Operaia e della Società Ginnastica. Qualcuno la scia un messaggio sull’album visitatori per puntualizzare che “Non solo l’alpi nismo rinvigorisce il corpo ma anche la ginnastica”.

Il 25 novembre 1901 due iscritti alla SEL salgono alla capanna per prepa rare “el foch e poo i bourol per chi del CAI de Lecch”. È il secondo appun tamento della “Marronata” o “Burolla ta” sociale del CAI Lecco, tradizione inaugurata il 25 novembre 1900 e mai abbandonata fino ai nostri giorni.

SEM e SAM

Anche la sezione di Milano del CAI è spesso presente, unitamente alla SEM (Società Escursionisti Milanesi), e utilizza la Stoppani come base per

eventi sociali. Nel maggio del 1898, ad esempio, vi fu organizzato un corso di istruzione per guide alpine a cui parteciparono dodici persone, otto delle quali valtellinesi, con un lecche se e due iscritti al DÖAV (Deutscher und Österreichischer Alpenverein). La prima volta fu a cavallo fra 29 feb braio e 1° marzo 1896; il segretario lasciò questo messaggio: “Non pos siamo che ammirare l’operato della consorella, emerita Sezione Lecchese, per avere costruito un rifugio tan to comodo, in una posizione tanto panoramisticamente bella. Plaudenti, noi Soci della Sezione Milanese, che qui pernottammo diretti al Resegone, meta della nostra prima gita Socia le dell’anno 1896, siamo orgogliosi di porre la nostra firma su questo album”. Tra le firme compare Giulio Clerici giornalista che si qualifica come di rettore di “Sport Internazionale” a cui si deve il nome della cresta più famosa della Grignetta: proprio lui nel 1899 aveva proposto di intitolarla al pittore

Giovanni Segantini. Ritroveremo altre volte il suo nome nell’album visitatori, l’ultima nel 1904 accanto a quello di Carlo Porta, Eugenio Moraschini, En gelmann, in calce a questo messaggio: Nei mesi di gennaio e febbraio 1904 i sottoscritti alpinisti si recarono sui pianori fra la vetta della Pizza d’Erna e la Bocca d’Erna per esercitarsi con gli ski con e senza pelle. E tutti provarono un gusto indiavolato, provetti come i matricolini”. Carlo Porta nipote del poeta milanese a cui è dedicato l’o monimo rifugio ai Resinelli, è ricordato per avere commissionato a Michele Vedani la scultura in bronzo “L’Alpi no” collocata nei pressi del rifugio e avere sostenuto anche le spese per la fusione del busto di Antonio Stoppani posizionato alla capanna Rosalba. Eu genio Moraschini fu il primo salitore della Cresta Segantini nel 1905. Gu

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Qui sopra: La prima pagina dell’album. A fianco: Una pagina importante, scritta nel giorno di inaugurazione del vessillo sociale della sezione
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stavo Engelmann socio della sezione Skiatori della SEM e poi presidente della Federazione skiatori, potrebbe essere il tedesco di cui si parla come

di uno dei primi, se non ad dirittura il primo a mettere gli sci ai Resinelli, nel libro Cento anni di sci in Valsas sina (autori G. Camozzini, A. Sala, F. Ponzoni, editore Bellavite, 2015).

Tra i primi visitatori della Stoppani figura anche Giu seppe Clerici compagno di Moraschini nella prima sa lita della Cresta Segantini e autore degli schizzi che accompagnano la relazio ne pubblicata sulla “Rivista Mensile del Club Alpino Italiano” 1905, n°11.

Divertente in proposito il commento lapidario di un malcapitato ospite della capanna che la mattina del 25 agosto 1901, probabilmente reduce da una notte insonne, lasciò scritto: “Mi co ricai solo, mi svegliai in cento”. Queste spedizioni appaiono antesignane della gara podistica competitiva “MonzaResegone” (tuttora in auge) che sarà istituita parecchi anni dopo, nel 1924, e che avrà come punto di arrivo la Ca panna Alpinisti Monzesi al Resegone inaugurata nel 1911.

ra. Vi partecipò tutto l’ambiente asso ciativo lecchese, alpinistico e non, con Mario Cermenati in rappresentanza del CAI Lecco.

Omaggi a Stoppani

Insomma un bell’intrec cio tra frequentazione della Stoppani, salite al Resegone o alla Pizza d’Erna e immi nente arrivo di alpinisti mi lanesi in Grignetta per af frontarne guglie e pinnacoli, nel contesto di un alpinismo esplorativo e pionieristico che a livello nazionale ed europeo stava compiendo passi da gigante, mentre bisognerà aspettare gli anni Trenta perché i lecchesi si impongano come gruppo insuperabile di rocciatori.

Il CAI Monza è tra i più presenti fra quelli lombar di, affiancato dalla SAM (Società Alpinisti Monze si) fondata nel 1901. Ho già accennato all’impresa dei tre ciclisti monzesi che pernottarono alla Stoppa ni nel 1899. Più avanti arriveranno le impegnative ascensioni di gruppo che, partendo a piedi da Monza, pernotte ranno alla Stoppani per raggiungere la mattina dopo la vetta del Resegone.

Una voce fuori dal coro L’Alpina Stoppani, come sintetica mente veniva denominata la Società Alpina Operaia Antonio Stoppani, nac que nel maggio 1883 per iniziativa di un gruppo di giovani lecchesi che, riu nitisi sulla vetta del Resegone, decise ro di costituire una società alpinistica di impronta popolare staccandosi dal CAI di Lecco ritenuto troppo borghe se e intellettuale. Il nuovo sodalizio as sunse la denominazione di Compagnia Alpina fra gli operai di Lecco, divenuta un anno dopo Società Alpina Operaia di Lecco e mandamento, con aggiunta nel 1898 del nome di Antonio Stop pani. La SAOAS fa la sua comparsa nel libro visitatori della capanna il 5 giugno 1896, con la visita di due soci e del presidente Arturo Affunti che lascia scritto: “Venuto espressamente a vi sitare questa Capanna, o meglio Eden Alpino - mi congratulo colla Sezione di Lecco che nutre tanto amore all’Al pinismo!”. Visti i precedenti rapporti fra le due associazioni, tale commento potrebbe anche nascondere una velata ironia, in realtà esprime probabilmente un autentico apprezzamento, segnale di un clima distensivo grazie al quale il 24 giugno 1900 la SAOAS scelse la capanna come sede per la cerimonia di inaugurazione della propria bandie

Nelle pagine del libro numerose an notazioni evocano il personaggio a cui fu intitolata la capanna, Antonio Stop pani (1824 – 1891), nato e sepolto a Lecco, primo presidente della sezione lecchese del CAI (anche se rinunciò subito all’incarico), ricordato come sa cerdote e patriota, scienziato, filosofo e letterato, appassionato amante del la montagna e apostolo dell’alpinismo. Trascrivo alcuni commenti: è anche un modo per rievocarne la figura a 130 anni dalla morte.

7 luglio 1896: “Da Milano pel Re segone faccio sosta alla capanna Stoppani e qui rievoco il tuo spirito o splendore di scienza e di virtù, o grande tribolato per la Verità. Ricordo

i tuoi amici caduti sul campo mentre ferveva la lotta rosminiana.[…]. Possa quell’accordo della scienza col dogma che fu il tuo sogno, essere il program ma di ogni pensatore; è il voto che depongo per la cattedra del Sommo Pietro, alla vigilia che la mia Milano sta per onorare Rosmini con un monu mento”; varie firme, la prima e meglio leggibile è Augusto Maganza, c’è an che quella di un sacerdote.

23 giugno 1898: Antonio Ceder na patriarca dell’alpinismo lombardo secondo la definizione che ne diede Massimo Mila, dedito a un alpinismo di esplorazione e ad attività divulgati ve e promozionali della montagna con l’occhio rivolto anche ai suoi abitanti, raggiunge la capanna con un grup po di soci e lascia scritto: “In questo simpatico e grazioso rifugio da dove si gode uno splendido panorama, la mente si eleva, lo spirito si rinfranca e si comprende come Colui che ha

ni, cattolico liberale e seguace delle teorie rosminiane, contro le frange conservatrici della cultura cattolica del suo tempo. Dello stesso tenore la nota lasciata da uno dei 30 soci della sezione CAI di Como che visitarono la capanna il 26 maggio 1897: “Glo ria allo spirto eletto eterna d’Antonio Stoppani tra scienziati primo come tra’ preti raro”.

Altre annotazioni, evocando il “pia cere dei monti” tanto sentito e di vulgato da Antonio Stoppani, sotto lineano il suo impegno per renderlo accessibile a tutti, anche a chi dispone di scarse risorse economiche. Due esempi datati 16 maggio 1897 e 21 luglio 1899:

Il godere delle bellezze della natu ra dovrebbe essere concesso a tutti; la burocrazia [?] sottrasse quasi due terzi del genere umano a questo di ritto e, alla lunga, beneficio del corpo e dello spirito. Il secolo XX cancellerà questo anacronismo?”

“Un grazie di cuore ad An tonio Stoppani che promosse l’alpinismo in Italia e fondò questa capanna agevolando in tal modo l’alpinismo all’o peraio, al povero reietto, pro curando a lui la soddisfazione dell’animo”.

C’è anche chi inneggia a Stoppani patriota, memore della sua partecipazione alle Cinque giornate di Milano e alla terza guerra di indipen denza: “Viva Stoppani, viva Garibaldi”.

Pagina precedente, dall’alto: Schizzo la sciato da un visitatore in una giornata di pioggia. Esercizi di calligrafia, con remini scenze di greco antico In questa pagina: Comitiva morbegnese in gita alla Stoppani (anni ‘20-’30) Foto ste reoscopica dall’archivio di Oscar Sceffer. Archivio Alberto Benini

scrutato i più grandi misteri della na tura abbia trovato che Scienza e Fede non si contrastino ma l’una completi l’altra”.

Entrambi i messaggi si riferiscono alle battaglie condotte da Stoppa

Echi di vicende lontane Il 22 luglio 1900, una socia del

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la SEL in visita alla capanna con un gruppo guidato dal presidente Batti sta Turba lasciò scritto: “Dalla Capan na A. Stoppani inneggiamo allo Sport dell’Alpenstock, alla vera libertà che solo può fiorire qui dove non giunge nemmeno l’eco delle chimere umane che si agitano alla pianura”. In realtà, l’eco delle complesse vicende che ca ratterizzano la situazione economica, politica e sociale italiana negli anni a cavallo fra ’800 e ’900, arriva e come fin lassù e lascia traccia nell’album dei visitatori.

Accanto a spigolature più legge re, come un’ascensione al Resegone effettuata il 24 ottobre 1896 “per fe steggiare le nozze del principe di Na poli” (Vittorio Emanuele III che sposò Elena di Montenegro), vi compare la

tragica conclusione della prima av ventura coloniale italiana con una ci tazione della battaglia di Adua: “Gita indimenticabile per coincidenza con l’infausta battaglia d’Abba – Garima” (1° marzo 1896).

Basta un lapidario accenno all’am nistia del 31 dicembre 1898 per tut ti i reati politici (Viva l’amnistia!) per evocare le forti tensioni sociali che attraversarono quell’anno culminando nei moti di Milano dell’aprile - maggio contro le condizioni di lavoro e l’au mento del prezzo del pane, duramente repressi dall’esercito con molte vittime fra i civili. E vista la coincidenza con la data dell’8 maggio, credo non sia ca suale l’annotazione di un gruppetto di visitatori: “Fuggiti da Lecco per paura di una sommossa dei Ferascit de la

Le origini della capanna

L’idea di realizzare una capanna sul Resegone era apparsa al CAI Lecco come una necessità fin dalla sua fon dazione. Fallite le trattative per acqui stare, prima un manufatto prefabbrica to del CAI di Milano, successivamente la casetta denominata Daina a Pian Serrada, nel 1894 l’assemblea sezio nale deliberò l’acquisto di una cascina sopra Costa, a metà strada fra Lecco e il Resegone da trasformare in “Stazio ne Alpina” che l’assemblea stessa de cise di dedicare ad Antonio Stoppani. Alla cerimonia inaugurale partecipa rono 300 persone con rappresentan ze delle sezioni CAI di Milano, Berga mo e Sondrio e la presenza di varie testate giornalistiche locali e nazionali. “I partecipanti - si legge nella crona ca riportata dal libro CAI sezione di Lecco. Un secolo di storia (CAI Lec

co 1975, a cura di Aloisio Bonfanti)mossero in comitiva da Lecco, prece duti da una fanfara per raggiungere la Stoppani attraverso Acquate, Falghera, Malnago, Costa con una marcia di due ore”. Il discorso ufficiale fu tenuto dal presidente Mario Cermenati. Amico e discepolo di Antonio Stoppani del quale aveva recepito sia l’insegna mento scientifico che l’interesse per la montagna, ricoprì importanti incarichi accademici e politici per i quali do vette risiedere spesso a Roma, senza peraltro trascurare gli impegni assunti nei confronti del CAI Lecco che sotto la sua presidenza realizzò una note vole crescita nel numero degli iscritti e nel livello di prestazioni. L’intervento di Cermenati sottolineò il ruolo pro mozionale che la capanna avrebbe avuto per le salite al Resegone, at

valada” ovvero gli operai metallurgici della valle del Gerenzone.

Il clima politico è rovente: si erano appena svolte le elezioni amministra tive a Milano e ci si preparava alle ele zioni politiche previste per i primi mesi del 1900. Puntuale arriva il commento

di un visitatore proveniente da Mal grate: “Scappato da Lecco per paura di prendere pugni nella lotta elettorale” (18 giugno 1899).

Insomma, attraverso le pagine dell’album visitatori, la piccola storia di un rifugio fatta di escursioni semplici, momenti di festa e occasioni di con divisione di un amore per la montagna alla portata di tutti, si infila davvero nelle pieghe della grande storia di cui peraltro le vicende dell’alpinismo co stituiscono un pezzo importante.

AVVENTURA LOW COST AL MONTE BUCKLAND

Quattro amici e una cima mai scalata

di Rinalma e Cesare Giudici

Una testimonianza senza fron zoli redatta da Cesare Giudici con la collaborazione di sua moglie Rinalma molti anni dopo l’impresa può essere un buon modo per ricordare i 55 anni dalla scalata del Buckland. La prima spedizione lecchese non capitanata da Cassin. Un dato forse passato inosser vato, ma un primo passo per impara re a muoversi anche senza la tutela del “grande vecchio” che ha sempre assunto spontaneamente (e merita tamente) e non solo in alpinismo un ruolo di leader implicito o esplicito che fosse, si trattasse di salire in Gri gnetta o di scalare il G4.

Ed ecco i nostri quattro eroi che raggiunta la loro meta vagabondano

fra il Cile e l’Argentina, assetati di scoperte.

La giornata vissuta lungamente, “dandosi retta”, come diceva il Bigio. Chissà se Ric cardo li avrebbe lasciati fare?

Ancora una notazione. Siamo nel 1966: la Patagonia dei turisti era assai lontana a venire. Quei luoghi erano ancora quelli di emigranti che cercavano fortuna o di gente in fuga. Per buone o cattive ragioni.

Tutte le fotografie illustranti l’articolo sono di Cesare Giudici.

L’ideaprende corpo nel negozio del Gigione e ai tavoli del caffè Milano, a due passi dalla stazione. Il Bigio era stato nella Terra del Fuoco nel lonta no 1955 per scalare il monte Sarmiento e da allora l’idea di tornarci non aveva mai

smesso di ronzargli in testa. Ne parla con me, con Casimiro e con Gigi e così de cidiamo di provarci. Man mano che cer chiamo di pianificare quella che, ormai ne siamo sicuri, sarà la nostra spedizione, ci rendiamo conto che i problemi sono molti e non sono strettamente connessi con l’at to tecnico dello scalare il monte Buckland, bensì si tratta di problemi di ordine pratico come, ad esempio, arrivare sul posto! Ne gli anni Sessanta le sponsorizzazioni non c’erano ancora! Il Bigio, che è quello più conosciuto e più diplomatico del gruppet to, riesce a far tirare fuori qualche vecchio materiale e un po’ di lire alla sezione del CAI e qualcosa anche al Comune di Lec co. Inoltre riesce a recuperare pantaloni e giacche impermeabili gialli, dono dell’Agip,

tirando molti neofiti dell’alpinismo che dopo essersi formati su questa montagna sarebbero stati pronti ad affrontare “i picchi della catena oro bica e mesolcina” nonché “i ghiacciai e le altissime punte della Valtellina”.

Madrina della cerimonia fu Antoniet ta Ongania scelta per sorteggio fra le “donzelle” presenti con il compito di scoprire la lapide collocata a ricordo.

Ci fu poi un ricco pranzo servito in canestri lungo il pendio sottostante la capanna, a cui alle ore 18, dopo il ri entro a Lecco, seguì per ottanta dei partecipanti un “colossale” banchetto presso l’Albergo Croce di Malta. Per chiudere in bellezza, ci fu anche uno spettacolo di gala al Teatro della So cietà dove andò in scena una recita della “Manon” di Massenet.

Il Buckland

che li usa per equipaggiare il perso nale delle piattaforme petrolifere. Ma glioni blu con strisce tricolori per tutti. Da ultimo arriva un piccolo aiuto dal gruppo Ragni, presieduto all’epoca da Dino Piazza.

Tra biglietto di andata-ritorno e soggiorno per due mesi, il tutto vie ne a costare un milione e trecentomila lire a persona. Gioca a nostro favore il fatto che la nostra lira è una moneta forte rispetto al peso argentino: infatti per comprare una lira sono necessari dieci pesos. E così con 250 lire fai un lauto pasto ed un litro di benzina lo paghi 16 lire quando in Italia ne costa 108.

Tolte le tute Agip e i maglioni blu il resto dell’equipaggiamento, materia le tecnico ed abbigliamento, è stret tamente personale, insomma ognuno porta quello che ha.

L’unica spesa pazza della nostra spedizione sono quattro paia di stiva li di gomma per facilitare lo sbarco e scaricare il materiale dal cutter. A noi quattro si aggiungono Giuseppe Piro vano e Guido Machetto quali pagano

di tasca loro il viaggio ed il soggiorno. Finalmente ci siamo! La partenza è fissata per il 18 gennaio 1966. I com ponenti della spedizione siamo: Carlo Mauri, io Cesare Giudici, Casimiro Fer rari, Gigi Alippi, Giuseppe Pirovano e Guido Machetto.

viaggio è un’avventura. Il piccolo qua drimotore quando c’è un vuoto d’aria si abbassa talmente tanto che possia mo contare le pecore al pascolo.

Una volta l’anno i gauchos le radunano in un recinto per la tosatura; da qui vengono incanalate in stretti corridoi alla fine dei quali vengono tosate. La tosatura viene effettuata in tre minu ti; in seguito le pecore tosate passano attraverso una sorta di piscina riem pita di soluzione disinfettante, quindi tornano libere fino all’anno successivo. Ripartiamo e finalmente raggiungiamo Punta Arenas cittadina abitata da molti italiani che nella zona hanno fatto for tuna. Sistemati in albergo, andiamo a far visita ad un odontotecnico di To rino che qui ha messo su una fabbri ca di pagliette d’acciaio, quelle che si usano per pulire le pentole.

che, originariamente, era una foresta, poi incen diata per creare pasco lo. Qui vivono branchi di cavalli selvatici e nei tronchi caduti le lepri hanno fatto le loro tane. Tutto ciò che ci serve, fucili compresi, ci è for nito da italiani residen ti sul posto da parecchi anni. Il giorno successi vo ci rechiamo al porto di Punta Arenas. Da qui partono la lana merinos destinata all’Inghilterra e carichi di patate.

La Pampa

Un viaggio abbastanza articolato, della durata di circa 25 ore con mol ti scali: Madrid, Lisbona, Dakar, Recife, Rio De Janeiro ed infine Buenos Aires. Un “low cost” di quei tempi viste le nostre scarse finanze.

Analogo il ritorno: ripartiremo da Punta Arenas, per Santiago del Cile e poi Mendoza, Buenos Aires, Rio De Janeiro, Recife, Dakar, Lisbona, Madrid ed infine Milano. Partiamo da Malpen sa senza bagagli, già spediti qualche giorno prima. Sorvoliamo l’oceano e quando intravvediamo Buenos Aires ci rendiamo conto che la nostra vera avventura sta per cominciare.

Dall’aeroporto di Buenos Aires ri partiamo con un piccolo quadrimo tore per raggiungere Rio De Gallegos.

L’inizio della Pampa è l’unica zona coltivata, poi sorvoliamo la Pampa sel vaggia, puntinata da laghetti che, visti dall’alto, sembrano di latte. Anche il

Arrivati a Rio De Gallegos l’avven tura si fa ancora più avventura! Per raggiungere Punta Arenas dobbiamo infatti fare più di 300 chilometri di strada sterrata che percorreremo con macchine prese a nolo, accompagnati dal figlio di un italiano che vive qui. Una strada che percorreremo in cir ca dodici ore, bucando e riparando le gomme per dodici volte!

Lungo il percorso vediamo diverse estancias in una di queste veniamo accolti con calore e rifocillati abbon dantemente senza spendere nulla: la gente qui è molto ospitale.

I gauchos che vivono in queste estancias fuori dal mondo, girano a cavallo nella Pampa per controlla re il bestiame. Tutt’intorno è arido e dove c’è acqua c’è vita con fiori di ogni genere. Le pecore che pascola no nella Pampa sono di razza merinos e danno una lana parecchio pregiata.

In un’altra estancia abbiamo la fortu na di assistere alla tosatura che viene effettuata da un gruppo di persone specializzate. Durante l’anno le pecore vivono allo stato brado nella Pampa.

A Punta Arenas ci sono due impor tanti monumenti, entrambi in bronzo, quello dedicato a Magellano e quello al gaucho . Del primo si dice che chi accarezza il piede dell’esploratore avrà fortuna e noi non ci siamo lasciati scappare questa opportunità: di fortu na ne abbiamo bisogno proprio tanta! Il secondo, invece, è il giusto omaggio all’attività principale dell’area.

Girovagando per la città, ci imbat tiamo in una festa animata da una folcloristica banda e seguita da mol tissime persone. Passiamo anche nei pressi di un lungo viale alberato che porta al cimitero degli italiani. Nel frattempo l’odontotecnico torinese ha avvertito della nostra presenza molti altri componenti del club degli italiani che fanno a gara a portarci in giro per Punta Arenas e dintorni.

Ci conducono al rifugio Edolo a quota 3.620 m. Il suo proprietario, il signor Luìs Nana, ha voluto rendere omaggio con questo nome alle sue origini bresciane.

Siamo anche invitati a partecipare ad una battuta di caccia in una zona

Al porto c’è ad at tenderci anche la nostra piccola imbarcazione, un cutter di nome “Ivan”, che ci servirà per attra versare lo Stretto di Ma gellano. Le fasi di carico sono lunghe e laboriose, imbarchiamo infatti tutto il nostro materiale e vi veri per più di un mese.

In barca È il 24 gennaio 1966, si salpa! Le acque dello stretto di Magellano per adesso sono strana mente tranquille. Mentre ci allontaniamo vediamo il faro di Capo Frauer situato nella penisola di Bronswill, il punto più a sud del continente. Dia mo un ultimo sguardo a quest’ultimo lembo di terraferma. Il tempo peggiora, le acque di ventano tutt’altro che

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Qui sopra da sinistra: Gigi Alippi fotografo e alpinista con l’inconfondibile cerata “Agip”. Casimiro spara ai “lobos del mar”. Pagina a fronte dall’alto: Cesare Giudici affardellato. Il campo 1

tranquille e, a distanza, cominciamo ad intravedere la Terra del Fuoco, Piccolo spuntino ed io sto già male, veramente male! Dov’è la terra ferma?

Casimiro non si smentisce e spara ai lobos de mar io sguardo fisso; ancora male! Il 26 gennaio, dopo due giorni di navigazione, arriviamo nel fiordo De Agostini. Nella baia Encanto piazzere mo il nostro campo base. Tutt’attorno ci sono ghiacciai spettacolari che ar rivano al mare, da questi si staccano blocchi di ghiaccio che formano ice berg a filo d’acqua, molto pericolosi ed è per questo che il nostro capitano decide di stare distante dalla costa. Ecco il Buckland! Lo vediamo per in tero per la prima ed ultima volta, poi più. Decidiamo di fermarci avvicinan doci il più possibile a riva per scaricare tutto il materiale, e subito la prima dif ficoltà: abbiamo infatti quattro paia di stivali per sei persone. La soluzione si trova: ci saranno due privilegiati che si

faranno portare in spalla.

Il paesaggio che si presenta davanti ai nostri occhi è mozzafiato. Gli alberi sono deformati dal costante persi stere del vento. Ci rendiamo conto di non poter sistemare il nostro campo base all’interno perché poco distante dal mare è tutto un acquitrino, dob biamo fare quindi uno sbarramento di frasche e tronchi per evitare che l’alta marea porti via le nostre tende. La pri ma tenda ad essere montata è quella dei viveri e del materiale tecnico. Poi, altra sorpresa. Una tenda è buca, che fare? Ci viene in aiuto il capitano del nostro cutter prestandoci il telo im permeabile dell’imbarcazione. L’ordi ne non è il nostro forte e, visto che il tempo persiste al brutto, ne approfit tiamo per fare lavori casalinghi aiutati dal figlio dell’odontotecnico italiano che è venuto con noi. Non potendo fare altro, ne approfittiamo per fare qualche giro nel fiordo; in questa oc casione incontriamo quattro america ni venuti lì per scalare il Buckland, ma sbarcati sulla parte sbagliata del fior do, rimasti ormai senza viveri e con

pochissima benzina. Facendoci capire con il linguaggio della montagna e con qualche preziosa parolina in inglese, li invitiamo al nostro campo dove ven gono rifocillati e viene messo loro a disposizione il nostro cutter per ritor nare a Punta Arenas. Gradiscono tut to ciò che offriamo loro da mangiare, da due mesi mangiano soltanto cibo secco o in scatola e la cucina italia na è tutt’altra cosa! Il tempo è sempre brutto, Pirovano prende l’influenza.

Il “Colle dei Ragni” Dopo qualche giorno il tempo sem bra migliorare e così io, Casimiro e Gigi Alippi ci avviamo per piazzare il campo 1. Gli americani, riconoscenti, ci aiuta no a trasportare il materiale fin lì. Man mano che avanziamo, segniamo le piante per trovare poi la via del ritorno; questa, infatti, è una zona vergine, un terreno mai calpestato prima. A distan za vediamo la parete. A 550 metri di altitudine, equivalenti ai 3mila delle no stre Alpi, decidiamo di piazzare il cam po 1; il tempo, neanche a dirlo, è brutto,

nevica. Decidiamo lo stesso di fare un primo tentativo; partiamo ed attrez ziamo con corde fisse 300 metri circa, fino ad un colle che battezziamo “Col le dei Ragni”. Il tempo è ancora brutto e decidiamo di tornare indietro fino al campo base dove resteremo fermi ancora qualche giorno. Nel frattempo arriva la posta, particolarmente gradita in un posto così fuori dal mondo, per me lo è ancora di più, mi annuncia in fatti l’arrivo di quella che sarà poi la mia terzogenita. Intanto Pirovano è guarito. Con la bassa marea abbiamo l’opportu nità di raccogliere cozze (mariscos) in quantità record. Il paesaggio intorno a noi è quasi irreale. È sufficiente alzare gli occhi per rendersi conto di quan to la natura possa essere meravigliosa: vegetazione tropicale a livello del mare ed a 300 metri più nulla. Il tempo è sempre matto, in una giornata vediamo quattro stagioni. E sarà sempre così per tutta la durata della spedizione. Sempre in attesa di una giornata un po’ favore vole, approfittiamo di questa ennesima sosta forzata per andare in giro per il fiordo. Poi finalmente si decide: si sale al campo 1, tutti insieme. Una famigliola

di condor ci accompagna per tutto il cammino.

L’attacco

Domenica 6 febbraio ore 5: si parte per l’attacco.

Il tempo naturalmente non si smen tisce e ci accompagna così fino in vetta. Decidiamo di fare tre cordate: io e Casimiro, Bigio e Gigi, Machetto e Pirovano. Verso le dieci siamo al Colle dei Ragni, ci fermiamo e ci rifocilliamo prima dell’ultima fatica. Naturalmen te ancora difficoltà, incontriamo muri di ghiaccio di venti metri di altezza. Io e Casimiro decidiamo di cercare un passaggio; parto io e con la tec nica artificiale e una decina di chiodi, li superiamo. Una serie di crepacci ci crea non pochi problemi, poi, quando pensiamo che tutto vada per il meglio, sotto la calotta terminale, un enorme tetto di ghiaccio impossibile da su perare! Come fare? Dopo una breve valutazione riusciamo a trovare il pas saggio aggirando la calotta alla fine della quale c’è uno spigolo di ghiac cio; superato questo, raggiungiamo la

vetta sulla quale piantiamo le bandie re italiana e cilena. Ritornati al campo base smontiamo tutto, prepariamo il nostro materiale e risaliamo sul cut ter che era lì ad aspettarci, dando un ultimo sguardo alla nostra conquista. Il cutter è pagato ancora per qualche giorno, così ne approfittiamo per vi sitare due isole: la prima è “l’isola del faro” per il bellissimo faro che la so vrasta. Anticamente il faro era abitato da un guardiano che aveva portato sull’isola alcuni conigli che si erano poi eccessivamente moltiplicati per poi ridursi per selezione naturale. Su quest’isola vive una colonia di pingui ni. Uno di questi in particolare è molto irritato dalla nostra presenza. Le tane scavate in origine dai conigli vengono ora usate dai pinguini come rifugi.

La seconda che visitiamo è “l’isola del guano” e ci arriviamo scortati da due delfini. L’isola è abitata da cormo rani e patos (anatre). Le loro colonie si stendono a perdita d’occhio, quasi non

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In queste due pagine, da sinistra: Il gaucho sorveglia le pecore in attesa della tosatura. Foratura sulla strada per Punta Arenas. Punta Arenas corteo e musica per le vie della cittadina. Gesti scaramantici della tradizione locale funzionano anche per gli alpinisti europei

si vede la terra. Vediamo nidi, nidi con le uova, piccoli di cormorani e patos non ancora capaci di volare nono stante siano più grossi dei genitori. Il terreno è completamente coperto da gli escrementi di questi uccelli, il gua no appunto, che, in genere ogni due, tre anni, viene scavato, trasportato a Punta Arenas per poi essere esportato come eccellente fertilizzante. Sull’isola c’è anche un lobo de mar che, agitato dalla nostra presenza, scende in acqua a protezione delle sue femmine.

Ritornati a Punta Arenas, veniamo invitati nell’estancia del signor Gri maldi, un poeta di origini italiane che ha sposato una ragazza irlandese. Ci accoglie con tutti gli onori. Mangiamo asado e beviamo tanto buon vino! Qui assistiamo anche al fenomeno delle fiammelle che nascono per accensio ne spontanea di sostanze gassose che si trovano nel terreno e, più le schiacci

cercando di spegnerle, più riprendono vigore.

Il giorno successivo prepariamo i nostri bagagli e partiamo per Santiago del Cile. Siamo soltanto in quattro: Pi rovano e Machetto rientrano in Italia.

Aconcagua

A Santiago, venuti a conoscenza della nostra impresa sul Buckland, i dirigenti del club degli italiani ci ac colgono calorosamente e, nello Sta dio Italiano di Santiago del Cile, il loro presidente Nemesu Ravera ci conse gna una medaglia.

Non ancora sazi ed avendo ancora dei giorni a disposizione, decidiamo di tentare di salire l’Aconcagua, monta gna che di per sé non presenta diffi coltà tecniche, essendo in pratica dal versante della via normale, un grande ghiaione. La sua difficoltà risiede nella sua altezza: ben 6.959 metri che ne fanno la cima più alta del continente americano. Con l’appoggio dei militari locali che erano stati ai Piani Resinelli ospiti della Scuola Militare Alpina d’A

osta, i quali ci mettono a disposizione dei muli appena rientrati da un campo d’alta quota, ci incamminiamo. A quota 4.000 metri attraversiamo un magnifico pon te naturale chiamato Puente del Inca Nei pressi del ponte c’è una chiesetta ed un cimitero dove venivano sepolti gli ope rai che morivano scavando il rame nella vicina miniera. La marcia d’avvicinamento è lunga e faticosa. Sullo sfondo si staglia l’Aconcagua. A Plaza de Mulas a 4.600 metri circa, fissiamo il nostro campo base. Il mattino successivo riusciamo ad arriva re con i muli fino a quota 5.500 metri, poi abbandoniamo le cavalcature e ci avviamo verso la vetta. Man mano che saliamo il gruppetto si fa sempre più esiguo. Il pri mo a dare forfait è Gigi. Lo segue il Bigio. Poco più in su tocca a me: sono andato avanti finché ho sentito male ai piedi, nel momento in cui ho smesso di avvertire il dolore, memore del mio amico Jack Canali che aveva lasciato tutte le dita dei piedi sul McKinley, decido di fermarmi. Alla cima mancano solo circa 50 metri di dislivello, pari a due ore di cammino. In cima ci ar rivano Casimiro ed il sergente De Petris.

Da Mendoza, iniziando ormai il viaggio di ritorno, andiamo a Buenos Aires. Anche qui veniamo accolti con calore dai componenti di un altro club di italiani i quali ci fanno fare un giro in barca lungo il Rio Tigre; quello che mi colpisce di più è il caratteristico colore delle sue acqua. Lungo la navigazione possiamo ammirare diverse splendide ville, fra queste spicca quella di Ma nuel Fangio, famoso pilota argentino di formula uno degli anni Cinquanta, cinque volte campione del mondo. Con gli occhi pieni di tutte le me raviglie che abbiamo visto durante il nostro soggiorno, ci accingiamo ad intraprendere il lungo viaggio che da Buenos Aires, con tanti interminabili scali, ci riporterà a Milano dove, dopo qualche giorno, alla “terrazza Martini” del grattacielo Pirelli, veniamo festeg giati dalle autorità che ci consegnano, a ricordo, una medaglia d’oro.

Qui di fianco: Cesare e Rinalma davanti al Dru nel 2008. Alle loro spalle la traccia della frana del Pilastro Bonatti (2005) dove Cesare nel 1956 aveva condotto la prima ripetizione della via Bonatti

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In queste due pagine, da sinistra: Protezioni vegetali al Campo base del Buckland. Il Bigio legge la corrispondenza. Verso l’Aconcagua: il Puente del Inca e il vicino cimitero dei minatori

L’ANNO DELLA VALANGA

poi, là sopra, più niente. Tutto bianco. È vero, non era uno scherzo. La valanga ha fatto il suo lavoro. Mio padre si gira, mi guarda, non parla. Si torna a casa in silenzio.

La mattina dopo, 2 febbraio, dome nica, mi metto in marcia presto. Sono coi miei due fratelli. Sci e pelli di foca saliamo da Pasturo. Non siamo soli, è una processione quella che sale verso il Pialeral quel giorno. È il 1986, non sono ancora i tempi in cui i sindaci, dopo una valanga (quasi mai prima) firmano ordinanze per interdire l’ac cesso alla montagna. Nonostante la pista sia battuta, gli sci sprofondano nella neve. Fa freddo, si suda, dalle no stre spalle salgono nuvole di vapore.

“Giuseppe, Giuseppe, la ca panna non c’è più!”. Una voce grida dentro il tele fono, concitata. Io, appena entrato in casa con mio figlio in braccio, vedo mio padre che posa la cornetta sul tavolino. Resta immobile, non riattac ca. Si gira con lo sguardo nel vuoto, è pallido. La conosco quella faccia. È furioso, sconcertato, incredulo. E non trova le parole, non riesce. Poi sbot ta: “Era il Dario, dice che il rifugio è scomparso, che non c’è più. Roba da matti, è uno scherzo stupido”. Poi ri prende il telefono in mano.

È un sabato mattina, primo febbra io 1986. La montagna è avvolta nel la nebbia, l’aria ha l’odore della neve caduta da poco. Dario Pensa, gestore con la madre del rifugio Mario Tede schi al Pialeral, proprietà della SEM di

e Parole

Milano, sale a fatica nella neve alta. Lo zaino pesa, lui rumina sul lavoro che lo attende nel fine settimana. Col bello o col brutto, al rifugio gli escursionisti non mancano mai.

Quella strada l’ha percorsa mille volte, fin da quando portava calzoni corti. Oggi però la nebbia fitta un po’ lo disorienta, lo confonde. Ma non è solo la nebbia. Sulla neve scorge – o gli sembra di scorgere – qualcosa di familiare. Un pezzo di stoffa a qua dretti bianchi e rossi. Più in là un altro, un altro ancora. Non è una illusione ottica. Ne prende in mano uno, lo guarda. Sembra una tendina, una ten dina del “suo” rifugio. Il cuore si mette a battere a mille. Forse pensa ai ladri. Che sono entrati e hanno devastato tutto. È già successo da quelle parti. Il resto della salita viene divorato in un baleno. Non c’è peso sulle spalle che lo possa frenare. Deve vedere, deve constatare. Subito. Ma non c’è meta, quel giorno, in cima alla salita. C’è solo nebbia. Lui gira a vuoto, cerca a ten

toni. Non c’è, non c’è. Il rifugio non c’è più. Eppure il posto è quello. È quello. Una schiarita lo conferma. Solo neve. Dario è annichilito. Si riprende. Al lora giù a rotta di collo verso Pastu ro. All’albergo Grigna, lì c’è un telefo no. Non manca molto a mezzogiorno quando a mio padre arriva la telefo nata.

*

Il cielo nel primo pomeriggio si rasserena. Il sole ha bucato la nebbia. Con mio padre salgo in macchina in Valsassina. È tardi per cercare di rag giungere il Pialeral, c’è troppa neve sulla mulattiera. Ci fermiamo al primo tornante della strada che dal ponte della Fola sale verso Barzio, è il bal cone ideale. Mio padre ha un potente binocolo, di quelli in uso ai coman danti di marina. Lo punta. Si vedono due o tre sciatori che stanno salendo sopra Cornisella, si vede la costa che sale dalla Coa, si intravedono i pali de gli skilift e le sagome di alcune baite

Non è solo curiosità per la valanga e per le sorti del rifugio che ci spinge su. Dobbiamo vedere se per caso la slavina non abbia portato via anche la nostra baita che è lì, a duecento metri in linea d’aria dal Tedeschi, appena al di là della valle di Parolo. E dobbiamo controllare se non abbia danneggiato gli skilift. Anni di entusiasmo, ma so prattutto anni di sacrifici, di lavoro, di fatica.

La tragedia, ormai lo sappiamo, è stata solo sfiorata. La slavina si è stac cata di notte, durante la settimana – il 30 o forse il 28 - in un periodo di maltempo. La montagna era deserta. Nessuno ci è rimasto sotto. Ma i dan ni? E il paesaggio?

Quando la nostra colonna striscian te raggiunge la meta provo un senso di vertigine. Sul pianoro del Pialeral, dove c’era la “capanna”, non c’è niente. Non c’è più il rifugio, ma non ci sono nemmeno macerie, rottami. Proprio niente, solo una coltre di un paio di metri di neve.

Poco più sotto, il palo d’arrivo del

lo skilift che sale da Catei è contorto come un albero cresciuto nel vento. Ancora più in basso, due o tre baite non ci sono più. Alla sinistra del rifugio, guardando verso la vetta del Grigno ne, la villetta della famiglia Agostoni è stata decapitata. È rimasto solo il piano terra, protetto da un dosso. Dei piani superiori non c’è traccia. Dalla parte opposta, la baita della famiglia Airoldi a prima vista sembra intatta. Poi ti ac corgi che le manca l’intera parete ver so la Grigna. Disintegrata senza lascia re traccia. Giù, oltre la valletta, anche la stazione di partenza dello skilift Arei - Piazza Cavalli è andata distrutta.

Ma è la mancanza di detriti, di rotta mi, a disorientare, a estraniare. È tutto pulito. Tutto sembra svanito nel nulla, come non ci fosse mai stato. Come in un sogno o in un incubo. Non è stata la neve a travolgere le cose nella sua corsa. È stata una forza bestiale, inim maginabile, a spazzarle via. Spieghe ranno mesi dopo tecnici del Centro antivalanghe di Bormio che è stata l’onda d’urto della slavina, piombata a valle con velocità impressionante (si

Sentieri e Parole

Nel gennaio 1986 la slavina che distrusse il rifugio Tedeschi al Pialeral
di Angelo Faccinetto
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2 febbraio 1986, sciatori ed escursionisti sul luogo in cui sorgeva il Rifugio Mario Tedeschi al Pialeral. Foto di Angelo Faccinetto
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Dall’alto: I rottami della stazione di partenza dello skilift Arei-Piazza Cavalli distrutta dalla slavina. Sciatori ed escursionisti sul luogo della valanga. Foto di Angelo Faccinetto

parla di diverse centinaia di km/h) a sbriciolare le costruzioni. E non tutte costruzioni da poco. Il Tedeschi era un edificio di tre piani, in muratura. Sotto aveva una grande cucina e due saloni, ai piani superiori camere da letto per una settantina di ospiti. I resti, sbri ciolati o contorti, si troveranno a pri mavera, sparsi in un raggio di alcune migliaia di metri, fin giù nella valle dei Grassi Lunghi.

Cosa sia successo è facile da intuire. La neve caduta abbondante tra il 26 e il 28 gennaio (circa mezzo metro in città), con una temperatura di diversi gradi sotto lo zero, non ha fatto presa sulla crosta gelata che ricopriva il ver sante sud-est del Grignone dopo l’ul tima nevicata di fine novembre. L’anfi teatro che sovrasta la Fopa di’ Ger ha fatto da scivolo proiettando la massa nevosa verso valle a folle velocità. *

Quella domenica mattina, sul piano ro del Pialeral, si celebra una sorta di funerale. Gli scialpinisti e gli escursio

Sentieri e Parole

nisti, giunti sul luogo del disastro, so stano in cerchio in silenzio. In mezzo, due uomini scavano armati di pala. In superficie non resta più niente, ma là sotto, da qualche parte, c’è la botola che porta in cantina. Si cerchi almeno di salvare il salvabile. Non è facile da individuare senza più punti di riferi mento, ma alla fine la tenacia vince.

Qualcuno scende e riemerge bran dendo salami e bottiglioni di vino. La sete brucia le gole e la fame è tan ta. Ma nessuno, per il momento, osa toccare i beni superstiti. Il rifugio del la SEM, inaugurato giusto ottant’anni prima, nel 1906, non c’è più. Vittima di un evento epocale destinato a resta re nella memoria di tanti. A Lecco, in Valsassina e non solo. Merita rispetto.

* Il seguito è storia ordinaria. Per anni si parla di ricostruzione, di “Nuo vo Tedeschi”. Molti promettono. Oltre alla buona volontà, però, non si vede niente. Un noto imprenditore lecche se – unico atto concreto - mette a disposizione della SEM un terreno di sua proprietà in una zona considera ta sicura. È attorno ai 1500 metri di quota, un centinaio di metri a monte

del ripiano occupato dalla preceden te costruzione. Viene elaborato anche un progetto di massima che prevede la realizzazione del nuovo rifugio in cassato nella roccia, con un tetto a far da scivolo in caso di eventuali nuo ve slavine. Ma gli ostacoli da superare sono molti.

Anche se ufficialmente non sono mai state fatte cifre, per una struttura in grado di ospitare durante i fine set timana 80/90 escursionisti si parla di un costo variante tra i 600 milioni e il miliardo di lire. Troppo, perché la SEM possa farvi fronte con le proprie forze. Troppo anche per quei lecchesi che cercano di contribuire offrendo il ricavato della lotteria della Sagra delle Sagre che si svolge l’estate succes siva a Pasturo. Senza poi contare gli ostacoli di natura legislativa. Ancora non è stato istituito il Parco regionale delle Grigne, ma la legge urbanistica in vigore a quel tempo - la “legge Ga lasso” - prevede un vincolo di inedi ficabilità oltre gli 800 metri sul livello del mare e il Pialeral si trova a quota 1.428. Servirebbe una deroga per far breccia nel rigore normativo. Ma le deroga non arriva. Perché il servizio geologico della Regione Lombardia –ispirato dai tecnici del centro valanghe di Bormio - cataloga la zona ad alto rischio valanghe. E perché si teme che la ricostruzione di quell’antico simbolo dell’escursionismo milanese e lecche se possa diventare occasione per un nuovo assalto urbanistico al luogo, già nelle mire negli anni Settanta di ag guerrite schiere di speculatori.

Il rifugio, come si sa, non verrà mai ricostruito. Dario Pensa, con la mam ma Antonietta, di lì a poco ne costrui ranno uno, poco più a valle, sulla costa, riadattando una baita di loro proprietà.

di Donatella Polvara

Chinon si riconoscerebbe in quello che sto per raccon tarvi? Puntare la sveglia pri ma dell’alba, alzarsi presto e di buona lena, lo zaino rigorosamente preparato dalla sera prima, manca solo la ricari ca dei viveri; dell’acqua, una thermos con del tè caldo, giusto qualche snack, della frutta, un panino con “prosciutto e maionese”, un dolce, e via si par te! Il vantaggio del trekking è il senso di libertà, la possibilità di apprezza re con calma i luoghi che si visitano, vivendo appieno la natura e godendo ogni magica trasformazione delle ore del giorno. Dall’alba al tramonto. Una delle domande che gli appassiona ti escursionisti si pongono prima di partire è quella se avranno il cibo e l’acqua a sufficienza, le calorie giu ste, il giusto apporto di vitamine, sali minerali. I più allenati portano con sé solo il necessario, a loro basta poco, un piccolo spuntino, forse nemmeno

quello, mentre chi non è allenato, o è timoroso, magari alle prime escursioni, mette nello zaino anche il superfluo, aumentando di molto il peso da por tarsi sulle spalle.

Ebbene, anch’io socia del CAI di Lecco, da anni coltivo la passione per i trekking, viaggi, dedicando molto tempo allo studio dell’alimentazione dei popoli che vivono negli ambien ti più estremi del pianeta. Essendo biologa nutrizionista ho fatto ricer che accurate per mettere a punto una strategia mirata di integrazione e alimentazione, la giusta formula, per alpinisti e recordman durante le loro imprese magari in solitaria. Dalle alte vette, al freddo polare e al caldo sfer zante. Il mese scorso ATS di Giacomo

Catalani ha pubblicato l’ultimo saggio che ho scritto con tanta passione: Alimentazione in ambiente estremo. Il grande caldo . Spinta dalla curiosità di

approfondire questi argomenti, avevo numerosi appunti nel cassetto della scrivania che ho pensato di rendere utili a tutti i soci del CAI raccontando consigli pratici, arricchendo i contenuti con anche molte interviste ad esplo ratori e recordman. Una sorta di ma nuale adatto un po’ a tutti, per prepa rare lo zaino per i trekking nelle zone più aride e calde del pianeta.

Fuori di casa Sebbene per compiere escursioni sulle montagne di casa, per ripercor rere le zone già conosciute, maga ri nei luoghi abituali di vacanza, sulle Alpi, sugli Appennini, può bastare la consueta organizzazione dei viveri, una piccola ricarica di energia, il ne

Sentieri e Parole

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Il rifugio Tedeschi
nel
1967
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COME I POPOLI DEL DESERTO Consigli di alimentazione per chi fa trekking col grande caldo
Marocco, venditore di frutta secca ed essiccata

cessario, laddove invece ci si avven turi in ambiente estremo fuori porta, è doveroso studiare una corretta ali mentazione ed idratazione per avere la certezza di poter sostenere fino in fondo l’impegnativo sforzo fisico, di poter affrontare un ambiente scono sciuto e selvaggio, sia per clima che per difficoltà del percorso.

I preparativi

Non trascurare l’allenamento, è la base per preparare il sistema cardio circolatorio all’impegno fisico che si dovrà sostenere. Sebbene in genere le escursioni nelle zone aride spes so non prevedano grossi dislivelli e si snodino per lo più su percorsi di roccia e sabbia, per esempio ai confi ni dei deserti, tuttavia vi sono alcune destinazioni montane del sud Italia e delle isole caratterizzati da dislivel li importanti, presentando in ugual modo i caratteri estremi dei deserti, come le elevate temperature, la scar sità di vegetazione, la mancanza d’ac qua. L’organismo verrà messo a dura

prova. Dunque, avere una muscolatura ben allenata permetterà di sopportare meglio il movimento ripetitivo della camminata e di avere del buon fia to per raggiungere anche i punti più elevati. La fase di allenamento pro grammata potrà essere l’occasione per familiarizzare con gli scarponcini e con lo zaino, inoltre sarà un ottimo modo per testare i propri limiti, pren dendo conoscenza di come risponde il proprio corpo dopo ore di cammi no, valutando le specifiche necessità individuali di cibo e acqua, e propri comportamenti di fronte a sete, fame e stanchezza. Un aspetto importante, per quanto riguarda viveri, sarà quel lo di familiarizzare con cibi nuovi, per tipologia e composizione, barrette, integratori, cibi liofilizzati e disidra tati, assaggiarne il gusto e valutarne la digeribilità. Testandoli insomma per capire meglio quali siano i più indi cati, preferiti, prediletti, per i momenti di stanchezza, quelli più graditi, con solatori e rigeneranti del buon umore. I compagni di viaggio che non do vranno mai mancare nello zaino, da consumare durante le pause meritate,

oppure quelli da tenere come premio finale per la meta raggiunta.

Un utile decalogo Una meta turistica molto ambita, è il Parco nazionale del Grand Canyon, negli Stati Uniti. Questo luogo spet tacolare, con una vista mozzafiato sulle erosioni create dal fiume Colo rado, regala davvero delle emozioni impagabili. Quando le ombre del tra monto si allungano sulle guglie e sui monoliti, dalle mille sfumature colorate dall’ambra al violetto acceso, è possi bile seguire in lontananza il gioco dei corvi che si alzano in volo al di sopra del bordo del Canyon. Il fiume scorre a 1500 metri al di sotto del South Rim, il principale punto panoramico, ben lontano dal punto dove tutti turisti sporgono il naso, ed è visibile solo da pochi punti di osservazione. Scen dendo lungo i sentieri che partono dal bordo del canyon, si raggiungono le rive del Colorado, in una giornata di cammino. Il sentiero è ben tracciato e praticabile da tutti, in discesa non è per nulla faticoso! Tuttavia, in estate, questa escursione, che sembra banale,Ristoro di fortuna

può diventare rischiosa senza viveri di conforto, per via del caldo e della mancanza d’acqua lungo il percorso, soprattutto quando si farà la fatica di risalire il Canyon, percorrendo il sen tiero di ritorno. Sebbene inizialmente si scenda all’ombra di qualche ginepro, in poco tempo si raggiunge la parte più calda del percorso considerata una vera e propria zona desertica.

Ebbene quando mi recai nel 2011, trovai delle regole ben ferree dedica te agli escursionisti: i ranger conse gnavano una sorta di decalogo all’in gresso del Parco, onde evitare che visitatori impreparati e imprudenti, incoraggiati dal facile tragitto iniziale, si avventurassero, senza un’adegua ta preparazione, lungo i sentieri. No tai fin da subito che l’alimentazione occupava un punto importante. Fra le righe lessi ogni singolo dettaglio: esortavano a rifocillarsi con acqua e snack salati, cereali, bevendo e man giando ad intervalli regolari di 20-30 minuti. Il decalogo era molto preciso, consigliava di assumere acqua prima

di provare sete, raccomandava di bere una quantità di liquidi pari a 0,5/1 litro ogni ora di escursione. I ranger non tralasciarono di mettermi in guardia dalle situazioni di emergenza, come il collasso da calore, il colpo di calore, l’iponatriemia. Il decalogo descriveva nel dettaglio come riconoscere i pri mi sintomi e il trattamento immedia to, in caso di malore. Apprezzai molto la loro attenzione nei miei confron ti e nei confronti degli escursionisti, per questo pensai di mettere questi dettagli nel libro che stavo scrivendo sull’alimentazione per chi fa trekking al grande caldo.

Cibi compagni di viaggio

Per trovarsi di fronte ad una si tuazione estrema non serve andare dall’altra parte del mondo. Durante la stagione estiva, anche sulle montagne di casa, partire senza acqua, magari nelle ore più calde del giorno, sapendo che non ci saranno punti di riforni mento, oppure incamminarsi senza un abbigliamento adeguato, significa

affrontare il rischio di una condizione estrema. Se pensiamo a quanto è sel vaggia la natura sulle aspre montagne della Maiella, del Gran Sasso, dei Monti della Sila, oppure in Sardegna dove le temperature, nel periodo estivo, sono paragonabili a quelle desertiche, la ve getazione è sofferente, non si trovano fonti d’acqua, ripari d’ombra e così via; ecco che allora, in questi stessi luoghi, chiunque si avventuri dovrà contare sulle proprie forze. Onde evitare pesi eccessivi e troppo ingombranti sul la schiena che, dopo ore di cammi no, diventano peggiori compagni da portarsi appresso, bisognerà stilare fin da subito una lista accurata dei viveri, calcolata in base ai giorni di perma nenza, decidendo se si vorrà portare qualche scorta e poi eventualmente acquistare in loco i principali alimenti. Si dovrà dunque stabilire in modo ac curato i punti di rifornimento, che, in genere, corrispondono all’ultimo paese che si incontra, prima di iniziare l’e

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Sentieri e Parole Marocco, Costa Atlantica, cercatore di ricci di mare

Zagora, lezioni di cucina, il tajine

scursione. In questo modo si evite rà di portare bagaglio superfluo e si potrà organizzare meglio uno spazio apposito per i viveri che, in genere, non occupa più del 30 per cento del peso dello zaino. Bisognerà prevede re, oltre all’attrezzatura e all’abbiglia mento di ricambio, una zona dedica ta all’acqua e a una thermos con tè caldo. Degli snack, piccoli spuntini da mangiare di tanto in tanto, dovranno prendere posto in una tasca laterale a portata di mano. Come per esempio dei cracker salati, frutta secca, frut ta disidratata, pomodori secchi, fichi, datteri, carne secca, carne in scatola, cubetti di formaggio tipo grana sot tovuoto, liquirizia, zenzero, cubetti di marmellata solida di mela-cotogna, barrette proteiche e multivitaminici non dovranno mai mancare nello zai no, così come i dadi per farsi un brodo

Sentieri e Parole

caldo, il caffè o l’orzo liofilizzato per la colazione del mattino. Per più giorni in completa autonomia utile anche della farina, oppure i noodles, e un formato di pasta a cottura rapida, da consu mare con legumi secchi precotti. La razione d’emergenza non dovrà mai mancare; è una riserva preziosa che occupa poco spazio e può salvare la vita. La buona regola dice che le pro prie gambe, dal momento che lascia no un centro abitato, dovranno essere in grado di percorre tutti i chilometri che mancano per raggiungere la meta stabilita, con tutto il necessario per sopravvivere!

I popoli del deserto Oggigiorno, nonostante l’alimenta zione dell’uomo sia profondamente cambiata, esistono ancora popoli che basano il loro sostentamento su ciò che il territorio naturale offre loro, i frutti, tuberi, le radici delle piante, le erbe aromatiche, i datteri, i meloni, le noci, fichi d’india, il grano selvatico, sono i principali alimenti che vengono rac colti ed utilizzati in condivisione tutti

giorni. Cibi semplice, poco elaborati, non soggetti alle modificazioni della grande lavorazione industriale, privi di conservanti, edulcoranti ed additi vi, nonostante ciò tutti ricchi di molti principi nutrizionali, come vitamine e sali minerali, dall’alto valore biologi co, molto utili in chi pratica trekking al caldo. In Marocco e in Tunisia le farine grezze integrali, impastate con poca acqua ad ottenere una sfoglia molto sottile, vengono cotte vicino alla brace ardente, a dare delle vere e proprie piadine molto profumate, che conservano nel tempo la fragranza e l’alta digeribilità. L’usanza vuole che questo pane venga mangiato sorseg giando il tè caldo, all’aroma di menta. I Tuareg cucinano una polenta di miglio, accompagnata da latte fresco caglia to e burro fuso di capra. Molti popoli che vivono ai confini del deserto pre parano pietanze molto piccanti, per esempio, le minestre vengono servite con l’aggiunta di concentrato di sal sa di pomodoro, spezie aromatiche e peperoncino. La capsaicina è infatti un potente termoregolatore, aiuta l’orga

nismo a disperdere il calore in ecces so. Bastano pochi cucchiai di queste minestre per appagare il palato e cu rare la stanchezza del giorno. La sera seduti attorno ad un falò, con la faccia in fiamme per il calore del fuoco, i be duini sono soliti consumare piatti caldi, con l’aggiunta di carne di pollo, agnel lo, molto saporiti, ottimi ristoratori e utili per affrontare il freddo della notte. Sulla tavola di questi popoli non mancano mai le spezie e le erbe aro matiche. Documentati studi compro vati chiariscono bene l’effetto an tiossidante ed antiinfiammatorio delle importanti vitamine contenute. La vi tamina C, la vitamina J, più conosciuta con il nome di colina, la vitamina E e la vitamina A. Ebbene, l’importanza della vitamina C come antiossidante è co nosciuta ormai da secoli, pare tuttavia che abbia effetti migliori sull’organi smo quando assunta in miscela con altre vitamine, come la si trova per esempio nella sua forma più semplice dei comuni alimenti naturali. È proprio per questo che la stretta associazione e sinergia fra tutte le vitamine presenti nelle spezie assicurano un effetto sa lutare sull’organismo, paragonabile a quello apportato da un integrato re biologico, naturalmente comple to sotto tutti gli aspetti. Per esempio, analizzando la composizione chimica

della curcuma emerge che su cento grammi di prodotto (1 cucchiaio cor risponde a circa sette grammi di pol vere di curcuma) sono presenti 25,9 mg di vitamina C e quasi 50 mg di vitamina J, oltre ad importanti quan tità di fitosteroli, folati e vitamine del gruppo B. Ebbene, la presenza di tutte queste vitamine fanno questo alimen to un’utile supporto da mettere nello zaino, come una sorta di integratore naturale, completo e salutare.

Continuando lo studio della varie tà degli alimenti che giungono sulla tavola dei popoli che vivono in am biente estremo, con stupore si può apprezzare che i datteri sono un vero e proprio concentrato di tutti gli ele menti essenziali, per combattere il caldo e mantenere in equilibrio l’as setto idro-salino. Potassio, magnesio, sodio, calcio, manganese, ferro, sele nio, e poi ancora, molte delle vitami ne del gruppo B, la famosa vitamina C, potente antiossidante, ma anche vitamina A, utile per la vista. Inol tre, apportano un elevato contenuto di zuccheri, pari quasi al 60% della composizione, bastano 3 o 4 datteri per risollevare pienamente la glicemia quando si presentano cali delle forze e si dovrà camminare ancora parec chio per raggiungere la meta stabi lita. Nello stesso modo anche i fichi

d’india sono molto ricchi di flavonoi di e carotenoidi, importanti elementi con spiccate proprietà antiossidanti ed antiinfiammatorie, sono un’ottima fonte di sali minerali, come potassio, magnesio, calcio e fosforo, e vitamine del gruppo B, Vit.C. e Vit. A. Si po trebbe continuare a lungo, queste po che righe non bastano per raccontarvi tutto quello che ho appreso studiando l’alimentazione dei popoli del deserto, un utile insegnamento da farne tesoro per preparare i viveri da mettere nel lo zaino per i trekking estivi. Prima di concludere è bene conoscere che il tè caldo nel deserto è molto prezio so, non può assolutamente mancare, ben zuccherato, servito con foglie di menta essiccata. È un vero e proprio toccasana per recuperare tutti i liquidi persi, e reintrodurre le energie per il tono muscolare e l’attenzione del cer vello, è il modo migliore per favorire la digestione e il transito intestinale spesso rallentato in condizioni di cal do estremo. Il tè è un ottimo cardio tonico, la teofillina aiuta e favorisce la respirazione e la ventilazione polmo nare, favorisce la dispersione di calore ed apporta molte delle vitamine e de gli antiossidanti utili per l’escursioni sta. Dunque, ecco che il tè caldo nello zaino non può mai mancare!

A quali regole di carattere genera le un escursionista dovrebbe attenersi per idratarsi durante le escursioni in zone aride? Quali tipi di bevande sa rebbe meglio consumare? Bere mol to la mattina appena svegli e durante la prima colazione (almeno un litro e mezzo di liquidi). Portarsi dietro una borraccia di acqua per il giorno e un thermos di tè verde caldo e zucche

rato, sapendo che disseta molto di più una bevanda calda (anche bollente) rispetto a una fredda. Bere a piccoli sorsi lontano dai pasti (per esempio: bere molto prima della seconda co lazione, niente durante il pasto e un bicchierino di tè dopo il pasto). Se il trekking è di più giorni, nella borrac cia d’acqua per il giorno è consigliabile diluire un integratore di sali minerali.

Argomenti tratti dal libro: Alimentazione in ambiente estremo: Il grande caldo www. Istitutoats.com Donatella Polvara

Social FB Alimentazione in Ambiente estremo

Presentato il 2 maggio nell’ambito di Monti Sorgenti 2021

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Una storia di apertura, di accoglienza, di convivenza

il pomeriggio, strascicandoti sui piedi del ritorno. Correva quella volta l’anno 1998: chissà se qualche altra cordata ha percorso quella cresta da allora, e chissà se sono ancora in quel luogo gli stessi stambecchi!

i camosci (Rupicapra rupicapra). Ri cordo l’agilità di certi balzi di molti di essi sbucando da certi tiri anche assai difficili della Leonessa-Tron al Becco di Valsoera, o arrivando sulla cima del Becco Meridionale della Tribolazione, ma anche durante molte escursioni e arrampicate nelle montagne della Val Bedretto e dell’Uri: gruppi di molti capi a crogiolarsi al sole su certe cenge so spese raggiunte chissà come, o cer ti “arrampicatori” solitari superare con un balzo, salendo o anche scendendo, passaggi da mettere paura a un umano esperto e assicurato.

Tengo nella memoria un altro ricor do di un incontro, questa volta solitario, con animali del genere.

Novembre

2020. Una nutrita squadra di giovani naturalisti e di esperti in scienze vete rinarie si è mossa per una campagna di ricerche in alta Valle di Susa nella zona compresa tra il Rocciamelone e il Monte Palon, dopo che in differenti occasioni è stata segnalata, da parte di valligiani e di cacciatori di camosci, la presenza di un grosso animale bianco e senza corna che brucava liberamente intruppato in un branco di stambecchi maschio. Non è un somaro, non è un grosso caprone, ma non può essere uno stambecco perché è bianco e per ché non ha le corna; però sembra avere la struttura del corpo ed il portamento di quelli, e dentro quel branco sembra trovarsi a proprio agio, anzi in qualche caso sembrerebbe atteggiarsi a leader del gruppo che lo rispetta.

Stambecco: sappiamo tutti qualco sa di questo imponente animale dalle

e Parole

grandi corna ricurve, che si affaccia silen zioso e solenne da un alto spuntone roc cioso ...a pubblicizzare un liquore alpestre, possibilmente un amaro.

Ripasso

Un breve ripasso mi giova, (Devoto e Oli), stambecco: Mammifero dei Bovidi (Capra hibex) vivente sulle montagne dell’Ita lia, della Svizzera e dell’Austria, dal corpo tozzo e con le corna ricurve a scimitarra, massicce e molto lunghe, specialmente nei maschi e dotate anteriormente di spicca te nodosità; ha un mantello fitto, lucido, di color grigio-rossastro scuro superiormen te e più chiaro inferiormente, (dal tedesco Steinbock) “caprone delle rocce”. Nota bene che sulla “Garzantina” il vocabolo stambecco arriva subito dopo Stalin Giu seppe, Stalingrado e Stallone Silvester. Non mi è mai capitato di vederli da mol to vicino, malgrado la mia lunga frequen tazione delle montagne; solo una volta ri entrando al Rifugio Vittorio Emanuele del Gran Paradiso, dopo la salita alla Nord della Tresenta, sul colmo di una morena ce li trovammo in branco a una trentina di me

tri, ma in pochi secondi furono mille miglia lontani. E un’altra volta, al Forquin de Bioula, col Bianchi.

Una arrampicata faticosa e poco remu nerativa, in Valsavarenche, su ad una punta che pone la sua vetta a quasi tremila metri, con un noioso approccio lungo il sentie ro reale che conduce alla casa di caccia di Orvieille, che si abbandona per entrare nel vallone tra la Punta Bianca e la Pun ta Bioula. Ben aguzza vista dal fondovalle, che promette bene, e meglio ancora affi dandosi agli avveniristici schizzi di Rena to Chabod delle “guide dei monti d’Italia”, ma che si risolve nei pochi tiri belli della cresta Est e nella infida discesa sugli sfa sciumi del canale ovest, che ha tuttavia of ferto un gradevole diversivo con la visione di un grande branco di stambecchi che ha scelto a stabile luogo di soggiorno un pie troso pascolo all’ingresso del vallone, che al passaggio degli scarsi viandanti non si sposta di un solo centimetro, che solo alza un poco lo sguardo e ti osserva con l’aria di dire: “...hai finito di far quelle foto?...” e che non cambia posizione, atteggiamen to e discorso nemmeno quando scendi

Manifesti Quanto mai significativi mi erano parsi allora, certi manifesti degli anni settanta che tengo in casa, distribui ti per la pubblicità di una gara di gran fondo classico con organizzazione, partenza e traguardo a Cogne. Erano i primi anni della grande diffusione in Italia di questo genere di competizioni di massa invernali: sulla falsariga del la Vasaloppet svedese e ad imitazione della Marcialonga di Fiemme e di Fas sa. I manifesti pubblicitari di tali even ti erano in genere grandi fotografie o loro elaborazioni che riprendevano fiu mane di sciatori, dal davanti di fianco dal di dietro, serrati in affannata com petizione, sullo sfondo di bei panora mi innevati: ad evidenziare, ad esaltare l’effetto del gruppo, la forza della massa in movimento.

Nel caso della Gran fondo del Gran Paradiso, niente foto, ma un genia le disegnatore, secondo me, un certo Ballan se leggo bene lo scarabocchio/ firma, disegna uno sfrecciare lontano di certi puntini indemoniati che potreb bero essere dei fondisti ed in eviden za in primo piano simboli caratteristici della Vallée, il più delle volte due gran di stambecchi che si danno di cor na e che hanno tutta l’aria di dire: “... ma cos’avranno da correre tanto, tutti quegli sciocchi laggiù!”

Cervi & camosci

Molto più generosi nel farsi vedere, forse perché più numerosi in assoluto e più variamente distribuiti nei luoghi,

Una dozzina di anni orsono, era il mese di febbraio, correvamo spediti a passo alternato lungo una pista trac

ciata sul fondovalle del Reno Anteriore, nel tratto che scende da Disentis verso Ilanz, diretto come è verso Coira, Ba silea, Rotterdam, il Mare del Nord. Qui il Reno è nato da pochi chilometri e le sue dimensioni sono assai limitate e il suo corso intirizzito e tranquillo. Due tracce ben fatte, ai due lati il bosco in vernale infiocchettato da tanti batuffoli di neve, gelo e brina terribile ovunque, sulla destra il silenzioso letto del fiume. Un grande cervo maschio deve esse re uscito dal bosco a sinistra, diretto chissà..., e deve averci sentito, si è fer mato a meditare e ci aspetta immobile in mezzo alla pista. Quando sbuchia mo da una curva lo vediamo davanti a noi una ventina di metri non più. Ci guarda imperturbato restando immo bile, ci fermiamo a nostra volta allibiti da quella visione: un monumento, un pal

Dall’alto: Vallese, Lötschental. Stambecco in posa: “Non sono bianco ma mi piaccio lo stesso”. Foto di Raimondo Brivio. Engadina, Val Trupchun. Alza un poco lo sguardo con l’aria di dire “… hai finito di fare quelle foto?...”. Foto di Raimondo Brivio

LO STAMBECCO BIANCO
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Caprone bianco all’Alpe di Val Poschiavina, richiama ad alta voce il cugino stambecco bianco emigrato in Val Susa. Foto di Chiara Spinelli

co di corna eccezionale, uno sguardo pacato e sicuro di sé. Cervus elaphus: mammifero dei cervidi vivente nelle

Alpi. Vegetariano di pelame bruno fulvo, simbolo della velocità, della timidezza ...paragonato all’anima che corre a dis setarsi al fonte della vita. Dopo un’ul tima intesa se ne va, come volendoci dire: passate voi, io ho altro da fare. Scende al fiume, lo attraversa in due salti e scompare nel bosco di destra.

Un bell’esempio

Queste le fantasie, le facezie, le me morie che quella notizia di cronaca ha suscitato; ma l’argomento è natu ralisticamente importante: un caso da studiare, e gli studiosi si sono allerta ti. Perché è bianco? Una questione di globuli bianchi? E se sta bene con gli altri maschi, perché non ha corna? E’ forse un incrocio tra uno stambec co e una capra domestica? Il fatto è teoricamente possibile e storicamente documentato, ma occorre un’appro fondita ricerca genetica. Ed ecco la squadra di giovani studiosi accingersi al lavoro. La stagione non è favorevole,

il lavoro deve essere svolto sul posto, cioè in quei luoghi dove bene o male sono avvenuti i primi avvistamenti, ed essendo impensabile una cattura, oc corre accontentarsi di qualche suo avanzo, di qualche sua traccia, nella fattispecie dei suoi escrementi, anche stagionati, meglio se freschi, raccolti sul posto, in buona quantità, insieme a quelli di tanti suoi simili, per poterli osservare al microscopio, selezionare, individuarne eventuali anomalie, farli reagire tra loro, catalogarli, classificarli. Un lavoro gravoso e scomodo, che ri chiede pazienza dedizione e passione; se capita poco considerato e che non assicura il risultato. Mi domando an che quale ispirazione, quale coraggio, come abbiano fatto Linneo, Carl von Linné, naturalista svedese vissuto nel diciottesimo secolo, che seppe conce pire un criterio di classificazione valido per tutti gli animali viventi, e l’inglese Charles Darwin, che un secolo dopo ne proseguì il lavoro allargando il cam po al mondo vegetale ed elaborando la teoria dell’evoluzione della specie.

Mi domando quante carrettate, quanti

quintali di escrementi e di scorie ab biano raccolto, trasportato, passato per le mani, analizzato, studiato al micro scopio, catalogato, conservato in ba checa per lasciarci quella loro dottrina.

Mi piacerebbe sapere qualcosa di più o chiedere lumi a chi conosce meglio la materia; cercherò una strada.

Resto curioso di sapere come an drà la faccenda, con una personale tendenza a considerare la cosa con ottimismo, essendo, questa dei ruvi di stambecchi di colore tanto diverso che fanno branco insieme, davvero una bella storia: di apertura, di accoglienza, di convivenza: un bell’esempio che il mondo degli animali offre a quello degli uomini sapienti.

Mario Bramanti, nato a Varese nel 1937.

Dedicato alla professione di ingegnere dal 1961, alla famiglia, alpinismo di alto pro filo, vela di particolare impegno, sempre nell’ottica del dilettante. Accademico del Club Alpino Italiano dal 1972. Passione per lavori artigianali in ferro, scrittura per hob by. Ha pubblicato in proprio quattro libri di racconti.

IL GRANDE VOLONTARIO

La figura di Giuseppe Spreafico, tecnico, educatore, operaio al servizio della montagna

di Annibale Rota

Hoconosciuto Giuseppe Sprea fico, universalmente noto come “Pepetto”, nel 1973 quando sono entrato nel consiglio del CAI Lec co: lui era già un riferimento per tutte quelle attività non alpinistiche, ordinarie e straordinarie, che la sezione doveva portare avanti.

E l’anno successivo, in cui per cele brare il centenario di fondazione la se zione aveva varato un ricco calendario di manifestazioni, lui aveva collaborato a diverse attività. In particolare era stata programmata l’operazione “Montagna pulita” che, oltre a giornate dedica te alla raccolta dei rifiuti abbandonati sulle montagne lecchesi coinvolgendo a scopo educativo anche i ragazzi dei corsi di Alpinismo Giovanile, prevede va l’installazione di specifici cartelli che invitavano a riportare a valle i rifiuti, a non cogliere i fiori e a usare la bor raccia. Pepetto aveva messo in opera la maggior parte di quei cartelli (oggi quasi tutti spariti). Preferisco non seguire un ordine

cronologico, ma suddividere invece la sua attività per la sezione in tre filoni: il Rifugio Stoppani, i ragazzi e i sentieri.

Capitolo Stoppani

Per la Stoppani, rifugio del quale per molti anni è stato anche ispettore, ha realizzato due opere fondamentali di grande impegno: la teleferica da Cam po de’ Boi e l’acquedotto.

Una doverosa premessa: quando Pepetto si assumeva un incarico ne gestiva tutti gli aspetti e tutte le pro blematiche e inoltre riusciva sempre a coinvolgere gli aiutanti necessari.

Così per la teleferica, siamo nel 1975, aveva cercato e trovato una fune a un prezzo interessante; aveva costrui to alla Stoppani la baracca per l’argano della traente e realizzato la piattaforma di scarico materiali; aveva individuato a Campo de’ Boi dove installare la piatta forma di carico e ottenuto dalla SAE i profilati zincati necessari e il persona le per montarla. Poi la fase più delica ta: il fissaggio della fune alla Stoppani, la tesatura della stessa e il fissaggio a Campo de’ Boi con un sistema di ag

gancio ideato da lui. Avevo assistito a questa operazione e avevo ammirato la sua professionalità. Aveva poi comple tato l’opera, installando i previsti palloni segnaletici.

La teleferica era poi risultata preziosa nel 1978 per trasportare i materiali ne cessari per la costruzione del nuovo ri fugio e tutti fine settimana Pepetto era alla Stoppani per assicurarne il regolare funzionamento.

E la manutenzione della teleferica, ordinaria e straordinaria, era proseguita per molti anni ancora.

Merita di ricordare che nel maggio del 2002 per riparare un telaio distan ziatore della fune traente, danneggiato da un colpo di frusta della fune di un’al tra teleferica, incautamente sganciata dal basso, Pepetto era salito sul carrel lo, era sceso fin sotto il telaio e l’aveva riparato con sotto un vuoto di più di 100 metri, facendo trattenere il respi ro ai presenti alla Stoppani. A gestire la teleferica c’era Renato Gianola, sempre pronto a seguirlo quando si doveva la vorare gratis

Alla nuova Stoppani si era sempre più

Livigno, Val Salient. Relax. Foto di Raimondo Brivio Qui sotto da sinistra: Pepetto alla cena dei Ragni del 1995. Alla sua destra Annibale Rota e Casimiro Ferrari. Foto di Annibale Rota Cartello della Campagna Montagna pulita Foto di Annibale Rota

evidenziato il problema della scarsità d’acqua, allora collegata al troppo pie no della fonte del Cop e soggetta alle variazioni stagionali della piovosità. Nel 1981, in un’estate particolarmente secca, l’acqua era addirittura venuta a mancare del tutto. Pepetto, come era solito fare, decise di risolvere una volta per tutte il problema e propose al consiglio di rea lizzare un nuovo acquedotto, facendosi carico di tutti problemi relativi. Così già nell’autunno di quell’anno individuò una abbondante sorgente a circa un chilo metro sopra il rifugio e ne contattò il proprietario, con il quale venne defi nita una concessione pluriennale. E nel febbraio dell’anno successivo, appena sciolta la neve, diede inizio ai lavori. Co struito il casello di captazione della sor

RICORDANDO “PEPETTO”

gente, procedette a interrare 960 metri di tubo con l’aiuto costante di Giuliano Maresi, di Giovanni Ratti e di Antonio Pozzoli e quello, saltuario, di altri volon tari. Furono necessari quattro giunti ef fettuati con manicotti forniti con i tubi.

In corrispondenza dei giunti costruì un cippo, come riferimento nel caso di fu ture manutenzioni. Verso la fine dei la vori venni ingaggiato anch’io, non come zappatore o “badilografo”, attività per le quali godevo di scarsa considerazio ne, ma con il compito di redigere una dettagliata relazione, corredata da foto, sul percorso e sulla posizione dei giunti. Relazione consegnata poi alla sezione.

E prima dell’estate l’acqua cominciò a scorrere abbondante nell’acquedotto e da allora non è mai mancata. E poiché

l’acqua in eccesso andava persa, ingag giato come capomastro Gianni Rossi, pensò di costruire all’esterno del rifu gio la fontana, dalla quale quasi sempre scende un rivolo di freschissima acqua.

La fontana fu inaugurata nell’ottobre del 1995, in occasione del 100° del ri fugio.

Nel 1997 aveva progettato, fatto co struire e poi installato dietro al rifugio due pali orientabili sui quali sono stati montati otto pannelli fotovoltaici per la carica delle batterie e per l’illuminazione con un notevole beneficio ecologico e un quasi totale risparmio di gasolio.

Molti altri sono lavori da lui effet tuati alla Stoppani. Mi limito ad elencare i principali senza dilungarmi troppo in commenti: la sistemazione degli sca

richi, la continua manutenzione del gruppo elettrogeno e la sistemazione dello stesso in una baracca distante dal rifugio, la manutenzione del muro di sostegno del piazzale con il rifacimen to di una quindicina di metri quadrati pericolanti, l’annuale pulizia del bosco sottostante il rifugio e… il cilindro bu cherellato con relativi supporti per la preparazione delle caldarroste durante l’annuale marronata, organizzata con la sottosezione Strada Storta, della quale era stato per molti anni referente. E, grazie al suo lavoro e a quello dei suoi volontari, le spese sono sempre state ridotte al solo costo dei materiali.

dell’Alpinismo Giovanile e nel 1982 ha partecipato alla “settimana verde” a Santa Fosca.

Un maestro, un compagno di tante gite, soprattutto un amico di Mario Bonacina

Il Pepetto l’ho conosciuto subito dopo la guerra quando andavo in giro (anche a sciare fin dai 6 anni) col mio papà socio SEL da prima della guerra. Poi mi sono avvicinato all’ambiente dei nascenti Ragni, e anche senza essere entrato nel gruppo ho partecipato al primo campeggio ai Piani Resinelli. E in quell’ambiente è maturata la cono scenza prima, l’amicizia dopo per Pe

petto un gran tecnico, una gran brava persona, un uomo tutto d’un pezzo, uno che fino a 91 anni saliva ancora sul suo San Martino a cogliere l’erba cucca.

Pepetto sapeva dosare compren sione e ironia, due doti che insieme alle capacità tecniche ne facevano un compagno impareggiabile.

Dopo quel periodo felice del primis

simo dopoguerra abbiamo ripreso a frequentarci nel 1969 con la fondazio ne della scuola di scialpinismo. Il giro era quello di Riccardo, Vasco Cocchi, Giovanni Ratti, Dino Piazza, Dario Cec chini, Gianfranco Anghileri.

Forse la prima uscita insieme, inten do senza altri compagni, è stata una cresta Ongania: io con mio figlio Bep pe, lui col Dario.

Di lui posso dire che mi ha fatto co noscere e apprezzare l’alta montagna e le cime più prestigiose: il Bianco, il Cervino, il Rosa.

Al Cervino siamo andati nell’ago

Capitolo ragazzi

Per diversi anni Pepetto è stato ac compagnatore del corso alpinistico

Ma la sua attività principale è stata con ragazzi della colonia di Maggio della Cassa Edile di Milano. Nella pri mavera del 1981 la Cassa, tramite l’im prenditore edile Paolo Colombo, aveva chiesto al CAI Lecco di accompagnare in gite in montagna ragazzi ospiti della colonia, offrendo un generoso rimbor so spese. La richiesta venne accolta e inizialmente il coordinamento dell’atti vità fu assunto dal presidente Giancarlo Riva, che lasciò l’incarico nel 1983, im pegnato nell’organizzazione della Spe dizione “Città di Lecco” al Lhotse Shar e poi destinato alla presidenza nazionale del Soccorso Alpino.

Eletto presidente, girai l’incarico al

Pepetto, che aveva già partecipato a diverse uscite nei due anni preceden ti. Naturalmente scelta indovinatissima. Divenuto “pensionato” dal 1992, ho par tecipato a quasi tutte le gite e ho potu to constatare la bontà della sua gestio ne. Non solo aveva un ottimo rapporto con i dirigenti e gli educatori della co lonia, ma riusciva anche a far nascere nei ragazzi, molti dei quali non avevano mai fatto un’escursione in montagna, un rapporto di stima e di fiducia verso gli accompagnatori (quattro o cinque per gita). Ho constatato anche la popolarità da lui goduta. L’ultima sera di ogni anno alcune “guide” partecipavano alla cena e regolarmente all’ingresso nel refetto rio del Pepetto si verificava un’autentica ovazione da stadio calcistico. Ha lasciato questa attività di sicu

sto del 1965 dalla cresta nord-ovest, in concomitanza col campeggio dei Ragni. Eravamo lui, Giovanni (Stizza) Carcianiga ed io. Da Lecco diretta mente all’Oriondè. La capanna era strapiena e siamo partiti prestissimo, dopo una notte davvero difficile, tra scorsa praticamente in piedi. Tirava un gran vento, ulteriore stimolo a muo verci veloci. Ma con Pepetto non c’era mai problema e siamo arrivati in vetta fra i primi. Siamo scesi verso la Sol vay dove ci siamo ficcati dentro per recuperare almeno un po’ del sonno della notte precedente. Eravamo nel

le cuccette in fondo e mancava l’aria.

E continuava ad arrivare gente. A un certo punto si sente un gran trambu sto: dal basso era arrivato il Riccardo che trovando l’ingresso ostruito dagli zaini degli ultimi arrivati aveva iniziato a buttarli all’esterno, senza farsi nessun problema.

A fine anni Sessanta siamo andati al Rosa. C’era ancora la vecchia funivia che da Alagna saliva alla Punta Indren.

Il tempo s’era guastato ed eravamo sul ghiacciaio pianeggiante che si percorre dalla Gnifetti verso il Colle del Lys. Arriviamo alla Margherita dove

c’era solo un altro alpinista in tutto il rifugio. Beviamo un caffè veloce e ripartiamo al volo. La bufera è forte, non si vede quasi nulla. In mezzo a tutto quel bianco non vedo qualcosa di scuro sul ghiaccio? Un portafoglio: “Solo tu potevi trovare un portafoglio in tutto questo bianco!” fa il Pepetto Battuta diventata celebre in seguito e motivo di infinite rievocazioni da sera in rifugio. Però intanto c’è stato un attimo di schiarita: abbiamo visto i Lyskamm e ci siamo potuti orientare e raggiungere la Gnifetti per la gioia no stra e del proprietario del portafoglio

Da sinistra: Casello di captazione della sorgente Foto di Annibale Rota. Inaugurazione della fontana alla Stoppani. Foto di Carlo Primerano. I ragazzi della Cassa Edile in salita verso il Due Mani. Foto di Annibale Rota. Inaugurazione sentiero GER. Foto di Annibale Rota

ro valore educativo e umano solo nel 2002.

Ricordo che alla fine di ogni stagione Pepetto organizzava un’escursione con gli accompagnatori. Solitamente una gita tranquilla con un finale conviviale in un rifugio o nella casa di qualche amico, come in quella sempre ospitale di Ambrogio Bonfanti a Morterone. Ma ci furono anche propo ste più impegnative: i Piani d’Erna rag giunti dai più lungo la ferrata e la salita in vetta al Cengalo in Val Masino, previo pernottamento al Rifugio Gianetti.

Capitolo sentieri

Nel 1981 la famiglia Fiocchi offrì un importante contributo al CAI, finalizzato a un’iniziativa che ricordasse Costanti no Fiocchi. Il presidente Giancarlo Riva pensò ad un sentiero e con il Pepetto e con Giuliano Maresi, che da qualche anno stava sistemando lo storico sen tiero dei Tecett, nacque l’idea di ripri stinare il collegamento fra i Tecett e la

chiesetta del San Martino quasi del tut to scomparso. Nella primavera del 1982 Pepetto diede inizio ai lavori con l’aiuto di alcuni volontari e nei fine settimana anche di Maresi. Il sentiero venne com pletato nell’autunno, intitolato con ap posita segnaletica a Costantino Fiocchi e inaugurato con una partecipata ceri monia alla chiesetta del San Martino il 14 novembre 1982.

Qualche tempo dopo Pepetto pro pose al CAI di ripristinare, o sarebbe meglio dire di ritracciare, il sentiero che dalla chiesetta del San Martino saliva ai Piani Resinelli, conosciuto come sentie ro della Val Verde. Per esperienza per sonale devo dire che il tratto fino alla Bocchetta del Portantino era inesisten

te e bisognava “indovinare”, e non era sempre facile, il percorso da seguire.

dini. Il sentiero fu inaugurato nell’aprile del 1986 ai Piani Resinelli, dove molti alpinisti erano giunti percorrendolo no nostante la pioggia.

La seconda parte del 1987 vide la “squadra Pepetto” impegnata nell’in stallazione della segnaletica sul tratto lecchese dell’Alta Via delle Grigne, nata da una mia proposta al CAI Grigne di Mandello e accettata dall’AAST di Lec co e dalla Comunità Montana del La rio Orientale, che coprirono le spese dei materiali e della pubblicazione della monografia illustrativa, scritta a quattro mani dal sottoscritto e da Angelo De Battista del CAI Grigne. Pepetto realiz zò le frecce e le targhette segnaletiche, mentre non ci furono lavori di ripristino, perché l’Alta Via si snodava su sentie ri esistenti, anche impegnativi come la Traversata Alta e la ferrata dei Carbo nari.

po Escursionisti Rancesi) di realizzarlo in collaborazione, chiamandolo poi con il loro acronimo. Diretti da lui i lavori si conclusero verso la fine del 1988 e, dopo qualche ritocco, il sentiero, pa noramicissimo ed anche decisamente alpinistico con diversi tratti attrezzati, venne inaugurato il 7 maggio 1989.

nografia.

Esaurita in breve tempo, la monogra fia venne ristampata nel 1998 anche per tener conto di alcune modifiche appor tate al percorso. Per l’occasione Pepetto preparò e installò delle splendide frecce segnaletiche, vere e proprie opere d’ar te, oggi quasi tutte sparite.

Inoltre Pepetto, con i suoi fedelissimi, ha provveduto per molti anni alla pulizia e alla manutenzione dei sentieri del San Martino.

Va detto poi che Pepetto ha sem pre partecipato all’organizzazione delle gare sociali di sci ai Piani di Bobbio, for nendo tra l’altro a tutti concorrenti un portachiavi con una medaglia ricordo.

ll consiglio del CAI approvò con en tusiasmo e decise che il sentiero sa rebbe stato intitolato a Riccardo Sprea fico, il figlio del Pepetto, caduto durante un’escursione scialpinistica in Engadina. Una volta definito il percorso, il lavo ro, portato avanti coi soliti volontari, fu lungo e impegnativo e richiese anche l’installazione di catene e di alcuni gra che non sapeva come fare a pagare il conto…

Nel 1974 abbiamo fatto il Bianco par tendo dal Rifugio Cosmiques alle 3 dei notte e passando per il Tacul, il Maudit, fino alla vetta vera e propria. Una gita che ricordo con piacere anche perché in cima trovammo inaspettati Ciccio e Silvano Taramelli. Giornata bellissima, ma uno strano cappuccio di nebbia proprio in cima. Una brevissima sosta alla Vallot per scaldare qualcosa e giù, fino a valle.

Poi ci sono stati i Lyskamm, il Grand Combin, il Castore e un sacco di altre cime… L’unica ascensione che aveva

Dall’alto: Placchetta segnaletica e segnale a vernice dell’Alta Via delle Grigne. Cartello all’inizio del sentiero Costantino Fiocchi. Freccia segnaletica per il sentiero Rotary. Foto di Annibale Rota

mo in programma, ma che non è finita nel nostro carniere è stata la Bianco grat. La prima volta siamo arrivati la sera alla capanna Tschierva col tempo incerto e la mattina dopo nevicava, tanto che un branco di camosci s’era riparato sotto la tettoia della capanna.

L’anno dopo invece era stato il ven to a rimandarci indietro dopo aver percorso forse cento metri di cresta: Pepetto e io non eravamo due pesi massimi e a un certo punto è stato lui a decidere: “Torniamo indietro, prima che ’sto vento ci soffi via che di vuoto qua in giro ce n’è abbastanza…”

Di Pepetto ricordo bene anche l’im

pegno per la scuola di scialpinismo, con qualche uscita “fra istruttori” come quella magica per la cresta inte grale del Monte Leone, nel giugno del 1967, partendo dal Passo del Sempio ne. E poi le mille uscite nella zona dello Spluga, il Tambò e tantissime altre.

Pepetto ha sempre interpretato il suo ruolo di guida (aveva il pa tentino, ma non ha mai esercita to) più come quello di maestro che come quello di accompagnatore.

Per me è stato soprattutto un maestro. E un grande amico, fino alla fine.

In quello stesso anno Pepetto, con Giovanni Ratti, andò alla ricerca delle tracce residue del sentiero che dalla Medale saliva al Coltignone, pensando di ripristinarlo. Si rese però conto che si trattava di un lavoro molto impegnativo e propose al direttivo del GER (Grup

L’anno successivo il Rotary Lecco, tramite i soci Giancarlo Riva e Paolo Colombo, chiese al CAI di individua re e segnalare un percorso che, come omaggio ad Alessandro Manzoni, ini ziando dalla presunta casa di Lucia a Olate, raggiungesse la Rocca dell’In nominato a Somasca. Il dottor Manetto Fabroni, presidente del Rotary, chiese anche una monografia illustrativa, in tegrata con l’aggiunta di qualche altro sentiero facile. Mi venne girato l’inca rico, partecipai alle ricognizioni e ap prontai testo e foto del libretto, usci to con il titolo: “Camminare - Sentieri facili sulle montagne intorno al Lago di Lecco”. Il sentiero, segnalato a vernice con la ruota simbolo del Rotary, ven ne inaugurato nel giugno 1991 con la concomitante presentazione della mo

Concludo ricordando che l’impor tante attività del Pepetto in favore della montagna è stata riconosciuta non solo dal CAI Lecco con diverse targhe (una anche dal sottoscritto al termine del la presidenza), ma anche dalla sezione UOEI di Lecco, che nel 1997 lo ha insi gnito del premio “Interesse attivo per la natura in montagna”.

Dall’alto a sinistra e in sen so orario: Maggio 1968.Gita sciistica al Gran Paradiso. Da sinistra Pepetto, Gio vanni Ratti, Mario Bonacina. Foto archivio Mario Bona cina. Giugno 1965. Pepetto, in secondo piano, con Mario Bonacina in vetta al Pizzo dell’Oro meridionale (Val masino). Foto archivio Ma rio Bonacina. Giugno 1972. Pepetto a destra con Silva no Taramelli al rifugio dei Grands Mulets, Monte Bian co. Foto di Mario Bonacina. Agosto 1965. Pepetto in vetta al Cervino salito dal versante svizzero in cordata con Ma rio Bonacina e Giovanni Car cianiga. Foto archivio Mario Bonacina

QUEL GIORNO ALL’ARSENALE

Tra montagne e mare un ricordo di Ugo Merlini, presidente nazionale degli alpini

di Marco Milani

Lafoto di copertina del numero di gennaio della nostra rivista mi ha emozionato. Innanzitutto perché è una bellissima foto di neve e di montagna, che conferma le grandi qualità dell’autore, Mauro Lanfranchi, maestro della fotografia. Ma poi l’im magine del rifugio Cazzaniga, domi nante sui piani di Artavaggio, mi ha ri cordato il punto di arrivo di tantissime gite con le pelli.

Pur avendo frequentato per anni il covo dei Ragni, il caffè Milano, di fronte

al negozio del Riccardo Cassin, per mo tivi prima di studio e poi di lavoro, non sono mai stato in grado di partecipa re a delle attività serie di montagna. Mi sono sempre accontentato di partire la domenica mattina (non troppo presto) e, ad esempio, recarmi in auto alla Cul mine di San Pietro. Da qui, con le pelli, percorrevo la strada di accesso ai Piani di Artavaggio, poi traversavo sul lato NW dei Piani e salivo fino al Cazzaniga.

Una passeggiata di poco più di due ore, bellissima e sicura. Al Cazzaniga vedevo, con una certa invidia, quelli più preparati di me che salivano alla cima di

Piazzo o alla Sodadura. Dopo un lauto pranzo, una bella e facile discesa fino alla Culmine.

Il rifugio in Artavaggio

Il rifugio, nel ’72, è stato ampliato ed è stato dedicato anche a Ugo Merlini, un alpino, come Cazzaniga.

E a questo proposito la bellissima foto mi ha suscitato una seconda, profonda emozione.

Ugo Merlini era un amico della mia famiglia, in particolare di mia mamma Rita, di cui era coetaneo: si scambiava no gli auguri a pochi giorni di distanza, ma soprattutto perché il fratello di mia mamma, Luigi Martinelli, anche lui te nente degli Alpini, era stato suo com pagno d’armi nella terribile campagna di Russia. Entrambi avevano vissuto tra gedie indicibili ed erano stati decorati al valor militare per il loro comportamento eroico.

Per quanto mi raccontava mio zio, l’eroismo non consisteva tanto nell’as salto al nemico, ma nel fare il possibile per salvare vita a tanti alpini con scar poni di cartone chiodati, pochi vestiti e pochissimo cibo.

Ma, lasciati gli amici Ragni, tutti con loro nomignoli (il Topo, il Lada, lo Sna pitus, lo Stizza e così via) che erano diventati la mia seconda famiglia, rag giunta la laurea, mi lascio trascinare dal desiderio del mare, forse per reazione all’indigestione giovanile di montagna, e riesco ad entrare in Marina.

Era un periodo di grande fermento: dopo la pausa imposta dall’armistizio, la Marina aveva ripreso a costruire nuo ve unità: prima 4 piccole corvette, poi il

piccolo sommergibile “Toti”, sul quale io ero imbarcato, e sempre negli anni ’60, le due nuove fregate “Alpino” e “Cara biniere”. Erano navi molto belle e mo derne, lunghe 113 metri, dislocamento (cioè: peso) 2700 tonnellate, potenza 32.800 HP, equipaggio 163 persone.

Penne nere al varo Dopo la costruzione, l’allestimento e collaudi in mare, le navi entrano in forza nella Marina e l’evento viene celebra to con la consegna della Bandiera di Combattimento che per la nave Alpino era stata prevista per una domenica di giugno del 1969 con la partecipazione dell’ANA, Associazione Nazionale Alpini. L’ANA è arrivata a La Spezia, in Arse nale, con tanti pullman carichi di penne nere, guidati dal presidente nazionale, il nostro capitano Ugo Merlini, medaglie d’argento e di bronzo al valore militare.

Di quanto sopra io non sapevo nulla, ma il sabato precedente avevo ricevuto l’ordine di presentarmi in Arsenale alle ore 8, sciarpa e sciabola, cioè in unifor me da cerimonia.

Quindi domenica mattina ero sulla

Ugo Merlini

Ugo Merlini (Lecco, 3 gennaio 1919 – Svizzera, 12 dicembre 1971) tenente colonnello degli alpini, combatté in Rus sia nel 5° Alpini (Battaglione Morbegno) col grado di capitano, venendo insigni to di due medaglie al valor militare: una d’argento per i fatti d’arme di Nikola jewka e di una di bronzo per quelli di Warwarowka. Presidente degli alpini lecchesi da l945 al 1965 e presidente nazionale dell’ANA dal 1965 alla morte. Quando all’adunata di Trieste del 1965 venne designato come presidente, Et tore Erizzo che l’aveva preceduto nella

banchina dove era ormeggiato l’Alpino, intento a mettere in riga un cospicuo plotone di marinai, con la divisa bianca, tutti che imbracciavano il glorioso En field da parata (anno 1895!), pronto a rendere gli onori militari alle autorità e agli alpini.

In mezzo a tanti ammiragli e gene rali vedo Ugo Merlini: alto, asciutto, con il suo pizzetto e cappello con la penna nera. Io sono in piedi, davanti al plo tone, sciabola sguainata, presentat… arm, sguardo fisso nel vuoto.

Il gruppo delle autorità mi passa da vanti, Ugo mi vede e mi riconosce e, nello sconcerto degli ammiragli, lascia il gruppo, che deve fermarsi, viene ver so di me e mi abbraccia: Ciao Marco… Io sono rigido come uno stoc cafisso e non so cosa fare.

Per fortuna tra gli ammiragli c’era Cic colo, comandante del dipartimento, con il quale avevo un rapporto di collabo razione. Si è avvicinato, ha ordinato

“riposo”, così ho cessato di essere uno stoccafisso, poi mi ha detto: “dobbiamo procedere, quando la cerimonia è finita ci raggiunga a bordo”.

Ugo allora mi ha dato un piz zicotto sulla guancia, dicendo mi “ci vediamo dopo”, e così fu. Ricordo ancora oggi questo gesto di affetto e di umanità ed è stato un onore aver conosciuto una persona così stra ordinaria come Ugo Merlini. Quando scomparve, per una frana sui tornanti del Maloja, io ero in Cina per lavoro, mi scrisse mia mamma dandomi la notizia, con grande pena.

Ugo Merlini sfila accanto al labaro dell’As sociazione nazionale alpini (Foto tratta dal volume Alpini a Lecco. Una storia con la penna nera)

carica gli passò le consegne con queste parole: “ Merlini, alzati in piedi! Questo è il nostro nuovo presidente! Potrei dire tante cose su di te: ma non le dico. Dico qualcosa che lei signor Ministro apprez zerà. Quando si è cominciato a fare il nome di Merlini come nostro nuovo presidente, lui ha cominciato a tirare calci e a dire che non voleva assoluta mente. Ora, in un tempo e in un Paese, in cui si va alla caccia di qualunque posto, secondo me il più alto titolo di onore di Ugo Merlini è proprio questo: che ab biamo dovuto quasi picchiarlo per in durlo ad accettare la carica di presidente nazionale.”

Gli sono intitolati il Rifugio Cazzaniga-

Merlini ai Piani di Artavaggio e il Bivac co cappella posto a breve distanza dalla vetta del Grignone.

Leggendaria l’immagine che lo ritrae in compagnia di Paolo VI affacciati alla loggia delle benedizioni su una piazza San Pietro gremita di alpini il 18 marzo 1968 in occasione dell’Adunata Nazio nale.

Il commosso ricordo che gli ha de dicato Peppino Prisco si legge nel libro dedicato all’ANA di Lecco (Cattaneo, 2002) dove si trova anche una sua ri evocazione del drammatico Natale del 1942 passato nelle steppe russe. (a.b.)

1946. Il generale Masini, presidente generale del CAI, con Ugo Merlini al raduno alpinistico sulla Grigna meridionale. Foto archivio G. Comi-CAI Lecco

IL REGALO DI BERNA

ConBerna non ci si legava spesso insieme per progetti sulle Alpi, quasi tutte le volte che abbiamo scalato insieme, infatti, era o in spedizione, su grandi mon tagne e obiettivi impegnativi, oppure in falesia, per allenamento e diverti mento. O bianco o nero, le tonalità di grigio, erano rare come un bidito su una placca di granito.

Ecco perché rimasi piuttosto sorpre so quando, alla fine dello scorso aprile, mi disse che aveva in mente qualco sa di nuovo da fare sul Monte Bian

co, proponendomi di andare insieme a lui. Ero curioso di vivere quella che avrebbe potuto essere, per entrambi, un’esperienza diversa dal solito.

Mandandomi alcune foto e poche informazioni, mi parlò di un “diedrone mai scalato”, su un pilastro misterio so, che parte alcune centinaia di metri sopra la Tour de Jorasses e termina sotto la punta Walker delle Grandes Jorasses.

Era il giorno 21 aprile 2020 e la no stra avventura insieme era pianificata per i primi giorni di giugno; periodo in

cui le condizioni della neve avrebbero dovuto essere ottimali e noi due liberi da vincoli familiari e lavorativi.

Purtroppo il destino ha voluto che le cose andassero diversamente e non so quante volte ho riletto quei mes saggi, erano tra gli ultimi che ci scam biammo.

Berna aveva adocchiato una bellis sima linea; chissà quanti altri alpinisti ci avevano già pensato … questo lo scoprii solo successivamente alla mia salita, quando quattro persone diverse mi dissero che avrebbero voluto a loro

La faccia Sud delle Grandes Jorasses. Da sinistra, la Tour de Jorasses; la punta Whymper (dietro); il pilastro Ghiglione; la punta Walker (dietro)
La
nuova via al Pilastro Ghiglione, Grandes Jorasses di Matteo Della Bordella

volta aprire una via su quel pilastro. Di sicuro la linea era estremamente evi dente, e mi sembrava strano che pur sforzandomi di cercare tra i miei li bri e su internet, non trovassi nulla a riguardo. Non sapevo nemmeno se il pilastro avesse già un nome o meno!

Pensai che sarebbe stato bello, du rante quella lunga estate in cui ave vo già anche altri progetti sul Monte Bianco, portare a termine il proget to di Berna ed aprire questa via per lui, come ciliegina sulla torta, per fi nire la stagione. Tuttavia, ancora una volta il destino beffardo si mise di mezzo. L’estate 2020 iniziò in modo spumeggiante, con la bella avven tura insieme a François Cazzanelli e Francesco Ratti, al Pilastro rosso del Brouillard, ma terminò in modo tra gico e prematuro, dopo la via nuova sulla Est delle Jorasses, insieme a Luca Moroni e Matteo Pasquetto.

Per quanto mi sforzassi di guarda re avanti, e superare l’accaduto, per quanto all’esterno non volessi mo strare troppi segni di debolezza, l’inci dente in discesa dalla Jorasses, pesa va come un macigno e aveva messo, senza discussione, la parola “fine” alla mia voglia di scalare sul Monte Bian co. Ero consapevole che solo il tempo avrebbe potuto ricucire anche questa ferita.

certo punto Luca mi scrive “altrimen ti ci sarebbe questa via alle Grandes Jorasses, che mi aveva suggerito Popi Miotti, da aprire”, allegandomi una foto del pilastro.

pagno: “Time is now!”. Mai rimandare a domani quello che puoi fare oggi. Perché non provarci? Perché mettere dei limiti a ciò che possiamo fare?

L’anno dopo Siamo a metà febbraio 2021. Luca Schiera ed io, stiamo valutando diver se idee di possibili salite in montagna da fare insieme, durante il periodo di alta pressione in arrivo. Siamo quasi propensi ad andare all’Eiger, ma a un

Faccio un balzo sulla sedia e prendo il telefono in mano: “quella è la via di Berna!” gli rispondo d’istinto, spiegan dogli la breve storia dei nostri mes saggi.

Forse non è passato abbastanza tempo per tornare sulle Jorasses, forse è meglio fare altro e non seguire an cora le tracce di Berna dopo la salita al Badile, forse c’è troppa neve, forse fa freddo … i dubbi nella mia testa sono tantissimi, ma di colpo si diradano ed emerge un pensiero semplice e chiaro, che tante volte mi è stato fedele com

Berna con questa idea ci ha lascia to un regalo, andiamocelo a prendere e basta, facciamo una salita vissuta come sarebbe piaciuto a lui: in modo avventuroso e semplice, in montagna con gli amici, soffrendo e gioendo as sieme, per poi ritrovarsi alla fine a fe steggiare con una bella birra in mano.

Luca è d’accordo su tutto, l’Eiger sarà per un’altra volta. Chiamiamo an che Giacomo Mauri, giovane e talen tuoso ragazzo di Lecco, per comple tare il nostro trio.

Alle 8,30 del 23 febbraio siamo al parcheggio di Planpincieux e, piace

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Sopra: La relazione della via. Pagina a fronte: Luca Schiera parte dalla sosta del quarto tiro

In questa pagina dall’alto: Giacomo Mauri e il suo pesante zaino sul traverso del quinto tiro (V). Giacomo Mauri e Luca Schiera al termine del lungo avvicinamento al pilastro. Pagina a fronte: Luca Schiera sbuca in cima al Pilastro Ghiglione, con la Val Ferret inne vata sullo sfondo

vole coincidenza, incontriamo lì an che Franco Perlotto, che sta uscendo da una baita e si sta dirigendo verso Courmayeur. Dopo aver scambiato due parole con il mitico Franco, che negli ultimi anni ha gestito in modo impeccabile e caloroso il rifugio Boc calatte Piolti, mettiamo gli sci ai piedi e iniziamo a salire.

La salita non scorre certo rapida come in estate e la fatica si fa sentire, anche a causa di alcune parti troppo ripide, che ci obbligano a togliere gli sci e proseguire a piedi, sprofondando fino alla vita nella neve già scaldata dal sole.

Arrivati al rifugio, verso le 13,30, scopriamo che la porta è totalmente sepolta sotto due metri di neve! Per fortuna abbiamo con noi le nostre pale e, dopo neanche una mezz’oretta di lavoro possiamo entrare nella sala a goderci un po’ di meritato riposo.

Via all’alba

Mercoledì 24 febbraio, la sveglia suona alle ore 3 e nemmeno un’ora dopo lasciamo il rifugio Boccalatte, per scendere in direzione del ghiac ciaio. Ci sembra assurdo che nel bel mezzo dell’inverno la neve non abbia rigelato a sufficienza per sostenere il nostro peso: sfondiamo spesso la crosta superficiale gelata ed entriamo nella neve molle fino alle ginocchia!

Abbiamo previsto di salire la via in due giorni e con noi abbiamo zaini piuttosto pesanti, con tutto il materiale necessario per un bivacco.

Man mano che guadagniamo quota

Pagina a fronte: Luca Schiera sul quarto tiro (6b), una placca ben lavorata, nella prima parte del pilastro finale. In questa pagina: Giacomo Mauri e Luca Schiera impegnati sul sesto tiro (IV) nella parte appoggiata della sezione terminale del pilastro

la neve si fa più dura e il nostro passo più rapido e deciso. In due ore scarse siamo sotto la Tour de Jorasses; da lì il pendio si raddrizza, e dopo un’altra ora e mezza di fatiche, raggiungia mo i primi contrafforti rocciosi, in un tempismo perfetto con le prime luci dell’alba.

Attacchiamo un bello spigolo di roc cia ben lavorata, che parte pochi metri a destra della via “Bonino – Bracey”, per poi spostarci decisamente verso destra, e lo seguiamo per due lunghi tiri. Quindi un tiro di “trasferimento”, con un solo breve risalto roccioso, ci conduce sotto la prima parte del pila stro vero e proprio.

Vista dal basso, ed anche in base ai miei ricordi della vicina Tour de Jo rasses, mi ero immaginato questa zona di parete piuttosto liscia. Invece, scopriamo con nostra sorpresa, che la roccia è ben lavorata e ci permette di salire con un’arrampicata sempre va ria e piacevole. L’unica cosa non tanto piacevole sono gli zaini estremamente pesanti, che io e Giacomo trasportia mo come secondi di cordata, mentre Luca apre la via. Nonostante questo, però, non ci possiamo affatto lamen tare: siamo in inverno, siamo sulle Grandes Jorasses e stiamo scalando senza patire alcun freddo, su una roc cia bellissima e lavorata, in un ambien te spettacolare!

A mezzogiorno giungiamo nel cuore del pilastro vero e proprio, ci sentiamo tutti e tre in ottima forma e mi basta un rapido sguardo verso l’alto per capire che questa volta non bivac cheremo in parete. I miei compagni mi

chiedono se abbia voglia di prende re io il comando della cordata ed io li ringrazio perché su questa roccia così bella e lavorata, scalare senza il peso dello zaino è piacere puro.

L’ultimo tiro del pilastro merita una nota particolare, perché è perfetta mente verticale e ricco di appigli di ogni forma e dimensione.

Dopo aver raggiunto il punto più alto del Pilastro Ghiglione, proseguia mo lungo la cresta, che si unisce al ghiacciaio supe riore delle Gran des Jorasses e ci conduce sulla via “normale”, sotto le roccette della punta Walker.

Sono solo le 3 di pomeriggio, la salita è stata più facile del previsto, ma bellissima e molto appagante. Decidiamo di se guire la via nor male delle Gran des Jorasses in discesa per rag giungere il rifugio Boccalatte prima del buio.

Mentre scendo cerco di concen trarmi al massimo su quello che sto facendo e non pensare a niente altro.

È tutto così diverso da questa estate, per un attimo mi sembra di essere in un posto sconosciuto. Ma poi la mente si ridesta e il pensiero corre veloce a quel 7 agosto. Ho bisogno di parlare e spiego a Luca le immagini che stanno

scorrendo nella mia testa.

Poi il cuore si calma, la parte razio nale torna a prendere il controllo della situazione, noi continuiamo a scende re, sprofondando nella neve molle fino alla vita. Penso che in fondo il destino abbia voluto che il mio amico Matteo riposasse proprio in un bellissimo po sto.

Ci avrà guardata da lassù con Berna ed insieme si saranno fatti una bella risata brindando alla nostra!

Tutte le fotografie dell’articolo sono di Matteo Della Bordella
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Alpinismo e arrampicata

Rincoletture e cronache dall’Al(di)qua

Nonricordo quando, ma la prima volta che l’ho sentito nominare, è stato sicuramen te mio padre a farlo. Non so, se era la volta in cui aveva i pantaloni bucati proprio in quel punto, e di ritorno da una gita invernale aveva dovuto scon gelare, tra atroci sofferenze, il gingillo sulla stufa. Oppure, quella in cui era uscito dalla “Via”, a suon di flash della macchina fotografica. O forse anco ra, quando assieme ai suoi compagni, stanchi morti a notte inoltrata, aveva no guadagnato l’agognato bivacco e avevano sorpreso una giovane coppia in atteggiamenti inequivocabili. Non ricordo. Però ricordo bene la prima volta che qualcuno me l’ha indicato.

Sta di fatto che il Pizzo Coca è una montagna che risveglia in me bei ri cordi e intense emozioni.

Vorrei anche poter scrivere che è con questi caldi pensieri che mi ac cingo a intraprendere la gita. In realtà sono un quarto alle sette e fa un fred do del porco. Il parcheggio appena sopra la centrale idroelettrica Armisa è ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio e per scender dalla macchina servirebbero già i ramponi. Ghiaccia to a tal punto che, anche se a motore spento, la macchina scivola pericolo samente verso l’orlo dello spiazzo. Gli unici pensieri vanno al letto caldo ab bandonato.

Siamo io e mio fratello Valentino. Ah

IL NOME DEL PORCOCANE
Percorrendo l’aerea cresta che collega la vetta del Coca alla cima valtellinese dello stesso. Foto di Valentino Alquà

Da sinistra, nelle due pagine: Valentino, sci in spalla, nella parte mediana del canalone

Valentino seduto sulla croce di vetta. Di fronte il Redorta. Foto di Emiliano Alquà

Emiliano in discesa nello stretto e ripido canalino che permette l’accesso al canale Nord Ovest del Coca. Foto di Valentino Alquà

già, mio fratello. Una gita così emoti vamente evocativa non si poteva fare con nessun altro. L’avermi invitato è il suo regalo per il mio compleanno.

Vi basti sapere che già il nome, Valentino, addosso a mio fratello diventa un ossimoro (Va-velocino suonereb be più appropriato) e le uscite di sci alpinismo sotto i mille e cinque di di slivello per lui non sono gite. L’unica cosa che lo distingue dalle “tutine” è la passione per la montagna e il vestiario da sci alpinista.

Vorrei poter scrivere che è con questi pensieri che mi accingo a in traprendere la gita. In realtà siamo già alle prese con la ripida mulattiera che dalla centrale si inerpica nel bosco.

Vale mi ha promesso di mantenere un passo umano e io mi concentro nel lo sforzo di sembrare un umano. Però

tutto intorno è una luce crepuscolare che risveglia la valle e il silenzio è rot to solo dal rumore delle pelli. Il let to caldo è già scordato e pensieri si perdono tra i primi chiarori. Il freddo passa da porco a cane.

Un cartello mezzo sommerso dal la neve indica una deviazione per “I Forni” e Vale inizia a seguire quello che sotto il bianco manto parrebbe esser un sentiero che taglia di traver so il versante idrografico destro della gola. Da piacevole che era, in breve tempo ci troviamo a districarci tra una fitta vegetazione che in princi pio ci impedisce la progressione con gli sci, per poi costringerci addirittura ad una impietosa discesa giù per un lurido colatoio. Mentre a bordo tor rente riguadagniamo preziosi metri di dislivello persi, concordiamo sul fat to che un bel “ravanaggio” altro non può che valorizzare una grande gita di sci alpinismo. Andando in giro per monti capita bene un imprevisto ogni

tanto. Assieme abbiamo letteralmente lasciato una suola di scarpone sul Pizz Demet, una all’attacco della Biancograt, una scartavetrata di pelle in parete in Albigna e lo spigolo Gervasutti rim bomba ancora dei nostri cristoni.

Vorrei poter scrivere che è con questi pensieri che mi accingo a fare la gita. In realtà giunti al bacino dei Forni si apre maestosa la Val d’Arigna.

E qui non ci sono pensieri o parole di mentecatto che possano descrivere la bellezza di queste valli orobiche. Vi lascio indugiare sulle scarne foto qui pubblicate e, per fortunati che ne hanno, ai propri ricordi. Il caldo letto non ha più motivo di esistere e il fred do fa da cornice a cotanta bellezza.

Percorriamo il lungo pianoro, dal cui limitare si ergono imponenti anfiteatri rocciosi. Dopo aver superato un al tro splendido quanto insidioso bosco, giungiamo d’innanzi a quello che po tremmo definire un cimitero di valan ghe. Quest’anno assieme a tanti guai

è arrivata tanta neve e nel fondo della valle è venuto giù il finimondo. Attra versiamo umili i giganteschi accumuli, incespicando con gli sci e finalmente la traccia, che ora stiamo seguendo, inizia a salire. Scrivo “finalmente”, per ché è già un bel pezzo che caracol liamo in giro ma dislivello poco niente. Da qui, un lungo pendio ci porterà fino all’inizio del canale nord ovest ed è quindi giunta l’ora di entrare in moda lità Lamborghini. Ma non la macchina, la versione trattore cingolato che con le marce basse, piano piano, ti va su anche dai muri.

Vorrei poter scrivere che è con que sti pensieri che mi accingo a risalire la valle. In realtà per due ore mi immer go completamente in quella fase oni rica che si accompagna molto spesso ad uno sforzo fisico prolungato. Nel frattanto Vale assomiglia tanto ad un cane. Un momento lo vedo avanti un pezzo, poi si ferma, mi aspetta, riparte e lo vedo lontanissimo. Addirittura a un certo punto è dietro, poi mi sor passa e alla fine si fa così piccolo che lo distinguo appena. Esagero neh, siam

sempre a vista. Però, povero, si capisce che sta patendo le mie ridotte.

Il bivacco Resnati-Tempesti, che avremmo dovuto incontrare a quo ta 1920 m, è completamente sepolto dalla neve e comunque ho scordato di comprare l’altimetro dieci anni fa. Fatto sta che dopo lungo peregrinare raggiungiamo la base del ripido ca nalone. Vale ha già messo gli sci in spalla, calzato i ramponi ed è avanti un pezzo. Io esco dalla fase r.e.m. e mi preparo per la risalita. Siamo soli, l’ambiente è selvaggio, severo. Inutile dirlo, spettacolare.

Vorrei poter scrivere… in realtà i pensieri li ho abbandonati molti metri sotto perché pesavano troppo. Il ca nale fortunatamente è in buone con dizioni e la risalita risulta abbastanza agevole. Seicento metri di canale con gli sci in spalla. Quando alla fine esco sul colletto che porta alla cima val tellinese, non so più neanche il mio nome. Vale mi scodinzola soddisfatto. Io provo ad accarezzarlo ma ha già lasciato gli sci e corre via. Facciamo gli ultimi metri di cresta assieme, un

abbraccio e siamo in cima.

Finalmente ora posso scriverlo. So litamente raggiunta una vetta, oppu re scalata una parete, i miei pensieri vanno a mia madre, alla cui memoria dedico spesso le mie piccole imprese alpinistiche. Oggi, qui in cima al Coca, con lo sguardo che punta il versante opposto della Valtellina dove ha inizio la Val Fontana, i miei pensieri vanno a quel vecchio lupaccio di Marco. Che una bella sera di tanti anni fa, fuori dall’uscio della sua baita a San Ber nardo, puntando il dito verso la bella vetta di una montagna di là della valle, me ne chiese il nome. E io non seppi rispondere. Fu quella la prima volta che qualcuno mi indicò il Pizzo Coca. Marco, questa cima la dedico a te!

*Istruttore della Scuola di Scialpinismo del CAI Lecco, come il fratello Valentino

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SCIALPINISTI IN PANDEMIA

caratterizzata da tanta neve ma anche da tanti divieti dovuti alla pandemia.

Stefania

Valsecchi “Steppo”, anni 53, maestra elementare, ha una irriducibile passione per la montagna nata quand’era bambina nelle gite domenicali con papà e ami chetti, e non ha mai smesso di anda re per monti in tutte le stagioni e con tutti i mezzi possibili, a piedi, con gli sci, in bicicletta, percorrendo in lungo e in largo le Alpi e non solo. Dopo aver letto in più occasioni i racconti delle sue avventure consegnati alle pagine di questo notiziario, abbiamo pensato di rivolgerle alcune domande relative alla frequentazione delle nostre mon tagne nell’ultima stagione invernale,

Considerando il tuo dinamismo, la tua voglia di andare anche nelle situa zioni meno favorevoli, il tuo eclettismo e, soprattutto, il tuo essere skialper in una squadra agonistica (cosa che ti ha consentito di superare le limitazioni da zona rossa e di uscire dall’orizzonte delle montagne di casa), sei una buo na testimone di quanto si è vissuto in quest’ultima stagione invernale. Per la maggior parte degli sciatori è stata di poche soddisfazioni. A te come è an data?

“Avendo la fortuna di far parte di una squadra agonistica di scialpinismo, la AS Premana, anche nei momenti in cui la diffusione del virus imponeva strette limitazioni ho potuto realizzare

diversi itinerari con gli amati sci: nella maggioranza dei casi sono rimasta nei confini della provincia di Lecco che offre tantissimo, ma ho potuto anche spostarmi fuori territorio nei fine set timana in cui gareggiavo.”

Raccontaci quello che hai fatto con gli sci e anche senza. E dicci – a noi che abbiamo dovuto passare tante domeniche splendide dietro le finestre di casa - cosa hai potuto osservare “Oltre che escursioni con gli sci, ho girato con picca e ramponi le mon tagne del nostro territorio: Rese gone, Grigne, Campelli. E devo dire che lungo gli itinerari più accessibili di persone desiderose di “libertà” ce n’erano tante. Molte di queste, forse per la prima volta, si cimentavano sulla neve senza il contributo degli impianti

di risalita. Il giorno che salii ai Piani di Bobbio da Barzio per poi procedere sui canali che salgono alla Zucco dei Campelli, nel tratto tra Barzio e Bob bio c’era davvero una tale infinità di persone che sembrava di essere alle processioni serali di Lourdes, ma trovo questa realtà bellissima. Mi pare giusto che dopo tante ristrettezze, nel mo mento in cui ci si è potuti muovere, tanti abbiano sfruttato l’apertura per stare all’aperto anziché “abbruttirsi” nei centri commerciali o accalcarsi nel le vie centrali cittadine. Quel giorno mi colpirono le attrezzature che vidi indossate da tantissime persone: gli sciatori da pista, senza attrezzatura scialpinistica, risalivano il lunghissimo ed impervio pistone che sale a Bob bio con ai piedi gli scarponi da discesa, pesanti e con la suola non adegua

ta, e con i pesantissimi sci da pista in spalla non bloccati negli appositi spazi dello zaino perché giustamen te anche lo zaino non era quello dello scialpinismo. Lo sforzo per la risalita appariva veramente immane, ercu leo direi, con l’aggiunta del fatto che anche l’abbigliamento non era quello corretto: pantaloni e giacche imbotti te create per lo sci in pista dove non si compiono particolari sforzi, rende vano l’impresa simile alla risalita di un 8000… un passo-una pausa di re spiro, un passo-una pausa di respiro; ma non poteva essere altrimenti dato il peso che portavano e gli indumenti che indossavano. Eppure il desiderio di spazi aperti, di movimento, non li faceva desistere! Anche ciaspolatori erano in un numero elevatissimo e per molti di loro, dalla modalità incerta di

procedere, si capiva che era la prima volta: ben venga! Spero che abbiano molto apprezzato e continuino l’atti vità anche in futuro”.

Le limitazioni imposte dalla pande mia hanno acuito nella gente il desi derio di evasione verso luoghi ritenuti a torto o a ragione sicuri rispetto al virus, pensi sia così?

“Sì, ritengo senza dubbio che le re strizioni abbiano aumentato il desi derio di evasione, ma questo è ine vitabile, non poteva essere altrimenti. Se vieni privato di un bene, di una possibilità, è chiaro che ne percepi sci la mancanza in modo amplificato e ti adoperi con ogni mezzo e forza

Motto di Olano, Val Gerola, sullo sfondo il Pizzo Olano e il Pizzo dei Galli. Foto di Mauro Lanfranchi Le considerazioni di Stefania “Steppo” Valsecchi sulla stagione in zona rossa
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Il Motto di Olano. Foto di Mauro Lanfranchi
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per tornare ad esprimerla. Al di là delle limitazioni chilometriche, ricordo che per mesi siamo stati con locali chiusi, società sportive chiuse, punti di ritro vo sociale chiusi… come poteva esse re che non si sfruttasse l’opportunità di stare insieme dopo più di un anno di distanziamento e negazioni? Ci è stata ribaltata la vita da una sera alla mattina seguente, con divieti che nel la nostra “evoluta” civiltà dei diritti e delle opportunità pensavamo esistes sero solo in dittature remote e malate. È stato tutto così surreale che l’eva sione ricercata negli spazi aperti che la montagna offre è sembrata manna dal cielo.”

Nei negozi di articoli sportivi già a primi di febbraio era impossibile tro vare ciaspole e colla per le pelli. È evi

dente che molti sciatori di discesa si sono convertiti, anche loro dalla sera alla mattina, allo scialpinismo o alle ciaspole. Hai notato comportamenti inadeguati rispetto alla sicurezza? Sì, come ho già ricordato, molti sciatori da discesa o semplici cam minatori da pianura hanno affrontato la montagna invernale anche in salita utilizzando ciò che avevano a dispo sizione. Da parte loro non ho notato però comportamenti inadeguati ri guardo alla sicurezza: restavano sulle piste o in zone comunque non peri colose.”

di vista in proposito?

RIPENSARE LA MONTAGNA

La pandemia sembra avere accelerato la riflessione in atto da tempo nel CAI sulla necessità di ripensare il tu rismo di montagna, particolarmente quello invernale, in termini di sostenibilità ambientale.

Dopo il “Bidecalogo” del 2013, approvato con delibe ra assembleare a Torino in occasione dei 150 anni del Sodalizio, che dedicava già ampio spazio al “Turismo in montagna” e ai “Cambiamenti climatici”, alla fine del 2020 il Comitato Centrale di controllo del CAI ha approvato un documento specificamente dedicato alla frequentazione della montagna invernale dal titolo “Cambiamenti climatici, neve, industria dello sci. Ana lisi del contesto, prospettive, proposte”. Elaborato dalla Commissione centrale tutela ambiente montano (CCTAM), il documento condivide le posi zioni dei Club alpini del nord delle Alpi e acquisisce il recente “International Report on Snow and Mountain Tourism”. Il testo analizza tutte le criticità della mo nocultura dello sci su pista, un modello attualmente in sofferenza sia per ragioni climatiche che di mercato, dannoso per l’ambiente e destinato a fallire anche sul piano economico.

Le prospettive parlano di diversificazione delle offerte,

di turismo “dolce”, di attività sostenibili che tengano conto della specificità dei singoli territori, di montagna vissuta e abitata, di flussi turistici più rispettosi della natura e più costanti.

La speranza è che la recente stagione invernale carat terizzata da abbondanza di neve e chiusura forzata delle stazioni sciistiche sia stata l’inizio di un percorso virtuoso fatto di passeggiate a piedi o con le ciaspole, di pelli, di sci da fondo, di mountain bike, all’insegna di un turismo di prossimità che faccia riscoprire le mon tagne dietro casa. E siccome questa tendenza, se con fermata, coinvolgerà neofiti e gente con poca esperien za, sarà necessario preoccuparsi della loro sicurezza, organizzando campagne di prevenzione e formazione sui rischi.

Il numero di febbraio 2021 di Montagne 360, sotto la fascetta “Oltre l’industria della neve”, pubblica una carrellata di interventi firmati da alpinisti e scialpini sti, tecnici dell’ambiente e del soccorso, economisti, scrittori; allo stesso argomento è dedicato anche l’edi toriale del Presidente generale del CAI Vincenzo Torti. A questi scritti facciamo riferimento per un approccio divulgativo ai vari temi da noi solo accennati.

La pandemia sembra avere acce lerato la riflessione, in atto da tempo nel CAI e nei frequentatori della mon tagna più sensibili ai temi ambientali, sulla necessità di ripensare il turismo di montagna, particolarmente quello invernale, anche alla luce dei cam biamenti climatici in atto, per trovare modalità sostenibili. Qual è il tuo punto

“Su questo punto non ho da ag giungere nulla rispetto alle valutazioni fatte nel documento del CAI nazionale citato nel numero 2/2021 della rivi sta Montagne 360. Mi trova d’accordo. L’unica cosa che posso dire è che io non scio più in pista da quando avevo 18 anni, se si escludono le tre volte a stagione in cui accompagno i cie chi (ma la motivazione in questo caso è diversa dal semplice passatempo sportivo). In questi anni ho maturato una certa repulsione verso gli impianti sciistici e le balere improvvisate lungo le piste che invadono la montagna e creano anche uno scempio acustico. In questo senso non faccio testo. Mi viene da dire che se fosse per me smantellerei tutto, ma capisco che la questione è complessa e non si pre sta a troppo facili semplificazioni, dato che non coinvolge solo gli utilizzatori delle stazioni sciistiche ma anche le tante persone direttamente o indiret tamente occupate nel settore”.

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Sul Motto di Olano in Val Gerola. Foto di Mauro Lanfranchi Val Lunga di Tartano. Foto di Mauro Lanfranchi

RICORDO

Ritratto di una segretaria efficiente e appassionata

Gli amici e le amiche del GEO

Precisa, puntuale, implacabile nel ricordare impegni, date, sca denze, ma la sua dedizione al GEO era sempre accompagnata, an che nei momenti e con le persone che avrebbero meritato una risposta più brusca e sbrigativa, da un sorriso, da una gentilezza, da una disponibili tà che l’hanno sempre contraddistinta. Non si arrabbiava quasi mai, ma quan do lo faceva…voleva dire che la cosa era seria, ma seria davvero!

Ambrogina, la nostra piccola/gran de segretaria ci ha lasciati e ancora stentiamo a realizzare la portata del vuoto che si è venuto a creare.

Oltre alle statistiche, alla contabili tà minuziosa e certosina che spesso sorprendeva le persone che si ve devano restituire piccole somme per servizi non goduti, Ambrogina aveva anche una grande curiosità che la portava ad andare al cinema, a leg gere e ad organizzare le gite culturali del GEO; solo per ricordarne qualcuna potremmo citare la visita alla mostra di Segantini a Palazzo Reale di Mila no, ai Macchiaioli di Lecco, a Venaria Reale, al Museo Egizio di Torino, alla mostra bolognese dove era esposta “La ragazza dell’orecchino di perle” e la lista sarebbe lunga, lunga come i tanti anni da lei dedicati al gruppo dei Seniores del CAI di Lecco.

Originaria di Sesto San Giovanni si era trasferita a Lecco quasi trent’an ni fa e si era inserita nel gruppo di

escursionisti capitanato dalla fonda trice Anna Clozza.

Insieme al consuocero Marcello Sellari (che sarà prima vice presiden te e poi dal 2004 al 2017 Presidente del GEO) Ambrogina aveva da subito rivestito l’importante ruolo di segre taria.

Le indiscusse capacità organizzati ve le venivano dall’aver svolto la stes sa funzione con manager apicali di un’importante azienda dell’hinterland milanese, competenze che ha riversa to con passione nel GEO, fino all’ulti mo (la settimana azzurra alle Eolie del settembre 2019 e la settimana bianca in Val Pusteria del marzo dello scorso anno, proprio a ridosso del lockdown, ne sono una piccolissima testimo nianza).

Sempre “implacabili” i suoi memo al consiglio direttivo, la preparazione dei pranzi sociali curata fin nei più piccoli dettagli (quanta pazienza nell’orga nizzazione dei tavoli!), oppure delle assemblee annuali del GEO e della se zione del CAI Lecco che la vedevano al tavolo a prendere appunti per redi gere impeccabili verbali.

Una mole di lavoro enorme, sempre supportata dal marito Gino al quale ri volgiamo un abbraccio affettuoso.

Ma soprattutto ci mancheranno il suo sorriso gentile, la sua grande di sponibilità nei confronti di tutti.

DI AMBROGINA FARINA
Ambrogina sorridente durante le ultime escursioni del GEO sulla neve. Foto di Lina Astorino
Ciao Ambrogina!

TRA DIGITALE E NATURA

Il programma della X edizione del la manifestazione Monti Sorgenti, organizzata dal CAI Lecco in col laborazione con la Fondazione Cassin e il Gruppo Ragni della Grignetta, si è svolta tra 29 aprile e il 10 giugno: una ricca serie di eventi in streaming e in presenza, che hanno spaziato dal grande alpinismo all’arte, dallo sport alla musica, dai film alle escursioni, sempre con la montagna come pro tagonista.

Gli eventi sono stati progettati per garantire lo svolgimento della manife stazione in qualsiasi condizione di re

strizioni Covid. Alcuni regalano film e contenuti fruibili da remoto, altri han no luogo sul territorio all’aperto e altri ancora suggeriscono idee ed escur sioni da vivere di persona, ognuno con propri tempi e modi.

“L’emergenza Covid, che tra alti e bassi continua a condizionare le nostre vite – ha dichiarato Alberto Pirovano - ci ha indotto a cercare nuove so luzioni che consentano lo svolgimen to della X edizione di Monti Sorgenti, sospesa nel 2020. Con flessibilità e creatività abbiamo messo in piedi una rassegna ancor più ricca e originale degli altri anni, in grado di riportare la montagna ad essere protagonista anche in città, nel pieno rispetto delle normative vigenti. A volte le difficol tà spalancano le porte all’innovazione e all’esplorazione, che permettono di vivere esperienze uniche, non neces

sariamente dall’altra parte del mondo”.

Gli eventi dal vivo hanno avuto ini zio il 29 aprile con l’inaugurazione in diretta streaming dalla Sala Conferen ze del Palazzo delle Paure di un’in teressante mostra allestita presso la Torre Viscontea dedicata alle Grigne e alla storia delle relazioni tecniche delle vie di salita: “Raccontare le vie. Disegni e parole al servizio degli scalatori” a cura di Alberto Benini e Pietro Corti, con l’originale grafica di Marta Cas sin. Un fantastico viaggio attraverso la storia dell’alpinismo che si snoda at torno a tre grandi vie di scalata, vere classiche del XX secolo: la Cresta Se gantini (1905), il Sigaro (1915), il Pila stro Rosso (1975). Uno sguardo su un tipo di letteratura di montagna poco esplorato, ma che può costituire un punto di riferimento per gli scalatori

del presente, dominato da un’overdo se di informazioni e di fonti non sem pre documentate.

Sabato 8 maggio si è svolta un’i nedita manifestazione di Street art a Lecco in piazza Garibaldi: cinque ar tisti (D. Mace, Diego Finassi, Tommy Sper, Teradrop, Canicola) hanno rea lizzato in diretta le loro opere dedicate all’alta quota che poi saranno donate al Comune per abbellire angoli della città.

Gli appuntamenti di domenica 16 maggio (Yoga e Capoeira in monta gna a Campo de’ Boi) e il concerto al rifugio Stoppani con il gruppo “Men on the road - Acoustic Trio” sono stati annullati a causa delle pessime previsioni metereologiche.

Giovedì 20 maggio, presso il bar Da

Toni alla partenza della funivia per i piani d’Erna un’interessante incontro, trasmesso anche in diretta streaming, con la nutrizionista Donatella Polvara sull’alimentazione in ambienti estremi, in particolare quelli caldi.

Domenica 23 maggio è stata inau gurata una mostra all’aperto in mezzo al bosco dal titolo “Rispetta la natura. L’arte e il bosco in dialogo”. Disegni di alunni del Liceo Artistico Medardo Rosso, guidati dal professor Fabrizio Martinelli.

Ad arricchire il programma, appunta menti digitali periodici con la proposta di film in esclusiva tratti dalle pellicole prodotte da Monti Sorgenti negli ulti mi dieci anni e una serie di escursioni suggerite settimanalmente da perso naggi del CAI e del Gruppo Ragni.

Gli appuntamenti al cinema han no offerto “Prese Libere”(la storia dell’arrampicata in falesia nel ter ritorio lecchese) e “Storia di una goccia”(l’incredibile viaggio di una goccia d’acqua accompagnata da quattro sportivi che si allenano tra i suoi elementi), entrambi diretti da Ni coletta Favaron; “Solo per passione” (la storia umana e alpinistica di Mario Panzeri, terzo italiano ad aver salito le vette più alte del mondo senza l’uso dell’ossigeno) e McKinley 1961: storia di un’amicizia” (la voce dei protago nisti della storica impresa guidata da Riccardo Cassin), con la regia di Paola Nessi.

Mostra “Raccontare le vie”. Un tocco di natura creato con rami di mugo da Alessandro Dubini (designer) a sinistra con Michele Milani e Manuel (ditta Milani Giardini di Galbiate). Foto di Adriana Baruffini
Monti Sorgenti torna quest’anno con un’edizione speciale
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McKinley 1961, la foto di vetta. Foto archivio Fondazione Cassin
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Il progetto “Condividere la monta gna” ha invece proposto per un mese, sui social e sul sito di Monti Sorgenti, una serie di itinerari finalizzati a far scoprire tutte le potenzialità dei nostri monti. Non solo a piedi, ma anche in mountain bike o in arrampicata. Ogni settimana sono stati pubblicati due iti nerari presentati da ambassador d’ec cezione: Emilio Aldeghi, Stefania Val secchi Steppo, Marco Giudici, Alberto Pirovano, Renato Vassena e Gerri Re Depaolini.

L’invito era a ripercorrere gli iti nerari proposti, scattare fotografie e poi condividerle su Facebook e In stagram partecipando a un concorso con la possibilità di vincere un’incisio ne dell’artista lecchese Bruno Biffi che accompagna con le sue opere Monti Sorgenti fin dalla sua prima edizione.

A conclusione di questa storica edizione due appuntamenti imperdi bili per gli appassionati di alpinismo: un convegno organizzato dal CAI Lombardia con Matteo della Bordel la, Federica Mingolla e Silvio Gnaro

Mondinelli come protagonisti; e una serata dedicata al 60° anniversario della prima salita al McKinley (Alaska) compiuta dalla spedizione lecchese guidata da Riccardo Cassin nel 1961. “Una salita che ancora oggi merita alti onori alpinistici per chi ne raggiunge la vetta – dice Marta Cassin, portavoce della Fondazione Cassin – e una sto ria che può ancora insegnare molto: penso all’organizzazione e la gestione di una spedizione oltre oceano negli anni ‘60, alla ricerca e allo studio del la montagna prescelta ma mai vista, al relazionarsi con una cultura tanto diversa, alle abilità alpinistiche di tutti componenti e alle comunicazioni e relazioni accurate con sostenitori e gli sponsor”.

“Siamo convinti di aver trovato una formula convincente e dinamica ca pace di coinvolgere il pubblico ad ogni livello - conferma Emilio Aldeghi, co ordinatore della manifestazione - Vo glio ringraziare i partner e gli sponsor che ci hanno sostenuto accettando il rischio collegato alla situazione pan demica in corso, e tutti collaboratori di Monti Sorgenti che hanno lavorato con il consueto entusiasmo. È questo lo spirito che ci farà ripartire”.

IL CAI LECCO AL TEMPO DEL COVID I percorsi web di Monti Sorgenti Off

Finiti

i cori di Bella ciao, finite le partite a tennis da un condomi nio all’altro, ammainate le ban diere, scalati gli armadi di casa, disdet tato il bus, rubata qualche camminata zitti zitti, ma il CAI cosa fa? Boh, la sede è chiusa, forse non si può fare neanche la tessera, non parliamo di organizzare gite, chi sale sul pullman? Saltata la stagione di sci di fondo, siamo in attesa di riprendere qual che attività, sempre se il virus si dà una calmata. Allora prepara un piccolo programma per le prossime eventuali gite. Si potrebbe fare un tratto della Via Regia da Torno a Nesso, si po trebbe andare ad Arcumeggia, il pri mo paese in Italia a ospitare affreschi murali realizzati da giovani artisti, che poi sono diventati dei maestri assolu ti, si potrebbe andare in Val Bregaglia sopra la cascata dell’ Acqua Fraggia, si potrebbe... Porca miseria non si può! Niente. Il vuoto. Allora? Fino a quando

possiamo rimanere inerti, come pugili suonati? Qualcuno organizza incontri virtuali, si dice. Eh ma non è come in presenza, manca la f s i c i t à !

Quando ti senti al telefono la fisi cità è quella della voce, adesso con internet si aggiunge anche la fisicità dell’immagine in movimento, manca solo l’ atmosfera e … l’ odore. Possiamo considerarlo un passo di avvicina mento al reale? Abbiamo guadagnato qualcosa, il famoso bicchiere mezzo pieno.

Piano piano si moltiplicano i webi nar, e, se ti mancano concerti o con ferenze, meglio un succedaneo piut tosto che niente. Così, tra una lezione e una riunione web, va a finire che ci prendi la mano e quasi quasi non ne hai mai abbastanza.

E se anche il CAI Lecco provasse a fare qualcosa? Ecco l’origine del mini ciclo di 4 conferenze che hanno oc cupato i 4 mercoledì del mese di apri le, con una coda nei 2 mercoledì cen

trali di giugno. Scontati alcuni intoppi tecnici determinati dall’inesperienza, si può dire che la riuscita sia positi va, visti i numeri delle visualizzazioni che, nel caso delle prime 2 conferenze, hanno superato le 380, con le suc cessive che pian piano stanno guada gnando quote. La scelta di pubblicarle su YouTube si è rivelata azzeccata, perché rimarranno pubbliche molto a lungo permettendo a chiunque l’ac cesso in qualsiasi momento, magari anche ai non soci che, chissà, potreb bero diventarlo.

L’argomento della prima era: “Rifugi alpini del CAI: tra nuovo regolamento e prospettive per il futuro”. Il nostro presidente Alberto Pirovano ha tenuto una lezione molto chiara e dettaglia ta sull’ argomento, di cui è un esperto assoluto e riconosciuto tant’è che fa

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Sopra: Street Art a Lecco in Piazza Gari baldi, sotto dall’alto: Matteo Della Bordella, Federica Mingolla e Silvio “Gnaro” Mondi nelli
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Cammino di Santiago, Mesetas. Foto di Claudio Santoro

parte della Commmissione Centrale Rifugi del CAI e tiene corsi ai rifugisti. E’ stata una bellissima lezione anche dal punto di vista ambientalista, perché ha illustrato, tra l’ altro, il ciclo dell’ ac qua nei rifugi: dalla difficoltà di appro vigionarsene alla difficoltà di depu rarla, una volta usata, senza inquinare, cosa che richiederebbe l’uso di deter sivi bio che non sempre hanno con sé pensionanti dei rifugi, oltre all’u so di energia pulita che non sempre è sufficiente a sostituire generatori. Ha chiarito i risvolti legali e giuridici sia per i rifugisti che per gli avventori, stigmatizzando alcuni comportamen ti scorretti di alcuni e invitando tutti ad affrontare la montagna con spirito collaborativo, come deve essere in un ambiente non facile come le terre alte.

La seconda conferenza “I cammi ni verso Santiago de Compostela” è stata tenuta da Claudio Santoro, te soriere del GEO e pellegrino compul sivo avendo percorso più tratti dell’i tinerario descritto. Dopo aver detto che il camminare è la prima attività dell’uomo, necessaria a procurarsi il sostentamento, ha tracciato una breve storia dei grandi cammini dall’antichità

ai nostri giorni, dall’esodo degli Ebrei dall’ Egitto e dalla marcia di Mar tin Luther King alla maratona di New York, per passare ai grandi cammini religiosi come il cammino alla Mec ca, la Via Francigena, il Cammino di Santiago e altri in Oriente e America Latina. Molto interessante la storia di San Giacomo (Santiago) apostolo di Gesù. Molto bella la cartina che mo stra una ragnatela incredibile di per corsi che attraversano la Spagna e convergono tutti in quel di Santiago de Compostela, ormai universalmente conosciuto. Con qualche dritta pratica per gli eventuali pellegrini e qualche spiegazione normalmente richiesta si conclude la conferenza.

“Con il CAI in gruppo. Implicazioni psicologiche dell’attività escursionisti ca di gruppo in montagna” è la terza conferenza tenuta da Bruno Marco ni, professore in pensione, iscritto al CAI dal 1987, ex presidente del CAI sez. de L’Aquila, ex presidente della Commissione Regionale di Escursio nismo in Abruzzo e molte altre cose. Facendo riferimento all’opuscolo del CAI in merito, ha svolto un tema nor malmente trascurato, ma proprio per questo necessario. Interessante la classificazione dei gruppi, con le impli cazioni relative, a secondo del numero dei componenti che condizionano le

dinamiche, conoscendo le quali si può agire per mantenere unito il gruppo e accrescere le motivazioni dei suoi membri, per rendere più attiva la loro partecipazione. Ogni gruppo ha delle sue caratteristiche, ma ce ne sono di fondamentali, senza le quali non si può parlare di un NOI, ma di individui sin goli. Una conferenza da vedere e ri vedere per approfondire sempre di più.

La quarta ed ultima conferenza ha per titolo: “Il sentiero del vian dante: finalmente! Un sentiero lungo 10 anni”. Il relatore Sergio Poli è un tecnico forestale ERSAF da 30 anni, che ha tracciato sentieri come la DOL (Dorsale Orobica Lecchese), l’Anel lo del Resegone, il Sentiero dei Massi Erratici a Valmadrera e che ha ulti mato il Sentiero del Viandante; inoltre è coautore di alcuni libri di interesse

locale e articoli su varie riviste tra le quali anche questa che avete tra le mani. Il Sentiero del Viandante che conoscevamo era quello da Abbadia a Colico, ma poi è entrato a far parte di un progetto molto più grande, cioè un percorso, detto di Leonardo, che parte da Milano e arriva al S. Bernardino, in Svizzera. Molte foto hanno arricchi to la presentazione, mostrando i punti interessanti o storici del percorso, per finire con maggiori dettagli sull’ultima realizzazione, cioè il tratto mancan te da Lecco ad Abbadia, con la scala che permette di oltrepassare la galleria della ss 36. Presentazione ricca, gra devole e di stretta attualità, apprezzata da un notevole numero di persone.

Insomma, a conti fatti, questo pic colo percorso web di Monti Sorgenti Off si è dimostrata una strada interes sante da battere, anche perché è sta to condiviso con tutte le sezioni CAI della provincia di Lecco e ha fornito anche a quelle più piccole occasioni di informazione e crescita per i soci.

DA LECCO ALLA VAL DI MELLO

Ci voleva un implacabile esploratore di sentieri come Luigi Marcarini perché l’ultimo ag giornamento arrivasse in libreria esattamente in coincidenza con l’apertura del tratto LeccoAbbadia. Il sentiero del viandante, fresco di stampa nella sua quarta edizione che arriva a 4 anni dalla terza e a 25 anni dalla prima, può fregiarsi questa volta di un sottotitolo speciale, da Lecco alla Val di Mello: sì perché finalmente sono stati realizzati l’auspicata connessione con Lecco e il prolungamento in Valtellina e Valmasino “battezzando un ideale gemellaggio - scri ve l’autore nella premessa - fra la città dei Ragni e la valle del Bouldering”. Grazie a questi in terventi il Sentiero del Viandante, partendo dalla stazione del capoluogo, si trova collegato con la Strada Priula (Morbegno-Bergamo attraverso il Passo San Marco), con il Sentiero Valtellina (Colico-Sondrio-Tirano-Grosio) e con i percorsi pedemontani retici e della Valchiavenna: insomma “uno dei più bei trekking di media distanza in Italia, frequentato in tutte le stagioni da escursionisti di ogni provenienza”.

L’autore richiama il valore storico del sentiero, nato secoli fa per far fronte alle necessità di spostamento di pastori e trafficanti e ora restituito agli escursionisti che lo percorrono “non più per bisogno materiale ma per piacere del corpo e dello spirito”. Ricorda le molte “sorprese” dell’itinerario: panorami, singolarità geologiche e botaniche, testimonianze storiche e artisti che, casali, campi e uliveti che parlano di una quotidianità del presente, componendo i paesaggi tanto celebrati da poeti e scrittori. Accenna infine all’impegno delle amministrazioni della sponda orientale del Lario e della Bassa Valtellina, unite in un Accordo di Pro gramma per interventi di cura e valorizzazione del sentiero, in primis la mappatura tramite GPS dei segnavia, la loro ricollocazione e la realizzazione di bretelle di collegamento con le stazioni ferroviarie.

LA DOL DEI TRE SIGNORI

Il cammino della DOL (Dorsale Orobica Lecchese), nato nel 1995 all’interno della Provincia di Como come itinerario escursionistico da Colico al Valico di Valcava, rilanciato e ampliato a partire dal 2015, è diventato recentemente argomento di una guida il cui titolo ne suggerisce il percorso fra le province di Bergamo, Lecco e Sondrio, evocando il monte che secoli fa è stato il punto d’incontro tra la Repubblica di Venezia, il Ducato di Milano e il Cantone dei Grigioni. “Un ideale fulcro montano per un cammino lungo il quale si coglie non solo la bellezza della varietà del paesaggio e la presenza di fauna e flora ma anche la ricchezza dei segni culturali, artistici e rurali, frutti della relazione secolare e profonda tra uomo e natura che ha reso questi luoghi ciò che sono oggi, forgiandone il carattere culturale”.

La descrizione dell’itinerario inizia dalla stazione di Bergamo, si snoda attraverso la Città Alta e il Parco dei Colli fino alle chiese romaniche di Almenno, sfiora il Pizzo dei Tre Signori e raggiunge la Bocchetta di Trona per poi puntare su Morbegno o dirigersi con una variante verso Premana e Colico. Un racconto che è uno spaccato dell’ambiente naturale e umano delle Alpi Centrali: dalla pianura fortemente antropizzata, attraverso le Prealpi, a montagne con caratteristiche alpine che raggiungono e superano i 2000 metri nelle quali sono costantemente presenti i segni del passaggio dell’uomo.

Il percorso principale si svolge in cinque giorni, prevedendo anche espansioni nelle valli per raggiungere attraverso sentieri poco conosciuti paesini spesso dimenticati ma con una propria identità culturale. Per usare ancora le parole degli autori, “La DOL va imma ginata come un fiume di pietra e prati che scorre alto sopra le nostre teste, raggiunto da sentieri i quali, come affluenti che fluiscono

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Albano Marcarino IL SENTIERO DEL VIANDANTE Da Lecco alla Val di Mello lungo il Lago di Como Ediciclo Editore, Portogruaro (VE), aprile 2021
RECENSIONI
Qui sopra, da sinistra: Bruno Marconi e Alberto Pirovano. Foto di Domenico Sacchi

Fra le sorprese del cammino, accanto agli animali e alle fioriture, la guida annota le interessanti produzioni agro-alimentari locali che possono renderlo più piacevole, contribuendo a far conoscere queste montagne, primo passo per mantenerle vive.

BENTORNATO GOBETTI

Sperando che non mi legga, giunto quasi al confine dei 70 (anni) l’Andrea Gobetti torna a deliziarci di avventure e racconti sotto (dentro) e sopra terra come solo lui sa fare. Un libro pubblicato per i suoi 68 anni, nel 2020. Chissà se ha fatto caso alla numerologia che rimbalza al 1968, non tanto l’anno, quanto il movimento di cui è stato interprete e geniale cronista, a suo modo.

Non una riga di rimpianto per il tempo andato, ma uno sguardo insieme partecipe e distaccato, attento a cucire passato e presente, luoghi vicini e lontani: Filippine, Albania (principalmente “prima che diventi Europa”) e il Marguareis, con i necessari passaggi fra l’uno e l’altro. In cambio un impasto bellissimo di vecchie e nuove storie.

Gobetti gioca col tempo e con lo spazio, ma soprattutto col ritmo delle grotte. Che è un ritmo tutto diverso da quello di fuori. Con un tempo che si consuma in modo radicalmente differente. Decisamente più lento. Che richiede un’immersione piena e un’adesione totale, stabilita dal fatto che dentro la luce, se non ce la portiamo noi, non c’è.

In queste pagine ritroviamo molto della concretezza autobiografica di Una frontiera da immaginare (1976, più volte ripubblicato), qualcosa di Drammi e diaframmi (1997), meno della scrittura immaginaria e fantastica di Le radici del cielo (1986).

È un Gobetti diretto, ma che si conferma attento utilizzatore di parole e padrone di un fraseggio raffinato dove l’indicativo serve a parlare di cose avvenute o che stanno avvenendo mentre condizionali e congiuntivi danno ragione di quanto sta nel mezzo, dei pensieri, dei dubbi, delle incertezze. Lo scanzonato maturando che aveva risposto allo sciagurato commissario di maturità che gli aveva domandato chi fosse Benedetto Croce: “Un amico di mio nonno Piero e di mia nonna Ada” ha mantenuto lo stesso ironico distacco, il medesimo gusto per la battuta lasciata cadere dopo un’attesa brevissima, ma sufficiente a stamparla, indimenticabile nella memoria dei lettori.

E ritorna sugli anni della giovinezza e degli scontri di piazza per rievocarne la violenza non solo verbale, ma anche la fantasia e la voglia di cambiare il mondo.

La lezione che sembra di poter ricavare è che guardare il mondo con occhi nuovi o, forse meglio, guardare pezzi di mondo nuovi con i nostri vecchi occhi è una buona ricetta per non invecchiare. O per farlo bene. Non c’è autocompiacimento, e chi è un affezio nato lettore ritrova con piacere certi stilemi, come una strizzata d’occhio a confermarti che l’Andrea Gobetti è ancora lui, sempre lui.

E con lui, alla pari, giovani compagni e le ombre in qualche modo vicine dei grandi assenti Roberto Bonelli (Crazy Horse) e Giampiero Motti su tutti.

Per nulla inossidabile, anzi orgogliosamente ossidato, nemico delle fatiche inutili, degli allenamenti, sempre convinto che in giro per il mondo si va con cervello, per prima cosa.

Un libro sotto la doppia insegna della libertà e della curiosità: due fra le cose più belle incontrate (forse create) dall’uomo nel suo cammino.

POST SCRIPTUM La figura di Roberto Bonelli (1954-2017), punteggia il bellissimo racconto di Antonio Franchini “Grande fiume dai due cuori” contenuto nel volume Il vecchio lottatore e altri racconti postemingueiani (Enne Enne Editore, Milano, 2020) dedicato a una solitaria discesa in canoa del Po.

Negli ultimi mesi ci hanno lasciato:

Ambrogina Farina: segretaria e animatrice del gruppo seniores del CAI Lecco. Gli amici del GEO la ricordano in un articolo dedicato su questo stesso notiziario.

Anna Maria Aondio Faccinetto: madre del nostro direttore responsabile, si è spenta a 103 anni. Era stata premiata nel 2014 come socia settantennale.

Antonio Invernizzi “Pioppo”, così soprannominato per la sua magrezza. E’ entrato a far parte del gruppo Ragni nel 1959 con Giulio Tavola e Casimiro Ferrari. Oltre all’attività alpinistica in Grigna, ha al suo attivo alcune importanti salite, come lo Spigolo Giallo alla Piccola di Lavaredo scalato nel 1958 con Giuseppe Ferranti; una delle prime ripetizioni nel 1959 con Casi miro Ferrari e Giulio Milani della via tracciata da Alfonso Vinci e Paolo Riva sulla parete nord del pizzo Ligoncio; l’apertura nel 1958 con Dino Piazza di una nuova via sulla parete ovest dell’ago di Sciora.

Corrado Zucchi, fratello di Annibale e di Giovanni, mandellese, ragno dal 1961 e guida alpina, ha incominciato ad arrampica re da molto giovane e ha salito montagne dell’intero arco alpino e delle Dolomiti, affrontando anche vie di grande impegno; ricordiamo fra tutte la prima ripetizione “lecchese” con Roberto Osio della Cassin alla Walker e la prima ascensione dello spigolo sud-est e parete sud della Torre Venezia in Civetta.

In Grignetta ha condotto una sua personale attività esplorativa, spesso con clienti, realizzando quel piccolo gioiello che è la “Zucchi” al Pilastro Centrale della Segantini, uno dei più interessanti percorsi “facili” delle nostre montagne, estremamente popolare fra gli scalatori.

È stato membro del Soccorso Alpino. Ha partecipato anche a spedizioni alpinistiche extra-europee in Africa (monte Kenya, Kilimangiaro, Ruwenzori, vulcano Nyiragongo nello Zaire, monte Hoggar nel deserto algerino) e sulle Ande peruviane. Era un “lupo del Monte Bianco” per avere svolto il servizio di leva come alpino presso la Caserma” Monte Bianco” di La Thuile della Scuola Militare Alpina di Aosta con specializzazione di roccia e sci alpinismo; nell’ambito di tale scuola gli fu affidato l’incarico (abitualmente riservato a ufficiali e sottufficiali in servizio permanente effettivo) di Istruttore al corso per Istruttori Militari di Alpinismo. Anni fa ha raccontato questa esperienza sul nostro notiziario. Altre sue annotazioni autobiografiche si trovano nel libro Ragni di Lecco 50 anni sulle montagne del mondo al quale prestò la sua collaborazione facendo parte (con Franco Spreafico, Dino Piazza, Roberto Osio, Giuliano Maresi, Dario Cecchini, Carlo Aldé) della commissione incaricata di affiancare l’autore nella redazione del testo.

Quando la rivista era già in stampa, ci è giunta la notizia della scomparsa di Giovanni Ratti, il più anziano componente del Gruppo Ragni. Lo ricorderemo in un prossimo numero.

Ai famigliari delle persone scomparse l’abbraccio affettuoso di tutta la sezione

Alberto Benini Andrea Gobetti DAL FONDO DEL POZZO HO GUARDATO LE STELLE: MEMORIE DI UN ESPLORATORE OTTIMISTA E RIBELLE Società Editrice Milanese, Milano, 2020 verso l’alto, salgono da vallate ricche di storia e tradizioni: San Martino, Imagna, Valsassina, Taleggio, Brembana, Varrone, Gerola e Valtellina”. Adriana Baruffini Sara Invernizzi, Ruggero Meles, Luca Rota DOL DEI TRE SIGNORI - DORSALE OROBICA LECCHESE Moma edizioni, dicembre 2020
LUTTI 79Vita di Sezione

NOTIZIE IN BREVE

EMILIO ALDEGHI PRESIDENTE DEL CAI LOMBARDIA

L’Assemblea regionale dei delegati, riunita domenica 2 maggio in call conference, ha eletto con 172 voti Emilio Aldeghi alla presidenza del CAI regione Lombardia. Subentrato a Renato Aggio, il neoeletto ha svolto nell’ultimo triennio l’incarico di vicepresidente regionale dopo due mandati come consigliere. E’ noto nell’ambiente del CAI Lecco per un lungo impegno iniziato nel 1983 nelle file dell’Alpinismo Giovanile e continuato come membro del Consiglio Direttivo fino alla presidenza della sezione retta per due mandati.

Per il Consiglio Direttivo del CAI regionale è stata eletta anche un’altra iscritta al CAI Lecco, Do natella Polvara, attualmente membro del Consiglio direttivo sezionale, mentre Maurizio Mariani (CAI Lecco) è stato eletto come Revisore dei Conti.

Alla vicina sezione di Calolziocorte appartiene Cinzia Mazzoleni, entrata anche lei a far parte del Consiglio regionale.

Da ricordare infine i lecchesi, ben 7, eletti nelle Commissioni regionali: nella Commissione Tu tela Ambiente Montano Mariangela Riva (CAI Missaglia); nella Commissione Rifugi Tiziano Riva (CAI Lecco); nella Commissione Seniores Michele Bettiga (CAI Lecco) e Bruno Marco (CAI Man dello); nella Commissione alpinismo giovanile Marco Corbetta (CAI Calco) e Davide Ollasci (CAI Valmadrera); nella Commissione Sentieri e Cartografia Sergio Poli (CAI Lecco).

Congratulazioni a tutti gli eletti e auguri per il lavoro che li attende.

I FOLLETTI DEI BOSCHI

La Natura e la Montagna non temono il covid.

I cicli vitali della Terra, immutati da millenni, continua no indisturbati ed incuranti della pandemia che affligge noi uomini.

Le foglie germogliano, tingono i paesaggi di mille colori; e poi cadono a terra. Gli alberi crescono, popolano i versanti donandoci l’ombra e piegandosi al vento, senza spezzarsi; sino a quando una raffica più forte non li vince e li schianta a terra.

La terra. Vive e si trasforma. E noi, ce ne prendiamo cura. Come folletti dei boschi.

Ci incontrate in piccoli gruppi, attenti ad evitare assem bramenti. Indaffarati ad occuparci di lavori le cui fatiche ri sulteranno vane nell’arco di qualche mese. Dilavate da qual che giornata di pioggia torrenziale, seguita dallo scintillare del sole delle mezze stagioni. Quelle che molti di voi credo no estinte: e che noi invece attendiamo di anno in anno, con un misto di speranza e timore. Ci sarà da lavorare? Ci sarà da lavorare! Ah sì.

A volte vi fermate un attimo a guardarci fermi, mentre facciamo il nostro lavoro. A volte ci fermiamo noi, perché voi non avete intenzione di fermarvi: quasi steste facendo un lavoro.

A volte ci riconoscete. A volte, no. Ma siamo sempre noi.

Siamo i folletti dei boschi. Quelli che aggiustano i sentieri.

Proprio quei sentieri che voi percorrete tanto spesso; e che vi danno tante gioie. Tante, da parlarne con gli amici. Tante, da immortalarle nelle mille foto scattate con i vostri smartpho nes.

Dovreste provare a diventare folletti, anche voi. Magari, solo per un giorno.

Capireste la Terra e la Natura. Capireste la Montagna. L’a mereste in modo nuovo, più profondo ed intimo.

… mentre colpisco per l’ennesima volta con il piccone quel pezzo di calcare così duro da sprizzare scintille al contatto con il metallo, mi rendo conto di essere un folletto.

E penso al significato profondo di questa mia scelta; ed ai (pochi) “folletti” che si occupano di tutti i sentieri delle nostre Montagne.

Se volete, vi svelo come diventare folletti: basta scrivere a sentier@cai.lecco.it “Voglio diventare un folletto”. E state certi che anche per voi la magia di essere folletti si avvererà!

Il Club alpino accademico italiano (Sezione nazionale del Club alpino italiano) ha assegnato l’edizione 2020 del Ri conoscimento Paolo Consiglio ex aequo a due imprese alpi nistiche extraeuropee del 2019 di carattere esplorativo e di alto contenuto tecnico, portate a termine da alpinisti giova ni con un approccio originale e leggero.

Sono state premiate la prima salita della parete ovest del Bhagirathi IV (Himalaya indiano) compiuta dai Ragni di Lecco Luca Schiera, Matteo Della Bordella e Matteo De Za iacomo, e l’ascensione all’inviolato Black Tooth (Karakorum pakistano) effettuata da Simon Messner e Martin Sieberer. Questa la motivazione del Club alpino accademico, ap provata dal Comitato centrale del CAI:

«Due prime ascensioni in quota e grande alpinismo di av ventura per due team di alpinisti giovani, di formazione e appartenenza diverse ma accomunati da alte capacità e da una progettualità esuberante. Al di là del valore intrinseco delle realizzazioni si vuole premiare un tipo di approccio originale e leggero, con pochi mezzi, ma nel quale la deter minazione e il coraggio di mettersi in gioco rappresentano i cardini sui quali si basa il successo. Uno stimolo importante per l’intero mondo alpinistico giovanile italiano, per visioni più ampie e progetti d’avanguardia ».

I tre Ragni hanno compiuto la salita il 15 settembre 2019, in puro stile alpino e senza spit con 24 ore di arrampicata.

Dall’alto: Emilio Aldeghi e Donatella Polvara AI RAGNI IL PREMIO (EX AEQUO) PAOLO CONSIGLIO 2020 La via, “Cavalli bardati che fanno tremare la terra”, è lunga 800 metri e presenta difficoltà estreme e continue. Simon Messner e Martin Sieberer il 26 luglio 2019 sono ri usciti a raggiungere in prima assoluta la vetta di 6718 metri del Black Tooth, una montagna del Baltoro, con un itinerario di ampio respiro, affrontato in condizioni non ottimali e con approccio leggero. La salita al Bhagirathi è stata raccontata da Matteo Della Bordella sul numero 3/2019 di questa rivista. Adriana Baruffini I volontari della nostra sezione al lavoro per la manutenzione dei sentieri della zona de I Grassi: prima, durante e dopo la cura. Foto di Tiziano Riva Il gruppo del Bhagirathi

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INFORMAZIONI DALLA SEGRETERIA - TESSERAMENTO

QUOTE SOCIALI 2021

Le quote sociali per il 2021 sono le seguenti:

Socio Ordinario €46,00

Socio Ordinario Juniores* €24,00 (nati dal 1996 al 2003)

Socio Familiare** €24,00

Socio Giovane*** €16,00 (nati nel 2004 e anni seguenti)

Socio Vitalizio €20,00

Tessera per i nuovi Soci € 5,00 Duplicato Tessera € 2,00 Massimale integrativo polizza infortuni € 4,60

*Al Socio ordinario di età compresa tra i 18 e i 25 anni viene applicata automa ticamente la quota dei soci familiari. Tale Socio godrà di tutti i diritti del socio ordinario.

** Possono essere soci familiari solo i residenti al medesimo indirizzo del socio ordinario di riferimento.

***Socio giovane: a partire dal secondo figlio giovane in poi, il socio giovane verserà la quota di € 9,00. Si precisa che per poter usufruire dell’agevolazione prevista, il socio giovane dovrà avere un socio ordinario di riferimento in regola con il tesseramento dell’anno in corso ed appartenere ad un nucleo familiare con due o più figli giovani iscritti alla Sezione.

Ricordiamo che a partire dal 1 novembre 2020 si è aperto il tes seramento 2021. Per non perdere i benefici dell’iscrizione al CAI il rinnovo deve essere effettuato entro il 31 marzo di ogni anno. Considerata l’attuale situazione di limitazione degli spostamenti, UnipolSAI ha prolungato sino al 31 maggio 2021, in luogo del precedente termine del 31 marzo 2021, le Polizze assicurative comprese nella tessera.

cleo Familiare: somma delle quote + 2,00€).

Il bollino verrà spedito per posta al domicilio del socio.

CALENDARIO CHIUSURA SEDE

Considerata la situazione di emergenza sanitaria che ha coinvolto il nostro territorio nel corso di questi mesi, consi gliamo di mantenersi aggiornati sui nostri canali web (www. cai.lecco.it; pagina facebook Cai Sezione di Lecco “Riccardo Cassin”) per sapere se la sede è aperta al pubblico e in quali orari. Non ci è possibile, infatti, prevedere l’andamento della situazione e poter dare indicazioni certe al riguardo. In ogni caso, è sempre possibile contattare la segreteria inviando una mail al seguente indirizzo: segreteria@cai.lecco.it.

AGEVOLAZIONI E BENEFICI PER I SOCI

- Agli associati è garantita la copertura assicurativa per infor tuni che si verifichino nell’ambito di iniziative organizzate dal Sodalizio, ivi compresi i corsi e le scuole, oltre alla copertura assicurativa del Soccorso Alpino per attività sia sociali che per sonali.

- I soci possono essere assicurati per gli infortuni e per la re sponsabilità civile verso terzi in attività personale richiedendo la specifica copertura assicurativa presso la sezione di appar tenenza.

- Il socio ordinario riceverà al proprio domicilio la rivista men sile del CAI “Montagne 360” e la rivista sezionale ”CAI Lecco 1874”.

- Tutti gli associati, con la presentazione della tessera riportan te il bollino relativo all’anno in corso, potranno usufruire degli sconti previsti dalle convenzioni indicate nell’apposito riquadro.

SPAZIOTEATRO INVITO

Lecco, via Ugo Foscolo 42 tel. 0341 158 2439 Ai soci CAI riduzione del 20% sul costo del biglietto per tutti gli spettacoli e concerti della propria stagio ne, quindi da € 15 a € 12. Info al sito: http://teatroinvito.it/spazio-teatro-invito/calendario-stagione/

Per ottenere gli sconti indicati è necessario esibire la tessera del CAI Lecco regolarmente rinnovata. Possono usufruire delle convenzioni anche i soci delle sottosezioni del CAI Lecco: CAI Barzio, CAI Ballabio, Strada Storta.

NB: Per le società commerciali o aziende che volessero attivare iniziative di promozione o sponsorizzazione con il CAI Lecco tele fonare allo 0341-363588 (orari apertura sede) o al 3393216291 oppure scrivere un’email a sezione@cai.lecco.it.

RINNOVO ONLINE

A partire dalla campagna di tesseramento 2021, la sezione di Lecco ha attivato la modalità di pagamento della quota associativa attraverso il sistema di rinnovo online: un modo facile e veloce per rinnovare la propria adesione al sodalizio comodamente da casa! Come funziona? Il primo passo è accedere al sito www.soci.cai.it attraverso le proprie credenziali oppure registrarsi seguendo la procedura indicata (è necessario inserire il proprio codice fiscale). Una volta entrati, il sito mostra tutte le informazioni sulla propria posizione come socio. Cliccando sulla voce “rinnovo” sulla sinistra, il sistema automaticamente farà un riepilogo della propria posizione e di quella di eventuali soci dello stesso nucleo familiare: si potrà così scegliere se procedere al rinnovo solo per sé oppure anche per gli altri soci. Scorrendo la pagina, basterà cliccare sul simbolo di Paypal per concludere la procedura effettuando il pagamento.

N.B. Questa procedura permette di effettuare il rinnovo delle quote associative e degli eventuali massimali integrativi senza modifiche rispetto all’anno precedente. Qualora sia necessario apportare modifiche oppure si volesse richiedere una polizza assicurativa, è neces sario contattare la segreteria sezionale nelle modalità indicate alla pagina “Informazioni dalla segreteria”.

Per procedere con il rinnovo è possibile passare in segreteria (si prega di verificare sul sito www.cai.lecco.it le aperture conside rato il periodo che stiamo vivendo) oppure attraverso bonifico bancario o paypal (come da istruzioni riportate sul nostro sito alla voce “CAI Lecco – quote e assicurazioni – tesseramento 2021).

- Tutti gli associati potranno usufruire gratuitamente dei ser vizi offerti dalla sezione: accesso alla documentazione presen te nella biblioteca sezionale, lettura dei periodici e delle riviste presenti in sede.

- Tutti gli associati otterranno sconti sull’acquisto di libri o pub blicazioni del CAI.

IL RINNOVO DELLA TESSERA PUÒ ESSERE EFFETTUATO:

In sede: Dal 24 maggio la segreteria è tornata ai consueti orari di apertura: martedì 20.30-22.00; venerdì 18-20 e 20.30-22.

Si prega di verificare le news sul sito www.cai.lecco.it per ac certarsi dell’apertura della segreteria che, in ogni caso, non è mai possibile quando Lecco e/o la Lombardia si trovano in zona rossa.

In alternativa, il pagamento potrà essere effettuato a mezzo:

a) BANCA POPOLARE DI SONDRIO, Agenzia di Piazza XX Set tembre a Lecco, sul conto corrente intestato a C.A.I. Sezione di Lecco IBAN IT07 J056 9622 9020 0000 2154 X06.

b) Con pagamento Paypal, accedendo con le proprie credenziali al sito www.soci.cai.it e seguendo la procedura alla voce “rinnovo”

Si ricorda di indicare nella causale il nome e la data di nascita di tutti i soci per i quali viene effettuato il tesseramento. Il pagamento tramite Bonifico Bancario o Bollettino di c/c Postale prevede un contributo, per socio o per nucleo familiare, di € 2,00 per spese postali (Esempi - Singolo socio: quota + 2,00€ - Nu

DIMISSIONI E MOROSITA’

Il socio può dimettersi dal Club Alpino Italiano in qual siasi momento; le dimissioni devono essere presentate per iscritto al Consiglio Direttivo della Sezione, sono irrevoca bili ed hanno effetto immediato, senza restituzione dei ratei della quota sociale versata.

Il socio è considerato moroso se non rinnova la propria adesione versando la quota associativa annuale entro il 31 marzo di ciascun anno sociale; l’accertamento della morosità è di competenza del Consiglio Direttivo della Sezione; non si può riacquistare la qualifica di socio, mantenendo l’anzianità di adesione, se non previo pagamento alla Sezione alla quale si era iscritti delle quote associative annuali arretrate. Il so cio di cui sia stata accertata la morosità perde tutti i diritti spettanti ai soci.

Vita di Sezione

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