Notiziario 2/2021

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CAI LECCO 1874n ° 2 / 2 0 2 1

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IN QUESTO NUMERO EDITORIALE

È TEMPO DI RIPARTIRE

Dai corsi ai rifugi al ritorno dello sci, il 2022 dev’essere l’anno del nuovo inizio di Alberto Pirovano, presidente CAI Lecco SENTIERI E PAROLE

RIFUGI FUTURI

Progetti di riqualificazione e riuso di strutture alpine in quota di Graziano Salvalai

QUANDO I LECCHESI CONQUISTARONO L’AMERICA

Sessant’anni fa la “Spedizione Città di Lecco” al McKinley guidata da Riccardo Cassin di Anna Masciadri

COL SORRISO DI LORENZO NEL CUORE

Il 29 luglio 1996 il “Ragno” Mazzoleni se ne andava scendendo dal K2 di Anna Masciadri

LA PRIMA SCALATA ARTIFICIALE

Una lezione di Alberto Grilli all’Accademia Lombarda di Scienze e Lettere di Alberto Benini

ALBERTO GRILLI

Il mio professore di greco di Eugenio Mira

A GUARDIA DELL’AMBIENTE

Festa degli alberi, la storia e verbali della sezione di Lecco del CAI di Adriana Baruffini

DUE GIORNI TRE INTERVENTI

Fine anni cinquanta, il ricordo dei soccorsi tra Grignetta e Resegone di Renzo Battiston

DONGUZORUM PASS

Incontri nel Caucaso alla fine degli anni Settanta di Giancarlo Mauri

GITE D’AUTUNNO ALLO SCILIAR

Dal 1987 al 1991: le cinque volte del CAI Lecco all’Alpe di Siusi di Annibale Rota

I RAGNI E I PONTEFICI ALPINISTI

L’incontro a Seregno con Giovanni Paolo II ricordando papa Ratti di Mariangela Cugnola

IL BELLO DELLA PANDEMIA

L’inverno di Della Bordella e la riscoperta delle grandi pareti di casa di Mario Bramanti PERSONAGGIO

SOTTO LA PALA DELLA MEDALE

Ricordo di Giovanni Ratti, l’alpinista che ci ha insegnato a interpretare quel mondo di Alberto Benini

ALPINISMO e ARRAMPICATA

IMPARARE IN PARETE

“L’alpinismo è letteratura”: al termine del corso è spontaneo citare Simone Pedeferri di Mosè, Alberto, Jacopo, Thomas

CINQUE LEZIONI, SEI USCITE di Dimitri Anghileri

ALPINISMO GIOVANILE

DALLA VAL DI MALGA AL CROCEDOMINI Sull’Adamello bresciano il trekking 2021 dell’Alpinismo giovanile di Clotilde Nolasco e Elisa Sozzi ESCURSIONISMO

ATTORNO AL RE L’anello del Resegone di Sergio Poli

IN CAMMINO PER STAR MEGLIO Ripresa l’attività di montagnaterapia del gruppo di Bellano di Elisa Villa

#CONFINICOMUNI Il convegno nazionale 2021 di montagnaterapia di Adriana Baruffini GEO

TORNARE A CAMMINARE INSIEME L’età d’oro al tempo del Covìd

Claudio Santoro APPUNTAMENTI

DAI RESINELLI A CASTELLANZA Continua il viaggio delle “Guide di Carta” di Adriana Baruffini

PROVE DI TERAPIA FORESTALE

Nei boschi dei Resinelli sessione sperimentale con CAI e CNR di Domenico Sacchi

EDUCARE ALLA MONTAGNA Nella serata dedicata al Calùmer Orlandi dibattito sulla sicurezza col Soccorso alpino di Angelo Faccinetto

RECENSIONI

DI

Notiziario quadrimestrale della sezione di Lecco “Riccardo Cassin”del Club Alpino Italiano N° 2/2021

Redazione: Adriana Baruffini, Alberto Benini, Angelo Faccinetto

Direttore responsabile: Angelo Faccinetto Impaginazione e Grafica: BitVark - Pavia

Tipografia: A.G.Bellavite Missaglia - Lecco

Testata di proprietà del Club Alpino Italiano sezione di Lecco “Riccardo Cassin” Sede: via Papa Giovanni XXIII, 11 23900 Lecco Tel: 0341363588 Fax: 0341284717 www.cai.lecco.it sezione@cai.lecco.it

Autorizzazione Tribunale di Lecco N. 5/78 del 20/06/1978

Spedizione in A.P. -45%- Art. 2 Comma 20/b legge 662/96

Tiratura 2200 copie Chiuso in redazione 1/12/2021

Stampato secondo la filosofia GreenPrinting® volta alla salvaguardia dell’ambiente attraverso l’uso di materiali (lastre, carta, inchiostri e imballi) a basso impatto ambientale, oltre all’utilizzo di energia rinnovabile e automezzi a metano.

Stampato secondo la filosofia GreenPrinting® volta alla salvaguardia dell’ambiente attraverso l’uso di materiali (lastre, carta, inchiostri e imballi) a basso impatto ambientale, oltre all’utilizzo di energia rinnovabile e automezzi a metano.

ZeroEmissionProduct® A.G. Bellavite ha azzerato totalmente le emissioni di Gas a effetto Serra prodotte direttamente o indirettamente per la realizzazione di questo prodotto.

In copertina: Ultime luci sul Resegone. Foto di Mauro Lanfranchi ZeroEmissionProduct® A.G. Bellavite ha azzerato totalmente le emissioni di Gas a effetto Serra prodotte direttamente o indirettamente per la realizzazione di questo prodotto.
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SEZIONE 47 16 55 SOTTO LA PALA DELLA MEDALE COL SORRISO DI LORENZO NEL CUORE ATTORNO AL RE 51 IMPARARE IN PARETE 7 RIFUGI FUTURI

Siamo in tempo di bilanci di fine anno e di programmi per l’an no nuovo, in un periodo an cora difficile per il riaccendersi delle paure da pandemia.

Se il 2020 è stato l’anno della pau ra e della resistenza con la necessità di affrontare un evento tanto nuovo quanto tragico, il 2021 è stato l’anno della resilienza, della fatica a continua re nel modo il più possibile normale una vita quasi sospesa. L’illusione del la fine di questa tragedia si è infranta contro la realtà facendo emergere an che danni collaterali, cioè quelli so ciali ed economici. Sicuramente anche

É TEMPO DI RIPARTIRE

la nostra attività sociale ha risentito delle limitazioni, in particolare le at tività collettive quali corsi e uscite di gruppo sono state le più penalizzate. Tuttavia, guardando i numeri del tesseramento, alla perdita di soci del 2020, proprio per l’assenza dei corsi, non è seguita un’ulteriore contrazione, bensì un leggero aumento ancor più significativo guardando le sottosezio ni. Possiamo affermare che anche per il nostro sodalizio il 2021 sia stato un anno di resilienza! Ora siamo pron ti a ripartire. Alle attività rallentate, ma mai sospese, come la manutenzione dei sentieri e la predisposizione della segnaletica, la manifestazione Monti Sorgenti, il trekking di Alpinismo Gio vanile e il corso roccia dei Ragni, si stanno aggiungendo, a partire dalle

attività invernali vari corsi e le attività di gruppo. Alcuni interventi struttura li richiederanno un’accelerazione, tra questi gli interventi sui rifugi – in dirit tura d’arrivo quelli presso la Stoppani, da avviare a primavera l’ampliamento del rifugio Lecco – e la segnaletica dei sentieri, resa urgente dall’aumento significativo di escursionisti esterni e molto spesso inesperti.

Si spera di poter ripartire anche con una regolare proposta di serate cul turali in sede CAI (proiezioni, confe renze, lezioni) che negli anni scorsi avevano suscitato l’interesse di molte persone. Il via l’hanno dato il 3 di cembre i ragazzi del gruppo Juniores con ricordi per immagini dei viaggi di uno di loro in terre lontane, Lapponia e Namibia.

Sarà una ripresa delle attività con cautela, in molti casi prevedendo piani alternativi o soluzioni ibride in pre senza ed a distanza in altri casi con sostanziali novità normative.

È il caso dello sci in pista dove, dal 1°gennaio 2022 sarà obbligatorio avere una polizza RC con esplicita co pertura del rischio connesso alla pra tica dello sci e similari. Orbene, il CAI non è stato a guardare e ai propri soci offre la possibilità di sottoscrivere una polizza, al costo di 12,50 € che copre l’intera famiglia di soci. La copertura è esplicitata sul certificato di iscrizione da mostrare agli organi di controllo.

*Presidente CAI Lecco

Sopra: Pranzo di lavoro alla Lecco per volontari che hanno realizzato la pavi mentazione esterna. Foto di Tiziano Riva Sotto: Lavori di manutenzione alla Lecco. Foto di Tiziano Riva

Dai corsi ai rifugi al ritorno dello sci, il 2022 dev’essere l’anno del nuovo inizio
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Sopra: Lavori in corso alla Stoppani. Foto di Adriana Baruffini

RIFUGI FUTURI

Progetti di riqualificazione e riuso di strutture alpine in alta quota di Graziano Salvalai*

Fotoinserimento del progetto di riqualificazione della Capanna Osservatorio Regina Marghe rita, vista dalla zona di accesso. Fonte: Enrico Rota, “The Highest. Capanna Osservatorio Regina Margherita il rifugio più alto d’Europa: strategie per la riqualificazione spaziale ed energetica”, Tesi di Laurea, Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalai

Letendenze turistiche in atto, spinte anche dall’emergenza sa nitaria, evidenziano la crescente attenzione nei confronti del contesto naturalistico (e architettonico) alpino, sinonimo di benessere, di ricreazio ne fisica e psicologica, nonché come via di attuazione del distanziamento sociale a cui siamo stati abituati negli ultimi due anni. L’escursione in mon tagna è pratica sempre più frequente, non solo da parte di alpinisti o escur sionisti esperti, ma anche da una ti pologia di turismo meno preparato e attrezzato, rappresentato spesso da famiglie con bambini e anziani. Ecco che le strutture ricettive alpine diven tano sempre più meta di escursioni,

luogo di passaggio, di consumo e di svago, nel tentativo di allontanarsi an che solo temporaneamente dal caoti co mondo antropizzato.

Il rifugio alpino, come tipologia co struttiva, ha una storia relativamente recente che parte dalle pionieristiche esperienze ottocentesche, poi inten sificate, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento e a valle della costitu zione dei sodalizi alpinistici nazionali, con la diffusione di strutture ricettive e di ricovero per i rispettivi affiliati. I rifugi e le strutture alpine sono radicati nel territorio montano e sono porta tori di molteplici funzioni, che devono essere mantenute e valorizzate: da elementi distintivi, di presidio e di os

servazione del territorio e del clima a memoria storica di metodi costruttivi, di storie e di tradizioni locali, identità di un passato da tramandare alle ge nerazioni future.

Dal punto di vista progettuale la co struzione in alta quota è sempre più un’attività sperimentale dove applicare con equilibrio soluzioni tecnologiche innovative, pratiche costruttive so stenibili e sistemi impiantistici ad alta efficienza energetica nel rispetto del delicato contesto ambientale. L’assen za di modelli abitativi di riferimento e di esperienze pregresse con cui con frontarsi rendono la sperimentazione e l’approccio funzionalistico una con dizione ancora più necessaria, dove la

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funzione e l’ambiente naturale circo stante costituiscono le fonti di ispira zione messe a sistema dalla sensibilità e dalle capacità del progettista.

Autosufficienza

Il processo di antropizzazione della montagna si è spinto, prevalentemente a partire dagli anni Settanta del No vecento, a quote sempre maggio ri, con edifici costruiti sull’arco alpino ben oltre i 4000 metri. L’installazione di architetture a tale quota compor ta lo studio di tecniche costruttive e logistiche adeguate, imposte da un contesto ambientale limite dove le condizioni climatiche estreme e l’iso

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lamento con ogni tipo di rete infra strutturale richiedono la progettazione di un sistema autosufficiente e otti mizzato sia dal punto di vista tecno logico che spaziale.

Negli ultimi anni la questione dei rifugi è tornata con veemenza tema centrale nel dibattito architettoni co contemporaneo: progetti come il Monte Rosa Hutte, sul versante sviz zero del Monte Rosa, il rifugio del Gouter a Saint Gervais les Bains, nel massiccio del Monte Bianco, il rifugio Vittorio Veneto al Sasso Nero, nelle Alpi della Zillertal, il rifugio France sco Gonella a Courmayeur, il rifugio Petrarca a Moso in Passiria, solo per citarne alcuni, hanno contribuito al successo mediatico del tema, ampli ficato anche dalle modalità e tecniche di costruzione spesso spettacolari e al

limite della fattibilità.

L’alta montagna si configura, oggi più che mai, come spazio laborato riale dove mettere a punto modelli funzionali, soluzioni tecnologiche, in tegrazioni impiantistiche e costrut tive innovative, sintetizzate secondo un approccio prettamente presta zionale con una forte influenza sulla definizione formale del manufatto. In tale scenario l’università ha un ruolo di primaria importanza, essendo per fondazione luogo laboratoriale, di in novazione, sperimentazione e di ri cerca. Al Politecnico di Milano, e nello specifico presso il Polo Territoriale di Lecco, il tema delle costruzioni in alta quota è oggetto di sperimentazione e di indagine già da diverso tempo, non solo dal punto di vista puramente architettonico-formale ma anche da

quello tecnologico-costruttivo, for nendo spunti e riflessioni sulle mo derne tecniche costruttive, sui nuo vi modelli di gestione e di relazione con il sistema ricettivo posto a valle. Le ricerche in corso hanno l’obiettivo di delineare nuovi scenari di svilup po sostenibile in area alpina a partire dal recupero, dalla riqualificazione e dall’ampliamento di architetture esi stenti, non più adeguate ai requisiti normativi e alle esigenze territoriali locali, ma che sono caratterizzate da un forte valenza storico-culturale e che sono parte integrante del conte sto ambientale. Il tentativo è quello di delineare un nuovo ruolo del rifugio alpino, non solo connesso alle ascen sioni in vetta, delle quali è tappa, ma di prefigurarne la messa in rete in un sistema più complesso di attrezzature, per e verso la montagna, integrato nel sistema turistico/ricettivo locale.

Convivere col “limite”

Le condizioni climatiche estreme, la difficoltà di accessibilità del sito e la necessità di coordinare cantieri brevi nell’arco del periodo estivo, determi nano la progettazione di architetture sperimentali attraverso un ripensa mento dell’intero processo edilizio a partire dall’organizzazione del can tiere. La necessità di ridurre il pro cesso costruttivo e semplificare le lavorazioni ha spinto, infatti, verso la prefabbricazione di componenti leg geri, molto spesso in legno, in grado di spostare nello stabilimento di pro duzione le principali attività, deman dando al cantiere il solo assemblaggio. L’integrazione impiantistica a garan zia dell’autosufficienza energetica e di accettabili livelli di comfort è un ul teriore tema di ricerca, dove lo stoc caggio e la gestione dell’energia è un

Dall’alto: Fotoinserimento del Rifugio Capanna Piz Fassa post-riqualificazione, vista del fronte di ingresso; Fotoinserimento del Rifugio Capanna Piz Fassa post-riqualificazione, vista d’insieme; Sezione e dettaglio tecnologico del Rifugio Capanna Piz Fassa post-riqualificazione.

Fonte: Sara Cornaggia, Nicolò Pirovano, Silvia Prevedello, “RE-HUT. Capanna Piz Fassa. Pro getto di riqualificazione, consolidamento statico e ampliamento di un rifugio alpino”, Tesi di Laurea, Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalai

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Rilievo fotografico dello stato di fatto del Rifugio Capanna Piz Fassa e del relativo contesto. Fonte: Sara Cornaggia, Nicolò Pirovano, Silvia Prevedello, “RE-HUT. Capanna Piz Fassa. Progetto di riqualificazione, consolidamento statico e ampliamento di un rifugio alpino”, Tesi di Laurea, Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalai
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Dettagli costruttivi del Rifugio Capanna Piz Fassa post-riqualificazione. Fonte: Sara Cornaggia, Nicolò Pirovano, Silvia Prevedello, “RE-HUT. Capanna Piz Fassa. Progetto di riqualificazione, consolidamento statico e ampliamento di un rifugio alpino”, Tesi di Laurea, Politecnico di Mila no – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalai

Dall’alto: Studio di modularità per la riqualificazione del Rifugio Capanna Piz Fassa. Fonte: Sara Cornaggia, Nicolò Pirovano, Silvia Prevedello, “RE-HUT. Capanna Piz Fassa. Progetto di riqualificazione, consolidamento statico e ampliamento di un rifugio alpino”, Tesi di Laurea, Po litecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalai; Raffronto fotografico tra stazione di monte prima e dopo l’intervento di riqualificazione. Fonte: Enrico Del Curto, Francesco Mainetti, “The Vertex: revitalisation of a Val di Lei’s landmark. From an ob solete industrial building to an high energy efficient off-grid Mountain Hut”, Tesi di Laurea, Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalaiaspetto di centrale importanza.

Ecco allora che il progetto di un ri fugio diventa l’occasione per una più ampia operazione di riqualificazio ne del territorio e di potenziamento dell’attrattività locale. Come accenna to, a uno sguardo generale, trattare il tema delle architetture alpine può sembrare limitato ai temi dell’innova zione tecnologica e all’uso di materiali; tuttavia, è sempre maggiore l’atten zione all’ambiente, alle nuove utenze della montagna, alle valenze paesaggi stiche, materiche e formali, alla speri mentazione tipologica e all’adattabilità della funzione. L’alta montagna diventa quindi l’occasione per esplorare, attra verso progetti di architettura, proble matiche che vanno dall’ottimizzazione delle risorse, al risparmio energetico, alla mitigazione degli impatti, all’inte grazione paesaggistica, all’accessibilità

Sentieri e Parole

e all’educazione ambientale.

Negli ultimi anni, interessanti spun ti e contributi sono stati avanzati da numerosi lavori di tesi di Laurea Ma gistrale condotti da studenti dei cor si di Ingegneria Edile-Architettura e Building and Architectural Engineering, del Polo Territoriale di Lecco, che tro vano il progetto e/o la riqualificazione architettonica di architetture alpine un tema particolarmente attraente e sfi dante seppur complesso, e caratteriz zato, come già accennato, dall’inter ferenza di molteplici discipline: dallo studio del paesaggio e della storia lo cale, alla progettazione architettonica, all’innovazione tecnologica, alla fisi ca tecnica e all’impiantistica, fino alla progettazione strutturale, all’ergono mia e al disegno industriale. Si tratta insomma di una vera e propria atti vità laboratoriale dove poter testare da diversi punti di vista il concetto di “limite”, che, come già discusso, è una delle questioni chiave del progetto in alta quota.

A testimonianza del connubio tra il Politecnico di Milano – Polo Terri toriale di Lecco e l’alta quota, diversi studenti del Polo Territoriale di Lecco sono stati invitati lo scorso settembre presso la sede di Fondazione Mino prio per la Conferenza Internaziona le sulle Montagne, sul Cambiamento Climatico e sullo Sviluppo Sostenibile (High Summit COP26), organizzata da EvK2Minoprio in collaborazione con numerosi enti scientifici e istituzioni italiane e internazionali. Un tavolo di discussione di alto livello per fornire una panoramica aggiornata sull’attuale situazione degli ecosistemi montani a livello globale, delle attuali misure di adattamento, delle azioni necessarie per proteggere questi ambienti, delle sfide e delle opportunità per promuo verne uno sviluppo sostenibile. Un’op portunità interessante, in un evento caratterizzato da grande risonanza mediatica, dove è stata esposta una selezione di recenti attività progettuali svolte come traccia di possibili scenari

di sviluppo e di valorizzazione del si stema alpino e delle sue strutture in esso radicate.

Costituiscono esempi interessanti e ricchi di spunti il progetto di riqualifi cazione del Rifugio Capanna Piz Fassa,

localizzato a 3152 m in località Piz Boè, nel gruppo del Sella, la proposta di riu so della stazione a monte della funivia costruita in Val di Lei, in Val Chiavenna, e il progetto di riqualificazione della Capanna Osservatorio Regina Mar

gherita, edificio simbolo che si eleva a 4554 m sul massiccio del Monte Rosa.

In tutti casi l’approccio metodolo gico adottato parte dalla necessità di un’approfondita conoscenza del con testo storico/ambientale/climatico in

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cui l’edificio si inserisce e dall’analisi delle specifiche esigenze di funzio namento e di gestione, informazioni queste custodite nella figura del rifu gista, persona chiave nella definizione dell’identità del rifugio e del luogo.

Riqualificazioni

Il progetto di riqualificazione del Rifugio Capanna Piz Fassa, ad esem pio, evidenzia la necessità di un’ap profondita conoscenza delle esigen ze gestionali, frutto delle dinamiche di accesso e di frequentazione, che vedono in grande crescita il turismo giornaliero come principale modalità di frequentazione della struttura. In questo caso il progetto è stato for temente influenzato dalla preesisten za, inglobata nella nuova proposta, la quale si basa sulla creazione di viste preferenziali con spazi aggiuntivi per migliorare i flussi distributivi e la ca pienza, ad oggi di molto sottodimen sionata.

Il lavoro “The Vertex” propone inve ce la riconversione di un’infrastruttura costruita negli anni Cinquanta del No vecento a supporto della costruzione della diga della Valle di Lei, iniziata nel 1958 e localizzata in parte sul terri torio italiano, nel comune di Piuro, in Val Chiavenna, e in parte sul territo rio svizzero. Le attività di demolizio ne dell’impianto, risalenti ai primi anni Ottanta, hanno coinvolto tutta la linea ad eccezione delle stazioni a monte e a valle, oggi rudere e testimonian za storica dell’opera dell’uomo, che si

Dall’alto: Sezioni bidimensionali e tridimensionali della stazione di monte post-riqualificazione. Fonte: Enrico Del Curto, Francesco Mainetti, “The Vertex: revitalisation of a Val di Lei’s landmark. From an obsolete industrial building to an high energy efficient off-grid Mountain Hut”, Tesi di Laurea, Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalai; Vista renderizzata di uno degli spazi con funzione educativo-didattica previsti dal progetto di riqualificazione per la stazione di monte. Fonte: Enrico Del Curto, Francesco Mainetti, “The Vertex: revitalisation of a Val di Lei’s landmark. From an obsolete industrial building to an high energy efficient off-grid Mountain Hut”, Tesi di Lau rea, Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalai; Fotoinserimento del progetto di riqualificazione per la stazione di monte. Fonte: Enrico Del Curto, Francesco Mainetti, “The Vertex: revitalisation of a Val di Lei’s landmark. From an obsolete industrial building to an high energy efficient off-grid Mountain Hut”, Tesi di Laurea, Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalai

è spinta in questo caso fino a 2354 m. La proposta progettuale indaga la fattibilità di riconversione e riuso del manufatto al fine di valorizzare il luo go e la sua storia, utilizzando l’attuale volume in calcestruzzo armato come contenitore di funzioni e di memoria a disposizione di escursionisti e alpini sti, sia come punto di arrivo ma anche di sosta intermedia verso escursioni a più tappe. Il progetto prevede an che la creazione di un piccolo museo per la raccolta di disegni e immagini a testimonianza del passato industriale, caricando quindi il luogo anche di una funzione didattica che si relaziona con il sistema culturale locale a valle.

Il progetto di riqualificazione del

Dall’alto: Rilievo del rifugio mediante laser scanner 3D e successiva restituzione digitale tridimensionale. Fonte: Enrico Rota, “The Highest. Capanna Osservatorio Regina Margherita il rifugio più alto d’Europa: strategie per la riqualificazione spaziale ed energetica”, Tesi di Laurea, Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalai; Indagine termografica per la mappatura termica del rifugio, esempio dei risultati ottenuti mediante termocamera. Fonte: prof. Graziano Salvalai, Politecnico di Milano – Polo Territo riale di Lecco.

Rifugio Capanna Osservatorio Regina Margherita, localizzato a 4554 m sulla Punta Gnifetti nel gruppo del Monte Rosa, rappresenta il caso limite, dove la quota e le sollecitazioni climatiche estreme mettono a dura prova sia gli alpinisti che tentano l’ascensione che il rifugio stesso, preso d’assalto per la pausa e il ristoro. La Capanna Regi na Margherita è un edificio peculiare, che detiene diversi “record” legati alla quota, in quanto rappresenta il rifugio

più alto d’Europa e uno dei pochi la boratori al mondo per lo studio in alta quota dei meccanismi respiratori, va scolari e metabolici alla base dell’ac climatazione e delle malattie da altitu dine. Negli ultimi anni il gestore, con il supporto del CAI, ha messo in campo azioni per ridurre l’impatto ambien

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Sentieri e Parole

Pagina a fronte, dall’alto: Fotoinserimento del progetto di riqualificazione della Capanna Osservatorio Regina Margherita. Fonte: Enrico Rota, “The Highest. Capanna Osservatorio Regina Margherita il rifugio più alto d’Europa: strategie per la riqualificazione spaziale ed energetica”, Tesi di Laurea, Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalai; Fotoinserimento del progetto di riqualificazione della Capanna Osservatorio Regina Margherita, vista notturna. Fonte: Enrico Rota, “The Highest. Capanna Osservatorio Regina Margherita il rifugio più alto d’Europa: strategie per la riqualificazione spaziale ed energetica”, Tesi di Laurea, Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco, Relatore prof. Graziano Salvalai

In questa pagina: Immagine di gruppo scattata in occasione della Conferenza Internazionale High Summit COP26 presso la sede di Fonda zione Minoprio. Da sinistra a destra: Roberto Villa, Silvia Prevedello, Sara Cornaggia, Nicolò Pirovano, prof. Francesco Calvetti, Enrico Del Curto, prof. Graziano Salvalai, Francesco Mainetti, Nadia Arrigoni, Stefano Galbusera

tale dell’edificio e rendere la capan na una struttura per quanto possibile moderna e sempre più ecocompati bile, mediante un sistema di gestio ne ambientale certificato. La proposta progettuale punta proprio in questa direzione, proponendo una riqualifi cazione architettonica per far fronte alla mutata affluenza, caratterizzata dall’aumento del turismo, sia estivo che invernale, supportato anche dalla presenza di una strutturata offerta di escursioni guidate presente a valle. La struttura attuale necessità di un ade guamento dell’accessibilità, degli spa zi, dei servizi offerti e delle modalità di produzione e gestione dell’energia, anche alla luce delle attuali normative.

Ecco allora che il progetto, nel ri

spetto della struttura esistente, ne ri formula la distribuzione, proponendo un nuovo accesso mediante l’aggiunta di un volume semitrasparente per la distribuzione dei flussi, che funziona anche da riferimento e guida, visibi le a distanza, una sorta di landmark ineludibile e ben distinguibile in tutti i periodi dell’anno. Il progetto preve de anche un ripensamento degli spazi interni comuni, dove la zona pranzo diventa un balcone con viste intermi nabili verso Alpi e pianura.

La breve raccolta delle sperimenta zioni progettuali condotte dagli stu denti mira a tracciare una prima rico gnizione dello stato dell’arte, in vista di una più ampia messa a sistema anche alla luce dell’Accordo Quadro siglato

tra Politecnico di Milano e Club Alpino Italiano, per lo studio, la riqualificazio ne e la messa in sicurezza delle strut ture ricettive d’alta quota.

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Sentieri e Parole Attraverso la rappresentazione gra fica degli esempi selezionati è chiara la potenzialità che l’architettura ha di offrire, attraverso un approccio multiscalare, scenari di sviluppo interessan ti verso un equilibrio tra la necessità di protezione, di valorizzazione e di esplorazione dei nostri territori alpini. *Professore associato in architettu ra tecnica - Politecnico di Milano

QUANDO I LECCHESI CONQUISTARONO L’AMERICA

Cisono spedizioni e spedizioni. Spedizioni che hanno fatto la storia dell’alpinismo e spedi zioni che hanno fatto la storia dell’al pinismo e sono entrate anche nel cuore della gente, anche di chi non è mai stato appeso a una corda.

Il 19 luglio scorso è stato il 60esi mo anniversario della prima salita alla

parete Sud del McKinley in Alaska portata a termine dalla gloriosa e ora mai leggendaria “Spedizione Città di Lecco”. Un capolavoro firmato da sei lecchesi i cui nomi all’epoca si snoc ciolavano a memoria: Riccardo Cassin, Annibale Zucchi, Romano Perego, Gigi Alippi, Jack Canali e Luigino Airoldi. Quindi quest’anno si è ricorda

to un momento importante, non solo per l’alpinismo lecchese, ma per tutta la città. Luigino Airoldi, unico rimasto ancora tra noi di quella squadra, sot tolinea sempre: “E’ stata la spedizio ne della Città di Lecco, non del CAI, in cima al McKinley abbiamo portato il gagliardetto di Lecco e la statuetta di San Nicolò, per noi è stato un motivo di grande orgoglio. Qualsiasi spedi zione io abbia fatto nella mia carriera ho sempre messo la bandiera di Lecco nello zaino prima di partire”.

Ma ripercorriamo le vicende stori che che hanno contraddistinto quella spedizione di 60 anni fa.

Il contesto storico

Siamo agli inizi degli anni Sessan ta. L’alpinismo arriva da un periodo di grandi cambiamenti, negli anni Cin quanta, dopo la seconda guerra mon

diale, le attenzioni degli scalatori si sono rivolte alle grandi cime di otto mila metri in Himalaya e Karakorum. I nazionalismi che ancora erano forti e sentiti si spostano dai campi di batta glia ai campi base di questi colossi mai scalati e così le varie nazioni fanno la corsa per la conquista degli Ottomila: francesi sull’Annapurna (1950), gli au striaci (in realtà il mitico Hermann Buhl da solo) il Nanga Parbat nel 1953, noi italiani il K2 (1954), gli austriaci il Cho Oyu (1954), il Gasherbrum II (1956), il Broad Peak (1957) e con gli svizze ri il Dhaulagiri (1960), la Gran Breta gna l’Everest (1953), il Kanchenjunga e Makalu (1955), giapponesi il Manaslu (1956), gli svizzeri il Lhotse (1956), gli Stati Uniti il Gasherbrum I (1958) e la Cina lo Shisha Pangma (1964). Quindi nel 1960, agli albori del la nostra “Spedizione Città di Lecco”,

si usava fare grandi spedizioni inter nazionali. Riccardo Cassin aveva 52 anni all’epoca, era uno dei fari guida dell’alpinismo mondiale, era reduce dalla vittoriosa spedizione del 1958 al Gasherbrum IV dove aveva guidato una grande squadra che, grazie alle due punte di diamante Walter Bonatti e Carlo Mauri, aveva aperto la prima via su quella montagna che ancora oggi (63 anni dopo) non è mai stata ripetuta.

Lecco agli albori degli anni Ses santa era una città in pieno fermento industriale e alpinistico, tutti lavora vano, le industrie fiorivano e i nostri giovani avevano come unico svago le montagne, dove una nidiata di ragaz zi fortissimi era cresciuta sotto l’ala di Cassin e dei fondatori del gruppo dei Ragni della Grignetta.

L’idea Siamo alla fine del 1960. Carlo Mauri,

il Bigio, propone al CAI Lecco di pro muovere una spedizione al McKinley, la montagna più alta del Nord Ame rica con i suoi 6.190 metri. L’idea gli è venuta dai contatti avuti con Gian carlo Rumi, l’astrofisico lecchese ri cercatore negli Stati Uniti, che negli anni delle prime esplorazioni spaziali per la conquista della Luna era sta to assegnato a una base avanzata di osservazione stellare in Alaska. Men tre seguiva un programma scientifico legato alle aurore boreali aveva visto passare uno strano oggetto, capendo per primo che si trattava dello Sputnik.

Il CAI Lecco accoglie la proposta del Bigio, che dichiara la propria disponi bilità a farsene carico, e mette in moto la macchina organizzativa.

La scelta degli uomini, piuttosto la

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Sentieri e Parole Sessant’anni fa la “Spedizione Città di Lecco” al McKinley guidata da Riccardo Cassin di Anna Masciadri In questa pagina, dall’alto: La squadra. In piedi da sinistra Perego, Alippi, Airoldi, Cassin. Davanti da sinistra Zucchi e Canali; sotto: Cassin e Don Sheldon Qui sopra: Il campo base

Uniti, a New York. Si recano immedia tamente a Boston dal professore per conoscere ulteriori dettagli di ciò che li aspetta in Alaska e prima di ricon giungersi con i compagni ad Ancho rage trascorrono qualche giorno nella Grande Mela e rimangono abbagliati dalla metropoli americana per eccel lenza, dai suoi grattacieli e dalle sue mille luci che non si spengono mai.

A metà giugno tutti i componenti della spedizione si ritrovano in Alaska per iniziare l’avventura. Qui conosco no Don Sheldon, abile pilota, che por terà con un piccolo aereo alpinisti e materiali sul ghiacciaio alla base della montagna. I lecchesi non conoscono l’inglese e tanto meno che da loro “Don” è un nome proprio. Così Riccar do quando conosce Sheldon pensa, come ha sempre raccontato: “Guarda un po’ in America i preti fanno anche piloti di aereo”.

La salita

Zucchi, Perego, Canali, Alippi e Airoldi arrivano in cima al McKinley aprendo la “Via Città di Lecco”, la prima trac ciata sul versante Sud. “Eravamo tutti emozionati”, raccontava Alippi, “Era vamo bardati e infreddoliti, non po tevamo guardarci negli occhi per gli occhiali ma abbiamo pianto tutti per l’emozione”.

I piedi di Jack

Mauri e la direzione del CAI Lecco dopo aver considerato anche l’ipotesi di rimandare la spedizione, assegna a Riccardo Cassin il ruolo di capo-spe dizione.

Il pilota e il professore Prima di partire Riccardo Cassin si mette in contatto con il profes sor Washburn a Boston, è il massimo esperto di McKinley e invia a Lecco relazioni e fotografie della montagna e suggerisce ai lecchesi di tentare l’in violata parete sud.

I primi a partire nel giugno del 1961 sono il capospedizione e il meratese Romano Perego che per la prima vol ta nella loro vita atterrano negli Stati

Dopo aver allestito il campo base nostri alpinisti studiano il versante sud del McKinley e vengono bloccati dal maltempo che li costringe a giorni di stop in tenda, l’attesa in montagna è sempre un momento molto diffici le da gestire soprattutto per giovani scalatori che fremono per mettere le mani su ciò che sognano da mesi. Ma l’esperienza e il piglio di Riccar do riescono a tenere a bada il gruppo scalpitante. La salita è lunga e difficile, la neve è tantissima, sono costretti a uno sforzo sovrumano, Cassin però ha un punto fermo su cui non vuole tornare indietro: “In cima ci arriviamo tutti e sei insieme” e così a turno si sale con difficoltà, ma con la volontà e l’orgoglio di portare il nome dell’Italia e di Lecco su quella cima. E così alle ore 23 del 19 luglio del 1961 Cassin,

La discesa dei lecchesi da quel la vetta fu drammatica, ma fu anche testimone di una bellissima storia di amicizia e solidarietà che ancora oggi ha dell’incredibile. Jack Canali fin dalla salita inizia ad avvertire dei problemi alle dita dei piedi che aumentano con il passare delle ore, scendendo non ri esce più a camminare, gli tolgono gli scarponi, che si sono irrigiditi a dismi sura e vedono che i suoi piedi sono al limite del congelamento. Gigi Alippi, con un gesto entrato nella storia, de cide di dare i suoi scarponi di renna caldi a Jack e di scendere con 4 paia di calze ai piedi, gli scarponi di Jack non possono andargli bene essendo di tre taglie più piccoli.

Incredibilmente i sei arrivano al campo base, lentamente, ma ce la fan no. Jack Canali finisce in ospedale per congelamenti e gli verranno amputate quasi tutte le dita dei piedi.

Il telegramma di Kennedy

La conquista del McKinley da par te della “Spedizione Città di Lecco” ha eco sui media di tutto il mondo, oltre che su quelli di casa. L’allora pre sidente degli Stati Uniti John Fitzge rald Kennedy spedisce un telegramma di congratulazioni a Cassin invitando tutti i protagonisti dell’impresa alla Casa Bianca, ma purtroppo lo scoppio della vicenda “Baia dei Porci” annul

la la visita a Washington degli alpinisti lecchesi.

Tutti i giornali del mondo scrivono di questa spedizione, anche la celebre rivista “Life” che mette in fotografia come apertura di servizio Riccardo e Annibale Zucchi.

Anchorage, la città in Alaska, nomina i nostri alpinisti cittadini onorari, anco ra oggi lì esiste un museo dedicato a quella salita.

Jack Canali Riccardo Cassin boriosa, cade su cinque giovani di casa (non a caso il nome è Spedi zione Città di Lecco) che hanno già un curriculum di ottimo livello sulle grandi pareti delle Alpi, ma non hanno mai fatto un’esperienza internazionale salvo Jack Canali, un po’ più anziano degli altri, che nel 1960 aveva parte cipato a una spedizione sulle Ande. Si tratta di questi giovani brillanti: An nibale Zucchi (che all’epoca aveva 28 anni), Romano Perego (27 anni), Jack Canali (33 anni), Luigino Airoldi (30 anni) e Gigi Alippi (25 anni). Di lecche se in senso stretto c’è solo Luigino. Nei primi mesi del 1961 un inciden te sugli sci mette fuori gioco Carlo

Lecco, al ritorno dei “vincitori”, fece festa grande con una parata pubblica, anche ai Resinelli si festeggiarono gli alpinisti. “Per me - spiega oggi Luigi no - la spedizione in Alaska del 1961 è stata la più bella perché eravamo un gruppo di amici guidati da Riccardo

che era come un papà per tutti, era vamo molto fieri di portare il nome Spedizione Città di Lecco”.

60 anni dopo Quest’anno per ricordare questo anniversario così importante la Fon dazione Riccardo Cassin ha organiz zato nell’ambito della rassegna Monti Sorgenti due serate a Valmadrera, lo scorso giugno, dedicate a que sta spedizione in cui è stato proiet tato il documentario originale girato da Cassin nel 1961 intitolato “La Sud del McKinley” e uno stralcio di quel lo realizzato da Paola Nessi nel 2011 per il 50esimo “McKinley - Storia di

un’amicizia”. Due serate che in realtà dovevano essere una, ma la replica è stata necessaria e in entrambe le date si è registrato il tutto esaurito.

McKinley/Denali

Dal 2015 il monte McKinely non si chiama più così, ma è tornato al suo nome originario Denali, che significa “il più alto” nella lingua dei nativi americani.

Nel 1917 la montagna era stata ri battezzata Monte McKinley in ono re del 25esimo presidente degli Stati Uniti William McKinley che era stato in carica dal 1897 al 1901, anno in cui venne assassinato. Nel 2015 Barack Obama, prima di una visita ufficiale in Alaska, decise di ridare il nome origi nario a questa montagna: Denali.

Eravamo

nel pieno dell’estate del 1996 e Lecco viveva un mo mento incredibile di festeggia menti. Antonio Rossi, in quel luglio di 25 anni fa, vinceva le due medaglie d’oro olimpiche con la sua canoa fa cendo esultare come mai prima tutta la città.

Erano “giorni grandi” anche per ché i nostri Ragni erano impegnati in una spedizione importante, quella al K2 che doveva celebrare i 50 anni di fondazione del gruppo alpinistico lec chese.

In quel gruppo di alpinisti c’era un ragazzo che, nonostante la sua giova ne età di soli 29 anni, aveva già all’at tivo un curriculum alpinistico di altis

Quella spedizione, oltre ad avere un fine alpinistico, ne aveva anche uno scientifico: per il Cnr bisognava rimi surare la seconda montagna più alta della Terra (8.611 metri), quindi i nostri alpinisti colsero l’occasione al volo e partirono in direzione Pakistan.

Di quella spedizione facevano parte i Ragni Carlo Besana, Giuseppe La franconi, Lorenzo Mazzoleni, Marco Negri, i fratelli Mario e Salvatore Pan zeri, Antonio Taglialegne e gli alpinisti esterni Carlo Ferrari, Giulio Maggioni, Giampietro Verza e Aldo Verzaroli.

Con loro c’erano i ricercatori del Cnr e la dottoressa della spedizione Maria Assunta Lenotti. La spedizione era di retta da Agostino Da Polenza, da poco entrato a far parte del Gruppo Ragni.

La via di salita scelta era quella clas sica, aperta dagli italiani nel 1954, pas

sando dallo Sperone Abruzzi. La spedizione vive il suo apice il 29 luglio quando gli alpinisti lecchesi arrivano in vetta, Lorenzo Mazzoleni è l’ultimo del gruppo, stanco e molto provato dall’ascensione tecnica e mol to faticosa, le uniche parole che riesce a dire in cima sono: “E’ bellissimo, è bellissimo”. Pochi minuti e si riprende subito la discesa, il buio sta arrivando e gli alpinisti devono tornare al campo 3 per la notte. Gli ultimi a incamminar si sono Salvatore Panzeri e Lorenzo.

Al Collo di Bottiglia, uno dei passag gi chiave in cui ci sono le corde fisse, Panzeri si gira per controllare Lorenzo e lo vede per l’ultima volta. Al campo

Sentieri e Parole

COL SORRISO DI LORENZO NEL CUORE Il 29 luglio 1996 il “Ragno” Mazzoleni se ne andava scendendo dal K2
1993, Lorenzo in vetta all’ Aconcagua simo livello: era Lorenzo Mazzoleni.
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Qui sopra: Tratto finale della salita in mezzo alla tormenta; sotto: Tutti in vetta.

3 non arriva, cala la notte e sale l’an goscia per l’amico disperso. Giampie tro Verza e Aldo Verzaroli escono in un vano tentativo di ricerca dell’amico scomparso, arrivando fino al Collo di Bottiglia.

Il giorno seguente i suoi compagni e una spedizione giapponese indivi duano il corpo di Lorenzo mille metri più in basso rispetto al punto dove era stato visto l’ultima volta.

E dal trionfo e dalla felicità la cit tà di Lecco precipita nel dolore per la perdita di un ragazzo giovane, un promettente alpinista, ma soprattutto un uomo conosciuto e amatissimo da tutti anche da chi non frequentava l’ambiente montagna.

La reazione alla sua morte è un’on da emotiva che travalica i confi ni della provincia di Lecco e inonda anche quelli nazionali. Ancora oggi in internet è possibile trovare articoli di quell’estate del 1996 di quotidiani na zionali in cui si parla di questo ragaz zo. Addirittura uno a firma del celebre scrittore Mario Rigoni Stern apparso

sul giornale “La Stampa” il 1°agosto 1996.

Lorenzo, l’alpinista Lorenzo Mazzoleni era un ragaz zo di Lecco, nato il 15 dicembre 1966, risiedeva in viale Turati con mamma Dina, papà Franco e le due sorelle Laura e Mariapia. Era un bambino sempre al legro e come altri suoi coetanei viene attratto da quello che vede ogni gior no alzando lo sguardo: le montagne. Si iscrive al CAI Lecco e al corso di alpinismo giovanile che lo introduce al mondo verticale. Brucia le tappe Lo renzo, si nota fin da subito che questo ragazzino ha un talento per l’alpinismo immediato, naturale. Nel 1980, a 13 anni, sale il suo primo Quattromila, il Gran Paradiso e da questo momento dedica ogni suo momento libero alla montagna bruciando le tappe di una carriera straordinaria, quasi sentisse che avesse poco tempo a disposizio ne.

A 18 anni, nel 1984, viene ammes so nel Gruppo Ragni e l’anno seguente partecipa alla sua prima spedizione extra-europea. È, infatti, in Patagonia con i Maglioni Rossi dove apre la pri ma via sulla Ovest del Sarmiento, nella Terra del Fuoco. A 22 anni scala il suo primo Ottomila, il Cho Oyu, a 23 anni viene ammesso tra gli Accademici del CAI. Nel 1990, a 24 anni, realizza tre prime invernali: la direttissima del la Cima Busazza, la direttissima della Sud-Ovest del Croz dell’Altissimo e lo spigolo Videsott della Cima Busaz za. Nel 1992 porta a termine la prima invernale al Pilone Centrale alla cima Su Alto in Civetta e qualche mese dopo arriva in cima al tetto del mon do: l’Everest (8.848 metri). Nel 1993 sale l’Aconcagua, la cima più alta del Sud America con i suoi 6.962 metri.

Nel 1996 scala il McKinley, in Alaska, il monte più alto del Nord America, 6.190 metri. E nel 1996 è il turno del K2 con, purtroppo, il tragico finale.

Lorenzo, l’uomo

Qui sopra: Ventenne in una pubblicità di materiale tecnico; sotto: 1992, in vetta all’Everest. notare ed era corteggiatissimo dalle ragazze. Era dotato di quel fascino e magnetismo che in pochi hanno. Ma Lorenzo era anche altro, era un ragazzo sensibile che grazie all’alpini smo ha potuto visitare parti del mon do dove la povertà rende la vita molto difficile, se ne rendeva conto e voleva fare qualcosa per migliorare la vita di queste persone.

Provate a chiedere, a chi lo ha co nosciuto, un ricordo di Lorenzo. Vi ri sponderanno tutti: un ragazzo sempre allegro, simpatico, disponibile e aperto. Basterebbero queste parole per trac ciare un ricordo del giovane uomo

che ci ha lasciato 25 anni fa. Un ri cordo che a distanza di anni fa ancora apparire il sorriso a tutti i suoi amici che si chiedono, senza risposta, come sarebbe ora Lorenzo se fosse ancora tra noi, ma tutti si rispondono che sa rebbe quello di sempre, sempre pronto a partire per qualche montagna con la sua solita allegria e positività che con tagiava tutti.

Lorenzo, inoltre, era un bel ragazzo dai lunghi capelli biondi che si faceva

A dieci anni dalla sua morte, nel 2006, l’amico e giornalista Oreste Forno ha pubblicato il libro Nama sté - Lorenzo vive (Bellavite editore) che ripercorre la breve vita di questo ragazzo e pubblica anche degli scritti di Lorenzo che mostra estrema sen sibilità e anche una vena poetica, non di certo comune per chi di solito ha a che fare con ramponi e piccozze.

Lorenzo e le sue associazioni Proprio in quella tragica spedizione del 1996, durante il percorso di avvi

Sentieri e Parole

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Sentieri e Parole
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Giovanissimo sulla Direttissima della Grignetta

1993, durante la salita all’Aconcagua

cinamento al campo base del K2, gli alpinisti incontrarono molta povertà e sofferenza in particolare tra i bambini. Lorenzo viene toccato profondamen te da questa situazione e ne parla su bito con la dottoressa Maria Assunta Lenotti. Al ritorno da quella tragica spedizione la dottoressa e alcuni amici di Lorenzo decidono di fare qualcosa di concreto in suo ricordo per aiutare la popolazione locale in difficoltà. Così nasce l’Associazione Amici di Lorenzo e l’ambulatorio di Askole, nella Valle del Baltoro, ultimo avamposto prima delle montagne. Il presidio è stato ultimato nel 2003 e ogni anno la dottoressa

Lenotti, con l’aiuto di giovani medici e volontari, dedica tempo a questa atti vità prestando cure o visite alla popo lazione locale. All’ambulatorio ricorro no circa mille persone l’anno. Oltre all’ambulatorio esiste anche un’altra struttura di vitale importan za dedicata a Lorenzo Mazzoleni: la scuola primaria in un piccolo villaggio nepalese, a Dhulikel, ai piedi delle vette di ottomila metri che l’associazione di Bulciago “Namasté” ha contribuito a costruire e migliorare per dare un’i struzione e un futuro ai bambini.

Nel 1998 mamma Dina visitò la scuola per l’inaugurazione e la col locazione della targa in memoria del figlio.

La serata del 2016 Cinque anni fa si ricordavano i 20 anni della scomparsa di Lorenzo, così

Peppino Ciresa, amico della famiglia e past president del CAI Lecco, decise di organizzare un evento in sua memoria con protagonisti gli amici di Lorenzo che si tenne al teatro dei Cappuccini a Lecco. Tra gli altri era presente il for tissimo alpinista bergamasco Simone Moro, grande amico di Lorenzo, suo coetaneo, con cui condivise la prima esperienza in una spedizione in Hima laya e con cui scalò l’Aconcagua nel 1993.

Nell’estate del 2016, inoltre, ven ne organizzata a Palazzo delle Paure a Lecco una mostra fotografica de dicata proprio all’alpinista scomparso sul K2 che registrò numerose visite e molta partecipazione, le cui foto pote te vedere a corredo di questo articolo.

Foto: Archivio Famiglia Lorenzo Mazzoleni

Il curriculum alpinistico di Lorenzo Mazzoleni

1966 Nasce a Lecco

Anni ’70 Inizia ad andare in montagna grazie ai corsi di Alpinismo Giovanile del Cai Lecco

1980 Arriva in cima al suo primo 4 mila metri: il Gran Paradiso

1984 Viene ammesso tra i Ragni della Grignetta di Lecco

1986 Partecipa alla sua prima spedizione extraeuropea. È in Patagonia con i Ragni dove apre la prima via sulla Ovest del Sarmiento, nella Terra del Fuoco

1988 Parte per l’Himalaya e arriva in cima al suo primo Ottomila metri: il Cho Oyu, 8.201 metri

1989 Viene ammesso tra gli Accademici del Club Alpino Italiano

1990 Realizza tre prime invernali: la direttissima della Cima Busazza, la direttissima della Sud-Ovest del Croz dell’Altissi mo e lo spigolo Videsott della Cima Busazza

1992 Porta a termine la prima invernale al Pilone Centrale alla cima Su Alto in Civetta e qualche mese dopo arriva in cima al tetto del mondo: l’Everest (8.848 metri)

1993 Sale l’Aconcagua, la cima più alta del Sud America con i suoi 6.962 metri

1995 Scala il McKinley, in Alaska, il monte più alto del Nord America, 6.190 metri

1996 Prende parte alla spedizione al K2 (8.611 metri) dei Ragni della Grignetta in occasione del 50esimo anniversario di fondazione del gruppo alpinistico lecchese. Il 29 luglio Lorenzo raggiunge la cima del K2 e qualche ora dopo, in discesa, al Collo di Bottiglia scivola e se ne va per sempre

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Sentieri e Parole I membri della spedizione all’ Everest, 1992. Lorenzo è il secondo da sinistra in prima fila

LA PRIMA SCALATA ARTIFICIALE

Nell’adunanza

del 12 dicembre

1985 dell’Accademia Lombar da di Scienze e Lettere Al berto Grilli, titolare di letteratura latina all’Università Statale di Milano, grande esperto di Seneca, degli epicurei, pro fondamente legato all’ambiente lec chese per essere stato, nel secondo Dopoguerra docente nel Liceo Classi co diretto da don Luigi Ticozzi, tenne una relazione dal curioso titolo di La prima scalata artificiale Un po’ troppo lunga e specialistica per le pagine del nostro “Bollettino” ma assai interes sante e ricca di spunti curiosi. Tant’è che osiamo proporvene una sinte si che speriamo conservi almeno un

poco del brio originario e della lucidità espositiva di Grilli, ritratto insieme al suo preside e ai colleghi, così come li ricorda Eugenio Mira nella testimo nianza che pubblichiamo qui a fianco, nel totem posto in Largo Montenero proprio davanti al “loro” liceo.

Non abbiamo notizie di un suo rapporto diretto col mondo alpinistico, ma l’acutezza tecnica con cui analizza nell’articolo aspetti legati alla scalata, rivela una conoscenza che va aldi là del comune sapere di quanti sono completamente digiuni dello sport delle vette.

L’articolo analizza il resoconto di

un’impresa compiuta dai soldati di Alessandro Magno nel 329/8 avanti Cristo in Sogdiana, a sud di Samar canda per espugnare una posizio ne imprendibile, un tavolato altissimo, cinto di pareti scoscese. Mettendo a confronto le fonti che riportano l’e pisodio e che parlano di quote non accordabili in alcun modo con l’oro grafia della regione, Grilli osserva: “è che sono terre leggendarie in cui tutto è meraviglioso e possibile”.

E ciò contribuisce a spiegare, al meno in parte, la forte difformità fra le fonti che tramandano la vicenda: il geografo Strabone, lo storico Arriano

Pannello dedicato a Don Ticozzi, di fianco all’ingresso di quello che fu un tempo il Liceo Classico di Lecco, ora Liceo Scientifico

Alberto Grilli, il mio professore di greco di Eugenio Mira

Le biografie ricordano Alberto Grilli (1920-2007) come professore ordinario di letteratura latina all’Università Statale di Mi lano dal 1966, ma dicono anche che, negli anni precedenti la cattedra universitaria, fu professore di materie classiche nei licei lombardi. In questo ambito lo ebbi come professore di Greco al Liceo classico “A. Manzoni” di Lecco, dove fui allievo negli anni 1951-54. Con lui, sotto la guida del preside don Giovanni Ticozzi, erano professori Formaggia per matematica, Coppetti per italiano, Calvetti per filosofia, don Lepori per scienze. Eravamo una classe mista, circa una ventina, ragazzi e ragazze, tra i 15 e 18 anni, pieni di vitalità ed entusiasmo giovanile, come del resto l’ Italia intera, in quegli anni della ricostruzione e del boom economico. Il professor Grilli si spostava giornalmente in treno tra Milano e Lecco: non ebbe quindi la possibilità di integrarsi con la città e di condividere il legame dei lecchesi per la montagna e non credo fosse personalmente appassionato di montagna e di alpinismo. Grilli era molto legato ai colleghi docenti ed è probabile che di montagna ed alpinismo abbia discusso con il mitico preside don Ticozzi, lui sì montanaro ed alpinista, e di cui Grilli scrisse il profilo nel libro Frammenti di vita dedicato appunto a don Ticozzi dagli alunni del liceo Manzoni, pubblicato nel 1959. Del mio giovane professore di greco, allora trentenne, alto, ma gro, stempiato, occhialuto, ricordo il rigore di studioso, la capacità didattica già in quegli anni più da docente universitario che da insegnante di liceo. E proprio da docente universitario Grilli seguiva con attenzione e empatia la maturazione intellettuale e culturale dei suoi alunni: nel mio caso, in terza liceo, affidò una ricerca sul tema “Aristotele allievo di Platone”, che mi impegnò per settimane e che forse gettò le basi del mio amore per la scienza.

e l’anonima Epitome delle imprese di Alessandro Magno secondo Grilli “uno scritto di lettura amena”. Nemmeno sulla situazione in cui si svolge l’assalto c’è accordo fra le parti. Arriano parla dell’inverno:

Un’abbondante nevicata rendeva più problematica l’avanzata e al tempo stesso dava copiosa riserva d’acqua ai barbari […] Alessandro raccolse tutti coloro che avevano il compito di sca latori negli assedi di città in numero di 300 ed essi si fornirono di picchetti da tenda di ferro per configgerli nella neve dove appariva ghiacciata e nel terreno dove mai apparisse sgombro da neve; quindi li legarono a robuste corde di lino, di notte si accostarono al tratto di parete più scoscesa della rupe e perciò meno guardata. Confic cando questi picchetti quali nella terra dove era scoperta, quali anche nella neve nei punti in cui meglio sarebbe potuta restare dura, si tirarono su re ciprocamente chi su un punto, chi su

un altro della roccia. Durante la scalata ne perirono 30 in modo che neppure se ne trovarono i corpi per la sepol tura, dato che erano piombati qua e là nella neve. Gli altri portarono a termine la scalata sul far dell’alba e occuparono la vetta del Monte”.

Altre fonti individuano in una fitta boscaglia l’ostacolo più serio ad avvi cinarsi alla parete.

Nemmeno sul punto d’attacco c’è accordo. Curzio Rufo parla del punto, individuato dallo stesso sovrano dopo una lunga e attenta ricognizione:

“Dov’è l’attacco appariva meno aspro e scosceso […]. Per quella via si mettono i 300 giovani più agili di tutti i reparti, di quelli che in patria avevano per mestiere di condurre le greggi per sentieri e rocce quasi impercorribili”.

Essi avevano preparato:

chiodi di ferro da configgere nelle

fessure delle rocce e robuste corde […] e preso viveri per 2 giorni. Si ar marono solo di spada e lancia inizia rono la scalata. In principio presero a salire servendosi dei piedi poi quando arrivavano in parete alcuni si solleva rono con le braccia aggrappandosi a spunzoni di roccia, altri superarono certi passaggi lanciando corde con nodi scorsoi, altri ancora configgen do chiodi degli interstizi di roccia a mo’ di gradini su cui appoggiarsi suc cessivamente. Passarono il giorno tra paura e fatica. Dopo gli sforzi su aspri passaggi, restava loro ancora il peggio e l’altezza della rupe pareva crescere”.

Molto interessante il racconto dell’Epitome proprio dal punto di vi sta tecnico, che Grilli non manca di analizzare con un’attenzione al lessico

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Sentieri e Parole Una lezione di Alberto Grilli all’Accademia Lombarda di Scienze e Lettere

che chi ha avuto la fortuna di sentirlo spiegare ricorda bene:

“Il re condusse i 300 sul rovescio del monte e fece loro vedere come configgere nella roccia dei chiodi di ferro introdotti a squadra e farvi pas sare dentro corde di lino e così, sca lando passo passo, arrivare in vetta a quel gran monte tirandosi su recipro camente”.

Una cosa è certa si tratta della più antica relazione di scalata conserva taci nella tradizione letteraria”.

spedizione per affrontare una petrosa, altissima montagna:

Molto interessante quello che qui annota Grilli:

Che cosa intende l’autore con cla vos… angulis <ad>actos, chiodi intro dotti a squadra? Le possibilità sono due: si tratta di chiodi angolari o di grappe; sono dell’opinione che la se conda ipotesi sia quella giusta, perché spiega come fosse possibile trattenere la corda contro la parete (transduce re)”.

In effetti, fino all’invenzione del mo schettone per alpinismo (inizio del secolo XX), resterà questo il grande problema del muoversi in parete usan do una corda: trattenerla al chiodo conficcato nella roccia, consentendo che essa possa però scorrere.

Conclude Grilli:

“Comunque sia l’imprecisione della resa dei fatti in tutte le versioni che ci sono giunte è chiara prova dell’in competenza degli antichi quando si trattava di rendersi conto di cosa volesse dire scalare roccia partico larmente in cordata; non si trattava di uno sport, era a malapena una specia lità negli eserciti greci (se dobbiamo dar credito ad Arriano) e nemmeno questo in quelli romani [...]

Ma l’articolo prosegue illustrando un episodio della Seconda Guerra Punica narrato da Livio, la presa di Iliturgi in Spagna: “I disertori berberi che allora pre stavano servizio nei reparti ausiliari, uomini di corpo asciutto e agile per il grande esercizio, portando con sé dei chiodi di ferro danno la scalata dalla parte da cui potevano farlo sfruttando le sporgenze irregolari della roccia. Se alle volte si imbattevano in un mas so troppo erto e liscio, configgevano i chiodi a breve distanza l’uno dall’altro, come a formare dei gradini; i primi ti ravano su quelli che li seguivano, gli ultimi spingevano su quelli che aveva no davanti ed arrivarono in cima”.

Anche qui l’osservazione di Grilli si presenta estremamente perspicua:

se Livio ha ben capito la sua fon te, lui uomo di pianura, in questo caso non ci sono corde e i chiodi servono solo come pioli”.

L’ultimo episodio posto a corredo dei precedenti si trova in Sallustio, che dà una relazione di una scalata, sempre a fini militari, molto più at tendibile delle prece denti. Siamo ai confini fra Numidia e Mauri tania, vicino al fiume Mulucca. Spicca la fi gura di un ligure che si mette a capo della

“Quelli che dovevano fare la scalata, istruiti in precedenza dalla loro guida, modificarono armi ed equipaggiamen to: andarono a capo scoperto e a piedi nudi per facilitare la visuale e la presa sui massi; sulle spalle avevano spada e scudo, ma scudi numidici di cuoio per il minor peso e perché agli urti facessero minor rumore. Il Ligure, andando avanti agli altri, legava sassi e vecchie radici che sporgevano con lacci di corda su cui sollevandosi i soldati potessero con maggiore facilità superare i passaggi; a volte tirava su per mano quelli spa ventati per un cammino così insolito; quando la scalata si faceva più dura, li mandava uno dopo l’altro davanti a sé senz’armi e poi li seguiva carico anche delle loro; quelli che non sembravano appigli sicuri li provava con la massima cura e più volte salendo e scenden do per lo stesso tratto, poi facendosi immediatamente da parte, infondeva coraggio agli altri”.

La narrazione di Sallustio, in qualche punto, potrebbe ad dirittura adattarsi al procedere lungo un moderno sentiero at trezzato dove un esperto (non necessariamente ligure) aiuta e rincuora chi è meno abituato a tale procedere. Conclude l’autore della Nota: di tutti i testi cui siamo ri corsi il più sensato è quello di Sallustio, cioè di uno quasi con temporaneo all’impresa descritta, che rimane sempre nei limiti del credibile e del possibile soprat tutto per i mezzi di scalata: si tratta di montanari agli ordini di un montanaro avvezzo ai monti disagevoli degli Appennini; direi che motivi di ordine geografico e di ordine cronologico contri buiscono a fornirci una ‘relazio ne’ attendibile. Si badi che non intendo ragionare sulla base delle tecnicheattualidiarrampicata,ma riferendomi a quanto sappiamo degli inizi dell’esplorazione delle Alpi, tra Svizzeri e Inglesi alla fine del Settecento. Da questo pun to di vista ciò che caratterizza la tradizione antica è l’incapacità di concepire un’ascensione in mon tagna in maniera diversa da una scalata di mura nemiche”.

L’articolo termina mettendo a confronto altre versioni di questo epi sodio, tratte da diverse altre successi ve fonti da altri storici latini: “nessuno si rifà all’esposizione di Sallustio che è la più prossima alla re altà delle cose, ma proprio per que sto è meno colorita di meraviglioso. Siamo dunque di fronte a una serie di passi puramente letterari: l’interesse sta nel “meraviglioso” che dà sapore a

una vicenda che è fuori dall’ordinario”.

Alberto Grilli: La prima scalata artifi ciale in “Istituto Lombardo – Accade mia di Scienze e Lettere – Rendiconti – Classe di Lettere e Scienze Morali e Storiche”, Milano 1987. Pagine 6167.

Si ringrazia la dott.ssa Rita Pezzola per la cortese collaborazione nel re perimento del testo.

In alto: Particolare del pannello dedicato a don Ticozzi con un gruppo di insegnan ti del Liceo Manzoni in gita a Maggio (Valsassina) nel giugno del 1955. Il primo in piedi a sinistra è Alberto Grilli; Sotto: Gruppo classe primi anni ‘50 del Liceo classico “Manzoni” di Lecco. Foto Archivio Mira

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Sentieri e Parole

Inquesti tempi inquieti nei quali l’evidenza dei cambiamenti clima tici si intreccia con l’incubo della pandemia non ancora risolta, si assi ste a una rinata attenzione per il tema degli alberi, dei boschi e delle foreste che si impongono nel dibattito cul turale e nell’editoria come oggetto di riflessioni scientifiche, considerazioni antropologiche e storiche, previsioni più o meno catastrofiche per il futuro. E non mancano le ipotesi di soluzio ni che, fatte rientrare nella definizione complessiva di “transizione ecologica”, fanno fatica a trovare sbocco in con crete scelte economiche e politiche.

Una certa ambiguità nel rapporto con alberi e boschi non è una pre rogativa di questi giorni: basta un rapido excursus in 160 anni di storia del nostro paese, a partire dall’Unità, per comprendere quanto il dibattito tra difesa e sfruttamento delle foreste sia stato frequentemente alla ribalta, in

Sentieri e Parole

A GUARDIA DELL’AMBIENTE

vista “L’Alpe” come strumento di diffusione delle nuove idee silvo colturali e di gestione dell’ambiente. Nel frattempo si era affacciata alla scena un’altra associazione interessata alla questione forestale, il Touring Club Italiano, fondato nel 1894 con finalità di conoscenza del territorio e promo zione del turismo.

La volontà comune, al di là dei dif ferenti presupposti ideologici, è di affrontare con un lavoro capillare di restauro forestale e idraulico l’emer genza ambientale dell’Italia, paese con 4/5 della superficie occupato da montagne ma con poco più di un quarto della loro area produttiva co perto da foreste.

una diatriba mai sopita fra natura sel vaggia e interventi dell’uomo e delle istituzioni per addomesticarla.

Il CAI e la difesa dei boschi

Nella stampa sociale del CAI il tema della difesa del patrimonio boschivo è diventato ricorrente dopo la tempesta Vaia del 2018 che ha messo a nudo le responsabilità umane quanto meno come aggravanti dell’imprevedibili tà della natura. Mi limito a ricordare “Montagne 360” dei mesi di luglio e agosto 2021 dove trova spazio il do cumento “Il CAI, il bosco e le foreste” elaborato dalla Commissione centrale Tutela ambiente montano (CCTAM), pubblicato anche nel sito del CAI. Un breve excursus storico dimostra peraltro che l’interesse per l’ambiente era già una prerogativa dei padri fon datori del sodalizio: nei loro intenti la missione degli alpinisti comprendeva la conoscenza scientifica della mon tagna, dei suoi problemi e delle sue risorse.

Emblematici da questo punto di vi sta gli scritti del nostro Antonio Stop pani (primo fra tutti il più divulgativo,

Il bel paese pubblicato nel 1876) che sintetizzano in modo efficace il biso gno di superare le arretratezze eco nomiche e di modernizzare il paese salvaguardando nel contempo le ri sorse naturali: slancio verso il futuro e nostalgia del passato, in un connubio fra concezione “romantica” della na tura incontaminata e istanze del pro gresso.

Al congresso del CAI del 1874 Quintino Sella individua il disbosca mento come una delle questioni di cui gli alpinisti sono tenuti a farsi carico e caldeggia interventi di soci parlamen tari che si impegnino a far approvare leggi sulla riforestazione. Intanto il CAI attraverso suoi volontari avvia e ge stisce direttamente varie iniziative di rimboschimento.

Ma non è tutto.

Nel 1898, accogliendo l’idea di al cuni botanici, il CAI promuove a To rino l’Associazione Nazionale Pro Montibus che si trasformerà qua si subito in Fondazione e a distan za di un anno genererà la Società Emiliana Pro Montibus et Sylvis con sede a Bologna, fondatrice della ri

La festa degli alberi In questo fermento ambientalisti co nasce la Festa degli Alberi forse ispirata all’Arbor Day che negli Sta ti Uniti (Nebraska) era stato cele brato per la prima volta nel 1872. Istituita nel 1898 dal ministro dell’I struzione pubblica Guido Baccelli, la Festa degli Alberi ebbe la sua prima attuazione a Castiglione dei Pepo li, paese dell’Appennino bolognese, il 27 agosto del 1899 per iniziativa della Società Pro Montibus et Sylvis.

Gli ingredienti sono quelli che si ri proporranno con poche varianti nelle feste degli alberi di molti anni suc cessivi: discorsi delle autorità, musica, coinvolgimento di bambini e ragazzi di scuole e colonie, messa a dimora di alberi: quella volta fu un simbolico pino strobo.

A ridare smalto all’iniziativa provve derà l’articolo 104 del regio decreto 30 dicembre 1923 emanato nell’am bito della legge Serpieri per il “Riordi namento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani”.

La Festa degli Alberi si configura a questo punto come un momento ce lebrativo ed educativo che coinvolge oltre alle scuole le associazioni della gioventù fascista e del dopolavoro, diventando ben presto un cavallo di battaglia della retorica del fascismo rurale. Sintetizzata nell’immagine di Mussolini “seminatore di alberi”, viene propagandata sulle pagine della rivista “Il bosco” (direttore Arnaldo Mussoli ni), che ha come tema centrale proprio la necessità del rimboschimento per contrastare il dissesto idro-geologico. La realizzazione di questo obiettivo, soprattutto nel Meridione, impatterà pesantemente sulla vita dei monta nari traducendosi in scelte politiche spesso vessatorie come la riduzione indiscriminata dei pascoli, la guerra alle capre e l’attuazione di severe misure repressive.

Anni Cinquanta

Su quel periodo ho dei ricordi per sonali legati al paesello della Valtellina dove sono cresciuta. Mi vedo scolara dei primi anni delle elementari inco lonnata con allievi e insegnanti delle cinque classi su mulattiere e sentieri

che dal centro del paese portavano a un pendio scosceso e franoso posto 300-400 metri più in alto. La stagio ne era l’inizio della primavera, l’abbi gliamento quello utilizzato abitual mente per la scuola, grembiule o blusa nera a seconda del sesso e scarpe di tutti i giorni. All’arrivo, incontro con le autorità, discorsi di circostanza, be nedizione degli alberelli da mettere a dimora e piccola recita di poesie stu diate a memoria dagli alunni, una per ogni classe. Una volta, credo in prima o seconda a giudicare dalla brevità del testo, la declamazione toccò a me e non resisto alla tentazione di riportare quei pochi versi che mi sono rima sti incistati nella memoria. Trasudano amore per la natura nelle sue manife stazioni migliori e alla portata di tutti, lasciando forse affiorare nella simili tudine con soldati il ricordo non del tutto sopito della guerra. L’autore è Diego Valeri (1887-1976):

Sempre fermi, sempre ritti, / sem pre zitti, / come impavidi soldati, / stanno i buoni alberi, armati / sol di foglie e fiori e frutti, / di cui fanno dono a tutti. / Tutto danno quel che

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Festa degli alberi, la storia e i verbali della sezione di Lecco del CAI di Adriana Baruffini Lungo il sentiero che porta alla Capanna Stoppani. Dopo le baite di Costa si entra in un fitto bosco misto che nei pressi del rifugio sconfina nel “bosco del Centenario”. Foto di Adriana Baruffini Festa degli Alberi 24/4 1921. “Sfilata del corteo al Largo Manzoni in cammino pel Piano Scire sa”. Foto Archivio CAI Lecco

hanno / e per sé tengono solo / un gorgheggio d’usignolo / un fischietto di fringuello / un sussurro di ruscello

A partire dagli anni Sessanta, l’inte resse per la Festa degli Alberi scema progressivamente, le scuole affidano per lo più ad altre iniziative la tra smissione di contenuti ecologici ed è venuto a mancare l’apparato organiz zativo del tempo libero che durante il fascismo faceva da cassa di risonanza.

Con la legge 14 gennaio 2013, n. 10, il decreto istitutivo del 1923 viene abrogato, e in sostituzione della Fe sta degli Alberi è istituita la Giornata Nazionale degli Alberi da celebrarsi in

tutta Italia il 21 novembre. Il fine di chiarato è di “diffondere tra le nuove generazioni la consapevolezza dell’as soluta necessità di salvaguardare e valorizzare l’ambiente e il patrimonio arboreo e boschivo, di ridurre le emis sioni inquinanti, di prevenire il dissesto idrogeologico e di migliorare la qualità dell’aria”.

partire dal 1900.

Nei primi anni il CAI non agisce da ente promotore, ma aderisce alle ini ziative di altre associazioni e le so stiene facendole coincidere con eventi propri. Il 10 aprile 1900, ad esempio, la Festa degli Alberi indetta dalla SEM (Società Escursionisti Milanesi) è l’u nico argomento all’ordine del giorno di una seduta della direzione (presi dente Giuseppe Ongania) che delibera di “partecipare indicendo per i soci la gita al Pizzo Nibbio effettuando la di scesa al Rifugio Grignetta per ivi par tecipare all’inaugurazione della festa”.

Per il 9 aprile 1905 le iniziative sono addirittura due: “presenza alla Capan na Escursionisti al Roccolo Resinelli […] dove “avrà luogo promossa dagli Escursionisti Milanesi la Festa degli Alberi e l’inaugurazione del Vessillo Escursionisti” e “intervento della Se zione con vessillo alla Festa degli Al beri indetta dalla Società Alpina Ope raia Lecchese”.

Il 7 luglio 1912 si discute in consi glio sulla “Festa degli Alberi indetta dal locale Municipio per il 19 ottobre” e si delibera di “vedere quante sono le piante che si potrebbero ancora pian tare nel possedimento nostro alla ca panna, località scelta dall’autorità Lec chese per la Festa degli alberi”.

montagna e la ricostruzione dei rifugi.

E la Festa degli Alberi scompare dai verbali del CAI Lecco.

Restano però le piante messe a dimora anno dopo anno negli spa zi intorno alla capanna, fino a creare un bosco inestricabile di latifoglie e di conifere.

Nel 1974 una delle iniziative del la sezione per festeggiare cent’anni dalla propria fondazione consiste nel ridare vita a quel bosco ripulendo lo dalle sterpaglie, tagliando gli alberi secchi e sostituendoli con piante nuo

ve, quelle che ancora oggi ombreg giano i dintorni del rifugio e i sen tieri di accesso. Un grande impegno di lavoro volontario per parecchi soci, documentato dalla cinepresa di Ren zo Battiston.

Nasce così il Bosco del Centenario

In questa pagina, a sinistra: Spilla dell’As sociazione Pro montibus, promossa dal CAI nel 1898; sotto: Festa degli Alberi a Pian Sciresa, 1922. L’oratore è Fermo Magni, autore della Guida illustrata della Valsassina edita nel 1904. Foto Archivio CAI Lecco

Dagli archivi del CAI Lecco Scorrendo i verbali delle assem blee dei soci e delle sedute di con siglio della sezione di Lecco, si coglie un certo interesse per la Festa degli Alberi nel periodo che precede lo scoppio della prima guerra mondiale a

Nel 1911 si fanno le cose in gran de. Una seduta della direzione del 3 novembre “stabilisce per domenica

12 corr. la prima Festa Nazionale de gli Alberi, la settima Gita Sociale e la Marronata alla Capanna Stoppani, col solito itinerario degli scorsi anni. La piantagione degli alberi, che dovrebbe farsi alla Capanna Lecco viene invece effettuata alla Capanna Stoppani per riguardo al gelo e alla stagione poco propizia. Dei cento alberelli 50 saranno piantati e 50 saranno affidati al Sig. Campanari [Campanari Enrico, segre tario, ndr] per l’interramento fino alla prossima primavera in cui si piante ranno al Piano di Bobbio”. Gestione diretta della festa fatta coincidere con altri eventi sezionali e impegno per la messa a dimora delle piante.

Sono le ultime celebrazio ni a cui il CAI Lecco aderisce con un certo impegno organizzativo.

Il 18 aprile 1915, a ridosso dell’en trata in guerra dell’Italia, la sezione parteciperà all’evento promosso dagli Escursionisti operai italiani” con un unico consigliere che porta il vessillo.

Il Bosco del Centenario

Dopo ci saranno i tempi bui della guerra, del dopoguerra e dell’avvento del fascismo.

Nel 1927 il CAI perderà la propria autonomia diventando parte del CONI e si chiamerà Centro Alpinistico Ita liano. La sezione di Lecco subirà un pesante ridimensionamento nel nu mero degli iscritti e nelle iniziative, e dopo la Liberazione gli sforzi si con centreranno sulla ripresa dell’attività in

In questa pagina, sopra: Festa degli Alberi 4 maggio1919, Pian Sciresa. Foto Archivio CAI Lecco; sotto: Festa degli alberi 24/4 1921 a Pian Sciresa, in posa per il fotografo

DUE GIORNI, TRE INTERVENTI

ni e alla fine riusciamo a tornare alla base: per quella volta niente Angelina!

Siamo

verso la fine degli anni Cinquanta. All’epoca ero resi dente ad Acquate nella casa di mio fratello che mi ospitava da quan do, all’età di sedici anni, ero arrivato dal Friuli. Le montagne di Lecco mi avevano attirato fin dall’inizio e sicco me abitavo al di là del Caldone la meta delle mie prime escursioni era stato il Resegone, mentre quelli che abitavano al di qua del torrente andavano al San Martino e sulla Grigna. Proprio duran te una gita al Resegone ho conosciuto Battista Corti diventato poi mio amico e compagno di tante salite.

Caminetto Pagani

Quella volta era un sabato del mese di febbraio. Il sabato era una giornata di lavoro. Alla sera con Battista Corti

Sentieri e Parole

eravamo al bar in piazza ad Acquate e decidiamo di salire ai Resinelli per af frontare l’indomani la Guglia Angelina in invernale. Verso le undici di sera ci mettiamo in cammino sul sentiero n° 1 della Val Calolden sicuri che avrem mo trovato ospitalità al rifugio Grigna, gestito da Walter Bonatti. Con noi c’e ra un certo Nava, arbitro di calcio della serie C, appassionato di montagna, ma non di scalate e amico come noi di Ugo Tizzoni che in quegli anni gesti va la Capanna Stoppani. Quando verso le due arriviamo al rifugio, troviamo Carlo Rusconi che era spesso lì per ché in quel periodo faceva la corte alla collaboratrice del Walter.

Al mattino della domenica incomin ciamo la nostra ascensione. Alle pri me catene nella zona del Caminetto Pagani troviamo una compagnia di sei brianzoli in difficoltà: non han no l’attrezzatura, il canale di salita è ghiacciato e non possono rischiare la

discesa sulla neve dura. Li soccorria mo liberando le catene dalla neve e dal ghiaccio che le avevano sepolte, e i brianzoli riescono a tornare indietro per la via di salita.

Noi due affrontiamo invece il canale ghiacciato. All’inizio della scala, in un tratto particolarmente difficile, io rie sco a passare, Battista scivola e passa giù per il canale. Da dove sono non riesco a vederlo, sento soltanto un ru more di tonfi che mi fanno temere il peggio. La prima cosa che mi viene in mente d’istinto è di lasciarmi scivola re su una lingua di neve per andare a vedere cosa è successo al mio amico.

Per fortuna i sei brianzoli mi tratten gono e mi fanno ragionare, decido così di calarmi con una corda sem plice e raggiungo il Battista che non si è fatto niente di grave e si rimette in piedi. Insieme risaliamo lungo la corda, durante il tragitto veniamo investiti da una valanga che non ci provoca dan

Ai Resinelli incontriamo Bruno Fer rario (quello a cui è intitolato il bi vacco della Grignetta) che si offre di portare a Lecco il Battista in auto. Siamo preoccupati, perché sputa un po’ di sangue, ma non vuole andare al pronto soccorso. Io non posso ap profittare della macchina perché devo recuperare il Nava, in giro per i bar dei Resinelli con il Carlo Rusconi, e quan do lo trovo mi avvio a piedi verso Lecco. Ad Acquate passo da casa del Battista per vedere come sta, lui mi fa segno di non parlare, non vuole che sua mamma sappia della disavventura in Grignetta. Sta bene e ha deciso di fare un giro a Lecco perché non vede l’ora di sfoggiare il suo primo abito della festa, conquistato con tanta fa tica. Vado a casa anch’io a cambiar mi, pronto a indossare il vestito bello che avevo già da un po’, ma che non usavo mai, perché la mia vita in quegli anni si svolgeva tra lavoro e montagna.

Soccorso all’alba

Alle sette però arriva la notizia che un giovane, figlio del signor Palma presidente della Croce Rossa di Lecco, non è ancora disceso dal Resegone. Niente giro per Lecco e ci si allerta per andarlo a cercare sperando di vederlo rientrare al più presto con un grup po di Pescarenico che è ancora sulla montagna. Nell’attesa andiamo a casa di un amico del Battista che come lui canta nel coro di Acquate e che ci fa ascoltare dei dischi dell’Aida.

Alle dieci gli escursionisti di Pesca renico sono di ritorno, ma con loro il ragazzo non c’è. Con un mezzo della Croce Rossa io e il Battista saliamo a Versasio, poi per il sentiero della Corna arriviamo in Erna. Al Piano del Fieno

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Fine anni Cinquanta, il ricordo dei soccorsi tra Grignetta e Resegone di Renzo Battiston Anni ‘70, momento conviviale. Da sinistra Renzo Battiston, Emilio Ratti, Battista Corti, Agostino Castagna. Foto archivio Renzo Battiston Grignetta primi anni ‘60. A sinistra Renzo Battiston, in piedi, e Cesare Giudici. A destra Bruno Ferrario; Renzo Battiston a destra con Emilio Ratti e in primo piano Carlo Rusconi; Renzo Battiston in arrampicata sul Resegone. Foto archivio Renzo Battiston

incontriamo gli altri soccorritori, una cinquantina; definiamo le zone che i vari gruppi dovranno esplorare e alle prime luci dell’alba iniziamo le ricer che. Al Battista e a me tocca il com pito di setacciare la fascia orizzontale un po’ sopra Erna dove confluiscono i vari canali, ma del ragazzo disperso nessuna traccia. Dopo ore di ricerca, esausti, decidiamo di scendere alla Capanna Stoppani per mangiare qual cosa. Mentre siamo lì arriva la richie sta di una barella per portare a valle il cadavere dell’uomo ricercato, e così Battista ed io partiamo di nuovo prima di riuscire a rifocillarci.

Insomma, in quelle due giornate tra Grignetta e Resegone il Battista Corti e io abbiamo soccorso, siamo stati soc corsi e abbiamo soccorso di nuovo.

Il recupero della salma effettua to sul Resegone fu l’occasione per creare rapporti di collaborazione più stretti fra il CAI Lecco (responsabile del Soccorso alpino era allora Giulio Bartesaghi) e la Croce Rossa. Si decise di organizzare dei corsi per migliorare le conoscenze di entrambe le parti: fu così che gli alpinisti insegnarono come si va in montagna ai volontari della Croce Rossa, i quali a loro volta orga nizzarono dei corsi di primo soccorso per soccorritori del CAI.

Tessera di iscrizione di Renzo alla Strada Storta, prima che diventasse sottosezione del CAI Lecco. I versi citati sono di An tonia Pozzi; Renzo Battiston sopra la chiesetta del San Martino Foto archivio Renzo Battiston

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DONGUZORUM PASS

Incontri nel Caucaso alla fine degli anni Settanta

di Giancarlo Mauri

Sopra: Donguzorum Pass, cartografia. Sotto: 1979 - Caucaso, Valle del Nakra, poco sotto al Donguzorum Pass, 3189 metri. Foto di Giancarlo Mauri

Giancarlo

Mauri, più che be nemerito autore di guide escursionistiche legate alle Grigne e primo ideatore di quella che poi diventerà “L’alta via delle Grigne” trae dalle sue memorie di viaggiato re questa immagine, cui fa seguire un arguto commento che ci piace ripren dere qui di seguito:

A proposito di gente fotografata in vetta alla Grignetta in maglietta, jeans e borsone (vedi Il Giorno e Corsera): 1979, Caucaso. Dal versante asiatico rientro in Europa risalendo la Valle del Nakra.

Rispetto al Betcho Pass, la via che ho seguito per andare in Asia, qui è già più tranquillo: una lunga fascia di neve non pericolosa è stata supe rata, adesso solo sentiero e roccet te. Poco sotto il passo, 3189 metri, incontro alcuni russi vestiti da gita campestre e valigia legata alla schie na. Mi informo e imparo che stanno valicando la catena del Caucaso ...per andare al mare. Imparo che il tutto è illegale (per muoversi servono i per

messi dei capi villaggio), quindi loro hanno optato per questo itinerario alpestre, la strada che dovrebbe evi

tare i controlli militari e il respingimento. Sulla cartina ho messo un punto rosso: lì è il Donguzorum Pass, altro che la Grignetta...

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Foto Archivio Renzo Battiston

GITE D’AUTUNNO ALLO SCILIAR

e con tratti vertiginosi in discesa. E alla fine ci si è ritrovati tutti a Campitello.

Attorno

alla metà degli anni ottanta il Touring Club Ita liano per rilanciare il suo grandioso rifugio Sciliar all’Alpe di Siusi nominò come direttore il com pianto Giordano Dell’Oro, nostro so cio e istruttore nazionale di Alpinismo giovanile. I risultati furono brillanti e Dell’Oro venne confermato direttore per diversi anni successivi. Però non dimenticò il CAI Lecco e nel 1987 propose una due giorni allo Sciliar nel week end di chiusura del rifugio. Ero allora presidente e accettai con entusiasmo l’invito, pregandolo di pro grammare per la domenica una gita adatta ai ragazzi dell’Alpinismo gio vanile che volevamo far partecipare.

L’iniziativa ottenne un buon successo e così il secondo sabato di settem bre due pullman carichi di ragazzi, di

Sentieri e Parole

genitori, di accompagnatori e di sim patizzanti lasciarono Lecco per l’Alpe di Siusi. Arrivati al rifugio nel primo pomeriggio, dopo la sistemazione nelle camere alcuni accompagnatori organizzarono giochi per ragazzi sul piazzale, mentre altre persone si de dicarono all’esplorazione dei dintorni.

L’indomani, favoriti da un tempo splendido, la traversata sostanzial mente pianeggiante e molto pano ramica al Passo Sella, contornando il Sassopiatto e il Sassolungo. Giordano in testa e dietro la lunga fila di ragazzi e di adulti. Salutato e ringraziato calo rosamente Giordano, tutti sui bus per il rientro a Lecco, pienamente soddi sfatti dei due giorni trascorsi.

Neve settembrina

L’anno successivo la gita venne naturalmente riproposta. I dirigenti dell’Alpinismo giovanile si dissero non più interessati a questa uscita, ma la pubblicità fatta dai partecipanti alla due giorni precedente attirò molti curiosi neofiti e così il terzo sabato di set

tembre furono ancora due i bus a la sciare Lecco per l’Alpe di Siusi, dove si scoprì che una precoce nevicata set tembrina aveva reso più fotogeniche le montagne circostanti e il pomeriggio venne dedicato a brevi escursioni e a molte fotografie. L’indomani Giorda no propose la traversata al grandioso e stupendo rifugio Bolzano, ubicato poco sotto la cima del monte Pes e nato come casa di caccia dell’impe ratore Francesco Giuseppe. Arrivati al rifugio in diversi salimmo sul monte Pes, dove era in corso la festa di una società altoatesina, con santa messa e successivo concerto bandistico. Ri discesi al rifugio in molti decisero di assaggiare la famosa kaiserschmarren la frittata dolce tirolese con marmel lata di mirtilli. Poi la foto di gruppo e la lunga discesa ai laghi di Fiè, in parte su una passerella di legno, realizzata per superare una stretta gola percorsa da un torrentello.

1989: siamo al terzo anno. Soliti due pullman completi; solita impec

Qui sopra: La lunga fila in partenza dallo Sciliar per il Passo Sella; sotto: Il Rifugio Bergamo e il selvaggio vallone del Ciamin

cabile organizzazione curata in tutti dettagli da Carlo Primerano, autore tra l’altro di un opuscolo illustrativo molto apprezzato da tutti; solita magnifica ospitalità al rifugio Sciliar sempre di retto dal nostro Giordano Dell’Oro.

A fare i capricci è stato solo il tem po: l’Alpe di Siusi ci ha accolto con una pioggerellina, che ha fatto saltare i programmi del sabato pomeriggio. Fortunatamente però la domenica il tempo è migliorato ed ha permesso lo svolgimento di tutte e tre le alternative previste per la discesa a Campitello di Fassa. I più tranquilli sono scesi diret tamente per la Val Duron; gli escur sionisti più allenati hanno effettuato la traversata al Passo Principe e al rifu gio Antermoia, da dove hanno rag giunto il Passo Duron e la Val Duron; gli “alpinisti” guidati dal Ragno Renzo Battiston si sono diretti al rifugio An termoia lungo la cresta del Molignon e la ferrata “Laurenzi”, spesso aerea

Sabato 15 settembre 1990 la quarta uscita per lo Sciliar. Sempre due pullman completi. Uni ca novità, venne antici pata l’ora della partenza per favorire le escursioni pomeridiane. Partenza da Lecco con la pioggia e con previsioni meteo poco incoraggianti. A mezzogiorno però all’Al pe di Siusi il cielo era solo un poco nuvoloso per cui si decise di dar cor so ai programmi previsti. Quindici alpinisti salirono rapidamente al rifugio Tires e attaccarono la fer rata Maximilian, che percorre per cresta la costiera dei Denti di Terrarossa. Il tem po non peggiorò e, completata la ferra ta, 15 rientrarono asciutti al Tires, dove nel frattempo era salito anche il gros so degli escursioni sti. Quindi al rifugio Sciliar per la cena e il pernottamento in un clima di grande e signorile ospitalità. Al mattino suc cessivo la gradi ta sorpresa di una splendida giornata, che ha permesso di ammirare tutta la bellezza dell’Alpe di Siusi. Stupendo

in particolare il grandioso panorama dalla vetta del Sassopiatto, raggiunta dagli escursionisti per la via normale e da un gruppo di 16 alpinisti guidati da Renzo Battiston per la ferrata Schu ster, che percorre la selvaggia parete Est della montagna.

Poi la traversata al passo Sella per il sentiero Friedric August con viste splendide sulla Marmolada e sulle altre montagne del passo Pordoi.

Al rifugio Tires

Il 1991 porta alcune novità legate al fatto che a fine ’90 Giordano aveva chiuso il suo rapporto con il T.C.I. con la conseguente indisponibilità del ri fugio Sciliar. Ad accoglierci, per l’in teressamento di Giordano, il rifugio Tires, peraltro meno confortevole del lo Sciliar e in grado di ospitare solo una cinquantina di persone. Per cui

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Dal 1987 al 1991: le cinque volte del CAI Lecco all’Alpe di Siusi di Annibale Rota
Il grandioso Rifugio Bolzano

un solo pullman. Poi la scarpinata per salire al Tires e un cielo decisamente grigio, hanno indotto tutti a rinuncia re a possibili escursioni pomeridiane. L’indomani, con tempo sempre mi naccioso, la traversata a passo Prin cipe e la discesa lungo la Valle del Ciamin al rifugio Bergamo, raggiunto dagli escursionisti prima di uno scro scio di pioggia. Va detto che a pas so Principe, visto che non pioveva, un gruppetto di alpinisti guidati dal solito Renzo Battiston ha deciso di salire il Catinaccio di Antermoia per la cre sta ovest parzialmente attrezzata. La soddisfazione per una cima nuova è stata in parte smorzata dalla pioggia durante la discesa al Bergamo, dove tra l’altro il gestore non voleva farci entrare, perché avremmo “sporcato” l’ambiente. Poi, dopo una discussione, citando la vicinanza di Lecco a Ber gamo e vantando la conoscenza del presidente del C.A.I. di Bergamo, ci venne consentito l’ingresso e la pos sibilità di mangiare qualcosa all’asciut to. Di seguito, senza pioggia, la discesa ai Bagni di Lavinia Bianca, dove, con un pallido sole, potemmo gustare un ottimo yogurt artigianale con frutti di bosco e, gradita sorpresa, trovammo anche il pullman, che in teoria avrebbe dovuto fermarsi qualche chilometro più in basso.

A valle della gita, considerando l’in disponibilità del rifugio Sciliar e il fat to che praticamente avevamo visto e fatto tutto quanto si poteva vedere e fare all’Alpe di Siusi si decise di chiu dere questo ciclo di gite, sicuramente positivo per i partecipanti.

Foto di Annibale Rota

Dall’alto: Foto di gruppo al Rifugio Bol zano; Gli alpinisti sul punto più alto della ferrata Laurenzi; Un gruppetto di escur sionisti sul sentiero Friedric August

di Mariangela Cugnola *

del cielo, signore delle cime…” se tu non l’avessi chiamato a te, quest’an no avrebbe compiuto 100 anni: Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia dal 1964 al 1978, anno in cui il 16 ottobre, venne eletto papa col nome di Gio vanni Paolo II.

Nelle occasioni in cui si doveva re care a Roma, aveva scoperto che la strada più breve, arrivando da Craco via, passava da Seregno. Aveva tan ti amici in questa città, che avevano mobilitato tutti gli abitanti per donargli anche le campane per la sua catte drale di Cracovia, per sostituire quelle che gli erano state portate via durante la guerra. Aveva stretto una grande amicizia con monsignor Gandini, un lecchese doc, che quando Wojtyla veniva chiamato a Roma per impegni

in Vaticano, lo ospitava regolarmente durante le sue soste.

Monsignor Gandini faceva parte di un gruppo di alpinisti, i Ragni di Lecco, e questa era un’occasione straordina ria per intavolare lunghe chiacchierate sulle montagne e sulle imprese alpi nistiche dei più famosi scalatori, fra i quali Karol ricordava particolarmente un altro papa, Pio XI (Achille Ratti, ndr) del quale conosceva tutte le ascen sioni.

Anche nell’ottobre 1978 si era fer mato a Lecco, durante il viaggio a Roma per partecipare al conclave che doveva nominare un nuovo papa dopo la morte di papa Luciani, Giovanni Pa olo I. Ne avevano parlato, e monsignor Gandini gli aveva fatto promettere che se fosse stato eletto lui, la prima vi sita in veste di papa l’avrebbe fatta a

Seregno. Wojtyla era molto scettico sulla possibilità di venir eletto al so glio pontificale, ma per scaramanzia accettò quella che allora pareva una previsione decisamente poco verosi mile.

Tra la sorpresa generale (ma non tra chi conosceva il suo spessore uma no), Wojtyla divenne il primo ponte fice straniero dopo secoli di elezioni di papi italiani. La promessa doveva essere onorata! Ma come si poteva trovare una scusa plausibile per man tenerla?

L’occasione si era presentata per via del concilio eucaristico che si sarebbe tenuto a Milano nel 1983. Il capoluogo

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Sentieri e Parole
I RAGNI E I PONTEFICI ALPINISTI
L’incontro a Seregno con Giovanni Paolo II ricordando papa Ratti
“Dio
La piccozza donata nel 1983 dal Gruppo Ragni a Papa Giovanni Paolo II. Foto archivio famiglia Dalla Rosa

lombardo era vicino a Desio, città na tia di papa Ratti, e Wojtyla accettò di venire a celebrare una messa nella ba silica di San Giuseppe, a Seregno, per ricordare nell’omelia il papa alpinista, molto amato in Polonia. Seregno era poco distante da Desio, e monsignor Gandini riuscì a organizzare una mes sa speciale, cui avrebbe partecipato il gruppo dei Ragni per conoscere e fe steggiare il nuovo papa alpinista.

Classe 1928, Alberto dalla Rosaentrato a far parte del gruppo Ragni nel 1947 - è venuto a mancare il 17 agosto 2015 mentre si riposava nella sua casa al mare.

Sposato con Mariangela, e padre di Enrico, Eugenio e Antonio, ha sempre lavorato in banca raggiungendo il ruolo di direttore: aveva alle sue dipenden ze più di 700 persone, era un uomo capace e onesto, un vero personaggio.

Di lui ho bellissimi ricordi, alcuni più

me: il suo amore per le montagne. […] Devo ricordare che nella mia parroc chia natale di Wadowice, il parroco, molto zelante, ci leggeva molte volte i brani delle encicliche di Pio XI, ma io, più che le sue encicliche, conosce vo tutte le salite che il “papa alpinista” aveva fatto nelle Alpi. Questo volevo confessare qui a Desio, davanti ai suoi concittadini. Questo volevo confessa re per ricordare il legame tra un gran de papa italiano che si diceva vescovo polacco e questo vescovo polacco che si sente papa italiano.”

Ricordi

E qui si inseriscono i miei ricor di personali. Era il 21 maggio 1983.

Ci eravamo radunati nella basilica, emozionati e incuriositi, dove Karol Wojtyla avrebbe celebrato la messa. Ricordando la figura del papa alpini sta, Karol Wojtyla disse: “Mi è venuto in mente che nella mia allocuzione su papa Pio XI ho dimenticato un ele mento molto importante per lui e per

Alla fine della messa monsignor Gandini era riuscito ad accompagna re Wojtyla vicino al nostro gruppo, e gli avevamo stretto la mano, mentre ci guardava con quegli occhi azzur ri sempre sorridenti. I Ragni poi, per ringraziarlo, avevano deciso di fargli un regalo: una piccozza in una grande scatola rivestita di pelle bianca – per ché ai papi i regali vanno presentati in questo modo – e gliela avevano portata a Roma, ricevuti in udienza privata.

Ho altri ricordi legati alla presenza di questo papa straordinario: la sua visita

al Sacro Monte di Varese, per arrivare al quale era passa to proprio davanti al nostro giardino. Lo ricordo in piedi sulla sua macchina bianca. Ho teso le braccia in segno di saluto – avrei voluto fermarlo, stringergli ancora la mano, ma in un attimo era già spa rito.

Lo ricordo anche in montagna, men tre diceva mes sa nella cappellina scavata nella roc cia in cima alla Marmolada. Era il papa sempre col sorriso dolce sulle labbra, il papa che si chinava a benedire gli ammalati, che abbracciava con tanto palese affetto i bambini, che si univa ai cori dei giovani, alle loro danze, ma che sapeva sempre mantenere quel senso innato di autorità. Era il papa che ammoniva i mafiosi e li esortava

con forza a pentirsi, che sapeva met tersi in gioco in ogni occasione e pa gare anche di persona. Un papa santo e indimenticabile.

“Signore delle cime, noi ti preghia mo: su nel paradiso, nel tuo paradiso,

lascialo andare sulle tue montagne!”

*Moglie del Ragno Alberto Dalla Rosa, “che è sempre stato orgoglio so di far parte di questo gruppo così speciale”

vividi.

Nel 1946, grazie alla sua competenza tecnica e logistica e grazie alla cono scenza del tedesco (in quel periodo in Val Gardena il tedesco era ancora la lingua correntemente parlata) ha con tribuito al recupero della salma dell’al pinista lecchese Ruchin, Ercole Esposito, al Sasso Lungo.

Nel 1948 mentre saliva la parete Est del Monte Rosa nel canale Marinelli subì un congelamento ai piedi che gli costò la perdita di tutte le dita, ma questo non ha fermato la sua attività di alpinista e la sua passione per la montagna.

Nel 1967 ero presidente dei Ragni e

decidemmo di organizzare campeg gio estivo in Cecoslovacchia ai Monti Tatra, grazie alle sue conoscenze nel mondo bancario riuscì ad ottenere un vantaggiosissimo cambio lira-corona, che consentì un notevole risparmio per le casse dell’associazione.

Ho condiviso due spedizioni con Alberto. Una in Alaska nel 1969 e l’altra nella Terra di Baffin nel 1972 e lo ricor do come una persona sempre allegra e di ottima compagnia, ma soprattutto come un grande organizzatore.

Primi sponsor

Nel 1968, Alberto si apprestava a or

ganizzare una spedizione in Alaska, al Monte McKinley (il monte che il pre sidente degli Stati Uniti, Obama, ha re stituito ai nativi d’America, ripristinan do il nome originale Denali), alto 6194 metri, per l’anno successivo, insieme ad un gruppo di alpinisti svizzeri.

La moglie, ottima conoscitrice del la lingua inglese, era in contatto con Anchorage e si occupava di ottenere i permessi e di organizzare la logistica. Mi chiese se volevo partecipare all’im presa e io accettai entusiasta.

I soldi erano pochi e l’attrezzatu ra scarseggiava e Alberto decise che era venuto il momento di trovare uno

sponsor.

Su suo suggerimento andammo a Milano ad una fiera di articoli spor tivi e ci avvicinammo allo stand della ditta Arvil, Alberto prese il coraggio a due mani e grazie alla sua dialet tica e al suo entusiasmo per l’impresa che stava organizzando, riuscimmo a farci regalare 12 giubbotti e 12 pan taloni di piumino e anche dei guanti pesanti che non avremmo mai potu to permetterci altrimenti, e che han no evitato ai componenti del gruppo dei congelamenti nel corso della salita alla vetta. Ho scalato molte pareti con Alberto e la corda che unisce due al

pinisti in arrampicata resta indissolu bile nel tempo e forgia un’amicizia che dura una vita.

Quando ero presidente dei Ra gni era lui che mi suggeriva come comportarmi con le banche e anche come comportarmi in pubblico. Sug gerimenti utili e preziosi che mi hanno evitato brutte figure.

Mi ha detto sua moglie Mariangela che nel bagaglio per il mare, il suo ul timo viaggio, ha voluto mettere il ma glione rosso dei Ragni.

Il suo orgoglio di appartenenza al gruppo Ragni lo ha dimostrato fino alla fine dei suoi giorni.

La dedica che accompagna il dono della piccozza. Foto archivio famiglia Dalla Rosa Spedizione dei Ragni al McKinley, 1969. Alberto Dalla Rosa era fra componenti che nella foto indossano i piumoni Arvil

Potrebbe

apparire una provoca zione, una cattiveria, un’ester nazione di pessimo gusto, ma posso assicurare che non lo è: è, se mai, uno sfogo di quella mia tendenza a cercare e in alcuni casi a trovare una porzione di buono anche nelle cose cattive, un lato buffo negli accadi menti più seri, forse il suggerimento consolatorio e sdrammatizzante nelle vicende più tristi.

Non è la prima volta che mi confron to con tale argomento e, qualcuno tra i miei più affezionati lettori potrebbe ricordare, per esempio, un mio “bel lo della discarica” dove facevo notare come, insieme allo sgradevole puzzo e il dannosissimo impatto ambientale creato, esse costituiscono anche un incredibile richiamo per grandi stormi di uccelli, gabbiani in particolare, che

ivi trovano abbondanza di cibo e che, in certi momenti si esibiscono in cie lo offrendo meravigliosi spettacoli ed evoluzioni di volo. Un “bello della sor dità” citando esempi di buffi malintesi, di risposte date a vanvera che essa può provocare, ma anche quella sor ta di isolamento indotto, portatore di pace interiore in un mondo tutto pro prio. Il “bello del malanno” attraverso il quale esorto un amico ammalato, lieve o grave che sia, a quel lavorio mentale che lo porta ad essere collaborativo con i curanti e le cure, ad avere fiducia in chi gli sta vicino e lo aiuta ad essere creativo rispetto alle cose del dopo.

Giovane accademico

Dedico, senza troppi giri di paro le, questo mio nuovo “bello” ad un giovane amico, giocoso bambino da piccolo, e che poi, in alpinismo ha bru ciato le tappe dell’apprendimento e dell’esperienza diventando una stella di caratura internazionale. Devo dire di non aver quasi mai arrampicato con

lui, ma l’ho seguito dai suoi primi pas si nelle scuole di alpinismo locale fino ai primi voli con le sue solide ali. Ho sempre frequentato per amicizia, per parentela ed affinità di passioni il suo babbo e un suo istruttore, che il desti no ha poi voluto ghermire insieme in montagna, l’ho proposto giovanissimo per l’accoglimento nel Gruppo acca demico, dove è entrato a pieni voti, quando il suo percorso era chiara mente delineato. Poi è andato molto

oltre facendo della montagna la sua ragione di vita, quasi una professione, ha arrampicato su tutte le pareti più impegnative delle Alpi, è entrato nel prestigioso gruppo dei Ragni di Lecco e ha iniziato una lunga serie di spedi zioni sulle montagne di tutto il mondo, ottenendo grandi successi. L’ho pra ticamente perso di vista, ma so che nutre ancora per me un buon ricor do ed affetto. Ha scritto alcuni libri, ha girato cortometraggi, espone le sue esperienze in tante conferenze qua e là. E’ buon parlatore, semplice, di so stanza, arguto, senza enfasi retoriche né prosopopea, adeguato alla platea degli ascoltatori. Lo so per certo, pur non essendo io un gran collezionista di questo genere di serate. E’, natu ralmente, alpinista completo, accumu lando insieme alle più prestigiose ar rampicate, moltissime importanti salite di misto e di ghiaccio nelle Alpi e nel mondo, in Himalaya, in Groenlandia, in Terra di Baffin, nelle Ande argentine, in California; la sua preferita resta forse la Patagonia, dove ha ripetuto i massimi itinerari storici e dove ne ha aperti di

nuovi difficilissimi. Naturalmente gli auguro con tutto il cuore ogni miglior successo per mol tissimi anni ancora; e conto molto su una sorta di speciale suo buon sen so, che vedo aumentare seguendo la successione nel tempo delle sue rea lizzazioni, dei suoi propositi e progetti.

La scelta delle Alpi Ma, per tornare al titolo, è sicura mente superfluo ricordare quanti e quanto gravi siano stati e sono an cora danni provocati dalla pandemia in ogni campo dell’attività umana, e possiamo solo sperare ed impegnar ci affinché il dopo che ci sarà venga concepito in modo diverso e migliore dal prima. Anche il mondo della mon tagna e della sua pratica sta soffrendo la sua parte di disagio: non fosse altro che per le difficoltà di spostamen to, l’impedimento ad allontanarsi dalla propria regione o paese, dalla chiusura degli impianti e dei rifugi, l’impossibi lità a programmare viaggi importanti

e di coinvolgere persone e mezzi di appoggio in luoghi lontani.

Deve dunque essere questo, pen so, il motivo per cui questo mio caro amico, in questi primi mesi dell’anno in corso, anziché imbarcarsi per la solita Patagonia deciso a cercar di saldare qualche conto rimasto in sospeso o a combinare qualcosa di nuovo, rima ne inchiodato dalle parti di casa come tanti altri e con somma gioia, sem pre penso, della sua giovane famiglia e della mamma, a sua volta mia cara amica, dedicandosi a più brevi e sem plici scappatelle fuori porta, si fa per dire.

Il numero di giugno della rivista mensile del Club Alpino Italiano, che da anni ormai si chiama Alpinismo 360 ed esce con una tempestività quasi asfissiante, riporta di due sue stupende invernali messe a segno nei primi mesi dell’anno, accendendomi dentro l’estro per il presente racconto.

In seguito, anche l’importante perio dico del CAI di Lecco riporta un suo

IL BELLO DELLA PANDEMIA
L’inverno di Della Bordella e la riscoperta delle grandi pareti di casa di Mario Bramanti
44 Sentieri e Parole
Qui sopra: Matteo della Bordella al Miroir d’Argentine, Svizzera, anno 2000; sotto: Sul Pic Adolphe Rey, Monte Bianco, anno 2001 Col papà Fabio in cima alla via Caminando, Wenden, anno 2004

racconto su di una delle due dove si può appunto notare la semplicità e l’efficacia del modo di esprimersi.

La prima in ordine di tempo consi ste in una via nuova sul versante sud del Pilastro Ghiglione nel gruppo del Monte Bianco. Esso costituisce uno dei caratteristici rilievi rocciosi e di misto disseminati lungo la vasta pa rete sud delle Grandes Jorasses che si estende per oltre quattro chilometri, incombendo sulla Val Ferret, con il suo affilato crinale, quasi tutto oltre i quat tromila metri di quota, praticamente dal Dente del Gigante al Col des Hi rondelles, attraverso una serie di cime che entrano con i loro nomi e con la storia delle loro conquiste nella leg genda dell’alpinismo classico. La fetta maggiore della leggenda è senz’altro legata alla parete nord, perché più ri pida e sviluppata in altezza, con una struttura più monolitica e meglio con formata, con i suoi tre imponenti spe roni principali, con i canaloni e le pa reti che li dividono, per quel “versante nord” che storicamente ha sempre conferito maggior severità alla parete e fascino alla sfida. Con le due creste che la definiscono ad ovest e ad est, vale a dire, quella di Rochefort e quella des Hirondelles.

Ma anche il versante sud ha le sue da raccontare. A parte la “normale” di salita alle cime, che è una norma le tutta speciale, e che fu opera, tra il 1865 e il 1868, di guide come Croz, Almer, Anderegg, e clienti britannici come Wimper e Walker, è obbligatorio ricordare, in tempi più moderni, il ca polavoro di Gervasutti e Gagliardone sulla parete est, dal ghiacciaio di Fre

boudze alla punta Walker, da sempre poco ripetuta per la sua difficoltà, e l’exploit di Machetto del 1970 sul gran diedro della Tour des Jorasses. Oltre ad altre più recenti ad opera di Go gna, Grassi, Sanguineti, Piola ed altri ancora. Restano tuttavia tante cose da fare per chi abbia capacità e occhio adeguati, anche, e forse meglio, nel periodo invernale, stanti l’esposizione a sud e la crescente mitezza del clima; e questi tre giovani eroi, tra i quali il mio amico, mettono a segno questa loro nuova salita. Apprezzo particolar mente come dal racconto e dalle ci tazioni dei protagonisti si tratti di una salita importante e difficile, ma logica ed abbordabile, appetibile, ovviamente per meglio dotati; e ci leggo il sen so di una gioiosa rivincita rispetto alla

disgrazia che all’incirca un anno fa si portò via, da quelle parti e durante la discesa dopo un’altra importante salita, un loro fortissimo e giovane compa gno.

La Bonatti al Cervino

L’altra impresa alla quale mi riferisco, l’ultima in ordine di tempo, ci porta alla fine di marzo e riguarda la prima ripe tizione e invernale della diretta Bonatti alla Nord del Cervino.

La parete nord del Cervino, con quella delle Grandes Jorasses e quella dell’Eiger, costituiscono il treppiede di appoggio del successo dell’alpinismo classico rispetto agli obbiettivi ritenuti impossibili, con una lieve e spiacevo le sfumatura di rivalità tra nazionali smi che andavano acuendosi giusto in quegli anni tra le nazioni alpine (nord del Cervino 1931, nord delle Jorasses

ni, Esposito, che non conoscevano la parete, che non sapevano niente, ma che armati del loro potente coraggio ed intuito dopo tre giorni di durissima lotta giunsero in vetta.

Dell’Eiger, della sua pericolosità, delle disgrazie che accompagnarono i primi tentativi di approccio, delle tragedie che si ripeterono per molti anni du rante le ripetizioni, del morboso spet tacolo di spettatori paganti al binocolo, dalla elegante terrazza della Kleine Scheidegg, molto è stato detto, scritto e messo in pellicola.

Occorre aspettare l’inverno del 1965, perché la nord del Cervino torni a far parlare di sé.

1938) e che trovano il loro simbolo nel 1939 con la conquista dell’Eiger da parte della cordata mista tedescoaustriaca composta da Ekmeier, Worg - Harrer, Kasparek, capolavoro di col laborazione tra alpinisti, ma celebrata dall’abominevole führer come la salita dell’ “Anschlüss”, cioé dell’”annessione” dell’Austria alla Germania.

La prima ad essere vinta fu quella del Cervino, il “più nobile scoglio d’Eu ropa” con la sua forma tanto caratte ristica, con la sua posizione centrale rispetto alle Alpi, messo lì a guardare su Zermatt, uno dei luoghi più famosi al mondo del turismo internazionale, segnato dalla memoria della terribi le disgrazia che accompagnò la sua prima salita nel 1865 e dalla leggen da della contesa tra guide svizzere e

guide aostane. Forse in quegli anni, col clima e con l’innevamento di allora, la sua parete nord poteva sembrare la meno ostica delle tre, ma è curioso notare come i primi salitori, fratelli Franz e Tony Schmidt, tirolesi, fossero allora conosciuti come grandi arram picatori più che ghiacciatori, e sor prende il fatto che essi se la cavarono al primo tentativo uscendo dopo due giorni di azzardi con un solo bivacco in parete.

Differente storia è quella dello spe rone Walker alle Jorasses, dove i ten tativi erano cominciati anni prima da parte di fortissime cordate italiane, svizzere e francesi, con Pierre Allain che aveva forse individuato la chia ve per il passaggio, quando ... quando arrivarono i nostri ... Cassin, Tizzo

Quando alpinisti e non, poterono ascoltare della miracolosa ascensione diretta della parete da parte di Walter Bonatti che volle chiudere con questa, la sua prestigiosa carriera. D’inverno e da solo percorre una linea diretta dalla base alla cima dopo sette giorni di fatica e con poche deviazioni dalla verticale: una direttissima rispetto alla quale, la storica via del 1931 risulta il logico risultato della ricerca della li nea di minor resistenza. La storia di questa parete nord si completerà, una dozzina di anni più tardi, con un’altra via tracciata da Alessandro Gogna: un’altra diretta spostata più a destra che supera lo strapiombante Naso di Zmutt.

Dunque, a cinquantasei anni di di stanza dalla prodezza dell’immenso Bonatti, l’amico varesino, accademico e Ragno, in compagnia di due guide e specialisti del Cervino, occasional mente e forzatamente libero dai suoi ormai ciclici impegni patagonici, ripete

Al termine di Portami via, Wenden, 2005 In cima al Pilastro Ghiglione, parete Sud delle Grandes Jorasses, 2020
46 Sentieri e Parole 47
Sentieri e Parole

praticamente in giornata quella storica impresa, giungendo in vetta nel buio più pesto.

Sulle montagne di casa

E per concludere: in questo ritorno alle montagne di casa, in questo ar rampicare d’inverno sul Monte Bian co di tre amici lombardi che aprono una via nuova sulle Grandes Jorasses in ricordo di un loro caro e fortissimo compagno caduto meno di un anno prima da quelle parti; in questo trovarsi insieme di due guide e un accademico per ripetere insieme la prodezza con cui chiuse Bonatti cinquantasei anni prima; in questo loro ritrovarsi insieme sulle nostre montagne, in una stagione che “normalmente” li avrebbe visti tutti quanti diversamente impegnati nei luoghi più lontani del mondo e lontani tra loro; in questo ritornare al “nostra no” da parte di un giovane che ha già provato ed ottenuto così tanto anche all’”estero”, vedo un segnale positivo e trovo argomenti per pensare ad un possibile effetto collaterale benefico di un evento assolutamente disastroso. Una sorta di esempio ed incoraggia mento che il mondo della montagna manda ad ogni altro genere di attività e ai giovani, perché credano attiva mente di poter contare per il prossimo futuro, in migliori e più attraenti con dizioni operative anche “nostrane”.

Foto Archivio Matteo Della Bordella

Via Bonatti alla Nord del Cervino, 2021. Dall’alto:

Le prime difficoltà; Passaggio esposto al termine del famoso Traverso degli Angeli. Foto F. Cazzanelli;

Sugli ultimi tiri, dove la via Bonatti si con giunge alla classica Schmidt. Foto F. Ratti

Eraun silenzio che poteva esse re letto in molti modi quello che si è fatto davanti alla bara del Giovanni Ratti (scusate la preposizione articolata “lombarda di affezione”) sul sagrato di Santa Maria Gloriosa, sti pato di persone. Lì per lì, davanti alla chiesa di Rancio, a due passi da dove lo aspettavano il Pepetto, suo compa gno alla Gervasutti alla Cima di Valbo na, il Bigio, suo compagno alla Punta Chiara, Duilio e poi il Nisa, Casimiro, Luigi Castagna, Guerino, tutti insieme sotto la pala della Medale, si poteva pensare alla difficoltà di trovare le pa role per l’uomo a cui si deve più che a ciascun altro la ricostruzione della storia dei Ragni di Lecco. E in generale dell’alpinismo lecchese del dopoguer ra. Ma un po’ anche prima. Non parlerò quindi del Giovanni al pinista, del paziente maestro di tanti

ragazzini, alcuni dei quali come diceva lui l’unica cosa che potevano impa rare era qualche nodo, perché per il resto aveva provvisto madre natura. Non parlerò del compagno in tan te salite del conte Aldo Bonacossa, dell’umorismo appena accennato di certi racconti, né del suo contributo all’alpinismo giovanile. Né della sua vita, per certo segnata da quella de portazione in Germania direttamente da Alba dove era giunto come recluta nell’estate del 1943. Per lui, più sensibile di molti, certo una cosa rimasta lì a segnarlo, tenendogli una brutta com pagnia per tutta la vita.

Ma cercherò di parlare del Giovan ni attento testimone e interprete del mondo alpinistico, della sua onestà priva di cattiveria, della sua grazia nel porre le informazioni, guidandoti sen

za parere a formarti un’idea più precisa e vicina al vero delle cose che erano accadute, senza mai preconfezionar ti il tipico: “Adesso ti spiego come è andata”.

Un bottino di saggezza

Perché Giovanni non era un chiac chierone, non aveva il racconto bril lante che ti fa “piegare dalle risate” o che ti sorprende con colpi di scena sapientemente dosati. Talvolta la sua voce, specie negli ultimi anni, faceva fatica a imprimersi sul registratore, ma oltre a una memoria formidabile, a una grande capacità di non perdere il filo,

Giovanni Ratti a sinistra con Renzo Battiston durante una vacanza in Dolomiti negli anni ‘70’80. Foto archivio Renzo Battiston di Alberto Benini SOTTO LA PALA DELLA MEDALE Ricordo di Giovanni Ratti, l’alpinista che ci ha insegnato a interpretare quel mondo
49Il Personaggio48 Sentieri
e Parole

intanto che aggiungeva le informa zioni di contesto, utilissime a capire di chi davvero si stesse parlando, aveva un’implicita, spontanea capacità di in dividuare quel che era importante e quel che era folclore e di organizzare le notizie, le informazioni, in modo che alla fine ti ritrovavi fra le mani un bot tino di informazioni e di saggezza che ogni volta tornava a stupirti.

Giovanni non era pettegolo, non era malevolo mai. Non era interessato a

portare il suo ruolo in primo piano. Non era campanilista, lui che pure ve niva da Brogno, come dire dalla crème de la crème e non aveva un grammo di supponenza.

Quando Giovanni raccontava, pur nello stile disadorno, fra le mura della sua cucina, con il fratello Enrico che ogni tanto aggiungeva qualche parti colare, ti sembrava di essere lì a vede re il Giulio Fiorelli che stizzito schiac ciava il cappello sotto piedi dopo una

partita a carte persa contro il conte Bonacossa in una fumosa bettola di San Martino Val Masino. O lo stesso conte che si esibiva nell’imitazione del Giulio o che, tutto all’opposto, sbarcato di là dalla Manica, guardava sornione il doganiere che aperta la sua valigia si trovava di fronte la foto incorni ciata d’argento di lui, Bonacossa, che baciava la mano della Regina. Ma an che certe situazioni alpinistiche fra il drammatico e il ridicolo. Oppure certe espressioni, tipo: “Quei camosci lìdiceva il postino della val Bregagliasentono perfino il rumore dell’erba che cresce” e poi ti guardava e ti diceva: ma non scriverlo però. Oppure quando ammiccava al registratore per dirti di spegnerlo perché doveva aggiungere un particolare fondamentale per capire quel che stava raccontando, ma che non andava in alcun modo divulgato.

È stato il Giovanni a farci capire cos’erano i rampa corni a farci ca pire le scale di valori, certe gerarchie non dichiarate, certi comportamenti. Davvero gli dobbiamo tutti molto, al dilà della sua ospitalità discreta, della sua gentilezza se lo chiamavi per un dubbio, una data, un nome. O se in vece portavi da lui qualche giovane ad ascoltare di quei tempi così lontani che nel suo racconto si ravvicinavano.

Che fortuna è stata quella di poter passare del tempo con lui a cercare di capire. E capire, a un certo punto che potevi godere della sua fiducia.

E le parole stentano a venire, come su quel sagrato. Grazie Giovanni…

Dall’alto: Giovanni Ratti, Cesare Giudici e Gianfranco Anghileri Inaugurazione della mostra su Luigi Castagna a Rancio, 25 giugno 2011. Foto di Ferruccio Ferrario; Mostra Arrampicare ieri e oggi, MEAB 2014. Giovanni Ratti, a destra, è con Det e Pepetto; Mostra Arrampicare ieri e oggi, MEAB 2014. Giovanni Ratti, a destra, è con Pepetto e Davide Penati, di spalle Dario Cecchini. Foto di Adriana Baruffini

IMPARARE IN PARETE

Siè appena concluso il 68° cor so AR1 della Scuola di Alpini smo “Ragni della Grignetta” del CAI Lecco e noi vi abbiamo parteci pato come allievi.

Siamo rimasti davvero soddisfatti da questo corso, e ci viene sponta neo consigliarlo a tutti, sia a chi ha da poco iniziato a muovere primi passi in parete, sia a chi pratica l’arrampicata da più tempo. Questo corso vi darà

sicuramente quella consapevolezza e sicurezza in più su quello che poi an drete a fare in parete, permettendovi di vivere serenamente e godervi al meglio tutto quello che l’arrampicata e la natura ci possono dare.

Un altro motivo per cui dove te assolutamente iscrivervi è che fin da subito si ha l’impressione, sia con gli altri allievi che con gli istruttori, di essere parte di un grande gruppo di

amici che condividono la stessa pas sione, e siamo sicuri che questa ami cizia proseguirà anche adesso, dopo la fine del corso.

Il corso è composto sia di lezio ni pratiche, in cui di volta in volta ci siamo migliorati e abbiamo acquistato maggiore sicurezza, sia di lezioni te oriche, in cui ci è stato spiegato come vivere al meglio la montagna e questo sport.

“L’alpinismo è letteratura”: al termine del corso AR1 è spontaneo citare Simone Pedeferri di Mosè, Alberto, Jacopo, Thomas*

Uno dei ricordi più belli è sicura mente la trasferta di due giorni a Fi nale Ligure dove, oltre ad aver arram picato in paesaggi e su linee bellissime, abbiamo mangiato e scherzato tutti insieme, creando un legame ancora più forte.

Che dire, un grande grazie a tutti i compagni e agli istruttori, sia quelli più giovani che quelli con più esperien za con cui c’è sempre occasione di ascoltare aneddoti e storie interes santi di avventure passate.

Un grazie in particolare a Dimitri che ha gestito tutto come solo lui poteva fare, ma non fatelo incazzare sennò ve la farà pagare!

Un saluto a tutti dai “ragazzi di Bal labio”, ci si vede in parete

*I ragazzi di Ballabio

Nella pagina precedente: Arrampicata allo Zucco Angelone, Valsassina.

In questa pagina, dall’alto: Arrampicata a Finale Ligure; Cena di fine corso con consegna dei diplomi

CINQUE LEZIONI, SEI USCITE

di Dimitri Anghileri

Dopo la forzata interruzione del 2020 dovuta alla pandemia, fra settembre e ottobre 2021 la Scuola di alpinismo

“Ragni della Grignetta” del CAI Lecco è riuscita a organizzare il 68° Corso di roccia AR1, applicando le misure di prevenzione anti-Covid previste dal la normativa vigente e fatte proprie dal protocollo CAI.

I partecipanti al corso sono stati 16 di cui 4 ragazze.

Direttore della Scuola di Alpinismo: Silvano Arrigoni (INA – SCA) Direttore del corso: Dante Barlascini (IA)

Istruttori: componenti del Gruppo Ragni

Nei giovedì sera del mese di settem bre sono state effettuate presso la sede della sezione cinque lezioni teoriche su materiali, catene di sicurezza, topogra fia e orientamento, allenamento, storia

dell’alpinismo, alimentazione.

Le lezioni pratiche si sono svolte fra l’11 settembre e il 16 ottobre, con due uscite in Valsassina (Casa delle Guide di Introbio e Zucco Angelone), due gior nate in Grignetta in zona rifugio Rosalba con varie mete (Torre del Cinquante nario, Magnaghi, Spigolo di Vallepiana alla Piramide Casati…), una trasferta in Valmasino, per “assaggiare” il granito della via Scoubidou al Liss del Pesgunfi e, per finire, una due giorni a Finale Li gure e una cena di chiusura corso con consegna dei diplomi.

DALLA VAL MALGA AL CROCEDOMINI

Inseguito ad un anno di riposo forzato a causa della pandemia, la proposta del consueto trekking an nuale è stata accolta con entusiasmo dai membri del Alpinismo giovanile del CAI di Lecco.

L’itinerario di quest’anno si snodava sui sentieri del massiccio dell’Adamel lo bresciano; partendo dalla val Malga siamo giunti fino al passo Crocedomini.

Dopo la consueta partenza alle sei di mattina da Lecco, ci siamo recati pres so il rifugio Premassone: dove abbiamo pranzato. La meta della giornata era il rifugio Gnutti (2166m), che abbiamo raggiunto passando per le Scale Mil ler. Il torrido caldo e la salita impervia hanno messo a dura prova i nostri fi sici ancora non propriamente riabilita ti. Tuttavia una volta giunti al rifugio la nostra fatica è stata ricompensata dalla vista sul lago Miller e dalla sua vallata, nonché dalla fresca brezza che si è al zata poco dopo il nostro arrivo.

Disturbati nella notte da un rumoroso temporale, la mattina seguente ci siamo risvegliati immersi in un banco di neb bia dove era necessario orientarsi at traverso colori accesi dei copri-zaino dei compagni. Tramite il sentiero n.1 passante sopra i massi di un’immensa frana preistorica siamo giunti al passo Miller (2818m) per poi discendere al ri fugio Prudenzini (2235m).

Nonostante la discesa irta di difficol tà, in quanto il sentiero era corrispon dente all’unico corso d’acqua dell’in tero versante, siamo arrivati al rifugio piuttosto prematuramente: verso l’ora di pranzo. Abbiamo impiegato il resto della giornata esplorando i dintorni del rifugio, giocando a carte e riposandoci in attesa della cena.

Durante il terzo giorno di trekking siamo saliti, dal rifugio Prudenzini al passo Poia (2775m). Lungo il tortuoso ed impervio sentiero è stato possibile ammirare il ghiacciaio dell’Adamello.

La traversata di un canale nevoso ci ha inoltre permesso di esercitare le manovre di autoarresto con piccozza sulla neve.

Una volta attraversato il passo, gui dati dalla fame, siamo arrivati alla baita Adamè (2150m) situata nell’omonima valle, dove siamo stati accolti per il pranzo. Saziato il nostro appetito sia mo ripartiti alla volta del rifugio Città di Lissone (2020m) che ad ogni passo sembrava allontanarsi

La vista offerta dal rifugio spaziava dalla valle Adamè al paese di Breno e i monti circostanti. Tra i comfort offerti dal rifugio menzioniamo i più apprez zati: la doccia e la presenza della rete telefonica.

Salita al passo Miller di Clotilde Nolasco e Elisa Sozzi Sull’Adamello bresciano il trekking 2021 dell’Alpinismo giovanile Guidati dalla fame
53Alpinismo giovanile

Caldo in val Fredda

Al risveglio del quarto giorno siamo velocemente discesi dal rifugio Cit tà di Lissone fino al paese di Breno (343m); da qui abbiamo raggiunto, in auto, il passo Crocedomini (1892m).

Una volta arrivati al passo, ci siamo concessi una pausa pranzo per rifo cillarci prima di partire alla volta del rifugio Tita Secchi (2367m).

Attraversando la val Fredda, sotto il sole cocente di mezzogiorno, siamo giunti all’omonimo passo. Percorrendo un’antica via militare e passando per

l’alta val Cadino siamo arrivati al passo della Vacca (2350m), non molto di stante dalla nostra meta.

Arrivando immersi in un fitto banco di nebbia, quando questa si è rarefat ta, siamo stati piacevolmente sorpresi dall’incantevole panorama circostan te. In particolare menzioniamo il lago della Vacca: un bacino artificiale dalle acque gelide e cristalline.

Come ogni anno, tranne che nel 2020, è arrivato, con grande dispia cere, l’ultimo giorno. Appesantiti dalla malinconia abbiamo arrancato lungo il sentiero del giorno precedente, fino al passo Crocedomini. Qui abbiamo ri preso le auto e, dopo una sosta per pranzare nei pressi di Schilpario, ab biamo intrapreso un viaggio intermi nabile verso Lecco, che ci ha caloro samente accolto sotto la grandine.

Come ogni anno porteremo questa esperienza con noi, in febbrile attesa del prossimo luglio.

ATTORNO AL RE

L’anello del Resegone

Mettendo

mano al riordino della rete sentieristica lec chese su incarico del Co mune, operazione nella quale la nostra Sezione è impegnata (molto impe gnata!) da qualche anno, ci siamo resi conto dell’estrema complessità di tale lavoro. E ancor più di quanto sia intri cata, articolata e… variabile la rete sul

Resegone.

Forse c’era da aspettarselo, per un monte così vicino alla città e così in triso di storia, ma davvero la cosa ci ha un po’ sorpresi, dandoci molto filo da torcere per sgarbugliare la matassa.

Fra tanti, più o meno conosciuti percorsi che costellano il monte, vor remmo qui parlare di quel collage di

sentieri che nel loro insieme costi tuiscono l’Anello del Resegone. Forse oggi lo diamo per scontato, e l’itine rario nei fatti c’è da sempre, ma in re altà è da poco più di vent’anni che è stato pensato e sistemato così come lo conosciamo, con una sua persona lità, una sua segnaletica dedicata e –per fortuna – anche un suo pubblico

In questa pagina, in alto: Al passo Crocedomini; Sotto: Prima della partenza Salita al passo Miller di Sergio Poli In questa pagina: Bosco, bosco

di estimatori. Chi scrive ha avuto la ventura di partecipare allora a quella rifondazione, operata dall’Azienda Re gionale Foreste – oggi ERSAF; si vo gliono qui illustrare i molti pregi – e anche qualche piccolo difetto- dell’i tinerario.

L’idea era quella di rendere percor ribile l’intero anello anche per le bici e i cavalli, oltre che ovviamente per gli escursionisti, in un’ottica di frui zione totale che rilanciasse la nostra montagna di casa. Allora come oggi – vedi Sentiero del Viandante – sia mo convinti che sistemare i sentie ri sia un ottimo modo di investire il denaro pubblico. Furono spianate le asperità, regimate le acque (qualcu no ricorda com’era prima il sentiero sotto la Bocca d’Erna? Un canale…), posata la segnaletica per guidare i fruitori. L’Anello venne inaugurato nel 1998, in sordina ovviamente in puro stile lecchese, dagli stessi operai che l’avevano sistemato, i quali compirono il periplo completo del monte a caval lo di mansueti avelignesi: fu una sorta di inaugurazione-collaudo artigianale, brillantemente superato.

Si chiede scusa fin d’ora a chi co nosce benissimo tutti i luoghi che vengono richiamati; queste note sono destinate soprattutto a chi quei po sti non li conosce. Le molte persone incontrate lungo l’anello, sprovviste (e sprovvedute…) di cartine e di relazio ne, un po’ alla mercè della segnaletica mista attualmente presente, ci han no indotto a scrivere l’articolo, con la speranza che possa servire come stimolo per percorrere l’itinerario, e come guida per orientarsi in questo labirinto.

E la certezza che, a segnaletica “nuo va” completata, sempre più persone lo possano percorrere in sicurezza.

Senso di rotazione, sviluppo, tempi, dislivello

Come tutti gli anelli, anche questo ovviamente può essere percorso in senso orario o antiorario: entrambi gli approcci hanno vantaggi e svantaggi assolutamente soggettivi, per cui si la scia libera scelta. Noi qui lo descrivia mo in senso orario, poi ciascuno potrà valutare, a giro ultimato, se la cosa sia stata giusta o se sarebbe stato meglio affrontarlo dall’altra parte. Magari per riprovarci una seconda volta… Prendendo come punto di parten za i Piani d’Erna, e più precisamente la cruciale Bocca d’Erna, per ritornare nello stesso punto circumnavigando l’intero massiccio ci vogliono cinquesei ore, a seconda della gamba e della stagione. La lunghezza complessiva è di circa 12 chilometri, il dislivello 500 metri positivi, quindi apparentemen te non sembrerebbe una cosa molto impegnativa. Invece, come sempre la montagna ci darà una piccola lezio ne, ricordandoci di non sottovalutarla mai…

In estrema sintesi, l’itinerario si svi luppa passando dai seguenti capisaldi: Bocca d’Erna (m 1291)- sorgente Pe sciola (m 1325)- Passo del Giuff (m 1515, “Cima Coppi” dell’anello), sorgen te Forbesette (m 1.405) – i Castelli (m 1398), rifugio Resegone (m 1260), Lo Zucchero (m 1169), Passo La Porta (m 1126, punto più basso del giro), La Passata (m 1244), rifugio Monzesi (m 1173)- Pass del foo (m 1284)- Pia no Fieno (m 1167)- Bocca d’Erna. Ci si stanca solo ad elencarli, tutti posti che si toccano. Vediamo ora di tro vare la motivazione per la quale vale la pena sobbarcarsi questa sfacchinata.

Primo piccolo suggerimento Si accennava prima alla preesisten

Nella pagina precedente dall’alto: La calchera; La carbonaia; La Costa del Palio dal rifugio Resegone In questa pagina dall’alto: Imbocco principale della miniera; Il bivacco alle miniere

za dell’itinerario, al fatto che i per corsi che si ricalcano rappresentano passaggi storici, legati alle molteplici attività dell’uomo su questa monta gna familiare. Attività che hanno la sciato molti segni tangibili; la cosa interessante è riuscire a cogliere an cora questi segni, oltre ad avvertire la costante, incombente presenza della Natura. L’impressione generale, infatti, è quella di passare attraverso un bo sco, poi in un altro bosco, in un infinito susseguirsi di piante -faggio qua si sempre – tanto che si cammina, si cammina ma sembra di essere sempre nello stesso posto. E qui viene il primo suggerimento: non percorrere l’anello in piena estate! Molto meglio passare

in primavera, poco prima che gli al beri mettano le foglie, o in autunno, per godere dei magici colori del fo liage. Diversamente, in estate si finisce per non vedere nulla per lunghi tratti, praticamente da Erna alla Passata, con solo qualche rara finestra che apre lo sguardo verso fugaci panorami; in in verno invece c’è la fatica di cammina re sempre nella neve, e anche qualche non trascurabile pericolo di slavina at traversando i numerosi canaloni.

Tanta storia sulle spalle Ma vediamo dunque quali sono questi benedetti segni dell’uomo. Su bito in partenza, i prati dei piani d’Erna: segno dell’antico uso pascolivo, oggi

saltuariamente praticato da pastori di pecore. La Pesciola era una sorgen te fondamentale per l’abbeverata del bestiame (sistemata degnamente du rante la realizzazione dell’Anello), ma fino a pochi anni fa ricordava ai più il nome di una pista da sci. Anche questa è ormai storia: i Piani erano una sta zione sciistica di tutto rispetto, piccola ma molto tecnica, dove generazioni di lecchesi, e non solo, hanno avuto il proprio battesimo della neve. Le lun ghe aperture rettilinee ancora presenti nei boschi, che si attraversano salendo verso il passo del Giuff, testimoniano il recente glorioso passato di questo comprensorio – oggi non più propo nibile causa cambiamento climatico.

Il Passo del Giuff (in italiano: del giogo) è un nodo viario di grande importanza, dove il sentiero scavalca la lunghissima dorsale del Monte per scendere sul versante di Morterone. Ci sono anche altri sentieri, e altri pas saggi anche a quote più basse (uno per tutti: il Pass di càber, passo del le capre), ma sono caduti tutti più o meno in abbandono, e li sconsigliamo vivamente, pena il vagare senza meta lungo gli infiniti versanti boscati (si parla per esperienza…).

Dal Giuff una traccia a sinistra scen de direttamente sulla DOL - Dorsale Orobica Lecchese, che coincide con l’Anello per un lungo tratto, fino alla Passata- proveniente dalla Forcella di Olino; pochi metri a destra parte il “Sentiero 8” che attraversa la Val Cal dera e porta in vetta in un paio d’ore; e sempre lì inizia il mitico “Sentiero delle Creste”, impareggiabile (ma im pegnativo!) itinerario che percorre appunto tutto il crinale del monte. Noi invece scendiamo dolcemente ver so la sorgente delle Forbesette, che si raggiunge in pochi minuti e dove

possiamo riempire la borraccia – se l’annata non è siccitosa.

Qui, altro nodo viario: a destra sale l’itinerario più semplice per il rifugio Azzoni e la cima del monte, noi in vece teniamo in piano, costeggiando il confine della Foresta regionale del Resegone, confine che seguiremo praticamente sempre, fino al rifugio Alpinisti Monzesi. Pochi minuti dopo si incontrano due importanti segni dell’uomo: una calchera, fornace da calce perfettamente conservata, e una carbonaia, ricostruita per mostrarne la struttura interna. Lungo il cammino non ci sarà sfuggita la presenza di nu merose aie carbonili (ajàl), spiazzi pia neggianti dove un tempo veniva pro dotto il carbone di legna per le voraci

industrie siderurgiche lecchesi: altro segno dell’uomo. I manufatti sono ac compagnati da cartelli illustrativi, col locati ai tempi della realizzazione della DOL: sono un po’ lunghi da leggere, ma si possono anche solo guardare le figure…

Poco oltre si arriva ad un altro (en nesimo) nodo viario: i Castelli. E’ un punto geografico particolare, final mente panoramico, dove la lunga dorsale pascoliva della Costa del Palio si stacca dal Resegone verso est. La si supera dritti e si prosegue in piano tenendo le bandierine della DOL come riferimento, poi scendendo gradual mente verso il “recente” Rifugio Re segone, indicato da numerose frecce.

Una notazione bonaria: bel posto, pa noramico e strategico, ma il nome è francamente fuorviante. Non si con tano infatti le persone che ci arriva

no pensando di andare verso la vetta del monte, dove invece vigila da ol tre cent’anni il rifugio Azzoni. Anche in questo caso, la nuova “segnaletica CAI” aiuterà a non confondersi. Velocemente si scende sotto il ri fugio, si prende a destra seguendo sempre la DOL e si arriva alla cascina Zucchero, sopra Brumano. Si traversa ancora un po’ per prendere finalmente la storica mulattiera che conduceva (e conduce tuttora) dall’alta valle Imagna a Lecco. Brumano fino al 1995 era in Diocesi di Milano, legato storicamente a Lecco: segno tangibile di quest’ap partenenza è il grandioso cippo che ancora troneggia al valico della Passa ta -un altro piccolo cippo lo abbiamo

Nella pagina precedente: Cabina elettrica. Qui sopra: Capanna Ghislandi al Foo
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incontrato poco prima, al passo della Porta. Qui passava il confine fra Duca to di Milano e Repubblica di Venezia, sancito dalla pace di Lodi del 1454 (ma il cippo fu collocato 300 anni dopo!), e Brumano era appunto con Milano. Esattamente al passo, appena superato il rustico a monte del sentiero – an tico roccolo di caccia, che dà il nome al sito: la passata degli uccelli- parte il “Sentiero delle Creste sud”. Il pri mo tratto, fino alla Cima Quarenghi, è forse il tracciato più ripido dell’intero monte, ma consente di iniziare la fan tastica cavalcata lungo il crinale. Poco oltre la Passata, ormai in val d’Erve si incontra un’altra importante traccia del lavoro dell’uomo: le miniere di galena. La galena è un minerale di piombo che veniva estratto da alcune gallerie scavate nella viva roccia– una delle quali ancora visitabile (munirsi di pila frontale). Sembra impossibile che qualcuno estraesse il minerale in questi posti così remoti, eppure c’era addirittura un piccolo villaggio di mi natori, cui ruderi si incontrano poco oltre gli imbocchi dei cunicoli, e una teleferica (elettrificata!) per portare a valle il minerale; qui davvero vale la pena di leggere il pannello per capirne lo sviluppo. E’ stato anche recuperato uno di questi edifici come bivacco, a disposizione degli escursionisti.

Lungo il cammino si incontrano altri segni, stavolta dolorosi: sono le numerose lapidi, ognuna delle qua li racconta di una passata tragedia, la cui memoria si sta affievolendo e che invece sarebbe importante conoscere e conservare.

Siamo ormai in vista del rifugio Al pinisti Monzesi: se si è partiti la mat tina presto, a questo punto può valer la pena fermarsi per il meritato pran zo. Con un breve ma severo strappo

si risale al Pass del Foo (del faggio) – Inutile dirlo: altro nodo cruciale. Qui inizia la parte più tecnica e pa noramica dell’itinerario, dominata dalla bastionata dolomitica del Foo, inso spettabilmente attraversata da ferra te e sentieri che superano il salto (un centinaio di metri) che porta sopra il Pian Serada; ma noi proseguiamo in discesa verso Piano Fieno, di nuovo nel bosco. I più temerari possono te nere in piano il “Sentiero 5”, più alto ma più impegnativo perché supera il Canalone Còmera con un tratto at trezzato. Più tranquillo anche se più mosso è il “Sentiero 7” che scende alle cascine di Piano Fieno per poi risalire fino alla Bocca d’Erna, e chiude così (finalmente…) l’anello.

Ultimi suggeri menti Completa ta la descrizione, ci permettiamo di dare ancora qualche suggeri mento a chi vo lesse affrontare l’anello. Anzitutto, vale la pena di salire in funivia ai Piani d’Erna, così da evitare di sobbarcarsi due ore di cammino bello ripido già prima di iniziare. Se poi il giro lo si percorre come abbiamo descrit to, cioè in senso orario, una volta arrivati al Pass del Foo si può scen dere direttamente

verso Lecco passando per il rifugio Stoppani, evitando così la breve ma a questo punto fastidiosa risalita in Erna per prendere la funivia. Sono 700 metri di dislivello in discesa invece di altri 200 in salita: valutare cosa fare in base all’orario e alle condizioni di gambe e ginocchia.

E infine, un ultimo suggerimento: affrontare il giro con calma, senza far si prendere dall’ansia agonistica. E’ un percorso dove bisogna soffermarsi a leggere, a fotografare, ad esplorare, ri mandando la prestazione sportiva ad altre occasioni. Probabilmente l’Anel lo lo faremo un’unica volta, ma sarà quella buona.

Ridondante segnaletica al Foo

IN CAMMINO PER STAR MEGLIO

Dalmese di maggio 2021, la CRA (Comunità Riabilitativa ad Alta Assistenza) di Bellano ed il CAI Lecco hanno ripreso a svolgere con regolarità, una volta ogni 15 giorni, l’attività di montagnaterapia, che era incominciata a maggio 2019 ed era stata interrotta dopo meno di un anno a causa della pandemia.

La CRA è una comunità psichiatrica di tipo residenziale a finalità terapeu tica, facente parte del Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze (DSMD) dell’Azienda socio-sanitaria territo riale (ASST) della provincia di Lecco. Nella comunità sono accolti 14 ospiti per periodi di tempo determinati da programmi terapeutici personalizzati.

La vita comunitaria e le attività riabili tative sono lo strumento tramite cui si attua il programma di cura individua lizzato e condiviso. Una delle attività

che l’équipe ha deciso di progettare e sviluppare è proprio quella di monta gnaterapia.

La pandemia da Covid ha portato inevitabilmente ad una chiusura, limi tando per tutti noi gli spostamenti e gli incontri con famigliari, amici, colle ghi di lavoro. Tutto ciò è stato vissuto in modo ancora più amplificato in una comunità socio - sanitaria collocata all’interno di un ospedale. Ripartire non è stato facile, è costato anche tanta fatica. Abbiamo ricominciato in modo graduale ad uscire con mete semplici, fattibili ed obiettivi raggiungibili. Inoltre all’interno della comunità alcuni ospi ti sono stati dimessi e ci sono stati nuovi ingressi; abbiamo quindi ripreso la montagnaterapia con un gruppo di partecipanti che doveva ancora cono scersi ed integrarsi.

Le operatrici hanno avuto incontri

con i volontari del CAI per fornire loro alcune informazioni relative al gruppo, scambiando idee e dando suggeri menti relativi a piccole accortezze da tenere a mente e regole da rispettare per favorire il buon andamento dell’at tività.

Sperimentare il cammino Il Gruppo montagna è stato pen sato con l’intento di far sperimentare ai partecipanti il cammino, oltre che per i benefici fisici legati all’attività in sé, anche con un’ottica di attenzio ne al proprio corpo a livello di pro priocezione (respiro, fatica) e ad una

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Dal cimitero di Pescate verso San Michele di Elisa Villa Ripresa l’attività di montagnaterapia del gruppo di Bellano

maggiore conoscenza dei propri limiti sia mentali che corporei, imparando a riconoscere il proprio ritmo, passo, tempo. In più è ormai scientificamente provato il beneficio dello stare in con testi naturali e non urbanizzati, in pie no contatto con la natura, avendo ben chiara anche la possibilità di sviluppare ulteriormente abilità sociali legate alle forti dinamiche di gruppo che si crea no quando si condivide un’esperienza e si vuole raggiungere un obiettivo comune.

Tutte le uscite vengono program mate in ogni fase. Ciò che emerge dall’attività viene ripreso dagli opera tori di riferimento con i singoli ospiti,

per validare e trasporre nella vita di tutti i giorni le risorse messe in gioco durante l’attività.

Per il periodo maggio - luglio i vo lontari del CAI hanno proposto alcune escursioni “di prova” alle quali, dopo l’interruzione del mese di agosto, han no fatto seguire un programma di iti nerari adatti alla stagione autunnale e invernale: percorsi semplici, su versanti esposti al sole, con pochi dislivelli e di durata contenuta (entro le due ore di cammino effettivo). Queste le uscite finora svolte:

-Sentiero del viandante da Lecco ad Abbadia

Sotto:Guado in Valle dell’Oro, Civate. Pagina a fronte: Giuseppe Verdi, icona della cultura di Parma, scherzosamente travestito da alpinista nella locandina del convegno

-Sassi Rossi a Introbio e pista cicla bile fino alla cascata

-Sentiero del viandante da Linzani co a Maggiana

-Piani Resinelli: primo tratto della traversata bassa

-Piani Resinelli: rifugio Carlo Porta

-Piani Resinelli: Parco Valentino, Belvedere e per chi se la sentiva, salita al Coltignone

- Civate, Valle dell’Oro

- Pescate, percorso alle falde del monte Barro fino alla chiesa di San Michele, eventualmente a Pian Sciresa Ecco quanto riportato dagli ospiti in merito all’esperienza vissuta finora: -aspetto relazionale: la continuità sia degli operatori sia dei volonta ri ha permesso di creare un gruppo strutturato e affiatato dove si respira un senso di famigliarità e condivisio ne oltre che di fiducia reciproca. Tale aspetto è stato descritto come il più piacevole e inaspettato.

Il ruolo dei volontari

I volontari sono considerati punti di riferimento con una possibilità con creta di mantenere e coltivare legami nel tempo. Sono vissuti da tutti i par tecipanti come figure disponibili all’a scolto, che incoraggiano e sostengono senza giudicare. Inoltre ci piace sotto lineare l’importanza di avere “esperti” che raccontano la storia del territorio, trasmettono conoscenze sull’ambiente e la botanica, incontrando l’interesse di molti ospiti.

Le operatrici, garantendo la conti nuità, hanno aumentato il senso di si curezza negli ospiti, che sono poi più disponibili a provare nuove esperienze.

L’operatrice durante l’attività assume un ruolo maggiormente paritario, si pone allo stesso livello dei partecipanti mostrando sia le proprie fatiche, pau

“#CONFINICOMUNI”

Il convegno nazionale 2021 di montagnaterapia

Si è svolto a Parma dall’11 al 16 otto bre 2021 il convegno nazionale di mon tagnaterapia organizzato dall’azienda Usl di Parma in collaborazione con la sezione di Parma del CAI e patrocinato da Parma capitale italiana della cultura 2021, Club alpino italiano centrale, SI MonT (Società Italiana di Montagnate rapia) e SIMeM (Società Italiana Medi cina di Montagna).

Già programmato per l’autunno 2020 e rimandato a causa del Covid, il con vegno, strutturato tra eventi in pre senza e online con il coinvolgimento di operatori di ben diciotto regioni italia ne, è stato un’occasione importante di confronto tra professionisti della sa lute, utenti, volontari e appassionati di montagna su progetti riguardanti vari settori della medicina, dal disagio psi chico alla cardiologia, diabetologia e malattie oncologiche.

Della montagnaterapia è stata accolta la definizione che ne dà l’enciclopedia Treccani: “terapia basata sul rapporto che si stabilisce fra l’essere umano e la montagna, al fine di ricostruire l’equili brio psicofisico”.

Tra corpo e mente

All’area della salute mentale e delle di pendenze sono state dedicate due in tere giornate, fra relazioni di esperienze sul campo che in Italia si svolgono in modo strutturato da almeno dieci anni, e lezioni scientifiche di esperti nel cam po delle neuroscienze, della psicologia e della pedagogia.

In estrema sintesi, l’immersione nell’ambiente naturale e il contatto con suoi elementi primordiali che troppo

spesso mancano all’uomo moderno (in posizione di rilievo le foreste), riusci rebbero a innescare durante le attività incredibili relazioni fra corpo, mente e gruppo, determinando nei parteci panti un rafforzamento della fiducia in sé stessi e una migliore gestione della quotidianità. Tra gli aspetti emersi l’im portanza dell’osservazione, il valore del percorso prima ancora della meta, gli stimoli derivanti dalle “contaminazioni” tra soggetti e contesti diversi. Fonda mentale da questo punto di vista l’ap porto delle diverse competenze (pro fessionisti, accompagnatori, volontari) a patto che venga gestito correttamente il confine tra le diverse figure, pur nella condivisione esplicita degli obiettivi.

Tra ascesa e ascesi

Una sessione del convegno è stata dedicata al tema della formazione tecnica e pro fessionale degli operatori e della valutazione dei risultati attraverso metodi rigorosi che, pur nella di versità degli stru menti di verifica e dei punti di vista scelti per l’osser vazione, consen tano di misurare gli esiti, capire cosa ha (o non ha) funzionato.

Il punto di vista del CAI è stato espresso dalla re lazione di Ornella

Giordana che a nome del presidente Vincenzo Torti ha portato il saluto del CAI centrale, fornendo un’ampia pano ramica delle attività che la nostra asso ciazione sta portando avanti da alcuni anni a livello nazionale, dalla stesura di un testo di linee guida sulla montagna terapia alle tante iniziative legate all’ac cessibilità dell’ambiente montano anche per le categorie più deboli.

Infine un pomeriggio di “pensieri altri e alti” nella sessione dedicata a “filosofia e montagna” per approfondire il senso dell’antico gesto del camminare come stimolo all’introspezione e alla cono scenza di noi stessi, dove “l’ascesa può diventare ascesi” quando si impara ad ascoltare il proprio corpo e al tempo stesso la propria mente.

di Adriana Baruffini
11-16 Ottobre 2021
Con patrocinio
di
Sezione
Parma
Con
la collaborazione di
Auditorium “GREEN LIFE” Crédit Agricole Via La Spezia, 138 - Parma e ONLINE

re ed insicurezze che gratificazioni e gioie.

l’ambiente naturale: avere rivisi tato luoghi conosciuti del passato ha suscitato molti ricordi positivi in al cuni partecipanti e la condivisione di aspetti della propria storia personale passata.

In alcuni casi l’imprevisto ha causato disagio, ma è stato anche occasione per diventare risorsa. Ad esempio il brutto tempo ha portato a cambi di programma e necessità di riadattar si in maniera dinamica a situazioni molto diverse rispetto al programma originario, come quando l’attività di arrampicata impedita dalla pioggia si è trasformata in una passeggiata sul lago con pic-nic. Le difficoltà incon trate hanno anche permesso di mi gliorare gli aspetti organizzativi. aspetto corporeo: altro fattore ri levante è il senso di soddisfazione e benessere al termine dello sforzo fisi co con aumento del senso di efficacia.

L’attività ha permesso una riattivazio ne corporea, il ricontattare delle parti di sé che durante il lock-down erano state messe a dura prova.

Per quanto riguarda gli obiettivi fu turi è emersa l’opportunità di una dif ferenziazione maggiore dei percorsi in base alle capacità e motivazioni per sonali.

Dall’alto: Fioritura di Campanule sul Sentie ro del Viandante a inizio estate; La piattaforma recentemente realizzata al Belvedere del Coltignone; Lo splendore autunnale della Fusaggine

TORNARE A CAMMINARE INSIEME

L’età d’oro al tempo del Covìd

di Claudio Santoro

Quando ai primi di maggio è arrivato il “via libera” del CAI Centrale alla ripresa delle at tività non individuali, il consiglio di rettivo dei seniores del GEO (Gruppo Età d’Oro) non ha perso tempo: si è riunito e ha varato un programma di escursioni sociali, nel pieno rispetto delle norme anti Covid.

Le indicazioni erano di scegliere e valorizzare destinazioni del territorio e di utilizzare auto proprie, di mante nere il distanziamento, dove necessa rio indossare le mascherine e tutte le regole di comportamento in vigore nel maggio scorso.

Ed è stato un grande piacere il 19 maggio (ovviamente un mercoledì) ritrovarsi in cinquanta ai Piani Resi nelli per riprendere a camminare in sieme, divisi in due gruppi e su due percorsi diversi in base alle proprie possibilità fisiche.

Il primo pensiero è stato per Ambrogina, la nostra Segretaria che solo qualche settimana prima ci aveva lasciati e per dare il benvenuto a Gianni Valsecchi che entrava a far parte del Consiglio direttivo del GEO.

Da lì, con un occhio attento ai dati della pandemia, accompa gnato a quello sulle vaccinazioni che man mano andavano ac

cumulandosi e aumentando fra i Se niores, si sono varate altre escursioni, privilegiando sempre il territorio, fino all’auspicato e regolamentato ritorno all’utilizzo del bus turistico che in dubbiamente consente una maggio re scelta nei percorsi e nelle mete da raggiungere.

Settimana verde Si è riusciti anche a recuperare la “settimana verde” a Silandro, in Val Venosta, eccezionalmente posizionata ai primi di ottobre e della quale sarà bello fornire un resoconto in un pros simo futuro.

I problemi non sono mancati, an che se le norme anti Covid (prima la sottoscrizione dell’autodichiarazione prevista dal CAI Centrale e poi la esi bizione del “green pass”), sono state in larghissima parte accolte e rispettate con serenità e consapevolezza, forse

a conferma che i capelli bianchi sono anche sintomo di saggezza.

Il presidente Michele Bettiga e il consiglio direttivo (fra l’altro in sca denza a fine 2021), oltre che nell’e laborazione delle uscite settimanali, si sono adoperati nell’atteso ritorno del pranzo sociale e della novembrina “giornata del ricordo”. E’ stato altre sì redatto il calendario di uscite per il 2022, in modo da fornire continuità all’attività del GEO di cui si farà carico il consiglio direttivo che scaturirà dalle future elezioni.

Le zone d’ombra e le incertezze non mancano e sono tutte legate all’anda mento della pandemia e al ritorno alla mai così tanto auspicata “normalità”. Nel frattempo... ci camminiamo so pra!

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Il gruppo a Sfazù, Val Viola. Foto di Angelo Maggi

Dopo

l’esposizione a Lecco (Torre Viscontea 29 aprile10 giugno) per la X edizione di “Monti Sorgenti”, la mostra “Rac contare le vie. Disegni e parole al ser vizio degli scalatori” è approdata il 17 luglio ai Resinelli dove ha animato per tutta l’estate il Bosco Giulia adiacen te al Rifugio Porta. Curata da Alberto Benini e Pietro Corti in collaborazione con Marta Cassin per la parte grafica, propone un fantastico viaggio tra le relazioni tecniche scritte e pubblicate nel corso dei decenni per descrivere nero su bianco alcune tra le più celebri vie della Grigna. Un viaggio che apre lo sguardo su un genere di letteratura di montagna poco esplorato ma che può costituire ancora un punto di ri

ferimento per gli scalatori.

La mostra si concentra in particolare su tre grandi vie di scalata, vere clas siche del XX secolo: la Cresta Segan tini (1905), il Sigaro (1915), il Pilastro Rosso (1975), delle quali si raccolgono esempi di relazioni tecniche risalen ti agli inizi del secolo scorso come la guida di Edmondo Brusoni del 1903 dedicata alle montagne di Lecco. De scrizioni scritte o disegnate diven tano negli anni sempre più efficaci e affrontano i nuovi problemi posti dal moltiplicarsi delle vie.

“I primi esempi di guida nasco no legati alla necessità di raccontare e illustrare il progresso nella tecnica dell’arrampicata - spiega Alberto Be nini intervistato in occasione dell’i

naugurazione - favorendo l’avvicina mento di fasce sempre più larghe della popolazione al mondo della scalata e il proliferare rapido e inarrestabile di nuovi itinerari”. E Pietro Corti ag giunge: “Ogni pannello è un’occasione preziosa per scoprire storie, compren dere come scalavano gli alpinisti nella loro epoca e come è nata l’arrampi cata sulle nostre montagne. Il per corso ideato per questa mostra offre un punto di vista nuovo, mai esplo rato prima ed è anche un’occasione per comprendere meglio l’importanza delle relazioni tecniche in un mondo

come quello di oggi, dove l’overdose di informazione che si trova su inter net fa perdere il valore stesso dell’in formazione”.

Le Grigne, a giusto titolo definite “la casa comune degli alpinisti lombardi”, sono un esempio che può valere per molte altre montagne.

L’esposizione ai Resinelli, prevista da metà luglio a fine agosto, è stata pro lungata fino a metà ottobre.

Ma il viaggio delle “Guide di carta” non finisce qui. Per iniziativa di alcuni soci del CAI di Castellanza che hanno avuto modo di apprezzare la mostra durante un’escursione sulla Grignetta, i pannelli saranno trasferiti per il mese di dicembre in quella città e popole ranno due spazi all’aperto.

Mostra Raccontare le vie, collage di coper tine. Foto di Marta Cassin
DAI RESINELLI A CASTELLANZA
Continua il viaggio delle “Guide di Carta”
66 Appuntamenti
Sopra: Panoramica della mostra esposta ai Resinelli, rifugio Porta. Foto di Adriana Baruffini Sotto: Pagine dedicate al Sigaro nella storica guida di Silvio Saglio

PROVE DI TERAPIA FORESTALE

di Domenico Sacchi

La“forest therapy” è una disci plina partita dall’estremo Orien te e ora diffusa in tutto il mon do. Per i soci CAI sono noti gli effetti positivi degli ambienti forestali sulla salute mentale e fisica. Ed anche chi frequenta poco la montagna conosce il senso di benessere che si prova nei paesaggi naturali. Ma questi effetti positivi si possono misurare? La forest therapy può diventare un valido aiuto a disposizione del servizio sanitario nazionale?

Un progetto molto ambizioso, por tato avanti da un’iniziativa congiunta CAI-CNR, ha l’obiettivo di raccogliere

dati su criteri oggettivi e standard ve rificabili per avvalorare un quadro di evidenze raccolte in tutto il mondo in molti anni di ricerca e descritte in nu merose pubblicazioni scientifiche. Domenica 10 ottobre si è svolta una sessione sperimentale di terapia fore stale nei boschi dietro il rifugio Carlo Porta ai Resinelli. Si tratta di un’inizia tiva del Comitato scientifico centrale e della Commissione centrale medi ca del CAI (Ccm) insieme al Consi glio nazionale delle ricerche (Cnr) nell’ambito del festival dell’ASviS (As sociazione per lo sviluppo sostenibile). Era richiesta l’iscrizione perché si po tevano formare solo gruppi al mas simo di 20 persone, seguite da due dottoresse psicologhe oltre che da un dottore del Cnr e da uno della Com missione medica del CAI.

La giornata

Alle 9,30 sono iniziate le operazioni di accreditamento: parecchie persone di Milano, forse anche perché l’orga nizzazione era stata presa in carico dal CAI Milano, più qualcuno di altra provenienza, si sono messe paziente mente in fila. A tutti sono stati conse gnati diversi fogli con lunghe interviste sotto forma di questionari riguardanti lo stato psicologico abituale e quello del momento; a tutti sono state pro vate la pressione e la frequenza car diaca; a tutti è stata fatta pescare una sigla da apporre sui fogli in modo da non far comparire nomi (ah... la pri vacy!).

Finalmente, alle 10,30, siamo partiti verso il bosco con la prescrizione di mantenere il silenzio durante tutta la prova.

Alla prima radura ci siamo fermati in cerchio e abbiamo ricevuto la con segna: il primo senso da esplorare è stato l’udito, anche a occhi chiusi, cer

cando di concentrarci su tutti i suoni e rumori presenti per circa un quar to d’ora. Chiamati a raccolta, abbiamo proseguito il cammino verso la radura successiva, dove siamo stati invitati a concentrarci sull’olfatto sempre per 15 minuti. La stagione non era mol to favorevole per annusare, ma ce la siamo cavata con qualche fungo e un po’ di muschio. La terza radura è stata dedicata alla vista: cercare di vedere quello che normalmente non mettia mo a fuoco, quello su cui scivoliamo via distrattamente, da ciò che è gran de a ciò che è molto piccolo, da una cima di montagna a una piccola ra gnatela che trattiene perle d’acqua tra i fili d’erba. Tornati alla quarta radura, abbiamo preso in considerazione il tatto, andando a mettere le mani sulla roccia, sulle cortecce, sulle foglie e gli aghi, sull’erba, cercando di assaporare le sensazioni emergenti. Dopodiché,

mantenendo il silenzio, siamo rien trati al rifugio, dove erano già pronti nuovi questionari per descrivere lo stato d’animo del momento, e dove ci hanno di nuovo misurato pressione e battiti.

Tutti questi dati verranno elabora ti insieme a quelli delle 800 persone che ci hanno preceduto e ad altre 50 circa che seguiranno.

Il progetto Questo progetto è in corso da tre anni e ha prodotto un primo volume che ha già suscitato interesse da par te di più di una struttura del Servizio sanitario nazionale, oltre che da enti pubblici come la regione Valle d’Aosta e anche da istituzioni estere, a testi monianza che c’è la necessità di ri conciliare le persone con la natura, per aiutarle a sfuggire ai molti lacci che ne trattengono la psiche, causando anche

manifestazioni fisiche da stress, de pressione e quant’altro.

Come ricordato all’inizio, si punta a stabilire un protocollo che garantisca progressi misurabili, in modo che pos sa eventualmente entrare nel ricetta rio del Ssn.

Come sempre, il CAI è in prima fila.

Tutte le sfumature dell’autunno salendo verso Piani di Bobbio. Foto di Adriana Baruffini Da sinistra: Il manifesto dell’incontro sulla terapia forestale all’ingresso del rifugio Porta ai Resinelli. Foto di Domenico Sacchi; Bosco misto al Colti gnone in una giornata di nebbia; Sotto: Larici di alta quota in veste autunnale. Foto di Adriana Baruffini Nei boschi dei Resinelli sessione sperimentale con CAI e CNR
68 Appuntamenti

di Angelo Faccinetto

La temperatura non era certo quella che, salendo da Lecco, ci si aspetta in un giorno di fine estate. Eppure sono state centinaia le persone che sabato 11 settembre, nel lo spazio antistante la chiesa dei Piani Resinelli, non hanno perso una battuta della serata organizzata per Giuseppe Orlandi – il Calumer - 73 anni portati alla grande e fino al 2019 presidente della sottosezione del CAI di Ballabio. Al Calumer è stato dedicato un bel cortometraggio, dalle molte immagini

EDUCARE ALLA MONTAGNA

suggestive, diretto da Achille Mauri e realizzato con il sostegno di Vibram. Ma una serata in suo onore – lui, da una vita alpinista e soccorritore “per vocazione” sulla sua Grignetta (e non solo) - non poteva che essere in centrata sul tema della sicurezza in montagna. E su questo, prima del la proiezione, si è snodato il dibattito – qualcuno oggi lo chiamerebbe talk – coordinato da Alessandro Gogna, guida, blogger, e grande alpinista, che ha visto protagonisti l’attuale capo del Soccorso alpino di Lecco (XIX Dele gazione Lariana), Massimo Mazzoleni, il precedente responsabile, Giuseppe Rocchi e Paolo Schiavo, medico del Pronto soccorso cittadino e lui stesso componente del Soccorso alpino.

Un dibattito importante e ricco di spunti di riflessione. Ancor più oggi, dopo che il lungo confinamento im posto dalla pandemia ha (ri)svegliato in moltissime persone, che mai l’ave vano praticata – giovani soprattuttola voglia di montagna e di natura. Lo si era visto già lo scorso inverno quan do, causa la chiusura degli impianti di risalita, i nostri itinerari più classici sono stati presi d’assalto da torme di sci alpinisti alle prime armi e di cia spolatori improvvisati, fortunatamente senza grandi conseguenze, ne abbia mo avuto conferma questa estate. E questa volta con conseguenze ben diverse che si sono riversate sugli uomini del Soccorso alpino costretti ad un superlavoro per riportare a val le, oltre ai molti (anzi troppi) “dispersi” in braghette, canottiera e scarpe da

tennis, tanti escursionisti gravemente feriti o addirittura deceduti.

Sugli aspetti di questa nuova fre quentazione della montagna si sono soffermati, nel corso della serata, Go gna e gli uomini del Cnas. Le nostre montagne sono lì a un tiro di schioppo dalla pianura, belle e neanche troppo alte. Il terreno ideale per una piccolagrande avventura da consumare in giornata e da postare su facebook. Ma non vanno sottovalutate e devono essere affrontate con la giusta prepa razione, fisica e psicologica. Oltre che con una adeguata attrezzatura. Non per caso una percentuale sempre più elevata di incidenti, anche mortali, è determinata da cadute su sentiero.

La necessità di un approccio rispet toso vale sempre, ma soprattutto in inverno, quando con neve e ghiac

cio i nostri “duemila” (spesso scarsi) presentano un ambiente in tutto e per tutto alpino e vanno affrontati come si affronta l’alta montagna.

Per evitare incidenti, insomma, ser ve prevenzione. Per questo – è stato sottolineato – è necessario anzitutto “conoscere se stessi”, i propri limiti, le proprie fragilità. Nei momenti critici, che possono capitare in ogni escur sione, di fronte a un passaggio un po’ esposto come nel corso di un’ascesa più faticosa del previsto, si deve es sere consapevoli delle proprie reazio ni. E quando si innesca il meccanismo psicologico della paura si deve essere in grado di reagire razionalmente per gestire la situazione, per non andare in panico e non trovarsi a non saper più cosa fare, che è poi l’anticamera della disgrazia. Quante volte la scor

sa estate, di giorno e di notte, si sono presentate situazioni così sulle nostre montagne a cui gli uomini del soccor so hanno dovuto dare una risposta col loro intervento e mettendo a rischio la loro stessa incolumità?

Tutto questo – lo ha ricordato Mas simo Mazzoleni - senza dimenticare le difficoltà portate dal covid. Non solo è aumentato, col numero degli escursionisti, il numero degli interven ti. Il soccorso alpino è anche dovuto intervenire affrontando le problemati che del contagio sprovvisto delle giu ste attrezzature di prevenzione. Ag giungendo rischio al rischio.

Conclusione? Per affrontare la mon tagna in sicurezza serve educare alla montagna. Non sarebbe male se ini ziative così venissero proposte con maggiore frequenza in tutte le scuole.

In queste due pagine: Momenti della serata. Foto di Nicola Faccinetto Nella serata dedicata al Calùmer Orlandi dibattito sulla sicurezza col Soccorso alpino
70 Appuntamenti

RECENSIONI

ORE FREDDE

Se avete amato o almeno ricordate Cuochi e artisti e visionari, storie di viaggio da Milano a St. Moritz quello scanzonato ma attento viaggio nella Valtellina e Valchiavenna pubblicato nel 2004, e avete continuato a imbattervi qua e là (libri, articoli, reportage) nel suo eclettico autore, avete qui l’occasione per passare qualche ora in sua compagnia, immersi in una vicenda coinvolgente e che per noi ha il doppio vantaggio di muoversi in buona parte in un panorama consueto e amato, visto però con un occhio leggermente diverso da quello che vi è nato e vissuto.

Paci tenta una strada poco battuta nel piccolo mondo della letteratura di montagna, ma molto interessante e soprattutto ben realizzata: quella di mescolare realtà e invenzione, grande storia e autobiografia e soprattutto piccolo mondo alpinistico e grande storia.

Un tentativo interessante per scostare un po’ dalle secche dell’autobiografismo la barca incagliata della narrativa montana, sempre più autoreferenziale e spudorata nel mettere in piazza vicende anche personali pur di cavarne qualche pagina. E possibilmente di venderla.

Va bene che l’unica cosa che sappiamo bene (e nemmeno sempre) è quel che ci è accaduto, o quel che ci siam fatti accadere, ma il vecchio precetto “l’io è odioso!” non andrebbe così sistema ticamente ignorato.

Insomma Paci inventa qui un suo alter ego per raccontare qualcosa di sé e di un mondo alpinistico che per contiguità un po’ geografica e un po’ cronologica ci appartiene. Marco, il protagonista, è milanese e debutta sui Corni di Canzo e sulle guglie della Grignetta per poi ottenere la patente di scalatore sulla Milano ’68, con un bel ricordo “di sponda” dell’indimenticabile Ettore Pagani.

Le “rocce” dei Bastioni di Porta Venezia sono il suo terreno arrampicatorio di città. Lì si confronta con gli altri nell’attribuire i gradi ai passaggi. E intanto si confronta con il diventare grande in una Milano che è quella degli anni di piombo. E la notte del 16 aprile 1975, il giorno in cui muore Claudio Varalli, diventa un punto di svolta personale e politico.

C’è la scoperta della libertà che la montagna sa dare, o almeno far intuire. C’è la scoperta di amicizie profonde, c’è il rapporto con il “vecchio” mondo alpinistico, rappresentato da padri scalatori, e c’è soprattutto la capacità di ritornare col racconto a quei giorni, prendendone una distanza che è anche fisica, nel trovare ambientazione in altre montagne rispetto a quelle della prima parte, ma senza rinnegare il proprio passato.

Cercando di capire e di spiegare. Di condividere e coinvolgere, senza mettere troppa distanza fra chi scrive ed il proprio pubblico. Che è un po’ la cifra (e la migliore) di Paolo Paci.

tutto per poter urlare a loro stessi di avercela fatta.

Perché lassù è nato come domanda per poi trasformarsi in affermazione quasi metafisica. Perché non c’è una vera ragione nel sacrificio, spesso mortale, di questi esploratori del cielo, se non quella totalmente irrazionale dell’ineluttabilità del farlo. Chi non vive la montagna non lo saprà mai, ma la montagna chiama.

Il libro è stato curato da Serafino Ripamonti, l’introduzione è di Antonio Pennacchi. AA. VV PERCHÈ LASSU

15 alpinisti raccontano l’irresistibile richiamo della montagna Mondadori Editore, 2021 Collana VIVA VOCE

QUANDO LA MONTAGNA CHIAMA

Le ragioni possono essere diverse e cambiare anche nel corso dell’esistenza, ma ciò che ac comuna tutti gli appassionati di alpinismo è la spinta ad andare lassù, fino in cima, a qualunque costo, sfidando la fatica, l’ipossia, il freddo, il vento che ti prende a pugni in faccia e il sole che ti perfora la vista.

C’è chi lo fa per spostare più in là i limiti dell’uomo. C’è chi lo fa invece per il godimento puro e semplice della natura incontaminata. Chi cerca di aprire nuove vie, come un Marco Polo che sale verso il cielo. E chi, semplicemente, non può farne a meno.

L’opinione pubblica oscilla sempre fra ammirazione e disapprovazione. Soprattutto nei casi in cui le scalate si trasformano in emergenze o in tragedie, aumenta immediatamente il nu mero delle persone che si chiede a gran voce cosa mai sono andati a cercare o chi glielo ha fatto fare. Ma gli alpinisti, pur chiamati in causa, non rispondono mai e scrutano da lontano la prossima cima.

Perché lassù raccoglie pensieri e le emozioni di diversi alpinisti che hanno speso gran parte della loro vita a scavalcare costoni impervi, conquistare sommità altissime, schivare valanghe, interpretare gli umori di seracchi grandi come grattacieli, tirare corde e piantare ramponi nella schiena della montagna, mangiando cibo liofilizzato e bevendo neve riscaldata:

MALGRATE DA VIVERE

Dopo la prima edizione del 2009, è stato recentemente ristampato per iniziativa del comune di Malgrate questo libro che propone ai residenti e ai visitatori una passeggiata nel borgo fra storia e attualità, svelando elementi del paesaggio, dell’architettura, dell’arte spes so nascosti e sconosciuti ai più. Tra i potenziali fruitori mi sentirei di segnalare le scuole, perché l’impostazione, sintetica ma non da classica guida turistica, si presta a suscitare la curiosità dei più giovani verso un mondo che, per quanto scomparso o trasformato, con tinua ad essere parte della loro vita attraverso l’esperienza di genitori e nonni.

Una citazione in quarta di copertina, tratta da una guida di fine Ottocento, sottolinea la tradizionale vocazione turistica oltre che residenziale di questo “ameno paesello” capace di suscitare “simpatia” in chi lo guarda dalla spiaggia di Lecco e di dilettare con la “bella pro spettiva di Lecco, del Resegone e del San Martino” lo sguardo di chi lo sceglie “come meta di tragitto lacustre”. Il paese da quei tempi ha subito enormi trasformazioni e Malgrate da vivere ne offre testimonianza, come nell’approfondimento dedicato alla storia lunga e tor mentata del “cimitero fuori porta per la Lecco unificata” (1930-1974): “un episodio urba nistico responsabile con le vicine cave Colombo e Penati di aver liberato aree pianeggianti edificabili”, aprendo la strada a un processo di intensa urbanizzazione che ha determinato la scomparsa del polo agricolo di Malgrate, prima esteso a sud fino alle pendici del Monte Barro.

Partendo da Piazza Garibaldi, con i suoi edifici storici affacciati sul lago, il libro accompagna nel vecchio nucleo salendo da via Agudio fino alla chiesa parrocchiale o invita a spingersi verso la località Porto all’estremo sud del paese che rimanda al poetico incipit de I Promessi Sposi.

Molti gli itinerari a tema suggeriti, fra cappelle votive, portali, logge, residenze aristocratiche, ville del Novecento e luoghi popolari come il lavatoio e la filanda.

Un intero capitolo è dedicato al “paesaggio assediato” dell’entroterra, al quartiere di Fabusa e a Gaggio, porta di accesso al Monte Barro da Pian Sciresa, dove la chiesa di San Grato si erge come esempio della “architettura dell’accoglienza” di Bruno Bianchi.

Non poteva mancare in questa nuova edizione del libro il tema della riqualificazione del lungolago, progetto iniziato nel 2008 con l’obiettivo di “riportare questo spazio di forte identità del paese alle sue originarie caratteristiche di area pedonale, percorribile e vivibile”.

Fra le novità segnalo infine la comparsa, fra personaggi di spicco del paese, di Bruno Biffi, incisore e stampatore nativo di Lecco ma vissuto per molti anni a Malgrate, che alla riedizione di questo libro dedica una sua opera del 2021, Cielo LXI, ossidazione su ferro, emblematica della sua produzione artistica degli ultimi anni.

Il volume è corredato da un ricco apparato iconografico con riproduzioni di dipinti, cartoline, disegni e foto d’epoca, nonché im magini recenti in prevalenza frutto di due campagne fotografiche condotte da Massimo Di Stefano nel 2009 e nel 2021.

MALGRATE da vivere, da conoscere, da VEDERE Comune di Malgrate Casa Editrice Stefanoni, Lecco, 2021

IL PRIMO ESPLORATORE DELL’ARTICO

L’esplorazione dell’Artico è un ricco filone che attraversa non solo la letteratura storica e scientifica ma anche quella di viaggio e di montagna. Questo libro, di carattere divulgativo fra saggio storico e romanzo d’avventura, si colloca alle origini di quel percorso, raccontando i viaggi di Willem Barents, l’esploratore olandese che alla fine del XVI secolo si spinse con il suo equipaggio ai confini dell’Artico alla ricerca ossessiva di un passaggio verso la Cina che non fosse il periplo dell’Africa: obiettivo strategico perché l’Olanda sviluppando il commercio con l’Oriente entrasse nel novero delle potenze mondiali.

Ma era troppo presto perché le intuizioni e le ambizioni di quel grande navigatore potessero andare a buon fine: con mezzi limitati del suo tempo si azzardò infatti a sfidare il ghiaccio “spietato” dell’Artico fino a rimanerne vittima “in un finale di tragedia e di gloria” durante la terza delle sue spedizioni. Barents, il cui nome è legato alla denominazione geografica della parte del mar Glaciale Artico a nord della Norvegia e della Russia fra isole Svalbard e Novaja Zemlja, ha lasciato racconti di terre disabitate, montagne di ghiaccio, immensi mari ghiacciati, animali mai visti, preziose erbe (Coclearia) indispensabili per combattere lo scorbuto.

Bisognerà attendere l’agosto del 2017 perché una petroliera russa equipaggiata per i viaggi nell’Artico, grazie anche alle condizioni più favorevoli del mare dovute al riscaldamento globale, affronti la rotta Norvegia-Corea senza la scorta di una nave rompighiaccio. L’autrice del libro, giornalista e scrittrice, per raccogliere informazioni di prima mano e immedesimarsi in qualche modo nell’am biente e nel clima della narrazione, compie a sua volta tre viaggi per mare nell’Artico sulle tracce di Barents, il primo europeo a spingersi così a nord.

La storia delle incredibili imprese di Willem Barents: il primo europeo a spingersi così a nord Newton Compton Editori, Roma, gennaio 2021

NOTIZIE IN BREVE

ASSEMBLEA ORDINARIA DEI SOCI 2020

Il 15 ottobre 2021 si è svolta nella sede del CAI Lecco l’assem blea ordinaria dei soci, con un ritardo, dovuto al Covid, di alcuni mesi rispetto alla data abituale.

Il presidente Alberto Pirovano ha nominato Emilio Aldeghi e Patrizia Gangeri rispettivamente presidente e segretaria dell’As semblea; come scrutatori sono stati designati Domenico Sesana, Laura Vesentini e Patrizia Gangeri.

Di seguito, una sintesi dei contenuti.

Relazione morale del presidente

L’attività sezionale del 2020 si è pesantemente contratta a causa della pandemia. L’ultima uscita prima del lockdown è sta ta la settimana bianca del GEO ai primi di marzo. Poi blocco completo di corsi, scuole, gite sociali, attività culturali. Anche la manifestazione “Monti Sorgenti”, alla sua decima edizione, non si è potuta svolgere. Sono stati chiusi i sentieri e l’8 marzo en trambi i rifugi del CAI Lecco.

Tutto questo si è tradotto in una riduzione del numero degli iscritti con una perdita pari all’8% soprattutto nelle fasce gio vanili.

La relazione del presidente è stata approvata all’unanimità con astensione di Alberto Pirovano.

Relazione del tesoriere

PAROLE E IMMAGINI NELLA RICERCA DI UN RAPPORTO PROFONDO CON LA NATURA

Dopo una lunga attività di illustratore, Nicola Magrin esordisce in questo libro come autore integrando con parole proprie le immagini che aveva finora prestato agli scritti di altri. Come se avesse sentito il bisogno di raccontare anche con le parole un percorso personale che parte dalla montagna, dall’esperienza del viaggio, dell’avventura, della solitudine per arrivare a una comprensione sempre più profonda del rapporto con la natura. Nei suoi acquerelli offre grandi spazi fatti di cieli stellati, boschi, lupi, interpreta i colori della neve, le grandi pianure e i tramonti infiniti. Con le parole narra esperienze personali che diventano universali perché toccano temi come la vita, il rapporto con la natura, il bisogno di contemplazione, l’amicizia.

“Lassù immerso nei boschi di abeti, cirmoli e larici o al caldo della stufa non vivo sicuramente nessuna pretesa di eremitaggio, piuttosto la volontà di dialogare e di entrare in risonanza con la natura”.

Silvano Arrigoni ha letto la relazione del Collegio dei revisori dei conti, illustrando le voci di bilancio consuntivo e preventivo e sottolineando i seguenti punti:

• Approccio al bilancio con criteri di contabilità azien

dale, con una gestione mensile o trimestrale da parte dei revisori

• Obiettivo di realizzare l’unificazione della tesoreria

• Per quanto riguarda i rifugi, annullamento della quo ta di affitto dovuta alla sezione relativa al periodo del lockdown, in uno spirito collaborativo che ha voluto tenere conto delle loro difficoltà.

La relazione è stata approvata all’unanimità con l’astensione di Silvano Arrigoni.

Elezione dei delegati sezionali all’Assemblea nazionale

Sono stati votati:

Enrico Spreafico

Matteo Spreafico Andrea Spreafico

Domenico Pullano

Carla Pozzi

Paola Frigerio

Approvazione delle quote associative 2021

Sono state approvate all’unanimità le quote riportate a pagi na 79 di questo notiziario.

I verbali dell’Assemblea sono consultabili in sede.

Dopo la pausa forzata della scorsa stagione imposta dalla pandemia, riprendono per il 2021 -2022 le tradizionali attività sulla neve organizzate dal CAI Lecco.

Sci di Fondo Escursionismo

Con una partecipatissima serata di presentazione mercoledì

10 novembre è partito il 38° Corso di Sci di Fondo Escursioni smo (direttore Marco Bianchi) nelle due declinazioni, collau date da anni, di attività di addestramento (corso per princi pianti e corsi di perfezionamento) e attività amatoriale, aperta agli sciatori già esperti ma anche (e questa è la novità) a chi

SI TORNA SULLA NEVE Adriana Baruffini
75Vita di Sezione

desidera divertirsi “Camminando sulla neve”.

Il programma prevede per tutti gli iscritti una parte teori ca, con due serate in sede CAI su attrezzature, equipaggia mento e nozioni tecniche, e cinque uscite a secco (cinque domeniche mattina fra novembre e dicembre) con cammi nate di allenamento nei dintorni di Lecco. Differenziata sarà invece l’attività sulla neve che inizierà a gennaio, con otto uscite il sabato per il gruppo amatoriale e sei uscite la do menica, più una “due giorni”, per il gruppo addestramento.

A completamento, una “tre giorni” per tutti in Trentino. Non ci resta che sperare in una stagione ricca di neve.

Scialpinismo

nati) ha programmato il 54° Corso Base SA1, diretto da Luca Lozza, finalizzato a fornire a persone che abbiano già una buo na padronanza della tecnica FISI le nozioni indispensabili per partecipare a una gita scialpinistica organizzata da altri.

Il corso prevede una parte teorica (otto lezioni il giovedì sera in sede CAI fra il 9 dicembre 2021 e il 17 febbraio 2022) con contenuti riguardanti materiali, preparazione fisica, alimenta zione, neve e valanghe, autosoccorso, meteorologia, cartogra fia e orientamento, preparazione di una gita di primo livello, elementi di primo soccorso e chiamata del soccorso.

In parallelo la parte pratica con sei uscite in ambiente fra dicembre 2021 e febbraio 2022, in quattro domeniche e due weekend.

ESPERIENZE DI VIAGGIO CON I RAGAZZI DEL GRUPPO JUNIORES

Venerdì 3 dicembre i soci più attivi del Gruppo Juniores han no organizzato una serata in sede CAI proponendo una proie zione di fotografie scattate da Stefano Moretti, uno di loro, du

rante viaggi in Lapponia e in Namibia. Belle le immagini e buona la partecipazione soprattutto di giovani, nel rispetto di tutte le norme anti-Covid.

Da sinistra in senso orario: Lapponia; Namibia; Namibia. Foto di Stefano Moretti.

CONVENZIONI

CLINICA SAN MARTINO - MALGRATE

Malgrate, Lecco. Via Selvetta angolo via Paradiso - tel. 0341 1695111 - Internet: clinicasmartino.com

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Garanzia delle prestazioni di diagnostica per immagini in 12/24 h dalla richiesta.

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INFORMAZIONI DALLA SEGRETERIA - TESSERAMENTO

QUOTE SOCIALI 2022

Le quote sociali per il 2022 sono le seguenti:

Socio Ordinario €46,00 Socio Ordinario Juniores* €24,00 (nati dal 1997 al 2004)

Socio Familiare** €24,00

Socio Giovane*** €16,00 (nati nel 2005 e anni seguenti)

Socio Vitalizio €20,00 Tessera per i nuovi Soci € 5,00 Duplicato Tessera € 2,00 Massimale integrativo polizza infortuni € 4,60

*Al Socio ordinario di età compresa tra i 18 e i 25 anni viene applicata automa ticamente la quota dei soci familiari. Tale Socio godrà di tutti i diritti del socio ordinario.

** Possono essere soci familiari solo i residenti al medesimo indirizzo del socio ordinario di riferimento.

***Socio giovane: a partire dal secondo figlio giovane in poi, il socio giovane verserà la quota di € 9,00. Si precisa che per poter usufruire dell’agevolazione prevista, il socio giovane dovrà avere un socio ordinario di riferimento in regola con il tesseramento dell’anno in corso ed appartenere ad un nucleo familiare con due o più figli giovani iscritti alla Sezione.

A partire dal 1 novembre 2021 si è aperto il tesseramento 2022. Per non perdere i benefici dell’iscrizione al CAI il rinnovo deve es sere effettuato entro il 31 marzo di ogni anno. Per procedere con il rinnovo è possibile passare in segreteria (si consiglia di verificare sul sito www.cai.lecco.it) oppure attraverso bonifico bancario o paypal (come da istruzioni riportate sul nostro sito alla voce “CAI Lecco – quote e assicurazioni – tesseramento 2022”).

CALENDARIO CHIUSURA SEDE

Considerata la situazione di emergenza sanitaria che ha coinvolto il nostro territorio nel corso dei mesi scorsi, consi gliamo di mantenersi aggiornati sui nostri canali web (www. cai.lecco.it; pagina facebook Cai Sezione di Lecco “Riccardo Cassin”) per sapere se la sede è aperta al pubblico e in quali orari. Non ci è possibile, infatti, prevedere l’andamento della situazione e poter dare indicazioni certe al riguardo. In ogni caso, è sempre possibile contattare la segreteria inviando una mail al seguente indirizzo: segreteria@cai.lecco.it.

AGEVOLAZIONI E BENEFICI PER I SOCI

- Agli associati è garantita la copertura assicurativa per infor tuni che si verifichino nell’ambito di iniziative organizzate dal Sodalizio, ivi compresi i corsi e le scuole, oltre alla copertura assicurativa del Soccorso Alpino per attività sia sociali che per sonali.

- I soci possono essere assicurati per gli infortuni e per la re sponsabilità civile verso terzi in attività personale richiedendo la specifica copertura assicurativa presso la sezione di appar tenenza.

- Il socio ordinario riceverà al proprio domicilio la rivista men sile del CAI “Montagne 360” e la rivista sezionale ”CAI Lecco 1874”.

- Tutti gli associati, con la presentazione della tessera riportan te il bollino relativo all’anno in corso, potranno usufruire degli sconti previsti dalle convenzioni indicate nell’apposito riquadro.

- Tutti gli associati potranno usufruire gratuitamente dei ser vizi offerti dalla sezione: accesso alla documentazione presen te nella biblioteca sezionale, lettura dei periodici e delle riviste presenti in sede.

- Tutti gli associati otterranno sconti sull’acquisto di libri o pub blicazioni del CAI.

SPAZIOTEATRO INVITO

Lecco, via Ugo Foscolo 42 tel. 0341 158 2439

Ai soci CAI riduzione del 20% sul costo del biglietto per tutti gli spettacoli e concerti della propria stagio ne, quindi da € 15 a € 12. Info al sito: http://teatroinvito.it/spazio-teatro-invito/calendario-stagione/

Per ottenere gli sconti indicati è necessario esibire la tessera del CAI Lecco regolarmente rinnovata. Possono usufruire delle convenzioni anche i soci delle sottosezioni del CAI Lecco: CAI Barzio, CAI Ballabio, Strada Storta.

NB: Per le società commerciali o aziende che volessero attivare iniziative di promozione o sponsorizzazione con il CAI Lecco tele fonare allo 0341-363588 (orari apertura sede) o al 3393216291 oppure scrivere un’email a sezione@cai.lecco.it.

LUTTI

Qualche mese fa ci ha lasciati Lucio Pompeo Stefanoni, socio del CAI Lecco dal 1952. Ai famigliari dello scomparso le condoglianze di tutta la sezione.

IL RINNOVO DELLA TESSERA PUÒ ESSERE EFFETTUATO:

In sede: Il martedì dalle 20.30 alle 22.00 e il venerdì dalle 18.00 alle 20.00 (tranne giorni festivi). La sede resterà chiusa per le festi vità natalizie dal 22 dicembre al 6 gennaio compresi. Si consiglia di verificare le news sul sito www.cai.lecco.it per ac certarsi dell’apertura della segreteria qualora tornassero restrizioni a causa della pandemia.

In alternativa, il pagamento potrà essere effettuato: a) con bonifico bancario - BANCA POPOLARE DI SONDRIO, Agenzia di Piazza XX Settembre a Lecco, sul conto corrente intestato a C.A.I. Sezione di Lecco IBAN IT07 J056 9622 9020 0000 2154 X06.

Si ricorda di indicare nella causale il nome e la data di nascita di tutti i soci per i quali viene effettuato il tesseramento. Il pagamen to tramite Bonifico Bancario prevede un contributo, per socio o per nucleo familiare, di € 2,00 per spese postali (Esempi - Singolo socio: quota + 2,00€ - Nucleo Familiare: somma delle quote + 2,00€).

b) Con pagamento Paypal, accedendo con le proprie credenziali al sito www.soci.cai.it e seguendo la pro cedura alla voce “rinnovo”

Il bollino verrà spedito per posta al domicilio del socio.

DIMISSIONI E MOROSITA’

Il socio può dimettersi dal Club Alpino Italiano in qual siasi momento; le dimissioni devono essere presentate per iscritto al Consiglio Direttivo della Sezione, sono irrevoca bili ed hanno effetto immediato, senza restituzione dei ratei della quota sociale versata.

Il socio è considerato moroso se non rinnova la propria adesione versando la quota associativa annuale entro il 31 marzo di ciascun anno sociale; l’accertamento della morosità è di competenza del Consiglio Direttivo della Sezione; non si può riacquistare la qualifica di socio, mantenendo l’anzianità di adesione, se non previo pagamento alla Sezione alla quale si era iscritti delle quote associative annuali arretrate. Il so cio di cui sia stata accertata la morosità perde tutti i diritti spettanti ai soci.

Vita di Sezione

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