18-FEB-2019 Estratto da pag. 9 3043
a cura dell'Ufficio Stampa e Comunicazione
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La frase del giorno
Opinioni
«”MEZZ’ORA IN PIÙ” SI CONFERMA, PIÙ CHE UN PROGRAMMA DI INFORMAZIONE, UNA SORTA DI SPAZIO PRIVATO DI LUCIA ANNUNZIATA CHE FA QUELLO CHE VUOLE A SPESE DEL PUBBLICO» Maurizio Gasparri (senatore Fi) Lunedì 18 Febbraio 2019 www.gazzettino.it
Passioni e Solitudini
Il commento
Un pasticcio giudiziario per un caso politico Carlo Nordio
segue dalla prima pagina
A Montecitorio, per i due deputati ministri, e al Senato per il presidente Conte, che non è parlamentare. Quindi avremo due nuove giunte, due nuove istruttorie e, se nel frattempo (saremo ormai a maggio-giugno) le cose non saranno cambiate, un nuovo diniego al processo. Se invece, per un ennesimo caso di dissociazione dei pentastellati, l’autorizzazione fosse concessa, avremmo un processo a Conte, a Di Maio e a Toninelli senza Salvini: ovvero ai “complici” senza l’autore materiale. Poiché peraltro, sempre in teoria, le due Camere potrebbero decidere l’una difformemente dall’altra, potremmo avere un processo a Conte senza Toninelli e Di Maio, oppure a questi ultimi senza Conte. Secondo scenario. La Giunta prima e il Senato poi concedono l’autorizzazione, e Salvini va a processo. Il Tribunale dei Ministri di Catania fa quello che ha fatto con Salvini e manda gli atti rispettivamente alla Camera e al Senato. Qui si presentano altre tre ipotesi:
a) Il Senato e la Camera negano l’autorizzazione, e va a giudizio solo Salvini. Nel frattempo, com’è ovvio, è caduto il governo e forse la legislatura, b) il Senato e la Camera la concedono , e tutti e quattro vengono processati, c) il Senato la concede per Conte, la Camera la nega per i due Ministri: vanno a giudizio Conte e Salvini, d) il Senato la nega per Conte, la Camera la concede per i due ministri: vanno a giudizio Salvini, Di Maio e Toninelli. Terzo scenario. Il Tribunale dei Ministri decide di approfondire la posizione di Conte, Di Maio e Toninelli. Il Tribunale potrebbe infatti concludere che ci fu una semplice adesione “post factum”, cioè un semplice assenso a una decisione autonoma di Salvini, e quindi i tre non sono imputabili. Da cosa potrebbe dipendere questa decisione? Essenzialmente dall’atteggiamento di Conte. Se confermerà che il diniego di sbarco fu concertato e collegiale, subirà la stessa sorte di Salvini. Se invece dirà che si conformò a un provvedimento già adottato dal suo
ministro potrebbe anche cavarsela. Dovrebbe invocare il detto attribuito a Ledru- Rollin : “Je suis leur chef, il faut bien que je les suive”: poiché sono il loro capo, bisogna che io li segua. Ma, a parte il fatto che così Conte dovrebbe smentire sé stesso, sarebbe politicamente un suicidio, perché suonerebbe come un’acquiescenza supina a Salvini, che sgretolerebbe la propria immagine e l’intera coalizione. Descritti questi tre scenari e le loro possibili varianti, per amor di completezza aggiungo che non sarebbe affatto finita, perché bisognerebbe ricostruire la filiera di comando attraverso la quale Salvini avrebbe trasmesso l’ordine criminoso, al fine di individuare gli altri concorrenti nel reato. Da ultima, ma non ultima, andrebbe valutata la posizione del Pm di Agrigento che, dopo aver contestato un sequestro di persona non ha disposto subito, com’era suo potere e dovere, la liberazione dei sequestrati. L’esausto lettore, annichilito da questo gioco dell’oca, si domanderà se questa ingarbugliata matassa possa essere dipanata oggi, tramite l’interpello dei militanti della piattaforma Rousseau, con la risposta a un quesito ambiguo quanto la posizione dei loro capipartito. E soprattutto se valesse la pena di creare un simile pasticcio, per una questione squisitamente politica. Speriamo che se lo domandino anche i parlamentari. © RIPRODUZIONE RISERVATA
L’intervento
Da uomo del Sud dico sì all’autonomia, ecco perché Francesco Giuliani*
segue dalla prima pagina
È sbagliato trasformare quella che ritengo essere un’opportunità per tutti in uno scontro tra il Nord e il Sud. Parlo di occasione perché l’attribuzione di funzioni e risorse alle regioni, in applicazione del principio di sussidiarietà verticale, consente di avvicinare al cittadino il potere decisionale sull’impiego dei proventi delle sue tasse, e contemporaneamente di avvicinare al cittadino il controllo “politico” esercitabile attraverso il voto delle rappresentanze agli enti territoriali. Sulla questione in passato c’è stato un approccio sbagliato. Non dimentichiamo che la Regione Veneto aveva già provato a indire un referendum consultivo nel 2015, ma in quel caso venne dichiarato incostituzionale (Corte Cost., sentenza n. 118/2015) in quanto il quesito era in quel caso “estremo”: “Vuoi che il Veneto diventi una repubblica indipendente e sovrana?”, cosa che evidentemente si poneva in contrasto con il principio di unità e indivisibilità della Repubblica di cui all’art. 5 della Costituzione.
Con il referendum del 2017 l’approccio è stato completamente diverso. Bisogna dar atto al Veneto e a Zaia di aver avuto sin dalla prima ora un atteggiamento moderato e di grande rispetto nei confronti delle istituzioni e della Costituzione. La Regione Veneto sembra essere in dirittura d’arrivo per ottenere una maggiore autonomia di competenze, di bilancio e di spesa. Può fare da apripista e tirare la volata anche alle altre Regioni. Tenendo ben fermi dei punti cardine. Pur in assenza nel testo attuale dell’art. 116 di un vincolo specifico all’equilibrio tra nuove entrate e nuove funzioni attribuite, il richiamo dell’art. 116 all’art. 119 della Costi-
È SBAGLIATO TRASFORMARE QUESTA OPPORTUNITÀ PER TUTTI IN UNO SCONTRO IL VENETO PUÒ FARE DA APRIPISTA PER ALTRE REGIONI
tuzione deve comunque costituire un parametro fermo di valutazione dell’operato delle regioni cui vengono attribuite maggiori autonomia e risorse. Si devono naturalmente evitare eccessi ed è necessario avere un sistema stringente di controlli, altrimenti lo Stato corre il rischio concreto di moltiplicare gli sprechi e di dare al principio costituzionale di solidarietà nazionale tra territori un’attuazione distopica, improntata all’egoismo territoriale, che finirebbe nel lungo periodo per minare lo stesso principio di unità nazionale, spingendo le Regioni a una competizione per le risorse che tracimerebbe in una lotta fratricida. È dunque molto importante garantire un equilibrio nell’evoluzione del sistema, e in questo è fondamentale che si proceda attraverso uno sviluppo per fasi, che attribuisca gradualmente alle Regioni competenze e risorse che sono via via in grado di gestire autonomamente, tenendo sempre ben ferma la stella polare dei costi standard nell’individuare tassativamente i parametri del servizio pubblico. Ciò per evitare di incorrere in sprechi e inefficienze quali quelli noti nell’ambito della sanità: dalle divergenze nel costo di una siringa da Nord a Sud alle decine di milioni spesi per avere 20 fascicoli sanitari digitali regionali dei quali nessuno effettivamente utile in quanto costruiti come silos non comunicanti. *Avvocato tributarista (Studio Fantozzi & associati) Napoli
DIRETTORE RESPONSABILE:
PRESIDENTE:
Roberto Papetti
Azzurra Caltagirone
DAL 1887 VICE PRESIDENTE:
Albino Majore VICEDIRETTORE:
Pietro Rocchi Registrazione Tribunale Venezia, n. 18 dell’1/07/1948
AMMINISTRATORE DELEGATO:
Franco Fontana CONSIGLIERI:
UFFICIO CENTRALE:
Vittorino Franchin (responsabile)
Alessandro Caltagirone, Fabio Corsico, Mario Delfini, Gianni Mion
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Modica dose? Alle droghe va detto soltanto no Alessandra Graziottin
ogliamo svegliarci da questo sonno della ragione che sta devastando il cervello e il futuro ai nostri ragazzi? Vogliamo avere il coraggio di uscire da un nominalismo pericoloso e inquietante? La “modica dose” non esiste: perché non esiste una dose soglia al di sotto della quale le droghe siano innocue per il cervello. Dobbiamo uscire da quest’ambiguità perniciosa fondata sull’indefinibile concetto di “modica”. Le droghe sono veleno per il cervello, ancor più se usate dai giovani e ancora peggio se usate da donne in gravidanza, perché il bimbo ne sarà segnato per sempre. Le neuroscienze lo confermano. Sul tema droghe l’espressione “modica dose” va bandita. Per due ragioni: fa credere ai giovani che la droga, qualsiasi droga, possa essere innocua e che la tossicità sia “solo” questione di quantità. L’uso banalizzato è intanto diventato epidemico. E consente agli spacciatori, ben attenti a tenersi in tasca solo la “modica dose” legalmente consentita, di girare indisturbati. E, se fermati, di ri-uscire in libertà la sera stessa, per tornare a spacciare le cento altre dosi nascoste nei cespugli dei parchi o nei cassonetti. Il termine “modica” è così insidioso da essere ipnotico. Tranquillizza tutti, perché il concetto di “modus”, di moderazione, è stratificato da millenni nel nostro cervello profondo come termine positivo, che evoca innocuità, ragionevolezza e perfino sano autocontrollo. Peccato che si stia parlando di droghe e non di virtuosismi etici e comportamentali. Il fatto che il concetto di modica dose abbia valenza penale, e non biologica, non è percepito. Certo che la quantità conta, per l’ovvia ragione che con il crescere della dose ne aumentano l’impatto e gli effetti collaterali. Tuttavia la tossicità di una droga dipende da molte altre variabili. Le più potenti includono il tipo di droga e il suo meccanismo d’azione; la vulnerabilità delle aree del cervello in cui agisce; l’età del soggetto; il fatto che sia pura o potenziata dall’alcol o da altre sostanze. Per esempio. il lobo frontale, che modula, fra l’altro, la capacità di controllare gli impulsi, e la loro potenziale distruttività, matura oggi con sei-otto anni di ritardo
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rispetto a sessant’anni fa. Una droga come la coca accentua l’impulsività e il sistema dopaminergico che la sottende, ancor più in un adolescente a cui il testosterone mette l’impulsività a mille. E’ come dare una frustata da terra a un cavallo giovane e ardente in campo aperto: scappa via e non lo riprendi più. La vulnerabilità individuale è massima nei giovani perché il loro sistema nervoso è ipersensibile all’effetto “piacere e ricompensa” stimolato dalle droghe: è questo che porta poi a ricercarle, con una dipendenza prima psichica e poi biologica. Un ragazzo ansioso, invece, che ha bisogno di farsi accettare dal gruppo, si sente meglio se si fa una canna e/o se beve: per il loro effetto ansiolitico nel breve termine. Nel medio-lungo termine i circuiti neurobiologici dell’ansia diventano ancora più sregolati: con deficit di attenzione e di apprendimento, da un lato, e aumento degli attacchi di panico, più difficili da curare anche con farmaci specifici, dall’altro. Più il cervello è giovane, più ne risente: a livello del sistema neurovegetativo, che regola tutti i bioritmi, tra cui il bioritmo del sonno, grande custode della salute, e della capacità di concentrarsi, di ascoltare con attenzione e di memorizzare a lungo termine. Quando il sonno è disturbato o ridotto, addio a studio e profitto scolastico, ma anche ai risultati sportivi. A livello del sistema limbico, con terremoti emozionali e, nelle ragazze, con peggioramento della sindrome premestruale, dell’irritabilità, dell’aggressività. E del bullismo, in entrambi i sessi. A livello motorio, vengono alterati i movimenti fini, la reattività autoprotettiva, aumentano le distrazioni e gli incidenti. A livello cognitivo, delle funzioni mentali superiori, i danni sono ancora più inquietanti: possibile che nessuno si preoccupi del fatto che un cervello minato ha perso la capacità di far esprimere i talenti? La soluzione a quest’epidemia di drogati a vari livelli di gravità non è (solo) potenziare i centri di disintossicazione e le comunità. E’ agire prima che il danno succeda. E’ prevenire. Cominciando dalla tolleranza zero a droghe e alcol, almeno ai minori di 18 anni. Il danno biologico alle cellule nervose concorre al fallimento esistenziale. Visione pessimista? No, onesto pragmatismo. Basta alla “modica dose”: uniamo le forze, per non piangere poi su migliaia di figli falliti. E perduti. www.alessandragraziottin.it
METTERE UNA SOGLIA FA CREDERE AI GIOVANI CHE GLI STUPEFACENTI POSSANO ESSERE INNOCUI E CHE LA TOSSICITÀ SIA SOLO QUESTIONE DI QUANTITÀ
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