Alba Medea
Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi Presentazione di Antonio Ventura
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Alba Medea
Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi Presentazione
di Antonio Ventura
Capone Editore
Capone Editore Via provinciale Lecce - Cavallino, km 1,250 - LECCE Tel. e fax 0832 611877 Mailto: caponeeditore@libero.it - info@caponeditore.it On line: www.caponeditore.blogspot.com - www.caponeditore.it
© Copyright 2014 ISBN: 978-88-8349-186-3 Stampa: Tiemme - Manduria Marzo 2014
L’Editore ringrazia l’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia (A.N.I.M.I.), presieduta dall’on. prof. Gerardo Bianco, per aver gentilmente autorizzato la ristampa del presente volume
AlbA MedeA e le cripte ereMitiche pugliesi
Nel 1936, Giuseppe Gabrieli, orientalista e bibliotecario dell’Accademia dei Lincei, dava alle stampe l’Inventario topografico e bibliografico delle cripte eremitiche basiliane di Puglia, quarto volume della collana “Bibliografie e Cataloghi” pubblicata dal Regio Istituto d’Archeologia e Storia dell’Arte di Roma. Invitato, poi, a presentarlo e ad illustrarne il contenuto agli studiosi italiani e stranieri intervenuti ai lavori del 5° Congresso Internazionale di Studi Bizantini, indetto nella capitale in quello stesso anno, riferiva, nel corso della relazione, che, durante le frequentazioni dei vari istituti culturali per le necessarie indagini archivistiche e bibliografiche, aveva avuto occasione di visionare presso la biblioteca dell’Associazione per il Mezzogiorno d’Italia le schede storico-artistiche della indagine ancora inedita Chiese-cripte della provincia di Taranto, “ … nella quale la dottoressa Alba Medea ha registrato quanto in un mese intero di soggiorno sui luoghi, di ricerca e di esplorazione, di veramente intensa fatica e lavoro, ha osservato, misurato e venuto a sapere. Di ogni cripta da lei visitata ha dato una precisa e fedele descrizione, indicandone la denominazione, la località, lo stato attuale di proprietà, di custodia e d’uso a cui sia adibita, la misurazione planimetrica, la descrizione e interpretazione degli affreschi ed inscrizioni ancora visibili, spesso la pianta iconografica, e finalmente la bibliografia, con l’indicazione della iconografia fotografica, quando esista, e col suggerimento pratico di ciò che possa farsi per la riproduzione degli affreschi e la conservazione della cripta. Altrettanto la dott.ssa Medea ha fatto nel 1934 per le più numerose cripte di Terra d’Otranto. Così si ha finalmente la notizia sufficiente e sicura di un centinaio circa di cripte basiliane o bizantine pugliesi…”. La ricerca segnalata con tanto entusiasmo da Giuseppe Gabrieli, rappresentava, come si può dedurre dalla sua attenzione nel menzionarne ogni particolare, il primo studio condotto in maniera organica su quei singolari monumenti della Puglia meridionale e delle limitrofe regioni di Basilicata e Calabria, la cui parte più interessante, ma anche più esposta ad alterazione e deperimento, è rappresentata dalla ricca decorazione iconografica delle absidi, dei pilastri, delle pareti laterali, degli archi e, talvolta, anche dei soffitti, dove, su uno o più strati sovrapposti d’intonaco, la devozione dei fedeli ha, in tempi remoti, dipinto, all’interno di un riquadro appena accennato, l’immagine sacra venerata nella chiesa-ipogeo, oppure l’ha sostituita con un’altra diversa, iscrivendone in alto, ai due lati, il nome con sigle greche o latine o con lettere disposte verticalmente. Questo patrimonio artistico, unico nel suo genere, è rimasto per lungo tempo sconosciuto agli ambienti culturali ed accademici italiani ed alle autorità predisposte a tutelarlo ed a garantirne in maniera opportuna la conservazione. Perché cominci a suscitare il giusto interesse e venga finalmente segnalato come fondamentale testimonianza dell’espressione artistica bizantina nella pittura, bisognerà giungere alla seconda metà del XIX secolo, quando studiosi, specialmente francesi, cominceranno ad occuparsene, senza, però, condurre studi approfonditi. Non mancarono, infatti, di sottolinearne l’importanza storica ed il pregio artistico Charles Diehl, ne L’art byzantin dans l’Italie Mèridionale; Emile Bertaux, in L’art dans l’Italie mèridionale; François Lenormant, in la Grand Grèce e, ancora,
nelle Notes archéologiques sur la Terre d’Otrante; Jules Gay, ne L’Italie méridionale et l’empire byzantin. Tra gli anni 1868-1875, in verità, la Commissione Provinciale di Antichità e Belle Arti di Lecce, affiderà ad alcuni suoi membri, tra cui studiosi di sperimentata esperienza e cultura, come Luigi De Simone e Cosimo De Giorgi, l’incarico di promuoverne l’esplorazione, lo studio e la descrizione, ma il progetto non sarà coronato da successo e neppure sarà seguito da altri analoghi, lasciando, così, spazio, per un lungo periodo, all’abbandono, al silenzio, all’incuria, con la conseguenza di accelerare il deperimento delle cripte e degli affreschi che le adornano. Tale era la situazione esistente negli anni Trenta del Novecento, quando Alba Medea iniziò ad esaminarli, non senza dover superare difficoltà logistiche ed organizzative accresciute, talvolta, dall’ostilità di quanti avevano abusivamente occupato gli ipogei, per destinarli a deposito degli attrezzi agricoli o, peggio, per adibirli a ricovero degli animali. La giovane ricercatrice, di origine lombarda e figlia unica dell’illustre psichiatra e neuropatologo Eugenio Medea, riuscì, tuttavia, a muoversi con relativa sicurezza in quei luoghi, che sino ad allora non aveva avuto mai occasione di visitare. Dopo la nascita, nel 1905, aveva, infatti, vissuto per lungo tempo con la famiglia all’estero, seguendo gli spostamenti del padre nel corso degli incarichi professionali ed accademici a Berlino, Monaco di Baviera, Zurigo. Poi, al rientro in Italia, si era stabilita a Milano e qui, portati a termine gli studi liceali ed universitari, aveva avuto modo di manifestare, ben presto, quale sarebbe stato il settore privilegiato delle sue ricerche, pubblicando, nel 1932, presso l’editore Cogliati, con prefazione firmata da Paolo D’Ancona, Arte italiana alla corte di Francesco I. 1515-1517. In quel periodo cominciò anche ad occuparsi delle vicende storico-artistiche dell’Italia Meridionale, perché la passione per l’antichità classica l’aveva portata a collaborare con l’archeologo Paolo Orsi, il quale, insieme con Umberto Zanotti Bianco, nel 1920, aveva fondato, nell’ambito dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno, la Società Italiana Magna Grecia e costituito, al suo interno, la sezione Bizantina-Medievale, con lo scopo di poter effettuare in Puglia l’esplorazione e la ricognizione sistematica degli affreschi conservati nelle cripte basiliane, in modo da predisporne la tutela e, nello stesso tempo, renderne nota l’importanza attraverso la pubblicazione delle testimonianze superstiti e delle relative iscrizioni greche ancora leggibili. Da loro, Alba Medea, per le indubbie competenze, fu incaricata di condurre tali indagini e, pertanto, nel 1932, si dedicò con impegno ai lavori di rilevamento e di classificazione, incontrando validi punti di riferimento nelle professionalità di Quintino Quagliati e di Renato Bartoccini, Soprintendenti ai Musei ed agli Scavi di Puglia; di Carmine Corvaglia, Ispettore dei Monumenti e Scavi di Vaste e Poggiardo; di Pasquale Camassa, Direttore del Museo di San Giovanni in Brindisi. A distanza di due anni l’inventariazione dei dipinti era andata avanti speditamente e si avviava alla conclusione, come ella era in grado di darne notizia, riferendo su La Sociétè Magna Grecia Bizantina Medievale et le Corpus des cryptes d’Ermites dans les Pouilles, nella sede scientifica del 3° Congresso di Studi Bizantini di Sofia, dove, trascorso un biennio, sarebbe tornata ancora una volta, per presentare in anteprima, durante i lavori del 4° Congresso di Studi Bizantini, l’edizione pronta per la stampa, con la relazione Le Corpus des fresques peintes dans les cryptes des Pouilles. Nel 1937 provvedeva anche a darne una rapida ma esauriente informazione agli ambienti culturali italiani, pubblicando Ricordi basiliani nell’Italia meridionale. Affreschi nelle cappelle rupestri pugliesi in “Arte e restauro” e Osservazioni sugli affreschi delle cripte ere-
mitiche di Puglia in “Japigia”. Gli articoli, per la novità e l’originalità dei contributi, suscitarono un tale interesse anche a livello internazionale, da essere tradotti ed ospitati nelle riviste “American Journal of Archaeology”e “The review of religions”. Finalmente, nel 1939, la Collezione Meridionale Editrice, diretta da Umberto Zanotti Bianco, stampava in due volumi, di cui uno fotografico, l’intera ricerca di Alba Medea, con il titolo Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi. Il territorio interessato dall’indagine, precisava l’autrice nell’introduzione, era quello della regione nei confini attuali e non in quelli storici; pertanto, diversamente da quanto aveva fatto Giuseppe Gabrieli, ella aveva preso in considerazione soltanto i monumenti esistenti nelle province di Bari, Brindisi, Lecce e Taranto, escludendo gli altri della provincia di Matera, entrata a fare parte, in età moderna, della Basilicata. La pubblicazione, come ebbero modo di recensire Nicola Vacca in “Rinascenza Salentina” e Domenico Vendola in “Japigia”, rispondeva in maniera esauriente all’esigenza, da tempo e da più parti avvertita, di ricerche approfondite e metodologicamente corrette sull’argomento e ancora oggi, per la scrupolosa competenza con cui fu condotta, restano immutati la sua attualità e l’interesse scientifico . È, quindi, importante l’iniziativa dell’editore Lorenzo Capone di mettere nuovamente a disposizione degli studiosi questo strumento indispensabile per la conoscenza di un patrimonio artistico tanto importante, ristampando il primo volume, parte fondamentale dell’opera, e tralasciando il secondo, difficilmente riproducibile per la scarsa leggibilità delle immagini, tra l’altro, in buona parte, non più corrispondenti alla situazione odierna. Sullo scopo del lavoro da lei condotto, Alba Medea precisava: “…Mio intento era quello di segnalare l’esistenza di monumenti per lo più abbandonati e mal noti, indicandoli così non solo all’attenzione degli studiosi ma attirando su di essi quella della Soprintendenza per eventuali restauri… Non si offrono conclusioni definitive… Il rapporto fra gli affreschi delle grotte pugliesi e quelli dello stesso tipo in altre regioni quali la Basilicata o la Calabria… non potrà essere trascurato. Infine questa pittura dovrà trovare il suo posto entro il vasto quadro dell’arte pittorica bizantina provinciale fra gli affreschi di Cappadocia e quelli russi della medesima epoca…”. Anche nella Puglia meridionale, infatti, alla pari degli altri luoghi menzionati, la cultura, la lingua, la civiltà, i riti bizantini si erano diffusi nell’ambiente indigeno e lo avevano penetrato profondamente in tutti gli strati sociali, quando, in seguito alla lunga serie di avvenimenti civili, militari e religiosi succedutisi nel corso dei secoli VII-XI, vi trovarono rifugio le popolazioni fuggite dall’Africa e dalla Siria dinanzi alla vittoriosa avanzata musulmana. Presso di esse si stabilirono, successivamente, invogliati dall’ampia diffusione della lingua e del rito greci e dalla tolleranza delle autorità locali, i monaci orientali, insofferenti dell’offensiva iconoclasta di Leone III Isaurico, e, poco dopo, transitando per la Calabria e la Basilicata, quelli scappati dalla non più sicura Sicilia dopo la conquista araba. Sotto il loro influsso rifiorì la vita religiosa ed i monasteri basiliani e le laure cenobitiche si moltiplicarono, specialmente nella Penisola Salentina, dove, accanto ai ricchi e grandi monasteri di San Nicola di Casole, di Santa Maria di Cerrate, di San Vito del Pizzo, dotati di vasti possedimenti dalla liberalità dei principi e dalla generosità dei fedeli, sorgevano in gran numero le chiese rupestri e le celle ipogee adattate in grotte preesistenti, oppure aperte lungo i fianchi delle solitarie gravine nella zona delle Murge, o, ancora, scavate nei
piani tufacei della provincia di Lecce. Tutti quei monumenti, insomma, genericamente definiti cripte eremitiche. Destinate al culto divino, quelle cappelle, rozze e dall’architettura indefinibile, furono affrescate per nascondere la squallida nudità dei muri, divenuti, nel corso dei secoli, autentici palinsesti, tanto grande è sulle loro superfici il numero delle immagini sacre sovrapposte le une alle altre dalla pietà dei fedeli, in maniera confusa ed in epoche diverse. La pittura, scrive Alba Medea, fu, tuttavia, coltivata e promossa dai Basiliani, non tanto per motivi estetici ed ornamentali, quanto, piuttosto, perché considerata il mezzo ideale per invitare le popolazioni alla preghiera ed all’osservanza dei precetti religiosi, in modo da raggiungere, anche tra le inquietudini del mondo terreno, la serenità e la pace riprodotte nei volti e negli atteggiamenti dei Santi rappresentati in lunghe file e osservando, quasi, una sorta di repertorio fisso che, tuttavia, presenta leggere differenze da una provincia all’altra, per la maggiore o minore frequenza con cui si ripetono le immagini dell’Arcangelo Michele o di San Basilio, San Giorgio, San Demetrio, San Giovanni Precursore, San Lorenzo, San Pietro, San Nicola…. Meno numerose e differenti per la potente efficacia espressiva sono, invece, le rappresentazioni del Cristo Pantocratore e della Vergine col figlio e, ancora, alcune scene evangeliche, come l’Annunciazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la fuga in Egitto, il Battesimo, l’ingresso a Gerusalemme, la Deposizione e la Visita al Sepolcro. Tutti gli affreschi sono analizzati dall’autrice e classificati, sulla base dei differenti caratteri stilistici, secondo una precisa successione cronologica, a cominciare dai più antichi, assai vicini agli esemplari dell’arte cristiana orientale, per passare ai più perfetti dei secoli XII-XIII e giungere agli ultimi e ormai decadenti del 1300 e del 1400. Argomenti che sarebbero stati da lei ripresi ed ulteriormente approfonditi, nel 1940, trattando L’iconografia della Scuola di Rimini in “Rivista d’Arte”. A questo articolo sarebbe seguito un lungo silenzio di circa venti anni, interrotto nel 1962, quando Alba Medea ritornò, ancora una volta, sui temi artistici a lei familiari, pubblicando, Resti di un ciclo evangelico in ”Archivio Storico per la Calabria e la Lucania” e, l’anno successivo, relazionando su La pittura bizantina nell’Italia meridionale nel medioevo. V-XIII secolo, durante i lavori del Convegno Internazionale “l’Oriente cristiano nella storia della civiltà”, indetto nelle sedi di Roma e di Firenze. Furono i suoi ultimi contributi sulla storia dell’arte medievale italiana. Dal 1966 volle dare un diverso significato alla propria esistenza, perché, privilegiando interessi e vocazioni divenuti sempre più importanti, abbandonò in maniera definitiva studi e ricerche e rivolse ogni energia all’assistenza del prossimo in difficoltà e, in particolare, al riadattamento scolastico e lavorativo dei bambini affetti da epilessia e da disabilità motorie. Divenne, così, “Nonna Alba”, come presero a chiamarla affettuosamente i piccoli ricoverati nel padiglione, che il padre, intestandolo alla moglie “Bianca Medea”, aveva creato ed attrezzato presso l’istituto riabilitativo dell’associazione “la Nostra Famiglia” di Bosisio Parini, all’indomani dell’incontro, avvenuto nel 1950, con il beato don Luigi Monza. Una esperienza di fondamentale importanza che aveva fatto maturare in lui e nella figlia la decisione di mettere da parte gli interessi culturali ed i beni materiali, per impegnarsi soltanto nell’assistenza socio-sanitaria dell’infanzia sofferente.
Antonio Ventura
Alba Medea
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