TIM BURTON
Un visionario conquista New York A visionary fascinates New York
Replica constructed by KAREN ATTA STUDIO Replica of Deer Topiary in Edward Scissorhands, 2009 Mixed mediums, 139×101×60" (353.1×256.5×152.4 cm) Photographer: Tom Mikawa Courtesy MoMA - New York
Al MoMA la prima mostra antologica First exhibition at MoMA 22 - XI - 2009 - 26 - IV- 2010
Severino Briccarello
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ono le undici del mattino di un’uggiosa giornata di fine dicembre a New York. Cade una pioggia sottile e fa freddo. A partire dall’ingresso del MoMA, sulla 53rd Street, una doppia fila di persone intirizzite, molte malamente riparate da scarsi ombrelli o impermeabili di fortuna si snoda ben oltre l’angolo con la 6th Avenue. Saranno circa trecento persone, in attesa di entrare a vedere la mostra antologica del regista cinematografico Tim Burton. Che, a ben vedere, ha tutte le premesse per essere un successo. A raccontare il rapporto tra il MoMA e il cinema è il direttore del museo, Glenn D. Lowry, nella prefazione alla monografia Tim Burton edita dal museo stesso in occasione dell’esposizione dedicata al regista americano. Il MoMA presenta l’arte e gli artisti del cinema nelle sue gallerie fin dal maggio del 1939, quando si inaugurò la mostra dedicata al pioniere del cinema George Méliès. Nei successivi sessant’anni il museo è stato sede di più di ottanta eventi espositivi riguardanti il lavoro di studios come Warner Bros, Universal, Pixar ed altri, nonché di filmmakers tra i quali Alfred Hitchcock, Pier Paolo Pasolini, Roberto Rossellini. Per Tim Burton il MoMA ha organizzato la più ampia e completa esposizione monografica dedicata ad un uomo di cinema, conosciuto a livello internazionale come una delle voci più rappresentative del suo tempo. È lo stesso Glenn D. Lowry a sostenere che, nel caso, gli organizzatori sono stati fortunati, perché oltre ad essere regista, produttore, fotografo, disegnatore, autore, collezionista ed entusiasta della cultura pop, Burton è anche un «archivista della propria carriera», ed è stato possibile al MoMA avvicinare il pubblico al suo lavoro per la prima volta e in modo veramente rappresentativo, grazie anche alla sua disponibilità. In aggiunta agli oltre cinquecento pezzi attribuiti a Burton, la mostra presenta
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t’s 11 a.m. of a late December’s gloomy day in New York City. Drizzling rain and cold air. Starting from the entrance of the MoMA, on the 53rd Street, a double line of numb people, many of them badly repaired with little umbrellas or emergency raincoats, turns around the corner, then goes on the 6th Avenue. About three hundred people wait for visiting the exhibition of the filmmaker Tim Burton. An exhibition that seems to have the basis to be successful. The Director of the MoMA, Glenn D. Lowry, tells the story of the relationship between the Museum and the cinema introducing the monograph Tim Burton, published to present the exhibition. The MoMA has been presenting the art and the artists of the cinema in its galleries since May 1939, when it opened to the film pioneer George Méliès. Over the seventy years following, the Museum of Modern Art have been the site of more than eighty exhibitions on the work of film studios such as Warner Bros, Universal, Pixar and of filmmakers, among whom Alfred Hitchcock, Pier Paolo Pasolini, Roberto Rossellini. With Tim Burton the MoMA stages its largest and most comprehensive monographic show to date on a filmmaker, one who is well known internationally as one of the most representative voices of his time. As Glenn D. Lowry says, in this case the curators have been fortunate that in addition to being a director, producer, photographer, designer, author, collector and pop culture enthusiast, Burton also is an «archivist of his own career». So it has been possible for the MoMA to bring his work near to the people for the first time and in a very representative way, also thanks to Burton’s help. In addition to over five hundred pieces created by Burton himself, the exhibition includes work by a number of his important collaborators. It has been a great organizational effort supported with enthusiasm and profes-
Tim Burton (American, born 1958) Three Creatures, 2009 Steel, burlap, epoxy, polyester resin, paint, and rigid foam 94×48×48" (238.8×121.9×121.9 cm); 84×48×37" (213.4×121.9 ×94 cm); 34×39×21" (86.4×99.1×53.3 cm) Private collection © 2009 Tim Burton Photographer: Jason Mandella Courtesy MoMA - New York
anche lavori di alcuni dei suoi più importanti collaboratori. Si è trattato di uno sforzo organizzativo non indifferente, che ha certamente impegnato al massimo la professionalità e la passione dei responsabili del MoMA nei vari settori. Essi meritano il plauso per i risultati ottenuti. Ma se questo è il rapporto del MoMA col mondo del cinema, qual è il rapporto di Tim Burton con il mondo dei musei? È proprio lui a dare la risposta, affermando nel suo contributo alla stessa monografia: «A Burbank (sua città natale) non c’era una gran cultura museale. Non ho visto un museo fino all’adolescenza (se si esclude l’Hollywood Wax Museum). Passavo il tempo guardando la televisione e i film dell’orrore, disegnando e giocando nel locale cimitero. Quando più tardi cominciai a frequentare musei, fui colpito da come la sensazione fosse simile a quella dei cimiteri. Non in modo morboso, ma entrambi hanno un’atmosfera quieta, introspettiva, anche eccitante. Esaltazione, mistero, scoperta, vita e morte tutto in un solo posto. Così dopo tutti questi anni, allestire questa mostra, far vedere cose, molte delle quali non sono state fatte per essere viste o sono solo frammenti di pellicole più lunghe, è davvero un’occasione speciale per me». l miglior modo di introdurre questo omaggio a Tim Burton è quello di riprendere le parole da lui scritte nel presentare il libro L’Arte di Tim Burton (a cura di Leah Gallo, design di Holly Kempf, edito da Steeles Publishing) uscito proprio in occasione della sua retrospettiva al MoMA, dove ribadisce il concetto della destinazione privata dei suoi lavori grafici. Scrive il regista: «La maggior parte di quello che compare in questo libro non è mai stata concepita per essere vista da qualcuno: alcune cose dovevano servire per progetti specifici, altre erano esclusivamente per me. Negli anni, amici e collaboratori hanno sostenuto che forse avrei dovuto fare un libro. E io non ho fatto assolutamente nulla in proposito. Solo dopo il coinvolgimento di Derek Frey, Leah Gallo e Holly Kempf questo libro è diventato
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sionalism by all people involved, and these people deserve the approval for the result. But if this is the relationship between the MoMA and the world if cinema, what is the Burton opinion about museums? Burton himself gives us an answer by saying in his statement: «growing up in Burbank (his hometown) there wasn’t much of a museum culture. I never visited one until I was a teenager (unless you count the Hollywood Wax museum). I occupied my time going to see monster movies, watching television, drawing, and playing in the local cemetery. Later, when I did start frequenting museums, I was struck by how similar the vibe was to the cemetery. Not in a morbid way, but both have a quiet, introspective, yet electrifying atmosphere. Excitement, mystery, discovery, life and death all in one place. So all these years later, to have this exhibition, to be showing things – some of which weren’t meant to ever be seen, or are just pieces of the larger pictures – is very special to me». he best way to introduce this tribute to Tim Burton is to remember his short foreword to the book The Art of Tim Burton (edited by Leah Gallo, design of Holly Kempf, Steels Publishing) issued for the MoMA exhibition, where he reaffirms the private destination of his graphic works: «Most of what appears in this book was never intended to be seen by anyone: some of it was for specific projects, some of it just for me. Over the years, friends and collaborators suggested that maybe I should do a book. And I did absolutely nothing about it. It was until Derek Frey, Leah Gallo and Holly Kempf became involved that this book became a reality (the former is my long time assistant, the latter two were creators of a Sweeney Todd film book.1 They sorted through forty years of stuff: notebooks, scraps of paper, napkins, etc. to shape what lies between these covers. For whatever it’s worth, I hope you
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Tim Burton at MoMA Entrance to MoMA's Special Exhibitions Gallery Entrance designed by TwoSeven Inc. Photo credit: Michael Locasiano Courtesy MoMA - New York
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na realtà (Derek è mio assistente da lungo tempo, gli altri due sono stati i creatori di un libro sul film Sweeney Todd).1 Hanno selezionato quarant’anni di materiale: taccuini, pezzi di carta, tovaglioli, ecc. per raccogliere ciò che sta tra queste copertine. Quale che ne sia il valore, spero che vi piaccia». Timothy William Burton, disegnatore d’animazione, prima ancora che regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, nasce a Burbank (California) il 25 agosto 1958. È noto soprattutto per essere tra i registi di riferimento del cinema cosiddetto gotico, aggettivo con il quale si definisce un genere artistico (non solo cinematografico) che ha avuto diverse espressioni dalla nascita della letteratura del terrore fino ai giorni nostri. A Tim Burton viene riconosciuta la caratteristica di mostrare l’immagine contemporanea del genere gotico, nella quale convivono alienazione, ironia e fantasia. Nei suoi film, di argomento fiabesco-fantastico, trovano, infatti, posto temi di grande attualità, quali l’emarginazione e la solitudine, osservati attraverso la sua lente visionaria. Tra le principali collaborazioni artistiche, spiccano quelle con il compositore Danny Elfman e con l’attore Johnny Depp, definito la rockstar del cinema. Nel 2007, alla Mostra del Cinema di Venezia, riceve il Leone d’Oro alla carriera: il più giovane regista della storia del cinema ad aver conseguito tale riconoscimento. È stato designato quale Presidente della giuria al prossimo Festival del Cinema di Cannes 2010, primo regista di film d’animazione a ricoprire il prestigioso incarico. Come già abbiamo potuto capire dalle sue stesse parole, Tim Burton trascorre l’infanzia in modo piuttosto solitario, appassionandosi ai cartoni animati e ai vecchi film dell’orrore. Predilige le pellicole horror della piccola casa cinematografica inglese Hammer. Tra i suoi idoli, l’attore Vincent Price, interprete di film basati sui racconti di Edgard Allan Poe. E il suo talento artistico si rivela proprio tra le mura domestiche, quando l’azienda locale che si occupa di smaltire i rifiuti indice un concorso per disegnare manifesti sulla propria attività. Sarà lui a vincere il concorso e tutta Burbank verrà tappezzata per un anno dai suoi disegni. È forse il primo contatto importante tra il suo mondo interiore e la realtà del mondo esterno. In virtù del talento che dimostra, vince una borsa di studio della Disney, grazie alla quale può continuare a coltivare la sua passione presso il California Institute of the Arts di Valencia, noto come Cal Arts. Là incontra Henry Selick, futuro regista di Nightmare before Christmas, con il quale da vita ad un forte sodalizio professionale. Dopo tre anni diventa apprendista animatore negli studi della Disney. In questa veste, tra i suoi primi lavori troviamo The Lord of the Ring di Ralph Bakshi e il lungometraggio The Fox and the Hound (noto in Italia come Red e Toby nemiciamici) del 1981. Ma il lavoro che è chiamato a svolgere presso la Disney non può soddisfarlo, anche se è in questi anni che nascono alcuni dei bozzetti per i suoi futuri capolavori, tra i quali proprio gli scheletri di Nightmare before Christmas, diventati quasi un’ossessione.2 Prima di parlare di Tim Burton stella del cinema, come passaggio per capirne la vena artistica narrativa e figurativa può essere utile almeno accennare alla sua opera letteraria, consistente in un libro pubblicato nel 1996, dal titolo piuttosto significativo: Morte Malinconica del Bambino Ostrica e altre storie, (edito in Italia nel 1998 da Einaudi, nella Collana Tascabili Stile
Tim Burton. Untitled (Cartoons Series). 1980–1986. Pencil on paper 13×16" (33×40.6 cm). Private collection. © 2009 Tim Burton - Courtesy MoMA - New York
Tim Burton. Untitled (Trick or Treat). 1980 Pen and ink, marker, and collage elements on board, 15×15" (38.1×38.1 cm). Private Collection. © 2009 Tim Burton - Courtesy MoMA - New York
like it». Timothy William Burton, cartoons’ animator first and then movie director, scriptwriter and producer, has born in Burbank (California) on August 25, 1958. He is well-known above all as reference filmmaker of the so called gothic cinema, where the adjective gothic defines an artistic genre (not only a movie one) that had different expressions from the beginning of the horror literature up today. Tim Burton shows the contemporary image of the gothic genre, where alienation, irony and fantasy can be found. In his fantastic fairy-tales movies there are very topical subjects, like emargination and solitude, observed through his visionary lens. Among his most important collaborators are the composer Danny Elfman and the actor Johnny Depp, the so called movie rock star. In 2007, at the Venice Cinema Exhibition, he won the Golden Lyon for the career: the youngest director receiving this award. He has been appointed as foreman of the jury at the next Cannes Film Festival 2010: the first animation movie’s director holding this prestigious appointment. As from his own words, Tim Burton spends his childhood as a loner, an enthusiast of cartoons and old horror movies. He prefers the horror films produced by Hammer, a little English producer. Among his idols there is the actor Vincent Price, interpreter of movies based on Edgar Allan Poe stories. His artistic talent reveals at home, when the local waste collection concern advertises a competition for drawing a poster on its activity. The young Tim Burton wins the competition and Burbank is covered with his posters for one year. This is maybe the first touch between his inner world and the real one. Due to his talent, he gains a Disney scholarship to attend the California Institute of Arts (Cal Arts) in Valence. There he meets Henry Selick, next director of Nightmare before Christmas, with whom he will collaborate for a long time. Three years after he becomes animator apprentice in the Disney Studios. Among his first collaborations there are The Lord of the Ring and The Fox and the Hound, (1981). But his job for the Disney Studios is not satisfying to him, even if in the meantime he creates some of the sketches for his future masterpieces, among them the skeletons of Nightmare before Christmas, that become almost an obsession.2
Before talking about Tim Burton as movie star, in order to better understand his narrative and figurative artistic vein, it could be useful to have a look on is literature works, particularly on a book with a significant title: The Melancholy Death of an Oyster Boy and other Stories, (1997).
Tim Burton. Untitled (Frankenweenie). 1982. Pen and ink, marker, and charcoal on paper, 11×13" (27.9×33 cm). Private Collection. © 2009 Tim Burton - Courtesy MoMA - New York
The freaks, different creatures refused by the human society, constituted of normal people, have always been basic characters of Burton’s creativity, being strongly interested to put human society in comparison with the horror and perversion of its behaviour vis-à-vis emarginated subjects. Usual but aberrant behaviour, revealed by Tim Burton with uncommon delicacy and sensibility, without the banality that always lies in wait when dealing with ethic questions. ArtE | Art - n.23 - 2010 EQUIPèCO
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/little constellation/ Una visione dell’arte contemporanea nelle micro-aree geoculturali e piccoli Stati d’Europa Il progetto arriva a Milano con una grande mostra
A view of contemporary art in geo-cultural micro areas and small States of Europe The project arrives in Milan with a major exhibition
Artisti: Albani & Mussoni, Danil Akimov & Sound Art Lab, Sigtryggur Berg Sigmarsson, Barbara Bühler, Canarezza & Coro, Nina Danino, Oppy De Bernardo, Sandrine Flury, Barbara Geyer, Irena Lagator, Ingibjörg Magnadóttir, Mark Mangion, Christodoulos Panayiotou, Paradise Consumer Group (Aguareles, Ariza, Guardia, Herrador), Pierre Portelli, Quino, Matteo Terzaghi & Marco Zürcher, Axsinja Uranova, Martin Walch, Trixi Weis /little constellation/ è un network internazionale per l’arte contemporanea, nato per la creazione e la diffusione di progetti attenti soprattutto alla ricerca presente nei piccoli Stati d’Europa: Andorra, Cipro, Islanda, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Monaco, Montenegro, San Marino e in alcune micro realtà geoculturali dell’area Europea tra cui Canton Ticino (CH), Ceuta (ES), Gibilterra (UK), Kaliningrad (RUS). Il network si propone come piattaforma internazionale conoscitiva, per la diffusione di informazioni, esposizioni, incontri e residenze per artiRita Canarezza & Pier Paolo Coro sti, nonché per favorire la creazione di co-produzioni e di collaborazioni per nuovi progetti, con artisti, associazioni, musei, centri per l’arte, istituti pubblici e privati e fondazioni internazionali. Inoltre presenta un accurato focus sul lavoro di artisti, gruppi, collettivi di ricerca, delle ultime generazioni che operano, hanno connessioni e un ruolo attivo in questi specifici paesi. /little constellation/ nasce dall’idea di due artisti di San Marino, Rita Canarezza & Pier Paolo Coro che dal 2004 con il continuativo e prezioso sostegno della Fondazione San Marino, l’indispensabile collaborazione dell’Ufficio Attività Sociali e Culturali, ai quali si è aggiunta nel 2009 anche l’Ente Cassa di Faetano, hanno iniziato un’indagine sull’arte contemporanea e sugli artisti visivi incontrando numerosi artisti, curatori e rappresentanti istituzionali dei principali Musei d’Arte Contemporanea, Centri di Ricerca, Associazioni e Gruppi dei Piccoli Stati d’Europa. Il primo importante passo è stato quello di tracciare per la prima volta un percorso conoscitivo e d’insieme, dell’attuale scena artistica delle ultime generazioni presente in questi paesi. Unica inoltre l’occasione per percepire alcuni aspetti inerenti la complessità geoculturale e geopolitica dei piccoli Stati e delle micro-realtà e per constatare l’esistenza di un insolito e vitale quadro contemporaneo di antiche e nuove respublicae, città autonome, stati, principati ed enclave territoriali (piccoli perché tutti con meno di un milione di abitanti), con un patrimonio estremamente diverso in termini di storia e cultura. Ecco dunque la presa visione di una piccolissima costellazione disseminata e circoscritta nell’odierna visione dell’Europa in cui tuttavia, nella sua reticolare complessità, trovano spazio il sorgere di particolari musei d’arte contemporanea e la necessità di pensare il contemporaneo con strategie aperte allo sviluppo e alla diffusione dell’arte. Guardare queste realtà attraverso l’arte contemporanea, che riflette la complessità delle società moderne, vuol dire offrire un altro sguardo in 26 EQUIPèCO n.23 - 2010 - ArtE | Art
/Little constellation/ is an international network for contemporary art, established for the creation and above all dissemination of projects concerned with current research in the small States of Europe: Andorra, Cyprus, Iceland, Liechtenstein, Luxemburg, Malta, Monaco, Montenegro, San Marino and in some geo-cultural microrealities of the European area, including Canton Ticino (CH), Ceuta (ES), Gibraltar (UK) and Kaliningrad (RUS). The network is intended as a cognitive international platform, for the spread of information, exhibitions, conferences and residences for artists, as well as to foster the creation of co-productions and collaborations on new projects, with artists, associations, museums, art centres, public and private institutes and international foundations. It also presents an accurate focus on the work of artists, groups, and research collectives, of the latest generations which work, have connections and an active role in these specific countries. /little constellation/ grew out of the idea of two artists of San Marino, Rita Canarezza & Pier Paolo Coro that since 2004 the continuous and valuable support of the Foundation San Marino, the indispensable collaboration of the Social and Cultural Activities, which was also added in 2009 the Ente Cassa di Faetano, have started an investigation on contemporary art and the visual artists are faced with many artists, curators and institutional representatives of the major museums of Contemporary Art, Research Centres, Associations and Groups of Small States Europe. The important first step was to trace for the first time a cognitive route and an overview of the present artistic scene of the latest generations in these countries. It is also a unique opportunity to perceive some aspects of the geo-cultural and geopolitical complexity of small States and micro-realities and to establish the existence of an unusual and vital contemporary picture of old and new res publicae, independent cities, states, principalities and territorial enclaves (small because all with under a million inhabitants), with an extremely varied heritage of history and culture. Here therefore is a preview of a small constellation, widespread and circumscribed to the current vision of the Europe which, in its many-sided complexity, finds space the rise of special contemporary art museums and the need to reflect on contemporary life with strategies open to the development and dissemination of art. To view these realities through contemporary art, which reflects the complexity of modern societies, means offering a different vision in terms of
Christodoulos Panayiotou, Never land
Irena Lagator, After memory
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Cesare Pietroiusti Intervista_Interview Fabrizia Palomba
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n academic training as a doctor and psychiatrist and an interest for the paradoxical or problematic situations hidden in the ordinary existence. Cesare Pietroiusti’s art is focused on non-functional thoughts that come to mind without any apparent reason and that are considered useless or non-rational. In his artwork the process and the experience are definitely more important than the product. «I’m not interested to the right cause – the artist says – but to the critical idea, the ability to create doubts, new scenes and alternative solutions to those implicitly imposed by society, media and culture». Starting from 2004 the artist has eaten banknotes at the end of an auction, and then given them back to the successful bidder after their evacuation; he has freely distributed tens of thousands of drawings individually numbered and signed; he has sold stories, set up group shows where the exhibited artworks are sold not in exchange of money but of good ideas or proposals by the visitors. Within the context of the Fluxus Biennial in Roma’s Auditorium, the artist has recently presented an original and funny performance, an artwork on mechanisms of attention, and on the precarious and unpredictable relation between distraction, parallel thoughts, and possible visions of reality.
na formazione da medico e psichiatra e un interesse per le situazioni paradossali o problematiche nascoste nelle pieghe dell'esistenza ordinaria. L'arte di Cesare Pietroiusti è incentrata sui pensieri non funzionali che ci vengono in mente senza una ragione evidente e che la nostra coscienza provvede a scartare ritenendoli inutili. Nei suoi progetti è fondamentale il processo, l'esperienza più che il prodotto. «Quello che mi interessa – afferma l'artista – non è la giusta causa, ma l'idea critica, la capacità di far nascere dubbi, nuovi scenari e soluzioni alternative rispetto a quelle imposte implicitamente dalla società, dai media e dai retaggi culturali». A partire dal 2004 abbiamo visto l'artista ingerire banconote al termine di un’asta per poi restituirle al legittimo proprietario dopo l’evacuazione, distribuire gratuitamente decine di migliaia di disegni individualmente prodotti e firmati, vendere storie, allestire mostre in cui le opere erano in vendita non in cambio di denaro, ma delle idee o delle proposte dei visitatori. L’artista ha presentato all’Auditorium di Roma una singolare e divertente performance all’interno della rassegna Fluxus Biennial; un lavoro sui meccanismi dell'attenzione e sull'imprevedibile e precario rapporto tra distrazione, pensieri paralleli e visioni possibili della realtà. La tua ricerca artistica si muove con grande originalità sulle orme delle avanguardie artistiche e concettuali americane degli anni ’60-’70. Quale artista o movimento ha influenzato in maniera significativa il tuo lavoro? È vero che l'arte contemporanea nella seconda metà del XX secolo ruota soprattutto intorno alle ricerche realizzate negli Stati Uniti (New York e West Coast) però esistono anche artisti importantissimi di quegli anni che non sono di area americana. Sono diversi i punti di riferimento che hanno influenzato il mio lavoro, uno in particolare, anche perché italiano, è Piero Manzoni. I lavori di questo artista, nella loro radicalità, ma anche nella loro semplicità quasi letterale, hanno sempre esercitato su di me un grande fascino perché si avvicinano al mio modo di ragionare. In particolare un lavoro di Manzoni che cito sempre è la Base del mondo, nel parco di Herning in Danimarca, in cui l'artista equiparandosi alla figura di un creatore universale firma l'intero pianeta da quel momento in poi, sempre. Gli artisti americani sono fra i più interessanti 38 EQUIPèCO n.23 - 2010 - IntErvIstA | IntErvIEw
Cesare Pietroiusti e Paul Griffiths Eating Money - An Auction Performance, Ikon Gallery, Maggio_May 2007 ph: Caters News; courtesy Ikon Gallery e gli artisti_and the artists
Cesare Pietroiusti e Paul Griffiths da: Eating Money - An Auction Le due banconote dopo il passaggio nel corpo degli artisti foto Chris Keenan; courtesy Ikon Gallery e gli artisti
The two banknotes after their passage in the artists' body ph: Chris Keenan; courtesy Ikon Gallery and the artists
Your artistic practice is very original yet it relates to the American conceptualist avant-garde of 1960s and ’70s. Which artist or movement has most influenced your work? It’s true that New York and the West Coast art have a crucial role in art of the second half of XX century, but it’s also true that in those same years there were artists who are extremely important, and who are not American. I think there are many who have influenced my work: one in particular that i usually mention, also because he is Italian, is Piero Manzoni. His artworks, in being so radical but at the same time so literal and simple, have always fascinated me, probably because my way of thinking is very close to his. My favourite piece by Manzoni is the Socle du Monde, in Herning’s park in Denmark: with this artwork the artists puts himself in the position of a universal creator, signing the entire planet, included any other artwork by any other artists, once and forever. In the field of performance art there are American artists whom i have always admired
Cesare Pietroiusti. Money-Watching 2007 Performance New Street, Birmingham, Maggio_May 2007 ph: Chris Keenan, Courtesy Ikon Gallery e gli artisti_and the artists
nell’area della performance art: penso a Vito Acconci e Chris Burden. Poi chiaramente c’è la storia personale e quindi i rapporti che formano come uomo oltre che come artista. Sergio Lombardo mi ha iniziato all’arte contemporanea influenzando la fase iniziale del mio percorso in maniera cruciale e determinante.
such as Vito Acconci and Chris Burden. And finally there’s my personal history, and therefore all those relations that have formed me as a man not only as an artist. Sergio Lombardo is the one who has initiated me to contemporary art, and his influence has been determinant in the beginning.
Come hai mosso i tuoi primi passi da artista e quanto la laurea in medicina e in particolare la specializzazione in psichiatria hanno contribuito a distinguere il tuo percorso? Tutto è cominciato nel 1977 dall’incontro, appunto, con Sergio Lombardo, all’epoca io di arte contemporanea non sapevo nulla, ero studente di medicina e frequentavo il manicomio per la mia tesi di laurea in psichiatria. Quando conobbi Sergio rimasi affascinato dal personaggio e da un mestiere a me completamente ignoto finanche come possibilità. L’assenza di cognizioni tecniche e di una preparazione specifica fu sostituita dalla guida di un maestro straordinario, sia sul piano umano che su quello artistico. Insieme fondammo la rivista Psicologia dell’arte, che era un pó un punto di incontro tra le nostre rispettive provenienze. Ci sono diversi e importanti punti di incontro tra la psicologia e l’arte: uno particolarmente interessante, a mio parere, è proprio quello della psicologia relazionale. Le teorie di Gregory Bateson negli anni ’60 hanno dato origine ad una corrente di ricerca che sposta l’attenzione dal singolo individuo alle relazioni, ossia ai rapporti che esso intrattiene con le persone che gli stanno intorno (in primo luogo il gruppo familiare). In arte questo passaggio viene teorizzato negli anni ’90 dal noto testo di Nicholas
How did you move your first steps in art? How did your degree in medicine, and in particular your specialization in psychiatry, give an important contribution to make your practice different? Everything started in 1977: at that time I knew nothing about contemporary art and i was studying medicine, and was working in the Psychiatric Hospital in Roma. When i met Lombardo i got fascinated by him and by the idea of being an artist, a job that i had never considered before, even as a possibility. I had no specific or technical knowledge in art, but i had the luck of an experience with a generous master who was also an extraordinary artist. We founded the Rivista di Psicologia dell’Arte, that somehow represented a common field between us. There are several and fundamental points in common between psychology and art. One that i believe to be particularly important is exactly that of relational psychology. In the 60’s, the seminal theories by Gregory Bateson gave origin to a field of research that moved the psychological gaze from the single individual patient to the system of relations that s/he has with all the people around him/her, first of all the family members. In contemporary art such passage is systematized in the mid ‘90s with the IntErvIstA | IntErvIEw - n.23 - 2010 EQUIPèCO
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YAYOI KUSAMA I WANT TO LIVE FOREVER Arianna Carcano
a cura di Akira Tatehata - Direttore del National Museum of Art di Osaka
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ayoi Kusama, nota artista giapponese, in mostra con una sua retrospettiva al PAC di Milano fino al 14 Febbraio. Artista autodidatta formatasi nel Giappone post-bellico, si trasferisce in America sul finire degli anni Cinquanta vivendo un periodo assai fecondo per il mondo dell'arte che, in quegli anni, accoglie la nascita di Espressionismo Astratto, Pop Art e Minimalismo. La sua arte si distingue per semplicità e lealtà, nasce da un istinto inconscio, quasi ossessivo, dato da una patologia cronica che sin dall'infanzia la porta a riempire di segni, simboli o moduli regolari ogni spazio vuoto. Negli anni ‘70 è vittima di un forte esaurimento nervoso e nel '77 è lei stessa a richiedere il ricovero in un ospedale psichiatrico dove si rifugia nella sua ostinazione a rappresentare l'infinito. In termini medici si direbbe di un caso di ossessione compulsiva, ma il mondo dell'arte da sempre la definisce semplice e pura ispirazione artistica. L'artista stessa in una intervista afferma: «...Cose strane arcane entravano ed uscivano dalla mia anima, spesso perseguitandomi in una maniera ossessiva con una persistenza che rasentava l'odio, portandomi alla pazzia per molti anni. L'unico modo per liberarmi di loro fu prendere il controllo su me stessa, riproducendo questi eventi attinti dalla mia memoria». Yayoi da sempre dedica anima e corpo alla sua produzione, le tele della serie Infinity, realizzate alla fine degli anni '50 a New York, comunicano chiaramente questa ossessione che è nucleo di una poetica totalmente legata all’infinito, in cui la precisione è qualità prima. Le sue opere non sono semplicemente immagini mentali, ma possono essere considerate un viaggio esperienziale; sembra addirittura che i pois simboleggiano per Kusama il movimento ciclico del cosmo, preso da un eterno processo di rinnovamento. A prima vista questi lavori possono apparire banali ed a volte persino monotoni, ma se si conoscono i precedenti di quest'arte si sa che essa nasce da uno studio impegnato della pittura NIHONGA, dalla quale appunto proviene l'estremo rigore formale, e parte da una ostinata ricerca di equilibrio mentale e personale, svolta all'interno del connubio arte e vita. Un altro approccio alla visualizzazione dell'infinito, è quello delle sculture e delle installazioni che, quasi sempre sono coperte di specchi, collocati in modo da riflettere e moltiplicare lo spazio e gli oggetti in esso collocati e per confondere e disorientare lo spettatore. Il tema 42 EQUIPèCO n.23 - 2010 - ArtE_Art
Yayoi Kusuma, Dots-Obsession (TOBBQW), 2008. Gagosian Gallery
Yayoi Kusuma, Universe Fireballs, 2008. Gagosian Gallery
Yayoi Kusuma, Flowers that Bloom at Midnight MIA, Pagina di destra_Rigth page: Pumpkin, medium 2008. 2009. Gagosian Gallery
ayoi Kusama, famous Japanese artists, on show at PAC, in Milan, until the 14th of February. Self-taught artist trained in the post-war Japan, she moved in USA in the late Fifties, she lived a prolific period for the art world that, in those years, welcomed the birth of movements as Abstract Expressionism, Pop Art and Minimalism. Her art distinguishes for simplicity and loyalty, it rises from an unconscious instinct, almost obsessive, due to a chronic pathology that, since her childhood, forces her to fill of marks, symbols and regular modules in all the empty spaces. In the 70's she was victim of a nervous breakdown and, in 1977, she herself asked for being admitted in a psychiatric hospital, where she took refuge in her persistence on the infinity representation. In medical terms we would say a case of compulsive obsession, but from time the world of art calls it simple and pure artistic inspiration. During an interview the same artist asserts: «Strange, arcane things got in and out of my soul, often they obsessively persecuted me with a persistence that verged the hostility, they made me crazy for years. The only way to set me free of them, was to take charge of myself, reproducing these events drew from my memory». Since ever Yayoi devotes soul and body to her production, the canvas from the series Infinity, realized at the end of the '50s at New York, clearly declare this obsession that is the nucleus of a poetics that is totally focused on the infinity, in which the first quality is the precision. Her works are not simple images of the mind., but can be considered a voyage of experience; it seems that for Kusama the polka dots are the symbols of the universe cyclic movement, fixed in a perennial process of renewal. At first sight these works appear banal and sometimes even monotonous, but if you are acquainted of the origins of this art, you know that it arises from an intense study of the NIHONGA painting, on which depends the extreme severity of the form, and starts from an obstinate research of equilibrium and mental balance, carried out inside the union between art and real life. In her sculpture and installations we find another approach to the infinity visualisation, often they are covered by mirrors, placed in a way that permits the reflection and multiplication of all the objects and the space in which they are placed. The aim is to confuse and disorient the spectator. The perception theme and its
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MULIERE Opera di Scultura
Muliere, Opera di Scultura, 1985, marmo cm 117×60×2.
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MULIERE Piece of Sculpture
Muliere, Piece of Sculpture, 1985, marble cm 117×60×2. ArtE | Art - n.23 - 2010 EQUIPèCO
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Carré Plantagenêt Musée d’Archéologie du Mans Cinzia Ferrara
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i sono due direzioni principali che consentono di leggere correttamente il patrimonio custodito nel Carré Plantagenêt – Musée d'Archéologie du Mans, e sono disposte secondo una linea orizzontale e una verticale. La prima mette in relazione la storia della città, letta attraverso i suoi reperti archeologici custoditi negli spazi del museo, e il tessuto urbano attuale, attraverso il collegamento visivo che si instaura tra il museo, inteso come grande contenitore di storia, e la città che si intravede dai tagli delle strette fessure nei muri, si vede dalle tante finestre che ritmano le superfici e si contempla dalle grandi vetrate aperte generosamente sul paesaggio. Questo consente al visitatore di dotarsi di un’immaginaria lente del tempo attraverso la quale può osservare gli artefatti esposti non isolatamente, ma in stretta relazione al contesto spazio-temporale nel quale essi sono oggi collocati. La seconda direzione è quella verticale che ricorda da vicino l’asse secondo il quale gli archeologi riescono a datare i reperti appartenenti a epoche diverse e disposti su strati sovrapposti, seguendo il criterio che i più profondi sono ovviamente i più antichi. La stessa logica è adottata nello schema museografico scelto, che aiuta così l’utente del museo a muoversi negli spazi seguendo un ideale asse del tempo, che lo conduce dai reperti preistorici a quelli medievali, attraverso un processo di affioramento che gli fa abbracciare l’ampio arco temporale raccontato dagli 56 EQUIPèCO n.23 - 2010 - DEsIgn
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here are two main ways to correctly analyse the patrimony held at the Carré Plantagenet – Musée d'Archéologie du Mans and are according to a horizontal or vertical line. The first analyses the history of the city through find kept in the museum and the current town lay out through a visual link between the city, intended as a history case and the city seen through the huge windows. This gives the possibility to the visitor to use an imaginary time magnifier with which he can observe the finds not one by one but in total according to the space-time context in which they are placed. The second direction is the vertical one that reminds very closely the theory used by archaeologists according to the deeper the find is the older it is. The same logic is used for the museum helping visitors with an imaginary time beam from prehistoric finds to middle age ones giving them the possibility to see the broad space of time shown by the objects exposed. To achieve this target in which the importance and attention shown for the material exposed and the visitor is the same many experts have been involved with all the related difficulties. With all the experts involved in the complicated building plan of the new
oggetti esposti. Perché il museo potesse approdare a un tale lucido e comprensibile schema espositivo, in cui è evidente la pari importanza e attenzione rivolta sia alla materia esposta sia all’utente del museo, è stato necessario coinvolgere più competenze professionali, le quali hanno lavorato a stretto contatto tra di loro, con la difficoltà aggiunta di doversi ovviamente relazionare e confrontare su ogni aspetto del progetto, secondo una sovrapposizione e stratificazione in cui gli elementi diversi erano tra loro tutt’altro che indipendenti. Tra le tante figure coinvolte in un progetto complesso come la costruzione di un nuovo museo archeologico, vorrei concentrarmi su quelle che si sono occupate del progetto architettonico e del progetto grafico, tralasciando tutte le altre, non meno importanti, unicamente per motivi di spazio e di competenza, avendo solo cura di menzionare il rilevante lavoro svolto dagli scenografi Anne Carles e Hélène Robert (Arc-en-scène) i quali hanno costruito la messa in scena dell’allestimento nel teatro del tempo che è il museo. L’architettura contemporanea del museo sceglie linee austere e geometriche per rappresentarsi e rapportarsi al tessuto storico dell’isolato al quale appartiene, posto nel centro della città di fronte alla cinta muraria gallo-romana e alla cattedrale. Il museo si erige sulle mura dell’antica ti-
Archaeology museum I would like to focus on those involved on the architectonic and graphic plan that are not less important but only for s matter of space mentioning only the wonderful work done by the two set designers Anne Charles and Hélène Robert (Arc-en-scène) that created the stage of the theatre of time that is the museum. The contemporary style of the museum is austere and geometric to match with the style of the block in which it is located in the city centre opposite the Gallic-Roman wall and the cathedral. The museum is built on the walls of the old printing office that was built on a medieval convent. The architects Bernard Althabegoity and Annik Bayle have worked attentively on spaces melting parts of the preexisting building with the new giving them a new meaning. There is a thin line dividing old and new in a coherently structured plan that harmonically matches with the territory, city, the collections and visitors. The museum about 3000 sq m of which 1/3 is for permanent collections other spaces for temporary expositions, an auditorium a lab and a tea room overlooking the entrance court and a tree-lined porch. I like highlighting the importance of the architectonic plan of the museum in Le Mans in harmony with the landscape and not like many other works by superstar architects that clash with all the rest in order to be recognizDEsIgn - n.23 - 2010 EQUIPèCO
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Claudia Bonollo, Cellule nello spazio
Claudia Bonollo, Cellule in trasparenza
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Claudia Bonollo Luigi Prestinenza Puglisi | Anna Baldini
Claudia Bonollo, Trittico cellulare
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l lavoro di Claudia Bonollo mi fa pensare a quattro cose. La prima è la riflessione che fa Gregory Bateson sull’arte intesa come l’elaborazione metaforica che supera, per accuratezza epistemologica, il ragionamento scientifico. Quest’ultimo, infatti, occupandosi solo di nessi causali, è incapace di rendere conto di un equilibrio complessivo, di una intelligenza all’opera nella natura, che le pratiche estetiche, il sogno, l’intuizione, il gioco riescono a svelare con più esattezza e facilità. È, per usare un’espressione dello stesso Bateson, solo un arco rispetto a un cerchio. La seconda è la vitalità dell’eredità dell’astrattismo: da Klee a Kandinsky a Mirò. Cioè di un approccio che scruta la forma nel suo darsi, quando ancora non è riducibile a una geometria ma allo stesso tempo è già qualcosa di più che ineffabile energia. E che, proprio perché in bilico tra l’astratto e il concreto, riesce a dare conto di entrambi, rappresentando quel processo di formazione del vivente che affascina la nostra coscienza. La terza è la propensione, tipicamente veneta, per il colore. La ricchezza della pasta cromatica rispetto alla povertà della linea, la magnificenza della luce contro la perentorietà del segno. La quarta è, infine, la riflessione sulle geometrie complesse e sui pattern luminosi permessa oggi dall’uso del calcolatore e dalla sua velocità e facilità nel tradurre un sistema di segni in un altro: energia in colore, segni in campiture, linee forza in configurazioni bidimensionali e tridimensionali. Come si accordano tra loro questi quattro aspetti? Non saprei. È difficile metterli insieme in una unica sintesi e credo che Claudia Bonollo eviti, e giustamente, di affrontare più di tanto il problema dal punto di vista teorico. L’obiettivo che si prefigge è, innanzitutto, sperimentale. Come una maga, o meglio con la magia dell’artista, la Bonollo opera sintesi, coniugando ingredienti diversi. Saranno gli altri a scoprire se il suo lavoro avrà ricadute scientifiche, estetiche o di altra natura perché ogni interpretazione è aperta e ogni esperienza è possibile. Le immagini delle cellule, come proiezioni di una interiorità che non ci è dato altrimenti vedere, potrebbero avere potere curativo, se non altro dal punto di vista psicologico. Alcune sperimentazioni condotte in campo medico sembrerebbero alimentare questa ipotesi. Ma potrebbe essere anche che il lavoro della Bonollo sia solo un raffinato gioco di proiezioni, una messa in scena che, con gli strumenti dell’arte, ci rende partecipi del modo di formarsi del mondo, una fenomenologia degli stati sorgivi. Oppure, e anche in questo caso non sarebbe poco, una apoteosi del colore, della luce e dell’energia raffigurati da chi ha nel sangue cinque secoli di pittura tonale e oggi la gestisce con animo ancestrale e con tecnologie sofisticate. (Pub-
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hen I see Claudia Bonollo’s work I think of four things. The first is a Gregory Batson’s consideration on art as a metaphoric elaboration that exceeds, for epistemological accuracy, the scientific reasoning. This, in fact, considering only casual links is unable to find a general equilibrium, of an intelligence serving nature, that the aesthetic, dream, intuition can reveal the game with more exactness and easiness. To use a Baton’s expression an arch to a circle. The second is the vitality of the abstractionism inheritance: from Klee to Kandinsky to Mirò. An approach that faces the shape in total or rather when it is still not a geometric entity but at the same time something more than inexpressible energy. This state of in between abstract and concrete exposes both represents that process of formation of the living that fascinates our conscience. The third is the natural bent, typically Venetian, for colour. The variety of colours compared to the poverty of line the magnificence of light against the peremptoriness of the sign. The forth, in the end, is the reflection on complex geometries and luminous patterns nowadays possible using a computer with its speed and easiness in elaborating a sign system to another: energy in colour, signs to backgrounds, lines to bidimensional or tridimensional. How these four aspects mix? I don’t know. It is hard to put them all together and I believe that Claudia Bonollo avoids, rightly, facing the problem under the theoretic point of view. Her target is most of all experimental. Like a magician or better with the magic of art Bonollo applies synthesis mixing different ingredients. It is up to others to understand if her work will have a scientific, aesthetic or other influence as each interpretation is open and each experience possible. The images of cells as a projection of the inner otherwise impossible to see could have curative effect at least under the psychological point of view. Some medical experiments confirm this hypothesis. Bonollo’s work could just be a fine projection game, a pretence, that with the means of art, involves us in the formation of the world, a phenomenology of the spring state; or and even this case remarkable an apotheosis of colour, light and energy represented by who has five centuries of tone painting in her blood and that today manages it with an ancestral soul and high technology. (Published on Spazio Architettura) LPP
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Rinat Shingareev Ritratti Portraits Rinat Shingareev, artista, vive e lavora a Brescia. La sua carriera artistica inizia in Russia dove si diploma presso la scuola d'Arte: Interior Design e Web Design e partecipa a diverse mostre. Trasferitosi in Italia si laurea all'Accademia di Belle Arti di Brescia. Ha partecipato a mostre collettive in Italia, Germania e Austria. Le sue opere sono state pubblicate da Maxim con articolo di Luca Telese, Max e Golf e Turismo.
Rinat Shingareev, artist, lives and works in Brescia. His career begins in Russia where he graduated at the School of Art: Interior Design and Web Design and participates in various exhibitions. Graduates who moved to Italy Accademia di Belle Arti di Brescia. Participated in group exhibitions in Italy, Germany and Austria. His works have been published by Maxim with article by Luca Telese, Max and Golf and Tourism.
Silvio Berlusconi, Oil on Canvas, cm 100×80, 2009. George W. Bush, Oil on Canvas, cm 80×80, 2009. Obama Red, Oil on Canvas, cm 70×70, 2009. Nicolas Sarkozy, Oil on Canvas, cm 50×50, 2009. Obama Blue, Oil on Canvas, cm 50×50, 2009. Vladimir Putin Pink, Oil on Canvas, cm 50×50, 2009. Vladimir Putin Gold, Oil on Canvas, cm 80×80, 2007 Pagina destra_Right page: Silvio Berlusconi 4, Oil on Canvas, cm 80×100, 2009. Kristina Orbakaite Red, Oil on Canvas, cm 80×100, 2008. Flavio Briatore, Oil on Canvas, cm 60×70, 2007. Principe Charles, Oil on Canvas, cm 40×50, 2008. Lapo Elkann, Oil on Canvas, cm 50×60, 2008. Roman Abramovich, Oil on Canvas, cm 60×70, 2008. Michael Schumacher, Oil on Canvas, cm 80×100, 2008. Tiger Woods, Oil on Canvas, cm 50×60, 2009. Vincent Cassel, Oil on Canvas, cm 80×80, 2009.
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