ANTONELLA ARNABOLDI Un ritratto del cardinale Girolamo Casanate ricavato dal suo epistolario
SAGGI
All’insegna del melograno
RIVISTA di EQUIPèCO CARMINE MARIO MULIERE EDITORE
Girolamo Casanate
irolamo Casanate è noto soprattutto per aver fondato la biblioteca1 alla quale egli volle legare l’immortalità del suo nome.2 Poco conosciute invece sono le vicende e soprattutto le qualità individuali di questo prelato, personaggio di grande cultura e dirittura morale. Per scoprire quali erano i suoi interessi, curiosità e passioni, quegli aspetti che messi assieme rendono le sfaccettature della personalità immediata dell’uomo, ci avvarremo delle lettere che formano il copiosissimo epistolario conservato presso la Biblioteca Casanatense. Alcune di queste lettere, andando al di là della semplice descrizione di fatti o della scarna informazione degli eventi, mostrano, spesso con un linguaggio vivace e colorito, quegli aspetti della personalità del Casanate, fino ad oggi sconosciuti. In modo particolare appartengono a questo gruppo le lettere inviate al Casanate, dopo la sua partenza da Napoli, da Francesco Rasetti, che si trovava nella città partenopea in qualità di agente di Girolamo.
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1 Sulla Biblioteca Casanatense vedi La Biblioteca Casanatense, a cura di A.
A. CAVARRA, ideazione e presentazione di C. Pietrangeli, Firenze: Nardini 1994, con bibliografia precedente; La Biblioteca Casanatense a cura di IOLANDA OLIVIERI, Roma [s. e.] 1996; Biblioteca Casanatense, Roma: guida breve - a cura di ANGELA ADRIANA CAVARRA, Firenze: Nardini 2005. 2 «…e perché non ho delizia maggiore né migliore patrimonio di quello di una bella libraria fatta già con gran studio da mio padre, vò macchinando di destinare all’ampliazione di questa non solo gli avanzi miei, ma anche tutto il mio avere, sperando che in questo modo haverò in vita materia da impiegarmi honestamente e dopo morte, una successione da non perir così presto nella memoria degl’homini». BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA. Cod. Chigiano c. III. 62, ff. 349-350, lettera di Girolamo Casanate al cardinale Facchinetti del 27 ottobre 1655.
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Si tratta di un gruppo di milletrecentocinquantacinque lettere autografe con firma dello stesso Rasetti, che al termine di ogni missiva ribadisce la sua devozione e fedeltà, appellandosi humilissimo schiavo. «…Io poi mi ricordo suo servitore humilissimo, e rallegrandomi d’ogni suo bene la prego a commandarmi, che altro non ambisco. Vorrei potere, che farei vedere a V. S. Ill.ma Li miei affetti […] alla quale facendo humilissima riverenza prego Dio il colmo d’ogni bene. Napoli ai 2 di Marzo 1652. Humilissimo schiavo Francesco Rasetti».3 «[…]che V. S. Ill.ma m’honori, e m’ingrandisca non mi da punto di meraviglia, perché è proprio di chi nasce e vive Sig.re, ma che voglia scrivermi che non mi corrisponde come deve, è cosa, che mi fa morire: Può V. S. Ill.ma scriverlo, ma io non L’accettarò mai, perché professo esserli schiavo, e voglio morir tale […] Napoli 2 luglio 1652».4 Le lettere si distribuiscono su un arco temporale che va dal 1652 al dicembre del 1693, e sono riferite dunque agli anni centrali della carriera di Girolamo. Seguiremo lo svolgimento della sua vita pubblica e privata, attraverso la testimonianza diretta del Rasetti. Avremo cosí l’opportunità di vedere le tappe piú importanti della carriera del prelato, ed anche pezzi di storia contemporanea descritti con un linguaggio mai pedante, ma spesso articolato, assai spedito e che a volte si colora di note umoristiche e quasi caricaturali nella descrizione di certi tipi, senza però cadere nel volgare, ma sempre mantenendo una certa eleganza formale e stilistica, testimonianza del fatto che l’autore non era un illetterato; è lo stesso Rasetti ad affermare «[…]Fabriano sarà Luoco, dove V. S. Ill.ma haverà occasione 3 Roma. Biblioteca Casanatense (d’ora in avanti BC). Ms. Cas. 318, f. 542 r. 4 BC. Ms. Cas. 318, f. 493 r.
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star’allegramente, havendone havuto bona relatione in tempo, che studiavo in Fermo, e se Le passate revolutioni non m’havessero disturbato, haverei havuta commodità d’esserci con l’occasione, che ero per passare alli studij di Perugia[…]».5 Di questo personaggio conosciamo soltanto quel poco che egli stesso rivela nelle lettere. Era nato a Loreto negli Abruzzi, città dove la sua famiglia risiedeva. I suoi studi furono interrotti, probabilmente per difficoltà finanziarie, anche in seguito a disaccordi con un fratello «[…]già conosco che in questo Mondo non habbiamo nemici maggiori de proprji parenti, poi che ancora passo disgusti con un mio fratello carnale, il quale dopo essersi impadronito di tutt’il mio, mi sconosce, e disprezza[…]Napoli 29 ottobre 1652».6 Forse a causa di queste difficoltà, Francesco si diede alla carriera ecclesiastica, che anche gli causò tante preoccupazioni, soprattutto per una lunga controversia sorta con un certo abate Castiglione «[…]La mala fortuna mia è stata, et è, che doppo La ruina della povera casa mia con La nemicitia continua con l’Abate Castiglione ch’anni otto, e mezi […]non solo mi sono affatto spolpato, ma ha bisognato tirar qua con me tre miei nipoti remasti abbattuti nel paese […]Napoli 25 agosto 1663».7 Il Rasetti, probabilmente a causa di questa controversia, abbandonò anche la carriera ecclesiastica «[…]finalmente hò deposto l’habito clericale, mentre io poteva esser sacerdote, forse Dio si compiacesse mutar La fortuna con la mutatione di stato[…]Napoli 29 dicembre 1659».8 Dopo tale avvenimento egli si dedicò 5 6 7 8
BC. BC. BC. BC.
Ms. Ms. Ms. Ms.
Cas. Cas. Cas. Cas.
318, 318, 325, 322,
f. f. f. f.
518 r. 430 v. 34 r. 235 r.
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completamente alla cura degli interessi del Casanate, che sempre si dimostrerà riconoscente nei suoi confronti, ricordandosi di lui anche nel testamento, con la raccomandazione al nipote Matthia, erede dei suoi beni, di versare al Rasetti ogni mese, anticipatamente, venti ducati d’argento «senza obbligarlo a servitio veruno».9 Girolamo Casanate10 era nato a Napoli il 13 febbraio 1620 da Mattia, diplomatico spagnolo e da Giovanna Dalmau, secondo di dieci figli. Aveva studiato diritto a Napoli, laureandosi nella stessa città nel 1636 in utroque iure. Fondamentale per la sua vocazione fu l’incontro avvenuto a Roma con il cardinale Giovanni Battista Pamphilj, il quale probabilmente convinse il giovane ad intraprendere la carriera ecclesiastica, verso la quale egli doveva già sentirsi attratto. Girolamo venne dunque a Roma nel 1645, e stabilí la sua residenza in Piazza Fiammetta, nell’attuale palazzo Sampieri. Nel 1648 monsignor Casanate ottenne il governatorato della Sabina e nel 1652, quello di Fabriano, con gran gioia del Rasetti «[…]Sento consolatione grandissima nella muta9 BC. Mss. 5549. «Item voglio, che do mio Herede sia tenuto et obbligato
dare per modo di Legato à Francesco Rasetti mio agente à Napoli, vita durante di esso Francesco, ducati venti di moneta d’argento di Napoli ogni mese anticipati, senza obbligarlo a servitio veruno, e ciò in ricognitione del lungo servitio à me prestato...». 10 Per le notizie biografiche sul Casanate vedi la voce Casanate Girolamo di L. CEYSSENS nel Dizionario biografico degli italiani, XXI, pp.144-147, Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana 1960, con bibliografia precedente; M. D’ANGELO, Il cardinale Girolamo Casanate, Roma: Grafica 1923; ANTONELLA ARNABOLDI, Il Cardinale Girolamo Casanate e la sua raccolta d’arte, Roma 1999, tesi di laurea conservata presso la Biblioteca Casanatense, IDEM, Il Cardinale Girolamo Casanate e la sua raccolta d’arte in I Cardinali di Santa Romana Chiesa collezionisti e mecenati, vol. 2 a cura di Harula Economopoulos, Roma: Editrice Adel Grafica s. r. l. 2003.
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tione del Governo, che fa V. S. Ill.ma e pregarò sempre Dio, che Le dia lungo tempo di vita, che sono sicuro vederla Card.le e morirò contento. Fabriano sarà Luoco, dove V. S. Ill.ma haverà occasione star’allegramente[…]».11 È in questo periodo che sorge un disaccordo tra Girolamo e la sorella Gabriella, Marchesa di Montagano, a causa dell’eredità paterna. Si tratta di una lunga e complessa questione, di cui il Rasetti ci informa minuziosamente. La prima lettera in cui si parla del fatto è del 12 marzo 1652, scritta a pochi mesi di distanza dalla morte del loro padre Mattia, avvenuta nel luglio del 1651.12 Secondo alcune testimonianze, sembra che Mattia, ormai gravemente ammalato, stesse per passare a miglior vita senza avere redatto un testamento, per cui un suo consigliere, considerando vergognoso l’accadimento, gli fece firmare un testamento, quando egli era ormai incapace di intendere. Questa almeno era l’accusa mossa da Girolamo nei confronti della sorella e del fratello Giovanni, primogenito e quindi maggiore beneficiario dell’eredità stessa. «[…]
11 gC. Ms. Cas. 318, f. 518 r. 12 Mattia Casanate era un diplomatico spagnolo, alla corte di Napoli, per-
sonaggio di rilievo nella scena politica e culturale dell’epoca, proprietario di una cospicua biblioteca che comprendeva anche opere rare e pregevoli, e di una raccolta d’arte. Egli, caduto in disgrazia, pare incolpevolmente, presso il re di Spagna, dovette allontanarsi da Napoli, per andare a risiedere a Bari, dove, ammalatosi gravemente, infine morí ai primi di luglio del 1651. Su questo personaggio vedi M. PANETTA, La «Libraria» di Mattia Casanate, Roma: Bulzoni 1988, con bibliografia precedente e G. SABATINI, Crisi finanziarie ed equilibri di potere nella Napoli asburgica: Mattia Casanate e la parabola dei togati nella prima metà del Seicento, seminario di studi internazionale Le forze del Principe. Risorse, strumenti e limiti nella pratica del potere sovrano nei territori della Monarchia asburgica, Pavia 2224 settembre 2000.
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Questa mattina Io, et il Sig. Horatio siamo andati a trovare il Sig. Gamboa, et a presentarli il testamento originale, con Le revelationi de testimony, acciò La verità fosse meglio conosciuta, e perché detti Sig.ri si sono tirati in Camera, non ho potuto sentir cosa alcuna se bene il Sig. Horatio m’ha detto poi, che d.o Sig.re sta con noi, e che habbia riconosciuto d.o testamento per nullo, com’in fatti può giudicarsi da chi have qualche poco di sentimento, stante, che dalla firma chiaramente appare, ch’el Sig. Regente non poteva sottoscriversi in conto veruno […]. Io non conosco il Sig.r Don Gio: ma sarà sempre mio Padrone perché è fratello di V. S. Ill. ma, pure non posso tenermi di non dire la verità. Credo, che questo Sig.re sia facile a mutarsi, e che la sua voluntà piú tosto dipenda dall’altri. Ha sempre mostrato adherire a quella di V. S. Ill.ma, e pure io, seppi che si lamentava degl’arazzi, delli libri, e delli danari[…]Napoli 12 marzo 1652».13 In effetti dai resoconti del Rasetti, l’atteggiamento di Don Giovanni, pare mutarsi con il volgere degli eventi. Lo vediamo ora allearsi con la sorella Gabriella, ora coalizzare con il fratello monsignore, a seconda che la situazione volga a favore dell’uno o dell’altra. Quello che risulta chiaro è la sua predisposizione a chiedere denaro a Girolamo «[…]Al Sig.r Don Giovanni sono stati liberati ducati quattrocento, e pure questa mattina il Sig.r Corrado mi stava dicendo, che d.o Sig.re stava disgustatissimo, e che voleva tirarsi con la marchesa. Io per me non so che dire, quando non ricevono danari stanno colerici, quando li ricevono per mezzo del consenso di V. S. Ill.ma stanno poco contenti, vorrei sapere il fine, ma non l’intendo, e credo, che vorriano, che V. S. Ill.ma restasse nuda e bisognosa di tutti[…]Napoli 18 maggio 13 BC. Ms. Cas. 318, f. 538 r.
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1652».14 L’atteggiamento della sorella marchesa appare invece piú intransigente rispetto a quello di Giovanni, e cosí quello del marito e del figlio don Matthia. La complicata situazione si risolverà solo quando Girolamo prometterà di nominare questo nipote erede di tutti i beni posseduti nel viceregno di Napoli. Tra questi possedimenti vi era anche una masseria, su cui il marchese aveva delle pretese… «Il sig.r Marchese va dimandando à persone, che hanno servite La felice memoria del Sig.r Regente, se la Massaria di V. S. Ill.ma sita nella Taverna della Cercola [?], si chiamasse La Massaria di Piedimonte per convalidare Le sue pretentioni, ma so che Le sia stato risposto di nò, e che sempre si sia chiamata, come si chiama adesso. Va tentando questo per dimostrare che il Sig. Regente stasse in senso quando fece il testamento, e và dicendo che detto Sig.re quando discurreva della Massaria, La nominava (La mia massaria di Piedimonte) per essere collocata sotto La Montagna di Somma, cosa veramente Affettatissima, e di poca istanza, mentre che La Massaria sta nel mezzo d’una pianura spatiosissima, è molto distante dalla Montagna […] Napoli 25 giugno 1652».15 La faccenda dell’eredità sembra arrivare ad una svolta quando il notaio che aveva sottoscritto il testamento, in punto di morte, pentito, dichiara l’invalidità dello stesso. «[…]È stata mandata La dichiaratione fatta dal Notaro in una copia authentica e si conserva da me per li bisogni […] in particolare si nota la poco osservanza delle Leggi poi che il Sig.r Reg.te non accettò il tes.to, né disse, che quella era La sua ultima volontà come conviene, oltre la sottoscrittione, 14 BC. Ms. Cas. 318, f. 516 r. 15 BC. Ms. Cas. 318, f. 497 r.
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che non fu mai sua perché il Notaro dice, che di nessuna maniera poteva firmare […] Napoli 31 agosto 1652».16 Nonostante le ostilità legali, gli avversari mantenevano discreti rapporti su altri argomenti. Ecco cosa veniamo a sapere a proposito di una scimmia e di una cagna «[…]Credo che il S.r Marchese voglia godersi un altro poco la scimia, poi che havendolo richiesto, mi rispose, che sarà peso suo mandarla con L’occasione, che invierà per Roma alcuni scritti, penso, che lo farà, ma non Lo credo. In quanto alla Cagna, mi disse, Le sarà sempre cara, et in ogni tempo […] Napoli 18 maggio 1652»,17 «[…] il Sig.r Marchese mi disse, che La scimia sta conservata con ogni diligenza, e che havendo occasione La mandaria a V. S. Ill.ma […] ma se V. Signoria pensa che sia meglio mandarla per mare, mentre che per terra facilmente potria morire per il mal governo […] Napoli 3 agosto 1652».18 Alla fine dell’agosto del 1653 il Casanate ottenne il trasferimento al governo di Camerino, città dove nel gennaio del 1656 passò la Regina Cristina di Svezia, che venne accolta da monsignor Girolamo con grande fasto ed onori «[…] dalla relatione, che V. S. Ill.ma hà mandata al Sig. Horatio, si sono qui abbastanza conosciute, et ammirate Le prodigiose qualità della Regina di Svetia, et essendosine fatta parte a molti, a tutti ha data compita sodisfatione, perché V. S. Ill.ma ha toccato alcune particolarità, de’ quali non era qui giunto avviso distinto. Il Sig.e Horatio, quando giunse al bere acqua gelata in vaso di ghiaccio si fermò e poi sospirò soggiungendo, veramente le persone, che hanno gran giuditio conoscono il gusto del bere agghiacciato […] Napoli il primo di 16 BC. Ms. Cas. 318, f. 457 r. 17 BC. Ms. Cas. 318, f. 457 r. 18 BC. Ms. Cas. 318, f. 473 v.
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Genn.° 1656».19 Il 1° febbraio del 1656 il Casanate fu inviato, sempre come governatore, ad Ancona, dove fece spurgare il porto e restaurare la Loggia dei Mercanti. Napoli, in questo periodo, fu colpita da un’epidemia di peste, che la sconvolse e spopolò.20 Il Rasetti, informa il Casanate della tragica situazione in cui versava il viceregno, con una descrizione particolareggiata dell’evento, illustrato con toni particolarmente efficaci nella loro drammaticità «[…]Qui corrono infermità gravi con morbo contagioso, che se Dio non ci libera con la sua potenza, La Città patirà assai. La gente minuta muore in gran numero e come che il male s’attacca, si è fatto un Hospitale […] nella Chiesa di San Genn.ro fuori Le Vergini, dove si conduce ogni ammalato, che patisca di contagio, e procede indifferentem.te anco in persona d’homini di qualità, e non hordinarj. È un male che prevale assai nelle donne, e né fanciulli, ma và toccando 19 BC. Ms. Cas. 320, f. 401 r. La relazione del Casanate sul passaggio
della regina nella città di Camerino è conservata in ARCHIVIO SEGRETO VATICANO. Vescovi 38. Città del Vaticano. 20 L’epidemia colpí la città in modo violentissimo, propagandosi, a causa delle cattive condizioni igieniche e di abitabilità, con fulminea rapidità e imperversando dal febbraio all’agosto del 1656, fino a ridurre ai due quinti la popolazione di prima del contagio. Le descrizioni contemporanee, cosí come la produzione figurativa, ci restituiscono l’immagine di una città piena di cadaveri, dove è bloccata ogni attività economica ed anche i normali rapporti sociali. Su questo avvenimento vedi SALVATORE DE RENZI, Napoli nell’anno 1656: ovvero documenti della pestilenza che desolò Napoli nell’anno 1656, preceduti dalla storia di quella tremenda sventura, Napoli: De Pascale 1867; G. GALASSO, Napoli nel Viceregno spagnolo dal 1648 al 1696, in Storia di Napoli, Napoli: Soc. Ed. Storia di Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1968, vol. VI, pp.41-50; G. GALASSO, Napoli spagnola dopo Masaniello, Politica. Cultura. Società, Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 1972, pp.46-47.
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gl’huomini ancora et huomini di commodità. Napoli è disshabitata quasi dalla maggior parte in maniera che chi è potuto fuggire, non è restato, e tutta via La gente và uscendo in grosso numero, che se Dio non provederà con La sua santa mano, La città restarà disfatta. Sono pubbliche Le demostrationi dè devoti per La Città, che processionalm.te con piedi nudi, vanno a pregare La miracolosissima Madonna di Costantinopoli, che ci liberi da questa peste. Si vedono infinite compagnie di Verginelle, che con li capelli distesi per Le spalle vanno per La Città cantando diverse canzoni sacre, che muovono La compassione nelle pietre. Si spera nel sangue glorioso di Giesú Christo, e nella protettione di tanti santi, e nel glorioso San Gennaro, che presto saremo liberi da questo flagello. I negotj sono dismessi, si fuggono Le congregationi, et in fine V. S. Ill.ma s’imagini vedere una Città atterrita, che si pensa ad altro, ch’alla morte[…] Napoli 27 maggio 1656».21 Le lettere del Rasetti proseguono con la descrizione dei vari rimedi, che la necessità e ancor piú la disperazione, propongono come possibili difese contro un male che era, in realtà, inattaccabile. «[…] Il male non tiene rimedio, e solo s’aspetta La misericordia di Dio. Si servono però di diversi preservativi. Alcuni mangiano La mattina […] il fico secco con noce, e ruta, altri tengono il solfo in bocca continuam.te, alcuni portano vicino al cuore l’arsenico cristallino, ò L’argento vivo, et altri si bevono La propria urina, alcuni s’untano con oglio di scorpione, e di volpe […] Ciascheduno tiene nelle mani un vasuaglietto d’agli in maniera che in Napoli vi ni è la carestia, si bene Le noci, et i fichi vi si trovano à comprare à peso d’oro tanto grande è stato l’uso di quelli: ogni cosa però riesce vano, e 21 BC. Ms. Cas. 320, f. 357 r.
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nisi Dominus custodiet Civitatem andaremo a mal parare […] Non voglio lasciare di dire a V. S. Ill.ma, che questo popolo, havendo appreso, che questo flagello li sia venuto, perché si sia ritardata una fabbrica […] né quartieri della mortella per formarne un’heremo di Monache, è concorso tutto à dar fine a’ d.a fabrica, nella quale hoggi s’attende con tanto fervore, che dalla confusione in fuori, par di vedere una Torre di Babele. Sono corsi tutti a portarvi Le pietre, La calce, i Legni, L’acqua, i ferri, et altre cose necessarie in maniera che in un batter d’occhio si sono alzate fabriche superbissime, è maravigliosa cosa a vedersi, et è quasi impossibile, che si ne creda il racconto. Io con gl’occhi proprj hò veduto huomini di qualità portar ivi Le pietre avvolte in fazzolettini d’orletta, e vi ho vedute anco Le Dame. Napoli 16 giugno 1656».22 Inevitabile conseguenza dell’epidemia è l’immediata mancanza dei beni di prima necessità: pane, acqua, cibo e poi l’alterarsi dei normali rapporti sociali, che il timore del contagio, anzi, annulla. «[…] Del resto per Napoli e per i Borghi non si sentono altro, che pianti e gridi, e non si vede altro che strade Lastricate di Morti, penuria di pane, di vino, d’oglio, di paglia, e d’ogni altra cosa necessaria al mantenimento d’un huomo; La gallina vale dieci carlini L’una. Gl’infermi giacciono per Le strade, dove moiono senz’aiuto. Il marito fugge La moglie, La moglie il marito, et il P.re il figlio. Non vi sono frequenze di Chiese, e non si camina senz’aceto nelle mani. Subito, che uno muore se li si fabrica La Casa. I confessori scorrono per la Città con vesti di tela impeciata. Per defensione portano vicino La bocca, et il naso un canaletto di stagno dove è racchiusa (secondo me) una spugna bagnata d’aceto rosato, e theriaca […]. 22 BC. Ms. Cas. 320, ff. 3352-353.
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