Confindustria tuona contro la “sbalorditiva” evasione fiscale. Perché allora non caccia chi fa il furbo con le tasse?y(7HC0D7*KSTKKQ(
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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Sabato 18 settembre 2010 – Anno 2 – n° 246 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
DON VITO: “IO, DELL’UTRI E BERLUSCONI FIGLI DELLA STESSA LUPA” C Ecco l’appunto inedito con cui Ciancimino padre rivela
Come s’offrono
di Marco Travaglio
i rapporti finanziari con l’attuale premier e la mafia Nell’appunto consegnato ai Pm di Palermo, l’ex sindaco si lamenta: “Apparteniamo allo stesso sistema, ma abbiamo subito trattamenti diversi per motivi geografici”. Il ruolo di Dell’Utri Lillo pag. 3 z
L’uomo con la pistola Silvio Berlusconi, in una foto di Alberto Roveri del 1977: sul tavolo una pistola (FOTO PUBBLICATE DA L’ESPRESSO)
SCUOLA LEGHISTA x Lettera con 185 firme contro i simboli del Carroccio
ADRO, LA RIVOLTA DEI GENITORI Messaggio alle istituzioni perché intervengano: “Vi chiediamo se tale ostentazione sia compatibile con i valori della Costituzione”. Appello del Fatto: già 30 mila firme. Adesione dei gruppi parlamentari Pd e Idv
pag. 9 z (FOTO ANSA)
Udi Bruno Tinti LO STATO E LA “ROBA” DEI PADANI in Adro c’è il Polo scolaCè il osìstico Gianfranco Miglio; non massimo come personaggio cui intitolare una scuola. Sembra che l’ispiratore di Bossi, sostenesse sugli extracomunitari: “Non vanno mischiati gli schiavi e gli europei”. pag. 22 z
Udi Marco Politi
AUTOLESIONISMI x Liti e minacce di scissione
IL PAPA MINACCIATO E BRACCATO
Ce la farà il Pd a sopravvivere fino al 2011? pag. 2 - 3 z
terrorismo scuote il L’XVI.allarme pellegrinaggio di Benedetto Scotland Yard ha arrestato
Pier Luigi Bersani (FOTO DLM)
ieri mattina gli attentatori. Gli agenti sono piombati alle 5 e 45 in un negozio di Londra, dove i cinque netturbini cominciavano il turno di lavoro. pag. 17 z
nincontro nazionale Idv Di Pietro a Grillo: “Ora basta proteste serve l’alternativa” Marra pag. 6z (FOTO ANSA)
nbavagli Annozero siamo alle solite Masi ferma lo spot Mello e Tecce pag. 7z
CATTIVERIE Marina Berlusconi si prepara a entrare in politica. Quando i figli ricadono sulle colpe dei padri www.spinoza.it
nafghanistan Militare italiano ucciso alla vigilia del voto Gramaglia pag. 15z
onfessando, negandola, la compravendita di senatori, il Cainano aggiunge un capitolo alla lunga tradizione del trasformismo nazionale. Ma ogni epoca ha i trasformisti che si merita. Oggi ci meritiamo l’onorevole Francesco Nucara da Mosorrofa (Reggio Calabria). Nessuno lo sa, ma entrò in Parlamento nel lontano 1983 col Pri all’epoca guidato da Spadolini, nella sua veste di galoppino di Giorgio La Malfa, figlio d’arte. Oggi, sempre all’insaputa dei più, del Pri è addirittura il segretario nazionale. La Malfa lo accusa di trasformismo e lui accusa di trasformismo La Malfa. Hanno ragione entrambi. Nel ’94 La Malfa imputava a B. le peggiori nequizie, poi naturalmente si alleò con lui, nel 2005 divenne addirittura ministro del governo Berlusconi-2 e nel 2008 fu rieletto nelle liste del Pdl. “Qualche tempo fa – racconta il Nucara a La Stampa – Giorgio mi disse: Francesco, dobbiamo entrare nel Pdl e inseminarlo di cultura laica. Gli risposi con schiettezza: a 70 anni non me la sento di inseminare nessuno”. L’inseminazione fallì e La Malfa si avvicinò all’Api di Rutelli, forse per entrare in clandestinità. Nucara invece restò lì nel limbo, cioè all’asta, in attesa di una chiamata. E la chiamata arrivò alcune settimane fa, quando B. si fece vivo e l’incaricò di racimolare una trentina di voltagabbana disposti a votargli l’impunità al posto dei riottosi finiani. Il Nucara si era appena messo al lavoro, quando B., incontinente come molti coetanei, annunciò urbi et orbi che Nucara aveva fatto il miracolo: “Abbiamo un Gruppo di Responsabilità Nazionale di almeno 20 deputati estranei al Pdl pronti a votare la fiducia”. Mise in giro anche i nomi. I quali, salvo due o tre, smentirono: alcuni avevano rifiutato le avances, altri stavano ancora trattando sul prezzo, altri manco sapevano chi fosse Nucara. Un disastro. Soprattutto d’immagine, per il Grande Compratore. Ai bei tempi c’era la ressa, sotto Palazzo Grazioli, e non solo di escort: chi era pronto a vendersi gratis, chi addirittura – per dirla con Victor Hugo – avrebbe pagato per vendersi. Ora non si fan comprare nemmeno per un ministero, figurarsi per un sottosegretariato. Il Cainano, vecchio piazzista, ha provato ad aggiungere un mutuo-casa a tasso zero e una batteria di pentole al teflon, ma niente da fare. Il Nucara l’ha presa con filosofia: “Mi stanno chiamando tutti, anche chi prima non mi filava mai”, ha confidato a Libero. “Chi l’avrebbe detto che sarei diventato famoso a 70 anni? C’è perfino chi mi riconosce per strada. Una sensazione nuova, non sono abituato. Ma sono contento, perché magari qualche ragazzo di 20 anni scoprirà l’esistenza del Partito repubblicano”. Dopodiché, appena scoperto che i repubblicani sono partiti da Mazzini e sono arrivati a Nucara, correrà a iscriversi. Schivo e riservato, il Nucara precisa comunque che il suo compito non era proprio quello di comprarli, i deputati: a quello pensava B. in persona: “Da me ha voluto più che altro consigli su chi contattare, diciamo che mi ha usato come consulente”. Ecco, lui forniva i consigli per gli acquisti, “ma poi credo che i singoli deputati li abbia contattati il premier personalmente”. Uno che nemmeno Nucara aveva segnalato, ritenendolo una causa persa, è Massimo Calearo, il memorabile figlio di mammà vicentino, già presidente di Federmeccanica, scovato nel 2008 da quel genio di Veltroni per fare, nelle liste del Pd, la parte del “giovane imprenditore” (ha solo 55 anni). Fu addirittura eletto come capolista nel Veneto-1, poi l’anno scorso scoprì di “non essere mai stato di sinistra” e lasciò il partito. Ma non, naturalmente, il seggio. Ora “attende una chiamata”. Nel senso che è pronto a “non fare mai mancare il mio voto a Berlusconi”. E non solo, potrebbe addirittura diventare ministro dello Sviluppo economico: “Proposte ufficiali non ne ho avute, ma se son rose fioriranno”. Guai però a dargli del voltagabbana. Questo no, sarebbe troppo. Lui è un veltroniano coerente: del Pd, ma anche del Pdl.
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Sabato 18 settembre 2010
Attentato contro il sindaco di Niscemi: “Non mi fermeranno”
di Ferruccio Sansa
lick, primo scatto: ritratto di imprenditore con revolver sulla scrivania. Click, eccolo con Marcello Dell’Utri. Click, il capitano di industria è accanto a Franco Di Bella, direttore del Corriere della Sera, iscritto alla P2. Indovinate: chi è l’uomo con la pistola? Silvio Berlusconi. Sono immagini in bianco e nero, scattate nel 1977 dal fotografo Alberto Roveri. Scatti saltati fuori dall’archivio e pubblicati sull’Espresso. Sono passati più di trent’anni da quando Roveri si trovò faccia a faccia con Berlusconi negli uffici dell’Edilnord, la società che sul mattone ha costruito le prime fortune del Cavaliere. Oggi quelle immagini hanno un valore unico: raccontano la nascita della Milano da bere, il passato e le amicizie scomode dell’uomo più potente d’Italia. Un mix di pistole, frequentazioni criminali, mattone e canzonette. Roveri racconta: “Berlusconi tirò fuori dal cassetto due pistole, una per sé e una per l'autista. ‘Ha idea di quanti industriali vengono rapiti?’, si giustificò. Poi salimmo su una Mercedes che definì blindatissima”. La 357 Magnum è facile da spiegare. Più complesso sarebbe raccontare l’amicizia trentennale con Dell’Utri: nelle foto sono poco più che ragazzi, con le basette, i capelli non ancora tinti e il riporto. Uno strettissimo legame fin dal 1974. Marcello era anche amministratore della villa di Arcore in cui fu accolto come stalliere Vittorio Mangano, arrestato come assassino di Cosa Nostra. Trentatré anni dopo Dell’Utri sarà condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. “I fatti contestati sono precedenti al 1992, alla nascita di Forza Italia”, riuscirono a gioire i maggiorenti del Pdl. Ma le foto implacabili ricordano che anche il legame tra Silvio e Marcello è precedente al 1992. Ecco il mondo che il Cavaliere vorrebbe dimenticare. Lui, “uomo nuovo della politica”, ma iscritto alla loggia di Licio Gelli e frequentatore di Franco Di Bella, il direttore che portò la P2 in via Solferino. Lui, lontano dal “teatrino della politica”, ma cresciuto sotto l’ala dei socialisti. Click, foto con Carlo Tognoli, il sindaco della Milano da bere. Le uniche immagini che Silvio forse vorrebbe salvare sono quelle con l’inconsapevole Bruno Lauzi. Con Mike Bongiorno. E quegli scatti mentre canta con stivaletti e doppiopetto. Dallo sguardo di ghiaccio già allora gli avresti pronosticato un brillante avvenire. Da chansonnier.
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ttentato incendiario contro il sindaco di Niscemi: l’auto di Giovanni Di Martino, 50 anni, esponente del Pd e a capo di una giunta di centrosinistra dal 2007, è stata data alle fiamme sotto la sua abitazione. Di recente il primo cittadino aveva ottenuto la convocazione del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica per fermare l'escalation di
attentati che aveva interessato il Comune nisseno. Di Martino aveva anche lanciato un appello affinchè imprenditori, commercianti e professionisti si ribellassero alla criminalità organizzata e venisse costituita a Niscemi un'associazione antiracket. “Non ci lasceremo intimidire – ha commentato ieri – continueremo ad amministrare all'insegna della trasparenza e per
ALBUM Basette, amici, pistole e P2: il mondo di B.
affermare la legalità nel nostro territorio”. Al sindaco è giunta la solidarietà del Pd e del presidente siciliano Lombardo. “Quanto accaduto a Niscemi è il segnale tangibile che la bonifica dei territori da parte di amministratori onesti e trasparenti si contrappone alla mafia”, ha detto l’eurodeputata Rita Borsellino. Nei prossimi giorni la commissione regionale antimafia sarà a Niscemi.
Immagini in bianco e nero della Milano degli anni Settanta Il rampante imprenditore studia da Caimano
Da Dell’Utri al “Corriere” della Loggia Il fotografo Alberto Roveri ha digitalizzato il suo archivio. “L’espresso” ha pubblicato i ritratti del primo servizio sul Cavaliere. Immagini inedite che raccontano l’anno in cui è nato il suo progetto mediatico. Con al fianco Dell’Utri. E la pistola sul tavolo, arma di difesa dai rapimenti (FOTO PUBBLICATE DA L’ESPRESSO)
Compravendita dei deputati, il premier “confessa” OBIETTIVO UDC: “NON C’È UN MERCATO, MA UNA SCELTA LIBERA... ”. GIUSTIZIA, TUTTO PER TUTTO PER FAR SALTARE I PROCESSI di Sara Nicoli
a smentita è sempre la migliore Llieredelle conferme. E così ieri il Cavaha messo sul tavolo la “pistola fumante” della compravendita dei deputati per ottenere una maggioranza sicura che sia autonoma dai finiani. Alla fine di un Consiglio dei ministri dove si è parlato persino dei campi da golf, ma non della nomina del nuovo ministro dello Sviluppo
Ennesimo capitolo della guerriglia con i finiani. Cicchitto: “O rientrate o fatevi un nuovo partito”
economico, Berlusconi ha confessato: “Non è vero che facciamo compravendita, non c’è alcun mercato, nessuna campagna acquisti, semplicemente ci sarà una scelta libera di chi appoggia l’esecutivo e voterà la fiducia”. “Se poi – ha aggiunto con la soddisfazione tipica di chi ha fatto bingo – ci sono esponenti di altri partiti, tipo quelli dell’Udc, che vogliono sostenere l’esecutivo, lo faranno per libera scelta; niente di diverso, niente di più”. Il Cavaliere, che da qualche giorno conduce personalmente il mercato, offrendo anche (attraverso i suoi emissari) congrui incentivi per non trovarsi davanti a improvvisi cambi di idea e, dunque, a un passo dalla crisi vera della sua maggioranza, sa di aver già portato a casa un cospicuo drappello di uomini del partito di
Casini che non si riconoscono più nel leader e puntano a una rielezione certa tra le file del Pdl. UOMINI come Saverio Romano, Michele Pisacane, Calogero Mannino, Giuseppe Drago e Lorenzo Ria o Giuseppe Ruvolo e Domenico Zinni. A questi potrebbe aggiungersi persino il neo rutelliano Massimo Calearo. Che anche ieri non ha negato di aspirare, tra le fila del centrodestra, a più alti incarichi in virtù della sua professionalità imprenditoriale. “Io allo Sviluppo economico? Berlusconi non me lo ha chiesto, ma ci penserei”. Insomma, il 28 settembre alla Camera il Cavaliere otterrà la fiducia anche senza l’appoggio finiano. Che comunque ci sarà, ma sul quale lui sa bene di non poter contare. Anche se dovrà, in qualche modo, trattare con gli uomini del presidente della Camera sul fronte caldo della giustizia. Mentre al Se-
nato si limano i dettagli del nuovo Lodo Alfano costituzionale (quattro letture e referendum confermativo per ottenere il via libera), l’avvocato Ghedini e il ministro della Giustizia studiano anche un nuovo legittimo impedimento per tamponare la prossima bocciatura del precedente provvedimento da parte della Consulta così come si continua a ragionare, nonostante le smentite, sul processo breve, seppure edulcorato rispetto a quello uscito dall’aula di Palazzo Madama. STRADE parallele che correranno, tuttavia, in contemporanea, in modo da costituire un ventaglio di possibilità per quello che Berlusconi vuole più del Quirinale: lo scudo ai suoi processi. Impossibile, tuttavia, arrivare all’approvazione di almeno uno di questi elementi senza il consenso dei finiani, ma la partita, su quel fronte, è ancora durissima. Ieri il capogruppo
Pdl, Fabrizio Cicchitto, ha lanciato un ultimatum agli ex colleghi del gruppo: “Chi sta in Fli dovrà scegliere se rientrare nel Pdl, oppure la scissione del gruppo parlamentare si tradurrà nella formazione di un nuovo partito”. Secca la replica di Italo Bocchino: “Cicchitto non ci lascia scelta: le conseguenze verranno prese a tempo debito”. Il Pdl, d’altra parte, ormai è solo un’entità astratta. E il primo ad essersene accorto pare sia stato il ministro Maurizio Sacconi, che oggi inaugurerà a Cortina una tre giorni che avrà come protagonisti i principali ministri del governo, Berlusconi compreso. “Dobbiamo andare oltre il Pdl – ha detto ieri Sacconi – è venuto il momento di aggregare in un unico partito tutti i moderati e i riformisti perché ormai il Pd è in crisi di dipendenza da radicalismo etico e giustizialista”. La campagna elettorale, dunque, può dirsi iniziata.
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Chiamparino: se fossi stato sul palco io, avrei chiesto a Schifani della mafia
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chifani contestato alla Festa del Pd aveva incassato immediatamente la solidarietà di tutti, primo fra tutti il presidente della Repubblica. E poi, colleghi di partito e avversari. Nessuno che si sia domandato - lo ha fatto Antonio Tabucchi sul nostro giornale - per quale regola della grammatica istituzionale a una festa di partito
dovesse intervenire il presidente del Senato. Anche Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, aveva tuonato contro i contestatori perché “non si impedisce alla gente di parlare in questo modo”. Ma, ospite di Telebavaglio, ha parzialmente riveduto il suo giudizio. Soprattutto quando gli è stato sottoposto il tema dei presunti rapporti tra la Seconda
carica dello Stato e la mafia, di cui alcuni (il Fatto e l’Espresso) hanno parlato. “Sbagliato fischiare”, ha detto il sindaco. “Però se fossi stato io sul palco al posto di Piero Fassino, gli avrei chiesto conto di quello che hanno scritto i giornali, avrei introdotto l’argomento mafia”. Accanto a lui in studio c’era il grillino Davide Bono: “Non ci avete fatto parlare... ”.
DON VITO & SILVIO
Ciancimino senior scriveva: “Io, Dell’Utri e indirettamente Berlusconi figli dello stesso sistema”
“Siamo figli della stessa Lupa”. Fa impressione leggere il documento che accomuna il sindaco di Corleone, il senatore palermitano e - indirettamente - il premier sotto le mammelle dello stesso sistema politico-mafioso. Se il documento che Il Fatto pubblica sarà attribuito dai periti a Vito Ciancimino, come sostiene la sua famiglia, questa frase entrerà nella storia dei rapporti tra mafia e politica. I documenti sono stati consegnati nelle scorse settimane ai pm Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo dalla signora Epifania Scardino in Ciancimino. Decine di fogli scritti a macchina e in parte annotati con una calligrafia che somiglia a quella del consigliori di Bernardo Provenzano. Don Vito ricostruisce i suoi rapporti imprenditoriali con Dell’Utri e Berlusconi e si scaglia contro i magistrati, colpevoli di avere condannato lui mentre Dell’Utri è stato prosciolto e Berlusconi è addirittura divenuto Cavaliere. Secondo Ciancimino Jr quei fogli di Marco
Lillo
ra che Il Fatto pubblica le carte su Berlusconi consegnate ai pm di Palermo dalla famiglia Ciancimino, si comprende perché Massimo Ciancimino, l’infamone come lo chiama Totò Riina, non deve andare in Rai. Il direttore generale Masi non gradisce le sue interviste. “C’è un veto contro di me”, dice al Fatto il figlio di don Vito. “Fin quando parlavo di Provenzano e dei mafiosi mi sopportavano. Ora che ho cominciato a parlare dei documenti su Berlusconi, la Rai mi vuole oscurare”.
O
risalgono al 1989 e ora sono studiati con attenzione dalla Scientifica per verificarne l’attendibilità. Dopo mesi di interviste e verbali sugli investimenti del padre e dei suoi amici costruttori Franco Bonura e Nino Buscemi (poi condannati per mafia) nei cantieri milanesi di Berlusconi ora arrivano le carte. E si scopre che il figlio di don Vito era così spavaldo quando parlava dei tempi lontani in cui Berlusconi girava per Milano armato (vedi foto in prima pagina) perché aveva ben presenti gli appunti del padre. Basta rileggere le vecchie interviste per scoprire che le sue parole ricalcano quelle uscite all’improvviso dai cassetti di mamma Epifania. Vito Ciancimino nelle lettere racconta di avere investito nelle imprese di Berlusconi ricavandone miliardi di vecchie lire. I magistrati hanno chiesto alla scientifica di fare presto. Se gli appunti fossero riscontrati, in teoria, il nome di Berlusconi potrebbe tornare sul registro degli indagati.
Gli appunti presentati recentemente da sua madre ai magistrati di Palermo contengono rivelazioni su Silvio Berlusconi. Davvero sono stati scritti da suo padre? Sì. Sono scritti a macchina e annotati di pugno da mio padre. Mia madre li ha presentati quando i pm di Caltanissetta mi hanno perquisito. Probabilmente il procuratore Sergio Lari dubitava di me e mia mamma ha pensato di aiutarmi portando queste carte ai pm perché confermano quello che avevo già dichiarato. Nell’appunto consegnato
ai pm, che Il Fatto pubblica, suo padre punta il dito contro Berlusconi e Dell’Utri e parla dei soldi siciliani investiti nei cantieri milanesi del Cavaliere. Cosa ci può dire? Nulla, c’è un’indagine in corso. Comunque non scrivete che mio padre accusa Berlusconi. Il suo obiettivo polemico è la magistratura. L’appunto è uno sfogo nel quale don Vito, dopo la conferma in appello della confisca dei suoi beni, si infuria per il trattamento diverso ricevuto rispetto a Berlusconi. Nell’appunto consegnato da sua madre si legge una
Massimo Ciancimino Sopra, suo padre don Vito (FOTO ANSA)
frase di questo tipo: ‘Sia io, Vito Ciancimino, che altri imprenditori amici abbiamo ritenuto opportuno su indicazione di Dell’Utri investire in aziende riconducibili a Berlusconi. Diversi miliardi di lire sono stati investiti in speculazioni immobiliari nell’immediata periferia di Milano’. Mio padre era arrabbiato perché lui e Berlusconi avevano subìto un trattamento diverso solo e unicamente per motivi geografici. Papà quindi non invocava la condanna di Berlusconi ma era convinto che se anche lui fosse stato indagato a Milano, come Dell’Utri,
Il tesoro nascosto di Brusca gestito direttamente dalla cella
Il boss Giovanni Brusca (FOTO ANSA) di Giuseppe Lo Bianco Palermo
entottanta mila euro trovati Cscritti, alla moglie, cd-rom, manoappunti con numeri e indirizzi stranieri e lettere sequestrate nella sua cella, in una delle quali ammette di avere mentito sui soldi: da alcune intercettazioni disposte per la cattura del boss Domenico Raccuglia si scopre oggi che Giovanni Brusca, il boss della collinetta di Capaci, il suo
patrimonio lo custodisce e lo gestisce attraverso prestanomi, il più importante dei quali è Santo Sottile, uomo d’onore di San Giuseppe Jato. Così Brusca è ora indagato dalla Procura di Palermo per riciclaggio, intestazione fittizia di beni e tentata estorsione, e rischia, come dice il presidente dell’Antimafia Pisanu, la revoca del programma di protezione, che il sottosegretario Mantovano si appresta a valutare, dopo avere richiesto un’informativa alla Dda di Palermo. Oggi i pm valutano le sue parziali ammissioni offerte nell’interrogatorio di ieri, condotto dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai pm Lia Sava e Francesco Del Bene. Brusca ha ammesso che Sottile si occupa del suo patrimonio e ha fornito alcune spiegazioni su una serie di immo-
bili dislocati in varie parti d’Italia. Per gli addetti ai lavori non è stata una sorpresa: gli scontri tra Brusca e il pm Alfonso Sabella, che per anni ha cercato di indurlo a rivelare i nascondigli del suo patrimonio, sono ormai entrati nella tradizione orale della lotta alla mafia. Così oggi Brusca, come dice Pisanu, “deve dare chiarimenti molto convincenti”, anche sui movimenti di alcuni suoi familiari che hanno indotto i pm a spedire i carabinieri a perquisire alcune abitazioni nelle province di Palermo, Roma, Milano, Chieti e Rovigo. “Sono sempre criminali – sottolinea Ingroia – . In questo caso siamo in presenza di attività prevalentemente economica, reinvestimenti di soldi, sottrazione allo Stato di beni perchè i collaboratori devono dichiarare tutti i loro beni”. Anche
se Brusca, rivela il suo ex difensore, il senatore Idv Luigi Li Gotti, da tempo ha avviato un percorso interiore “che lo ha portato ad incontrare i familiari di alcune delle sue vittime”, la vicenda riapre il dibattito sul pentitismo: e se per Li Gotti “non bisogna metterlo in discussione”, i pentiti, dice Pisanu, “sono una risorsa”, ma in molti casi “hanno terribili carriere criminali alle spalle”. Anche perchè i silenzi di Brusca non riguardano solo i suoi soldi, come ricorda Giovanna Chelli, dell’associazione delle Vittime di via dei Georgofili: “Sarebbe arrivato il momento, da parte di Brusca, di sistemare quelle pedine che sulla scacchiera della verità per le stragi del 1993 sono ancora fuori posto”. Stamane i pm interrogano la moglie del boss e alcuni parenti.
sarebbe stato assolto. Al Fatto risulta che l’appunto si conclude con una considerazione sui soldi investiti a Milano da suo padre nei cantieri di Berlusconi. Quei soldi, si legge nell’appunto, hanno fruttato miliardi a don Vito che poi sono stati sottoposti a confisca. Mentre a Berlusconi secondo l’appunto di suo padre - nessuno contestava nulla. A che anno risalirebbe questo scritto? Probabilmente il 1989. In quel tempo Berlusconi era celebrato da tutti e mio padre si vedeva privato dei suoi miliardi. Papà considerava ingiusta questa disparità. L’avvocato Niccolò Ghedini ha già smentito le indiscrezioni su queste carte. Il Cavaliere sostiene di non avere mai conosciuto suo padre. In un secondo appunto consegnato ai magistrati da mia madre si parla di finanziamenti elettorali di Caltagirone, Ciarrapico e Berlusconi a mio padre. Mia mamma ha ricordi diversi su Berlusconi. Saranno i magistrati a stabilire la verità. Forse è di queste rivelazioni che ha paura il Direttore generale della Rai Mauro
Masi? C’è un bando nei miei confronti da quando ho cominciato a parlare di Berlusconi. Le mie rivelazioni fanno paura perché permettono di ricostruire la continuità del rapporto tra imprenditori e mafia dai tempi del banchiere Sindona a quelli dei palazzinari legati alla Dc. Fino ai rapporti finanziari del 2000. Il veto di Masi non sembra il problema più grande per lei in questo periodo. L’espresso ha raccontato ieri la conversazione intercettata in carcere tra Totò Riina e il figlio Giovanni. Il boss dice che lei e suo padre siete degli infami e che lei mente per salvare il patrimonio. Riina, sapendo di essere intercettato, dice tre cose. Innanzitutto smentisce che Provenzano lo abbia tradito e in questo modo mantiene la pax mafiosa all’interno di Cosa Nostra, utile a tutti per fare affari. Poi dice che è sempre lui il capo dei capi. Infine, punta il dito contro di me lanciandomi le stesse accuse di Dell’Utri. Entrambi dicono che mento per salvare il tesoro di mio padre. Lei ha paura? Non sono un incosciente e capisco i messaggi di Cosa nostra. Riina e i suoi amici, a sentir lui - sarebbero vittima dei pentiti. Eppure non se la prende mai con uno di loro ma punta sempre il dito contro di me. Quello che sto dicendo colpisce al cuore Cosa Nostra perché ho rivelato il tradimento di un boss all’altro. Il giudice Falcone diceva che la mafia non dimentica. Non sarà oggi e non sarà domani, ma arriverà il giorno in cui me la faranno pagare.
P3 Martino, Lombardi, Carboni indagati per camorra l’accusa di concorso in associazione mafiosa la proCviooncura di Napoli ha iscritto sul registro degli indagati FlaCarboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino. Per i tre, già agli arresti con l’accusa di aver costituito la P3, si aggiunge questa nuova contestazione che si lega ai tentativi di pilotare il ricorso in Cassazione presentato da Nicola Cosentino contro la richiesta di arresto della procura di Napoli per collusioni con la camorra. E ieri i pm si sono recati nel carcere di Poggioreale per interrogare Martino che ha confermato, in un interrogatorio durato oltre sei ore, la sua disponibilità a collaborare con la giustizia già manifestata il 19 agosto scorso ai magistrati romani. Di fatto si è aperta un’inchiesta bis sulla P3 che ha come oggetto la zona più oscura dell’indagine e cioè i rapporti tra Superloggia di Dell’Utri e Verdini con la criminalità organizzata. Martino ha indicato Lombardi come la persona incaricata di risolvere i guai di Cosentino, grazie ai suoi rapporti con il presidente della Cassazione. Poi ha ribadito le accuse nei confronti dell’assessore Sica in merito alla compravendita dei voti al Senato per affossare il governo Prodi nel 2008: ”È stato lui a raccontarmi di aver individuato l’imprenditore, noto a Berlusconi, disposto a finanziare l’operazione”.
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Da Fioroni a Ichino, tutte le firme al documento Anna Finocchiaro Divisioni? Non ci sono
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on mi scandalizzo affatto se il candidato premier non è il segretario di partito. La questione è che non vi sono punti di differenza essenziali tra la posizione della maggioranza e quella del firmatario del documento”.
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PSICHIATRIA DEMOCRATICA
ra i 75 firmatari del documento proposto da Walter Veltroni, Giuseppe Fioroni e Paolo Gentiloni (circa un 25 per cento della totalità dei parlamentari Pd) ci sono i “veltroniani” Mauro Agostini, Stefano Ceccanti, Luigi De Sena, Andrea Martella, Giovanna Melandri, Marco Minniti, Enrico Morando, Achille Passoni, Vinicio Peluffo, Salvatore Vassallo, Walter Verini, Walter Vitali, Marco
Rosy Bindi Nessuno ha il copyright
“V
eltroni vuole impegnarsi per il successo del Partito democratico? Ben venga. Peccato che il suo contributo per ora abbia solo lacerato la minoranza e riproposto l'immagine distorta di un partito nella bufera”.
Minniti e Giorgio Tonini. Tra i parlamentari vicini a Paolo Gentiloni, compaiono i nomi, tra gli altri, di Roberto Della Seta, Francesco Ferrante, Roberto Giachetti, Raffaele Ranucci, Andrea Sarubbi, Maria Leddi. Tra gli ex Popolari vicini a Fioroni, Gero Grassi, Benedetto Adragna, Mauro Ceruti, Lucio D’Ubaldo, Donatella Ferranti, Enrico Gasbarra, Tommaso Ginoble, Maria Paola Merloni, Luciana Pedoto,
Paolo Gentiloni Reazioni incomprensibili
“S
ono davvero singolari le minacce e le scomuniche registrate per una iniziativa positiva. L’accusa più odiosa è quella di connivenza con il nemico. Noi vogliamo riportare il Pd ai momenti del suo massimo splendore, quelli del 2007”.
Simonetta Rubinato. Fioroni ha strappato a Franceschini alcuni Popolari a lui vicini, come Daniele Bosone, Enrico Farinone, Paolo Giaretta e Jean Leonard Touadì. Tra le presenze di personalità non schierate in precedenza con queste tre aree, ci sono Olga D’Antona, la teodem Emanuela Baio e l’ex dalemiano Nicola Rossi. Anche Pietro Ichino (al congresso con Ignazio Marino) e Magda Negri.
Andrea Camilleri Troppi galli nel pollaio
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ià siamo così mal combinati, mai come in questo momento l’opposizione ha bisogno di unità. Un leader non deve essere per forza un Berlusconi. Il Pd ha difficoltà a trovare un leader perché ci sono troppi galli nel pollaio”.
LE PARTICELLE ELEMENTARI In 75 con Veltroni, l’ira di Bersani di Paola Zanca
no dovrebbe mettersi le mani nei capelli solo leggendo questa frase: “Questa non è un’iniziativa contro Area democratica”. E chi caspita è Area democratica? Per i lettori meno attenti Area democratica è la corrente di minoranza interna al Pd, guidata da Dario Franceschini. E vabbè. Ma quella frase, pronunciata all'unisono dai deputati veltroniani Minniti e Tonini, dovrebbero rileggersela anche loro, per capi-
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Oggi a Orvieto l’ex segretario peserà le sue forze. “Ma non si candiderà alla leadership”
re che a forza di guardarsi dentro stanno per finire a testa in giù. Perché se si parla con i 75 firmatari dell'appello, spiegano che la mossa di Veltroni serve ad arginare la fuga degli ex Margherita. “Se una ventina di parlamentari fossero con la valigia in mano pronti a uscire dal Pd sulle orme di Rutelli, Calearo, Binetti e via dicendo – spiega il deputato Walter Verini, braccio destro di Veltroni – se si sentono ospiti in una casa che pensavano fosse anche loro... Questo documento ha il merito di dire a questi democratici delusi: 'Fermatevi, stiamo insieme, c'è ancora spazio per voi nel partito’”. COME RAGIONAMENTO “interno” non fa una piega. Ma il problema è che dal maggior partito dell'opposizione ci si aspetta che pensi all’esterno. La domanda è semplice: ma giovedì, i cittadini che hanno visto Veltroni prima al Tg1, poi al Tg2, e navigando nei meandri del digitale terrestre se lo sono trovato pure su RepubblicaTv, che cosa
avranno pensato? Che è successo qualcosa di grave a Bersani? “Inevitabilmente l'avranno presa con sorpresa e sconcerto – ammette Arturo Parisi, che il documento non l'ha firmato ma oggi sarà a Orvieto – Ma il punto è che la sorpresa è loro, e lo sconcerto è nostro. Disabituati come siamo al dibattito politico, nel giorno in cui quel dibattito si manifesta nella sua pienezza è inevitabile fare i conti con questi sentimenti”. Torneremo ad abituarci, quindi? “Sarà bene che si riprenda il gusto della democrazia in pubblico, che finisca la stagione dei caminetti, dove si entra con tutti che la pensano diversamente e si esce facendo finta che la pensino tutti uguale”. Sparargli addosso gli farà bene? “Non capisco perché un documento debba essere visto come una spaccatura – si stupisce Verini – Il nostro è un contributo di lealtà. Certo se poi qualcuno dice che è un'iniziativa che spacca, probabilmente qualcuno ci crede. Il disorientamento è indotto”. Ma quello che contestano a Bersani - che ieri ha reagito al do-
Quel che resta Un partito diviso a metà come le teste dei suoi leader. Da sinistra Massimo D’Alema, il segretario nazionale Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni, autore del documento che ha spaccato in due i democratici
cumento con un gelido “a me va bene tutto” - non è tanto la gestione del partito, quanto i risultati che ha portato. “Perché – insiste Verini – davanti allo sfascio del berlusconismo, l'opposizio-
I fedelissimi: “Non vogliamo spaccare nulla”. Parisi: “Meglio questo dei caminetti”
ne non cresce? Perché il Pd è al 24%, e se non ci fossero le regioni rosse ad alzare la media, sarebbe sotto il 20? Forse perché non è più percepito come quel partito che aveva dato una speranza. In questi due giorni ci sono arrivate almeno mille e duecento mail. E tante dicono: ‘Avevamo deciso di non votare più, vedendoti ci crediamo di nuovo’”. MA VELTRONI, giurano, di candidarsi non ha nessuna intenzione. Si sente solo “in diritto” (visto che il Pd era anche un'idea sua) e “in dovere” “di rimboccarsi anche lui le maniche, come dice Bersani”, parafrasa Verini. E per dimostrarlo, nel suo documento, ha tolto la maiuscola dalla parola “movimento” e cancel-
lato pure la frase sul partito “che appare privo di bussola”. A Orvieto ci sarà anche il sindaco di Torino (in chiusura di mandato) Sergio Chiamparino. Da settimane chiede primarie aperte, va dicendo che “se serve non mi tiro indietro”, e ha scritto un libro che si intitola La sfida. Forse è arrivato il momento di sciogliere gli ormeggi. Vedremo oggi, “prima non parla”, dice il suo assistente. Meglio che l'ora delle urne non arrivi in fretta, viene da dire. Ma Parisi non è d'accordo: “Lei mi chiede di sospendere la democrazia in attesa delle elezioni? La democrazia è un esercizio permanente, non sono previste soste”. Brutto risveglio per il segretario che voleva dare un senso a questa storia.
Edotori democratici Redazione in sciopero
Tagli su tagli, i tormenti de “l’Unità” di Chiara
Paolin
a qual è il problema? Nel “S 1999, quando l'Unità ha chiuso, tutto cominciò proprio da lì: Bologna e Firenze. Adesso che Soru ha deciso di sospendere le edizioni in quelle due regioni ci sembra di tornare pericolosamente indietro nel tempo”. Ninni Andriolo è un membro del Comitato di redazione all'Unità. Ne ha viste tante, ma stavolta è preoccupato davvero, perché i tagli corposi sono serviti a poco se le vendite calano (diffusione a 52 mila copie, venduto in edicola sotto 40 mila) e manca un progetto condiviso. Spiega Andriolo: “Nel 2008 Soru ci presentò un piano ambizioso, chiedendo qualche mese dopo una seria riduzione di personale. In un anno e mez-
zo abbiamo perso una cinquantina di posti, soprattutto giovani precari e colleghi anziani. Ci siamo fatti tutti la cassa integrazione a rotazione. Adesso arriva la doccia fredda dello stop alle edizioni di Emilia Romagna e Toscana dal 15 ottobre. Così altri 11 colleghi rischiano di perdere il lavoro. E soprattutto, taglio dopo taglio, qui non resta più niente”. Allora sciopero. Anche oggi – ed è il secondo giorno di fila – il giornale non è in edicola, niente aggiornamenti del sito. Tutti si fermeranno a pensare cosa non abbia funzionato nel progetto che doveva rilanciare una testata storica, ma anche dare più fisionomia al neonato Partito democratico in piena era Veltroni. Di certo oggi il corpo redazionale è compatto nel chiedere
una gestione attenta dei prossimi passi. Ristrutturazione, ipotesi di vendita ad altri editori (come gli Angelucci, in corsa da tempo): tutto può essere discusso ma senza far precipitare la situazione. Dal canto suo, l'editore Renato Soru - autorevole esponente del Pd - ap-
Soru pronto a chiudere le pagine locali e ad investire in nuove attività editoriali in Sardegna
pare piuttosto freddo e determinato: ha chiesto alla Fieg (la Federazione degli Editori) di trasferirela vertenzaal ministero del Lavoro. E non ha smentito l'ipotesi di investire a breve in altre attività editoriali, magari nella sua Sardegna, confermando invece la sospensio-
ne delle edizioni emiliana e toscana. Scelta suicida secondo il sindacato unitario dei giornalisti: “In Emilia e in Toscana l'Unità vende il 40% delle copie, raccoglie il 50% degli abbonamenti e introita un terzo della pubblicità complessiva - dice
una nota Fnsi -. Si determina così una situazione di grave pericolo per l'occupazione e la stessa sopravvivenza del giornale”. Ma oltre il danno (aziendale), si teme la beffa (politica). Se davvero ci si avvicina a elezioni anticipate, può il Pd entrare in campagna elettorale con un quotidiano che perde pezzi? L'ex ministro Cesare Damiano dice: “Ai giornalisti va il nostro pieno sostegno e l’auspicio che si arrivi a una positiva soluzione della vertenza in corso”, mentre il responsabile del partito per l'informazione Matteo Orfini osa un po' di più: “La speranza mia e del Pd è che l’editore possa tornare sui suoi passi”. Ai redattori de L’Unità è arrivata anche - significativamente - la solidarietà dei democratici sardi.
Sabato 18 settembre 2010
La lunga estate degli scambi epistolari sulla stampa
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PSICHIATRIA DEMOCRATICA
l Partito democratico ha trascorso l’estate a farsi tante domande sulla crisi di governo, un esecutivo tecnico, le elezioni anticipate, le alleanze, l’apertura al centro o alla sinistra della sinistra. L’estate degli scambi epistolari a distanza tra vecchissimi, vecchi e giovani capi di partito. Ha iniziato Walter Veltroni, l’ex candidato di Pd e Idv nel 2008 contro
Berlusconi, con una pagina di citazioni e divagazioni sul Corriere della Sera: “Dunque l’unica strada che i veri democratici devono percorrere è quella di una Repubblica forte e decidente. Ma questa comporta profonde e coraggiose innovazioni, nei regolamenti delle Camere, nell’equilibrio dei poteri tra governo e Parlamento, nelle leggi elettorali, nella riduzione dell’abnorme
peso della politica, nella soppressione di istituzioni non essenziali. Bisogna semplificare e alleggerire, bisogna considerare il tempo delle decisioni come una variante non più secondaria”. Pier Luigi Bersani replica su Repubblica e lancia il nuovo Ulivo. Poi arriva Massimo D’Alema su Repubblica: “Questo bipolarismo (tanto caro a Veltroni, ndr) conviene soltanto a Berlusconi”.
Sopravviverà il Pd fino al 2011? SEI OPINIONI E UN PRESAGIO FURIO COLOMBO Quali orizzonti Una scossa Ma forse è tardi
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arò una risposta forse un po' sorprendente. Non vedo correnti nuove, che vuol dire un disegno strategico. Non vedo incrocio o inversione di percorsi. Non vedo vecchie faide, perché non contano, non spaventano nessuno e non cambiano niente. Vedo di tanto in tanto dei brevi soprassalti che durano un istante. È accaduto quando Veltroni si è dimesso, annullando tre milioni di
MAURIZIO VIROLI Il futuro La minaccia dei 4 virus
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uguro al Pd lunga vita e ottima salute, e a Walter Veltroni la soddisfazione di tenere prolusione solenne davanti al Parlamento sul 150mo anniversario dell’Unità d’Italia, a patto che non citi Craxi fra gli eredi del Risorgimento. Sulla longevità politica del Pd gravano tuttavia quattro sinistre minacce. I morbi contratti all’atto del concepimento sono 1) la mancanza di radici storiche e ideali proprie; 2) la debole
PAOLO FLORES D’ARCAIS preferenze. Purtroppo non ha detto perché. È accaduto quando ha parlato la Serracchiani. Ma poi ha taciuto. È accaduto con la candidatura di Ignazio Marino. È diventato un nuovo notabile del Pd e lì, destino dei notabili, si è fermato. Adesso arriva il manifesto di Veltroni. Il progetto promette idee da dibattere, anche idee controverse. Ma da discutere con chi? Il progetto nasce vivo e impaziente. È una scossa, un segno di vita. Questo lo apprezzo. Mi domando, prima ancora di misurarmi nel merito, se non arrivi tardi.
MARCO TRAVAGLIO identità e capacità di distinguersi dagli altri partiti. Le radici forti servono a superare le tempeste e le sconfitte, e se non ne hai affondi. Sul secondo punto ognun vede che proclamarsi ‘democratico’ non basta per distinguersi. Anche Bossi e Berlusconi sono democratici, anzi, democraticissimi. I morbi contratti durante la prima infanzia sono altrettanto gravi: 1) mancanza di un’unità interna attorno a un leader riconosciuto da tutti; b) essersi fatti accerchiare da concorrenti al centro e a sinistra. Il primo male era forse difficilmente evitabile; dal secondo ci si poteva tutelare con una politica intransigente.
Carcasi leader Al vertice un gruppo di bolliti
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rima di partire per le ferie, Bersani disse che per cacciare B. andava bene anche un governo Tremonti. Un po’ come se Obama, anziché candidarsi, avesse proposto, per cacciare Bush, un governo Rumsfield. Dopodiché, fortunatamente, Bersani andò in vacanza. Poi però, purtroppo, tornò. E, dopo lunghe riflessioni, lanciò lo slogan della riscossa autunnale: “Andremo a parlare agli ita-
liani porta a porta”, riuscendo a evocare in un colpo solo Vespa e il Cepu. Non contento, scrisse a Repubblica: “E noi suoneremo le nostre campane”. Veltroni, per scavalcare il segretario annunciò un nuovo movimento che sarà contemporaneamente “dentro e fuori il Pd”. Concetto più appropriato per il Kamasutra che per la politica. Ora, in attesa che emerga un leader del Pd contemporaneo, o quantomeno vivente, è auspicabile che il carrello di bolliti che lo guida riparta al più presto per le ferie. Per vincere le elezioni potrebbe bastare una gita premio per tutta la comitiva. Biglietti sola andata.
LUCA TELESE Padri e figli Liberarsi del popbreznevismo
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l Pd è un partito che purtroppo non esiste. Dirlo non è cattiveria, ma un esercizio utile. Ho scritto un libro di 600 pagine per provare a spiegare come mai – secondo me – lo smarrimento di identità è cominciato con la Svolta della Bolognina e non è finito più. I figli illegittimi del Pci, oggi dediti al parricidio dei padri, avevano un’identità, e ora non ce l’hanno più perché se ne vergognano. Hanno cambiato simboli,
Zombie Il “trattamento” dei capi
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er sopravvivere bisogna intanto vivere, per quanto malandati. Il Pd, invece, nel migliore dei casi è uno zombie: “Creature morte che continuano a camminare, senza più volontà”, spiegano le enciclopedie. Difficile del resto che restasse in vita, dopo anni di trattamento D’Alema prima e Veltroni poi: un combinato disposto che non lascia scampo. I dirigenti delle seconde file, com-
presi i “gggiovani”, non sono affatto migliori, e non di rado sono perfino peggio. Solo il bisogno incoercibile di speranza induce a illudersi del contrario. Vale sempre più e definitivamente la nota intuizione di otto anni fa: “Con questi dirigenti non vinceremo mai”. L’errore è stato non trarne le conseguenze. Il Pd-zombie, inoltre, soffoca e umilia le energie che nel suo elettorato, in parte della base militante, perfino in quadri amministrativi (di piccoli centri) sono presenti. Sarà bene che anche loro si concentrino sul dopo-Pd.
MASSIMO FINI Sono inutili Spero sparisca entro un anno
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a vera forza di Berlusconi, lo si sa da sempre, è la sinistra. L'unico, serio, oppositore del Cavaliere è stato Umberto Bossi quando nel 1994, con un memorabile discorso alla Camera, abbatté il suo primo governo. All'epoca lo chiamava "Berluscaso", "Berluscoso", "Berluschè", "Berluskaz". Poi, vista l'inconsistenza
della sinistra, è stato costretto a ripiegare sul Sire di Arcore che almeno un po' di energia, sia pur volta al peggio, ce l'ha. Il Pd non si sa che cos'è, non si sa nemmeno che nome abbia, prima Pds, poi Ds, poi Ulivo, poi Pd, mentre Berlusconi impazza continua a fare delle primarie, non si sa chi siano i suoi veri leader e se sono quelli che appaiono o trescano dietro le quinte c'è da mettersi le mani nei capelli. Esisterà ancora il Pd nel 2011? Io spero proprio di no.
LUCIA ANNUNZIATA ma non i dirigenti. Hanno perso il grande afflato ideale dell’utopia e recuperato il gene recessivo dello stalinismo. Dopo vent’anni di guerra feroce fra D’Alema e Veltroni che ha sterminato qualsiasi forma di vita, ancora usano l’ipocrisia, tutta sovietica, di non dire mai la verità. Odiano Berlusconi però lo copiano. Rottamano i loro leader migliori, come Prodi, nascondendo la salma, come per Andropov e Cernenko. Quando finalmente i pop-brezneviani saranno accompagnati all’ospizio – magari con l’aiuto di Vendola e Renzi – la sinistra tornerà a vivere.
Forza di gravità Lo salva la base storica dei Ds
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utto fa pensare il contrario, ma alla fine il centrosinistra non si spappolerà e attraverserà unito la soglia del 2011. A favore dell’unità milita una potente forza di gravità, cioè il patrimonio elettorale di questa area politica. Patrimonio che, piaccia o meno, rimane fondamentalmente in controllo di maggioranza degli ex Ds. Né i cattolici infatti, né i vari partiti moderati o estremisti che in questi anni hanno calcato la
scena politica della sinistra, fuori, intorno e anche dentro l’ex Ulivo, hanno mai davvero scardinato lo zoccolo duro di questa eredità politica. La prova sono i risultati elettorali di questi anni. La contendibilità di questi voti, non può dunque essere fatta, ancora, che dall’interno: chiunque voglia oggi sottrarre consenso all’attuale Pd tenendo uno stretto contatto con la sua base, in un’operazione più di erosione che si scissione. In fondo è lo stesso schema di gioco che sta applicando Fini. E non è un caso che l’operazione Fini abbia ispirato le mosse recenti di Veltroni. Al 2011 dunque il centrosinistra arriverà unito.
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Sabato 18 settembre 2010
Il programma della tre-giorni a Vasto dell’Italia dei valori
È
OPPOSIZIONE
cominciato ieri a Vasto il 5° incontro nazionale dell’Italia dei Valori. Il titolo è “Idee pulite, la sfida dell’Italia dei Valori”. La tre giorni che si è aperta ieri, chiuderà i battenti domenica mattina con l’intervento conclusivo del leader Antonio Di Pietro. Oggi, previsto un incontro alle 10 sulla libertà
d’informazione moderato da Gianni Barbacetto, giornalista del Fatto Quotidiano con Leoluca Orlando, portavoce nazionale Idv Pancho Pardi, capogruppo Idv vigilanza in Rai, Niccolò Rinaldi, capo delegazione dell’Idv a Strasburgo, Corradino Mineo, direttore di Rainews, Matteo Maggiore, giornalista della Bbc e Claudia Fusani, giornalista de L’Unità.
Alle 18 dibattito su “Giustizia e antimafia a difesa della Costituzione” con Federico Palomba, capogruppo Idv in Commissione Giustizia alla Camera, Sonia Alfano e Luigi De Magistris, europarlamentari Idv, Luigi Li Gotti, senatore Idv Fabio Granata, deputato Fli e Bruno Tinti ex magistrato, collaboratore de il Fatto Quotidiano.
DI PIETRO SFERZA GRILLO: “NON BASTA URLARE, SERVE L’ALTERNATIVA” L’attacco dal palco del 5° incontro nazionale: “I movimenti non siano solo protesta” L’avviso a Bersani: “Ok all’alleanza democratica, ma no a Fini e Udc”.
di Wanda
Marra Inviata a Vasto
tragico quello che sta succedendo nel Pd. Di Pietro a questo punto dovrebbe puntare alla leadership di quel partito”. Non si sono ancora accesi i riflettori sull’annuale Festa nazionale dell’Italia dei Valori a Vasto, ma la battuta di prima mattina di un senatore bresciano – Gianpiero De Toni – è meno casuale di quel che potrebbe sembrare. Come un faro, illumina la metamorfosi ancora in atto di Tonino e dei suoi. Un paese intero, punteggiato con le bandiere del partito, uno scenario d’eccezione (Palazzo d’Avalos, antica residenza feudale), una folla pronta a non perdersi neanche un sospiro del suo leader, per Di Pietro sono la norma. Ma che qualcosa sta cambiando lo dicono i toni del suo discorso, insolitamente pacati. Poca polemica, poche frasi forti. Poca voglia di impressionare. E più voglia di convincere.
“È
NON A CASO, allora, il piatto forte, è il distinguo da Grillo e da una certa politica del no: “Per rimuovere il macigno piduista Berlusconi dal governo sono stati e sono importanti i movimenti. Ma quando i movimenti diventano solo protesta e non alternativa, allora siamo punto e a capo. Vanno ringraziati – rileva Di Pietro – per la loro protesta civile che ha informato
tante persone; ma ora che queste sono state informate, che cosa facciamo? Ecco, ora è l’ora di costruire l’alternativa”. Una presa di distanza chiara, che però non sembra esente dalla paura. Grillo ha annunciato, infatti, l’intenzione di presentare alle elezioni liste nazionali del suo Movimento 5 Stelle: il bacino in cui va a pescare è proprio quello dell’Idv, che in questa legislatura ha svolto il ruolo di partito del “no” senza se e senza ma. Non a caso nel sondaggio sul sito del Fatto Quotidiano dedicato a chi può battere Berlusconi, i due si contendono
Sonia Alfano: “L’ex comico ce l’ha con me e De Magistris Si lamenta perché parliamo con la gente” Antonio Di Pietro (FOTO ANSA)
la palma del vincitore (ora è in vantaggio Di Pietro, ma per giorni ha dominato Grillo). “In questo momento Grillo è un antagonista – va diritto al sodo Emanuele Mancinelli, che porta orgoglioso la maglietta dei giovani del partito “Valori in corso” – quando ha deciso di presentare liste nazionali e non solo locali, di fat-
to ha scelto di fare un partito e di uscire dal civismo”. “È Grillo che ce l’ha con me e De Magistris – rincara Sonia Alfano, ora europarlamentare Idv, un passato da “grillina” – mi hanno detto che circola un video in cui lui si lamenta del fatto che noi continuiamo a parlare con la gente. Non so bene cosa vuol dire, ma do-
vrebbe essere contento che continuiamo a lavorare bene. Siamo dalla stessa parte”. Forse (forse) lei davvero la pensa così, ma se il Movimento 5 stelle si fa partito, l’antagonismo sembra già un dato di fatto. E DUNQUE, Di Pietro punta a strutturarsi come leader
IL SONDAGGIO
per un’alternativa. Strappa applausi e risate quando si riferisce a Fini, con un italiano che sembra volutamente involuto, nella sua migliore tradizione: “Pensavo che fossi io a Mirabello che parlavo l’altro giorno. Non ero io. Scriverò a Fini dicendogli: la prossima volta il tuo discorso fallo a Vasto”. Ma in realtà il Fini oppositore di Berlusconi è un altro che facilmente può sottrarre voti all’Idv. Tonino affonda: “I finiani a Mirabello dicono che il Pdl è finito e poi si mettono d’accordo per il Lodo Alfano. Ma che vuol dire?”. E ancora: “Porteremo in Parlamento una mozione di sfiducia a Berlusconi come ministro ad interim dello Sviluppo economico. Noi non abbiamo il numero di deputati per presentarla. Vedremo allora se l’opposizione è opposizione o posizione”, dice il leader Idv. Stesso ragionamento a proposito del ddl anti-corruzione: “L’Idv chiede che sia messo all’ordine del giorno di Palazzo Madama. Se i parlamentari vicini a Fini non lo votano sono complici di Berlusconi”, afferma, riferendosi esplicitamente all’impegno formale preso alla Festa del Fatto Quotidiano a Marina di Pietrasanta, a tradurre in legge la proposta del giornale (che cita altre due volte). E quindi, mette in guardia il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: no a Fini che “vuole un’altra destra” e all’Udc, “che ha dimostrato più volte che di loro non ci si può fidare”. Tutto per il Pd, l’altra parte del ragionamento
politico. Chiarisce Di Pietro: “Bersani vuole costruire un’alleanza democratica. Sono d’accordo però bisogna vedere chi ci mettiamo dentro. L’idea di partecipare alle primarie senza sapere che cosa vuole il candidato non può funzionare”. E poi: “Avessero fatto tutti quello che abbiamo fatto noi... In tre elezioni dal 2 al 4 all’8%, andiamo verso il 12% la prossima volta. Invece il nostro principale alleato è sceso dal 34 al 24%, fa il passo del gambero e se la prende con noi...”. FEROCE osservazione, ma Tonino si rifiuta anche dietro le quinte di affondare il coltello nella piaga a proposito della nuova faida Veltroni-Bersani. Anche qui, l’impressione è che stia a guardare, per capire a quale parte del Pd può parlare e a quale elettorato può guardare. Delinea le priorità: lavoro, scuola, sicurezza, giustizia sociale. Ammicca a quello che fu il bacino della sinistra radicale, schierandosi con la Fiom e per la privatizzazione dell’acqua. Gli affondi più forti contro la Lega (il riferimento alla scuola di Adro è d’obbligo). Ma poi, l’immagine più “scenica” della prima giornata di Vasto è l’Inno di Mameli in onore del soldato italiano morto in Afghanistan, cantato a squarciagola dalla platea e dai parlamentari, Leoluca Orlando in prima linea che chiede al governo di riferire in Parlamento sulla missione. Idv di lotta e di governo.
EMILIA ROMAGNA
IL FATTO.IT: È IL LEADER IDV L’ANTI-BERLUSCONI
Bocciato il ricorso contro Errani
CHI DI QUESTI PUÒ FERMARE BERLUSCONI? 33% 29% 19% 6% 5% 4% 4%
na settimana fa abbiamo Udi votare chiesto ai nostri di lettori sul sito Internet del Fatto Quotidiano quale fosse a loro parere il leader in grado di fermare Berlusconi. Forse il suo alleato Gianfranco Fini, che è riuscito a mettere in discussione la maggioranza parlamentare più ampia della storia repubblicana? Il leader del Pd Pier Luigi Bersani, che sembra avere finalmente accantonato la diplomazia e dice che il premier ha
Antonio Di Pietro Beppe Grillo Nichi Vendola Pier Luigi Bersani Nessuno di questi Gianfranco Fini Marco Pannella
ridotto la politica a una fogna? Antonio Di Pietro, anti-berlusconiano per eccellenza, o Nichi Vendola abituato a vincere in Puglia contro tutte le previsioni? Oppure servono strategie non convenzionali e outsider come Marco Pannella o Beppe Grillo? Nei primi giorni Beppe Grillo è stato in testa alla classifica delle preferenze. Adesso, con più di 110 mila votanti e 8 mila commenti in vetta è sa-
I I sei candidati Bersani, Di Pietro, Fini, Grillo, Pannella, Vendola
lito Antonio Di Pietro col 33 per cento. Secondo resta Beppe Grillo, espressione della politica anticonvenzionale col 29 per cento. Segue a stretto giro Nichi Vendola col 19 per cento. Molto indietro il leader del partito democratico Pier Luigi Bersani col 6 per cento. Lontani Gianfranco Fini e Marco Pannella. Secondo i votanti il leader di Futuro e libertà non ha le carte in regola per bloccare Berlusconi. Le
sue quotazioni sono scese soprattutto dopo i tentativi di riconciliazione con Silvio Berlusconi. Per lui il 4 per cento dei voti come per Pannella. Oltre 5000 persone invece non indicano uno tra questi nomi, e cercano un’alternativa, dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino al presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti. Dal leader dei verdi Angelo Bonelli al sindaco di Firenze, Matteo Renzi.
l Tribunale civile di Bologna ha rigettato il ricorso presentato dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo contro la terza ricandidatura del presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani. Il gruppo dei Grillini, riferendosi alla legge 165 del 2004 che stabilisce i principi fondamentali sul sistema di elezione e i casi di ineleggibilità, si era rivolto ai giudici mossi dalla convinzione dell’impossibilità, per un presidente della giunta regionale, di essere eletto per tre mandati consecutivi. Secondo i due consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle, Andrea Defranceschi e Giovanni Favia, entrambi presenti in aula al momento della lettura della sentenza, “la decisione del tribunale crea un gravissimo precedente, che sancisce come a una Regione basti non legiferare per disattendere una legge dello Stato”. Favia ha poi ricordato che “solo in tre Regioni, Emilia Romagna, Lombardia e Molise, la legge dello Stato 165 del 2004 non è stata recepita. E, non a caso, Emilia Romagna e Lombardia sono le Regioni in cui la norma è stata bypassata con la riproposizione di candidati che avevano già superato il secondo mandato. È evidente, quindi, che ci troviamo davanti al deliberato raggiro di una legge?”. L’istanza, sempre sullo stesso tema, presentata dai Radicali, è stata rinviata al prossimo 11 ottobre per un vizio di forma.
Sabato 18 settembre 2010
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“Ignorati da Mediaset” I finiani annunciano un esposto all’Agcom
M
SCHERMO PICCOLO
ediaset li ignora e loro presenteranno un esposto all’Agcom. Lo annunciano i deputati del gruppo di Futuro e libertà, convinti che le tv di proprietà del presidente del Consiglio abbiano violato “la normativa vigente in materia di pluralismo, correttezza e completezza dell’informazione da parte dei tg”. “Dai dati pubblicati sul sito dell’Agcom che si
riferiscono all’intero periodo di agosto, mese in cui si consumava lo strappo tra il Pdl e Futuro e libertà spiegano - emerge che il tempo di parola concesso dal Tg5 agli esponenti di Fli è pari a 1 minuto e 52 secondi (1.86%) contro i 37 minuti e 32 secondi (37.79%) del Pdl, i 10 minuti e 32 secondi (10.60%) della Lega Nord ed i 2 minuti e 28 secondi (2.48%) de La Destra di Storace”.
“Durante il Tg4, gli esponenti di Futuro e libertà hanno avuto un tempo di parola pari a 34 secondi (0.44%) mentre il Pdl ha totalizzato ben 81 minuti e 55 secondi (64.41%) - conclude la nota -. Per Studio Aperto il dato è ancora più allarmante: gli esponenti di Futuro e libertà hanno ottenuto un tempo di parola pari a zero contro i 6 minuti e 17 secondi (44.56%) dedicati al Pdl”.
TORNA ANNOZERO E FA LO SLALOM TRA I TRANELLI DI MASI Come un anno fa: niente contratti per Vauro e Travaglio, niente pubblicità di Federico Mello
C’
recuperare l’effetto Raiperunanotte, il passaparola che, nell’oscurità dell’informazione sospesa in campagna elettorale, accese il Paladozza di Bologna e migliaia di case collegate sul digitale, sul satellite e in Rete per sei milioni di persone.
STAVOLTA ha bloccato le pubblicità che annunciano il ritorno della trasmissione, uno spot di pochi secondi copiato – è quasi uguale – dalla prima stagione di Annozero proprio per evitare obiezioni. E invece Masi l’ha stoppato senza dire perché e dire cosa cambiare. E restano fermi i contratti di Marco Travaglio e di Vauro, nel frattempo la redazione ha cominciato a preparare la puntata del debutto. In una situazione d’emergenza, oscurati sino all’ultimo secondo, Santoro cerca di
FU un Annozero in trasferta organizzato in poche settimane e con decine di appelli. E Santoro chiama a raccolta il suo pubblico con un emblematico “aiuto!” sul sito della trasmissione: “Cari amici, sono di nuovo costretto a chiedere il vostro aiuto. Giovedì 23 settembre alle ore 21 è prevista la partenza di Annozero, ma la redazione è tornata al lavoro da poche ore e con grande ritardo, i contratti di Travaglio e Vauro non sono ancora stati firmati e lo spot che abbiamo preparato è fermo sul tavolo del Direttore generale. Tuttavia, se non ci sarà impedito di farlo, noi saremo comunque in onda giovedì prossimo e con me ci saranno come sempre Marco e Vauro. Vi pre-
e Carlo Tecce è una nuova legge in Rai che va oltre qualsiasi legge: non si muove foglia che Mauro Masi non voglia. Il direttore generale l’ha comunicato nella circolare del 24 agosto, poi affossata in consiglio di amministrazione, e insiste sulla linea editoriale dettata da un solo ufficio, il suo, e da una sola persona, se stesso. E così Masi continua a disseminare ostacoli e buche lungo il percorso, ormai ridotto, che porterà giovedì Michele Santoro in onda su Raidue.
go, come avete fatto con Rai per una Notte, di far circolare tra i vostri amici e tra le persone con cui siete in contatto questo mio messaggio avvertendoli della data d’inizio del programma. Nelle prossime ore vi terrò puntualmente informati di quanto avviene”. Perché le ore che mancano sono incerte. Dalla direzione di Raidue allargano le braccia: niente sappiamo, niente diciamo. E un po’ hanno ragione perché Masi ha commissariato i responsabi-
L’appello di Santoro ai telespettatori: “Avvertite gli amici che giovedì siamo in onda” li di rete, ormai s’arroga il diritto di selezionare ospiti e argomenti: ferma Carlo Lucarelli a Raitre, Filippo Rossi a Raidue e pratica ostruzionismo ovunque, almeno per altri due programmi sempre
Effetto traino. Il Tg1 in picchiata, perde 120 mila euro al giorno di spot di Carlo Tecce
inzolini costa alla Rai 120 M mila euro al giorno di mancati ricavi. Al direttorissimo va male la raccolta di firme in suo sostegno promossa dal giornalista Stefano Campagna, va malissimo l’ascolto del telegiornale e soprattutto i conti pubblicitari saranno dolorosi per l’azienda. Minzolini riduce le entrate Rai di 120 mila euro al giorno: un punto di share in meno vale 30 mila euro e il direttorissimo ne ha persi 4 a settembre. Il Tg1 batte se stesso in peggio: giovedì è sceso al 23,6 di share contro il 29,4 dell’anno precedente e da 6,6 milioni di spettatori a 5,4 milioni: vuol dire meno 5,8 punti, meno 1,2 milioni di italiani. NON BASTANO le difese d’ufficio dal direttore generale Masi né la copertura politica a ridurre – anche in soldoni – il crollo del Tg1: un giorno la Rai pagherà e quel giorno inizia ora. Perché da una settimana la Rai è in periodo di garanzia, tre mesi da settembre a dicembre, che disegnano la torta pubblicitaria, la forma e la grandezza
Il giornalista conduttore di Annozero, Michele Santoro (FOTO EMBLEMA)
della terza rete. A RAIDUE annunciano la conferenza stampa di Santoro per mercoledì mattina, la consueta presentazione ai giornalisti: per il momento hanno prenotato la sala di viale Mazzini, ma festeggiare un programma senza contratti, oscurato e sabotato sembra un paradosso. Santoro è pronto per l'attraversata dell'ultimo deserto, pieno di trucchetti ideati da Masi, ben spalleggiato da un’azienda
che non protesta e da un presidente Garimberti che, silente sul tema, addirittura segnala al direttore generale il “turpiloquio” di Maurizio Crozza a Ballarò. La cronaca è una riedizione aggiornata, e mica tanto diversa, dai dubbi dell’anno scorso: il contratto di Travaglio sì, forse, no e le scalette di Annozero (ospiti compresi) girati al mittente con strani pareri dell'ufficio legale. Contro l’ostruzionismo di Masi, e le tensioni da consumare sino al via, Santoro
L’ULTIMA PAROLA
LO SCOOP DI PARAGONE? LA SOLITA MONTECARLO
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ianfranco Fini è l’uomo scelto dal Dipartimento di Stato americano per far cadere il governo Berlusconi. Questo l’annunciatissimo scoop di Gianluigi Paragone per lanciare la prima puntata della nuova stagione di “Ultima parola”. Si accendono le luci in sala, gli ospiti sono già seduti: Vittorio Sgarbi, Pietrangelo Buttafuoco (ex militante missino, scrittore e giornalista di Panorama) Vittorio Feltri, Peter Gomez. In collegamento Lucia Annunziata ed Enrico Mentana. Presente anche Filippo Rossi di FareFuturoWeb, in forse fino all'ultimo. Prima invitato alla trasmissione poi estromesso. Ma dopo una nota di denuncia contro la Rai, pubblicata dallo stesso Rossi, viale Mazzini fa marcia indietro. Un bavaglio tentato. Per quaranta minuti la trasmissione si concentra sull'affaire Montecarlo. Feltri ne approfitta per annunciare l'ennesimo scoop su “Il Giornale”: il contratto di affitto dell'appartamento alla voce locatore e locatario portano la stessa firma, lui dice “di Giancarlo Tulliani”. Anche Buttafuoco insiste sulla casa monegasca, dicendosi indignato per il comportamento “amorale” di Fini che ha tradito la fiducia di tanti militanti del partito. “Giusto parlare di Montecarlo – interviene Gomez – ma perché nessuno parla della seconda carica dello Stato, Renato Schifani?”. Putiferio in studio.
cerca l'attenzione del suo pubblico, la mobilitazione e la voglia di Annozero che tradussero l’idea di Raiperunanotte in un esperimento di televisione del futuro. E Travaglio aspetta: “Sono fortemente in imbarazzo, tutti i giorni qualcuno mi chiama per avere notizie, ma io non so ancora nulla. Non sono preoccupato, ma incuriosito, anche perché domani volerò a New York per alcune conferenze e tornerò solo mercoledì”.
Paragone interviene e blocca tutto: “Non possiamo parlare di chi non è presente e che non può difendersi”. Eppure durante l'ora e passa di trasmissione, la voce del leader di Futuro e Libertà non s'è sentita, come fa notare Gomez in studio e Mentana dalla sede del tg La7: “Paragone guarda che in studio Fini non c'è”. Gomez continua: “Il fatto è che Schifani ha mandato un comunicato ufficiale per dire che era disposto a farsi sentire dai magistrati di Palermo, ma a parte il Fatto Quotidiano non l'ha ripreso nessuno. Perché Schifani è ancora sotto l'ombrello protettivo di Berlusconi. Fini no.” Va in onda un bel servizio realizzato da più inviati a Montecarlo. Con telecamere nascoste alla ricerca di Giancarlo Tulliani. I passaggi salienti del suo discorso a Mirabello vengono alternati alle immagini monegasche. Quando Fini parla del precariato giovanile ecco le immagini di Tulliani che lava la sua Ferrari. Lucia Annunziata invita alla calma: “Ricordo che qui si discute di una casa di 74 metri quadri e di una cucina che costa 4200 euro”. Dalle vicende familiari di Fini il passaggio al complotto internazionale è breve. Secondo la tesi presentata da Paragone, Berlusconi sarebbe scomodo per il governo americano che, per questo, avrebbe ordito alle sue spalle un complotto. Mentana per chiudere il collegamento scherza: “l'Unica cosa che riesco a seguire, di internazionale, in questo programma è la Nunez”. Ma Annunziata non ci sta “Non trovo corretto che si faccia un apprezzamento al corpo di Gaetano Pecoraro una donna”.
Il direttore del Tg1 Augusto Minzolini (FOTO ANSA)
delle fette da distribuire tra i due concorrenti: il servizio pubblico e la privata Mediaset. Con un’andatura a frenata il Tg1 perde un valore commerciale di oltre 200 mila euro a edizione serale considerando il listino Sipra, concessionaria pubblicitaria, 120 mila per avere una cifra più realistica. E come s’arriva all’allarme rosso? Il Tg1 delle venti è anticipato da un minuto di pubblicità venduto a 120 mila euro, poi appena finisce la sigla c’è un blocco da cinque minuti di 1,06 milioni di euro. In totale: il telegiornale delle venti ha un giro di affari
lordo – perché vanno calcolati sconti ai clienti abituali – di 1,26 milioni di euro. La Sipra è la concessionaria di viale Mazzini che vende spazi e programmi agli inserzionisti: mostra il prodotto con pregi, difetti e spettatori medi maturati nell’anno precedente, e applica un prezzo. Con i risultati di settembre – intorno al 25 per cento di share e mai sopra i 6 milioni di spettatori – il Tg1 di Minzolini ha un prezzo spropositato. Le conseguenze saranno visibili nell’autunno del 2011, quando la Sipra sarà costretta a tagliare del 20 per cento il co-
sto di una pubblicità del Tg1 perché il Tg1 di Minzolini ha smarrito un quinto dell'indice share del 2009 giovedì e poco meno in totale a settembre. Ricapitolando: ogni punto vale 30 mila e quindi Minzolini - che ne ha persi 4 a settembre - fa scappare dalla Rai 120 mila euro al giorno. Il crollo del Tg1 può condizionare l’ascolto dell'intera serata, frantumare l’effetto traino. Ma il conto verrà consegnato a viale Mazzini tra un anno, e la concorrenza di Enrico Mentana al Tgla7 è appena cominciata. Mentre Mediaset deve riportare a galla il
Tg5, fermo a ridosso del 20 per cento di share con 6 punti e 1,2 milioni di spettatori in meno in soli dodici mesi. Il professore Francesco Silitato del Politecnico di Milano spiega in parole i numeri e le cifre elaborate dal suo studio Frasi: “Il Tg1 sera occupa una posizione strategica nel palinsesto di Raiuno, la sua caduta può avere effetti rilevanti sulla prima serata e questo può causare un buco di decine di milioni di euro per il bilancio di viale Mazzini”. E il foglio di solidarietà per Minzolini è ancora mezzo vuoto: siamo intorno alle 70 firme su 170 giorna-
listi in organico. Ma nonostante il fiasco, il fedelissimo Campagna cerca la polemica con il Cdr per una nota letta in diretta contro il taglio ai telegiornali: “Minzolini non sapeva nulla della mia iniziativa, ma dovevamo replicare al comitato di redazione. Leggo il testo del documento: 'Il cdr, per l'ennesima volta, prende decisioni straordinarie senza specifico mandato della redazione, che si era pronunciata contro la cancellazioni di Tg che non è avvenuta. Chiediamo al cdr perché nel comunicato non ci sia un riferimento ai nuovi tg del mattino”.
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La Cgil alla Gelmini: deve intervenire per rimuovere i simboli
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nche il maggiore sindacato italiano scende in campo contro la scuola “padana” del paesino di Adro, nel bresciano. La Cgil-Flc (Federazione lavoratori della conoscenza), infatti, con una lettera di diffida al ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, chiede di “rimuovere il simbolo della Lega dalla
scuola di Adro. La scuola pubblica sottolinea il sindacato - deve continuare ad essere avamposto della integrazione, della interculturalità, dell’apertura ad ogni diversità e alle tante novità che attraversano il mondo”. Per il sindacato, “i simboli della Lega rievocano invece intolleranza , chiusure
localistiche e contrapposizione ai valori fondanti della nostra Costituzione”. Per questo “non ci potranno mai essere scuole padane - continua la lettera - , perché la scuola è della Repubblica italiana e devono continuare a sventolare la bandiera tricolore e quella dell’Europa: l'Italia è una e indivisibile”.
ONOREVOLI FIRME Adro, Idv e Pd hanno aderito al nostro appello Dai finiani un “sì” solo a titolo personale Dovete tutelare i nostri bambini Di seguito la lettera di 185 genitori della scuola di Adro. In tutto i bambini sono 750. “Com’è stato riportato ampiamente dagli organi d’informazione, gli edifici che costituiscono il nuovo polo scolastico e gli arredi ivi esposti recano diffusamente ed in evidenza il simbolo denominato “Sole delle Alpi”. È inconfutabile che il “Sole dell Alpi” compone il logo di un partito politico e che viene da tempo impiegato come distintivo di appartenenza a tale partito, nel quale si riconoscono gli amministratori locali attualmente in carica. Come cittadini siamo consapevoli che un’amministrazione della cosa pubblica costituzionalmente orientata deve garantire i diritti inviolabili dell’uomo, tra cui il pieno sviluppo della personalità umana, la libertà e l’uguaglianza. Come genitori ed educatori avvertiamo il dovere primario di perseguire e di far perseguire quell’ “interesse superiore del fanciullo” cui tanto spazio viene riservato nella legislazione nazionale e comunitaria, oltre che nelle convenzioni internazionali alle quali anche il nostro Paese ha aderito. In nome di tale interesse sentiamo di doverci adoperare perché i nostri bambini possano crescere con serenità, maturando autonomamente e con consapevolezza le proprie scelte personali ed an-
appello del Fatto ha fatto breccia: non solo tra i nostri lettori – oltre trentamila firme in due giorni – ma adesso anche in Parlamento. Abbiamo chiesto ai gruppi politici dell’opposizione (e non solo) di sottoscrivere la nostra richiesta: via i simboli della Lega dai muri, dai banchi, dai giardini della scuola elementare di Adro. E la risposta c’è stata. Aderiscono “con convinzione” Felice Belisario e Massimo Donadi, a nome dei gruppi di Camera e Senato dell’Italia dei Valori. Si uniscono al nostro appello per la “rimozione immediata dei simboli leghisti” e stigmatizzano “l’ignavia del ministro Gelmini che, pur di non urtare
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che politiche. Abbiamo scelto la scuola pubblica nella convinzione che possa garantire la formazione dei nostri figli e lo sviluppo della loro personalità. In tale prospettiva non possiamo restare indifferenti di fronte a iniziative che interferiscono con la loro educazione, anche solo inducendo una convinzione di appartenenza che non sia stata consapevolmente maturata. Non è certo pensabile che, come da qualche parte si è ipotizzato, coloro che non condividono le scelte amministrative locali in tema di edilizia scolastica ritirino improvvisamente i propri figli da un istituto - il cui corpo insegnante è valido - interrompendo la continuità didattica, per inserirli in un’altra scuola, in un altro comune. Ci chiediamo e Vi chiediamo se è lecito e legittimo, prima ancora che opportuno, che un edificio adibito a sede di scuola pubblica faccia ostentazione di un simbolo che nella prassi o nel sentire comune è identificativo di un partito politico, qualunque esso sia; se tale ostentazione sia compatibile e coerente con i valori garantiti dalla nostra Costituzione e con la prioritaria tutela dell’infanzia propugnata nel nostro Paese in ambito nazionale ed internazionale. Se così non fosse Vi chiediamo che nei Vostri ruoli istituzionali interveniate a tutela dei nostri bambini”.
la suscettibilità di uno degli alleati di governo, accetta che nella scuola pubblica possano entrare simboli di un partito, per di più xenofobo e razzista”. L’Italia dei Valori ha già presentato interrogazioni parlamentari sulla vicenda, punto più basso dei “danni insopportabili e insostenibili” che il governo Berlusconi “sta facendo nel settore della scuola”. ANCHE IL PARTITO democratico, attraverso un’interrogazione, ha chiesto al governo di chiarire cosa è successo ad Adro. E ora i capigruppo di Camera e Senato, Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, tornano a chiedere la cancellazione di
quei simboli assieme a noi: “Sottoscriviamo l’appello del Fatto Quotidiano perché quello che è avvenuto nella scuola di Adro – spiegano – nulla ha a che fare con il federalismo, che deve essere uno strumento solidale, di coesione sociale e democratico. Piegare una scuola pubblica alla pura propaganda politica è un fatto grave e sarebbe opportuno, come abbiamo già chiesto con un’interrogazione del nostro gruppo parlamentare, che il governo chiarisse quanto è successo”. Quella dell’Udc è una “sottoscrizione ideale”: li lascia “perplessi” firmare appelli dei giornali, perché i parlamentari hanno a disposizione “strumenti propri”. Ma
condividono lo spirito del nostro allarme: “Nessuno può permettersi di strumentalizzare e targare qualsiasi edificio finanziato con soldi pubblici, figuriamoci una scuola – spiega il deputato Udc Roberto Rao – Segnali del genere, per chi non ha capacità di discernimento, finiscono per diventare una imposizione subliminale, che già la Lega dovrebbe stigmatizzare, e a maggior ragione il ministro Gelmini. Resettiamo tutto, e mettiamo al bando le giustificazioni puerili, come quelle sul colore o sul simbolo casuale. Faremo la nostra parte – conclude Rao – non solo per condannare, ma per chiamare il governo alle proprie responsabilità”.
È l’ora della protesta contro il sindaco OGGI NEL PAESE BRESCIANO LA MANIFESTAZIONE PER RIMUOVERE I SIMBOLI DELLA LEGA di Elisabetta
Reguitti
ll’ inizio erano solo dodici. Si sono date appuntamento all’oratorio e hanno deciso di scrivere l’appello e raccogliere le firme. Stiamo parlando delle mamme che hanno sottoscritto e spedito il loro modo di intendere e vivere la Costituzione. Il risultato è stato grande e incoraggiante perché 185 firme di genitori sui 750 bambini che frequentano il polo scolastico di Adro non sono poche considerando che ci sono genitori che hanno due o anche tre figli iscritti.
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PARTIAMO QUINDI da queste firme per ricostruire la cronaca di ciò che sta accadendo in questi giorni. Prosegue il silenzio delle istituzioni compresi prefettura e ufficio scolastico regionale e provinciale. A parlare, invece, è stato il coordinatore provinciale del Pdl Viviana Beccalossi che oltre a dissociarsi dal gesto del
primo cittadino ha ufficialmente chiesto la rimozione da qualsiasi ambiente scolastico del “Sole delle Alpi”. Nel frattempo però il Fatto Quotidiano (a differenza di quanto sostiene il sindaco Lancini) ha dimostrato come la società editrice del La Padania lo abbia registrato come suo marchio identificativo. Bocche cucite, invece, sulla procedura dell’intitolazione a Gianfranco Miglio: nessuno ha mai visto l’autorizzazione. Per il resto sappiamo (come riportato da Il Fatto Quotidiano on line) che una mamma, Laura Parzani, figlia dell’ ex sindaco di Adro ha deciso di ritirare le sue due figlie dalla scuola. “Non voglio che ogni giorno venga sbattuto loro in faccia un simbolo che sta nelle segreterie di un partito”. Laura potrebbe non essere però l’ unica mentre pare che anche alcuni insegnanti stiano meditando di chiedere il trasferimento. Ma Adro c'è anche un’ opposizione politica (lista Linfa) che chiede trasparenza e correttezza nella gestione
dell’amministrazione pubblica. Tutto tace anche sulla questione, riportata da Il Fatto Quotidiano, che la Eredi Lancini (azienda di famiglia del sindaco) è stata condannata per non avere pagato l’ Ici dovuto. A STABILIRLO C’È la sentenza di condanna della Corte di Cassazione del 23 giugno scorso. Detto questo rimane l’ iniziativa di questa mattina: nata spontaneamente su Facebook sembra aver preso piede soprattutto tra le persone a dispetto dell’ appartenenza politica. Per fare in modo che quella scuola venga ripulita dalla tutta la simbologia leghista verranno esposte e appese bandiere tricolori. Nel frattempo pare che il sindaco sia stato diffidato dal fare ciò che aveva previsto: mettersi cioè in mezzo alla piazza con un gazebo per distribuire materiale sul polo scolastico. Tutto ciò accade mentre l’attuale ministro Umberto Bossi invoca: “Una capitale al nord”.
Italo Bocchino non se la sente di parlare da capogruppo di Futuro e libertà. Non firma la nostra iniziativa: “Per dire che non siamo d'accordo con quello che è successo ad Adro – spiega – usiamo gli strumenti parlamentari”. FIRMA INVECE, almeno “a titolo personale”, il deputato Enzo Raisi “perché l'unico simbolo che può stare nelle scuole italiane è il tricolore. Un simbolo che unisce e non divide”. Il deputato Benedetto Della Vedova, più che firmare, dice, “me lo autorivolgo”. È “d’accordo”, ma ammette, “più che un appello dovrei fare un’interrogazione”. L'ha già fatta il deputato Luca Bellotti, “e nessuno ne ha dato
conto”, dice: “C'è un atto depositato alla Camera, un’interrogazione in cui chiedo al governo di prendere posizione. È una cosa indegna che venga accettato un oltraggio del genere, solo per compiacere qualcuno, solo per non farlo arrabbiare. Dunque non posso che sottoscrivere il vostro appello, anche se ripeto, il mio dovere l’ho già fatto”. Il senatore finiano Maurizio Saia dice “assolutamente sì”: “Qualsiasi simbolo di partito – spiega – non deve entrare nella scuola. Anche noi nell'Msi discutevamo di come fosse abbondantemente superato il Ventennio, mi pare che stiamo tornando indietro”. pa.za.
Contro la “seces sione” oltre 30.000 “no” Quattromila commenti e passa alla nostra iniziativa sono arrivati al nostro sito. Lettori sconcertati, avviliti o desiderosi di avere un cenno dal mondo politico. Questa è una selezione è SILVANO BELLATO La Lega non può fare quello che vuole nella scuola pubblica, se ne frega della Costituzione e di fatto sta attuando la secessione, che è il vero scopo del federalismo. Aderisco fermamente al vostro appello. La gente del Nord deve svegliarsi, come fa a non accorgersi che la Lega racconta solo bugie? è PASQUALE Sto veramente perdendo la speranza che l’Italia possa
ritornare ad essere un paese civile… è LAURA Mia figlia (4 anni) è tornata a scuola. Le maestre ci hanno fatto un elenco di beni da portare come corredo: acqua, fazzoletti di carta, sapone liquido, carta igienica, tovaglioli. Ci siamo impegnati per l’acquisto di materiale didattico, di un telefonino e relativa scheda telefonica per permettere loro di chiamarci. E mi chiedo perché la Gelmini non pensi di porre rimedio allo stato vergognoso delle scuole pubbliche anziché lodare un’orda di idioti in preda a deliranti follie secessioniste! è ANGELO BADELLINO La cosa che più mi fa rabbia, è il
Sabato 18 settembre 2010
Da un debito (saldato) di 10mila euro, scoppia il caso dell’istituto Miglio
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conti fatti le famiglie morose delle quote mensa scolastica di Adro erano 28. Per un equivalente di circa 5 mila euro. Ma il caso scoppia in aprile dopo che l’imprenditore Silvano Lancini decide di fare un bonifico di 10 mila euro per saldare le quei debiti visto che il saldo della mensa era
positivo. L’altro Lancini (il sindaco Oscar Danilo) si era invece distinto per la presa di posizione del “non paghi, non mangi” e la conseguente consegna ai bambini di una lettera-avviso per le famiglie: “Al rientro alle lezioni dopo le vacanze di Pasqua non sarà più possibile la permanenza a scuola dell’alunno/a nell’orario dedicato alla mensa”.
Da oltre 30 anni il servizio pasti per gli alunni delle classi materne e primarie viene garantito da un’associazione di genitori presieduta gratuitamente da Giuseppina Paganotti. In estate è avvenuto il “passaggio di testimone” obbligato e quindi oggi la mensa viene gestita direttamente dall’amministratore co E.Reg.
CON IL PADRE MOROSO IL FIGLIO VA AFFAMATO
Gerenzano, niente mensa scolastica agli alunni con genitori insolventi di Chiara Paolin
on c'è due senza tre. Dopo Adro e Montecchio Maggiore (Vicenza), anche Gerenzano, nel Varesotto, ha pensato di salvare il proprio bilancio tagliando i pasti ai bambini i cui genitori hanno problemi nel saldare la retta della mensa scolastica. Basta una distrazione, un buco di pochi euro: “L'utente che accumulerà un debito di 40 euro - si legge nella circolare inviata per il nuovo anno scolastico all'istituto comprensivo del paese - non potrà più utilizzare il servizio di ristorazione e, conseguentemente, il genitore dovrà ritirare dall'istituto scolastico il proprio figlio durante il tempo mensa”. Per far capire meglio l'antifona, a maggio alcuni bimbi, figli di genitori insolventi, avevano ricevuto per pasto un panino. Una punizione una tantum, che adesso diventerà sistema: “I debiti dei genitori hanno toccato quota 12mila euro - ha spiegato l'assessore all'Istruzione Elena Galbiati -. Una situazione insostenibile, anche perché le famiglie a basso reddito vengono già aiutate". In concreto sono 163 genitori in ritardo con i pagamenti:
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La scuola e il sindaco del Carroccio In alto a sinistra, il primo cittadino di Adro, Oscar Lancini; nelle due foto grandi l’istituto “Gianfranco Miglio” al centro delle polemiche per i simboli legati all’universo Lega del quale è disseminato
SULL’ATTENTI! Il Prefetto fa gli onori alla Biciclettata padana opo le sfilate di miss in fascia verde e la Bernocchi del Partito democratico, il viDarrivati scuola con il “Sole delle Alpi”, sono cesindaco Bruno Tagliati e Franca Biglio, anche i ciclisti leghisti guidati da presidente dell'Associazione nazionale uno sportivo d'eccezione: il senatore padano Michele Davico, sottosegretario degli Interni e braccio destro di Roberto Maroni. Partita dal Monviso, la prima "Biciclettata Padana" ha fatto tappa a Bra dove Davico è stato assessore alla cultura e all'istruzione, per dirigersi poi nel Pavese, passando per Mantova e Pizzighettone. Meta finale: la "Festa dei Popoli Padani" organizzata dalla Lega Nord. E se a Venezia sono stati accolti dal ministro e leader della Lega Nord Umberto Bossi, a Pizzighettone a dare il benvenuto a Davico e alla cinquantina di ciclisti con tanto di maglietta e pantaloncini griffati con lo stemma del “Sole delle Alpi”, c'erano il prefetto, Bruno Tancredi di Clarafond, il viceprefetto Emilia Giordano, il primo cittadino della cittadina cremonese Luigi
fatto di essere preso in giro da persone che come pecore, seguono dei politici che fanno dell’odio e dell’intolleranza la base di tutte le loro decisioni. è ANTONIO E il capo dello Stato che dice? è LIDIA SERRAU Penso a ciò che mi hanno insegnato i libri di storia e mi inorridisce guardarmi attorno e scoprire che non abbiamo capito niente. è ANTONIO IMPERATORE Fanno tutto ciò che vogliono. Gli si concede tutto. Che la smettano!!! è MIKLOS Una cosa è mettere il simbolo all’ingresso della scuola, un’altra
piccoli comuni italiani e vicesindaco di Marsaglia. Impeccabile il prefetto Bruno Tancredi di Clarafond ha predisposto al seguito della carovana un servizio d'ordine con diverse pattuglie della polizia stradale. Prima di ripartire foto di rito e scambio di doni: il sindaco del Pd ha ricevuto in omaggio dal senatore Davico la casacca verde del team dei ciclisti padani. A dar "fastidio" alla festa solo Franco Bordo, consigliere comunale di Sel che in una lettera pubblica ha manifestato dissenso: "Chi ha un ruolo di garanzia e di rappresentanza istituzionale super partes, come il prefetto non può e non deve partecipare a una manifestazione di partito. Anche questo episodio la dice lunga in merito alla deriva democratica del noAlex Corlazzoli stro Paese".
è tappezzare la scuola stessa di questo simbolo. Io trovo solo una parola per descrivere ciò: indottrinamento delle masse! E la cosa più vergognosa è che è stata fatta su menti “vergini e indifese”, quelle dei bambini. è FABRIZIO CICCARELLI Tutte le dittature iniziano così, come ad Adro. Se fosse vivo mio nonno, ucciso dai tedeschi nel 1944, direbbe non la stessa cosa, ma chissà quante altre nefandezze avrebbe da raccontare. Ormai non credo più si possa tornare alla normalità, almeno non credo di poterlo vivere anche io questo ritorno alla normalità, anche se oggi ho ancora 40 anni. è GIOVANNI Siamo già alla secessione!!! I
“camerati”, sempre così patriottici, non hanno nulla da dire??? è LUIGI Oramai sono come un fiume in piena, e adesso stanno rompendo pure gli argini. è TITO AMBRUOSI Possibile che le ISTITUZIONI e le varie forze di opposizione fanno finta di non vedere oppure sono talmente ciechi che non vedono la realtà che li circonda. Se così fosse poveri noi in quali POLITICI siamo cascati!!! è GIUSEPPE CAPUANO Volevamo una scuola di tutti, libera da condizionamenti, (crocifisso compreso) ed ora siamo punto e a capo come all’epoca del fascio
Nel comune amministrato dal Carroccio già a maggio alcuni bimbi erano stati puniti con un panino
avranno tempo fino al 30 settembre per saldare i dovuto, poi scatterà la ritorsione alimentare. Qualche mamma si è detta vagamente preoccupata per la scelta del primo cittadino: “Il problema dei debitori colpisce anche chi come noi paga ogni mese regolarmente – ha dichiarato al quotidiano La Provincia di Varese Stefania Restelli, del Comitato genitori –. Ma non vorrei che così si danneggiassero i bambini che non hanno colpa”. Anche in questo caso, a concepire il geniale meccanismo è stato un esponente della Lega Nord, Silvano Innocente Garbelli. Uno che, appena eletto, ha fatto approvare in blocco dal consiglio comunale le sue linee programmatiche: “La cosa più importante da sottolineare è che la Lega Nord per l'indipendenza della Padania, ha deciso di presentarsi da sola a queste elezioni
L’OLTRAGGIO DI ADRO, APPELLO DE “IL FATTO” Sono oltre 30.000 le adesioni al nostro appello. Continuate ad aderire. Ecco il testo: ad Adro in provincia di Brescia, una scuola della Repubblica Italiana è stata trasformata in un istituto padano e ricoperta dai simboli leghisti su ordine di un sindaco che ha potuto contare sulla colpevole indulgenza del ministro dell’Istruzione Gelmini. Un sopruso e un oltraggio. Davanti all’inerzia delle pubbliche autorità che preferiscono girare la testa dall’altra parte chiediamo l’immediata cancellazione di quei simboli tracciati con intenti secessionisti e in evidente spregio al principio costituzionale della Repubblica una e indivisibile. sul sito www.ilfattoquotidiano.it
è CARLO Chi ha autorizzato l’uso di un nome del genere in una scuola pubblica? Il Prefetto ne sa qualcosa? E’ veramente tutto regolare? La Corte dei Conti non potrebbe vederci un pò chiaro? La Finanza non potrebbe fare un’indagine a tappeto tra gli eroici donatori che magari sono pure evasori. Trattandosi di leghisti la cosa non mi sorprenderebbe.
coscienza agostino lamanna come a Venezia il 12 settembre per l’invasione leghista abbiamo esposto il tricolore … basta con l’arroganza e le prevaricazioni
è SERGIO NOTARIO Sono un vostro lettore quotidiano, non abbonato perché amo acquistare i giornali all’edicola. Vi seguiamo,la mia compagna ed io dal primo numero ne non ne abbiamo perso uno. Continuate così.
è MICHELE L’Italia così non va avanti, anzi, torna indietro di 100 anni per ogni imbecille che fa queste cose!
è VITA ARENA E’ uno schifo , la scuola dovrebbe essere libera e priva di sponsor….. la lega dovrebbe farsi un profondo esame di
per mantenere quella coerenza, correttezza, chiarezza e trasparenza che dimostra oramai da 13 anni”. Uno che si prende cura dei suoi concittadini segnalando puntualmente il pericolo. Si legge sulla bacheca on line dell’amministrazione di Gerenzano: “Nelle scorse settimane in Comune sono giunte alcune segnalazioni. Una donna, con accento straniero, telefonava presso le abitazioni dicendo che era in corso una raccolta di soldi (15 euro) per un’iniziativa del Villaggio Amico di Gerenzano. Spiega il vicesindaco Pier Angela Vanzulli: “Al Villaggio Amico nessuno sapeva nulla, era un evidente tentativo di raggiro. Abbiamo fatto subito stampare dei volantini e messo un avviso sul tabellone luminoso che c’è in piazza”. Chissà se c’era scritto che la donna aveva un accento straniero.
è ANTONIO MISURELLI Hanno distrutto L’Italia. Il Nord è in mano ai leghisti, il Centro ed il Sud in mano ai piduisti, ai mafiosi ed ai corrotti. Siamo messi proprio male.
è ANTONIA GRIGETTI Stanno costruendo uno stato che non c’è, gli hanno dato un nome e una bandiera, e noi non dovremmo nemmeno piu’ nominarla, La Padania è SOLO un quotidiano, con tutto il rispetto per i quotidani s’intende.. e NON deve
esistere nelle nostre teste, non dobbiamo accettare qst nome perchè qst ci portera’ a non urlare se un giorno ci alzeranno intorno un muro di cinta.. E’ gia’ successo, è il popolo vigile che deve ribellarsi, scardinando mattione dopo mattone qst muro che gia’ sta nascendo nelle nostre teste, già nominarla significa ammetterne l’esistenza. è LUCILLA PELLEGRINO Che brutto momento è SILVA MOTARAN Sono contraria a una esibizione dei simboli sia religiosi che politici nei luoghi pubblici è MARIO MOTTI Un baluardo dell’informazione e dell’azione civica in un immenso oceano di interessi perversi ed anticostituzionali… il Fatto quotidiano! Bravi e coraggiosi, vi sostengo e vi do voce. Grazie di esistere.
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Sabato 18 settembre 2010
PADANIA LADRONA
REGALO DI STATO ALLA “SCIURA” BOSSI
Per la scuola della moglie del senatur conti in rosso fino al 2008, poi da Roma sono arrivati i “verdoni” di Vittorio
Malagutti Varese
a scuola della Lega? Un successone. “Quest’anno abbiamo superato i 300 alunni iscritti. Un record”. È contento, contentissimo Dario Specchiarelli, presidente della cooperativa che gestisce asilo, elementari e medie nate e cresciute nel segno del “Sole delle Alpi”. Solo che qui, nella scuola leghista di Varese, quella doc, quella benedetta da Umberto Bossi e diretta da sua moglie, la maestra Manuela Marrone, non c'è proprio traccia di simboli di partito. Adro? “Fatti loro”, si scalda Specchiarelli. Di certo il business viaggia alla grande. Nel 2009 la scuola ha festeggiato il primo bilancio in utile. Poca cosa, duemila euro e spiccioli. Ma nel 2008 i conti erano in rosso di quasi 500 mila euro su un milione di ricavi. Stessa musica nel 2007 e nel 2006: bruciati in perdite più della metà degli incassi. Di questo passo la scuola sarebbe stata costretta a chiudere i battenti, a meno di trovare ogni anno nuovi generosi sostenitori.
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Niente paura, i soldi alla fine sono arrivati, come hanno raccontato i giornali già nel luglio scorso. Soldi pubblici: 800 mila euro stanziati dal Parlamento con la famigerata legge mancia, ovvero la distribuzione di finanziamenti a pioggia a favore delle più disparate iniziative sponsorizzate da deputati e senatori. Attenzione però, il denaro destinato alla scuola leghista è diventato di fatto un regalo alla signora Bossi con i suoi due sodali. E cioè l’ex senatore (ovviamente leghista) Dario Galli, da due anni presidente della provincia di Varese nonché consigliere dell’azienda pubblica Finmeccanica, e il già citato Specchiarelli. Sono loro, infatti, assieme all'Associazione Bosina e all'omonima Associazione Bosina onlus, gli unici iscritti a libro soci della cooperativa “Scuola Bosina”, che gestisce l’istituto varesino. NEGLI ANNI scorsi questi volonterosi cooperatori hanno fatto fronte alle perdite di tasca loro. Tra il 2006 e il 2009, la coop ha perso la bellezza di un milione e 320 mila euro su due milioni e 360 mila euro di
TREVISO
RISTORANTE AI VENETI ZAIA: “QUI NON MANGIAMO STECCHINI CINESI” di Erminia
Della Frattina Treviso
ai visto qui i cinesi che fine fanno?“. Luca Zaia indica “H il bancone del bar con ogni ben di Dio: panini, mortadella, pizzette, tutta roba rigorosamente “made in
La scuola Bosina di Varese
incassi. La signora Bossi, intestataria di 200 quote su un totale di mille che costituiscono il capitale sociale, è stata chiamata a fare la sua parte sborsando oltre 250 mila euro in quattro anni. Stesso discorso per Galli e Specchiarelli, pure loro proprietari di 200 quote ciascuno. Insomma, un pessimo affare. Almeno fino a quando non si è aperto il paracadute di Stato. Da Roma ladrona sono arrivati 800 mila euro
che hanno salvato il conto in banca degli educatori con la camicia verde. Il contributo è spalmato su due anni (300 mila retrodatati al 2009 e il resto per il 2010) ed è passato in Parlamento sotto la voce “ampliamento e ristrutturazione”. Dei lavori per il momento non c’è traccia all’esterno del palazzo che ospita la scuola. Ma i soci padani, questo è sicuro, non dovranno aprire il portafoglio.
Veneto”. Per essere sicuro apre un panino: “Guardate, è porchetta trevigiana, altro che stecchini cinesi”. Ma perché il governatore inaugura un bar in un paesino del Trevigiano? Semplice: il bar “è stato strappato”, come dice lui, a una famiglia di cinesi, marito e moglie, che avevano rilevato l’attività un anno fa. Ora il locale, “Il Girasole” di Quinto di Treviso, torna in salde mani venete. “Il saké è finito – insiste Zaia – qui si serve Prosecco”. L’anonimo bar lungo la statale che da Noale arriva a Treviso diventa famoso per un giorno. Arriva il sindaco, si taglia il nastro e poi la mortadella. “La signora Paola è un eroe”, si gonfia Zaia. È Paola Durigon, la nuova proprietaria del bar. “Un esempio in controtendenza”, gli fanno eco le tante giornaliste col microfono, che sui cinesi ricalcano gli stereotipi classici: “Ma è vero che quando hanno comprato il locale sono arrivati con la valigia piena di contanti?”. Persino la vecchia proprietaria, che ora è socia di Paola (l’eroe) si stupisce: “Hanno fatto una transazione con la banca, proprio come faremmo noi”. SI STAPPANO le bottiglie e Zaia continua con le sue perle: “Abbiamo fermato l’invasione cinese”, evviva. La signora Paola si concede qualche apprezzamento sulla gestione cinese: “Erano in crisi perché loro con la pulizia non ci sanno fare, erano sporchi”. Si galleggia in un mare di vino e fazzoletti verdi nel taschino. Zaia ripete come un disco rotto: “Basta saké”. La propaganda leghista è fatta così: si gonfia come il gonfalone di San Marco con il Leon che magna il terron (e i cinesi) e le sparate sul fisco. Chiedono i giornalisti: “I cinesi non pagavano le tasse, ma la nuova proprietaria le pagherà?”. Risposta di Zaia: “Sfatiamo questo mito, al nord le tasse si pagano, ma solo quelle giuste”. Ce ne sono anche di sbagliate, per Zaia.
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CRONACHE
TRANS-MOBBING
Un’operaia annuncia di voler cambiare sesso Insulti e violenze la spingono al suicidio
Un’immagine del Gay pride di Genova (FOTO ANSA) di Silvia D’Onghia
anno cominciato facendomi trovare l’immondizia nell’armadietto, o spegnendomi la luce mentre andavo in bagno, o riempiendomi d’acqua gli stivali. Poi sono arrivate le lettere di richiamo e gli insulti anche durante l’orario di lavoro”. Episodi che potrebbero annoverarsi come (pesante) mobbing aziendale, se non fosse che la persona coinvolta è transessuale, ha 35 anni e, dopo cinque anni di angherie, ha tentato di togliersi la vita.
“H
LA CHIAMEREMO S. e diremo che lavora in un’azienda casearia della provincia di Latina. “Una quarantina di persone alla produzione – ci racconta – più una quindicina di impiegati”. Un
ambiente che S. conosce bene, lavorando lì da dieci anni. “Cinque anni fa ho ottenuto di essere messo in regola, e subito dopo – come una sciocca – ho comunicato alla caporeparto e alle colleghe di voler cambiare sesso”. Già, perché S. ha cominciato il difficile percorso del cambio di identità, da donna a uomo. Ed è stato in quel momento che sono iniziati i soprusi. “Le altre operaie, sette o otto, mi facevano ogni genere di scherzi – prosegue S. – mi hanno messo l’acqua negli stivali, o l’immondizia nell’armadietto. Quando andavo in bagno, mi spegnevano la luce. Oppure mi costringevano a cambiarmi in corridoio, impedendomi l’accesso allo spogliatoio. Ma durante le ore di lavoro mi lasciavano ancora in pace”. Certo, S. si sentiva dire “vedrai, un po’ alla volta ti faremo impaz-
zire”, o si sentiva chiamare “transformer”, o veniva completamente isolata durante il pranzo. “Ma bastava che mi lasciassero lavorare in pace”. POI, INVECE, questa linea sottile si è interrotta. Ed è cominciato l’inferno vero, per mano
S. lavora da 10 anni in un’azienda casearia Lunedì ha tentato di togliersi la vita
delle stesse operaie e del direttore dello stabilimento: “Nel 2008 ho ricevuto una serie di lettere di richiamo, alle quali, però, non è seguito alcun provvedimento. Hanno provato a raccogliere le firme contro di me. Mi insultavano definendomi ‘mezza lesbica, mezzo frocio’. Più volte sono arrivati a malmenarmi”. Cinque anni di soprusi, cattiverie, violenze. S. non ce l’ha più fatta. Lunedì scorso ha tentato di togliersi la vita, l’ha fatto in quella stessa azienda, alla presenza di quelle colleghe e di quei dirigenti che quella vita l’hanno resa un calvario. Si è tagliata i polsi con un taglierino. Ma neanche questo li ha fermati. L’hanno spintonata fino all’uscita dello stabilimento, nonostante perdesse molto sangue. Sono stati gli operai di un’azienda vicina a prestarle soccorso e ad accompagnarla all’ospedale Santa Maria Goretti di Latina. S. è viva, ma la sua voce è flebile. La paura – si avverte – è ancora tanta. S. ha scelto di rivolgersi, affiancata dalla sua famiglia, all’ufficio legale della Gay Help Line dell’Arcigay, per denunciare quanto accaduto e per chiedere assistenza. “La vicenda merita l’immediata attenzione dell’autorità giudiziaria – dichiara l’avvocato Daniele Stoppello, responsabile dell’ufficio legale – perché risultano violate tutte le normative che tutelano le persone lesbiche, gay e trans nei luoghi di lavoro”. “QUESTO EPISODIO mostra in modo drammatico – afferma Fabrizio Marrazzo, presidente di Arcigay Roma e responsa-
bile di Gay Help Line – una condizione lavorativa assurda, disumana e inaccettabile e dimostra la necessità di norme severe che contrastino l’omofobia e la trans-fobia. Il lavoro per le persone trans rappresenta una vera e propria emergenza sociale. Il nostro numero verde riceve moltissime segnalazioni e denunce di chi, dopo aver iniziato un percorso di transizione, subisce episodi di mobbing, perde il proprio impiego e non sempre riesce a trovarne un altro. Una realtà dolorosa e complessa perché espone moltissime persone al racket, allo sfruttamento, al mercato del lavoro nero o, come in questo caso, al suicidio”. Naturalmente, una volta circolata la storia di S., il teatrino della solidarietà si è messo in moto. Un fatto “inaccettabile”, lo ha definito la Governatrice Renata Polverini: “Mi auguro che oltre alle autorità giudiziarie, anche i vertici dell'azienda facciano tutte le necessarie verifiche affinché le norme anti-mobbing siano rispettate ed episodi di questo genere non si ripetano”.
Quando si è tagliata le vene nello stabilimento, nessuna delle colleghe l’ha soccorsa
Il ritorno involontario di Marrazzo on c'è pace per Piero MarNla Natalie, razzo e neppure per la bella trans dello scandalo che ha travolto la sua carriera politica. Da tempo l'ex governatore del Lazio cerca di farsi dimenticare, nascosto nel suo ufficio, sede Rai di via
Teulada, dove è tornato al vecchio mestiere di giornalista con la qualifica di direttore e incarichi che nessuno conosce. Non sempre ci riesce e di tanto in tanto i giornali tornano a occuparsi di lui. Come l'altra notte quando, nei pressi di via Due Ponti, una pattuglia della stradale lo ha ferma-
MEDIASET
IMMAGINI SGRADITE immagine non è adatta ai bambini. E non quella di velone, veline, meteorine e donnine semi-nude che affollano i programmi televisivi. Quella che i bambini non devono vedere è una normale signorina, vestita in maniera sobria, che per mestiere fa la truccatrice, proprio in tv. E che fino a un anno fa era un uomo. Lunedì scorso si è presentata come al solito al lavoro: avrebbe dovuto truccare i bambini del programma di Gerry Scotti “Io canto” (Canale 5). Ma la sua presenza non era gradita. “La tua immagine turba i bambini”, si è sentita dire. Spostata ad altro incarico, non certo licenziata. Ma la sostanza cambia poco. E la cosa ugualmente incredibile è che il quotidiano “Libero”, che pure racconta l’accaduto, lo minimizza: “Scelta legittima – scrive Francesco Borgonovo – Qualcuno dei più piccoli può aver orecchiato che quella signorina fino a poco tempo fa era un signore. E poi è tornato a casa ponendo domande imbarazzanti a mamma e papà”.
L’
to per eccesso di velocità. Marrazzo era a bordo di una Lexus – ha sempre avuto una guida sportiva – e alla fine se l'è cavata con una multa da 76 euro non avendo con sé il libretto di circolazione e neppure il tagliando assicurativo. Attorno alla mezzanotte si è scusato con gli agenti. Tutto normale, se non fosse per il nome della strada imboccata troppo velocemente: via Bruni è una traversa di via Due ponti. Duecento metri più in là il 20 gennaio 2009 è morta asfissiata, nell'incendio del suo monolocale, Brenda, l'amica del cuore di Natalie, presunta protagonista di un video a tre, dove sarebbe comparso anche Marrazzo. Se ne è molto parlato, ma il video non è mai stato trovato. Due mesi prima era morto Gianguarino Cafasso, il pusher dei trans stroncato da un'overdose di eroina purissima. Morti misteriose che ruotano attorno all'affaire Marrazzo. Storie di uomini di potere e transessuali, incontri proibiti di cui poi riferiscono ai carabinieri per costruire dossier da tirare fuori al momento giusto. Sul tavolo del procuratore aggiunto Capaldo ci sono ancora due fascicoli aperti in cui si ipotizza il reato di omicidio. Storia terribile e senza fine. Perché Marrazzo torna in via Due Ponti? Un quotidiano ro-
mano ha sbattuto in prima pagina la notizia, senza altri commenti, quasi racchiudesse in sé tutte le allusioni possibili. L'avvocato Luca Petrucci reagisce con stupore: “Sinceramente della multa non so nulla, ma qualcuno dimentica che Marrazzo vive a Colle Romano e che per tornare a casa da piazzale Clodio, dove lavora, deve passare per forza in via Due Ponti. Anche io faccio quella strada”. È una scorciatoia. Per una sorte di contrappasso lo stesso giorno si è tornati a parlare di Natalie. Blitz in via Gradoli, la strada dei misteri di Roma, dove tutto cominciò il 3 luglio 2008 quando i carabinieri della compagnia Trionfale fecero irruzione in casa del trans sorprendendo Marrazzo in mutande. La stessa notte della multa in via Due Ponti, le forze di polizia sono tornate in via Gradoli con l'obiettivo di identificare extracomunitari e inquilini senza contratto di affitto. Ma alcuni agenti hanno fatto una capatina anche in casa di Natalie e lei ha dato in escandescenze. Poi ne ha approfittato per rilasciare interviste. Storia terribile e senza fine. Il cadavere di Gianguarino Cafasso è stato riesumato alla fine di agosto. Nessuna certezza sulla morte di Brenda, ma su quella del pusher la Procu-
RICICLAGGIO
Di Girolamo patteggia 5 anni
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inque anni e quattro milioni e 700 mila euro da restituire: questa la pena patteggiata dall’ex senatore Pdl Nicola Di Girolamo, coinvolto nell’inchiesta su un riciclaggio internazionale da due miliardi di euro. L’ex parlamentare era stato raggiunto da una ordinanza di custodia cautelare per associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio effettuato a livello internazionale e, con riferimento alla sua elezione a senatore con il voto degli italiani all'estero, per violazione della legge elettorale e per scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso: la sua elezione sarebbe stata ottenuta grazie a un broglio realizzato dalla famiglia della ‘ndrangheta Arena. Di Girolamo, da ieri ai domiciliari, è stato l’unico a collaborare: oltre ad aver svelato il meccanismo della frode fiscale di alcuni ex dirigenti di Fastweb e Telecom Italia Sparkle, con la regia dell'imprenditore napoletano Gennaro Mokbel e di alcuni suoi stretti collaboratori, ha anche parlato dell'affare Digint, società del gruppo Finmeccanica e che (sospettano gli inquirenti) serviva per creare fondi neri all'estero.
TRADIZIONI
Bimbi spaventati dal burqa
L’EX GOVERNATORE FERMATO DALLA STRADALE. PROSEGUE L’INCHIESTA SUI CARABINIERI di Rita Di Giovacchino
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A
ra di Roma non ha dubbi. Gianguarino sapeva troppe cose, forse ricattava i carabinieri della compagnia Trionfale. In tre sono finiti in carcere con l'accusa di avergli volutamente fornito una dose di eroina, al posto della cocaina di cui era abituale consumatore. Lo scopo? Eliminare un testimone scomodo. In carcere è rimasto soltanto il maresciallo Nicola Testini, gli altri due hanno ottenuto gli arresti domiciliari. Sono in corso nuove perizie tossicologiche. Fra una ventina di giorni avremo una risposta, ma non è detto che bastino a fugare tutti i dubbi. Forse quando la notte torna nella villa di Colle Romano, dove ormai vive solo da quando la moglie se n'è andata, sarà meglio che Marrazzo eviti di tagliare per via Due Ponti e raggiunga la Flaminia. La sua storia ha lasciato aperte troppe ferite.
Sonnino, in provincia di Latina, è scoppiato il caso burqa. Alcuni genitori della scuola materna protestano infatti contro la mamma di un bimbo, marocchina, moglie dell’imam della moschea di Priverno, che accompagna il figlio a scuola indossando il burqa. “Non abbiamo nulla contro di lei e le sue tradizioni – spiegano le altre mamme – ma mette paura ai bambini. Le chiediamo solo di scoprirsi il volto all’interno dell’istituto”. Inutili, finora, le rassicurazioni del marito: “Questo è un abito della nostra tradizione, non avete nulla da temere”. “Spero che non ci sia bisogno di un’ordinanza anti burqa”, ha commentato il sindaco del paese, Gino Cesare Gasbarrone. “Con il dialogo, sono certo – ha proseguito il primo cittadino – che si potrà far capire alla signora che, nel momento in cui i bambini risentono di questa cosa e manifestano un disagio, è necessario ragionare insieme e trovare una soluzioni condivisa”.
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Un costo per lo Stato di 125 miliardi ogni anno
L’
ECONOMIA
ammontare delle risorse sottratte ogni anno alle casse pubbliche ha raggiunto “cifre sbalorditive”, valori molto superiori a 125 miliardi. E il sommerso ha registrato un grande balzo: l'incremento è bruscamente accelerato nel 2009, tanto che il suo peso ha oltrepassato il 20 per cento del Pil. Lo sottolinea il Centro
Studi Confindustria nel Rapporto “Le sfide della politica economica per rafforzare la crescita italiana”, pubblicato giovedì. Secondo Confindustria la presenza del sommerso è “al Sud pari al doppio che al Nord”. A causa dell'evasione anche la pressione fiscale effettiva (cioè quella sopportata da chi paga le tasse), prosegue il Csc, va rivista al rialzo e posta
sopra il 54 per cento nel 2009, contro il 51,4 per cento indicato a giugno e il 42,2 per cento di quella apparente contenuta nei documenti ufficiali. I settori con maggiore concentrazione di evasione, conclude il Csc, sono “l’agricoltura e i servizi, mentre molto meno rilevante è il reddito sottratto al fisco nell'industria in senso stretto”.
Fuori da Confindustria chi paga il pizzo ma non chi aggira il fisco. Ecco perché LA VANA DENUNCIA DELL’EVASIONE “SBALORDITIVA”
Una manifestante protesta contro l’evasione fiscale. Sotto, Emma Marcegaglia (FOTO ANSA) di Stefano
Feltri
a Nord a Sud la Confindustria è d’accordo: l’evasione fiscale è un problema, simile a quello della criminalità organizzata. Alberto Meomartini, presidente degli industriali milanesi, ripete spesso che “Assolombarda è stata la prima associazione territoriale a firmare il patto contro le interferenze della criminalità organizzata, ora dobbiamo concentrarci contro la crimi-
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nalità disorganizzata, come quella degli evasori”. E in Confindustria Sicilia si è passati a misure concrete, con l’espulsione degli imprenditori che pagano il pizzo alla mafia. “Fenomeni come la corruzione, pizzo e l’evasione hanno un punto in comune, creano distorsioni sistematiche del mercato”, dice al Fatto Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia. E allora perché Confindustria espelle chi paga il pizzo ma non chi evade il fisco?
LA RISPOSTA richiede una premessa. Il grosso dell’evasione (che costa allo Stato 125 miliardi, secondo il Centro studi degli industriali) avviene nell’agricoltura, nell’edilizia, in parte nei servizi. Le imprese industriali non sono immacolate, semplicemente hanno più difficoltà a evadere (la Fiat non può vendere le auto in nero, per esempio) e quindi cadono nella tentazione dell’elusione più che in quella dell’evasione. Cioè fanno operazioni societarie legali con il solo scopo di pagare meno tasse. “L’elusione è l’evasione dei ricchi”, riassume Vincenzo Visco, viceministro delle Finanze nel governo Prodi, a cui Confindustria ha riconosciuto di essere stato più efficace nella lotta all’evasione dell’attuale ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. “L’associazione potrebbe anche valutare sanzioni per chi evade, ma non è tanto quello il problema quanto l’elusione”, dice Visco che dai tempi della presidenza di Confindustria di Giorgio Fossa non ricorda prese di posizione sull’elusione, mentre riconosce che “già durante i quattro anni della gestione Montezemolo e soprattutto nelle ultime settimane si nota una svolta, con queste forti prese
di posizione pubbliche contro l’evasione”. LA CONFINDUSTRIA non sanziona chi evade per altre due ragioni. Come si decide chi è colpevole di evasione? “Non sempre una transazione con il fisco è sufficiente per stabilire la colpevolezza”, sostiene Lo Bello. Altrimenti Emma Marcegaglia si troverebbe in imbarazzo (se per l’evasione ci fossero sanzioni analoghe a quelle contro il pizzo) con buona parte dei suoi vertici associativi, a cominciare dal
Vincenzo Visco: “Potrebbero valutare sanzioni per i furbi, ma gli industriali sanno usare mezzi legali”
“Confindustria sta diventando molto polemica e incisiva sull’evasione”, assicura comunque Visco. Anche se in molti ricordano le dichiarazioni recenti della Marcegaglia sullo scudo fiscale che “era un male necessario che auspichiamo possa far affluire risorse anche per la capitalizzazione delle imprese” (cosa che non è successa). E anche il direttore generale dell’associazione, Gianpaolo Galli, ha contestato questa estate parte delle norme anti-evasione presenti nella manovra, come il divieto di com-
pensare debiti e crediti verso lo Stato (“il meccanismo era diventato un bancomat”, dice Visco) e sulle sanzioni da pagare prima che il contenzioso con l’Agenzia delle entrate sia chiuso. “Se vengo obbligato ad anticipare al Fisco somme che poi nella maggioranza dei casi risulteranno non dovute, questa non è lotta all’evasione”, spiegava Galli a luglio. “Almeno adesso si discute di lotta all’evasione invece che di condoni, che sono la legittimazione dell’evasione”, dice l’ottimista Ivan Lo Bello.
FINCANTIERI a Napoli
CARICHE DELLA POLIZIA CONTRO I LAVORATORI
vicepresidente John Elkann che potrebbe dover pagare con la sua Exor parte della sanzione per i soldi custoditi all’estero da suo nonno, Gianni Agnelli.
I CONTI DELL’AZIENDA
MARCEGAGLIA FA L’UTILE A SPESE DEI FORNITORI di Giovanna Lantini Milano
rima le banche e poi i forPMarcegaglia, nitori. Si usa così in casa dove per ora non si tagliano i dipendenti e dove la riottosa Fiom è considerata un interlocutore qualificato. Ma andiamo con ordine. Al 31 dicembre 2009 i debiti con i fornitori del gruppo siderurgico della famiglia del presidente di Confindustria rappresentavano il 35 per cento dei 2,14 miliardi di euro fatturati lo scorso anno. Una percentuale consistente, soprattutto se messa a confronto con il 2008, quando la somma ammontava al 18 per cento circa di un fatturato di 3,76 miliardi. Nel dettaglio, a fine 2009 la Marcegaglia Spa aveva in totale debiti con i fornitori per 762,889 milioni, dei quali 497,9 contratti in Italia, 108,9 in Ue, 100,83 nei Paesi extra europei e il resto sparso tra America, Africa-Medio Oriente e Asia. Certo, siamo sempre in tempo di crisi ed è frequente che le aziende paghino le imprese fornitrici in tempi biblici che vanno oltre gli ormai canonici 90 giorni. Cosa che
invece, anche solo per una questione di interessi, non è raccomandabile con le banche, che il debito lo fanno pagare salato. Così il passivo totale del gruppo di Emma Marcegaglia scende, anche se aumenta il monte delle fatture non pagate all’indotto – nonostante le ripetute rampogne fatte col cappello di numero uno degli industriali nei confronti dei pagamenti in ritardo della Pubblica amministrazione. Si legge nel bilancio 2009 della Marcegaglia Spa: “La diminuzione dei debiti è il risultato della somma algebrica di due
Il gruppo rimborsa le banche prima dell’indotto, così riduce gli interessi e salva il bilancio
movimenti di segno opposto. Da un lato la notevole diminuzione dei debiti verso banche (di circa 186 milioni di euro), dall’altro il sensibile aumento dei debiti verso fornitori (circa 83 milioni di euro)”. Come a dire, appunto, prima le banche, verso le quali il gruppo è esposto per 672,881 milioni (859 milioni nel 2008), e poi le imprese. In Italia, del resto, si sa che funziona in questo modo. E per una precisa ragione: ai fornitori non si pagano interessi, alle banche sì. Infatti, grazie alla diminuzione dell’indebitamento bancario, gli oneri finanzia-
ri del gruppo sono scesi di 28 milioni di euro. E così la società di cui il presidente di Confindustria è socia e amministratrice accanto al padre Steno e al fratello Antonio, è riuscita a chiudere il 2009 proprio con un utile di 28,5 milioni nonostante il crollo del fatturato, travolto dalla crisi generalizzata del settore. E per di più senza pesanti tagli a livello occupazionale.
La pace con la Fiom CERTO, UN PO’ di maretta è in arrivo alla controllata Bvb di Pesaro (circa 80 addetti) che potrebbe vedersi preferire la Polonia. Ma la struttura nel complesso tiene e, nonostante le ambizioni esterofile dei Marcegaglia, per il momento, le relazioni del gruppo con i sindacati sembrano buone. Anche con quella Fiom che il presidente di Confindustria, in relazione al caso Fiat ha definito “il problema”. E che nel gruppo dei Marcegaglia può contare sul 70 per cento dei lavoratori iscritti. Una cosa, insomma, è il pubblico sostegno alla linea dura della
Alcuni operai hanno bloccato il traffico all’altezza della sede della giunta regionale Campania. Gli agenti sono intervenuti con un’azione di alleggerimento e successivamente con una carica.
Fiat che vuole più flessibilità sul lavoro in Italia e usa toni duri con i sindacati, un'altra sono invece gli affari di famiglia dove la regola sono le relazioni amichevoli. Anche se l'apripista Fiat sul lungo termine potrebbe risultare utile anche a Mantova. Il colosso siderurgico (cui fa capo anche la Mita Resort, titolare delle concessioni turistiche della Maddalena) è infatti una realtà imprenditoriale che sul tema delle relazioni industriali e del potenziamento delle attività all'estero si muove coi piedi di piombo e coi guanti di velluto. Tuttavia le ambizioni extra-Italia sono decisamente importanti e non senza conseguenze sulle decisioni circa la destinazione degli investimenti per il rafforzamento degli stabilimenti produttivi e delle risorse umane. “In una logica di crescita a lungo termine, anche nel 2009 il sottogruppo Marcegaglia – si legge nel documento – ha continuato a prestare grande attenzione alle proprie risor-
se umane e alle relazioni industriali, evitando ridimensionamenti strutturali”. Tuttavia Steno, Emma e Antonio vogliono crescere e dopo il raddoppio in Brasile e i nuovi stabilimenti in Cina, Russia e Polonia, “è precisa ambizione del sottogruppo Marcegaglia di arrivare entro il 2012 a una produzione negli stabilimenti esteri non inferiore al 20% di quella totale”. Ma queste cose costano. Naturale, quindi, che gli investimenti esteri del gruppo stiano “subendo una forte accelerazione rispetto al passato”. In particolare per il 2009-2012 sono stati decisi investimenti extra-Italia per complessivi 410 milioni. Che verosimilmente includeranno le risorse umane. Del resto già nel 2009 nelle attività estere del gruppo i dipendenti sono cresciuti del 14,4 per cento, mentre l'occupazione in Italia è scesa dell'1,2 per cento. Solo però “in conseguenza di misure di rinnovamento selettivo al naturale turnover”.
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Transizione infinita, una sedia vuota dal 5 di maggio di Chiara
l ministro dello Sviluppo economico manca ormai da oltre quattro mesi, da quando il 5 maggio scorso Claudio Scajola si dimise. La Guardia di Finanza trovò assegni circolari per 900 mila euro, tratti da un conto corrente bancario intestato al gruppo dell’imprenditore Diego Anemone (che lavorava con appalti pubblici). I soldi erano stati utilizzati
per l'acquisto di un appartamento a Roma. Da allora il ministero è retto ad interim da Silvio Berlusconi che non ha mai nominato il sostituto. Ha offerto la carica a diverse personalità, tra cui la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che ha rifiutato due volte. Su un altro dei candidati, il viceministro Paolo Romani, c’è il veto del Quirinale. Il presidente della Repubblica
IL NULLA DEL MINISTRO BERLUSCONI
Paolin
aurizio Lupi, vicepresidente della Camera e uomo di fiducia del premier nel Pdl, l'ha sventolato fiero nel ring di Ballarò martedì sera mentre gli arrivavano botte da orbi sul tema della vacatio al ministero che fu di Claudio Scajola: “Qui c’è un documento che spiega in dettaglio tutto quel che è stato fatto per lo Sviluppo economico negli ultimi quattro mesi. Me l'ha consegnato oggi il ministro, cioè volevo dire il ministero”. Il ministro è Silvio Berlusconi, il documento sullo sviluppo (ad interim) sono tre paginette che non farebbero promuovere agli esami di settembre neanche un rimandato del - defunto - istituto tecnico industriale. Il Fatto ha potuto esaminarlo.
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ECONOMIA
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ha più volte invitato esplicitamente l’esecutivo a trovare un sostituto di Scajola. Ma, nonostante le rassicurazioni del governo, questo non è successo. Il 3 settembre scorso, il Cavaliere, rispondendo alle forti critiche dell'opposizione aveva ancora una volta promesso di nominare un nuovo ministro entro la fine della settimana. Invece niente.
l’un l’altro: sono riusciti ad aprire “le procedure di amministrazione straordinaria e nominare i commissari”. Cioè le aziende portano i libri in tribunale e tanto basti a salvare l’economia.
I cassintegrati sull’isola
IL TITOLO è solenne e indicativo dell’accuratezza del contenuto: “Attività del Ministero dello Sviluppo Economico da maggio 2010 a oggi”. Ma
IDEM PER GLI OPERAI della Vinyls, cui farà molto piacere sapere di essere citati come un fiore all’occhiello della gestione Berlusconi: “Avviate le procedure per il bando e la cessione” dice scarno il carnet. La realtà è che la chimica italiana sprofonda nel suo periodo più buio e il ritiro di protesta sull’isola dell’Asinara iniziato lo scorso 24 febbraio ha portato fin qui zero risultati per i 400 lavoratori tuttora in bilico. Che diventano migliaia considerato l’indotto. Situazione identica nel tessile, dove spunta una buona parola a proposito di Ittierre, 1.500 dipendenti e una rete gigantesca di lavoro connesso: anche qui è stata avviata la cessione e nulla più. Ma è una buona notizia. In chiusura, i fuochi d'artificio. “Raggiunta l’intesa per la ripre-
Nel documento esibito a Ballarò da Maurizio Lupi solo annunci e misure prese da Scajola
Il premier si prende il merito anche dei 300 milioni di euro di incentivi stanziati prima delle Regionali
Nessun risultato dall’interim allo Sviluppo. Lo dice il ministero
Neanche le date
La sedia vuota di Claudio Scajola dopo la conferenza stampa in cui si è dimesso il 5 maggio scorso (ANSA)
oggi quando, visto che nel documento non c'è uno straccio di data? Oggi quando uno legge, si potrebbe pensare, perché parecchie notizie riportate nella relazione di 3.978 battute (spazi vuoti inclusi) sono tranquillamente databili con un giorno preso a caso negli ultimi dodici mesi e oltre. A partire dal primo dato: “Sono aperti presso il ministero più di 150 tavoli di vertenze che riguardano ambiti chiave del sistema produttivo”. Ovvero lo
stesso numero orgogliosamente indicato dall'allora ministro Scajola lo scorso 2 gennaio, ripreso il 14 febbraio dal collega Brunetta, misteriosamente salito a quota 170 a metà giugno per voce del valoroso funzionario ministeriale Giampiero Castano e diventato ora – nell'eterno oggi – un vaghissimo “più di 150”. Poi però si entra nei dettagli. Soddisfazione innanzitutto sul fronte Fiat: “Stiamo seguendo con grande attenzione i tavoli
di Pomigliano e Mirafiori e abbiamo lanciato il bando internazionale per Termini Imerese (nei prossimi giorni verranno presentate le prime 5 proposte di reindustrializzazione)". Ogni commento è superfluo, ma vale la pena ricordare come la prima gara bandita per Termini sia fallita miseramente dopo un anno di proclami e una sola certezza: Fiat se ne andrà con armi e bagagli a fine 2011. Che dire invece di Telecom? “E' stato trovato l’accor-
do sulla mobilità volontaria per 3.900 lavoratori e sulla riconversione e ricollocazione per altri 1.100 lavoratori”. In questo caso la parola magica è quel “mobilità volontaria”: certo il governo poteva fare ben poco davanti alla decisione dell'azienda di licenziare 5 mila persone. Altri casi clamorosi, Agile e Eutelia. Non contenti di aver permesso il gioco delle scatole cinesi sulla pelle di migliaia di lavoratori, al ministero si fanno i complimenti
Banda larga, primo accordo sulla rete MODELLO IBRIDO CHE ACCONTENTA TELECOM MA ANCHE I SUOI CONCORRENTI di Federico Mello
una porta non si apre un portone, Cierihiusa ma il futuro della banda larga in Italia ha fatto un piccolo passo avanti. La diatriba in corso tra Telecom Italia (monopolista “naturale” delle infrastrutture di rete) e gli operatori concorrenti, aveva subito un brusco stop martedì. Gli operatori “concorrenti” avevano abbandonato il comitato sulla Ngn (reti di nuova generazione) creato dall’Agcom per delineare la gestione della nuova rete a fibra ottica. Il piano predisposto dal professor Francesco Vatalaro – questa l’accusa degli operati concorrenti – è fatto su misura per Telecom. C’era il rischio che alla stessa sorte fosse destinato il tavolo tecnico istituito dal viceministro alle Comunicazioni, Paolo Romani, in programma ieri dove si discute della parte industriale, cioè di come costruire la rete. Invece dall’incontro è uscito un accordo sul “modello infrastrutturale” per portare la banda larga a metà
delle famiglie italiane entro il 2020, in linea con l’Agenda digitale europea. Nonostante la soddisfazione di Paolo Romani, di Agcom, di Telecom, Vodafone, Wind, Fastweb, Tiscali, British Telecom e 3 Italia, i passi da fare sono ancora numerosi, soprattutto sugli investimenti necessari. Gli operatori sono divisi su una questione tecnica intorno alla quale gira la concorrenza nel settore. Telecom è favorevole al modello Gpon, nel quale la fibra arriva fino alla centralina sotto casa e poi sono i cavi di rame a portare le connessione nei singoli appartamenti. Gli operatori alternativi si battono invece per il modello Fiber-to-home, o point-to-point nel quale il cavo di fibra ottica arriva al singolo appartamento. Le differenze tra i due modelli sono notevoli: nel modello Gpon è meno agevole per i clienti il passaggio da un operatore all’altro mentre nel modello fiber-to-home è sufficiente lo spostamento di un cavo nella centrale per attivare il passaggio della singola utenza. Inoltre, dicono gli operatori
concorrenti, la fibra ottica non ha un limite fisico, perciò in futuro le connessioni potrebbero portare nelle case degli italiani vari gigabit al secondo, senza ulteriori investimenti. L’accordo di ieri è centrato su un modello infrastrutturale “ibrido” in grado di supportare le due modalità: sia quella Gpon che quella point-to-point. Il passo successivo sarà l’avvio, la prossima settimana, di un censimento delle infrastrutture di fibra ottica presenti nel Paese e dei piani di investimento per i prossimi anni. Il modello, inoltre, sarà presentato agli operatori medi e piccoli. Tra quindici giorni, quindi, si tireranno le fila: è in programma un ulteriore incontro al tavolo tecnico governo-operatori con l’obiettivo di “sancire i principi e le tappe necessarie per l’avvio della par tnership pubblico-privata”. Per decidere, insomma, su ciò che davvero conta: come verranno ripartiti gli investimenti, con che tempistica e con quali poteri sulla rete del futuro.
Silvio Berlusconi ha ribadito più volte che il suo interim al ministero è stato “un pieno” e non “un vuoto” (FOTO ANSA)
sa della produzione per Eurallumina”, l’azienda di Portovesme dove ballano 400 posti di lavoro. Basta leggere i titoli dell'Unione Sarda per scoprire che in realtà non c'è alcuna certezza sul riavvio degli impianti: anzi, il prossimo 21 settembre è previsto un incontro proprio al ministero per capirci qualcosa. Sugli scudi anche l’Alcatel Lucent di Battipaglia, dove 300 operai ringraziano perché sono stati comprati da un im-
prenditore ligure, ma i restanti mille addetti del gruppo francese se la passano male (con nuovi cicli di cassa integrazione nella sede centrale di Vimercate): dettaglio trascurabile.
Il presunto sostegno alle imprese MEGLIO PARLARE del capitolo “sostegno alle imprese” sottolineando il fortunato dato prescelto da Lupi per sedare il fronte del dissenso nella topica serata di Rai Tre: nell’ambito del Fondo di Salvataggio per pmi in crisi, “dall’inizio della legislatura i Contratti di programma definiti sono stati 21, contro i 9 della legislatura precedente”. Cioè, a essere precisi, negli ultimi due anni e mezzo - e non da quando Scajola si è dimesso - sono stati firmati 21 accordi. Però, come ha fatto notare in diretta tv la senatrice Pd Anna Finocchiaro, ben pochi di questi hanno trovato materiale realizzazione. Un po’ come i “Contratti di innovazione con dotazione di un miliardo di euro. Già 84 le domande ammesse” (ammesse, non finanziate) oppure i bandi per l’innovazione, le tecnologie, il Sud e chi più ne ha più ne metta in un tripudio di milioni in palio come alla lotteria. In concreto, tornano buoni i 300 milioni dei famosi incentivi firmati Tremonti per comprare cucine e motorini: pure quelli sono merito di Berlusconi, anche se non era lui il ministro dello Sviluppo quando furono approvati prima delle regionali.
STRATEGIE KEYNESIANE
La fede atomica di Tremonti
S
ostiene Tremonti: “Sarebbe più facile crescere se avessimo il nucleare e il nostro Pil sarebbe più alto”. Gli artigiani della Cgia di Mestre che lo ascoltavano non erano particolarmente interessati al grande business atomico (quello è la priorità dell’Enel), ma da un po’ di giorni Tremonti è martellante: il nucleare conviene, anche se nessuno ha davvero calcolato quanto e perché. Ma la motivazione è interessante: costruire le centrali farà crescere il Pil. Come diceva Keynes, nei momenti di crisi lo Stato può trovare vantaggioso anche assumere operai per scavare buche e altri per riempirle, si abbatte l’occupazione e si immettono soldi in circolo nell’economia (ma sale il debito pubblico). E le buche hanno meno inconvenienti delle centrali. Ma il ministro, come ci tiene a ribadire, non è un economista. E fino a ieri diceva che il Pil non è il giusto indicatore di benessere.
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Sabato 18 settembre 2010
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DAL MONDO
I TALIBAN VOTANO CON IL SANGUE MUORE SOLDATO ITALIANO IN AFGHANISTAN Romani ucciso a poche ore dall’apertura dei seggi
Il voto a Kabul. Nel riquadro, Romani (FOTO ANSA) di Giampiero Gramaglia
ncora sangue italiano nella guerra afgana. Un ufficiale delle forze speciali italiane è stato ucciso mentre partecipava a un’operazione contro gli insorti; un soldato semplice è rimasto ferito. I due sono stati raggiunti da tiri d’arma da fuoco cercando di catturare quattro individui che poco prima avevano piazzato un ordigno lungo una strada. L’episodio è avvenuto nel distretto di Bakwa, nella provincia di Farah, poche ore prima
A
dell’apertura dei seggi per le elezioni politiche. Poche ore dopo il lancio di un razzo - senza danni a persone o cose - contro la base di Shindad. Oggi si vota, in un Paese segnato da un conflitto lungo nove anni e che non è mai stato così sanguinoso per le truppe internazionali come quest’anno. UN PREDATOR un aereo senza pilota, ha intercettato quattro terroristi all’opera sulla via per Delaram, li ha seguiti e ha segnalato il loro rifugio. È scattata la Task Force 45: comman-
dos delle forze speciali, a bordo d’un elicottero Ch47 scortato da due Mangusta, hanno raggiunto il luogo indicato, accolti da tiri forse di Kalashnikov. Soccorsi, i due militari colpiti sono stati trasportati all'ospedale da campo di Farah. Il tenente Alessandro Romani non ce l’ha fatta. Romani, 36 anni, celibe, del reggimento d’assalto Col Moschin, numerose missioni all’estero, è il trentesimo caduto italiano in Afghanistan, l’ottavo quest’anno. In vista del voto, i talebani hanno invitato gli afgani a boicottare le urne e unirsi “alla resistenza” contro gli “invasori”, minacciando attacchi ai seggi e sulle strade (i quattro sorpresi dagli italiani ne stavano preparando uno). I dati dicono che 10,5 milioni di cittadini possono scegliere fra i circa 2.500 candidati – due, ieri, sono stati vittime di un rapimento – i 249 deputati della Camera. I seggi operativi sono circa 6.000, mentre un migliaio non apriranno per ragioni di sicurezza. Al voto si arriva in un’atmosfera di scetticismo sull’andamento delle operazioni sul terreno e di diffidenza sull’evoluzione socio-politico-economica del Paese. Il responsabile dell’Onu a Kabul Staffam de Mistura è ottimista: “Probabilmente le elezioni saranno più trasparenti delle presidenziali”, il cui risultato fu lungamente contestato. Ma il
presidente Hamid Karzai è il primo a smorzare le attese: “Ci saranno irregolarità”, avverte (il ministro della difesa italiano Ignazio La Russa fa spallucce: “I brogli ci sono pure da noi”). LA VIGILIA DEL VOTO doveva essere una giornata del silenzio: la propaganda s’è fermata, ma le operazioni militari sono continuate con decine di morti (soldati afgani e stranieri, insorti, civili, bambini) nelle ultime 48 ore. Nell’insieme, però, la prima metà di settembre è stata meno cruenta che i tre mesi precedenti: una ventina i caduti finora fra le forze americane e dell’Isaf. I primi otto mesi hanno già fatto del 2010 l’anno più nero per i militari statunitensi in Afghanistan, con 323 caduti al 31 agosto. Ma basta la morte di un italiano a togliere significato alla relative quiete delle ultime due settimane, frutto forse dello sforzo militare contro talebani e insorti, che, per il comandante del contingente internazionale, il generale Usa David Petraeus, ha ormai raggiunto il massimo dell’intensità, con tutte le unità previste schierate, oltre 130 mila uomini. Ma può pure darsi che la resistenza tenesse “fuochi d’artificio” in serbo per oggi e per il dopo elezioni. Non solo l’atteggiamento dei talebani è stato enigmatico, di recente. Karzai ha formalmente creato una commissione per i colloqui
con gli insorti, ma ha pure licenziato il procuratore anti-corruzione del suo governo e ha criticato la strategia militare alleata. Nel contingente italiano, circa 3500 militari, di cui la metà alpini, il livello di attenzione era già massimo: le elezioni sono classificate “potenzialmente ad alto rischio”, nonostante nell’Ovest del Paese mancassero minacce specifiche (ma si muore anche senza). Il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, ieri in visita a Roma, chiede all’Italia, come ha appena fatto con la Spagna, più istruttori militari per le truppe afgane, che non sono al momento capaci di garantire la sicurezza del loro Paese. Nè il premier Berlusconi né il ministro La Russa hanno detto no, prima che iniziasse la litania delle condoglianze e l’incrocio delle accuse.
Trenta le vittime della missione Razzo contro la base di Shindad I guerriglieri alla popolazione: disertate le urne
RAZZISMO
I ROM: A OVEST LI CACCIANO, A EST LI ISOLANO COSTRUENDO MURI di Carlo
Biscotto
ichalovce, 109.000 abiM tanti, è una città della regione di Kosice nella Slovacchia orientale. È una regione povera, per lo più abitata da contadini e i Rom da queste parti sono sempre stati numerosi e generalmente ben integrati. Ma da qualche anno una iniziale ostilità si è lentamente, ma inesorabilmente, trasformata in xenofobia e poi in segregazione. Già due anni fa a Presov, terza città della Slovacchia, era stato eretto un muro intorno ad un campo che ospitava 2.000 Rom. L’anno passato il muro è stato costruito nella cittadine di Ostrovany e Trebisov e quest’anno è stata la volta del quartiere Rom di Michalovce, trasformato in un vero e proprio ghetto. Nel campo nomadi vivono 2.800 persone, per lo più donne e bambini. Il muro separa un quartiere popolare slovacco dalle misere abitazioni dei Rom. MOLTI ROM vivono vendendo rottami di ferro raccolti in giro per la città. Irene, 50 anni circa, avanza faticosamente spingendo il suo carretto carico di ferraglie. “Ci odiano”, dice. “L’altro giorno mi hanno sparato con un fucile ad aria compressa. È stato un uomo appostato sul muro come un cecchino”. Mentre parla concitatamente si avvicina Milena, una slovacca sulla quarantina che porta a spasso un barboncino nero.
“Hanno fatto bene a costruire il muro”, afferma decisa. “Gli zingari defecavano negli androni dei nostri condomini, ci spaventavano, ci derubavano, la sera non potevamo uscire di casa. Rovistavano nei cassonetti dei rifiuti e spargevano la spazzatura dappertutto”. Mentre parla il barboncino alza la zampa vicino al muro e fa i suoi bisogni. La padrona non batte ciglio. Si è formato un capannello di persone e tutti vogliono dire la loro. Eva, una Rom con i capelli biondi tinti e una improbabile tuta rosa, sovrasta le voci degli altri: “Lanciano bottiglie vuote contro i nostri figli a rischio di ferirli. Ci insultano continuamente. Il muro è uno scandalo. Per andare dal medico devo fare qualche chilometro a piedi. Prima ci mettevo cinque minuti; ora più di un’ora”. Milena, che ora appare più ragionevole ammette: “È vero. Anche noi che stiamo dall’altra parte del muro ci sentiamo come in prigione, ma non ce la facevamo piu’”. Peter Horvath, primo Rom a diventare pope greco-ortodosso, cerca di portare un po’ d’ordine nella discussione che si sta facendo accesa: “a guardare le cose con gli occhi di un occidentale sembra proprio che il muro divida i buoni dai cattivi. Ma non è così. Alla televisione fanno vedere solamente scene di miseria e di degrado. In realtà in Slovacchia 350.000 Rom sono perfettamente integrati e vivono come tutti gli altri cit-
tadini. Tra i Rom ci sono intellettuali, professori universitari, avvocati. Ma di questo nessuno parla. SOLO 90.000 Rom vivono nei campi”. La parola tzigano indicava in origine gli zingari della zona danubiana. E ancora oggi in Ungheria è così che chiamano i Rom. Miskolc, Ungheria settentrionale, con i suoi 175.000 abitanti è la terza città del paese e ospita circa 15.000 tzigani tra i quali il tasso di disoccupazione è elevatissimo (70-80%). L’attuale sindaco, Sandor Kali, socialdemocratico, ha tentato di re-
sistere alle forti pressioni xenofobe, ma il vento del nazionalismo sta travolgendo anche lui in vista delle prossime amministrative. Sono nate così – con il pretesto di ritardi nell’apprendimento – classi di soli bambini Rom in tutte le scuole di Miskolc. È una vera e propria apartheid educativa che pone le basi di un futuro di segregazione e taglia l’erba sotto i piedi di qualunque speranza di integrazione. I bambini praticamente non parlano ungherese e smettono di frequentare la scuola in giovane età. Morton Segedi, candidato sinda-
co di Miskolc per il partito xenofobo e nazionalista Jobbik (Movimento per una Ungheria migliore), diventato alle scorse politiche il terzo partito del Paese, parla chiaro ed è quasi certo di vincere le prossime amministrative con un programma che prevede la costruzione di campi “recintati”, sorvegliati dalla polizia e sottoposti al coprifuoco. D’altro canto il segretario del suo partito, Gabor Vona, lo ha detto alle scorse politiche con agghiacciante chiarezza: “la segregazione è il solo modo per educare questa gente!”.
N FRANCIA
Scontro magistrati e governo
È
scontro tra i magistrati francesi e il ministro dell’Interno Hortefeux (nella foto), fedele alleato di Sarkozy. Il ministro si è detto favorevole all’elezione dei magistrati e al sistema delle giurie popolari, per rendere il sistema giudiziario più vicino alla gente. Christophe Regnard, presidente dell’Unione dei magistrati ha detto di aver accolto queste parole “con disprezzo”. Bufera anche per il fatto che non spetta al ministro dell’Interno avanzare proposte sulla riforma della giustizia.
GERMANIA
Merkel: “In futuro più moschee”
I
n futuro ci saranno più moschee nelle città tedesche: lo ha detto Angela Merkel, che intende preparare la popolazione a ulteriori cambiamenti nel Paese. La cancelliera, però, ha anche detto che le politiche d’integrazione non hanno avuto i frutti sperati e che gli immigrati che non vorranno integrarsi verranno trattati con maggiore severità.
CINA-GIAPPONE
La guerra del panda
F
unzionari cinesi si sono recati in Giappone per verificare le cause del decesso del panda gigante Kou Kou in uno zoo di Kobe; l’animale sarebbe morto durante un’operazione per l’estrazione del suo prezioso sperma. Da giorni tra i due paesi è tensione diplomatica dopo l’arresto del capitano di un peschereccio cinese da parte della guardia costiera nipponica.
La strana coppia del vertice
Berluskozy alla conquista (fallita) del continente
Una famiglia rom (FOTO ANSA)
In Slovacchia e Ungheria si alzano barriere nei quartieri per segregare gli “zingari”
SULLA STAMPA internazionale, Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi ci hanno fatto una misera figura al Vertice dell’Ue di Bruxelles: altro che nobili storiche linee della Marna o del Piave; il loro è un fronte del porto da “via i Rom”. Per il Nyt, “i Rom mettono alla prova le frontiere aperte d’Europa”. In editoriali, l’Independent bolla la “politica spregevole” (“l’Ue deve scusarsi per l’insulto ‘nazi’ della commissaria Reding, mentre Sarkozy va all'attacco e Berlusconi loda la politica delle espulsioni della Francia”); ed El Pais nota che, in un’Europa “sottosopra”, i leader “si limitano a censurare la commissaria”. Il Time, che vede la Spagna dei gitani come modello d’integrazione; il Guardian, che coglie “l’atteggiamento di sfida” del duo Sarkozconi; e Wsj, Ft, Telegraph sono
allineati. L’Economist scrive: “Perseguitare i Rom non risolverà il principale problema sociale d'Europa. L’istruzione potrebbe”. La stampa francese punta sullo smacco inflitto della Merkel a Sarkozy: NouvelObs, Le Monde, Libération, titolano sulla “smentita” del cancelliere al presidente, che l’aveva arruolata nel partito anti-rom. Le Figaro dice: “il clima si tende tra Parigi e Berlino”, perché la Francia “vuole rendere europeo il dossier Rom”. La stampa spagnola è fredda verso Zapatero, che tace sulla sostanza, risparmia la Francia e se la prende con la Reding. Di Mr B, El Mundo cita la pretesa che i commissari europei si tacciano, mentre Le Monde lo racconta “al mercato" per conservare la maggioranza. G. G.
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DOLORI VATICANI
PEDOFILIA I preti peccano più dei fedeli DECINE DI MIGLIAIA DI CASI: LE CIFRE SMENTISCONO IL VATICANO di Vania Lucia Gaito
enedetto XVI vola in Gran Bretagna e torna a parlare dello scandalo della pedofilia clericale: “L’autorità della Chiesa non è stata sufficientemente vigilante, né sufficientemente veloce e decisa nel prendere le misure necessarie”. Un’affermazione che merita qualche riflessione, considerando che Channel 4, proprio in concomitanza con la visita papale, ha rivelato che, proprio in Inghilterra su 14 pratiche di sacerdoti colpevoli, sei procedure per la riduzione allo stato laicale sono in corso, tre sono state rifiutate o non processate per motivi di salute, un’altra è stata portata a termine e quattro addirittura non sono mai state aperte. I vescovi affermano di aver deferito i casi a Roma, come previsto dal documento del 2001 De delictis gravioribus, emanato proprio da Ratzinger quando era prefetto per la Congregazione per la Dottrina della Fede, e fanno intendere che se lun-
B
Studi Usa: la percentuale di pedofili tra i religiosi è molto superiore a quella della società civile gaggini e ritardi ci sono, non dipende da loro ma dal Vaticano. Queste rivelazioni sono state per me uno choc” ha affermato il pontefice, ma difficilmente si riesce a conciliare queste frasi con la prassi tenuta dal Vaticano sia prima che dopo l’esplosione dello scandalo. La portata del problema è stata costantemente minimizzata, prima tentando di far passare gli abusi come “casi isolati”, poi tentando di sminuire i numeri da pandemia sostenendo che l’incidenza della pedofilia fra i sacerdoti e religiosi sia uguale, se non minore, all’incidenza della pedofilia fra le persone comuni.
Crociata contro il “comitato d’indagine” NEL MESSAGGIO inviato qualche tempo fa ai Cavalieri di Colombo, Benedetto XVI parla di attacchi “spesso scorretti e infondati” contro la Chiesa per quanto concerne le vicende legate alla pedofilia. Secondo monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, nell’ultimo decennio sono un centinaio i casi di sacerdoti italiani, accusati di abusi sessuali su minori, indagati dalla Congregazione per la Dot-
trina della Fede. Crociata non ha mai aggiunto alcun dettaglio sull’esito di tali procedimenti, sostenendo invece che in Italia non vi è alcun bisogno di creare un comitato speciale all’interno della Chiesa per affrontare i casi di molestie sessuali nei confronti di bambini. Di quel “centinaio” di preti pedofili indagati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, inoltre, non si sa nulla: né quante siano state le loro vittime, né per quanto tempo siano durate le violenze, e meno che mai si chiarisce se altri sacerdoti o vescovi fossero a conoscenza delle violenze e da quanto tempo. Ma gli attacchi alla Chiesa sul tema della pedofilia sono davvero così infondati e scorretti? Basta esaminare i numeri, per rendersi conto che il problema è gravissimo, molto più di quanto finora non sia sembrato.
I casi italiani sono almeno 172 UN PRIMO DUBBIO riguarda la verosimiglianza del “centinaio di casi” cui fa riferimento monsignor Crociata. I casi di abusi sessuali ai danni di minori perpetrati dai sacerdoti italiani e riportati dalla stampa negli ultimi dieci anni, messi in colonna e sommati uno all’altro, riportano vicende di pedofilia e pedopornografia in cui sono coinvolti almeno 172 preti. Delle due l’una: o non tutti i sacerdoti accusati sono stati indagati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, o monsignor Crociata è decisamente troppo ottimista. Fermo restando che il problema della pedofilia clericale non è di ordine statistico, ma di ordine morale, guardando più da vicino le cifre degli altri Paesi si può avere un’idea della portata del problema: 4.392 sacerdoti denunciati per pedofilia negli Usa; 1.700
preti accusati di violenze a danno dei bambini piccoli, orge e uso di droga in Brasile; 107 preti e religiosi condannati in Australia per abusi sui minorenni; 800 religiosi accusati di oltre 14000 casi di abusi in Irlanda. E poi centinaia di casi in Olanda, in Polonia, in Croazia, in Francia, in Inghilterra, in Alaska, in Messico. Finora, solo negli Stati Uniti, sono stati pagati risarcimenti per 3 miliardi di dollari. Oltre un miliardo di risarcimenti è stato chiesto dai sopravvissuti alle scuole industriali in Irlanda. Migliaia sono le vittime. Talvolta perfino bambini piccolissimi.
Vescovi alla 61esima assemblea della Conferenza Episcopale italiana, nel maggio scorso (FOTO LAPRESSE); sotto il Papa con il primate della Chiesa anglicana Rowan Williams (FOTO ANSA)
Stati Uniti: coinvolti il 4% dei prelati UNA DISAMINA del fenomeno della pedofilia clericale, commissionata dai vescovi americani al John Jay College of Criminal Justice e noto appunto come “Rapporto Jay”, afferma che il 4% dei sacerdoti americani è coinvolto in accuse di pedofilia. Nel set-
I sacerdoti denunciati in America sono oltre 4 mila, risarcimenti per 3 miliardi di dollari tembre del 2009 l'arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all'Onu a Ginevra, minimizzava il problema affermando che “nel clero cattolico solo tra l'1,5% e il 5% dei religiosi ha commesso atti di questo tipo”. Piccoli numeri? Percentuali irrisorie? Per nulla, se si confrontano queste percentuali con quelle della popolazione laica. La percentuale di pedofili fra i religiosi è dalle 20 alle 200 volte maggiore rispetto alla percentuale di pedofili fra le persone comuni. Affidare un bambino ad un religioso, significa esporlo ad un rischio almeno venti volte maggiore rispetto a quello di affidarlo a un insegnante, un vicino di casa, un amico di famiglia. Rispetto a quanto vuole far credere la Chiesa, cioè che il rischio sia lo stesso, basta fare due conti per realizzare che non è affatto così. Per capire meglio, è necessario guardare più da vicino i numeri, senza farsi ingannare da cifre astratte e non messe a confronto con altre. A marzo di quest’anno, il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha affermato: “In Austria sono 17 i casi di pedofilia che riguardano la Chiesa, ma ben 510 quelli al di fuori; quindi si deve prestare attenzione anche al di fuori della Chiesa e
non puntare i riflettori solo su di essa”. Detto così, sembra che debba considerarsi più preoccupante il fenomeno degli abusi sui bambini al di fuori della Chiesa, ma è effettivamente così? Fermo restando che i casi di pedofilia al di fuori della Chiesa non legittimano di certo gli abusi sui bambini perpetrati dai sacerdoti, basta qualche banale calcolo matematico a rendersi conto che il problema non è così di poco conto come lo si vuole dipingere. In pratica: quanti sono in Austria i preti pedofili rispetto al numero dei sacerdoti, e quanti sono i pedofili “comuni” rispetto alla popolazione austriaca? In totale, i religiosi austriaci sono circa 6700 su poco meno di tre milioni e 400mila maschi adulti. Rapportando gli abusi alla popolazione di riferimento, 17 casi di pedofilia su 6700 sacerdoti e 510 casi di pedofilia su 3.400.000 austriaci maschi adulti, ci si rende conto che la percentuale dei religiosi pedofili, che sembrava piccola, è invece altissima. Tra i sacerdoti austriaci la percentuale di pedofili è 0.26% mentre tra i laici la percentuale di pedofili è 0.015%. In realtà, quindi, la percentuale dei pedofili fra i preti è pari a diciassette volte la percentuale di pedofili nella popolazione laica. Stesse conclusioni si traggono se si esaminano le statistiche di paesi come gli Stati Uniti. Secondo l’ultimo rapporto annuale dal Children’s Bureau, l’ufficio del Dipartimento della salute statunitense che si occupa di bambini e giovani, i casi di abusi sessuali su minori negli Stati Uniti sono circa 88.000 su una popolazione di 118 milioni di maschi adulti, lo 0.075%. Se anche la percentuale dei preti pedofili fosse l’1.5%, come suggerisce la stima più prudenziale di monsignor Tomasi, sarebbe venti volte superiore all’incidenza rilevata nella popolazione di non religiosi. Le statistiche che la stessa Chiesa va sciorinando, cercando di sminuire il fenomeno, sono invece assolutamente preoccupanti. Lo scenario irlandese è ancora peggio-
re di quello americano, perché agli abusi sessuali si sommano gli abusi fisici, quelli emotivi, i maltrattamenti. Almeno 14.000 vittime, 2500 testimonianze. Sostanzialmente la percentuale di pedofili tra religiosi si attesta sui dati
In Italia chi subisce violenza non si rivolge alla giustizia: teme di non veder riconosciuti i propri diritti statunitensi del rapporto Jay. Più difficile stabilire quale sia la percentuale di pedofili fra la popolazione, poiché i reati di questo genere denunciati ogni anno sono circa 160, mentre alle associazioni antipedofilia arrivano circa 2400 segnalazioni annue, su 1.7 milioni di maschi adulti. Le percentuali oscillano quindi, fra gli irlandesi “comuni” fra lo 0.01% e lo 0.14%. La percentuale di pedofili tra i religiosi risulta essere almeno trenta volte maggiore rispetto alla percentuale di pedofili fra la popolazione comune.
In Australia c’è un database QUASI IDENTICHE a quelle austriache le percentuali in Australia: 107 sacerdoti condannati su poco più di 3800 sacerdoti, tra diocesani e ordinari, con un’incidenza del 2.82% di pedofili. Per quanto riguarda i pedofili “comuni”, l’Australia ha un database pubblico con nomi e foto dei children sexual offender e raccoglie oltre 1200 nominativi su una popolazione di otto milioni e mezzo di maschi adulti, con una incidenza di pedofili pari allo 0.014%. La percentuale di pedofili tra i preti risulterebbe quindi 200 volte quella rilevata nella po-
polazione. In diversi stati il numero di denunce e testimonianze riguardanti abusi sessuali commessi dai sacerdoti è considerevolmente aumentato in seguito alla istituzione di commissioni di indagine governative, come in Irlanda, o indipendenti, come negli Stati Uniti. La possibilità per le vittime di vedere riconosciuto il torto subito ha spinto migliaia di persone, abusate da sacerdoti durante l’infanzia, ad uscire allo scoperto e raccontare il proprio dramma. Alcuni stati americani istituirono il cosiddetto “anno finestra”, permettendo a moltissime vittime di denunciare, e veder perseguiti dalla giustizia statuale, abusi subiti anche decenni prima e caduti in prescrizione. Dunque, non si capisce come monsignor Crociata possa affermare che in Italia non vi sia necessità di una commissione d’indagine sulla pedofilia clericale. Non è chiaro per quale motivo l’Italia dovrebbe essere considerata un’isola felice, immune dallo scandalo.
Il “Bel Paese” che non tutela l’infanzia SECONDO le percentuali rese note dall’arcivescovo Tomasi e considerando che in Italia ci sono circa 35.000 sacerdoti diocesani, potrebbero esserci tra i 500 e i 1750 sacerdoti coinvolti in casi di pedofilia. Senza contare la presenza di altri religiosi e dei sacerdoti ordinari, che farebbero “salire” le possibili stime. Ma perché nel nostro Paese lo scandalo non è ancora scoppiato? Essenzialmente per il timore delle vittime di non essere credute e di non vedere riconosciuti i torti subiti. Per una sorta di “sacralità”, la figura del sacerdote e, in generale, dell’ecclesiastico, viene reputata al di sopra di certe nefandezze e spesso l’opinione pubblica, quando una vittima denuncia, si schiera più dalla parte dell’accusato che non dell’accusatore. Senza contare che, nell’Italia dei cavilli legali, è facile vedere finire
Sabato 18 settembre 2010
DOLORI VATICANI impunito il proprio abusatore, anche dopo averlo denunciato e, magari, anche dopo che la giustizia lo ha perseguito. L’infanzia è troppo poco tutelata, rispetto agli altri Paesi, e le autorità statuali sembrano preferire non affrontare il problema piuttosto che scontentare la Chiesa cattolica. Quindi perché esporsi, raccontare il proprio calvario, se la società e la legge non assicurano giustizia o almeno il vedere riconosciuta l’infamia subita? Dalle percentuali riportate sembra che in alcuni paesi l’incidenza dei child sexual offender nella popolazione sia maggiore che in altri. In realtà si tratta di un fenomeno facilmente spiegabile: nei paesi in cui la legge persegue con maggiore impegno ed efficacia il reato di abusi sessuali su minori, le denunce e le condanne sono superiori rispetto a quelli di altri Paesi in cui lo stesso crimine non è perseguito con altrettanta efficacia. In parole povere: le vittime sono più propense a sporgere denuncia quando sanno che c’è una possibilità concreta di ottenere giustizia.
BRACCATO E MINACCIATO Il Papa a Londra, tra un attentato sventato e le continue polemiche sugli abusi del clero
Se una sola vittima non basta MA È COSÌ diversa la situazione italiana da quella degli altri paesi? Anche a voler prendere per buone le stime di “un centinaio” di sacerdoti pedofili, come sostiene monsignor Crociata, qual è la percentuale di pedofili tra i preti italiani? Lo 0.29%. Di contro, la Caramella Buona, associazione antipedofilia recentemente costituitasi parte civile nel processo a carico di don Ruggero Conti, rivela che in Italia ci sono 1322 detenuti per pedofilia. Su una popolazione di oltre 20 milioni di maschi adulti, la percentuale è dello 0.006%. L’incidenza della pedofilia tra i sacerdoti italiani risulta essere 48 volte superiore a quella rilevata tra i comuni cittadini. Inoltre, è bene ricordare che difficilmente un pedofilo si ferma ad una sola vittima. Anche “solo” cento casi possono significare centinaia di vittime. Scorretto non è rendere pubblico un problema devastante come quello dei preti pedofili. Scorretto è semmai cercare di sminuire la portata di quel problema, offendere le vittime parlando di “chiacchiericcio”, insultare chi ha già subito l’insulto dell’abuso minimizzando le cifre e tentando di far credere che la vittima, in tutta questa sporchissima faccenda, sia la Chiesa. Quella Chiesa che ha tentato di far credere che gli abusi fossero tutti “casi isolati”, la Chiesa che ha dovuto essere trascinata in tribunale per riconoscere un risarcimento alle vittime, la Chiesa che ha ignorato chi le si rivolgeva per avere giustizia. La Chiesa che ha preferito continuare a proteggere i propri beni e i propri privilegi piuttosto che rinnegare se stessa, prendere la propria croce e seguire quel Cristo incarnato in ogni bambino abusato.
Benedetto XVI circondato dai bambini, ieri, al St Mary’s University College di Londra; sotto le proteste al suo arrivo nella scuola (FOTO ANSA) di Marco
Politi
allarme terrorismo scuote il pellegrinaggio di Benedetto XVI. Scotland Yard ha arrestato ieri mattina a Londra cinque attentatori. Gli agenti sono piombati all’alba, alle 5 e 45, in un negozio della capitale, dove i cinque – che sono netturbini – cominciavano il turno di lavoro. La polizia era armata, ma non è stato sparato un colpo. Gli estremisti islamici, tra i 25 e i 50 anni, sarebbero di provenienza algerina e senza cittadinanza britannica. Un sesto uomo è stato catturato nel primo pomeriggio. Si è temuto che volessero uccidere il Papa. Il luogo dove sono stati sorpresi si trova nella zona di Westminster, dove Benedetto XVI doveva recarsi nel pomeriggio. Condotti in commissariato, sono ora agli arresti per sospetto di “realizzazione, preparazione o istigazione di atti di terrorismo”. Durante gli interrogatori scattavano perquisizioni in due uffici e otto appartamenti della capitale, ma non sono state ritrovate né armi né esplosivi. “Non sono stati sequestrati oggetti pericolosi”, comunica sobriamente
L’
Scotland Yard. Venerdì sera, tuttavia, un’informativa dei servizi segreti parlava di rischio “grave”. Jonathan Evans, capo del mitico MI5, aveva lanciato l’allerta di un “attacco alla Gran Bretagna”. È questo che ha spinto le forze di sicurezza ad agire con la massima rapidità e decisione.
Un’ombra segue il Pontefice
IL PROGRAMMA di Benedetto XVI non è cambiato. La polizia ha diffuso una dichiarazione tranquillizzante: “In seguito agli arresti sono state riviste le misure di sicurezza e
Con il primate della chiesa anglicana l’appello per l’unità dei cristiani: poche cose ci dividono
GLI 007 “Un attacco terroristico resta sempre probabile” capacità della sezione antiterrorismo Lmaesono migliorate nel corso di questi anni il rischio che un attacco letale venga portato a termine resta alto. Non credo che la situazione migliorerà nell’immediato futuro”. Jonathan Evans, il capo dell’MI5, i servizi di sicurezza interni britannici, soltanto giovedì sera - in una rara, e non casuale (vista la coincidenza con il viaggio papale) apparizione pubblica presso la Worshipful Company of Security Professionals di Londra - definiva così la condizione-terrorismo registrata oggi nel Regno Unito. I fatti gli hanno dato immediatamente ragione. Con l’arresto dei 6 individui sospettati di avere in cantiere azioni contro Papa
siamo convinti che i piani adottati siano adeguati”. Rasserenante anche il commento del portavoce papale Lombardi: “Il Papa è felice del viaggio ed è calmo. La situazione non è particolarmente pericolosa. A Sarajevo (per Giovanni Paolo II nel 1997, ndr) lo era molto di più”. Papa Ratzinger, ha ricordato, è partito con “coraggio” per questa missione. Lombardi si è detto certo che la polizia abbia preso tutte le misure necessarie. Ma non è la paura di attentati l’accompagnatrice abituale del pontefice, che incontrando il primate anglicano, ha esaltato la “profonda amicizia” tra le due chiese. L’ombra degli abusi accompagna Benedetto XVI nei suoi viaggi internazio-
Benedetto XVI si riaccende in Gran Bretagna l’allarme dell’estremismo di matrice islamica. L'incubo terrorismo oltremanica, al di là delle paure scatenate dall’11 settembre, ha avuto il suo battesimo di sangue il 7 luglio del 2005, quando tre cittadini britannici di origine pachistana - più uno di origine giamaicana - fecero saltare in aria con attacchi suicida tre vagoni della metropolitana londinese e un autobus provocando 52 morti e centinaia di feriti. Pochi giorni dopo, il 21 luglio, altri quattro uomini cercarono di replicare l’operazione, ma gli ordigni preparati non esplosero a causa di problemi ai detonatori.
nali. È una presenza tragica e ingombrante che condiziona le sue missioni e lo costringe ogni volta, ad ogni inizio di viaggio a pronunciare un mea culpa. È come se l’opera della Chiesa in tutto il mondo improvvisamente si fosse ridotta al cumulo di orrori perpetrati dai preti pedofili. Come se fossero respinte sullo sfondo le iniziative che nei cinque continenti le istituzioni cattoliche intraprendono nella lotta alla povertà e all’emarginazione, come se fosse dimenticato il contrasto al razzismo perseguito sistematicamente a partire dalla situazione italiana, come se fosse archiviata la costante azione della Santa Sede per i diritti delle nazioni del Terzo Mondo e uno sviluppo globale dal volto umano, non
determinato unicamente dagli interessi dei grandi monopoli del Primo Mondo. È da due anni che Benedetto XVI si trova su questa graticola. In volo per gli Usa, in volo per l’Australia, in volo per Malta, in volo per il Portogallo, non c’è volta che nell’incontro con la stampa non risorga, come l’ombra di Banquo per Macbeth, il fantasma dell’abuso clericale sui minori.
In gioco la fallibilità dell’Istituzione È SOLO una congiura dei media, come tendono a credere alcuni collaboratori del Papa? È una cospirazione di centrali anti-cattoliche, che vogliono creare panico, come scrisse su Avvenire il sociologo delle religioni Massimo Introvigne? È un Attacco a Ratzinger come titola il vivace libro di Andrea Tornielli e Paolo Rodari, appena apparso in libreria e seguito da un volume di eguale impostazione La verità del Papa. Perché lo attaccano, perché va ascoltato di Aldo Maria Valli? Bisogna andare più in profondità e partire dalle stesse parole di Benedetto XVI, scandite giovedì scorso. “L’autorità della Chiesa (si noti: l’Autorità complessiva, non singoli vescovi da qualche parte, ndr) non era sufficientemente vigilante e non sufficientemente veloce, decisa, nel prendere le misure necessarie”. Chi scriveva queste cose già decenni fa, chi denunciava la “distrazione” delle Chiesa (“siamo stati distratti”, è scritto nell’editoriale di Avvenire di venerdì) veniva accusato di anticlericalismo. Ora che lo dice il Papa, aggiungendo – come ha dichiarato nella recente Lettera agli Irlandesi –
che “le vittime non sono state ascoltate”, si apre una reazione a catena all’interno stesso della Chiesa cattolica. Perché non sono in gioco i “peccati carnali” di alcuni preti cattivi: tesi minimalista spesso propagata dai difensori d’ufficio del papato e della gerarchia. È in gioco la “fallibilità” dell’istituzione nel suo complesso, che si è sempre presentata monarchica, in cui al vertice veniva attribuita di fatto il talento di avere sempre ragione mentre non è mai stata consentita finora l’esistenza di “stanze di compensazione” dove esaminare, discutere e valutare eventuali errori. È l’istituzione Chiesa che, come struttura, ha perso la credibilità. Papa Ratzinger lo intuisce, non a caso parla di necessaria “penitenza e umiltà”. Ma intuitivamente il mondo cattolico e l’opinione pubblica avverte che ciò non basta. Sono i meccanismi di governo assolutisti della Chiesa a non reggere più. E non funziona il rapporto con l’indispensabile canale con il pubblico credente e non credente, rappresentato dai media.
Un difficile rapporto con i mass media IL VATICANO di Ratzinger dis-pregia i mass media. Li considera prevenuti o non all’altezza. Non li considera interlocutori. Ma non c’è altro termometro nella società contemporanea dell’informazione plurale, che denuncia storture, errori, insuccessi. Dove, se non nell’arena aperta dell’opinione pubblica può svolgersi quel dialogo tra fede e ragione, tra credenti e non credenti che Benedetto XVI ha caldamente auspicato anche ieri nella solenne cornice di Westminster Hall sotto il segno del martirio di Tommaso Moro? È sintomatico che Ratzinger, a differenza di Wojtyla, non accetti mai libere domande dai giornalisti. Lo scandalo della pedofilia riemerge continuamente perché sono i cattolici più fedeli a invocare rigore, coerenza e trasparenza. La ramificazione degli scandali e la “non-vigilanza” sistematica delle gerarchie hanno rovesciato gli schemi del passato. Agli occhi dei fedeli e dell’opinione pubblica non è più la Chiesa gerarchica a elargire indicazioni e concessioni. Tocca alla Chiesa, invece, “rispondere”. Rispondere di azioni e omissioni e di ciò che ancora oggi non fa. (Tanto per essere concreti: in Italia non c’è nemmeno una commissione d’indagine ecclesiastica come in Belgio o in Austria). La svolta della civiltà contemporanea sta nelle domande che salgono dal basso. Quando il Papa afferma che bisogna “reimparare la sincerità”, c’è poi un mondo che esige trasparenza. E se i vertici ecclesiastici non lo comprendono, le domande continueranno a piovere. A Westminster Hall il Papa ha prospettato un’alleanza tra fede e ragione per dare saldi fondamenti etici alle società moderne. La ragione, però, esige che la Chiesa dia risposte alle domande della società.
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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
PIANETA LIBRI
GEOGRAFIA Mariastella studia di più
Baudo Torna Pippo: su RaiTre dal 20 settembre con “Novecento”
Rapper Il nuovo disco di Fabri Fibra subito primo in classifica
Balotelli Lasciato dalla fidanzata Melissa in diretta tv
Mou Non direi mai no al Portogallo, non dipende da me
La riforma Gelmini taglia le ore di insegnamento: tre libri ci spiegano perché è importante avere qualche idea di com’è fatto il mondo
di Riccardo Chiaberge
I
taliani, ultimi della classe in geografia. La riforma Gelmini retrocede questa materia ad ancella della storia, taglia le ore di insegnamento nei licei e negli istituti tecnici, fino ad azzerarle negli istituti professionali. Magnifico, proprio quel che ci voleva per festeggiare il centocinquantesimo dell’unità nazionale. Se un tale, due secoli fa, la definiva “un’espressione geografica”, ora l’Italia rischia di non essere più nemmeno quello, di sparire dalle mappe dei ragazzi col “Sole delle Alpi” inciso sul banco. Del resto, che bisogno c’è dell’atlante o del mappamondo? Basta cliccare su Google, e le macchine hanno
Eliza Griswold esplora la lunga frontiera in cui si fronteggiano islam e cristianità tutte il Gps di serie. Non per niente la gloriosa De Agostini prepensiona i suoi cartografi. Ma si può davvero rinunciare alla geografia? Per fare quello che suggerisce Ulrich Beck, (Potere e contropotere nell’età globale, Laterza, pagg. 455, euro 22,00), ossia diventare cosmopoliti, staccarci dalla fissazione di ciò che ci è familiare e sviluppare insieme “radici e ali”, forse non guasta avere qualche idea di com’è fatto il pianeta. È vero, come dice il sociologo tedesco, che “il bilinguismo, le esistenze divise
in più luoghi, la mobilità permanente, il numero crescente di persone con doppi passaporti, creano un complesso intreccio di realtà divise” che rendono obsoleta la dimensione nazionale. Ma i confini, per poterli scavalcare, bisogna conoscerli.
Spazio, tempo e spirito UN’OTTIMA occasione per ripassare un po’ di geografia è il bel libro di Eliza Griswold The Tenth Parallel (Il decimo parallelo) da poco uscito in America da Farrar, Straus and Giroux (pagg. 318, $ 27,00). Poetessa e giornalista dell’Atlantic, del New Yorker e del New York Times, Eliza ha scandagliato per sette anni la “linea di faglia” lungo la quale si fronteggiano islam e cristianità. Una frontiera rovente, circa 1100 chilometri a nord dell’Equatore, che taglia orizzontalmente l’Africa e Asia dalla Nigeria alle Filippine e su cui si addensa più della metà del miliardo e trecento milioni di musulmani e il 60 per cento dei due miliardi di cristiani esistenti al mondo. Nell’incontro-scontro tra le due fedi si gioca non solo il futuro di due continenti ma il destino stesso del pianeta. In Africa, la fascia tra l’Equatore e il decimo parallelo segna la fine della parte settentrionale, arida e desertica, e l’inizio della giungla sub-sahariana. I venti, il clima e secoli di migrazioni hanno portato le due religioni a convergere in quest’area. Fu Maometto in persona, nel 615 d.C., a inviare una dozzina di suoi familiari e seguaci alla corte del re cristiano di Abissinia (la moderna Etiopia). Seguirono 600 anni di penetrazione musulmana tra Egitto e Sudan, ma anche di pacifica convivenza. Poi esplosero le guerre di religione, finché nel 1504 l’ultima monarchia dell’antica Nubia cristiana si arrese alla spada dell’islam. Ironia della storia, fu un insetto, la mosca tsè-tsè, a fermare l’avanzata musulmana all’altezza, appunto, del decimo parallelo. Oggi il riscaldamento globale rende imprevedibili i cicli di piogge e siccità in quest’area, complicando la vita di nomadi e agricoltori, e il boom demografico in Asia e Africa inasprisce le tensioni. Quello che ci insegna il reportage di Griswold è che
dietro i conflitti religiosi si celano ben più sostanziosi conflitti sulla terra, l’acqua, il petrolio e altre risorse naturali, e le faide tribali vengono spesso strumentalizzate dagli agitatori cristiani o islamici. Essere un cittadino nigeriano, per esempio, non significa nulla: in molte regioni lo Stato non fornisce elettricità né scuole. Per avere la luce in casa o dare un’istruzione ai figli, bisogna rivolgersi alla chiesa o alla moschea. La militanza religiosa supplisce all’impotenza delle istituzioni civili.
Potere e territorio IN NIGERIA e in Sudan, come in Indonesia e nelle Filippine, molti cristiani vivono la loro condizione di minoranze oppresse o schiavizzate: hanno perso chiese, case, persone care, nello scontro col fondamentalismo islamico. Al tempo stesso, i predicatori evangelici portano avanti un proselitismo aggressivo. E proprio come i loro avversari, vedono nell’Occidente sviluppato un luogo senza Dio che ha voltato le spalle alla tradizione cristiana.
Bauman: un tempo i vagabondi erano i diseredati Ora sono le multinazionali a espatriare Già, l’Occidente, dove si colloca nel nuovo atlante globale? Scrive Zygmunt Bauman in un bel saggio appena tradotto dal Mulino (La società individualizzata, pagg. 318, euro 13,00) che nel mondo di oggi “la gerarchia emergente del potere è più vicina agli usi delle società nomadi che di quelle sedentarie; la sedentarietà, in particolare quella senza possibilità di scelta, si va rapidamente convertendo da risorsa in inconveniente”. Se un tempo erano le classi privilegiate, come i proprietari terrieri, a circondarsi di
Illustrazione di Doriano
beni durevoli e i poveri erano i “vagabondi” con il fardello in spalla, adesso la situazione si rovescia, con le multinazionali che piantano le tende dove il costo del lavoro è più basso. Il nuovo “disordine cosmopolita”non è in contraddizione con le piccole patrie, i fondamentalismi e le ideologie di stampo leghista, semmai ne è la causa. Come ha osservato Eric Hobsbawm, “uomini e donne cercano gruppi ai quali appartenere con sicurezza e per sempre, in un mondo dove tutto il resto si muove e cambia, dove null’al-
tro è certo”. Si blatera di Padania, si disegnano simboli celtici, si raccoglie l’acqua del Po nell’ampolla. Ma la sera ci si barrica in casa davanti alla tivù, e il vicino di pianerottolo è un estraneo da tenere a distanza, specie se ha la pelle di un altro colore. “L’età dell’identità – dice Bauman – è piena di urla e furore. La ricerca dell’identità divide e separa, e tuttavia la precarietà dell’impresa solitaria di costruzione dell’identità spinge coloro che la intraprendono a cercare appigli ai quali appendere tutti insieme le paure e le
ansie individuali e a svolgere riti esorcistici in compagnia di altri individui altrettanto intimoriti e ansiosi”. Le “comunità d’appiglio” non servono a proteggere identità già esistenti, ma sono “i sottoprodotti di una febbrile attività di tracciamento di confini”. Così, lo scolaro di Adro non saprà individuare sul mappamondo (georeferenziare, si dice in gergo) il paese del vicino di banco Abdul o Fatima. Ma additerà senza esitazioni il parallelo 45,30’, meridiano 10,15’. Le coordinate di Brescia, Padania.
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SECONDO TEMPO
CALCIO / INTRIGO INTERNAZIONALE
BOMBE SU MONACO di Paolo
Soldini
l Bayern di Monaco, perla preziosa del calcio europeo, si vende le partite come una corrotta squadretta di provincia? Oppure è la Uefa, organizzazione dal prestigio finora adamantino, ad aver preso una topica epocale, fidandosi di certi suoi troppo disinvolti collaboratori? Chissà. Certo è che uno dei due, nella furibonda battaglia che li oppone in Germania, dovrà soccombere, rischiando di uscirne assai malconcio. La vicenda, che sta squassando il mondo del calcio tedesco ed europeo, toccando sentimenti tanto diffusi e profondi che il popolarissimo settimanale Stern gli ha dedicato pagine e pagine di (dubbie) rivelazioni, potrebbe finire ora tra i dossier dell’Europol, la polizia comune europea che in tempi normali si occupa di lotta al terrorismo, traffici di droga e di esseri umani e altre questioni di simile rilievo. A sollecitare le indagini della superpolizia sarebbe il presidente della stessa Uefa Michel Platini, deciso dalla valanga di accuse e di minacce di denunce per diffamazione rivolte dal Bayern all’organizzazione a cercare di fare un po’ di chiarezza su quanto realmente accadde all’Olimpico di Monaco in un giorno di primavera del 2008, quando una squadra russa non proprio ai vertici del calcio internazionale, lo Zenit di San Pietroburgo, inflisse un umiliante 4 a 0 ai padroni di casa ponendo le premesse per la vittoria finale della coppa europea qualche giorno dopo contro i Rangers di Glasgow. La partita era stata comprata dalla mafia russa, come avrebbe insinuato lo svizzero Peter Limacher, il capo dell’ufficio disciplinare della Uefa, sulla base di rapporti dei suoi collaboratori? Oppure il match fu regolare e il suo esito clamoroso fu solo il frutto di uno scivolone dei bavaresi?
I
Il settimanale Stern accusa il Bayern: con lo Zenit partita venduta timido tentativo di marcia indietro, precisando di non aver formulato alcuna accusa e di aver fatto semplicemente quello che è consueto nei casi di risultati inattesi e clamorosi: indagare discretamente per verificare che tutto sia in ordine. Ma al Bayern non basta, anche perché, sulla base
Secondo il capo dell’ufficio disciplinare della Uefa, il match sarebbe stato comprato dalla mafia russa
DOPO LA reazione pesantissima di Karl-Heinz Rummenigge, presidente del FC Bayern München, la sua richiesta a Platini di rimuovere Limacher e le cannonate di indignazione sparate dalla stampa sportiva tedesca (almeno quella del sud della Germania), la Uefa ha fatto un
Uno dei quattro gol subiti dal Bayern contro lo Zenit (FOTO LAPRESSE)
delle rivelazioni dello Stern sembrerebbe che il dossier sia arrivato già confezionato con l’indicazione dei colpevoli (tra i quali lo stesso Rummenigge, il presidente della squadra Uli Hoeness e il direttore finanziario Karl Hopfner) nelle mani di Limacher da un suo collaboratore molto chiacchierato: un certo Robin Bokšic, croato ma residente a Monaco, legato in passato ai fratelli Sapina, un
clan che nel 2005 fu accusato di aver truccato diversi incontri in combutta con degli arbitri corrotti. Bokšic è stato anche condannato per truffa e illecito sportivo, il che non gli ha impedito, però, di seguire Platini ai mondiali in Sudafrica, dove ha trovato il modo di denunciare gare truccate a destra e a manca e di accusare il presidente della Fifa Joseph Blatter di aver intascato un milione di euro. Senza
che nessuno gli desse il minimo credito. SE EFFETTIVAMENTE l’inchiesta “discreta” di Limacher si basa su questa fonte, la posizione della Uefa non pare fortissima. E però, ad approfondire un po’ la storiaccia emergono particolari che fanno sembrare le accuse assai meno peregrine. Basta spostarsi dalla Germania in Spagna e andare indietro alla pri-
mavera 2008 quando in una intercettazione disposta nel quadro di un’indagine sulle infiltrazioni della mafia russa il famoso giudice Baltasar Garzón sente un certo Ghennadi Petrov parlare di “50 milioni” che sarebbero stati versati al Bayern perché perdesse l’incontro 4 a 0. Petrov è un noto esponente dell’organizzazione mafiosa Tambobskaija e va sottolineato che l’intercettazione in cui si mo-
stra certo del risultato avviene “prima” della partita. All’epoca, la circostanza, rilevata dal Paìs e da altri media spagnoli, che avanzano il sospetto che anche la finale contro i Rangers sia stata “addomesticata” a suon di quattrini, passa quasi inosservata in Germania, dove l’umiliazione del Bayern viene ascritta alla stanchezza dei suoi giocatori, alla bravura dell’allenatore dello Zenit, l’olandese Dick Advocaat, e alla stagione di grazia che sta vivendo il calcio russo, alimentato dai petrodollari di alcuni magnati e della potentissima Gazprom, il colosso energetico al centro di mille traffici e di mille sospetti che è proprietario dello stesso Zenit. Ma c’è un altro particolare che potrebbe essere rivelatore: nell’intercettazione Petrov parla dei 50 milioni senza specificare se si tratti di euro o dollari (i rubli sembrerebbero da escludere), mentre nelle carte della Uefa si fa la cifra di 40 milioni di euro. Ora, al cambio dell’epoca, 40 milioni di euro corrispondevano proprio a 50 milioni di dollari, il che renderebbe le cifre compatibili e credibili. Materiale per i funzionari dell’Europol se e quando si metteranno davvero al lavoro sullo strano 4 a 0 che allunga brutte ombre sulla reputazione di una delle società calcistiche più prestigiose e più amate d’Europa.
Sotto la banca, la Roma è stanca di Luca
De Carolis
Roma con i nervi scoperti Nsenteella e senza gioco e vittorie, pree futuro li racconta un banchiere. “Stiamo investendo per far sognare città e tifosi” ha assicurato tre giorni fa da Monaco di Baviera Paolo Fiorentino, numero due di Unicredit. L’istituto di credito che in luglio ha preso di fatto il controllo del club, lasciando a Rosella Sensi la carica molto onorifica di presidente. Uno dei tanti nodi della Roma che sbanda, come una macchina senza guida. Mercoledì scorso si è impantanata contro il Bayern Monaco, che in Champions League l’ha regolata per 2 a 0. La terza sconfitta in quattro gare per la Roma, che aspetta nuovi padroni. La banca cerca compratori con tanto denaro e voglia di vincere, possibilmente stranieri. Nell’attesa, Fiorentino ha rivendicato “gli investimenti di Unicredit per Borriello e Burdisso”. Ma Sensi non ha gradito: si è impegnata in prima persona per le Claudio Ranieri a Monaco di Baviera (FOTO LAPRESSE)
due operazioni, e non vuole essere dipinta come dirigente di facciata. Non solo: la Roma, fanno notare da ambienti societari, ha ottenuto l’avallo della banca solo dopo aver dimostrato che poteva sostenere i due acquisti con introiti da diritti tv e incassi dalla Champions League. Precisazioni che sono il termometro efficace del momento nero del club, dentro e fuori del campo. Una crisi che nasce nello spogliatoio, pancia inquieta della squadra. A certificarlo, le parole di Totti subito dopo la caduta di Monaco: “Siamo tornati al vecchio catenaccio, pensando solo a difenderci e senza mai tirare in porta: così non si vincono le partite”. Una sconfessione delle scelte di Ranieri, reo anche di averlo nuovamente sostituito.
Totti fa pace con Ranieri LO AVEVA già tolto sabato scorso contro il Cagliari dopo pochi minuti, e le radio locali avevano brontolato. Giovedì tecnico e giocatore hanno avuto un colloquio, che ha ricomposto in parte la frattura. Totti ha lanciato segnali di pace con una nota sul suo sito: “Il rapporto con
Paolo Fiorentino di Unicredit rivendica gli investimenti per la squadra I Sensi non gradiscono e lo spogliatoio ne risente
Ranieri è stretto e vero, il nostro feeling è solido: mercoledì avevo solo risposto a dei tifosi in modo molto romano, espressivo e colorito”. Una marcia indietro un po’ affannata, nonché un’indiretta deroga al silenzio stampa, imposto dalla società sino a Roma-Bologna di domani. Deroga opportuna, viste le difficoltà per Ranieri. Anche perché a Trigoria rumoreggiano altri veterani. Stando a sussurri ricorrenti, l’arrivo di Borriello ha indispettito parecchi: perché è un altro attaccante, in un reparto già nutrito, e soprattutto perché prende 3,6 milioni all’anno. Tanti, in una squadra dove molti ingaggi sono stati limati per evitare il baratro finanziario. In quest’ottica, anche il nuovo contratto dell’allenatore (più volte rinviato) potrebbe far alzare qualche sopracciglio. Di certo, per Borriello l’ambientamento è complicato. Lo dimostra un episodio nel primo tempo contro il Bayern: l’attaccante che invita i compagni a uscire dalla propria trequarti, e Ranieri che dalla panchina gli ricorda che certe cose le può dire solo l’allenatore. La conferma che un gesto sbagliato nella Roma attuale può far saltare equilibri fragili. Un bel peso per Ranieri, più debole rispetto a pochi mesi fa. La transizione societaria l’ha lasciato in un pericoloso guado, perché non c’è la certezza che i futuri proprietari lo vogliano tenere. Nelle ultime ore sono circolati anche nomi di possibili sostituti, con Lippi e Leonardo in prima fila. Voci accreditate dai bookmaker stranieri, ma prive di fondamento. Ugualmente fastidiose per Ranieri: irritato, già da tempo. Innanzitutto, per una campagna acquisti che giudica incompleta. Il tecnico ha ottenuto la conferma di Burdisso e un’altra punta oltre alla
scommessa Adriano, ma pretendeva anche due esterni.
Nuova tattica NE È arrivato uno, Castellini, riserva nel Parma. Impaccio importante per i suoi piani tattici, perché nel 4-4-2, schema base di Ranieri, gli esterni sono fondamentali. In estate il tecnico ha provato cinque moduli diversi, cercando una nuova identità per una squadra che Spalletti aveva plasmato con il 4-2-3-1. Uno schema che Ranieri ha più volte adottato nella stagione scorsa, con ottimi risultati. Ora però vuole voltare pagina. “Non possiamo più giocare con un unico attaccante” ha spiegato. Ma a livello tattico c’è confusione, sfociata in numeri da allarme rosso: nove reti incassate e due segnate.. Un altro tema è quello della preparazione estiva, fatta di poco fondo e molto lavoro con il pallone. Impostazione che segue i precetti vincenti di Mourinho, ma che ha suscitato dubbi già nel pre-campionato. Per ora, la squadra ha il fiato corto. C’è poi il cronico problema dei campi di Trigoria, malmessi e pericolosi. Se ne lamentava già Spalletti, mentre Ranieri li ha paragonati alla pineta sabbiosa di Castel Fusano. Dalla società promettono di risolvere tutto in dieci giorni, ma la lista degli infortunati è già lunga. I tifosi, inevitabilmente, minacciano contestazioni. C’è rabbia, mitigata solo dalla speranza nell’arrivo di nuovi, facoltosi proprietari. Tra i 23 interessati, ci sarebbero anche il magnate russo Leonid Fedun, e un fondo di investimenti degli Emirati Arabi, Mubadala. Suggestioni, come antidoto alla crisi.
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SECONDO TEMPO
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TELE COMANDO TG PAPI
Paso Doble per Minzo di Paolo Ojetti
g1 Dopo il militare ucciso in Afghanistan e i “presunti” congiurati che volevano attentare alla vita del Pontefice, ecco incedere il famoso “paso doble” del Tg1. Da una parte una maggioranza che “si allarga” e si dimostra “coesa” con Capezzone che garantisce il lato comico e ripete: “È il governo dei fatti e del cambiamento, nella scuola, nella Pubblica amministrazione”. Dall’altra, le flagellazioni del Pd, i colpi e contraccolpi fra Veltroni, Bersani, D’Alema. Come uscire da queste trappole mediatiche? Alle 13,30 il Tg1 ha aperto con il decreto di “Roma Capitale”, Alemanno pieno di medaglie (le prime mosse per questo decreto risalgono ai tempi di Rutelli) che si sdilinquisce per Calderoli. A pensarci bene, il decreto sembra una riedizione del “Governatorato di Roma” dei
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tempi del fascismo, quando la Capitale aveva una sua larga autonomia. Nota di cattivo gusto nel servizio da Loreto Aprutino dove riemerge un vecchio tentativo di violenza carnale: i minorenni arrestati avevano “scelto la preda”. g2 T Identica scaletta per il Tg2 che poi passa a Berlusconi e alla sua strana tesi sulle “compravendite” di parlamentari. Dunque, non ci sarebbe nessun passaggio di proprietà dei deputati che si accodassero ai berluscones, visto che quelli corteggiati (è un modo di dire) “erano stati eletti nel centrodestra”. É un concetto calcistico, dove il mercato prevede anche il “prestito”, gratuito o con conguagli adeguati, oppure la “comproprietà” che è una figura metagiuridica ancora più limpida: mezzo deputato è ancora mio e me lo gestisco io. Bè, “riscattarne” la metà
costa meno. Una finestra anche per Bersani che vuole rimboccarsi le maniche e occuparsi dei guai degli italiani. Veltroni, annacquato il suo documento, ha raccolto 75 firme. Sono solo le prime mosse, il bello arriverà presto. g3 T Il tenente ucciso e il papa, anche se il Tg3 sgonfia un po’ l’ipotesi di un attentato. Meglio la politica e la “campagna acquisti” che c’è, anzi non c’è. Un piccolo passaggio su Roma Capitale e su Bossi: “Ho votato perché Alemanno piangeva. Ma ora voglio la capitale del Nord”. Che, come capirebbe anche un bimbo, è una battuta per i leghisti della bassa brembana, che sono di bocca buona e si bevono un po’ di tutto. Milano capitale del Nord leghista? Perfetta, viste le immagini seguenti, dove si procede allo smantellamento del più grande campo nomadi d’Europa senza che nessuno abbia detto dove e come verranno sloggiati. Controcanto su Padova, altra città nordista e non tanto progressista. Il sindaco, Flavio Zanonato, fu un comunista duro e puro. Molto tempo è passato, la realpolitik amministrativa lo tiene a galla da anni, ma ai pogrom no, non c’è arrivato.
di Nanni Delbecchi
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Televoto senza assaggio
a Mauro Masi lo vede il pubblico di Antonella Clerici a “La prova del cuoco”? Se coM sì non fosse, lo invitiamo a sintonizzarsi su Raiuno a mezzogiorno e a emanare uno dei suoi famosi codici di comportamento. Altro che il “pubblico passivo” vagheggiato dal direttore generale di viale Mazzini. Qui, alla corte di Antonella Clerici in Gran soleil, non ci si limita ad applaudire senza sosta gli chef, gli sguatteri e perfino i lavapiatti; qui si tifa da stadio, si intona in coro Happy birthday to you, si balla “La Mazurka di periferia/ che fa venir tanta voglia di fare l’amor”, qui irrompe la voce di Claudio Cecchetto che intima una versione riveduta e corretta dell’indimenticabile Gioca Jouer: “Impastare!... Inzuccherare!... Frullare!... Spadellare!”. Chi sono mai la Gabanelli, Floris e lo stesso Santoro al confronto di questa santoressa platinata, instancabile nell’aizzare la sua platea di casalinghe? Tornata sulla tolda del programma che la lanciò, la Clerici riduce a una mousse il ricordo della pudibonda Elisa Isoardi e si accredita come una pericolosa arruffategami; Masi si sbrighi a vigilare prima che da quello show salti fuori chisLa conduttrice sà quale pasticcio di de “La prova del cuoco” fegato o esploda addiAntonella Clerici rittura un sartù di riso. A un esame più attento, ci si accorge che il vero modello di Antonella Gransoleil non è nemmeno Santoro ma Gianfranco Funari. Fu Funari a inventare la conduzione fisica, materica, fatta di primissimi
piani, inesauste deambulazioni per lo studio, di mani messe letteralmente in pasta, nella mortadella e nel bucatino. E fu sempre Funari a teorizzare che il mezzogiorno era un orario chiave del palinsesto televisivo, il pubblico delle casalinghe una meravigliosa terra di conquista. Ci riuscì davvero a conquistarla, e il suo capolavoro consisté, complice l’esplosione dell’inchiesta Mani Pulite, nel mescolare abbacchio e tangenti, matriciane e avvisi di garanzia, casalinghe e politici. Ma erano altri tempi, e lo si vede proprio dall’evoluzione del mezzogiorno in tv. Alla “Prova del cuoco” le mani in pasta ci sono ancora, le casalinghe scalmanate pure; però per un’ora e mezza non si parla altro che di soffritti, di dadolate, di tempura, di passatine. Nulla deve turbare la dimensione gastroenterica dell’esistenza: c’è il buio oltre l’abbacchio. Resta il fatto che questo pubblico ne sa una più del diavolo. E proprio verso la fine del programma, quando si tratta di giudicare i manicaretti dei due cuochi in gara, si sfiora l’incredibile. Il verdetto viene emesso dalla platea attraverso il televoto, ma – attenzione – senza avere assaggiato le pietanze. Ora, nessuno discute le frontiere del televoto, applicato ormai a qualsiasi branca dello scibile; e nemmeno ci sono ignote le relazioni tra arti culinarie e la magia nera. Ma il dubbio resta. Come fanno queste casalinghe a votare con il telecomando un cibo che non hanno potuto nemmeno assaggiare? Senza scomodare gli Ufo e il calendario Maya, c’è una sola spiegazione. Conta solo quello che si vede, quello che pure noi telespettatori abbiamo visto preparare, ed è quello che bisogna votare, la pura e semplice messa in scena. Profonda saggezza televisiva della “Prova del cuoco”: l’illusione è la sostanza, e la sostanza non è che un’illusione.
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SECONDO TEMPO
MONDO
WEB
SULL’OSPEDALE DI DON VERZÉ
Vendola-Web botta e risposta “L
e sue risposte nel merito non mi convincono del tutto, ma il fatto che abbiamo replicato alle domande poste da dei cittadini su Internet suona come rivoluzionario”. Questo il commento di Arianna Ciccone, la pasionaria alla testa di Valigia Blu – il comitato di cittadini auto-organizzati sul Web promotore anche dell’appello contro il “Porcellum” – dopo che il governatore pugliese Nichi Vendola ha risposto a una serie di domande che proprio dalla Rete gli erano state recapitate. Il tutto era cominciato lo scorso agosto quando, riprendendo un’inchiesta del sito Italia Terra Nostra, Valigia Blu aveva chiesto chiarimenti a Vendola: “Il sito Italia Terra Nostra – la missiva pubblicata su Internet – porta avanti un’inchiesta sul nuovo Ospedale di Taranto”; si tratta del San Raffaele del Mediterraneo, la cui costruzione partirà a dicembre grazie “a una Fondazione pubblico-privata guidata da don Verzé”; ovvero il sacerdote noto per il
suo strettissimo rapporto con Silvio Berlusconi e per i suoi legami d’affari con il Sismi e Niccolò Pollari. Ieri, dalla sua pagina Facebook, Nichi Vendola ha risposto alle domande di Valigia Blu. Prima sulla legittimità dei quesiti: “Le domande ai politici, agli uomini delle istituzioni sono il sale della democrazia e sono indispensabili per la sua crescita e per la sua tutela”; poi, nel merito: “Quella del San Raffaele di Milano è la più importante sperimentazione in campo sanitario della sanità meridionale – scrive ancora Vendola –. La fondazione è, in base a dati ufficiali, tra le migliori strutture di cura e ricerca in Italia. Abbiamo creduto che nell’area tarantina un processo accelerato di modernizzazione potesse avvantaggiarsi della collaborazione di una istituzione prestigiosa”. Valigia Blu, è soddisfatta: “Possiamo avere opinioni diverse – spiega ancora la Ciccone – ma abbiamo sancito un principio: che i politici devono rispondere a tutti i cittadini”. f.mello@ilfattoquotidiano.it
è WIKILEAKS: SERVER A PROVA DI BOMBA CUSTODITI IN UN EX BUNKER ATOMICO IN SVEZIA
Il dispositivo messo in atto da Wikileaks per proteggere le sue fonti e i suoi scoop sono davvero a prova di bomba. Dalla pagina Twitter ufficiale, infatti, lo staff di Julian Assange fa sapere che i server che ospitano le pagine diWikileaks sono collocati in Svezia all’interno di un ex di Federico Mello bunker atomico costruito durante la Guerra fredda. Nello specifico, i server si trovano all’interno del centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondità a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore. Il è YAHOO SI RINNOVA nome in codice della struttura, originariamente LO STORICO MARCHIO SUPERATO DA BING gestita dai militari e predisposta per resistere Funzioni di ricerca rafforzata, chat e all’esplosione di una bomba all’idrogeno, è caselle di posta rinnovate. Queste "Pionen White Mountains". Intanto, riferisce il sono alcune delle novità del prossimo Guardian online, il Pentagono avrebbe creato un importante restyling di Yahoo! team per capire quali documenti segreti sulla annunciate in un convegno in California guerra in Afghanistan sono ancora in possesso di e che saranno gradualmente introdotte Wikileaks in queste settimane. Il motore di ricerca, secondo gli ultimi dati in affanno sul concorrente Microsoft Bing – con il quale però sono in corso numerose collaborazioni negli Stati Uniti e in Canada – cercherà di rafforzarsi anche offrendo la possibilità di inviare sms dalla casella di posta e con sinergie sempre più strette con Facebook e Twitter.
feedback$ Commenti all’articolo: “La Lega ci mette il marchio” di Chiara Avesani, da ilFattoQuotidiano.it è È UN MARCHIO registrato, sarebbe come marchiare una scuola con la CocaCola. LucaSchiavoni è LA LEGA fa il suo gioco, ma ci sono organi dello stato che dovrebbero intervenire e invece non lo fanno e col loro silenzio danno un implicito assenso a quanto sta succedendo. forzabari è ABUSO DI POTERE vero e proprio cosa si aspetta a cancellare questi simboli? La scuola appartiene a tutti!!!! maria è IL SINDACO di Adro deve dimettersi in quanto rappresenta l’espressione più scadente di un funzionario dello Stato italiano e così coloro che lo giustificano a partire dal ministro Gelmini Tony è È VERGOGNOSO che in un paese occidentale e democratico si dia la possibilità a un movimento secessionista di infangare la cultura e l’identità nazionale... di questo dobbiamo ringraziare l’onorevole Berlusconi pasquale petrone
Le risposte di Vendola; le domande di Valigia Blu; l’account Twitter di Wikileaks; Tim Berners Lee
GRILLO DOCET
I LINEA 77 PER WOODSTOCK 5 STELLE
Ciao a tutti, sono Paolo dei Linea 77, un gruppo di musica italiana dura. Siamo usciti in Inghilterra prima alla fine degli anni Novanta, abbiamo fatto un paio di anni lì suonando un sacco e avendo un discreto successo. Poi siamo tornati in Italia e grazie a quell’esperienza abbiamo acquisito una notorietà e un credito verso il pubblico e gli addetti ai lavori che ci ha permesso di continuare negli anni, e a distanza di 12 anni dall’uscita del primo disco siamo ancora quì. Abbiamo registrato sette album nel frattempo e l’ultimo è uscito non molto tempo fa. Ma veniamo al mitico Grillo e a Woodstock, perché ci piace molto l’iniziativa che ha preso Beppe. La situazione è stagnante e avvilente e siccome siamo sempre stati convinti che non basta lamentarsi eccoci qua. Proposte come il Parlamento pulito piuttosto che il turnover obbligatorio per i parlamentari, il controllo delle risorse della terra, impedire che queste vadano a finire nelle mani delle solite quattro multinazionali, sono argomenti che ci trovano favorevoli da tempo immemore. Beppe con la vitalità, la simpatia, l’energia e la forza che ha è uno dei pochi rimasti che perlomeno ci fanno credere che se c’è una speranza lui è sicuramente uno di quelli che in qualche modo può alimentarla, e il cambiamento che noi e molti è L’IP È UN DATO PERSONALE altri auspichiamo. LA SVIZZERA SUL FILE-SHARING Un saluto a Beppe Mentre in Francia è diventata legge Hadopi, Grillo e a tutti gli amici la disposizione volta a combattere lo di questa iniziativa scambio di materiale protetto da diritto è “CONNESSIONI PER TUTTI” Woodstock cinque d'autore su Internet, in Svizzera il Tribunale L’INTERVENTO DI TIM BERNERS LEE stelle, da Chinaski e da federale ha stabilito che è illegale tracciare Zitti tutti: parla Tim Berners Lee tutti i Linea 77. gli indirizzi IP di chi scarica illegalmente l’inventore del World Wide Web. materiali tramite Peer-to-Peer. Il Tribunale L’informatico – Cavaliere del Regno ha dichiarato che l’indirizzo IP è un dato in Inghilterra – ha preso la parola al personale e, come tale, non può essere Nokia World di Londra disegnando, come al suo solito, gli maneggiato o venduto come merce. scenari futuri per la Rete. Secondo Lee – come riferisce Nessuna società privata dunque, è Punto Informatico – la banda larga dovrebbe diventare un autorizzata a raccogliere dati degli utenti di diritto gratuito per tutti. Solo la quinta parte della file sharing. Il pronunciamento del Tribunale popolazione mondiale ha accesso alla rete - ha spiegato è conseguente all’accusa a Logistep AG, che “cosa dire allora del restante ottanta per cento?”. La sua con un software scovava gli indirizzi IP degli visione è quella di un prossimo futuro in cui in tutto il utenti che scaricavano file in Rete e li mondo i cittadini abbiano a disposizione una connessione. rivendeva. La società, dichiarata colpevole, Lo scenario, vista anche la diffusione dei dispositivi mobili, ha ribattuto che “presto, la Svizzera rischia non è fantascientifica. Problema fondamentale sono di avere la reputazione di un rifugio sicuro piuttosto “le politiche di prezzi troppo alti” sulle non solo per gli evasori fiscali, ma anche per connessioni, comprese le tasse imposte dai governi. i trasgressori del copyright”. Adesso le toccherà fare le valigie verso nuovi lidi, magari nella vicina Francia. (Pasquale Rinaldis)
è NO, NON SI PUÒ sopportare che la lega si impadronisca di una scuola della repubblica italiana senza che nessuno, neanche le figure istituzionali più autorevoli, battano ciglio. Fossi in loro non sottovaluterei queste menate leghiste, avete letto i giornali di oggi? Il capo degli “unni” vuole la capitale del nord ma le multe sulle quote latte le debbono pagare gli italiani tutti Libera è È MOLTO GRAVE usare un simbolo “partitico” in strutture destinate all’educazione dei ragazzi. I nostri figli devono fare le loro scelte con la loro testa e non devono essere “per forza” quelle dei loro genitori Antonio è LA SCUOLA deve essere libera da simboli e ideologie politiche Marie Therese è È DEPRIMENTE assistere ogni giorno alle sceneggiate delle camice verdi: ampolle, dita medie… e truffe tipo quella delle quote latte o delle filiere di fatture false, delle banche del nord e delle scempiaggini varie alla trota. Vittorio è QUESTA è una battaglia da combattere, da qua si riparte per l’Italia Antonio è SI COMINCIA a delineare una frattura sempre più profonda, la gente comincia ad incazzarsi seriamente… Regolo76 è …IO MI APPELLO alla gente che vota lega !!!!Ma non vi accorgete che i propositi orginali di questi taglialegna sono cambiati!? Dove sono finiti la lotta agli sprechi e alla criminalità…dove????? Donald
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SECONDO TEMPO
battibecco
PIAZZA GRANDE
É
CLINTON, FIDEL L’UMANITÀ DOV’È? L
Marketing padano di Bruno Tinti
osì in Adro c’è il Polo scolastico Gianfranco Miglio; non è il massimo come personaggio cui intitolare una scuola, sembra che l’ispiratore di Bossi, prima di essere definito “scoreggia nello spazio” ed essere privato del ruolo d’ideologo di partito, sostenesse, a proposito degli extracomunitari, che “non vanno mischiati gli schiavi e gli europei”. Ma c’è di peggio, se è vero com’è vero che il Comune di Milano voleva intitolare una strada a Craxi. Insomma, ognuno si crea gli eroi che gli si confanno. Il punto è che, nel suddetto Polo scolastico, campeggia un po’ ovunque il logo leghista, quella specie di riccio verde che rappresenterebbe il Sole nascente sulle Alpi: marketing palese, nel più puro stile televisivo B&C; sfruttamento dell’istituto pubblico per privati scopi elettorali. La cosa mi pare censurabile per almeno 3 ragioni.
C
Una norma abrogata FINO AL 1990 il Codice penale italiano puniva (da 6 mesi a 5 anni, come la corruzione) il Pubblico ufficiale che prendeva un interesse privato in qualsiasi atto della Pubblica amministrazione. Ad esempio, se sindaco, consiglieri e assessori della maggioranza deliberavano una variante al piano regolatore che aveva come effetto quello di far divenire area edificabile un paio di ettari di proprietà di qualcuno di loro, fino ad allora adibiti a pascolo, potevano essere processati e condannati perché non è una bella cosa sfruttare la funzione pubblica in questo modo. Se questa norma fosse stata ancora in vigore, i “padroni”di Adro che hanno utilizzato la loro funzione per fare propaganda al loro partito in un complesso scolastico pubblico avrebbero commesso questo reato. Ma, appunto, nel 1990, una classe politica dedita, allora come oggi, al più spudorato ma-
laffare, la abrogò: era uno strumento troppo efficace contro l’illegalità istituzionale per consentirne la sopravvivenza. Oggi però varrebbe almeno la pena di ricordare che, per decenni, una condotta come quella tenuta dal sindaco di Adro e dai suoi colleghi è stata considerata reato; non (solo) inopportuna, scorretta, volgare: è stata considerata illegale. Venendo a tempi recenti, tutti ricorderanno che, il 3 novembre 2009, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione degli artt. 2 («Diritto all’istruzione») del Protocollo addizionale n.1, e 9 (“Libertà di pensiero, di coscienza e di religione”) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Si tratta della celebre sentenza sul crocifisso nelle aule scolastiche. Naturalmente non esiste alcuna possibile analogia tra il crocifisso, venerato da miliardi di persone per un po’ più di 2000 anni e simbolo di una seria filosofia sociale e politica, e il riccio verde che tanto piace al sindaco di Adro. Esiste invece una totale identità tra i principi giuridici applicabili nell’uno e nell’altro caso. Ha affermato la Corte che, in una scuola pubblica, deve essere rispettata la libertà di non subire alcun condizionamento (religioso in quel caso, politico in questo); e che, in una società democratica, le istituzioni scolastiche devono rispettare il principio del pluralismo educativo; il che presuppone “un ambiente scolastico aperto, tale da favorire l’inclusione piuttosto che l’esclusione”. Raccomando la lettura integrale di questa sentenza, scritta con semplicità e vero monumento di civiltà democratica. Ma già da quello che ho riassunto si capisce bene come non possono essere rispettati i diritti fondamentali dell’uomo se, in una scuola pubblica, si installano loghi rappresentativi di un unico partito e in tal modo si impartisce, sia pure in modo indiretto (proprio questo ragionamento è stato posto alla base della sentenza sul crocifisso nelle aule scola-
stiche), un insegnamento politico sociale targato Lega, con conseguente esaltazione del relativo credo politico e, altrettanto conseguente, critica di qualsiasi altro. Se qualcuno dei genitori non leghisti avesse tempo e denaro (tanto denaro) per avviare una procedura contro il Comune di Adro per violazione delle norme più sopra citate credo che potrebbe avere una bella sorpresa.
I magistrati a Bergamo E INFINE qualcosa di ancora più recente. Forse non tutti sanno che B&C hanno completato un lungo cammino (durato circa 10 anni) per attribuire al ministro della Giustizia il compito di organizzare la scuola della magistratura che, fino ad allora, era organizzata (molto bene) dal Csm. Non c’è molto da stupirsi se la prima sede di questa nuova scuola è stata prevista a Bergamo. Come non c’è da stupirsi? Bè, il 19 agosto Bossi, che era a Calalzo per festeggiare il compleanno di Tremonti, commentando questo fatto ha detto (con la consueta finezza): i magistrati oggi si fanno "i cazzi loro e noi i cazzi nostri", per questo adesso "i giudici li educhiamo noi". Siccome potevano esserci dubbi su cosa l’illustre politico intendesse dire, ha chiarito tutto Calderoli: finalmente abbiamo "la possibilità di avere magistrati padani in Padania, mentre adesso vengono per la maggior parte da fuori". In cosa un magistrato padano dovrebbe differenziarsi da un magistrato calabrese non si capisce bene; o forse si: ci si aspetta da lui sentenze “padane”; e poco importano l’imparzialità, l’autonomia, l’indipendenza dei giudici. Ma il punto fondamentale è un altro. La Lega considera la scuola della magistratura e la scuola di Adro
IL FATTO di ENZO
l
Fuochi e fiamme, tarallucci e vino. Così si può riassumere quello che è successo tra la Lega e il Cavaliere. La prima ha alzato la posta. Il secondo ha ceduto. D’altra parte, la Casa delle libertà senza i lumbard dove andrebbe a finire? Strettamente personale 2006
come sua proprietà; e dunque pensa di poterne fare quello che vuole: esporre i suoi simboli ed educare bambini e giudici secondo i suoi principi. La domanda è: se qualcuno, bambino o giudice, non è d’accordo?
L’istituto di Adro intitolato a Miglio e addobbato di simboli leghisti, la scuola per magistrati con sede a Bergamo: il Carroccio pensa che siano cose di sua proprietà. E ne fa ciò che vuole
Tamburrano
ncora recentemente, due anni or sono, la compravendita di parlamentari era cosa che faceva vergogna ed era negata. Un altro segno del crollo della moralità pubblica: oggi è raccontata tranquillamente dai parlamentari in offerta: perché le trattative non si svolgono tra l'Arco di Giano e l'Arco degli Argentari? Allora, ce la farà ancora una volta Berlusconi, chiamato Cesare tra gli amici che lavorano per lui, per farne un altro Princeps legibus solutus come Cesare? Io non so se riuscirà ad evitare di incappare in un'aula di giustizia; ma mi pare che riuscirà – possa io sbagliarmi! – a restare a Palazzo Chigi. Ormai sono tanti che lo aiutano so-
A
stenendolo ma anche, e forse più efficacemente, avversandolo. Non disturbate dunque Nucara il manovratore. E attendiamo i risultati della sua campagna. Ma “aspettando Godot” ci dobbiamo chiedere che cosa intende fare Fini che “sostiene il governo”, forse come la corda sostiene l'impiccato?
Programma e politica I FINIANI voteranno i “cinque punti” annunciati: ma il gesto sarà inutile se Berlusconi non avrà una maggioranza sua. Se i finiani dovessero essere determinanti la Lega minaccia di votare contro il governo per farlo cadere e andando alle elezioni... alleandosi con Berlu-
sconi (che nel frattempo dovrà trovare il modo per non finire in Tribunale). Ecco il ruolo salvifico di Nucara che da repubblicano residuale vuole salvare la monarchia berlusconiana. L'atteggiamento di Futuro e libertà è incomprensibile. Sostengono che non usciranno dalla maggioranza se e fin quando il programma resta quello originario del Pdl e approvato da loro. Ma il problema non è programmatico, è politico. È per ragioni e motivi politici che Fini ha rotto con Berlusconi e si è messo in proprio. Capisco che Fini ha bisogno di tempo per organizzare il partito in tutto il Paese. Ma in nome di che cosa, con quali idee, progetti e programmi lo organizza? L'Italia è un malato che quasi insensibilmente peggiora ogni giorno. Il personale politico
a Fiat trasferirà la produzione della nuova Panda da una fabbrica polacca a Pomigliano, cosa che se risolve i problemi dei lavoratori di Pomigliano ne creerà altri a quelli polacchi. Nel contempo la Fiat dislocherà da Mirafiori, portandola in Serbia, una nuova produzione, il che se farà contenti gli operai serbi, anche quando non dovesse portare alla disoccupazione di quelli di Mirafiori sicuramente renderà molto più difficile l'ingresso nel mercato del lavoro di migliaia di giovani italiani. Il capitale, essendo mobile, non conosce frontiere né amor di Patria, segue solo il suo interesse. Già cinque secoli fa Giovanni Botero ammoniva sul “pericolo che sorge per lo Stato quando la base della proprietà della classe dominante è costituita da beni mobili che in tempi di pubbliche calamità si possono portare al sicuro, mentre gli interessi dei proprietari terrieri sono legati indissolubilmente alla Patria”. Il capitale se nel Paese in cui è stato accumulato trova delle difficoltà va altrove. Sul Corriere della Sera Raffaella Polato ipotizza che se a Marchionne non fossero date le condizioni che chiede risponderebbe: “Il mondo è grande”. Ma se il denaro può andarsi a cercare liberamente il luogo della Terra dove ritiene di esser meglio remunerato, lo stesso dovrebbero poter fare gli uomini. A meno che non si voglia sostenere l'aberrante tesi che il denaro ha più diritti degli uomini. Invece è proprio ciò che accade. Mentre il capitale evoluisce liberamente per l'universo mondo, agli spostamenti delle popolazioni, soprattutto dei Paesi cosiddetti "sottosviluppati", che spesso sono state rese miserabili proprio dall'irruzione di quel capitale che, con le sue dinamiche, le ha sottratte alle "economie di sussistenza" su cui avevano vissuto e a volte prosperato per secoli, vengono posti limiti sempre più ferrei in attesa di prendere i "migranti" a mitragliate. Sulla globalizzazione ci sono solo due posizioni coerenti. Quella dei radicali italiani che sono per una totale libertà di movimento dei capitali ma anche per una altrettanto totale libertà di movimento degli uomini. E quella che sta all'estremo opposto, e che per ora è puramente concettuale, di chi dice no all'immigrazione ma rinuncia anche ad andare a piazzare le sue puzzolenti e devastanti fabbriche in Niger, in Nigeria, in Bangladesh, in Marocco o altrove. Tutto ciò che sta nel mezzo, sì alla globalizzazione dei capitali, no a quella degli uomini, è di una violenza inaudita e ripugnante. Eppure sia la destra che la sinistra sono a favore della globalizzazione. Bill Clinton a un forum del Wto del 1998 ha dichiarato: “La mondializzazione è un fatto e non una scelta politica” e Fidel Castro di rincalzo, nello stesso Forum: “Gridare abbasso la globalizzazione equivale a gridare abbasso la legge della gravità”. Ed è vero se al centro del sistema noi mettiamo l'economia: tutto deve adeguarsi ad essa. Ma sarebbe altrettanto vero se al centro del sistema mettessimo uno spillo, tutto dovrebbe girare intorno allo spillo. L'economia non è stata sempre al centro del sistema. In epoca preindustriale era inglobata nelle altre e molteplici esigenze umane al punto che era indistinguibile da esse, e non è un caso che l'economia politica, come scienza, o presunta tale, sia coeva alla Rivoluzione Industriale. Aver puntato tutto sull'economia, emarginando ogni altro bisogno dell'essere umano, si è rivelato un fallimento epocale come ognuno oggi, con gran ritardo, può vedere. È un Moloch che pretende sacrifici umani, massacri, alle popolazioni del Terzo e ora anche del Primo mondo. Io credo che al centro del sistema vada rimesso l'uomo e l'economia riportata al ruolo marginale che ha sempre avuto finché abbiamo avuto una testa per pensare.
Non disturbate il manovratore Nucara: attendiamo i risultati della campagna acquisti Ma cosa vuol fare Fini che sostiene il governo, forse come la corda sostiene l’impiccato?
Allo spaccio dei parlamentari di Giuseppe
di Massimo Fini
dominante è formato in buona parte di corrotti, affaristi, lobbisti, cinici, immorali, volgari. Financo la Marcegaglia ha perso il suo aplomb. Politica corrotta, nazione infetta. Lo spettacolo sulla scena pubblica provoca un duplice effetto: 1) di irritazione (“e che so' fesso io?”); 2) di rifiuto, violento (i fumogeni) o silenzioso (gli astenuti). Per fortuna il sistema-Paese, la nave, se non va, galleggia anco-
ra, sul pelo dell'acqua. L'iniziativa di Fini può (poteva?) essere un colpo d'ala, ma non all'interno del recinto di Berlusconi ove Futuro e libertà può solo starnazzare.
Crisi delle istituzioni PENSO alla Prima Repubblica, alla sua decadenza e al grande movimento di rinnovamen-
to: i risultati fanno rimpiangere quei tempi, quei dirigenti politici, perché anche i peggiori erano migliori di questi. E si risente in giro il “era meglio quando era peggio”: e questa volta è vero. Le vicende parlamentari possono portare a una gravissima crisi istituzionale. Cerchiamo tutti di esserne consapevoli. E soprattutto le opposizioni, il cui ruolo è il ricambio. Ma il centrosinistra invece di unirsi si divide, fa “documenti” e gruppi che si lottano alla cieca. Che cosa offrono al Paese in alternativa a Berlusconi e Bossi? Quale il programma, quale la leadership? Forse questi problemi si porranno a breve se Nucara non gliela fa. Qualora Napolitano non sciolga le Camere, sono in grado di dare vita a una nuova maggioranza? Vorrebbero cambiare la legge elettorale: è sacrosanto. Ma non sanno come. Anche la Francia vive una crisi etico-politica e Sarkozy scivola negli indici di gradimento. Ma almeno in quei sondaggi salgono i socialisti, che la maggioranza dei francesi vorrebbero al governo.
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SECONDO TEMPO
MAIL Berlusconi e Sarkozy insieme contro i rom
BOX A DOMANDA RISPONDO MA QUALE FEDERALISMO?
Furio Colombo
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Berlusconi si è schierato sulle posizioni di Sarkozy, abbracciando la cacciata dei rom, solo perchè ha cominciato la sua personale campagna elettorale, non si sa mai... Se dai suoi sondaggi 'ad personam' però risultasse che i rom potrebbero votare per lui, lestamente cambierebbe proclama e direbbe che siamo stati noi e Sarkozy a fraintenderlo!
aro Furio Colombo, se un paese immenso come gli USA si è potuta erigere la Repubblica costituzionale 'federale' quasi cento anni prima dell'unità d'Italia, come si può accettare invece che il federalismo in Italia passi come una questione da circoscrivere nei confini di un singolo paese europeo? Negli ultimi vent'anni non mi pare di aver mai potuto registrare una simile, ovvia constatazione. Né da parte della stampa, tanto meno per voce della classe dirigente: l'argomento è sempre più usato come una scure che minaccia buona parte della cittadinanza, piuttosto che essere simbolo di giustizia ed eguaglianza. Diego
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Lucio O.
Il razzismo cresce la legalità descresce Non so come siano i Rom che Sarkozy non gradisce in Francia ma conosco quelli che da tanti anni vivono nella mia città, Rimini. Premetto che quel che segue non c'entra nulla con il razzismo e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Il nostro comune ha fornito loro un terreno dove poter sostare con i loro mezzi, un servizio di pullman per accompagnare i loro figli a scuola, assistenza sanitaria e tutti i servizi sociali possibili. Risultato: hanno devastato il quartiere che li ospita (vetri rotti, cartelli stradali divelti, gare di corsa con macchine in mezzo alla strada, ecc), tanto che gli altri residenti non esco-
PENSO E SPERO che l’autore della lettera sappia quante volte ho detto e ripetuto la stessa cosa, fin dalla prima legislatura Prodi (1996), quando tutti, a sinistra, cominciavano a corteggiare la parola “federalismo”, versione Lega, come una cosa buona, facile, non costosa. Cercavo di far notare che nessun paese democratico al mondo si era mai autofrantumato nel corso
LA VIGNETTA
della sua storia. Se mai tanti Stati diversi si erano (o erano stati) aggregati formando una federazione. C’è un unico caso: la Cecoslovacchia che, poco dopo la caduta del Muro, si è divisa in due Repubbliche, Ceca e Slovacchia, ma indipendenti e senza legami. Quanto agli Usa, come la Germania, sono il classico Stato federale nato da aggregazioni storiche accuratamente negoziate nel tempo. Il progetto leghista nasce dall’idea di secessione e continua a nascondere, ma non tanto, la frantumazione del Paese, l’abbandono del Sud, l’assorbimento di tutte le risorse (ma non i debiti) al Nord. Se il Paese si rompe, si realizzerà il vero e unico sogno della Lega padana, benché il loro presente “territorio”, la Padania, sia pura invenzione politica, senza identità culturale, storica o linguistica, che delimiti confini, identifichi popoli e trovi una lingua. Se in qualche modo l’Italia continuerà, lacerata e irrisa, ad essere un unico Stato, i suoi costi regionali diventeranno immensi e tanti governi inadeguati bloccheranno ogni decente funzionamento centrale. Sarà la morte dei diritti civili. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
morale e culturale che stiamo lasciando alle future generazioni. Sento la necessità di denunciare le tante nefandezze di questo governo. Gli ultimi avvenimenti balzati agli onori della cronaca rappresentano il compendio di tutto lo squallore della classe politica italiana, forte con deboli e deboli con i forti. Franca Iurato
Diritto di Replica
no più di casa dopo una certa ora e le auto della polizia fanno un giro veloce e se ne vanno senza fare nulla; non mandano i loro figli a scuola; rubano nelle case e nei negozi; mettono i loro figli sulla strada, sporchi, a chiedere l'elemosina e a rubare. Cosa che, se venisse fatta da due genitori italiani, i servizi sociali gli porterebbero via i figli. Non nascondiamoci dietro a un dito: è questa la cultura da rispettare? Io non voto Lega e non sono certo razzista. Per me questa gente potrebbe essere tedesca, italiana o svedese, non cambierebbe nulla. Quello che conta è l'onestà e il comportamento. Sonia Toni
Italiani del nord e del sud ma lo siamo ancora? Il Vostro giornale assolve il difficile compito di libera informazione in un paese di servi e "patron". Si fa l'abitudine a qualsiasi cosa, all'antidemocrazia del berlusconismo e al razzismo secessionista della lega, al lavoro negato ai nostri ragazzi ed al precariato a vita, alla corruzione ed alla moralità dubbia di tanti politici. Una specie di ottundimento dei sensi pervade la nazione, i cervelli sono sintonizzati su canali alternativi alla logica. Non voglio atteggiarmi a moralista, piuttosto sono preoccupata per l'eredità di impoverimento
L'articolo pubblicato da 'Il Fatto' il 16 settembre con il titolo 'Coop rosse? No Verdini' cerca di collegare il Monte dei Paschi di Siena a situazioni ed a contesti con cui non ha niente a che fare. Il Gruppo Montepaschi non ha alcuna partecipazione diretta nel capitale della Società Toscana Edizioni, che edita 'Il Giornale della Toscana'. Il giornalista Daniele Martini ritiene invece che, attraverso una partecipazione di minoranza nella Edib, che a sua volta detiene il 15 per cento della STE, si possa dire che il Monte dei Paschi di Siena "fa affari con Verdini". Il che, non solo è falso ma è un evidente tentativo di inserire Mps in un contesto negativo e all'interno di episodi di cronaca che non la riguardano. Il Gruppo Montepaschi adotterà tutte le azioni di carattere legale che riterrà necessarie per tutelare la propria immagine. Banca Monte dei Paschi di Siena
Il Monte dei Paschi conferma di avere una partecipazione nella Ste, società editrice del Giornale della Toscana di Denis Verdini,
attraverso la Edib di cui è direttore editoriale Rocco Girlanda, deputato Pdl umbro in stretti rapporti con lo stesso Verdini. Nella Edib la banca senese ha investito oltre 2 milioni e mezzo di euro. Il Monte dei Paschi ritiene che questa somma di fatti non significhi essere «in affari con Verdini». E’ ovviamente suo diritto presentare così la faccenda, come riteniamo sia diritto del Fatto Quotidiano interpretarla diversamente. Daniele Martini
Diritto di Replica Preg.mo direttore, mi corre l’obbligo di precisare
Precisazione Ieri ho, abbiamo, fatto un dispettaccio (involontario) a Sergio Staino. Lui, nella perfetta scissione fra l’artista (lo stesso Staino) e la sua creatura (Bobo) mi spiegava che gli piace Vendola, e ammira la Bindi e Bersani, che potrebbero dare il meglio di se stessi se si liberassero delle zavorre (che secondo lui sono Veltroni e D’Alema). Poi mi ha aggiunto: Bobo, e molti militanti, condividono l’idea che vadano rottamati i vecchi dirigenti. Noi abbiamo titolato: “Staino, io sto con Renzi”. E abbiamo scambiato la satira per la cronaca. Lutel
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IL FATTO di ieri 18 settembre 1931 Su un punto, storici e biografi sono concordi. Hitler non maturò mai alcuna dipendenza affettiva da una donna. Tranne che in un caso, quello della violenta, maniacale passione per la nipote Geli Raubal, bellissima diciottenne figlia di una sorellastra, accolta per due anni nella sua casa della Prinzregentenstrasse di Monaco. Una passione ai limiti con l’incesto, attraversata da perversioni sessuali, da un’ossessiva gelosia ed esibita in pubblico con singolare disinvoltura. Tanto più strana in un personaggio introverso, solitario e fieramente misogino, avvezzo, come ricorda lo storico Alan Bullock, a considerare le scarse presenze femminili al suo fianco come “semplici gingilli utili a fornirgli momenti di distensione”. Totalmente avulsa dagli schemi caratteriali dell’uomo, la storia con Geli Raubal, torbida e pur segnata da forti aspetti sentimentali, oltre a un grande enigma, resta una vicenda clou nella biografia del Führer, non solo per il tragico epilogo, avvenuto il 18 settembre ’31 col suicidio della giovane, ma per la crisi devastante, al limite con accessi di follia, prodotta nell’uomo Hitler. Un trauma al quale, alcuni psicobiografici, imputeranno addirittura la sua svolta demoniaca. Giovanna Gabrielli
L’abbonato del giorno GRAZIA CARMAGNANI La prima volta che io e la mia ragazza ci siamo detti ti amo è stato proprio il 23 settembre dell'anno scorso, stringendo fra le mani la nostra prima copia del Fatto Quotidiano. Lei è una vostra abbonata e io vi compro molto spesso. Vi mando la foto di quel giorno: una bellissima gita a Firenze. Da dove tutto è partito. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it
alcuni aspetti sul tema trattato ieri dall’articolo firmato Ferruccio Sansa. Il processo di stabilizzazione in corso presso gli uffici della Regione siciliana riguarda esclusivamente il personale che lavora già da anni presso la Regione. È sembrato, quindi, un atto giusto e doveroso nei confronti di oltre 4.500 dipendenti procedere alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, per rendere certo un diritto che non deve dipendere dalla discrezionalità della politica. L’inquadramento riguarderà il personale delle categorie A e B, le uniche per le quali la legislazione nazionale
consente la stabilizzazione e per le quali è richiesto un titolo non superiore a quello della scuola dell’obbligo. In altre parole, si tratta di personale che in atto svolge e continuerà a svolgere attività caratterizzate da conoscenze di tipo operativo generale e di tipo ausiliario. Nessun privilegio o escamotage, quindi, o, peggio ancora, selezioni-farsa, come sono state definite. Si tratta di prove previste dal contratto collettivo di lavoro, in Sicilia come in qualsiasi altra parte d’Italia. È indubbio che le aspettative dei lavoratori siano pienamente condivisibili, al pari delle aspirazioni dei giovani laureati siciliani, per i quali il governo regionale sta lavorando. Caterina Chinnici Assessore Autonomie locali e la Funzione pubblica Regione Siciliana
Ringraziamo l'assessore Chinnici per la cortese lettera che peraltro conferma quanto avevamo scritto. La questione è complessa, come avevamo detto: da una parte c'è l'aspettativa dei precari, dall'altra quella dei "normali" disoccupati. Indubbiamente la "stabilizzazione" di 4.500 persone preclude per anni, forse decenni, la possibilità di trovare impiego in un ente come la Regione Sicilia che così raggiunge la quota record di oltre 20 mila dipendenti. Questo avviene senza un vero e proprio concorso che valuti titoli e meriti. Ferruccio Sansa
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