Viaggio in Valdarno

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Il Valdarno superiore Un distretto stradale del Medioevo

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in dall’antichità il Valdarno superiore ha costituito una sorta di via naturale per le comunicazioni tra le due aree pianeggianti che l’Arno incontra nella prima parte del suo corso, le conche che ospitano i due centri urbani di Firenze ed Arezzo. Oltre ad essere ben definita come regione naturale, in quanto racchiusa tra il Pratomagno e i monti del Chianti, il Valdarno possiede una sua individualità anche come regione antropica, proprio a motivo della sua “vocazione” viaria, che ha espresso nel tempo tutta una serie di importanti percorsi. L’identità storica e culturale della valle è infatti da ravvisare nel ruolo di cerniera da essa svolto, non solo tra l’area fiorentina e l’aretino, ma anche, attraverso la sua appendice della Val d’Ambra, tra i territori di Siena ed Arezzo.

Veduta dell’abitato di Incisa con le case a ridosso dello storico ponte e la parte alta (v. pag. 120 per un maggior dettaglio) 146

IL VALDARNO SUPERIORE. Territorio, storia e viaggi


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L’ansa dell’Arno in località Girone. In prossimità della riva destra si nota quanto resta di un pilone di ponte romano del I secolo a.C.

Non a caso i romani usarono il Valdarno per farvi passare una delle principali strade che attuavano il collegamento tra Roma e l’Italia oltrappenninica: la via Cassia. Si è discusso a lungo sui supposti percorsi valdarnesi dell’importante consolare, parlando di una “Cassia vetus”, che sarebbe transitata sul versante destro della valle, e di una Cassia rinnovata (la cosiddetta “Cassia Adrianea”) che si svolgeva sulla sinistra dell’Arno. Ma, alla luce di recenti indagini, sembra che in realtà la via abbia avuto in Valdarno un solo itinerario, quello per intendersi che seguiva la direttrice Montevarchi-Figline-Incisa per affrontare poi il facile valico del San Donato e quindi digradare di nuovo verso il fondo valle dell’Arno, per attraversare il fiume tra Candeli e il Girone dove sono i cospicui resti di un ponte databile intorno al I secolo a.C. Tale percorso, che denunzia di essere frutto di un progetto unitario, risponde appieno ai canoni dell’ingegneria romana poiché, oltre ad avere il requisito della brevità, si svolge sempre a quote modeste, mantenendosi a debita distanza dall’Arno. Nell’alto medioevo non venne meno la funzione viaria del distretto valdarnese ma, almeno sino a tutto il XII secolo, anche a motivo del mutamento delle modalità insediative, che privilegiò le località di altura del Pratomagno, si affermò un tracciato, certamente preesistente e forse di origine etrusca, che si snodava a mezza costa, sul versante destro della vallata: quella che og-

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gi è chiamata la via dei “Sette Ponti”. Si tratta di un percorso dai caratteri tipicamente “medievali”, l’antichità del cui svolgimento è attestata dalla significativa successione di chiese plebane lungo tutto l’itinerario. Con la “rivoluzione” stradale del Duecento, che fece seguito alla grande fioritura della vita sociale ed economica di quel secolo, e con la contemporanea crescita dei grossi borghi di fondo valle (Montevarchi, San Giovanni Valdarno, Figline), la principale direttrice viaria valdarnese tornò a privilegiare il versante sinistro della valle, dove si affermò un percorso che nelle sue linee generali collimava con quello della via Cassia e il cui itinerario è oggi sostanzialmente riproposto dalla “via vecchia aretina”. Questo spostamento dell’asse direzionale della vallata fu anche conseguenza della politica di espansione del Comune fiorentino che si sforzò di controllare il versante sinistro del Valdarno con le fertili terre del suo fondovalle e i grossi centri che vi si andavano formando. Non a caso lo Statuto del Capitano del Popolo del Comune di Firenze del 1325 annovererà il percorso tra le dieci principali “strate et vie mastre” dello stato fiorentino. Testimoniano dell’importanza che ebbe la via per i collegamenti col Valdarno e con Arezzo i resti delle infrastrutture di età medievale legate alla strada, soprattutto i ponti. Ci riferiamo ad esempio agli ancora consistenti residui del Ponte Romito in Val d’Inferno, presso Laterina, all’ancora integro ponticello ad un’unica arcata di Ponticino e, soprattutto, al grandioso manufatto di Ponte a Buriano, con cui la via superava di nuovo l’Arno per giungere ad Arezzo.

I ruderi del ponte sull’Ambra a Bucine

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Nono itinerario

Il duecentesco ponte a Buriano sulla via per Arezzo, uno dei ponti medievali meglio conservati d’Italia

Quest’ultimo con le sue cinque grandi arcate costituisce in assoluto uno dei ponti medievali meglio conservati non solo della Toscana, ma di tutta Italia. Attraverso il suo prolungamento sud-occidentale (la Val d’Ambra) il Valdarno superiore serviva anche, si è detto, ai collegamenti con Siena. La cosiddetta “Strada Senese” risaliva infatti l’intera valle dell’Ambra, con un andamento che la portava più volte

a valicare il tortuoso corso del fiume. Anche qui lungo il percorso rimangono, a testimonianza dell’antichità e dell’importanza della strada, ponti medievali, o resti di essi. A Pogi, ad esempio, dove l’Ambra è attraversata con un ponte a cinque arcate diseguali tuttora usato per il transito, e a Bucine, dove sono ancora visibili i ruderi di un ponte duecentesco (poco più di un’arcata) che stanno a indicare il punto ove passava l’antica strada. A Levane, in prossimità della confluenza dell’Ambra nell’Arno, la “Strada Senese” si innestava sulla via di collegamento tra Firenze ed Arezzo, consentendo di raggiungere entrambe le città attraverso il Valdarno.

Il ponte di Pogi sull’Ambra, presso Bucine, sulla via per Siena, anch’esso ben conservato

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