Nono itinerario
Il Casentino. Territorio, storia e viaggi
Gli ecomusei del Casentino
Beni Culturali e itinerari museali nel Casentino
Giuseppina Carla Romby
Premessa ra le regioni montane d’Italia, l’Appennino tosco-emiliano è stato al centro di un intenso fenomeno di popolamento in relazione alla fitta rete di percorsi e valichi che assicuravano – e assicurano – il collegamento tra il nord e il centro della Penisola. Al fascio delle strade che collegavano i centri urbani maggiori di Firenze e Bologna si aggiungevano i percorsi di attraversamento del Casentino e della Garfagnana, costruendo un ventaglio di itinerari che univano la Toscana a nord dell’Arno con l’Emilia Romagna e la pianura padana fino all’Adriatico. Non si trattava di strade di analoghe caratteristiche e soprattutto di impianto contemporaneo; se per la strada pistoiese della Sambuca e per quella del Giogo di Scarperia si può risalire ai secoli medievali (XIII-XIV sec.), le strade dell’Abetone e della Futa sono realizzate nel XVIII secolo, come la Vandelli-Giardini da Massa a Modena, l’apertura dell’arteria di comunicazione per la Romagna attraverso il Passo dei Mandrioli risale al 1865-80, per finire con il tratto appenninico dell’Autostrada del Sole aperto negli ultimi anni ’60 del ’900. Rete stradale e rete ferroviaria testimoniano infine della continua ricerca di percorsi più agevoli e rapidi per il passaggio della montagna più abitata d’Italia. Il flusso di persone e cose sulle strade dell’Appennino è stato causa ed effetto di un diffuso nascere di attività e mestieri nonché di una variegata forma di popolamento e insediamenti; lungo le strade medievali sono sorti ospizi, ospedali, osterie, e si sono formati borghi e mercatali; lungo le vie Regie e carrozzabili sono nate Poste e Dogane, sono cresciuti paesi e cittadine dotati di servizi di ospitalità e accoglienza per i viaggiatori; i caselli autostradali e le stazioni ferroviarie hanno fatto nascere diverse forme insediative. Ma sono maturati anche effetti di irraggiamento/diffusione che hanno interessato zone non direttamente attraversate dalle grandi transappenniniche, e che hanno prodotto una rete di abitati nucleari od anche di singole case, nelle valli e vallecole più interne, ed a quote altimetriche elevate. Un fenomeno, quello dei nuclei disseminati, che costituisce in certo qual modo la cifra di un sistema di uso della montagna appenninica incentrato sull’economia agricolo-boschiva, cui si è associata una presenza non secondaria della pastorizia. Ma l’Appennino poteva essere così “abitato” a patto che esistessero condizioni di mutuo equilibrio fra forme insediative, attività e abitanti . Il cambio anche di uno solo dei tre fattori ha generato un processo di alterazione del sistema; di qui il depauperamento demico e l’ab-
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bandono temporaneo o definitivo degli abitati, due fenomeni che si leggono contemporaneamente in tutta l’area dell’Appennino toscano, contemperati, solo in parte, dalla sostituzione degli abitanti permanenti con residenti temporanei o – ma solo recentemente – con nuovi residenti. Se negli anni 1950-’70 la montagna “abitata” diveniva “disabitata”, oggi si pone all’attenzione il fenomeno impensato e nuovo della montagna “riabitata”. I caratteri del fenomeno non sono leggibili attraverso i consueti strumenti di analisi, già utilizzati quando si è cercato di risolvere i momenti di crisi della montagna appenninica con la creazione di bacini di utenza turistica più o meno specializzata. Come quando nel versante pistoiese si è definito il distretto del “turismo bianco” o nel versante bolognese quello termale (Porretta); oppure nelle fasce meno elevate si è diffuso un “turismo residenziale” basato sulla diffusa crescita di abitazioni temporanee di proprietari cittadini. Il fenomeno della montagna “riabitata” esula da quello turistico, anche di lungo periodo, ma si tratta di un processo che vede la residenza primaria e permanente di gruppi di popolazione, anche consistenti, che si spostano dalle aree urbane maggiori verso la regione appenninica e sub-appenninica. Si prefigura allora una montagna “riabitata” da una popolazione altra che può essere riconosciuta in: – residenti “storici”, sono coloro che non hanno mai abbandonato la propria sede e sono prevalentemente concentrati nei centri urbani; – non residenti, sono persone che restano per un periodo mediobreve nel territorio montano e la cui presenza dipende da fattori stagionali; – nuovi residenti, si tratta di cittadini che hanno occupato sia le abitazioni concentrate nei centri maggiori, sia le case lasciate libere dalla popolazione montana; fra i nuovi residenti è da collocare una categoria particolare rappresentata dai cittadini di altri paesi europei che si sono trasferiti ad abitare nell’area appenninica. Sono le due ultime classi di fruitori (nuovi residenti e non residenti) a porre una domanda di uso diversificato del territorio, incentrata sulla qualità di eccellenza del paesaggio appenninico, considerato come inscindibile dalle qualità di città d’arte dei centri urbani maggiori e minori. D’altra parte le aree già depresse o comunque di depauperamento demico e abbandono, sono oggi in grado di proporre una serie di offerte altre sia sul piano delle qualità ambientali sia su quello della attivazione di strategie di valorizzazione delle risorse (umane e ambientali) e anche di definizione di nuovi ambiti economici. Le diverse peculiarità geo-storiche, la variata presenza delle istituzioni, le differenti modalità operative, sono state in grado di disegnare, per una buona parte dell’Appennino toscano, percorsi paralleli mirati ad una tutela attiva dei Beni Culturali che passa attraverso la ri-costruzione della rete di relazioni tra popolazione e ambiente e che ha generato altrettante formule progettuali e di realizzazione1.
l’eComuseo: natura, uomini, storia Da tali premesse è maturato il progetto di Ecomuseo del Casentino (1997)2, che ha visto una campagna di realizzazioni museali e/o valorizzazione di strutture-collezioni esistenti unitamente alla indivi
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duazione di itinerari in grado di mettere in luce le variegate formule di connessione tra qualità geo-ambientali e presenza umana (dalle formule insediative alle specificità di attività e mestieri) verificatesi nel tempo storico. Nel superare il primo decennio di vita e attività la configurazione originaria è stata interessata da variegate modifiche secondo una dinamica che ha visto l’immissione (o la re-immissione) di strutture e collezioni di pertinenza di associazioni come di singoli cittadini; ciò ha permesso una più ampia articolazione dei tematismi mentre ha esteso la rete dei punti museali e comunque dei luoghi di raccolta-esposizione, ovvero di siti museali identificabili come “viventi”, in grado cioè di riproporre attività e produzioni ormai desuete o in via di estinzione e sollecitare la riattivazione di un artigianato di qualità (NoRCINI 1996). Una delle esperienze più interessanti in tal senso è stata la realizzazione del Museo dell’arte della Lana che con il Lanificio “Luigi Lombard” di Stia rappresenta un elemento specifico della identità manifatturiera della valle (DELLA BoRDELLA 1984). Altre modifiche hanno poi interessato il definirsi di singoli musei e/o collezioni che sono stati resi identificabili attraverso una soggettiva interpretazione delle peculiarità dell’ecomuseo che non può non indicare che una struttura policentrica e pluritematica3 (GNoCChI RUSCoNE 1985; MAGGI, FALLETTI 2000; JALLA 2003); imprevedibilmente si trova un Ecomuseo del carbonaio (Castel San Niccolò), un Ecomuseo della castagna (ortignano Raggiolo), un Ecomuseo della polvere da sparo e del contrabbando (Chitignano), altrettante sedi di collezioni o musei che si proiettano nel territorio con variegati manufatti e percorsi distribuiti negli immediati intorni, ma che per loro stessa natura sono da intendere piuttosto come centri documentari o siti museali (Ecomuseo del Casentino 2011). Stia, Lanificio “Luigi Lombard”, Museo dell’arte della lana
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Stia, Museo dell’arte della lana
La dialettica fra strutture e collezioni museali pubbliche e private, manufatti e complessi architettonici di significativa valenza artistica e storica, qualità paesaggistiche e ambientali, permette la messa a punto di itinerari tematici adatti a mettere in luce le cifre identitarie del territorio vallivo, riconosciute da abitanti, residenti e forestieri. I tematismi che possono contraddistinguere gli itinerari muovono da elementi di carattere naturalistico-ambientale di riconosciuta valenza areale, come il manto boschivo-forestale e la presenza di corsi d’acqua, fra cui assume significativa emergenza il fiume Arno. La foresta casentinese e il bosco-giardino dei castagneti costituiscono aspetti complementari (DELLA BoRDELLA 2002) che supportano un itinerario legato alla cultura ed alle attività legate all’utilizzo delle risorse vegetali viste come fonte alimentare (castagne) ed insostituibili produttrici di combustibile (carbone) per tutta la lunga età preindustriale e fino alla metà del ’900; così la fruizione del patrimonio naturale si interseca con un sistema di presenze museali e/o centri di documentazione che forniscono le numerose variabili d’uso e fruizione delle risorse boschive. Si va dunque dal Museo del Bosco e della Montagna (Stia) che illustra i temi del trasporto e del lavoro “alla macchia”, al Museo dello Sci (Stia) che percorre l’ambito dello sport e del tempo libero, fino ai centri museali di Cetica e Raggiolo, rispettivamente dedicati alla produzione del carbone ed alla raccolta e conservazione delle castagne, già risorsa alimentare primaria per la popolazione della valle. Entrambe le strutture hanno proiezioni sull’intorno più immediato e vi si collegano con percorsi e/o manufatti. Nell’ambito dell’itinerario del bosco non si può trascurare la Bottega del bigonaio (Moggiona, Poppi), un “museo vivente” in cui si realizzano gli speciali contenitori in legno per la raccolta dell’uva, secondo una tradizione artigianale caratteristica dell’area. Le peculiarità d’uso delle risorse idriche sono illustrate nel Centro di documentazione e polo didattico dell’Acqua (Capolona, località La Nussa) e trovano poi una significativa traduzione nella rete di edifici “andanti ad acqua” che utilizzavano i corsi d’acqua maggiori come anche i rii e i torrenti minori. Se la risorsa idrica primaria per l’alimentazione si sposava all’impiego energetico per il funzionamento di strutture legate al mondo agricolo (mulini) e manifatturiero (gualchiere, lanifici, filande…), si
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Ortignano Raggiolo, Museo della castagna
possono descrivere più itinerari che consentono di documentare il peculiare e variegato utilizzo dell’acqua. Così la distribuzione degli edifici andanti ad acqua è innervata sulle vallecole degli affluenti dell’Arno e pertanto può comprendere i mulini di Falciano, Ponte Caliano, Subbiano (Comune di Subbiano) e il mulino delle Rocche (Talla), cui si sommano i mulini di Raggiolo (ortignano Raggiolo), del Gabrino, della Gualchiera (Soci), di Gressa e di Partina (Bibbiena), per concludersi con i mulini del Balenaio (Cetica), di Prato di Strada, il Mulin Vecchio (Pagliericcio-Castel San Niccolò), il mulino dell’Ecce homo e di Valiano (Pratovecchio) (Romby, 1996). Appare evidente come le strutture molitorie possano essere lette non solo in rapporto alla articolazione del sistema insediativo, ma come evidenti segni dell’espandersi della coltivazione del castagneto e della resa produttiva corrispondente. Sono le interrelazioni tra qualità geo-fisiche e ambientali e presenza umana ad avere promosso mestieri ed attività che uniscono consuetudini agro-pastorali e produzioni manifatturiere di alta specializzazione, destinate, nel lungo periodo, ad assumere valenze e qualità industriale come quella laniera con la peculiare lavorazione del “panno Casentino”. Chitignano, Museo del contrabbando
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Talla, Museo della musica
Ambienti di vita ed attività della tradizione agro-pastorale costituiscono un itinerario museale che, muovendo dal Museo della Casa Contadina (Castelnuovo di Subbiano) – in cui la ricostruzione degli ambienti di vita della dimora rurale casentinese permette di formulare connessioni e confronti con analoghe strutture del mondo contadino toscano – conduce alla Collezione rurale “Casa Rossi” (Soci, Bibbiena), al Centro di documentazione sulla cultura rurale del Casentino (Castelfocognano) ed all’esperienza del “paese laboratorio” di Carda inteso come “museo vivente”, in cui la popolazione promuove iniziative adatte a trasmettere la memoria locale. Le attività manifatturiere di alta specializzazione già rappresentative dell’economia valliva sono riconoscibili secondo due distinti settori, quali la produzione della polvere pirica e la lavorazione della lana. Se la prima conosce una definizione temporale (fine ’800) ed una perimetrazione areale puntuale, limitata alla vallecola del torrente Rassina, cui fa riferimento il punto museale (Ecomuseo della polvere da sparo e del contrabbando) realizzato in località S. Vincenzo (Chitignano), la manifattura laniera investe tutto il comprensorio con una molteplicità di strutture relative alle diverse fasi della produzione (lanifici, tintorie, filande, ecc.). L’itinerario della manifattura laniera fa capo al centro di Stia, già sede dell’importante stabilimento industriale “Luigi Lombard” (in cui ha sede le Mostra documentaria storico lanificio “Luigi Lombard”), da cui possono prendere il via diversi itinerari adatti a dare conto della diffusione e specializzazione del processo lavorativo e produttivo. Un primo itinerario conduce lungo la valle dello Staggia, a monte dell’abitato di Stia, dove sono ancora presenti elementi degli antichi opifici ed il sistema di canali e captazione delle acque necessarie per la lavorazione industriale. È poi identificabile un percorso che inizia in località Rassina (Castelfocognano) con la filanda Lebole-Marzotto, e muove lungo la SS 71 fino a Bibbiena per raggiungere il lanificio di Soci; proseguendo per la SS 70 si incontra, a Ponte a Poppi, il lanificio Lecconi e, deviando verso Castel San Niccolò, la filanda di Prato di Strada. Procedendo Il Casentino. Territorio, storia e viaggi
per la SS 310 si trova il lanificio Berti (Pratovecchio) e si perviene al lanificio e tintoria di Stia. Se tali itinerari possono essere assunti a cifre peculiari della vallata, connessi all’impiego delle risorse naturali, occorre fare riferimento ad una dimensione extra valliva per disegnare itinerari che consentono di mettere in luce le valenze delle grandi strutture castellane che hanno una significativa emergenza nel castello dei conti Guidi di Poppi. Si riferiscono infatti alla presenza dell’importante famiglia feudale dei Guidi i castelli di Talla, Castelfocognano, Castel San Niccolò, Rassina e Porciano, che possono disegnare un itinerario che muovendo dalla SS 71 si dirama nelle vallate interne presidiate dalle strutture castellane (SESTAN 1968; RAUTy 2003; CANACCINI 2009). Le diverse configurazioni castellane e la varietà di funzioni (dalla difesa alla residenza) sono leggibili in un itinerario che pone in connessione il castello di Poppi, il Centro di Documentazione della Civiltà Castellana (Strada) e infine il Centro di documentazione sulla musica medievale di Talla (La Castellaccia, casa natale di Guido Monaco). Mentre gli insediamenti castellani descrivono il Casentino della feudalità e del definirsi del sistema insediativo “di altura”, le più antiche testimonianze del popolamento vallivo trovano sede nel Museo archeologico del Casentino (Partina, Bibbiena), elemento ordinatore di itinerari che collegano i più importanti siti archeologici della valle: Pieve a Socana (Castelfocognano), Buiano (Poppi), Masseto (Partovecchio), “lago degli idoli” (Stia) (Gruppo Archeologico Casentinese, 1999); mentre le testimonianze relative al popolamento del basso Casentino (Subbiano, Capolona) sono raccolte nel Centro di documentazione della cultura archeologica del territorio di Subbiano.
NoTE 1 Attiene ad una più ampia opera di valorizzazione dell’ambiente montano della Toscana la significativa connessione dell’Ecomuseo del Casentino con l’Ecomuseo della Montagna pistoiese, attivata nel corso del 2011 con l’iniziativa Ecomusei della Montagna Toscana-Il futuro della memoria, promossa dalla Provincia di Pistoia e dalla Comunità Montana del Casentino. 2 Il progetto è stato promosso dalla Comunità Montana del Casentino e ha interessato i comuni di Bibbiena, Capolona, Castelfocognano, Castel San Niccolò, Chitignano, Chiusi della Verna, Montemignaio, ortignano Raggiolo, Poppi, Pratovecchio, Stia, Subbiano e Talla; la presentazione al pubblico ha avuto luogo il 31 maggio 1997, nel comune di ortignano Raggiolo. 3 Rimane sempre valida la definizione di Ecomuseo coniata da George henri Rivière, ideatore e fondatore degli Ecomusei in Francia: “L’ecomuseo è uno specchio dove la popolazione si guarda, per riconoscersi in esso, dove cerca spiegazioni del territorio al quale è legata, unite a quelle delle popolazioni che l’hanno preceduta, nella discontinuità o nella continuità delle generazioni (…). Esso si occupa dello studio e della conservazione dell’ambiente globale inteso sia come ambiente naturale che culturale (…), è un museo dell’uomo e della natura”.
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