Il Casentino da scoprire

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IL CASENTINO DA SCOPRIRE

A cura delle scuole primarie dei comuni del territorio


Un progetto di Ente Cassa di Risparmio di Firenze Con il contributo di Regione Toscana In collaborazione con Dipartimento di Scienze dell’Educazione e dei Processi Culturali e Formativi dell’Università di Firenze Promosso da Provincia di Arezzo Con il Patrocinio di Ministero per i Beni e le Attività Culturali Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Dipartimento della Gioventù Partner del progetto Unione dei Comuni Montani del Casentino e Comune di Bibbiena Comune di Capolona Comune di Castel Focognano Comune di Castel San Niccolò Comune di Chitignano Comune di Chiusi della Verna Comune di Montemignaio Comune di Ortignano Raggiolo Comune di Poppi Comune di Pratovecchio Comune di Stia Comune di Subbiano Comune di Talla

Comitato scientifico Leonardo Rombai, Renato Stopani, Paolo De Simonis, Giovanna del Gobbo Supervisione Renato Gordini Responsabile del progetto Chiara Mannoni Organizzazione Silvia Zonnedda Comunicazione e promozione Susanna Holm Sigma CSC Grafica progetto RovaiWeber Design Ufficio stampa Catola & Partners


il volume Il Casentino da scoprire è a cura di Scuola primaria Luigi Gori, Bibbiena Scuola primaria Campoleone di Castelluccio, Capolona Scuola primaria di Pieve a Socana, Castel Focognano Scuola primaria di Strada in Casentino, Castel San Niccolò Scuola primaria Giuseppe Fracassi, Chitignano Scuola primaria di Corezzo, Chiusi della Verna Scuola primaria di Montemignaio Scuola primaria di San Piero in Frassino, Ortignano Raggiolo Scuola primaria di Ponte a Poppi, Poppi Scuola primaria di Pratovecchio Scuola primaria Stia Scuola primaria Sandro Pertini, Subbiano Scuola primaria di Talla Coordinamento didattico Silvia Zonnedda con Associazione Sconfinando Eleonora Antonelli, Elisabetta Caiani Andrea Dini, Francesca Lauretano Laboratori con le classi Unione dei Comuni Montani del Casentino- Servizio CRED Responsabile Mario Spiganti con Sara Mugnai, consulenza e visite didattiche Andrea Rossi, consulenza e approfondimenti didattici Roberta Socci, laboratori per la realizzazione delle mappe Piccola Società Cooperativa Oros con Francesca Tosi, visite didattiche Roberta Tosi, visite didattiche Gruppo Archeologico Giano, Subbiano con Monica Baccianella, visite e approfondimenti didattici

si ringraziano i dirigenti scolastici Graziella Bruni dell’Istituto Comprensivo Statale G. Sanarelli di Stia e Poppi, Felicita Casucci dell’Istituto Comprensivo Statale Soci di Bibbiena, Silvana Gabiccini Matini dell’Istituto Comprensivo Statale Bernardo Dovizi di Bibbiena, Cristina Giuntini dell’Istituto Comprensivo Statale Guido Monaco di Castel Focognano, Assunta Sorbini dell’Istituto Comprensivo Statale Giuseppe Garibaldi di Subbiano e Capolona. e gli insegnanti Marcella Acuti, Alessandra Albanese, Claudia Alberti, Patrizia Andreani, Giovanna Balò, Margherita Barbato, Marta Baroni, Tatiana Bendoni, Susanna Bertini, Stefania Biagerini, Carlotta Bianchi, Debora Bongianni, Lorena Bossani, Anna Maria Bottone, Moira Bruni, Emanuele Butteri, Maria Teresa Cardini, Antonella Ceccarelli, Carla Checcacci, Maria Francesca Ciarchi, Morena Cipriani, Bianca Maria Dressino, Manuela Fani, Lorella Fani, Luigina Faralli, Patrizia Franchi, Silvia Franci, Clara Giabbani, Laura Giannini, Giuliana Giuliani, Francesco Giuliano, Angiolo Goretti, Patrizia Grappolini, Ivana Grofi, Luciana Lachi, Luca Lanzi, Loretta Lapini, Donatella Lastrucci, Alessandra Leonetti, Rita Marasca, Ingrid Mattiuzzi, Silvia Mazzarone, Raffaela Menna, Enrica Meola, Antonella Messeri, Antonella Moretti, Luciana Mugnaini, Franca Nassini, Luisa Natali, Lorenzo Negri, Meri Orlandi, Manuela Padrini, Assunta Parisi, Donatella Pastorelli, Iduina Pastorini, Daniela Pireddu, Anna Puca, Cristina Ragazzini, Claudia Ricci, Daniela Ringressi, Rita Rossi, Laura Sabatini, Carmela Savastano, Antonella Silvani, Rita Sio, Anna Sperandio, Sara Stocchi, Eleonora Tanci, Maria Luisa Tinti, Maria Grazia Tommasi, Antonella Venturiero, Elisabetta Vezzosi, Valeria Vicedomini, Anna Viggiano, Gemma Vigiani, Adriana Viscosi, e l’educatrice esterna Valentina Vignoli Un particolare ringraziamento a tutti quelli cha hanno collaborato a vario titolo con i ragazzi per il concorso


Prefazione

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ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO BIBBIENA Scuola primaria Luigi Gori

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CAPOLONA Scuola primaria Campoleone di Castelluccio

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CASTEL FOCOGNANO Scuola primaria di Pieve a Socana

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CASTEL SAN NICCOLĂ’ Scuola primaria di Strada in Casentino

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CHITIGNANO Scuola primaria Giuseppe Fracassi

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CHIUSI DELLA VERNA Scuola primaria di Corezzo

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MONTEMIGNAIO Scuola primaria di Montemignaio

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ORTIGNANO RAGGIOLO Scuola primaria di San Piero in Frassino

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POPPI Scuola primaria

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PRATOVECCHIO Scuola primaria di Pratovecchio

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STIA Scuola primaria di Stia

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SUBBIANO Scuola primaria Sandro Pertini

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TALLA Scuola primaria di Talla

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PERCORSI DA ESPLORARE BIBBIENA Scuola primaria Luigi Gori Le torri di guardia del Comune CAPOLONA Scuola primaria Campoleone di Castelluccio Di pieve in pieve

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CASTEL FOCOGNANO Scuola primaria di Pieve a Socana Dall’Arno al Pratomagno: 14 km di storia 129 CASTEL SAN NICCOLÒ Scuola primaria di Strada in Casentino Sapienze antiche della valle del Solano

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CHITIGNANO Scuola primaria Giuseppe. Fracassi I pilli di Chitignano 137 CHIUSI DELLA VERNA Scuola primaria di Corezzo Corezzo tra storia e leggende

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MONTEMIGNAIO Scuola primaria di Montemignaio Montemignaio al tempo del Medioevo 147 ORTIGNANO RAGGIOLO Scuola primaria di San Piero in Frassino Ortignano Raggiolo tra castagni e mulini

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POPPI Scuola primaria di Ponte a Poppi Itinerario Camaldolese

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PRATOVECCHIO Scuola primaria di Pratovecchio La via dei legni dell’Opera del Duomo di Firenze

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STIA Scuola primaria di Stia La via dell’acqua

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SUBBIANO Scuola primaria Sandro Pertini I mulini di Falciano

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TALLA Scuola primaria di Talla Lungo la via del Medioevo

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PREFAZIONE

L’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, attraverso il progetto Cento Itinerari più Uno, si propone di stimolare il legame tra giovani e territorio. Riappropriarsi del valore delle proprie origini e ritrovare l’attenzione per quelli che possono diventare aspetti di crescita e opportunità di sviluppo, rappresentano l’obiettivo principale del progetto che, quest’anno, si è svolto nella Provincia di Arezzo e, in particolare, nei comuni del Casentino. Abbiamo chiesto ai ragazzi delle scuole elementari di proporre itinerari da percorrere nel proprio comune. La semplice domanda “Cosa voglio fare io da turista? Cosa c’è di bello da fare nel mio comune?” ha prodotto risposte davvero sorprendenti. Da qui è nata l’idea di rendere tangibile e duraturo questo loro lavoro pubblicandone gli esiti nella ‘Piccola guida turistica’ del Casentino. Descrizioni e immagini, proposte per il tempo libero, approfondimenti sui beni storico artistici e paesaggistici del proprio territorio, divengono non solo i contenuti di un testo utile e piacevole da consultare, ma anche gli strumenti per la costruzione di un dialogo con gli adulti attraverso nuove idee e suggerimenti. Avremmo piacere che questa pubblicazione fosse per i ragazzi un’utile fonte di notizie, una divertente lettura e, soprattutto, il piacevole ricordo del lavoro svolto con i compagni di scuola e gli insegnanti. La ‘Piccola guida’ rappresenta così il segno di un cammino in cui sono gli adulti, questa volta, ad essere condotti per mano dai bambini. Jacopo Mazzei Presidente dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze

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BIBBIENA Il Comune di Bibbiena, centro principale del Casentino, può considerarsi capoluogo della vallata non solo per il numero di abitanti, ma anche per la sua capacità produttiva e propositiva. Bibbiena ha saputo coniugare la capacità commerciale con la sua storia, l’attività artigianale con la sua cultura, l’imprenditorialità con il territorio. Sono presenti molti Enti, industrie di prefabbricazione ed elettronica, istituti bancari, industrie tessili e di ceramica, mobilifici, un artigianato ricco di tradizioni.

ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO 8


SCUOLA PRIMARIA LUIGI GORI CLASSI 3째, 4째, 5째 C E 4째 A, B, D

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ALLA CONQUISTA DI BIBBIENA Vi proponiamo di seguirci in una breve passeggiata, fatta qualche tempo fa, accompagnati da Giovanni Sassi, guida turistica per passione della propria terra, alla scoperta del centro storico del nostro comune. Ci ha portati in piazza Grande o Tarlati dove si trovava il castello dei Tarlati che era più grande del castello di Poppi. Il castello aveva quattro torri di cui una venne dimezzata per alzare il muro di protezione. Dove ora c’è il bar una volta c’era il carcere. Palazzo Vecchietti Poltri si trova in piazza Tarlati; dentro c’è una tela

con l’immagine del vecchio proprietario. La porta dei Fabbri è la porta più antica di Bibbiena. Abbiamo visitato la Propositura, cioè la chiesa madre nel cui piazzale c’era il cimitero dove venivano seppelliti i morti. La chiesa è un vero museo d’arte, infatti puoi trovare la Maddonna di Giona, l’Annunciazione del Balducci, la vetrata con tre scene della battaglia di Campaldino, la Madonna dell’Arcangelo di Cola di Camerino e il trittico di Bicci di Lorenzo che rappresenta Sant’ Ippolito. Siamo andati anche a vedere l’Oratorio di San Francesco, in stile barocco. In chiesa sono rappresentate le opere di San Francesco e c’è lo stemma della famiglia Niccolini che donò i soldi per il restauro. Abbiamo visto alcuni palazzi storici: palazzo Marcucci, palazzo Niccolini dove ora c’è il Comune di Bibbiena, palazzo Poltri e palazzo Dovizi. Siamo andati a vedere la chiesa di San Lorenzo dove ci sono due opere di Andrea della Robbia: “La nascita e la morte di Cristo” a tre cornici. AVVENTURA NELLA NATURA Il Santuario di Santa Maria del Sasso dista poco più di un chilometro dal centro storico di Bibbiena. È un complesso architettonico di grande valore storico, artistico e religioso, unico esemplare rinascimentale in Casentino, che è stato dichiarato monumento nazionale nel 1899. Il Santuario prende nome da un grande masso sul quale durante l’anno 1347 i contadini della zona notarono più volte una colomba bianca che si lasciava avvicinare dai bambini e da un eremita Camaldolese, Martino da Poppi, che sostava nei dintorni. Il 23 Giugno, verso sera, una bambina di sette anni, Caterina, vide una donna bellissima vestita di bianco, che la esortò all’Amore di Dio e

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alla Purezza e le diede dei baccelli, che poi furono trovati pieni di sangue: conferma del racconto di Caterina e presagio della terribile peste del 1348 da cui Bibbiena e dintorni rimasero immuni. Nella lunetta sopra il portale si trova un affresco di Gherardino del Fora datato 1486; a lato del portale un’antica scritta a carattere longobardo “Nell’ anno 1347, la vigilia del Battista, qui apparve la Vergine Maria”. Il loggiato, semplice e armonioso secondo lo stile del 400 fiorentino, presenta affreschi settecenteschi su alcuni miracoli della Madonna del Sasso. Ai piedi dell’altare spunta il masso dell’Apparizione. La cripta è il cuore del santuario. Qui la Vergine apparve alla piccola Caterina. Sull’altare troviamo la “Madonna del Buio” che da sè, per due volte, da Bibbiena fece ritorno al Santuario. Il Lago di Tripoli è un lago artificiale che si trova a circa tre chilometri dal centro abitato di Bibbiena. È usato per la pesca sportiva. Si organizzano anche corsi per la pesca della trota. La fauna ittica del lago comprende anche: carpe, tinche e anguille. Il lago si trova all’interno di una bella pineta ed in estate è un luogo ideale per fare dei pic-nic. Nei boschi del nostro comune vivono

molti animali selvatici, come la volpe, la lepre, il cerbiatto, il daino, l’istrice, il cervo, il cinghiale, il lupo. Se siete fortunati, mentre fate una passeggiata nel bosco, potreste vedere un piccolo scoiattolo color marrone, con un musetto simpatico e una coda molto lunga e pelosa, che si arrampica in un albero. Oppure ad ottobre, che è il periodo dell’amore per i cervi, potreste sentire i maschi, che per richiamare le femmine, bramiscono. Ma è difficile vedere tutti questi animali perché sono abituati a vivere nei boschi da soli! IL NONNO RACCONTA -Nonno, mi potresti raccontare cosa succedeva quando tu eri bambino? Quali giochi facevi? La tua nonna che fiabe ti raccontava? E i grandi, che mestieri facevano? “Venite bambini, sedetevi che vi racconto. “È iniziata così la nostra intervista agli anziani del piccolo borgo in cui viviamo. Non avremmo mai immaginato quanto affascinante sarebbe stato poter conoscere il nostro paese attraverso il ricordo dei nonni! “Donne, donne l’è arrivato l’arrotino!” Così urlava a squarciagola nonno Marcellino quando arrivava nelle piccole strade di 11


Bibbiena; tutte le donne e i bambini correvano a far capannello intorno a lui e alla sua vecchia e curiosa bicicletta: sul manubrio si ergeva una grossa ruota di ferro (mola) che Marcellino faceva girare con un pedale per poter affilare le lame. Era un mestiere duro perché si pedalava per chilometri e chilometri e si rimaneva lontani da casa per settimane guadagnando solo poche lire. Nonna Lina ci racconta che il suo babbo, nei periodi di mal tempo, si era inventato un’attività commerciale: quella del cenciaiolo. Mario passava con il suo carretto per il paese urlando: “Venite, c’er cenciaiolo, ci fo le pelli, la lana, er cotone!”. Le donne accorrevano portando vecchi indumenti. I cenci venivano valutati a peso e subito dopo cominciavano le contrattazioni per il prezzo. Nonno Elio, maestro scalpellino, ci racconta che questo mestiere era molto faticoso e pericoloso perché la pietra doveva essere estratta dalle cave. Spesso ci volevano anche molti giorni prima di poter fare un foro nella roccia in cui mettere la polvere da sparo che, (proprio come nei cartoni animati) una volta accesa la miccia, provocava un’esplosione capace 12

di frantumarla; solo successivamente poteva essere lavorata a colpi di subbia e mazzolo. Le donne aiutavano i mariti come potevano: stavano in casa ad accudire i figlioli, filavano la lana, davano da mangiare agli animali, facevano il bucato. Ma mica con la lavatrice! Nonna Marisa racconta che c’erano due tipi di bucato: quello veloce e quello pesante. I panni venivano messi in una grossa tinozza, poi vi ci si versava l’acqua sopra; allora il tutto veniva coperto con un telo sul quale si adagiava della cenere che, filtrando, rilasciava una specie di sapone naturale (lisciva) che smacchiava disinfettava e profumava tutto il bucato. Un’altra attività spettante alle donne e ai bambini era quella di mungere le mucche da latte; il latte veniva raccolto in fusti di alluminio e venduto porta a porta. Il signor Elio ci dice che loro alla nostra età, dovevano andare ad imparare il mestiere ma comunque trovavano il tempo di giocare; il loro passatempo preferito era la battaglia tra i borghi di Bibbiena: Piazzolini contro Fondaccini, poi i Poggiolini contro il Borgarino. In pratica si facevano vere e proprie “spedizioni” e


chi vinceva si mangiava tutte le ballotte (le castagne cotte nel calderotto) o le mondine (castagne mondate). Nonno Angiolino ci ha raccontato che ai suoi tempi per combinare matrimoni, alcune donne si adoperavano per mettere d’accordo i parenti dei due futuri sposi. Quand’è che c’erano riuscite, ricevevano in dono una camicia. Ai primi di Maggio un gruppo di uomini girava per la campagna e si avvicinava alle case per cantare: erano i “cantamaggi”. Quest’ultimi venivano ingaggiati per fare le serenate. Nonno Giuseppe ci racconta di una vecchia tradizione natalizia, quella della Battitura del ceppo: il 24 dicembre la famiglia si ritrova davanti al camino e i bambini, uno per volta e bendati, battevono il ceppo con un bastone dicendo: “Ceppo, ceppone, portami un bel regalone!”. Come per magia, i bimbi si vedevano davanti il dono tanto desiderato: ai giorni d’oggi giocattoli tecnologici, ma in passato, un vestitino nuovo oppure un giochino di legno. Era comunque una gran festa perché i piccini sapevano accontentarsi con nulla.

TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA Una vecchia tradizione dei nostri nonni era di ritrovarsi la sera a veglia a casa di parenti o amici davanti al focolare prima di andare a letto. I bambini intorno al focolare ascoltavano le storie che venivano raccontate dai più anziani: stando vicini al calore del fuoco del camino, avevano i visi arrossati e vedevano le faville salire su per la cappa del focolare ed era come se andassero a dormire insieme alle stelle. Quando i bambini erano a letto i grandi approfittavano per parlare tra di loro organizzando i lavori da fare il giorno dopo. Le donne, nel frattempo, non stavano con le mani in mano: sgranavano i fagioli, spennavano i polli, pulivano le verdure, lavoravano a maglia facendo calze e canottiere di lana sia per i bambini che per i grandi. Ma com’era il borgo ai vostri tempi?. Nel centro storico c’erano tante botteghe artigiane e le strade erano molto vissute. Bibbiena era divisa in due rioni: quello dei piazzolini

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che erano “i signori” che possedevano i più bei palazzi, e “il popolo” era composto dai fondaccini, ossia artigiani, commercianti e contadini; ma se i primi erano i più ricchi, aggiunge nonno Gino, i fondaccini vantavano le ragazze più belle! Da questa affermazione è subito partito il racconto della “Leggenda della Mea”. Tra queste la più bella di tutte era la lavandaia Bartolomea, fidanzata con il tessitore Cecco. La Mea fu sedotta e rapita dal figlio del Conte del paese, Marco Tarlati. I popolani, amici di Cecco, inscenarono una vera e propria protesta, finché il Conte restituì la ragazza al suo promesso. Il ritorno della pace venne festeggiato con canti e balli. I fatti narrati sembra che siano avvenuti intorno alla metà del Trecento e, in ricordo di quella vicenda, ancora viene celebrata una festa. I Matti da Gello erano una famiglia di contadini della frazione di Gello Biscardo alle falde del Pratomagno, che non erano proprio matti, ma in realtà solo un po’ grossolani, ingenui ed ignoranti. Pare che ogni qualvolta decidessero di recarsi al mercato di Arezzo, per quei tempi luogo di incontri e conoscenze, cammina e ricammina, giunti alle porte della città, convenivano di sentirsi troppo stanchi per 14

proseguire e preferivano tornarsene a casa. Ad Arezzo sembra infatti che non siano mai arrivati! SAPORI DA NON DIMENTICARE RAVIOLI “GNUDI”. Venivano preparati per far prima rispetto ai tradizionali ravioli di spinaci, e vi dirò che forse sono anche meglio, perché più delicati. Gli ingredienti che occorrono sono 5 o 6 etti di spinaci, 5 etti di ricotta, 2 uova intere, sale, pepe, farina, burro fuso e parmigiano. Preparare una pentola di acqua bollente salarla e lessarvi gli spinaci, poi scolarli bene e tagliarli finemente. Mescolare la verdura lessa con ricotta, uova intere e parmigiano; poi salare e pepare a piacimento. Preparare una nuova pentola di acqua bollente e salata, quindi prendere l’impasto a cucchiaiate e rotolarlo nella farina. Buttare nell’acqua bollente i ravioli e farli cuocere. Una volta scolati vengono adagiati su un vassoio e conditi con burro fuso e parmigiano. PANINA Da molti anni rappresenta per noi Casentinesi un dolce tipico pasquale, ma oramai la si trova sin dal periodo di Carnevale. La sua preparazione


è semplice: occorrono un cubetto di lievito di birra, un bicchiere d’acqua di fonte, uvetta “a sentimento”, sale e abbondante pepe, zafferano e altre spezie, un bicchiere d’olio extra vergine oppure un po’ di strutto, 700 gr. di farina. Mescolare tutti gli ingredienti e formare un panetto morbido. Far lievitare sotto un canovaccio per almeno tre ore, incidervi una croce ed infornarlo a 180˚ per circa tre quarti d’ora. LATTAIOLO Si tratta di un dolce antico, probabilmente risale ai primi del 1500. Si può preparare così: ingredienti: un litro di latte, 8 cucchiai di zucchero, 6 uova intere, scorza di limone, coriandolo o odore di vaniglia. Cuocere in forno a bagnomaria per evitare che bolla.

BRICIOLE Proverbi, Detti e Filastrocche Fuggite pesciolin che c’e’ la piena Sono tutti Capobugi di Bibbiena Quando la Verna mette il cappello, oh bibbienesi preparate l’ombrello Il canto della Mea La Mea la fa il bucato per conquistar il suo amor La Mea la lo lava alla fonte dell’amor La Mea la lo riasciuga alla sfera del sol La Mea lo ripiega all’ombra dell’allor L’allor l’era verde la Mea s’addormentò Di lì passò il suo amore, la Mea lo sospirò Non sospirar più Mea ch’io ti voglio sposar. Gli abitanti dei paesi del Casentino hanno tutti un soprannome: Bibbiena ci sono i Capobugi, Partina i Lumacai, Moggiona i Zingheni, Serravalle i Polenta col rocchio e Patatai, Badia Prataglia i Polenta ‘ntinta’ nter ghiro, Soci i Ranocchiai.

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CAPOLONA Il Comune di Capolona è situato tra il Casentino e il Valdarno. L’Arno ne segna il confine a Est e a Sud. Il territorio è formato da un insieme di morbidi colli. L’origine del nome risale al medioevo quando dominava l’abbazia di Campoleone. Nel Comune di Capolona risiedono 5515 abitanti.

ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO 16


SCUOLA PRIMARIA CAMPOLEONE DI CASTELLUCCIO CLASSI 3째, 4째 E 5째

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ALLA CONQUISTA DI CASTELLUCCIO La nostra scuola si trova a Castelluccio, una frazione del Comune di Capolona. Molti turisti vengono con sempre maggior frequenza a visitare le nostre zone anche perché possono abbandonare la loro automobile e viaggiare a piedi, a cavallo o in bicicletta trovando ovunque uno splendido scenario composto da boschetti di querce, piccoli torrenti, colline ondulate ricoperte da vigne ed olivi. Queste caratteristiche da sempre hanno invitato gli uomini ad abitare non solo sui poggi come a Bibbiano, Ponina, Pieve S. Giovanni e Casavecchia, luoghi da cui si possono ammirare e controllare vastissime porzioni di territorio, ma anche nei pianori accanto alla riva dell’Arno come a Caliano, Lorenzano, Baciano, Vado e Castelluccio dove coltivare e commerciare era più facile. In questi borghi le tracce dei secoli passati sono ancora evidenti e alcuni monumenti, come la Pieve a Sietina, sono stati conservati nella loro, forma originaria. Pieve a Sietina (IX / X sec. d.C.) venne costruita sul versante Sud-Ovest del territorio di Capolona, non lontano dalla frazione di Castelluccio in 18

cui sorge la nostra scuola. Questo angolo di territorio è ricco di avvenimenti storici. Infatti anche lo stemma comunale è dominato da una testa di leone che ci rimanda all’abbazia di Campus Leonis, così importante da dare il nome a tutta la comunità circostante. Qui s’insediarono Etruschi, Romani e Longobardi. Qui sorsero le antiche pievi di Sietina e San Giovanni. Qui ebbe origine la famiglia dei Bacci, abili mercanti, che finanziarono molte opere nella provincia d’Arezzo, tra cui la celebre Leggenda della Vera Croce. Nei nomi di Campoleone e Castelluccio si racchiudono importanti informazioni storiche. L’origine del nome Castelluccio risale al console romano Lucio Metello, quindi Castello di Lucio poi Castelluccio. Nel borgo che mantiene la struttura medioevale si trovano ancora i ruderi risalenti all’XI e XII° sec. tra cui un portale ed un tratto di mura. Questo castello insieme ad un altro più ad ovest ricordato come Castellaccio sorvegliava un lembo di terra, davanti al quale scorrevano le acque dell’Arno, rendendolo così inespugnabile. Perciò venne chiamato Campus Leonis, cioè l’invincibile campo del leone. La più antica memoria di questa denominazione si trova in un documento


imperiale del 943. Qui nel 972 il marchese Ugo di Toscana fece costruire l’abbazia di Campoleone che fu affidata ad un gruppo di monaci benedettini che consacrarono la chiesa a San Gennaro. L’abbazia prosperò fino al XIII sec. quando venne distrutta dagli Aretini. Il monastero venne sostituito dalla chiesa di San Michele Arcangelo, ancora oggi attivo luogo di culto per la comunità locale. Ai piedi del borgo si trova l’abitato denominato Isola, perché sorse dalle acque di una palude formata dall’Arno. I monaci ci fecero costruire un mulino. Oggi l’isola è sede di un centro commerciale circondato da aziende. L’operosità appresa nei secoli continua nelle forme della modernità. AVVENTURE NELLA NATURA Nel paesaggio di questo territorio ci sono aree boschive e campi coltivati, molte vigne e tanti oliveti. Dentro ai campi ci sono delle recinzioni per gli animali: asini, pecore, polli, conigli. A Ginevra piace molto fare lunghi itinerari che le fanno scoprire piante e animali diversi a seconda delle stagioni e le fanno anche capire come è bello vivere a contatto con la natura. In primavera incontra animali tipo scoiattoli, lucertole, farfalle, piccoli insetti e tanti tipi di uccelli. Se Ginevra vede un’ impronta, subito lo dice al babbo

e lui sa dire di che animale si tratta, per esempio se si tratta di un cinghiale o di un capriolo, te lo può confermare anche se vede l’escremento dell’animale: l’ultima volta hanno visto un escremento di un tasso. Riguardo alle piante si possono trovare dei boschi incantevoli di pioppi, querce, lecci. In primavera è divertente andare in cerca di asparagi. Nel periodo natalizio è divertente andare a raccogliere il pungitopo stando attenti a non bucarsi! Da aprile in poi ci sono bellissimi fiori profumati tipo i ciclamini e le viole di bosco, le ginestre, le acacie. In estate ci sono rovi carichi di buonissime more. Ad Alice piace esplorare le rive dell’Arno, dove ci sono rocce a forma di arcobaleno o di guscio di lumaca o di coccodrillo che si diverte a scalare come una scimmia. Durante un’esplorazione ha trovato un pesce intrappolato tra due rocce e con l’aiuto del babbo e di una pala lo ha liberato. Il pesce era ancora vivo, grande e viscido, e se n’è andato via in un baleno. In inverno il paesaggio è molto diverso, le pozze ghiacciano ed è bello scivolarci sopra come se si avessero i pattini. Dalle rocce pendono stalattiti di ghiaccio. Lungo l’Arno in estate si può assistere alla Spollinata, una specie di sfilata di barche fatte con materiali di scarto: vecchie ruote di gomma, barili tagliati a metà, assi di

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legno. L’anno scorso Daniele B. dal ponte di Castelluccio ha visto scendere da Giovi verso Ponte Buriano delle barche molto bizzarre a forma di ferro da stiro o di elicottero, con i canottieri travestiti da Biancaneve o da nani. Quando c’è silenzio lungo il fiume è facile imbattersi in alcune specie di uccelli: l’airone cinerino, l’airone bianco maggiore, la garzette e diversi tipi di anatre. Questi uccelli trovano riparo tra le cannucce di palude di cui Bianca ci ha rivelato il nome scientifico (phragmatis australis). Sono piante erbacee perenni che possono arrivare a 4 m. di altezza. Le rive del fiume sono abbellite anche dalla presenza di salici e altisssimi pioppi. Oltre al fiume ci sono numerosi torrenti e Joshua conosce un sentiero che da Poggio al Pino conduce ad una cascata. Dopo le piogge scroscia rumorosamente e si sente attraverso il bosco. Vicino ai corsi d’acqua abbondano rane e girini, ma anche serpi e non è difficile veder volteggiare il falco, lo sparviero e la poiana a caccia di prede. Di notte non mancano gufi, civette e barbagianni.

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Gabriele e Lorenzo amano andare a cercare funghi dalle parti di Spedale, al confine con il Comune di Talla, o nei boschi di castagni secolari vicino al lago di Casucci che si raggiunge a piedi o in bici salendo da Pieve San Giovanni o da Casavecchia. Qui Gabriele oltre a tante vesce tonde e bianche ha trovato anche degli arbusti flessibili, ideali per costruire archi giocattolo. Invece Lorenzo ha sentito un rumore mentre stava raccogliendo i funghi porcini, si è girato e ha visto un branco di cinghiali che scappava. I cinghiali fanno tanta paura e Nicla si è spaventata anche solo ad incontrare le loro impronte nella neve. Anche Francesco ha visto nel bosco molti animali come il capriolo e l’istrice e Cristian ha incontrato una volpe rossa lunga quasi mezzo metro. Un giorno Irene ed il suo babbo sono andati a cercare il bosco dove il babbo andava a giocare da bambino. In quel bosco c’erano delle tane di volpe, che sono dei buchi molto profondi, e grandi alberi da cui pendevano delle liane. Il babbo ha spiegato ad Irene che insieme ai suoi


amici si buttava giù dai rami attaccato alle liane che alcune volte si rompevano e così cadevano a terra. Secondo Irene questo gioco deve essere molto divertente ed anche a lei piacerebbe farlo. Sara e Alessia preferiscono le biciclettate . Sara pratica questo sport in maniera agonistica e corre su strada insieme alla sua squadra, mentre Alessia con il suo babbo non teme di avventurarsi per sentieri anche quando c’è tanto fango. Insomma vivere in un piccolo borgo medioevale come Castelluccio, circondato da un’affascinante natura è una cosa davvero fantastica. Letizia ne è così incantata che quando torna dalle passeggiate racconta le proprie emozioni al suo diario segreto mentre Geovanna chè nata in Brasile capisce perché tanti grandi artisti si sono ispirati ai nostri paesaggi.

IL NONNO RACCONTA Fortunata Soldini, nata e cresciuta a Castelluccio. Prima della guerra (1943/1945) c’era miseria: gli operai guadagnavano poco, le mogli aiutavano i contadini a mietere e a vendemmiare. Era bello perché c’era una grande armonia, un’aria felice anche se dopo un giorno di lavoro la ricompensa era un fiasco di vino o un pò di pane. Per la battitura del grano i contadini si riunivano. C’era tanto lavoro ma anche gioia perché quel giorno si mangiava bene. Si cucinavano oche, anatre, conigli arrosto. Per prepararsi al Natale, ogni sera alle nove c’era la funzione. Tutti si doveva partecipare: piccoli, adulti e vecchi con pioggia, neve e freddo. La Chiesa non era riscaldata ma eravamo tanti e dopo un po’ il freddo passava. A scuola andavamo a Poggio al Pino dalle signorine Del Fiume. Erano sorelle, zitelle e maestre, ma esercitava solo la signorina Rosa. Era brava ma severa. Un giorno mi chiese di portare una canna d’India. La portai. Quando feci una marachella mi fece mettere le mani sopra la cattedra e mi batté con la canna nelle dita, così forte che mi fanno male ancora. A Castelluccio c’era anche la fattoria della Contessa De Giudici. I contadini dovevano portare al 21


padrone uva, grano, fagioli, ceci, olio e lavorare gratis al frantoio. Prendevano solo metà dell’olio prodotto nel podere. A Castelluccio c’era il fabbro Enrico, detto Pucci, che ferrava cavalli, buoi, asini. Faceva anche l’arrotino. Non veniva pagato in soldi ma con grano, uva, olio. Fino al 1960 non c’era il ponte, ma una piccola passerella di legno. Quando l’Arno cresceva la portava via. Lì vicino c’era la nave, anzi due: una piccola per passeggeri, l’altra più grande per barocci e calessi. In inverno ci si riscaldava al focolare. Le famiglie erano numerose e si faceva a turno. I nonni stavano sempre vicino al fuoco e i ragazzi quasi sempre al freddo. Dopo cena andavamo nella stalla con i buoi, qualche asina o cavalla. Il respiro delle bestie faceva un bel calduccio. Si raccontavano le novelle o si cantavano gli stornelli. Le bambine imparavano presto a rammendare, a fare la calza, il bucato, la sfoglia e il pane. Per fare il pane la sera si metteva la lievita: tre chili di farina con lievito e acqua tiepida e si formava una palla di pasta. Nella notte triplicava e con fatica s’impastavano fino a quattordici pani da due chili; duravano dieci o dodici giorni. Poi c’era il bucato. Le lenzuola, fatte al telaio, erano ruvide. Per lavarle si 22

ponevano in una tinozza di coccio (pilla), insieme a biancheria che non perdeva colore. Quindi si metteva la cenere e l’acqua bollente. Si lasciava a mollo tutta la notte. La mattina la biancheria veniva portata a sciacquare al fiume. Con l’acqua della tinozza (ranno) si lavavano i panni colorati. Il ranno era come la candeggina. Tutti i contadini seminavano il granturco. Quando le pannocchie erano pronte venivano raccolte a mano, portate nell’aia con il carro tirato da buoi e stese al sole. La sera in cerchio intorno al mucchio di pannocchie, si toglievano le foglie. si cantava, si rideva: era una festa. Con le foglie più bianche si faceva il materasso (saccone)! Quando si andava a letto, tra le lenzuola ruvide e le foglie secche che facevano chiasso, conveniva davvero stare fermi! TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA Le Rogazioni. Fin da quando ero piccola ricordo che ogni anno in un giorno preciso, la mia mamma andava a cercare i fiori per addobbare la strada con dei disegni: diceva sempre che lo faceva la mia nonna e lei voleva continuare la tradizione. Quando sono diventata un


po’ più grande, la mia mamma mi ha spiegato il significato di questa tradizione. Mi ha raccontato che la mattina dell’Ascensione si svolge una processione dalla Chiesa di S. Michele Arcangelo in Castelluccio a Pieve a Sietina. In questa processione si fa la benedizione del paese, poi della campagna, poi delle acque (quando siamo sul ponte). Con queste benedizioni che si chiamano Rogazioni, si chiede a Dio la liberazione da ogni male, dal terremoto e dalla tempesta, dalla discordia e dall’ingiustizia. Quando tutte le famiglie erano contadine era molto importante avere una buona stagione per raccogliere tanti frutti. A dire il vero anche oggi il mio babbo che fa l’orto dice sempre che bisogna avere una buona stagione per far crescere buoni e sani frutti e verdure. Infatti quest’anno la raccolta di olive è stata veramente misera! Per questo tutti partecipavano a queste preghiere. Capite queste cose, ho voluto partecipare anche io. Infatti quest’anno abbiamo raccolto, con l’aiuto di alcuni amici, petali di rosa, ginestra, edera, grano; poi, usando anche nastri e fiocchi, abbiamo decorato il “bivio di Vado” e il ponte della Posticcia. Alla fine il lavoro è stato faticoso ma sono rimasta molto contenta. Dopo il lavoro si è partecipato alla processione e dopo siamo andati alla messa.

SAPORI DA NON DIMENTICARE TAGLIOLINI IN BRODO CON COLLI D’OCA RIPIENI. Un tempo i padroni si mangiavano il pollame allevato e lasciavano ai contadini soltanto i colli, le zampe le frattaglie e qualche ritaglio di carne. I colli d’oca, che erano belli grossi, venivano riempiti con pane grattugiato, qualche ritaglio di carne dell’oca e uova poi venivano lessati e in quel brodo si faceva la minestra con i tagliolini fatti dalla massaia di casa. Ingredienti per il ripieno: carne macinata, salsiccia, fegatini di coniglio, parmigiano, pan grattato, uovo. Togli le vertebre interne al collo e lo riempi con il ripieno poi si richiude con lo spago il tutto e si mette a lessare con carote, sedano e aromi. Quando è cotto togli il collo e butti giù i tagliolini, affetti il collo e servi.

BRICIOLE Se qualche anno il raccolto di grano e vino era scarso, i contadini dicevano: “Quest’anno si mangerà pan de legno (castagne) e si berrà vin dei nuvoli (acqua)”.

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CASTEL FOCOGNANO Il comune di Castel Focognano si trova in provincia di Arezzo, nel basso Casentino, e conta 3298 abitanti. Il nome deriva, oltre che dall’origine di centro fortificato, dal nome di persona Falconius o Fulconius.

ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO 24


SCUOLA PRIMARIA DI PIEVE A SOCANA CLASSI 4째A E B

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ALLA CONQUISTA DI PIEVE A SOCANA Siete tutti invitati alla caccia al tesoro delle pietre ETRUSCHE del tempio di Socana! Infatti in questo piccolo paese circa 2500 anni fa sorgeva un importante tempio etrusco, del quale rimane una stupenda ara, cioè un altare dove venivano sacrificati gli animali e alcuni gradini che si intravedono sotto la chiesa. Visitare gli scavi è facilissimo: arrivati a Pieve a Socana, sulla sinistra troverete una piccola piazza con la Pieve che dà il nome al paese; oltrepassandola, sulla sinistra c’è un cancello che porta sul retro dell’edificio, dove nel 1969 fu scoperto l’altare. Sulla sinistra, alla base della chiesa, dietro una grata, potete vedere ciò che rimane del tempio etrusco: pochi gradini. Infatti, se si escludono le fondamenta in pietra, il tempio era di legno. Sono state trovate anche delle decorazioni del tetto in terracotta (al Museo Archeologico di Arezzo). Il tempio era molto grande, circa un quarto di un campo da calcio. Questo perché Socana un tempo era un centro importante: se guardate il retro della chiesa, alle vostre spalle scorre il fiume Arno, che nasce sul monte Falterona, considerato dagli Etruschi “il trono degli 26

dei”. Su questo monte venivano da tutta l’Etruria per bagnarsi con le sacre acque del Lago degli Idoli, considerate curative. Inoltre Socana si trovava sulla “via della transumanza” cioè il viaggio che portava d’inverno i pastori con le greggi verso il mare e viceversa d’estate. Ovviamente, dal momento che ancora non esistevano né auto né aerei, ci volevano molti giorni di cammino. Quindi questo santuario era una specie di Autogrill degli Etruschi: i viaggiatori si fermavano per mangiare, riposarsi e, poiché gli Etruschi cercavano continuamente un contatto con gli dei, per sacrificare un animale e magari farsi predire il futuro dall’aruspice di Socana. Ma torniamo a guardare la parte posteriore della chiesa: vedete quelle pietre molto grandi, chiare e ben squadrate alla base della chiesa? In realtà quelle appartenevano al tempio etrusco e furono riciclate in epoca cristiana. Se guardate a destra, vedrete un bel campanile ricavato da una torre di avvistamento di epoca romana. Insieme ad altre centinaia di torri, funzionava come un telefono senza fili: di giorno si lanciavano messaggi in codice riflettendo il sole con degli specchi, di notte o quando era nuvoloso con delle fiaccole. Pensate


un po’, l’imperatore Tiberio con questo sistema riusciva a comunicare in poche ore con Roma dall’isola di Capri, in cui risedeva. La pieve che vediamo oggi in realtà contiene altre due chiese: la prima, antichissima, è molto più piccola di quella attuale e corrispondeva alla parte che si trova sopra i gradini del tempio etrusco. Nella seconda chiesa, grande il doppio di quella di oggi, possiamo vedere i resti di due piccole absidi poste ai lati di quella grande centrale. Qualche secolo dopo, la chiesa fu ristrutturata più o meno come la vediamo, con una sola abside centrale, ma anche questa era lunga il doppio di quella attuale. Purtroppo metà della chiesa fu abbattuta da un capitano di ventura nel Quattrocento e la facciata che vediamo oggi risale a quel periodo. Ora tocca a voi trovare le antiche, grandi pietre del tempio etrusco riutilizzate negli edifici del paese! AVVENTURA NELLA NATURA Il comune di Castel Focognano essendo composto da più frazioni poste

a varie altitudini, presenta una varietà di ambienti naturali. I paesi più a valle, come Pieve a Socana, Rassina, Salutio e Zenna sono abbracciati da dolci colline e da una varietà di alberi: pini, tigli e querce e, lungo le rive dei fiumi che scorrono nel nostro territorio, si possono trovare altissimi pioppi. Nelle campagne è possibile vedere le coltivazioni tipiche del paesaggio collinare, la vite e l’ulivo e numerosi campi coltivati di grano, girasoli, frumento o semplici orti. Man mano che si sale verso le frazioni di montagna, Castel Focognano, Carda e Calleta la vegetazione si fa più fitta e la strada che conduce verso il crinale è accompagnata da faggi, querce, abeti bianchi e castagni. In questo meraviglioso ambiente non è raro incontrare animali come cinghiali, volpi, cervi, caprioli e daini. Anche nei fiumi che scorrono nel nostro territorio c’è un’ampia varietà di pesci di acqua dolce; inoltre, prima di arrivare a Carda, lungo la strada, si trova un allevamento di trote.

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IL NONNO RACCONTA Tante sono le storie che raccontano i nonni, storie così incredibili da sembrare delle favole Storie così antiche, ambientate in un mondo lontano, quando gli inverni non erano come quelli di adesso, duravano a lungo ed erano molto più freddi. Le persone vivevano di semplicità, ma erano contente del poco che avevano ed erano ancor più contente se potevano condividerlo con gli altri. La ricchezza delle nostre montagne è sempre stata la castagna, che, grazie alla possibilità di essere cucinata in tanti modi, ha permesso alla popolazione di non soffrire la fame, anche nei periodi più difficili. L’attività lavorativa principale era legata al taglio della legna: quasi tutti gli uomini erano boscaioli. Visto che per buona parte dell’inverno i nostri boschi erano coperti di neve ed era impossibile lavorare, erano costretti a spostarsi verso le zone della Maremma Toscana o anche più lontano, in Calabria e in Sardegna, dove il clima era più clemente, nevicava di rado e si poteva tagliare anche in inverno. Erano momenti tristi, perché i boscaioli stavano lontano dalle famiglie per molti mesi.

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TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA Una delle storie più affascinanti del nostro territorio è legata ad un’opera d’arte meravigliosa. Si tratta di uno splendido busto di Madonna con Bambino in terracotta invetriata di scuola robbiana, che adesso si trova nella chiesetta delle sante Flora e Lucilla di Carda, che risale al IX secolo. Che storia avventurosa che ha alle spalle! Si narra che nel 1554 due soldati mercenari di Carda partirono per combattere nella battaglia di Scannagallo, che vedeva contrapposti i senesi, alleati dei francesi e i fiorentini, alleati degli spagnoli: i soldati cardesi erano tra le fila dei senesi. La battaglia fu vinta dai fiorentini e i cardesi, sconfitti, dovettero tornare a casa. Nel viaggio di ritorno verso casa, che essi compirono a piedi, trovarono una chiesa abbandonata e lì dentro videro la Madonna. Ne rimasero affascinati e decisero di portarla nel loro piccolo paese. Se la caricarono a spalla e la portarono da Foiano della Chiana fino a Carda. Nel 1975 la preziosa Madonna fu misteriosamente rubata e per 24 anni non se ne sono avute notizie. Solo nel 1999 la Madonna è stata ritrovata e risistemata nella chiesa di Carda.


poi l’impasto che dovrebbe arrivare a raggiungere un centimetro di altezza circa. Si cosparge il castagnaccio con noci e pinoli e con gli aghi di rosmarino freschissimi, poi si aggiungono sopra a filo altri due cucchiai di olio. Si inforna quindi per 30 minuti a 200 fino a che si sarà formata una bella crosticina tutta crepata e la frutta secca abbia preso un bel colore dorato.

SAPORI DELLA MIA TERRA La tradizione culinaria del nostro territorio è strettamente legata al bosco che, con le sue ricchezze, ha rappresentato la fonte di vita degli abitanti di questa zona per molti anni. In particolare, le castagne, che venivano chiamate “pan di legno”, erano il cibo che non mancava in nessuna casa; venivano seccate per poter essere consumate tutto l’anno e cucinate lesse, arrosto o macinate per ottenere la farina, elemento base per preparare la polenta e il baldino cardese, una ricetta tipica del paese di Carda. BALDINO CARDESE. Preparazione: in un recipiente si mescola la farina di castagne con l’acqua fredda, fino a farla diventare un composto liquido. Nel mentre, in una padella si fa sciogliere il rigatino con un po’ di olio, si aggiunge il composto di acqua e farina e si cuoce come fosse una frittata, girandola con un colpo secco. Sempre con la farina di castagne, si cucinava un dolce, il CASTAGNACCIO: versate poco per volta nella farina di castagne l’acqua, mescolando il tutto con una frusta fino ad ottenere una pastella ben amalgamata e morbida. A questo punto, si aggiungono i pinoli e alle noci tritate grossolanamente. Si versa in una teglia bassa dell’olio, quindi si spennella per bene avendo cura di ricoprire tutta la superficie; si mette

BRICIOLE La saggezza del tempo che fu è affidata a tanti proverbi, tutti divertenti, alcuni con qualche parolaccia: Che tu mugoli o non mugoli, pan di legno e vin di nuvoli. Il boscaiolo non è sicuro se non ha il pennato dietro al culo. Se piove e tira vento, chiudi l’uscio e stacci dentro.

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CASTEL SAN NICCOLO’ Castel San Niccolo’ è un comune dell’Alto Casentino, con una popolazione di circa 2773 abitanti. Si estende dal fondo valle fino ai crinali del Pratomagno ed è suddiviso in numerose frazioni disseminate nella montagna. Il suo nome deriva dell’omonimo castello che sorge sulla riva destra del Solano e sovrasta l’abitato di Strada in Casentino, capoluogo del comune.

ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO 30


SCUOLA PRIMARIA DI STRADA IN CASENTINO CLASSI 1°, 2°, 3°, 4° E 5°

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ALLA CONQUISTA DEL CASTELLO, DEL BORGO DI SAN NICCOLO’ E DEL PAESE DI STRADA Sulla riva destra del torrente Solano, posto su un poggio detto Ghianzuolo che sovrasta l’abitato di Strada in Casentino, possiamo ammirare l’antico castello di San Niccolò che ha dato il nome alla comunità. Si pensa che intorno al IX secolo una parte del Castello già esistesse ed appartenesse agli Alberti, signori dell’Alpe di Catenaria. Nel XIII°secolo il castello fu dei Conti Guidi e il primo signore sembra sia stato Guglielmo Novello, a cui successe il figlio Galeotto. Questo, macchiatosi di varie crudeltà, provocò la ribellione dei sudditi e la perdita del castello stesso che nel 1348 passò alla Repubblica Fiorentina e divenne Podesteria. Altre fortificazioni appartenenti alla famiglia si trovavano a Cetica, Garliano e Battifolle; di queste oggi possiamo soltanto ammirare i resti delle cisterne e di alcune murature. Il castello conserva l’antica Podesteria con gli stemmi dei Vicari nella parete esterna e la porta in stile gotico, che introduce all’interno del cortile. Poco sotto il castello si trova il piccolo borgo con la cappella

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del Crocefisso e la torre dell’orologio. Dalla torre un antico percorso conduce al piccolo villaggio di Vado, in passato lazzaretto e luogo di riposo per viandanti, costruito sul guado del torrente Solano e collegato al borgo di Strada da un ponte, anticamente in legno oggi in pietra. Il borgo di Strada, dal latino “Strata” riferito all’antica via maestra lungo il torrente Solano lungo la quale sorse, in origine era costituito da poche capanne. Finita l’epoca medievale, con la decadenza del castello, acquisì maggiore importanza economica, vi si trasferirono tutte le attività artigianali e fu costruita una piazza per il mercato dove sorsero i palazzi signorili e le Logge del Grano utilizzate per le riunioni comunitarie. L’altro edificio storico di notevole interesse è la Pieve di San Martino a Vado, dedicata a San Martino Vescovo di Tours. Nel 1153 la Pieve di San Martino viene distinta con l’epiteto Vado perché presso la chiesa si “guadava” il fiume Solano. Quasi sicuramente si tratta di un edificio di origine pre-romanica: è l’unica Pieve Casentinese che ha conservato la facciata romanica originaria ed è probabilmente la più antica tra le pievi del Casentino. Alcuni sostengono che facesse parte del


gruppo dei sette edifici fatti costruire dalla Contessa Matilde di Canossa per la salvezza della sua anima. Nel 1765 avvenne il primo grande restauro a causa di danneggiamenti a seguito di una piena del torrente Solano. Il restauro del 1960 ad opera della Sovrintendenza di Arezzo e i successivi interventi avvenuti tra il 1968 e il 1973 hanno riportato la Pieve al suo originario aspetto, semplice ed essenziale. Strada in Casentino Il Solano, / giovane impetuoso, / il paese di case unite / attraversa orgoglioso. Di notte, la luna, / vestita d’oro e d’argento, / nelle sue acque limpide si specchia. / La scuola, / saggia e

sorridente, / veglia vigile / su tutti i bambini. / San Martino, / l’antica pieve serena, / in disparte, nell’aria tersa, / serenamente attende. / Un asilo, / un giardino gioioso, / una piazza: / le Logge del Grano, / monti che giocano in cerchio, / questo è il nostro paese di Strada. AVVENTURE NELLA NATURA Il torrente Solano nasce sul monte Pratomagno ad un’altitudine di circa 1400 metri s.l.m., all’interno del bosco di faggio. Il nome della montagna ci suggerisce la caratteristica distintiva dei suoi crinali: vaste praterie sulla cui cima, ad un’altitudine di 1591 m s.l.m.,

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nel 1928 fu posta una croce in ferro a benedizione del Casentino. Il torrente scorre solcando l’omonima valle: poco sotto la sorgente troviamo la loc. Bagni di Cetica, antiche terme fredde benedette da San Romolo e considerate benefiche. Entriamo così nel bosco di castagno con i suoi seccatoi ancora individuabili all’interno delle selve. Il primo paese che incontra il torrente è Cetica, famoso per le patate che crescono ottime proprio in quella terra castagnola; passa sotto un imponente ponte da poco recuperato e prosegue verso Pratarutoli e Pagliericcio. Le sue acque hanno dato forza per secoli alle ruote idrauliche di mulini, lanifici, gualchiere. Alla fine del XIX secolo risultavano attivi sul Solano e sui suoi affluenti ben 16 mulini, un lanificio e una gualchiera. Oggi in loc. Pagliericcio troviamo ancora attivo dal XV secolo il Mulino Grifoni. Il Solano è inoltre conosciuto dai pescatori per la presenza della trota fario e per le caratteristiche dell’alveo che rendono la pesca divertente. Nelle acque limpide del torrente troviamo anche gamberi, salamandre e tanti altri pesci tra cui segnaliamo il ghiozzo perché questo piccolo pesce poco vivace dà il soprannome agli abitanti di Strada, detti 34

appunto “Ghiozzi” per il loro carattere sobrio. Oltre Pagliericcio, rinforzato da numerosi affluenti, il torrente prosegue verso la loc. Gualchiere, facile intuire l’origine del nome del luogo, e Prato per poi entrare a Strada e diventare protagonista principale del Parco fluviale di Sant’Anna. Il Parco rappresenta da sempre un luogo di divertimento e di svago in mezzo alla natura senza allontanarsi troppo da casa perché vicinissimo al centro storico del paese di Strada, al quale è collegato dal ponte in pietra che porta anche al castello e da una nuovissima passerella in legno. Noi ragazzi amiamo molto fare il bagno nel fiume durante l’estate e nel parco fluviale il torrente Solano forma una lunga e profonda pozza per nuotare e fare i tuffi. Sulle sponde del torrente troviamo grandi pioppi, salici e ontani sotto i quali possiamo godere di un bel fresco durante i mesi caldi. Il parco è attrezzato con tavoli e griglie per pic-nic dove spesso vengono organizzate feste. Inoltre una piccola fontana sgorga acqua buonissima che gli abitanti di Strada da sempre sono soliti venire a prendere per dissetarsi. In passato a fine giugno proprio qui si festeggiava Sant’Anna, figura legata alla chiusura


del ciclo del grano. Presso il Parco sono ancora visibili i resti del berignolo del “cassone” che in passato portava acqua alla fogne di Strada. Pochi km dopo Strada il torrente Solano si immette nel fiume Arno diventandone il maggiore affluente. Cetica Piscine ghiacciate / e tavoli da merenda / occhieggiano / il Pratomagno. / Lassù la rossa Croce / amoreggia con il sole / che la riscalda. Come pecore assonnate, / le case sparse / stanno / sul pendio boscoso. / La chiesa / silenziosa / abbraccia le preghiere. / Il prato verde / lì accanto / le grida dei ragazzi. IL NONNO RACCONTA L’antica tradizione della pietra lavorata: gli scalpellini La lavorazione della pietra a Strada in Casentino rappresenta ancora oggi una realtà artigianale interessante, con un notevole numero di scalpelli attivi, preziosi conoscitori di strumenti e tecniche tradizionali di questo antichissimo mestiere. Lo sviluppo dell’attività nel territorio, fin dall’antichità, è sicuramente collegato all’abbondanza di materia prima, la pietra arenaria detta anche “serena”, testimoniata da numerose cave oggi abbandonate. Gli scalpellini attualmente

in attività appartengono alle storiche famiglie Colozzi, Carletti e Rialti, insieme ad alcuni giovani che si sono avvicinati al mestiere. Dalle loro testimonianze abbiamo scoperto che fino a qualche decina di anni fa il lavoro degli scalpellini si svolgeva in cava dalla quale venivano tagliati grossi blocchi successivamente sbozzati e rifiniti in loco. Una volta individuato il filone si procedeva intaccando la pietra con una serie di tagli rettangolari dove venivano infilati, grazie all’uso delle mazze, dei cunei per produrre il distacco. Per le operazioni di cavatura erano utilizzate anche le mine: i fori nella roccia erano riempiti di polvere esplosiva successivamente incendiata mediante una miccia. Una volta ottenuto un fronte

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verticale, si continuava a cavare calandosi dall’alto e assicurandosi con corde legate sulla cima. E’ facile intuire la pericolosità di questo aspetto dell’attività dello scalpellino. Oggi la materia prima viene acquistata in pezzi già tagliati a seconda della tipologia del pezzo finito e il lavoro dello scalpellino si svolge nel laboratorio. Inoltre gli scalpellini moderni usano martello pneumatico, seghe, mole, frese, compressori in passato inesistenti. Per quanto riguarda la fase della rifinitura gli strumenti utilizzati oggi sono invece gli stessi del passato. Scalpelli, subbie, mazzuoli, martelline permettono di effettuare lavorazioni, decori e finiture proprio come si faceva in antichità. L’unica differenza che è possibile rilevare è che alcune parti degli strumenti di ferro e di acciaio sono attualmente realizzate in widia, nuovo materiale più resistente e più duro. L’uomo e la pietra Di pietra “scalpellata” / sono tanti tabernacoli, / minuscoli oratori /poggiati su colonne, / che l’uomo ha posto / ai crocicchi / dei sentieri di campagna, / a protezione dei raccolti, / come segni di confine, / come invito alla preghiera. / Nei sagrati delle chiese e / nei chiostri 36

dei monasteri, / che hanno pietre coi segni / dello scalpellino, / vanno in fila, col capo basso / nascosto nel cappuccio, / i frati e i monaci / nel salmodiare sussurrato, / quasi silenzio nei silenzi / delle albe e delle notti. I vicoli pietrosi / dei borghi medievali / accolgono / gli sciami dei ragazzi / e gli echi degli strilli / si rincorrono / fra le pietre delle case antiche. Alboino Seghi TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA L’origine del castello di San Niccolo’ Si racconta che prima del mille forze demoniache si fossero impossessate del poggio di Ghianzuolo e che sul cucuzzolo si verificassero visioni di diavoli e streghe. Il poggio di Ghianzuolo, per la sua posizione privilegiata poco sopra l’abitato di capanne di Strada, offriva però un sicuro riparo dalle scorrerie di briganti e dunque gli abitanti pensarono di esorcizzarlo, mandando il cappellano a scacciare i diavoli. Per ben due volte si tentò invano di scacciare i diavoli da Ghianzuolo ma puntuali tornarono le diaboliche grida accompagnate da fiamme fosforescenti. Disperati gli


abitanti si riunirono per decidere il da farsi e un pellegrino sconosciuto consigliò di portare sul poggio Ghianzuolo una reliquia di San Niccolò che lui stesso mostrò dentro una piccola teca; si trattava di un frammento di veste che il pellegrino disse di aver avuto a Mira (Asia) dai frati che custodiscono il sepolcro del Santo. Tutti ebbero fede e organizzarono una solenne processione con ceri accesi a cui partecipò anche il prete più anziano della comunità vestito con ricchi paramenti. La teca con la reliquia fu posta su un masso e il prete pronunciò ad alta voce l’esorcismo ordinando al demonio, in nome di Dio e di San Niccolo’ di lasciare il luogo e di tornare negli inferi. Si udì un grandissimo urlo, un tremendo rumore e fu visto Satana in forma caprina percuotere il macigno del poggio, schiumante di rabbia e avvolto da fiamme sulfuree. La potenza fu tale che il macigno divenne molle e le impronte degli artigli di satana vi rimasero impresse. Sullo stesso macigno fu successivamente costruito il Castello chiamato appunto di San Niccolò in onore del Santo e ancora oggi si possono vedere le “impronte del diavolo”, poste ad un’altezza tale che non è possibile siano opera di mano umana. Si dice inoltre che

nel castello vaghi il fantasma di Matelda, donna guerriera brutalmente uccisa tra le sue mura durante un assedio del XV secolo. In alcune giornate si riescono a udire i suoi lamenti. Il Castello Sul paese addormentato / veglia il castello antico / in cima al monte. / Le mura abbracciate / proteggono la torre / che scandisce il tempo. / Il vecchio maniero, / bello e misterioso, / ricorda l’antica leggenda. Parla di Telda, / famosa guerriera, / il suo fantasma / vaga notte e sera. SAPORI DA NON DIMENTICARE Il prodotto tipico più famoso del nostro territorio è sicuramente la patata rossa di Cetica (frazione del comune sulle pendici del Pratomagno). È un’antichissima varietà di patata a buccia rossa e pasta bianca recuperata grazie all’interessamento degli enti locali e ripiantata nei campi del territorio di Castel San Niccolo’ e dei comuni limitrofi in un areale che parte dai 450 metri di altitudine. Vi proponiamo la tipica ricetta dei Tortelli di patate con la “rossa” di Cetica. 37


Per il ripieno gli ingredienti sono: patate, rigatino, prezzemolo, aglio, passata di pomodoro, noce moscata, parmigiano, uova, sale e pepe. Far lessare le patate e passarle ancora calde. Fare un soffritto con la carne secca tagliata a piccoli pezzetti, aggiungere due cucchiai di passata di pomodoro e un battuto di aglio e prezzemolo. Condire con il sugo attenuto le patate passate e amalgamare il tutto con uova, parmigiano, sale e pepe. L’impasto è pronto per essere confezionato in tortelli meglio se realizzati con sfoglia (uova, farina e acqua) tirata a mano. I tortelli vanno cotti in acqua bollente e salata e scolati con la rasina non appena vengono in superficie. Il condimento è a piacere ma per assaporarli al meglio consigliamo poco burro e parmigiano.

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BRICIOLE Paesi in poesia Borgo alla Collina Nuvole curiose ballano con il vento mentre sbirciano le case distese sulla collina. L’umile piazza chiama i bambini assetati di giochi. La chiesa conversa con le case intorno. Nei dì di festa invita tutti la campana melodiosa. Le case del Borghetto vegliano sul paese addormentato, sui giardini silenziosi sulle fabbriche intorno.


Spalanni Sulla strada si affacciano case curiose: origliano i rumori, occhieggiano chi passa. Arroccati in cima al monte altri tetti sfiorano il cielo. Un bosco guerriero avvolge e nasconde il paese che tace. Le finestre, occhi luminosi, rischiarano la sera in un muto colloquio con la luna sentinella della notte.

Garliano A gruppi, amiche giocose, le case si uniscono in un abbraccio. Il bosco silenzioso le saluta e le protegge. La piazzetta deserta discorre con il gocciolio della fontana. Dalla cima del monte la campana porta a valle il suo rintocco. Questo è il solitario inverno di Garliano.

AMICO MUSEO Il nostro comune ospita due strutture della rete dell’Ecomuseo del Casentino: il Centro di documentazione sulla civiltà castellana e l’Ecomuseo del carbonaio. Il primo si trova nel borgo del castello e documenta la storia medievale del Casentino con approfondimenti sulla vita nel castello. Il secondo si trova a Cetica e documenta l’ormai scomparso mestiere del carbonaio anche attraverso una interessante ricostruzione del villaggio del carbonaio e una collezione di oggetti e strumenti di lavoro.

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CHITIGNANO Il nome Chitignano deriva, probabilmente, dalla sua forma “a catino” ed è per questo che nei tempi antichi si chiamava Catignano. Il paese risiede sul fianco occidentale dell’Alpe di Catenaia, in uno dei contrafforti che si staccano da Monteforesto alla sinistra del torrente Rassina, e in mezzo ad un’angusta ma amena valle. Questa particolare posizione geografica, terra di passo e di confine, permise la nascita di attività di manipolazione e di contrabbando di beni “particolari” quali il tabacco e la polvere da sparo.

ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO 40


SCUOLA PRIMARIA GIUSEPPE FRACASSI CLASSI 3째, 4째 E 5째

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ALLA CONQUISTA DI CHITIGNANO Il centro storico di Chitignano è considerato il “cuore” del paese e si sviluppa intorno al Palazzo Comunale, completamente in pietra e che accoglie il piccolo Ufficio Postale e la vicina Farmacia. L’antico borgo si sviluppa attorno al Comune e, dopo aver parcheggiato l’automobile, puoi entrare dentro l’abitato. La vita scorre tranquilla e scandita da rituali antichi: nelle belle giornate puoi incontrare donne che ancora lavano nelle antiche “Tre fonti” oppure sedute di fronte all’uscio per la veglia. Il paese dispone di buone strutture sportivo-ricreative come lo stadio e il campo da tennis ubicate nell’area di recente costruzione. Proprio di fronte si può vedere la Chiesa Parrocchiale. Visitando il Castello di Chitignano si ha la possibilità di conoscere una delle fortezze più rappresentative del Casentino e di respirare più che in altri luoghi un’atmosfera densa di leggende, intrighi e trabocchetti. Questo immenso maniero appartenne in un primo tempo alla famiglia Guidi, ma a metà del XIV secolo divenne proprietà degli Ubertini 42

che lo abitarono per più di cinquecento anni ampliandone la struttura, che raggiunse i sette piani. Varcando la soglia del portone principale, sormontato da una campana che suonava in occasione delle impiccagioni, ci si trova nella pittoresca corte interna, ornata da due colonne con capitello, dalla quale si accede alla sala del Corpo di Guardia con una grande volta a botte stupendamente affrescata. In questo piano vi sono due scale segrete, una in mattoni ed una in legno celata da un armadio, che si collegano con i livelli sotto e sovrastanti. Nel corso della visita ci si immerge sempre di più in un mondo di grande valore storico e culturale e nello stesso tempo fantastico ed inquietante. Si passa dalle stanze affrescate delle Guardie della Contessa, poste al 2o piano, in cui in appositi riquadri sono rappresentati episodi delle Metamorfosi di Ovidio, alla cucina con il suo grande camino millenario. Dal magnifico Salone delle Armi al 6o° livello con i soffitti di travi in legno e formelle in terracotta, al 7o piano adibito alle Sentenze e alle Esecuzioni, dotato anche di prigione. Non poteva mancare un trabocchetto posto davanti allo


scalone principale, denominato Scala del Diavolo. A poca distanza dal Castello degli Ubertini, dalla parte opposta della strada, si trova il palazzo dell’antica Podesteria, istituzione costituita dalla Repubblica Fiorentina agli inizi del XV secolo. Si chiama così perché era la dimora del Podestà inviato dai Fiorentini. La struttura, semi nascosta da cipressi, appartiene oggi ad un istituto religioso, al suo interno è conservato un interessante affresco datato 1610 e raffigurante l’Annunciazione.

AVVENTURE NELLA NATURA Il nostro paese è inserito in posizione collinare, all’interno del Parco del Casentino. Per la maggior parte è ricoperto da boschi composti da faggi, abeti, querce e castagni da cui si raccolgono in autunno numerosi marroni. Oltre alla bellezza della vista che può ricevere chiunque venga a passeggiare nelle foreste che incorniciano Chitignano, c’è da sottolineare anche una ricchezza botanica di cui sono censite molte specie protette e rare. L’orografia estremamente

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variabile dei luoghi e la particolare posizione geografica, (essendo crocevia tra due mari), favoriscono lo sviluppo di molte varietà di piante. A quote elevate i boschi sono formati prevalentemente da abeti bianchi e faggi. Oltre a queste due specie trova posto anche l’acero montano, il frassino, il ciliegio, il tiglio e il rovere. A quote più basse troviamo specie tipiche di questo clima come il biancospino e il corniolo e, dove c’è maggiore ricchezza di acqua, anche noccioli e salici. Nel territorio del comune di Chitignano e più ampiamente in tutta la valle casentinese, troviamo una fauna formata da una grande varietà di specie. Essendo il territorio prevalentemente ricoperto da boschi e macchie in cui l’uomo non accede, molte specie animali hanno potuto proliferare ed ambientarsi. In questi luoghi è facile imbattersi in caprioli, cervi, daini e cinghiali, ma anche in volpi, scoiattoli, faine, ghiri e, in maniera molto rara, anche in lupi. Le specie di uccelli che abitano i nostri boschi sono falchi, barbagianni, civette, gufi ed altri rapaci (come il falcone) e anche fagiani, ghiandaie e starne. Chi vuole visitare il nostro bel paese non può non percorrere la strada delle acque, perché di sorgenti ne abbiamo

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veramente molte! Prima di giungere alla piccola frazione di Rosina ti imbatterai nell’area di sosta e ristoro chiamata “acqua Forte” che nella bella stagione è meta di tanti pic-nic. Potrai assaggiare acqua fresca che sgorga da una “sorgente sulfureo-ferruginosa”. Visiterai un’altra sorgente, a pochi km dalla piccola Chiesa di San Vincenzo, in direzione della Verna e… attento al toponimo: Buca del Tesoro. Abbiamo visto come i toponimi ci offrano interessanti notizie del passato. Qui infatti un tesoro c’era davvero. Noi cristiani preghiamo nelle chiese, e se sentiamo il bisogno di una particolare protezione accendiamo una candela, o lasciamo un’offerta in denaro. Anche gli Etruschi lasciavano nei loro templi delle offerte: monete oppure statuette di bronzo rappresentanti gli dei o parti del loro corpo per le quali si richiedeva la guarigione. E qui, accanto a una sorgente che poteva guarire da alcune malattie, gli Etruschi avevano lasciato delle offerte per gli dei, per chiedere un aiuto in più. Queste offerte sono state ritrovate nel corso dei secoli, tanto da far pensare che qualcuno vi avesse seppellito un intero “tesoro”. Tantissimi oggetti antichi, qui ritrovati, sono stati dispersi e non sappiamo più dove siano. Nell’800 un archeologo


aretino, Gamurrini, riuscì ad averne alcuni. Crediamo sia interessante fare una passeggiata in questa zona: oggi c’è un’area attrezzata per fare pic-nic e una fontanella dalla quale, senza pagar nulla, potrai bere quest’acqua un tempo tanto preziosa che ha un sapore stranissimo! IL NONNO RACCONTA Il Carnevale, secondo la memoria della nonna e della mamma di Samuele. La mia nonna mi ha raccontato che quando lei era bambina, a Chitignano si svolgevano delle bellissime feste sia religiose, con delle bellissime processioni che scorrevano lungo tutto il paese, che pagane, come le feste di carnevale. L’ultimo giorno di Carnevale la tradizione voleva che gli uomini non dovessero assolutamente lavorare, né al campo, né al bosco, né alla bottega artigiana, né al cantiere o in qualsiasi altro luogo. Chi veniva colto in fallo, dedito alla propria attività, veniva “portato in seggiola”, veniva cioè fatto salire su una sedia e trasportato a spalla per tutto il paese da un corteo di uomini che cantavano uno stornello che faceva più o meno così: e more, more, more, / larilleralillerallera, / e more, more, more, / e more r’carnevale / e more more more, / larilleralillerallera,

/ more r’carneval! / Da una gamba sono zoppo, / e dall’altra mi sento male, / se non guarisco da questo male, / dalle donne n’ci torno più! / e more, more, more. Se durante il tragitto del corteo veniva trovato un altro uomo che lavorava, veniva fatto scendere il primo e salire l’altro, sempre cantando la stessa strofa e alla fine si festeggiava con polenta e baldino. L’usanza del farsi portare in seggiola era talmente sentita che spesso capitava di uomini che facevano apposta a farsi trovare al lavoro proprio per essere oggetto dello scherzo. La festa poi si protraeva anche la notte con balli, canti e il tipico gioco della pentolaccia. Anche il giorno delle Sacre Ceneri a Rosina si festeggiava. Nel forno del paese che era situato nella piazzetta del borgo, veniva preparato il paiolo con la polenta e i bambini che frequentavano le elementari, più o meno una trentina, durante la ricreazione venivano accompagnati dall’unica maestra a mangiare polenta e baldino, e poi via, di nuovo a scuola. Un’altra bella festa della quale si ricorda anche la mia mamma, sempre legata al carnevale, era il corteo che veniva fatto da Chitignano a Rosina, con carri di carnevale e la banda musicale del paese che suonava l’immancabile inno di Chitignano,“la 45


teppa”, con tanto di rievocazione storica degli antichi dissapori tra i due paesi. Al Mulino di Rosina, antica terra di confine tra i due paesi, veniva ricreata la Dogana, e lì i contrabbandieri Chitignanini dovevano fare ammenda delle loro colpe nei confronti del popolo di Rosina, il quale per bontà d’animo, in nome della riappacificazione, concedeva loro di entrare nel proprio territorio. TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA Nel Casentino si raccontano tante storie e leggende strane, ma la più curiosa è quella che narra di uno strano essere che vivrebbe nei folti boschi delle nostre zone: il Badalisco. Alcune persone dicono di averlo incontrato.“Eravamo in tre, s’avrà avuto 14 anni o 15, si tornava da una girata a Stabarsicci ed era quasi notte. Camminando si parlava del più e del meno e di come s’era passata la domenica ma all’improvviso dal bosco si sentì un rumore strano come quando si strappa la carta. Non ci si impaurì subito ma il più coraggioso entrò nella selva per vedere

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cos’era stato. Io e l’altro per non far la figura degli allocchi, gli si andò dietro e dopo pochi passi si vide un bestia strana: era fatta come un serpente però con le zampe, grandi più o meno come un gatto; allora si mise le gambe in spalla e si tornò di corsa a Chitignano. Quando, il giorno dopo, si raccontò la storia ai vecchi del paese, ci dissero che s’aveva visto il Badalischio, la peggio bestia passata per l’anticamera del cervello del Signore. Noi quella sera s’andò a letto alle 8 ma non si riuscì a dormire fino a notte fonda”. SAPORI DA NON DIMENTICARE Frittata di vitalbe. Ingredienti: 2 uova a testa, vitalbe (un piccolo pugno a testa), olio di oliva, sale. Preparazione: lavare le vitalbe e scottarle leggermente in acqua. Mettere in padella un po’ d’olio, mettere le vitalbe scottate e poi aggiungere le uova. Cuocere senza girare la frittata e salare a piacere. Pappa al pomodoro. Ingredienti per quattro persone: 7/8 fette di pane toscano insipido, 4 pomodori ben maturi, 1 litro e mezzo d’acqua, sale,

pepe, peperoncino, olio extravergine di oliva, formaggio grana: un pezzetto o 1-2 croste ben pulite, un ciuffo di prezzemolo. Preparazione: far scottare i pomodori in acqua, toglierli e pelarli. Tagliarli a pezzetti e buttarli in una pentola con acqua bollente aggiungendo sale e un peperoncino, le croste o il pezzetto di formaggio grana. Tagliare le fette di pane a pezzetti e aggiungerle all’acqua, mescolare, aggiungere il pepe, far bollire coperto per venti minuti fino a che il pane non diventa “pappa”. Togliere dal fuoco, cospargere con un filo di olio extravergine di oliva e servire caldissima con formaggio grana a piacimento. Baldino. Ingredienti: mezzo kg di farina di castagne, 2 belle manciate di uvetta, 1 bustina di pinoli, 2 belle manciate di noci. In una terrina mettere la farina, un pizzico di sale e acqua quanto basta, poi mescolare finché non è una crema. Mettere l’uvetta, noci, pinoli e l’olio. Infornare e cuocere per circa 30 minuti finché non si formi una crosticina.

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BRICIOLE Ecco alcune filastrocche popolari Gli impossibili Disse il sordo:”Sento un tordo” Disse il cieco:”Anch’io lo vedo” Disse lo zoppo:”L’acchiapperemo” Disse il muto:”Poi canteremo”. Le sei galline La mia nonna ha sei galline tutte belle riccioline, quando fanno coccodè, c’è un bell’ uovo anche per me! Sei galline ed un bel gallo di colore nero e giallo, che sul far della mattina fa una bella cantatina. Con quel canto sveglia presto L’uomo pigro e l’uomo lesto. Chi lavora chi va a scuola, ma la mamma resta sola, resta sola con i bambini fate la nanna la nanna faremo un sonno lungo e poi ci desteremo. Ninna nanna ninna nanna Il bambino è della mamma della mamma e di Gesù il bambino non piange più. Lucciola lucciola Nelle sere tiepide di maggio, quando si poteva stare all’aperto a giocare, nel buio comparivano le lucciole; i bambini inseguivano le loro luci ripetendo: Lucciola lucciola vien da me ti darò il pan del re pan del re e della regina lucciola lucciola vien vicina.

Ecco un piccolo vocabolario dell’idioma di Chitignano alettare: richiamare l’attenzione degli animali da cortile per dar loro da mangiare bocione: chi parla a voce troppo alta briachella: persona dedita al bere e di poco valore capone: testa dura, che capisce poco disgarbare: come verbo, non essere gradito, non piacere mattarullo: un po’ matto omarino: uomo piccolo sassarino: sassolino scricca: campanellino che si mette al collare dei cani spregioso: chi fa i dispetti e tratta male gli animali traventare: scaraventare Modi di dire “Ndù che tu va’?”: dove vai? “Chi tla ditto?”: chi te lo ha detto? “Che fa ttu?”: cosa fai? “Ndo’ va ello/ella?”: dove va?

AMICO MUSEO L’ ecomuseo del Casentino, il Museo della polvere da Sparo e del Contrabbando, illustra l’attività di produzione e commercio della polvere da sparo, fiorente nel territorio di Chitignano a partire dalla metà dell’Ottocento. Viene illustrato il procedimento, sia manuale sia industriale, di produzione della polvere pirica ottenuta miscelando in varie proporzioni carbone, salnitro e zolfo.

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CHIUSI DELLA VERNA Il comune di Chiusi della Verna è situato nel centro del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. A nord confina con l Emilia Romagna, a sud e ad ovest è compreso nel territorio del Casentino, ad est si inserisce nella vallata tiberina. L’estensione territoriale lo porta ad avere più anime al suo interno, sia dal punto di vista storico e culturale che naturalistico. Il nome deriva probabilmente dal termine latino Clau-Clusu, che indica la chiusura della vallata rispetto ai centri circostanti. Sicuramente la sua storia risale al periodo etrusco romano visto il ritrovamento di sepolture.

ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO 50


SCUOLA PRIMARIA DI COREZZO CLASSI 1°, 2°, 3°, 4° E 5°

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ALLA CONQUISTA DI CHIUSI LA VERNA Il momento cruciale della storia del comune di Chiusi della Verna è la donazione a Francesco d’Assisi del monte della Verna da parte del conte Orlando, avvenuta nel 1213 dopo il loro incontro nel castello di San Leo. Da allora, Francesco si recò più volte alla Verna con i suoi fratelli, fino al 1224 quando vi ricevette le stimmate come viene descritto da Dante nel Paradiso “Nel crudo sasso intra Tevere e Arno da Cristo prese l ultimo sigillo che le sue membra du anni portarono”. Imponente il Santuario costruito a strapiombo su un costone del monte e ben visibile da chi proviene dalla Beccia. Sono qui da visitare la Chiesa di S. Maria degli Angeli risalente al 1216 e contenente terrecotte policrome invetriate di Andrea della Robbia e la Basilica di Santa Maria Assunta, costruita fra il 1348 ed il 1509, con al suo interno altre terrecotte robbiane e un monumentale organo cinquecentesco di rara qualità. Scendendo nell’abitato di Chiusi della Verna sono visibili, su uno sperone roccioso, i suggestivi ruderi del castello detto “del conte Orlando Cattani”.

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Costruito con grossi blocchi di pietra chiara squadrata aveva in origine vaste dimensioni, con la forma di quadrilatero irregolare per meglio adattarsi alla roccia, una torre e il cassero nella parte più elevata. In seguito vi fu stabilita la sede della Podesteria Fiorentina, poi ampliata con l’annessione di Caprese. Fu podestà a Chiusi nel 1474 Lodovico Buonarroti e in quel periodo gli nacque il figlio Michelangelo, da qui la disputa con Caprese Michelangelo sulla patria natale dell’artista. La storia della Vallesanta si è caratterizzata per il suo ruolo di confine tra bizantini e longobardi, presenze tutt’ora riconoscibili nelle tradizioni e nei toponimi. Nel medioevo di importanza strategica la via Romea dell Alpe di Serra percorsa da numerosi pellegrini che dal nord Europa si dirigevano a Roma soprattutto nell’occasione del Giubileo dell’anno mille. Resti di antichi insediamenti fortificati e castelli caratterizzano il paesaggio. Questi servivano da roccaforti per il controllo del territorio, luogo di incursioni e passaggio di eserciti come accadde nel 1498 quando durante la guerra fra Venezia e Firenze venne


distrutto il castello di Montefatucchio. Di notevole bellezza e valore storico artistico il quadro della Madonna del Rosario del pittore Giovanni Martinelli, donato nel 1640 da un fedele alla chiesa di San Michele Arcangelo di Biforco. Da ricordare la presenza della ceramica dei Della Robbia: La Madonna del Rifugio nel Romitorio ora visibile al santuario della Verna. Comunque le vere opere d’arte della Vallesanta sono i suoi paesini arroccati, incastrati pietra su pietra nella montagna con la quale si confondono, i casolari disseminati fra le alture, le chiesette e le cappelle testimoni di una fede diffusa. AVVENTURE NELLA NATURA Ci sono foreste rigogliose, con alberi di diverse specie: querce, castagni, faggi e conifere. Fra un bosco e l’altro si estendono grandi prati che in primavera si coprono di fiori colorati. Tra le montagne ci sono piccoli torrenti ripidi e tortuosi, formati da cascatelle che in inverno ghiacciano. I boschi e i prati

sono popolati da tanti animali selvatici che si possono incontrare facilmente come cinghiali, cervi, lepri, caprioli e istrici. Nella valle ci sono anche branchi di lupi; sono molto difficili da vedere ma nella notte si sentono ululare da una montagna all’altra. I cieli sono frequentati da vari tipi di uccelli: i picchi rumorosi, le ghiandaie stridule, i merli sempre alla ricerca di cibo, le cinciallegre e i pettirossi che ci osservano dal davanzale della finestra incuriositi. In inverno nevica spesso e possiamo scivolare con la slitta, fare pupazzi di neve, costruire igloo o tunnel e fare vere battaglie a pallate. La primavera è la stagione più adatta per fare belle passeggiate avventurose alla scoperta di luoghi inesplorati. Ci divertiamo a correre nei campi, facciamo capriole e ci nascondiamo fra l’erba in attesa dei caprioli e dei cervi che vengono a mangiare, quando siamo stanchi saliamo sugli alberi e facciamo scorpacciate di ciliege. In estate andiamo al fiume dove nuotiamo, ci tuffiamo dalle rocce, 53


costruiamo le dighe e le piramidi con i sassi e giochiamo con i girini e i pesci; la sera stiamo alzati fino a tardi ci sdraiamo sui prati con il naso all’insù ad ammirare le stelle cadenti. In autunno andiamo nel bosco a raccogliere i funghi e le castagne, qui costruiamo le nostre basi segrete, utilizziamo i legni che troviamo per costruire le pareti, il muschio per sederci su di un pavimento morbido e comodo e le cortecce per il tetto. Ci piace molto andare alla ricerca di tesori, soprattutto antiche monete o reperti archeologici, ma anche le palline di pietra. Sono di varie misure e molto pesanti, perfettamente rotonde e si trovano disseminate nelle nostre montagne. Varie le ipotesi sulla loro origine: bolle di lava, meteoriti, escrementi fossilizzati di animali preistorici oppure proiettili per le fionde utilizzati nelle battaglie nel periodo medioevale. IL NONNO RACCONTA Nel mese di settembre, prima che cadessero le castagne, si puliva il sottobosco dalle erbe e dai ricci dell’anno precedente e se ne faceva un gran fuoco. A ottobre si raccoglievano le castagne spicce e le peglie chiuse venivano

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ammucchiate in attesa che la pioggia le aprisse. Si picchiavano con il lastro e da quante ce n’era lo spiazzo era tutto nero. Le castagne, messe nei sacchi, venivano trasportate con la treggia fino ai seccatoi. Poi venivano stese su un soffitto di assicelle sorrette da travi, leggermente discoste l’une dalle altre per far passare il calore del fuoco che doveva restare acceso sia di giorno che di notte. Ogni tanto le castagne dovevano essere rivoltate con un lungo bastone perché non si bruciassero tutte da una parte e questo era un lavoro molto faticoso soprattutto quando erano tante. Una volta seccate venivano messe in sacchetti di tela che le donne avevano preparato durante l’inverno e battute su un ceppo rivestito di cenci, cosi da sgusciarle. Per togliere le pellicine le donne saltavano le castagne su dei vassoi di legno. Fra le castagne pulite si sceglievano le più belle che venivano portate al mulino per trasformarle in farina, una parte di questa veniva lasciata al mugnaio come ricompensa per il suo lavoro. La farina di castagne veniva conservata in un cassone di legno, pigiata forte per non farla andare a male. Durante l’anno con la farina ci si faceva la polenta dolce e


il baldino, con le castagne si faceva le mondine o scucchie o le brice. Nel mese di maggio si andava a cantare in giro per tutti i paesi e casolari il Cantamaggio per festeggiare l’arrivo della primavera dopo un lungo inverno. A Natale si festeggiava con poco, si sentiva poco la festa perché gli uomini erano lontano a lavorare, in Maremma a tagliare la legna. Ognuno imparava un sermoncino e lo recitava nella chiesa gremita di gente la notte di Natale. La tradizione natalizia si svolgeva attorno al focolare, ogni famiglia teneva da parte il ceppo più grosso proprio per questa festa, il fuoco doveva rimanere acceso tutta la notte perché la Madonna sarebbe andata ad asciugare le pezze del Bambinello al fuoco più bello. Il

ceppo aveva anche un altro compito, era l’attuale Babbo Natale, i bambini si sedevano intorno al focolare, quando gli dicevano “Batti” uno alla volta picchiavano il manico della paletta sul ceppo e ad ogni tonfo uscivano caramelle, fichi secchi e mandarini. TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA IL PASSAGGIO SEGRETO. Sembra che nell’antichità il castello del Conte Orlando avesse un passaggio segreto che, partiva dall’interno delle mura, e attraversando un cunicolo scavato nel terreno, raggiungesse le basi della scogliera del monte Penna; cunicolo che tutt’oggi è visitabile fino a che non si incontra un baratro. Si dice che questo passaggio servisse ai proprietari del castello in caso di assedio per rifornirsi di viveri e per cogliere di sorpresa gli assedianti. I Conti Cattani, lieti dello stratagemma, vivevano tra feste e balli incuranti del nemico che tornava indispettito continuamente ad assediarli. Durante una festa il Conte offese mortalmente un suo famiglio che decise di vendicarsi informando i nemici del passaggio. Questi idearono 55


un piano semplice e crudele: quando i soldati usciti per attaccare cercarono di rientrare nel castello attraverso il tunnel si trovarono il baratro davanti, i nemici avevano tolto il ponte di legno necessario per attraversarlo e alle loro spalle avevano chiuso l’ingresso facendolo franare. Furono così intrappolati e destinati a morire di fame tra i lamenti che ancora oggi, in certi momenti dell’anno, risuonano nei dintorni dell’imboccatura della grotta. LA CHIESINA DI SAN SILVESTRO. Numerose le fonti scritte testimonianti le lotte interne tra i feudatari locali come tra i Conti Stufi di Montefatucchio e i Conti Gufi della Gufaia di Giampereta che, per motivo di precedenza la notte di Natale “ebbero rissa nella Chiesina di San Silvestro posta tra Montefatucchio e Giunchereta. Vi perirono i Conti dell’uno e dell’altro e tutti i loro servi che vi presero parte”. Da allora numerosi sono gli avvistamenti di eterei personaggi a cavallo. VALLESANTA. Vuole la tradizione che la vallata prenda il nome Vallesanta

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perché, quando San Francesco ricevette le stimmate, dal monte della Verna scaturì una luce tale da illuminarla tutta con un fortissimo bagliore. Altri fanno risalire il nome a tempi antecedenti, nome legato alla presenza di luoghi di eremitaggio. Si narra che San Barnaba, nel suo passaggio da Roma a Milano, sostò qui in eremitaggio. LA VERNA. Sembra che il nome derivi da Laverna cioè dea dei ladri, per un tempio dedicato alla Dea Laverna edificato sul monte e frequentato da ladri e assassini che frequentavano il folto bosco e aggredivano i viandanti così da nominare la zona Silva Latronum. MONS FATUCLUS. Monte Fatucchio si dice che prenda il nome da un tempio lì edificato dedicato al Dio Fauno, molto importante perché collegato ai vaticini. ANNIBALE. La tradizione vuole che Annibale, per raggiungere Roma, abbia varcato l’Appennino proprio dal passo Rotta dei Cavalli e sia disceso attraverso la Vallesanta nel suo percorso verso il lago Trasimeno.


SAPORI DA NON DIMENTICARE Il tortello alla lastra è il prodotto che sicuramente caratterizza maggiormente il nostro territorio. Di preparazione molto semplice e veloce sono sfoglie di farina riempite di patate condite con odori rosolati e pecorino, vengono ritagliate in quadrati larghi e cotti sopra lastre di pietra arenaria scaldate al fuoco. Di uso comune anche i prodotti tipici della cultura pastorale: formaggio, ricotta e raveggiolo. Di uso meno comune, ma sicuramente tradizionale è lo scottino: il siero rimasto dalla lavorazione della ricotta versato su fette di pane raffermo. Da non dimenticare il lattaiolo, il dolce che i pastori facevano al ritorno dalla transumanza, gli ingredienti conosciuti sono latte, zucchero e uova, bollito e cotto al forno, anche se ogni paese e ogni massaia ha il suo segreto che rende il sapore unico. L’alimento base per il sostentamento era la castagna in tutte le sue varianti: castagne secche, bollite (scucchie, munde, ballotte), cotte al fuoco (brice

o bruciate) e la farina con la quale si faceva la polenta dolce, ottima con la ricotta, e il castagnaccio: farina, acqua, olio, rosmarino e noci, il tutto cotto nel forno. Da non dimenticare la polenta di farina gialla cioè di granturco che, una volta cotta, veniva versata dal tegame su una spianatoia e qui tagliata con un filo per cucire. Veniva condita con sugo di cacciagione dai più benestanti e con pomodoro e cipolla dai meno abbienti, il cosiddetto “sugo dei poveri”. Era da tutti apprezzata anche arrostita. Per finire, l’animale del quale non si butta via nulla: il maiale. Veniva “aggiustato” fra dicembre e gennaio, quando il clima è asciutto e freddo, dalle sue carni si ricavavano prosciutti, salsicce, fegatelli conservati nello stesso grasso dell’animale, chiusi nella rete e fermata con un pezzetto di finocchio selvatico e il migliaccio cioè il sangue fatto bollire e condito. I salumi venivano appesi al soffitto della stanza e mangiati durante tutto l’anno, si dice infatti “Pane di un giorno, prosciutto di un anno e vino vecchio”. 57


BRICIOLE “Colazione di buon’ora mezzogiorno alla sua ora a merenda non tardare se poi vuoi anche cenare”. “A scuola ci accompagnavano le nostre scarpe”. “Al contadino non far sapere quanto è buono il cacio con le pere ma il contadino che non era uno stupidone lo sapeva prima del padrone”. “Porta aperta per chi porta per chi non porta non importa aprire la porta”. “Quando la Verna mette il cappello prepara l’ombrello”. “Quando piove in Catenaria Dio li fa e poi li appaia”. “Diceva il pero all’uva Oh disgraziata, tu morrai schiacciata e l’uva gli rispose - E’ vero, ma all’uomo che mi calpesta farò girare la testa”. “Una legna non fa fuoco. Due ne fan poco. Tre legne fanno un fuocherello. Quattro legne fanno un fuoco bello”.

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AMICO MUSEO IL GRANAIO DI NARCISO. A Frassineta si trova una raccolta molto interessante. All’interno del vecchio granaio Angelo Fani ha sistemato vari oggetti appartenenti alla sua famiglia e soprattutto del padre Narciso che lavorava i campi e accudiva il bestiame. Noi bambini lo abbiamo aiutato ad organizzare il suo museo suddividendo gli oggetti in base all’uso (lavoro nei campi, utensili della casa, lavorazione del formaggio, lavoro con gli animali, filatura della lana) e abbiamo accompagnato altri bambini a visitarlo facendo noi da guide turistiche. IL GIARDINO DEI FRUTTI DIMENTICATI. Nel cortile della nostra scuola abbiamo piantato un frutteto di antiche cultivar della vallesanta ormai quasi scomparse: il pero briaco, la mela regina, la mela rosa, la pera spadona. Abbiamo anche inventato delle storie fantastiche su queste piante e le potrete leggere all’interno della scuola nella stanza dell’Ecomuseo.


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MONTEMIGNAIO Montemignaio è un piccolo comune di circa 600 abitanti posto nell’Alto Casentino, sulle pendici del monte Pratomagno, a circa 800 metri di altitudine. Sull’origine del toponimo non ci sono notizie certe, la più probabile è che derivi dal nome latino “mons miliarius” e che dunque il paese fosse segnato da una pietra miliare (Miliarius), posto lungo un tracciato romano che da Firenze conduceva ad Arezzo attraverso il Casentino, seguendo il corso dell’Arno

ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO 60


SCUOLA PRIMARIA DI MONTEMIGNAIO CLASSI 1°, 2°, 3°, 4° E 5°

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ALLA CONQUISTA DI MONTEMIGNAIO Il primo documento scritto comprovante l’esistenza dell’insediamento di Montemignaio risale al 1103 in una bolla papale nella quale si confermava al vescovo di Fiesole l’autorità sulla pieve. Negli anni successivi l’area veniva ricordata fra i domini dei conti Guidi, come dimostra il diploma dell’imperatore Federico II°del 1220. Furono proprio i Guidi ad erigere in loco il castello, conosciuto anche come “Castel Leone” o semplicemente “Castiglione”. L’ultimo discendente dei Conti Guidi, il Conte Galeotto, fu privato del castello nel 1348, perché gli abitanti si ribellarono a tutte le sue ingiustizie insieme a quelli di Castel San Niccolò, dandosi alla Repubblica Fiorentina. Il castello conserva importanti porzioni della cinta muraria, la torre civica, un’imponente cisterna, la torre del cassero, il palagio ovvero il palazzo dei feudatari con una piccola cisterna scavata nella roccia. La torre civica, in passato adibita anche a torre campanaria, conserva una campana donata ai signori di Montemignaio nel 1332 dal Conte Simone da Battifolle. 62

Dentro il borgo, molto bello e curato, troviamo inoltre la chiesa chiamata di“ S. Agata” ma dedicata a Santa Maria della Neve, costruita nel 1333, sempre dai Conti Guidi, rimaneggiata più volte. L’altro edificio di grande pregio è la Pieve di Santa Maria Assunta, situata nel centro del paese, che rappresenta uno dei luoghi di culto più significativi per l’arte romanica in Casentino. Si pensa che il campanile in origine fosse una torre che perse la sua funzione di guardia con la costruzione del castello. La pieve è forse più antica del castello in quanto viene citata per la prima volta nel 1103. Nel corso dei secoli ha avuto bisogno di consolidamenti e restauri che hanno portato al rifacimento in particolare della facciata e dell’abside. All’interno troviamo tre navate e sei campate. Le colonne che separano le navate hanno capitelli decorati e si possono ancora ammirare alcuni affreschi sui muri laterali e sui pilastri. Nella navata destra troviamo il Fonte Battesimale, seicentesco, e una terracotta invetriata policroma di Benedetto Buglioli (15001510) “Madonna con il Bambino e i Santi”. Nella navata sinistra troviamo il dipinto “Madonna in trono con il


Bambino” (1400 circa) che raffigura la “Madonna delle Calle”, patrona di Montemignaio, molto venerata e alla quale vengono attribuiti numerosi miracoli. Il dipinto, proveniente dall’oratorio della “Madonna delle Calle”, appena fuori dal paese, ci permette di descrivere un altro edificio di culto molto significativo per gli abitanti di Montemignaio. Di origine incerta, nasce probabilmente come tabernacolo (1450 circa) lungo l’antica strada che ancora oggi porta alla Consuma. Con le offerte dei viandanti e dei pellegrini fu trasformato in oratorio anche grazie al dipinto della Madonna ritenuto miracoloso; questo fu rubato nel 1952 e recuperato a Milano nel 1961 e da allora conservato nella Pieve. L’oratorio si presenta come una tipica costruzione con finestre e inginocchiatoi esterni, protetti da un portico. Uscendo dal paese nella direzione opposta,

scendendo verso Castel San Niccolò, si incontra un ponte romanico in sasso posto lungo il tracciato dell’antica viabilità che risaliva la valle dello Scheggia. AVVENTURE NELLA NATURA Il paese di Montemignaio, immerso in boschi di castagni e faggi, è arroccato su due contrafforti della catena del Pratomagno ed è posizionato nei versanti a semicerchio; è formato da numerosi gruppi di case, le cosiddette frazioni, che per il numero e le caratteristiche distintive di ognuna, lo rendono nel complesso variegato e interessante. Le stesse frazioni sono state raggruppate dagli abitanti a seconda della loro posizione geografica e contraddistinte con due nomi dialettali: frazioni di “bacìo” quelle poco esposte al sole, frazioni di “solatìo” quelle ben esposte al sole.

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La tradizione le vuole rivali e i rispettivi abitanti ancora oggi ci tengono a sottolineare la loro provenienza, non accettando equivoci. Vivere a Montemignaio significa essere sempre a contatto con la natura. Percorrendo pochi km in auto si raggiunge il monte Pratomagno per lunghe passeggiate sui crinali erbosi, per raccogliere i rinomati prodotti del sottobosco oppure semplicemente per godere dell’aria fresca in estate e del panorama bellissimo in ogni stagione. Sulla montagna troviamo inoltre un parco eolico con tre pale giganti che si muovono grazie all’incessante vento. Ogni frazione del paese è circondata da campi e boschi. In inverno la neve non manca mai ed è molto facile avvistare animali selvatici vicino alle case. In estate uno dei luoghi più frequentati per godere del fresco della natura è l’area attrezzata in loc. il Mulino, chiamata la Pista perché dotata di uno spazio pianeggiante per ballare o pattinare. Si raggiunge molto agevolmente attraverso un sentiero CAI che parte in prossimità del ponte sul torrente Scheggia lungo la viabilità principale. Una volta preso il sentiero si percorrono circa 100 metri e si arriva in un luogo attrezzato con tavoli per pic-nic, giochi per bambini, 64

passerelle in legno. E’ un luogo eccezionale per osservare l’ambiente naturale dentro e fuori il torrente, circondati dal bosco di castagno e dalle piante tipiche che crescono lungo i corsi d’acqua. IL NONNO RACCONTA intervista a Stefano Mugnaini Per scoprire, da un autentico testimone, la vita a Montemignaio nel secolo scorso abbiamo intervistato il nonno di un nostro compagno. Il suo nome è Stefano Mugnaini (1944) che ha sempre vissuto e lavorato a Montemignaio. Il nonno ci racconta che nel corso del ‘900, in particolare negli anni dopo la seconda guerra mondiale, il paese è stato soggetto a forte spopolamento e il numero degli abitanti è passato velocemente dalle circa 2000 unità negli anni ‘30 alle 602 di oggi. Un tempo l’economia del paese si basava sull’utilizzo dei prodotti del bosco, sulla pastorizia e sulle poche coltivazioni che i contadini riuscivano a strappare alla terra attraverso la costruzione di campi a terrazza. La maggior parte degli uomini erano boscaioli, vetturini e carbonai costretti, per sfamare la famiglia, ad andare “alla macchia” anche lontano da casa, rimanendo fuori per buona


parte dell’anno. Alcuni erano pastori transumanti e si recavano in Maremma durante i mesi freddi; in estate con il ritorno al paese si praticava la “dicenda” ossia i componenti delle famiglie dei pastori si alternavano per guardare le pecore al pascolo raggruppando i vari greggi. Ci racconta anche che, nonostante la vita faticosa e le poche disponibilità economiche delle famiglie, si viveva in armonia cogliendo ogni aspetto positivo della vita e non perdendo mai l’occasione di stare insieme allegramente. Nei periodi difficili del dopoguerra molte persone sono state costrette a trasferirsi nelle città vicine, in particolare Firenze, in cerca di altri lavori. Da allora è iniziato il grande spopolamento. Oggi solo pochissimi abitanti di Montemignaio fanno il mestiere dei padri e dei nonni; la maggior parte dei residenti lavora nelle fabbriche e negli uffici, scendono in Casentino oppure sono pendolari verso Firenze. In paese sono ancora presenti diverse attività commerciali: negozi, bar, alberghi-ristoranti, la pizzeria, la farmacia. Inoltre grazie alle associazioni culturali e ricreative e all’amministrazione comunale vengono organizzate feste che animano il paese; la nostra preferita è quella medievale dentro il castello del 20 Agosto. Il nonno ci racconta che in passato le principali feste erano religiose: la Festa di Ferragosto alla Pieve di Santa

Maria Assunta, la Festa al Santo della domenica dopo ferragosto, la Festa della Madonna delle Calle la prima domenica di settembre. Nel periodo estivo, il paese si ripopola con il ritorno dei vecchi abitanti trasferiti in città e di alcuni visitatori che ne apprezzano il paesaggio, la tranquillità, l’aria buona, le specialità casentinesi. Montemignaio è ancora un angolo di Casentino autentico, dove sono sempre vive le antiche tradizioni del passato. TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA Numerose sono le storie che riguardano Montemignaio e che lo caratterizzano rispetto ai paesi vicini. Ne raccontiamo tre che ci sembrano più significative e che sono sicuramente conosciute e raccontate da tutti gli abitanti. I COSCRITTI. La storia racconta l’antica rivalità tra Bacìo e Solatìo attraverso uno scherzo messo in atto alcuni decenni fa da dei giovani paesani che stavano partendo per fare il militare: i “coscritti”. Una notte questi burloni scambiarono la stalla a tutti gli asini e i muli tra Bacìo e Solatìo ovvero al mattino gli abitati di un versante si ritrovarono gli animali dell’altro e viceversa. Ci volle un intero giorno per rimettere le cose a posto e le persone furono costrette a confrontarsi, nonostante la rivalità, per riportare tutti gli animali nella propria stalla.

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LA MADONNA MIRACOLOSA. Sull’immagine della Madonna e sull’Oratorio delle Calle, c’è una leggenda ben impressa nella memoria della gente. Nel 1425, un certo Domenico Quarati, persona molto religiosa, andò in pellegrinaggio a Roma per celebrare l’Anno Santo. Ritornando a casa, portò con sé una tavola che raffigurava la Madonna con il Bambino. Era quasi giunto alla propria casa, quando stremato dalla stanchezza si fermò a riposare proprio in località Le Calle, vicino al ponte sul torrente Fiana. Quando si svegliò, raccolse le sue cose e giunse finalmente a casa, dove tutti festosamente lo accolsero. Al mattino, Domenico volle per prima cosa mostrare il dipinto portato da Roma, ma non riuscì a trovarlo. Tornò alle Calle e lo vide nello stesso posto in cui l’aveva appoggiato la sera prima, così lo portò in paese. La mattina successiva, il dipinto era sparito, Domenico tornò alle Calle e vide la preziosa tavola proprio lì, dove l’aveva lasciata la sera del ritorno e la riportò nuovamente a casa. Il fatto prodigioso è che per alcuni giorni, la Madonna scompariva per poi riapparire alle Calle. Il devoto Domenico, ne parlò al Pievano che gli suggerì di costruire un altare alla Calle dove sistemare il dipinto definitivamente. 66

LA CAMPANA RITROVATA. La campana che si trova nella torre civica del castello, donata dal Conte Simone da Battifolle ai signori di Montemignaio nel 1332, ricorda una storia particolare. Gli abitanti di Montemignaio la fecero suonare per dare l’allarme quando nel 1809 i soldati francesi invasero Montemignaio. Divenuti padroni del castello si vendicarono tentando di rompere la campana che aveva suonato contro di loro. Non ci riuscirono per la sua pesantezza, e dunque portarono via il battaglio che fu poi ritrovato mesi più tardi presso un fabbro di Rovezzano e riportato in paese come un prezioso trofeo. SAPORI DA NON DIMENTICARE La tradizione culinaria di Montemignaio è caratterizzata dai piatti che hanno come protagonista la castagna, che per secoli ha rappresentato un prodotto fondamentale per l’alimentazione di tutte le popolazione della montagna Casentinese. IL BARDINO 250 gr di farina di castagne acqua, un pizzico di sale noci, rosmarino, olio dio oliva Procedimento: mettere la farina in un recipiente e amalgamarla con l’acqua aggiungendo un pizzico di sale fino


a ottenere un impasto denso. Oleare bene una teglia e versarci il composto. Cospargere il composto con noci e rosmarino. Mettere in forno a 180 gradi per circa 40 minuti. Riportiamo una poesia dedicata alla castagna e al suo tradizionale ciclo di lavorazione scritta da Alboino Seghi, poeta, scrittore e giornalista di Montemignaio scomparso alcuni anni fa. Alboino ha amato tanto il suo paese e tutto il Casentino e si è dedicato a raccontare la cultura materiale e le tradizioni locali. IL PANE DEI POVERI Quassù le nebbie / sono veli trasparenti nei mattini di novembre / quando sciamano / dai silenzi delle case / i raccoglitori di castagne / coi sogni spezzati e le mani appena intiepidite / da una svelta fiammata di ginestre. / Muto è il cammino / nel baluginare tra i viottoli. / Monotono inizia il lungo giorno / per le scoscese selve / tra fruscii di foglie. / Tante agili incallite mani / colmano sacchi di fatica / che saranno pane / per il nevoso inverno. Alboino Seghi da “LASSU’ E ALTRO” - 1985

BRICIOLE La tradizione de “I Vecchioni”. I Vecchioni sono un’antica tradizione di Montemignaio e di altre comunità del Pratomagno Casentinese che si rinnovava ogni anno la sera della vigilia dell’Epifania. Un gruppo di persone mascherate con vecchi e logorati abiti, alcuni travestiti da personaggi ben precisi (Befana con marito e figlia, dottore, prete, sfacciato ecc.), giravano per le frazioni del paese cantando, ballando e chiedendo un’offerta che, in passato consisteva in cibo quale: fagioli, patate, castagne, uova, granturco, frutta ecc., mentre nelle ultime uscite la gente offre denaro. Il paese accoglieva con gioia l’allegra brigata nel suo girovagare di frazione in frazione e durante le varie soste per le sceneggiate, le famiglie del posto offrivano cibo e bevande ai commedianti. Si diceva che i vecchioni erano di buon auspicio per l’anno da poco iniziato. AMICO MUSEO Pensiamo che tutto il nostro comune debba essere considerato un museo a cielo aperto: i suoi monumenti storici, le sue tradizioni e feste, la sua meravigliosa montagna, le tante frazioni meritano di essere visitate. Vi aspettiamo!

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ORTIGNANO RAGGIOLO In Casentino, tra Bibbiena e Poppi, sulla sponda occidentale dell’Arno, in un crescendo di colline che rapidamente diventano montagne, si trova il Comune di Ortignano Raggiolo. In passato i Comuni erano due, poi con Decreto del Re, nel 1873, furono uniti insieme. Ortignano deriva da un nome di persona romano Hortinius mentre Raggiolo dal latino radius che significa “spino”. E’ un Comune montano di 853 abitanti e l’occupazione principale è la lavorazione dei campi.

ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO 68


SCUOLA PRIMARIA DI SAN PIERO IN FRASSINO CLASSI 1°, 2°, 3°, 4° E 5°

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ALLA CONQUISTA DI RAGGIOLO Raggiolo venne fondato verso il VII° secolo da gruppi Goti o Longobardi. Fu concesso in feudo nel 967 dall’imperatore OTTONE la GOFFREDO di ILDEBRANDO. Il castello di Raggiolo, menzionato nel 1225, fu sotto la signoria dei Conti Guidi dalla metà del XIII secolo. Uno di loro, Guido Novello, assunse il titolo di conte di Raggiolo, vi trasferì la sua corte e la sua residenza dal 1301 al 1322, facendone un castello forte e munito. Dopo diverse traversie, la distruzione del castello avvenne nel 1440 per opera di Niccolò Piccinino che lo distrusse con il fuoco uccidendo la maggior parte degli abitanti. Il castello, che non venne più ricostruito, e la muraglia con la fronte prospiciente, posta nel borgo dopo la chiesa, sono quanto resta dell’ antico “cassero” detto “La Bastia”. L’unica testimonianza medioevale del paese è la facciata della chiesa di San Michele, ricavata dall’antico palazzo del conte Guido Novello Guidi. Secondo un’antica leggenda, tramandata di padre in figlio fino ai giorni nostri, gli abitanti di Raggiolo provengono dalla Corsica. E’ una leggenda difficile da documentare, anche se le ultime ricerche confermano 70

la presenza di abitanti della Corsica ingaggiati dai Raggiolatti, possessori di greggi transumanti, per condurre le bestie in Maremma. Ecco il punto di contatto con i Còrsi, che là esercitavano in gran numero l’attività pastorizia sotto le dipendenze di padroni toscani. Infine, in una rilevazione catastale databile alla fine del ‘400 è stata recentemente reperita la più antica attestazione di un immigrato còrso residente a Raggiolo: “Meo d’Antonio còrso del Ciarcha da Raggiolo”. E “Ciarchi” è un cognome ancora oggi portato da diverse famiglie del paese. La presenza di questi immigrati provocò inizialmente tensioni tra la popolazione, anche a causa del loro carattere bellicoso, ma infine essi vennero naturalizzati da un provvedimento legislativo emanato dal comune locale nel 1550. Da quel momento in poi, per gli abitanti degli altri paesi della vallata, i Raggiolatti vennero tutti indistintamente connotati come “i Còrsi”, conservando tutt’ora il carattere fiero e bellicoso dei loro antenati. AVVENTURE NELLA NATURA Quando abbiamo intenzione di visitare un bosco non dobbiamo lasciare a casa nessuno dei nostri 5 sensi, sono


ottimi compagni anche per una semplice passeggiata. Se poi ci venisse voglia di fare un po’ di ricerca d’ambiente sono strumenti indispensabili. Guardare, toccare, annusare, ascoltare ed anche assaggiare sono gesti chiave perché la nostra visita diventi un’esperienza ricca di sensazioni e di scoperte. Nel bosco il passo è l’unità di misura della distanza e dello sguardo, così gli occhi di chi cammina hanno più tempo per guardare e vedere. Questo è quanto abbiamo cercato di fare noi bambini della Scuola Primaria di San Piero in Frassino quando siamo andati a raccogliere le castagne, in occasione della festa organizzata dal paese di Raggiolo. I boschi qui sono ovunque, molti si sono fatti da soli, altri sono frutto dell’intervento dell’uomo. Conoscendo già l’importanza del manto boschivo, il quale protegge la terra dalla siccità, tiene a bada il potere d’erosione in caso di pioggia abbondante, riduce il rischio di piene e provvede a fare scorta d’acqua necessaria alla vita di tutti gli organismi, abbiamo potuto osservarlo in tutta la sua bellezza. Il tipico bosco appenninico è la faggeta che nel periodo autunnale si riempie di colori caldi, ricca di sfumature che vanno

dal marrone al giallo, passando per il rosso fino al verde dell’abete bianco che nell’Appennino cresce spontaneo e può vivere molto a lungo, più di 300 anni. Il faggio è il re del bosco e il suo nome vuol dire “che si può mangiare” perché un tempo i suoi frutti “le faggiole” venivano tostate per produrre una specie di caffè, oppure utilizzate per scopi alimentari ed anche per gli animali. In seguito furono introdotte le pinete e si diffuse la cultura del castagno detto anche “albero del pane” per la preziosa farina di castagne, provvista alimentare per i lunghi inverni montani. Abbiamo osservato il muschio e i licheni che crescono spontanei sui tronchi degli alberi e tutti i rifugi che l’albero mette a disposizione dei tanti animali con i suoi nascondigli, i ripari e le sue tane. Tanti sono infatti gli animali del bosco, anche se il fatto che siano così tanti non vuol dire che siano facili da vedere e da incontrare. Durante il nostro percorso non abbiamo avuto modo di incontrarli, ma abbiamo visto alcune impronte e delle grandi buche scavate nel terreno dai cinghiali. E’ stata una bella esperienza, divertente ma soprattutto interessante.

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IL NONNO RACCONTA Raggiolo nel periodo del dopoguerra era molto popolata, costituita da famiglie molto numerose con sei, sette figli per nucleo familiare. C’era molta povertà e le famiglie vivevano principalmente di castagne, che venivano preparate in vari modi, ma certamente il piatto principale era costituito dalla polenta di farina di castagne che spesso e volentieri rappresentava un piatto unico. I bambini che frequentavano la scuola erano circa 100, alcune maestre seguivano due classi insieme e a scuola veniva dato ai bambini un pasto caldo molto semplice. Per rinforzare i bambini che purtroppo erano piuttosto denutriti, veniva dato un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo dal sapore sgradevole. Subito dopo la refezione i bambini, persino quelli più piccoli raggiungevano in montagna i genitori e andavano nella “selva” (il bosco), che era perfettamente curato e pulito, tramite i sentieri che solcavano le montagne. Gli adulti coltivavano la terra, strappata e scavata nella montagna, fatta a terrazze, dove crescevano ortaggi, patate, grano e grazie alla grande ricchezza di corsi d’acqua le famiglie provvedevano alla loro sopravvivenza. In alta montagna

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la pulizia della selva, dei castagneti e marroneti erano vita quotidiana, alla quale partecipava tutta la famiglia in funzione della raccolta delle castagne che rappresentavano il cibo principale della popolazione. Nel paese c’erano tre mulini ad acqua a doppia macina, una per le castagne e una per il grano, inoltre c’erano quattro negozi alimentari, un fabbro, un falegname. Durante il tempo della castagnatura, i punti di incontro ed aggregazione erano i seccatoi che erano davvero numerosi, tutti in uso, dove ci si riscaldava mentre gli adulti parlavano di vita quotidiana. Nel paese c’erano molti animali domestici e da lavoro come gli asini, i muli e qualche cavallo che rappresentavano gli unici mezzi di locomozione sia per il trasporto della legna, delle castagne e della frutta sia per il trasporto delle persone. Le case erano modeste, senza acqua, luce, il gabinetto non esisteva e invece abbondavano gli spifferi ed il freddo, perché i tetti erano coperti di lastre. Coloro che dormivano in mansarda spesso durante l’inverno si trovavano coperti di neve che entrava facilmente dal tetto. I vestiti erano molto semplici e spesso passati da fratello a fratello. Ai piedi si portavano scarponi, fatti su misura dal calzolaio del paese con bullette piane sulla suola per durare più a lungo.


TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA Il mulino dell’amicizia. Camminando in un piccolo sentiero, un bambino si trovò davanti ad un bellissimo mulino. Le sue pale giravano piano, piano perché seguivano il corso del torrente, mentre delle trote guizzavano in una cascatella. Dalla finestra del mulino si affacciò una fanciulla e disse: - Ciao bel bambino, hai fame?- lui rispose di sì, allora lei gli diede un bel panino e il bambino se lo mangiò in un sol boccone. Poi esclamò: - E’ così buono e profumato! – E’ fatto con la farina macinata da questo mulino - spiegò la ragazza – Torna a fare merenda quando vuoi e ci sarà sempre un bel panino all’olio per te-. Così per tutta l’estate il bambino, il pomeriggio, andava a giocare e a fare merenda al mulino portando con sé i suoi amici. Ancora oggi in questo mulino, chiamato “il mulino dell’amicizia” i bambini si ritrovano per giocare assieme e fare spuntini all’aria aperta con i loro amici e i loro genitori. (autori classe seconda) Anigget il giovane mugnaio. In una valle incantata, fitta di maestosi castagni,

viveva Anigget un giovane mugnaio. Tutti i giorni il ragazzo andava a lavorare al suo mulino macinava grano, granturco, castagne e produceva farina che serviva agli abitanti del paese .Tutte le persone lo ammiravano per il suo lavoro, infatti aveva molti amici, ma il più importante era il fiume. Le pale del mulino giravano grazie alla forza dell’acqua, così Anigget si prendeva cura del fiume tenendolo sempre pulito e rispettandolo molto. Nessuno aveva mai dato un nome al fiume e per il giovane mugnaio era “l’amico speciale”. Un giorno Anigget stava passeggiando lungo il corso d’acqua e, ad un tratto, si accorse che scorreva del liquido nero. Il giovane mugnaio risalì il fiume e più andava avanti, più l’acqua era sporca e piena di rifiuti. Cammina, cammina, giunse in uno strano posto dove vide un’insolita casa. L’edificio era sporco, nero come l’acqua del fiume e sulle mura c’erano macchie verdi che emanavano un cattivo odore. La casa sembrava abbandonata, ma dai tre comignoli sul tetto, usciva molto fumo. Dal retro dell’abitazione partivano due grossi tubi, uno diretto verso il fiume 73


e uno verso il bosco. Anigget si avvicinò sospettoso ad una finestra e vide una strana creatura, fatta di rifiuti, intenta a gettare immondizia in due buchi neri. Mentre lavorava il mostro ripeteva: -Sporcherò tutto, sono Inquinator, il distruttore del mondo!-. Il giovane mugnaio era sconvolto e impaurito, non sapeva cosa fare e preso dal panico fuggì al mulino. Stanco ed esausto, cadde a terra sulla riva del fiume e piangendo implorò: -Aiutami, amico speciale!-. All’improvviso iniziò a soffiare il vento, nell’acqua si formarono delle onde sempre più alte dalle quali emerse una creatura azzurra, lucente, fatta di goccioline e bollicine che si muovevano in su e giù. Anigget, ancora una volta rimase sbalordito, non credeva ai suoi occhi e con un filo di voce chiese: -Tu chi sei?- -Non temere, giovane amico, sono il Signor Acqua ti aiuterò a sconfiggere Inquinator -. A quelle parole Anigget si sentì rincuorato e abbracciò calorosamente

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il suo aiutante. Nel frattempo tutti gli abitanti del villaggio, preoccupati per la situazione, avevano raggiunto la riva del fiume. Il Signor Acqua iniziò il suo discorso: -Per distruggere Inquinator serve una pozione magica. Tu, giovane mugnaio dall’animo gentile, dovrai portarmi una lingua di vipera, un corno di cervo reale, una pelliccia di lupo e acqua di sorgente-. Anigget, incitato dai suoi amici, partì per l’avventura. Cercò nei boschi, nelle praterie e nelle paludi, si arrampicò, corse e saltò. Dopo giorni di ricerche tornò finalmente in paese felice di aver compiuto la missione. La pozione era pronta, ma il giovane aveva un’altra prova da superare. Doveva raggiungere la cima del Pratomagno e lanciare in aria l’ampolla magica. Arrivato alla vetta della montagna, scagliò la boccetta che subito si frantumò e una polvere brillante si sparse in cielo. Si formarono nuvole minacciose che furono trasportate dal


vento sopra la casa del mostro. Scoppiò un forte acquazzone, si creò un vortice e Inquinator, con tutta l’immondizia, fu risucchiato per magia. La valle era salva, il fiume tornò a scorrere trasparente e puro, nel bosco gli animali e le piante vivevano di nuovo felici. Il mugnaio fu proclamato “eroe del paese“, venne fatta una cerimonia vicino al fiume e al giovane fu messa una fascia d’oro con scritto il suo nome. Il ragazzo, orgoglioso e fiero di se stesso, si specchiò nell’acqua e fu così che lesse Anigget al contrario: -Teg…gi…na, sì, TEGGINA! Ecco da ora in poi questo sarà il nome del fiume, del mio amico speciale-. (autori: classe terza) SAPORI DA NON DIMENTICARE PULENDA DORCE (PATTONA a Firenze) 500gr. di farina di castagne, 2 cucchiai di zucchero, sale In una pentola (paiolo) fate bollire un litro d’acqua leggermente salata, versateci tutta la farina in una sola volta e non rimestatela. Lasciatela cuocere per una decina di minuti, quindi iniziate a rimestare con un mestolone. Continuate a cuocere, sempre girando, finché l’impasto comincia a soffiare. Lasciatela intiepidire leggermente e poi rovesciatela d’un colpo sul tavolo coperto con un tovagliolo.

BALDINO (CASTAGNACCIO) 400 gr di farina di castagne, 100 gr. di zibibbo o uvetta, 50 gr. di pinoli sgusciati 50 gr. di noci sgusciate, 2 cucchiai di zucchero, sale, olio d’oliva, ramerino (rosmarino) Setacciate la farina in una zuppiera, aggiungete lo zucchero, un pizzico di sale, poi versate circa 1/2 litro di acqua fredda e girate bene. Aggiungete due cucchiaiate d’olio, l’uvetta precedentemente ammollata e versate l’impasto ben amalgamato in una teglia unta d’olio (l’impasto deve essere alto circa un dito). Cospargete con pinoli, noci, rosmarino, ”arabescatelo” con un filo d’olio e mettete in forno già caldo a 200˚ per 30 minuti. Il baldino è pronto quando la superficie è abbronzata, croccante e screpolata.

BRICIOLE Non ti mettere in cammino se la bocca non sa di vino. Il bisognino fa trottar il cavallino. Il riccio spinoso dal cuor generoso si trova in montagna si chiama castagna. Raggiolo tra due fiumi giace le sue risorse sono le quattro brice e se le quattro brice non vengono a buono, Raggiolo balla senza suono.

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POPPI Poppi è situato su una collina al centro del Casentino a 437 metri di altitudine. Il suo territorio ha un’estensione di 97 chilometri quadrati e conta 6396 abitanti con una densità di popolazione pari a 66 abitanti per kmq. Confina con i comuni di Bibbiena, Castel San Niccolò, Ortignano Raggiolo, Pratovecchio, Chiusi della Verna. Il suo toponimo deriva da “poplo” che significa proprio poggio, colle, rilievo.

ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO 76


SCUOLA PRIMARIA DI PONTE A POPPI CLASSI 2째 A, B E 4째 A, B

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ALLA CONQUISTA DI POPPI Poppi è famoso in tutto il mondo per l’imponente castello dei Conti Guidi che provenivano da Battifolle e rimasero a Poppi per circa duecento anni, dalla metà del 1200 fino al 1440 quando Francesco Guidi fu costretto a scappare e Poppi fu sotto il dominio della città di Firenze. Il cassero (chiamato da tutti castello) fu costruito in due epoche diverse. Al primo piano si trovavano le stalle, l’armeria e le prigioni; al secondo piano c’era la residenza vera e propria composta dalla sala più importante dove oggi si riunisce il consiglio comunale, si celebrano matrimoni civili e si tengono conferenze; la cappella privata affrescata da Taddeo Gaddi discepolo del grande Giotto; una stanza con un grande camino, una con un lavabo in pietra e una dove attualmente si trova la biblioteca rilliana ricca di opere uniche e antichissime tra cui numerosi manoscritti e incunaboli. Salendo circa centoquattro scalini molto stretti e ripidi raggiungiamo la cima della torre da dove si può vedere tutto il 78

Casentino e ancora più lontano. Qui ci sono due campane: una è enorme, pesa diciassette quintali ed è stata posizionata lì grazie esclusivamente al lavoro di tante, tante braccia umane. Di fronte al cassero si trova la torre dei Diavoli dove, secondo la leggenda, è morta murata la contessa Matelda. La torre costituiva l’ingresso al castello che è ancora circondato da mura di protezione. Intorno al paese c’è una cinta muraria di protezione e ci sono diverse porte per poterci accedere: Porta Santi di Cascese, Porta a Porrena, Porta di Badia, Porta della Torre e quella di Tiggiano che fu murata nel 1500 e ci fu costruito il monastero delle Agostiniane che conserva importanti terracotte robbiane. Al tempo dei Guidi l’accesso era permesso solo dalla porta principale, quella di Santi di Cascese (già porta a Fronzola). Ai lati di questa porta c’erano due torri di controllo collegate tra loro da una specie di corridoio, ma attualmente esiste solo una porzione della torre di sinistra. La torre di destra e la parte superiore di quella di sinistra


furono distrutte dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Gli stessi bombardamenti distrussero anche parte della cinta muraria che successivamente fu ricostruita. Infatti le diverse pietre utilizzate testimoniano che è stata ricostruita in epoca molto più recente. Non molto distante dal castello troviamo la Propositura che era la chiesa di famiglia dei Conti Guidi e la più importante del paese, dedicata a San Marco. Oggi invece è denominata chiesa di San Marco e San Lorenzo perché la chiesa di San Lorenzo non esiste più, in quanto al suo posto c’è stato costruito un albergo che mantiene quel nome. Al suo interno ci sono alcune opere d’arte, ma solo una è di grande pregio: “La Deposizione” realizzata dall’artista Morandini allievo di Vasari e soprannominato “Il Poppi” perché era originario di questo luogo. Di fronte alla Propositura si trova una chiesetta a pianta esagonale cinta da un bellissimo portico: “La Madonna Del Morbo” al cui interno possiamo ammirare un’opera di Filippino Lippi: “La Madonna col Bambino”. In fondo al centro storico troviamo la chiesa di “ Badia San Fedele” che è a una sola navata. Tra le varie opere

d’arte dobbiamo ricordare un Crocifisso giottesco e “Il Presepe di Bonilli” simile a quello di Vasari che si trova nella chiesa di Camaldoli. Nella cripta, in un’urna di vetro, ci sono le spoglie di San Torello e un busto di bronzo e argento che rappresenta il Santo morto nel 1182. AVVENTURE NELLA NATURA Noi alunni della Scuola Primaria di Poppi siamo andati a Badia Prataglia e precisamente al Capanno, poi da lì abbiamo proseguito a piedi percorrendo il Sentiero Natura accompagnati da guide esperte che ci hanno permesso di ammirare le bellezze naturali delle foreste Casentinesi che fanno parte del Parco Nazionale. Qui i faggi sono abbondanti e dominano su tutte le altre specie, però nelle faggete troviamo anche abeti bianchi ad altitudine più bassa e aceri nella parte più elevata. I versanti che scendono verso il torrente sono molto ripidi e se non ci fossero le piante che con le loro radici trattengono la pioggia, questa potrebbe provocare una

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forte erosione con possibilità di piene, esondazioni e frane distruttrici. Lungo il tragitto abbiamo potuto osservare dei piccoli stagni abitati da rane, tritoni e in particolare ci ha colpito la salamandra con quel corpo cilindrico di colore nero con macchie gialle molto brillanti. Questo è un animale tossico perché produce una sostanza che irrita le mucose dei suoi predatori. Lungo il percorso qualcuno di noi ha notato una pianticella con grandi foglie di colore scuro, ma prima che ci avvicinassimo troppo la guida ci ha detto di stare attenti e di non toccarla assolutamente, perché qualsiasi parte di questa pianta (foglie, fiori, frutti e radici) è velenosissima: è la “belladonna”. Questa piantina è molto nota perché nel passato veniva usata come stupefacente ed è stata oggetto di racconti macabri. A causa della confusione che facevamo non abbiamo avuto il piacere di incontrare nessun animale quadrupede che popola questa foresta, ma la loro presenza massiccia è testimoniata dalle numerose orme che abbiamo potuto osservare nel terreno. La guida ci ha fatto notare le differenze e abbiamo visto impronte di cinghiale, cervo, capriolo, daino e lupo. La fauna selvatica erbivora si nutre di germogli e 80

poi i caprioli e i cervi sono soliti strofinare le corna nei tronchi, per questo motivo le giovani piante sono protette da una rete metallica che consente loro una crescita regolare. IL NONNO RACCONTA MOGGIONA, IL PAESE DEI BIGONAI. I nonni Mario, Danilo e Mauro ci hanno raccontato che tanto tempo fa gli abitanti di Moggiona erano specializzati nella realizzazione dei bigoni, recipienti di legno fatti con doghe tenute insieme da cerchi di legno, usati per raccogliere l’uva e fare il vino. Per procurarsi il legno si recavano nelle abetine della Lama, sotto l’Eremo di Camaldoli, nel versante romagnolo. Qui vivevano in capanne rozze e tagliavano gli abeti segnati dalla Forestale. Poi li segavano in pezzi e con questi realizzavano direttamente nel bosco le doghe utilizzando il “manaiolo”. Ogni mattina le donne portavano ai boscaioli da mangiare e riportavano a Moggiona le doghe caricandole sul somaro. Da maggio fino a luglio facevano questa vita dura e faticosa, tornando a casa solo la domenica. Per costruire il cerchio che tiene unite le doghe, utilizzavano “paline”


di castagno prese a Raggiolo: dovevano essere flessibili e per questo le mettevano in pozze d’acqua prima di lavorarle. Poi iniziava nelle botteghe la costruzione di bigoni e barili che venivano venduti alle Fiere di settembre di Arezzo e del Casentino. A Moggiona fino agli anni ’50 lavoravano circa sessanta bigonai. Erano molto bravi e nel 1954, alla Mostra Internazionale dell’Artigianato di Firenze vinsero il primo premio: una medaglia d’oro. Ma improvvisamente questo lavoro entrò in crisi a causa dell’invenzione della plastica che permetteva di realizzare nuovi contenitori per la vendemmia più leggeri e meno costosi. NON SOLO BIGONI. A Moggiona abbiamo visto che i bigonai realizzavano con doghe e cerchi di legno vari utensili. I più importanti erano BARILI e BIGONI. I BIGONI sono dei grandi contenitori fatti a incastro, aperti in alto, utilizzati per raccogliere e pigiare l’uva durante la vendemmia. I BARILI, invece, sono contenitori chiusi realizzati con doghe piegate e usati per conservare il vino e l’olio. Le assi venivano incurvate riscaldando al fuoco la parte centrale e mettendole nel PIEGATOIO: lì venivano bagnate e raffreddate, poi prendevano la forma giusta. I Barili avevano varie dimensioni. Venivano realizzate anche BIGONCE o

MASTELLI per lavarsi e lavare i panni, BIGONCIOLE per abbeverare il bestiame, BIGOZZI per conservare a lungo il pane. Oggi questi oggetti non si usano più e allora il bigonaio è diventato come un falegname e con le doghe realizza PORTAOMBRELLI, PORTAMATITE, PORTARIVISTE, ATTACCAPANNI, PORTAPROSCIUTTO e mobili rustici. TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA LA LEGGENDA DI SAN TORELLO Tanto tempo fa a Poppi, in una casa in via Cesare Battisti, abitava un giovanotto di nome Torello, figlio di ricchissimi commercianti di stoffe che amava la bella vita, il gioco, l’alcol e i sollazzi. Un giorno mentre passava per le vie di Poppi, ridendo insieme ai suoi compagni, un gallo volò sul suo braccio destro, cantò tre volte e poi se ne andò. Questo fatto turbò Torello che lasciò i compagni e andò a confessarsi dall’ Abate Vallombrosano della chiesa di Badia. Dopo si vestì da fraticello e si recò in un bosco vicino a Poppi chiamato Avellaneto per fare penitenza. Un giorno una povera donna di Poppi era andata a lavare i panni all’Arno con il suo bambino e mentre lavava lo appoggiò a terra avvolto in una coperta. Poco dopo passò di lì un lupo e glielo portò via; Torello

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che vide la scena ordinò all’animale di posare il fanciullo e la belva obbedì subito. Torello prese in braccio il bimbo ormai in fin di vita, si inginocchiò e pregò così, miracolosamente, il bambino ritornò sano e Torello lo rese alla madre che, disperata, correva come una pazza alla ricerca del suo piccolo. Il 16 marzo 1282 Torello morì e in quell’istante le campane delle chiese di Poppi e dei dintorni cominciarono a suonare a festa da sole. Tutti i sacerdoti volevano seppellirlo nella propria chiesa, perciò fu deciso che chi fosse riuscito a metterlo nella bara da solo avrebbe avuto le sue spoglie. Tutti i sacerdoti ci provarono senza successo perché quel corpo era diventato pesante come una grossa pietra. Solo l’abate di Badia riuscì a sollevarlo, perciò fu sepolto in quella chiesa. SAPORI DA NON DIMENTICARE Alcune ricette tipiche del comune di Poppi L’ACQUACOTTA DI MOGGIONA. L’acquacotta è un piatto “povero” tipico della tradizione casentinese. I bigonai di Moggiona lo arricchivano con altri ingredienti, perché con il loro lavoro riuscivano a guadagnare e comprare

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salsiccia e carne di maiale da salare e cucinare. Tagliar legna e lavorarla era un mestiere molto pesante e avevano bisogno di tanta energia, per questo arricchivano molti piatti con carne di maiale. Ecco la ricetta: mezzo kg di pane duro, mezzo kg di cipolle, mezzo kg di pomodoro, 3 salsicce, pecorino grattugiato, olio, sale, peperoncino. Mettete a soffriggere nella padella con l’olio le cipolle tritate. Quando sono ben rosolate aggiungete i pomodori a pezzi, il peperoncino, il sale e le salsicce già cotte, spellate e tagliate a fette. Lasciate insaporire e cuocere bene, poi aggiungete qualche ramaiolo di acqua. In una teglia mettete il pane tagliato a fette e spargete sopra abbondante pecorino grattugiato. Versate il contenuto della padella sul pane e mettete in forno caldo per circa 15 minuti. BERLINGOZZI I berlingozzi sono ciambelle tipiche pasquali. Ingredienti: 5 uova fresche, 5 cucchiai di zucchero, 5 cucchiai di olio extravergine di oliva, Farina q.b., una manciata di anice. Procedimento: Mettete l’anice a bagno per 5 minuti nell’acqua calda. Disponete la farina a fontana sulla spianatoia e create nel centro uno spazio


dove mischiare insieme gli ingredienti e l’anice sgocciolata. Lavorate con le mani il composto, facendo in modo che assimili la farina necessaria, creando una pasta morbida. Formate dei piccoli “serpenti” e con questi create le ciambelle. Lessateli nell’acqua bollente, toglieteli dal fuoco quando vengono a galla, sgocciolateli e fateli asciugare su un canovaccio. Cuocete in forno a 180o per circa 15 minuti. BRICIOLE Proverbi meteorologici: Se il Pratomagno mette il cappello, non partire senza l’ombrello. Il vento Aretino porta il diavolo in Casentino. Se rannuvola sopra la brina, acqua e neve domattina. Proverbi di vita contadina: A Poppi a letto all’ottobre. Il bisognino fa trottare la vecchia. Alla gallina ingorda gli crepò il gozzo. Ad ogni pecora piace il suo agnello. L’asino dei troppi padroni morì di fame. Le chiacchiere non fanno farina. Fatti un bel nome e piscia a letto, diranno che hai sudato. Il caldo delle lenzuola non fa bollire la pentola.

AMICO MUSEO Un museo particolare da visitare nel comune di Poppi è l’Ecomuseo del BIGONAIO. Si trova a Moggiona, un piccolo paese nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, dove vivevano nel passato ben sessanta bigonai.All’interno della bottega è possibile vedere banchi e attrezzi da lavoro. Ci sono anche vecchie fotografie in bianco e nero che spiegano come lavoravano i bigonai. Tanti sono gli oggetti prodotti: bigoni, barili, bigozzi per il pane, mastelli per il bucato e utensili...

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PRATOVECCHIO Il territorio comunale di Pratovecchio (da Pratum Veteris) si estende per oltre 75 kmq dal crinale dell’ Appennino ToscoRomagnolo al fondovalle attraversato dall’Arno e risale fin quasi al passo della Consuma. Gli abitanti sono 3150. Nel Medioevo fu feudo dei conti Guidi che nella prima metà del 300 cinsero di mura l’insediamento. Qui nacquero uomini illustri quali: Paolo Uccello, Cristoforo Landino, Jacopo Landino.

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SCUOLA PRIMARIA DI PRATOVECCHIO CLASSI 1°, 2°, 3°, 4° E 5°

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ALLA CONQUISTA DI PRATOVECCHIO L’anima del paese è sospesa tra due piazze: “Piazza Nuova”, cioè “Piazza Paolo Uccello” e “Piazza Vecchia”, cioè “Piazza Jacopo Landino”. La prima accoglie molte attività commerciali ed ha al centro un giardinetto dalla forma circolare. Era l’antico “mercatale”, dove si tenevano anche le fiere del bestiame. In Piazza Vecchia invece, c’è la storia e la memoria del paese. E’ un luogo molto originale. Su un lato corre un lungo porticato sorretto da colonne che ritroviamo anche nelle vie centrali. In questa piazza si possono trovare due monasteri femminili, quello delle “Monache Vecchie”, cioè quelle camaldolesi e quello delle “Monache Nuove” cioè quelle Domenicane. La piazza accoglie due palazzi: Il Palazzo Nardi Berti risalente alla fine del XVI secolo ed il Palazzo Vigiani costruito nel XVIII. La tradizione popolare narra che, gli abitanti del paese, contrari all’ubicazione troppo invadente del palazzo rispetto alla piazza, durante la notte abbattessero le strutture che venivano realizzate durante il giorno. Altre fonti narrano invece di come la famiglia Vigiani avesse realizzato semi86

clandestinamente le fondamenta del palazzo proprio grazie al favore delle tenebre. Il palazzo è oggi sede del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. Un elemento distintivo del paese è rappresentato dai portici. Si ritrovano sia nel borgo mezzo che in Piazza Garibaldi. Veri e propri prolungamenti degli spazi dei piani terra, consentivano lo svolgimento delle attività commerciali e artigianali anche durante la cattiva stagione. Oggi offrono un gradito riparo agli abitanti durante la cattiva stagione. Dal paese vale la pena raggiungere, anche a piedi, due località vicine con importanti testimonianze storiche: Romena e Santa Maria a Poppiena. La prima località, che sovrasta il paese sulla sponda destra, accoglie il castello e la pieve, due importanti costruzioni medievali. La prima documentazione scritta del castello risale al 1008. Parlando del castello non possiamo non fare accenno al “divino poeta”, Dante Alighieri. Nel XXX Canto dell’Inferno, infatti, si fa esplicito riferimento a Romena e in particolare a Mastro Adamo da Brescia, colpevole di aver falsificato i fiorini d’oro della Repubblica fiorentina sotto ordine dei Conti Guidi di Romena,


e per questo bruciato vivo. Il castello è annunciato da un lungo filare di cipressi e da bei prati dove sostare facendo pic-nic durante l’estate. La pieve di Romena, uno degli esempi di architettura romanica più importanti della Toscana, sembra risalire ai primi decenni del Mille. La pieve come possiamo ammirarla ora, tuttavia, fu costruita nel 1152 dal pievano Alberico, come atto di ringraziamento in un momento di grave carestia. Questa informazione possiamo ricavarla da un capitello dove è raffigurata la consegna delle chiavi a San Pietro, il patrono della chiesa. La parte più suggestiva è rappresentata proprio dai grandi capitelli in pietra, tutti diversi, con rappresentazioni e decorazioni tratte anche dal mondo animale e vegetale. Santa Maria a Poppiena si raggiunge facilmente percorrendo la strada di fondovalle in direzione di Poppi. L’abbazia è documentata a partire dalla metà del secolo XI. Nel 1099, i Conti Guidi, donarono il monastero con le sue pertinenze, al Priore dell’Eremo di Camaldoli. Nel 1520 i beni dell’abbazia di Poppiena furono annessi alla Congregazione camaldolese. Oltrepassata la strada, ci troviamo di fronte al palazzo,

alla loggia dei legnami e all’antica area del porto fluviale dal quale, partivano i lunghi tronchi di abete alla volta di Firenze e Pisa. AVVENTURE NELLA NATURA Il territorio di Pratovecchio è ricco di acque e foreste ed è in parte inserito nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna di cui accoglie la sede. Molti sono i sentieri per fare passeggiate a piedi, in bicicletta e anche a cavallo. Verso il paese di Lonnano, ad esempio, c’è una località chiamata Ama, dove ci sono boschi che si alternano a campi coltivati e pascoli. I boschi sono ricchi di selvaggina: caprioli, cervi, cinghiali, lepri e fagiani. Al centro di un bosco, dove c’è un laghetto circolare, c’è un silenzio dove si sente solo il cinguettio di uccelli e dove l’area è profumata e fresca. D’estate, verso sera, ci sono i caprioli ed i cervi che vengono a bere. Sotto a dei massi lunghi e grossi, ci abitano i cinghiali con i loro cinghialotti. Un altro luogo da scoprire e visitare è il borgo di Casalino. Appena si arriva si può ammirare una piccola ma graziosa chiesa. Accanto c’è la canonica. Scendendo si può arrivare ad una piazzetta circondata da case, ottime per le vacanze. La maggior parte

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delle case sono di pietra. Il piccolo paese è vicino a dei fantastici boschi dove si possono fare lunghe passeggiate. Anche nel paese di Pratovecchio, tuttavia, ci sono “angoli verdi” poco conosciuti dove vale la pena trascorrere un po’ di tempo. In corrispondenza del ponte sull’Arno, parte una piccola strada piena di foglie e sassolini che risale il fiume. Il sentiero corre tra l’antico canale (localmente detto berignolo) che portava l’acqua agli opifici usati per la lavorazione della lana e le mura del monastero delle monache camaldolesi. Il luogo è ottimo per fare molte attività come: correre, portare a spasso i cani, andare in bici, pescare, dare da mangiare alle anatre e ai pesci. Ci sono anche delle panchine per sedersi e stare all’ombra di bellissimi alberi maestosi. IL NONNO RACCONTA Gli anziani ci hanno raccontato che un tempo, durante l’anno, si svolgevano diverse fiere nel paese di Pratovecchio per lo smercio dei prodotti. Richiamavano molti abitanti dei villaggi vicini ed erano occasioni anche di festa. La Fiera di Settembre, che cadeva il 29 Settembre in occasione di San Michele, detta anche “Fiera dei Panieri” era una delle più importanti. Venivano acquistati i panieri per le prossime raccolte tipiche

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del periodo autunnale: uva, castagne, funghi. A Ottobre invece c’era la “Fiera dei Calzolai” dove venivano comprate le scarpe fatte a mano dai tanti ciabattini del luogo. I compratori venivano anche dalla Romagna e in cambio a volte portavano della cacciagione. Chi veniva da lontano (anche da villaggi sparsi dell’Appennino Romagnolo), le acquistava per tutto l’anno. Scarpe particolarmente resistenti venivano fatte per chi partiva per la Maremma per la transumanza delle pecore o per il taglio dei boschi. Altre testimonianze ci riportano indietro nel tempo e ci restituiscono ambienti e personaggi del paese di Pratovecchio, oggi ormai scomparsi: “sui portici del borgo si affacciavano le botteghe di un fornaio, di un oste, di un sarto, di un macellaio e poco più giù; a Rovezzano in un antro nero, lavorava Beppe, il maniscalco, anche lui nero dalla testa ai piedi; lungo la strada dell’Arno si trovava l’orto della Tonia dove si andava regolarmente a comprare le verdure. Lì vicino girava lentamente, azionata a mano dalla moglie, la grande ruota di ferro che serviva a Nando per intrecciare la canapa e farne delle funi. Ogni tanto Piazza Nuova si riempiva di bestiame d’ogni razza.” La compravendita seguiva rituali di parole e di gesti da iniziati, che però culminavano spesso


in poderose strette di mano eloquenti e vincolanti più di una firma davanti al notaio” (da F. Pasetto, “I Landino, una famiglia di artisti”). TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA Alcune novelle, ancora raccontate dagli anziani, hanno come protagonista “Giucca Matta”, la figura di un ragazzo sciocco che combina sempre guai. Molti sono gli episodi narrati. Una volta la mamma mandò Giucca a compare la farina per la polenta. Siccome aveva fretta, gli raccomandò: “Fai come il vento!”. Il ragazzo tornò senza farina e, mentre la mamma lo brontolava, lui rispose: “L’ho mandata per il vento!”. Un’altra volta la mamma che doveva andare a lavorare nei campi chiese a Giucca di ricordarsi di chiudere la porta quando fosse uscito e se ne andò dicendo: “Quando vai fuori tirati l’uscio dietro”. Dopo poco tempo Giucca arrivò nel campo trascinandosi la porta sulla schiena mandando la povera donna su tutte le furie. Tra tutte le storie tuttavia, ce n’è una forse con un fondo di verità, come lo sono tutte le leggende, legata ad un luogo ben preciso che si trova lungo la strada che conduce al Passo della

Consuma: l’Ommorto. Riportiamo, a questo proposito le parole di una scrittrice inglese che ha visitato il Casentino agli inizi del Novecento: “c’è un podere isolato che si incontra lungo la strada, questo podere viene chiamato Uom Morto o Ommorto. Se salite fin dietro la casa, troverete le tracce della vecchia strada, seguendola per circa un miglio, arriverete ad un punto dove la strada si biforca; lasciandola ed imboccando un sentiero in direzione di Stia, si incontra un mucchio di pietre, la macia dell’Uom Morto. Si dice che questo rustico monumento segni il punto dove fu giustiziato un criminale. Il mucchio è cresciuto con il passare del tempo, a causa di un’antica usanza: ogni viandante che ci passava vicino gettava una pietra sulla macia, non so se per pietà o per qualche altro sentimento religioso o per la credenza superstiziosa di scacciare la malasorte. Sembra che il giustiziato fosse niente meno che Mastro Adamo il falsario di Romena. Ce lo dice Cristoforo Landino nel suo Commento alla Divina Commedia che Mastro Adamo fu arso di fronte a Romena, sulla strada vecchia che viene da Borgo alla Collina, dove si vede ancora un mucchio di pietre e i contadini che abitano adesso quella zona affermano 89


che i loro nonni avevano sentito raccontare dai loro vecchi che era proprio così. Si deve tenere presente che Landino è vissuto centocinquant’anni dopo l’evento” (da: E. Noyes. “Il Casentino e La sua storia”, Londra, 1905) SAPORI DA NON DIMENTICARE Una golosità per i bambini di una volta. Nel Borgo (Via Garibaldi) c’era, e c’è ancora “Giubbino”, un negozio di alimentari famoso per il buon pane e per i salumi. Una volta alla settimana i proprietari ammazzavano il maiale e con il sangue ancora fresco facevano il “migliaccio”. Per i pratovecchini era un appuntamento prelibato. Appena la teglia veniva tolta dal forno e messa su un tavolino sotto i portici, un profumino stuzzicante invadeva tutta la via. A gran voce si comunicava che il migliaccio era pronto e così tutti a comprare una fetta, servita su carta gialla. Per molti quello era il pranzo di mezzogiorno. Ingredienti per il migliaccio: sangue di maiale, sale e pepe, formaggio grattato, semi di finocchio selvatico, grasselli di maiale Procedimento: Amalgamare bene tutti gli ingredienti 90

e versare su una teglia da forno o in una padella con olio bollente. Oggi questo piatto è praticamente sparito dalle nostre tavole. Un piatto tradizionale ancora degustato, soprattutto nei giorni di festa, che si trova anche nei vari ristoranti del paese, sono i “tortelli di patate”.

BRICIOLE Abbiamo raccolto alcuni modi di dire del nostro paese: Quando è nero alla Buchina l’acqua è vicina. La Buchina è una località sopra al paese di Casalino. Quando Romena mette il cappello, pratovecchini parate l’ombrello. Il vento fiorentino porta il diavolo in Casentino.


AMICO MUSEO Romena con la pieve romanica di San Pietro, il castello dei conti Guidi e le memorie dantesche, tra cui la famosa “Fonte Branda” (citata nel trentesimo canto de L’Inferno) rappresenta l’area più interessante da visitare. Il visitatore può compiere un vero e proprio “tuffo nel Medio Evo”. Presso la Propositura, nel cuore del paese, inoltre, sono raccolte molte interessanti opere d’arte provenienti dalle chiese circostanti.

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STIA Il comune di Stia conta circa 2900 abitanti ed occupa la parte piĂš a nord della Vallata casentinese. Il territorio, prevalentemente montano, si estende per circa 62 kmq ed accoglie al suo interno il Monte Falterona dove nasce il fiume Arno. Durante il Medioevo fu possedimento dei Conti Guidi per poi passare alla cittĂ di Firenze dal 1400.

ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO 92


SCUOLA PRIMARIA DI STIA CLASSI 1°,2°,3°,4° E 5°

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ALLA CONQUISTA DI STIA Il paese di Stia sorge là dove si apre la dolce valle del Casentino, nel punto d’incontro tra l’Arno e il torrente Staggia. Stia fu capoluogo e mercatale della contea di Porciano e residenza dei Conti Guidi, che qui avevano la signoria. Da qui l’origine del ramo dei Conti di Palagio che finì con il conte Antonio. Era il 5 ottobre del 1402 e già allora, prima che i Guidi fossero espulsi totalmente dal Casentino, gli abitanti di Stia si posero sotto la protezione della Repubblica Fiorentina, che li gratificò di donazioni e privilegi. La storia di Stia in seguito rimase molto legata a quella di Firenze, dei Medici prima e degli Asburgo Lorena poi. Il comune, che nel 1540 contava 2901 anime, ebbe un grande sviluppo grazie alla lavorazione della lana che portò Stia ad essere un centro produttivo importante, qui è noto infatti il celebre “panno casentino”. Nei primi anni del ‘900 erano quasi 500 gli operai impiegati nel lanificio di Stia. Il paese cresciuto al suono della sirena della fabbrica, ha attraversato vari periodi di sviluppo ed ha certamente risentito della chiusura dello stabilimento laniero. Qui si produceva fino agli anni sessanta il panno casentino. Oggi 94

una parte dell’edificio è stata restaurata e trasformata nel “museo dell’arte della lana”. Qui sono illustrate le fasi di lavorazione della lana sia artigianali che industriali. È presente inoltre un laboratorio adibito ad attività didattiche, finalizzate alla conoscenza delle fibre e dell’arte del tessere a mano. Accanto all’attività laniera un’altra forma di artigianato che caratterizza il paese è rappresentata dall’arte fabbrile. Ogni due anni, infatti, si tiene la “Biennale del ferro battuto” ed il “Campionato internazionale di forgiatura” che accoglie partecipanti provenienti da tutto il mondo. Al Centro del Paese è situata Piazza Tanucci dalla forma irregolare completamente contornata da portici supportati da colonne in stile di pietra serena. Si affaccia sulla Piazza la Pieve di S. Maria Assunta, gioiello dell’arte romanica risalente nella sua struttura di base al secolo XII. Nel centro del paese si può ammirare anche il Palagio Fiorentino, antico castello dei Guidi, ricostruito agli inizi del 1900 e ubicato all’interno del Parco termale. Nelle sale del Palagio è possibile visitare un museo di arte contemporanea, che raccoglie le opere pittoriche e scultoree di circa 160 artisti italiani. A 4 Km da Stia


salendo verso Londa si trova il Santuario di S. Maria delle Grazie costruito su un luogo dove apparve la Madonna ad una contadina. La chiesa conserva tutto l’impianto quattrocentesco, arricchito dalle splendide terrecotte di Andrea della Robbia. Il Casentino è da sempre celebre per le sue acque. Qui nasce l’Arno che si presenta con acque chiare e con sponde ghiaiose, ma qui nascono anche numerosi torrenti tra i quali lo Staggia. Fra le molte sorgenti che zampillano nel territorio di Stia va citata l’antica Fonte di Calcedonia, famosa già secoli fa per le qualità curative delle sue acque. La Fonte di Calcedonia sgorga dalle pendici del Monte Falterona a circa 1200 metri di altitudine all’interno del Parco delle Foreste Casentinesi. Il comune di Stia ha inteso attivare il progetto termale creando all’interno del Palagio Fiorentino un padiglione dotato di servizi necessari per permettere a tutti l’utilizzo dell’acqua di Calcedonia. AVVENTURA NELLA NATURA Il Canto alla Rana è un luogo naturale pacifico, che si trova a Stia lungo le rive dell’Arno. E’ uno spazio verde molto accogliente con alberi, fiori, erbe, sassi e gli abitanti (uccelli, pesci, insetti, piccoli

mammiferi), sono molto ospitali, quindi ognuno qui può trovare un posto tutto suo per stare in pace e tranquillità. Molte persone in estate vi si recano per rilassarsi, rinfrescarsi dalla calura e godersi la natura. A Stia l’Arno è ancora “giovane” e scorre velocemente scrosciando e formando pozze e cascatelle. C’è anche una vera cascata e dal “dado” (una roccia dalla forma vagamente cubica) i ragazzi si tuffano nell’acqua che qui è profonda e non è mai troppo calda! Al ramo di un albero che si allunga verso il centro della pozza è stata anche legata una corda che permette di sentirsi, per un attimo, un moderno Tarzan! Ma le attrazioni della Rana non sono solo naturalistiche. Attraversando il ponte che ci fa entrare in questo paradiso, infatti, si sente sempre un gran chiacchierio perché c’è chi va o torna dal bagno, chi gioca a carte, chi mangia al Bar d’ì tennis dove (udite udite!) fanno delle ottime crepes (ma non solo)! Merita un cenno anche il piccolo ristorante che si trova poco lontano: prima di vederlo senti già un profumino e poco dopo ti stai leccando le dita! Per smaltire le calorie così accumulate, o anche solo per divertirsi in compagnia, oltre al bagno nel fiume, possono servire i campi da tennis,

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bocce, calcetto e beach volley: c’è solo da scegliere! In questo “angolo”così speciale le ore trascorrono serene e veloci, anche troppo, ma noi sappiamo che, domani, potremo tornarci ancora! IL NONNO RACCONTA Lo storico pranzo sociale del lunedì al Teatro Comunale Il carnevale di Stia ha tradizione antichissima, se ne hanno testimonianze dal 1832. Il carnevale era ovunque molto più sentito, in quanto era l’unica occasione di festa nei nostri paesi, prima del rigore della Quaresima che preparava alla Pasqua. Si ballava solo a carnevale e in questo periodo erano consentiti scherzi di ogni genere; si poteva esagerare con l’allegria e anche con il cibo. Una domenica mattina, siamo andati ad intervistare un personaggio di Stia: Raggioli Luigi, detto “Gigi di’ forno”, noto per il suo legame con la festa del carnevale, con i veglioni e con il pranzo sociale del Lunedì grasso, una tradizione tutta Stiana che si perpetua negli anni e rappresenta un caposaldo delle festività carnevalesche. Abbiamo fatto a Gigi di’ forno una serie di domande e lui, benché molto anziano, ha risposto volentieri e con dovizia di particolari. Da quanti anni si svolge il pranzo sociale? Mi ricordo di aver partecipato al pranzo sociale dal 1933, ma dicono che sia

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nato A. C. Lei vi partecipava anche da giovane? Si sempre. Dove si svolgeva il pranzo sociale? Al Teatro Comunale. Chi lo organizzava? La Società del Carnevale. Chi preparava da mangiare? Le donne del paese si organizzavano per cucinare insieme a Emilio di’ Nassi. L’antipasto non c’era, si mangiava la pastasciutta e il secondo. Quanta gente partecipava a questo pranzo? Fino a che è stato gratis, anche 200 persone. Così tante che a volte dovevano apparecchiare nella galleria del teatro. Quando si è cominciato a pagare qualcuno non se lo poteva permettere. Che cosa succedeva durante il pranzo? Durante il pranzo suonava l’Orchestra della Associazione La Chioderia. Si mangiava, si scherzava, ci si divertiva. Dopo aver mangiato che cosa facevate? Si andava in Piazza Tanucci con le giacche all’arrovescio e li si continuava la festa. Io dicevo: “Tutti strasciconi pe’ le terre!” e tutti, anche le signorine, si buttavano in terra e si rotolavano dalla fontana in giù per la piazza e poi si rompevano i piatti di coccio portati da casa. Nel pomeriggio si rimettevano le giubbe a diritto e si andava a Strada, dove


c’era il mercato, a fare merenda da Nerone che faceva buoni i bomboloni. Come si comportavano i partecipanti? A pranzo si comportavano bene. Anche se bevevano un po’, non facevano danni. Come si sono comportati di recente i commensali?” In un certo periodo, negli anni ’80, venne l’uso di tirarsi le forchette a rischio di farsi male. Ma poi chi lo faceva fu mandato via. Chi parlava alla fine del pranzo?” Alla fine del pranzo parlava il Podestà (in epoca moderna il Sindaco), il Presidente del Carnevale e naturalmente io. Quando stavo per iniziare a parlare, tutti facevano il tifo per me e mi interrompevano di continuo tra le risate generali. Una volta il Generale La Rocca si felicitò con il Podestà per il mio discorso e chiese di conoscermi. Si complimentò e io risposi: “Sono un oratore e un trascinatore come Mussolini” potremmo specificare che (si sta parlando del periodo del regime fascista degli anni ’30) Pensa di andare al pranzo sociale di quest’anno? No perché devo fare una vita più regolata! Non tutti gli anziani però, quando erano piccoli, andavano al carnevale

perché avevano paura degli scherzi, a volte, troppo “pesanti”. Alcuni ricordano quello fatto da una persona negli anni ’50 che liberò “dalla Pace” una cinquantina di topi creando così un grande “scompiglio” nella piazza Tanucci. Molte persone si mascheravano usando vecchi vestiti, cambiando spesso identità, l’uomo da donna, la donna da uomo. Dal 1949 iniziano i ricordi delle prime sfilate dei carri, che scendevano “dalla Pace” fin giù alla piazza Tanucci per dare inizio alla festa e coinvolgere tutto il paese. I carri allora erano trainati dai buoi, prima ancora dai cavalli, e solo in tempi più recenti dai trattori a motore. I carri principali erano tre: il carro dei bambini (il trenino), quello degli adulti e quello del prete. Dopo un periodo di arresto nel 1981 lo spirito del Carnevale ha visto un nuovo slancio. Sono ricominciati i veglioni mascherati e dal 1987 è stata introdotta la MASCHERA D’ORO, concorso per il miglior costume. TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA “A Porciano, in Casentino, fra una fonte e uno spino c’è una campana d’oro fino che vale quanto tutto il Casentino”. “La 97


campana d’oro fino” è una favola scritta da Emma Perodi, la quale, ispirandosi alle tradizioni e ad alcune leggende Casentinesi, pubblicò una raccolta di storie in stile neogotico, con il nome “ Le novelle della Nonna”, diventate ormai un classico del territorio. La leggenda, ambientata nei dintorni del castello di Porciano, consiste nel trovare una campana d’oro che, secondo il racconto vale più di tutta la vallata casentinese e si trova tra una fonte e uno spino. Ovviamente la leggenda spinge molti a cercare la campana. Banfio, giullare di corte, è uno di questi. La smania di possedere la campana lo porterà a fare cose inimmaginabili come sposare una vecchia decrepita. Riuscirà Banfio ad avere la campana d’oro fino? Quali saranno le conseguenze della sua voglia di ricchezza? Solo leggendo questa bellissima fiaba lo scoprirete. Sempre a Porciano si ricollegano molte memorie e tradizioni riguardanti il Sommo Poeta, Dante Alighieri. Pare che Dante da Porciano scrivesse quella famosa lettera piena d’ira e di livore contro gli “Scelleratissimi Fiorentini”. La repubblica Fiorentina indispettita per l’atteggiamento dell’esule mandò un ambasciatore al Castello per chiedere la consegna di Dante. Il poeta 98

mentre scendeva verso Stia incontrò l’ambasciatore fiorentino e questi non conoscendo il poeta di persona gli chiese se il fuoriuscito Dante Alighieri si trovasse ancora a Porciano. Il poeta rispose argutamente così all’ambasciatore: “Quand’ì v’ero, ì v’era”. Ancora a Porciano il 16 Aprile Dante scrisse all’imperatore un’altra lettera per invitarlo a combattere ai danni di Firenze e “schiacciarle il capo col piede”. Una tradizione locale afferma che Dante fu imprigionato in un luogo posto dietro la Chiesa di Porciano. E’ però commovente sapere che Dante esule ha trascorso qui alcuni giorni importanti della sua vita. Forse qui ha nutrito speranze, ha sofferto, ha atteso, ha scritto, ha amato, ha pregato e poi, forse deluso, ha preso la via dell’esilio. Ma anche lontano, lo accompagnerà sempre la visione di questi luoghi incantevoli e la sua poesia ne sarà ricolma. Oggi, nel castello di Porciano, sono esposti manufatti di uso domestico ed attrezzi relativi alla cultura contadina nel Casentino del XVIII° e XIX° secolo. Accanto a ceramiche, vasellame e vetri databili tra il XIV° ed il XVIII° secolo, nel museo sono esposti, inaspettatamente, oggetti d’uso ed artigianato degli indiani d’America, Nord Dakota. Il Castello di


Porciano e il Museo del Bosco fanno parte della rete ecomuseale. SAPORI DA NON DIMENTICARE LA SCOTTIGLIA La scottiglia è un piatto antico tipico di Stia. Questa ricetta è stata regalata alla scuola, dal figlio di Riccardo Fiorini detto Licchio, che abitava a Porciano. Qui aveva una trattoria molto importante per gli stiani e per i porcianini, perché luogo di ritrovo per la merenda domenicale. La sua scottiglia era la più buona e tutti andavano a mangiarla. La ricetta è stata segreta per tutto il tempo che Licchio aveva la trattoria, cioè fino agli anni settanta. Oggi il paese festeggia San Lorenzo (10 Agosto) con la scottiglia di Licchio, apparecchiando per la via principale, terrazza naturale sul paese di Stia. Ricetta: possiamo calcolare 300 gr a persona delle seguenti carni: Faraona, Gallina, tacchino, coniglio. Si tagli a fette fini una o due

cipolle ed insieme a del peperoncino si faccia soffriggere, in un tegame grande, il tutto con una adeguata quantità di olio d’oliva. Si aggiungano poi le carni, tagliate a pezzetti ed a seconda della quantità della carne, due o più bicchieri di vino rosso. In precedenza con un bel pezzo di carne da brodo, un osso di ginocchio, il collo della gallina e tutti gli odori necessari, avremo fatto un buon brodo. Tirato il vino a fuoco basso, si sciolgano due o più cucchiai di concentrato di pomodoro, si versi nel tegame aggiungendo ogni tanto del brodo. Lasciar cuocere sempre a fuoco basso per due o più ore finché assaggiando la carne non la sentiremo cotta. Nel frattempo prepariamo delle fettine di pane raffermo di spessore di mezzo centimetro, non più grandi di sette-otto centimetri che sistemeremo, non più di sei o sette, in capaci scodelle. Cotta la carne, versiamo del sugo sul pane e poi dei pezzetti di carne, delle varie specie.

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BRICIOLE Per la Candelora affacciati sull’aia: se tu vedi verzicare, non ti rallegrare; se gli è sole o solicello, siamo a mezzo inverno. Mano mano piazza, ci passò una lepre pazza, uno la vide, uno l’ammazzò, uno la spellò, uno la cucinò, uno andò per il pane e il vino, lecca, lecca tavolino

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AMICO MUSEO A Stia molti sono i musei che si possono visitare. Oltre a quelli già citati vi consigliamo: il Museo dello Sci, per appassionati della montagna e dello sci e l’ecomuseo del Bosco, dove sono esposti, attrezzi legati ai lavori del bosco e una collezione ornitologica ad opera di Carlo Beni di fine Ottocento, composta da 520 esemplari di uccelli.


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SUBBIANO Nel punto dove la piana aretina si restringe nella stretta gola che dà l’accesso alla vallata casentinese, inizia il territorio di Subbiano alla cui guardia, sopra una rupe e incorniciata da altéri cipressi, è posta la massiccia torre quattrocentesca del Castello della Fioraia. Un territorio in prevalenza collinare - montano che si estende per 78,24 chilometri quadrati, con una popolazione di oltre 5400 abitanti. Subbiano dista da Arezzo solo 14 chilometri e offre un ottimo collegamento sia con la città che con l’alto Casentino, grazie alla linea ferroviaria Arezzo-Stia e alla strada statale 71 umbrocasentinese. Siamo quasi certi che il nome di Subbiano derivi dal prediale Sevianum (da Sevius), anche se la tradizione vede gli albori del paese sotto l’egida del dio Giano. Probabilmente è per merito della gens Sevia che, insediandosi nei pressi dell’Arno, lungo l’odierna strada statale 71 (ex via Maior), il vicus prende vita; ma il toponimo Subbiano trarrebbe la sua origine dall’espressione latina Sub Jano conditum, cioè costruito da Giano o al tempo di Giano.

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SCUOLA PRIMARIA SANDRO PERTINI CLASSI 2째 E 5째

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ALLA CONQUISTA DI SUBBIANO L’antico stemma comunale, con l’immagine del Giano bifronte, così come il ritrovamento sull’Alpe di Catenaia di alcune cappelle solari incise sulla parete rocciosa, sarebbero una prova concreta del rapporto tra il luogo e la divinità. Come Giano nella tradizione romana è il custode delle porte, così Subbiano, emanazione del pater janus, è la porta del Casentino, tra l’agro aretino e la Valle Chiusa. Questa sua caratteristica trasmette al luogo lo spirito ambivalente delle terre di transizione, la cui storia, nel corso dei secoli,si è arricchita di inevitabili e preziose contaminazioni dovute al continuo fluire di genti e di popoli. Il centro storico del nostro paese mostra numerosi elementi antropici e naturali che ci permettono di ricostruire la sua lunga storia che ruota intorno alla costruzione del castello. Il primitivo castello di Subbiano risalirebbe all’Alto Medioevo (476d.C.-1000d.C.): esso sorge tra il fosso di Valbena e l’Arno con la funzione di controllo della via Maior. Successivamente Subbiano diventa “terra barbari tana” per via delle numerose 104

famiglie longobarde che si insediano nel territorio e il castello diventa residenza dei nobili longobardi che sono feudatari della chiesa aretina. Nel Basso Medioevo (1000d.C.-1492d.C.) intorno al castello sorgono, modeste dimore di contadini ed artigiani che danno vita al borgo di Subbiano che, diventando poi comune, si sottomette alla Repubblica Fiorentina diventando sede della Podesteria. Di fronte al Castello, separata dal torrente Valbena, c’è la Chiesa di Santa Maria della Visitazione eretta nei primi anni del duecento a fianco dell’antica Chiesa del Castello che si trovava dove oggi è la cappella della Madonna di Lourdes. Nei vari secoli ha subito rimaneggiamenti: il campanile di epoca più recente è datato 1857. All’interno della Chiesa si trova un affresco raffigurante l’Incoronazione di Maria, opera del pittore Giovanni Bassan come la Deposizione posta sopra la porta della Chiesa, mentre l’abside conserva il Crocifisso ligneo seicentesco ritenuto dai fedeli di Subbiano miracoloso e per questo ancor oggi venerato. Il monumento posto sotto il loggiato della Chiesa è dedicato a Don Lorenzo Boschi fondatore dell’Ospedale di Subbiano e realizzato da Arnaldo Zocchi discepolo


di Alessandro Duprè. Lungo la via dell’Arcipretura, spicca palazzo Ducci, immobile storico e dimora signorile ristrutturata nel tardo Settecento. All’interno saloni con soffitti lignei a cassettoni dipinti dove più volte compare lo stemma Ducci, azzurro a catene d’argento poste a croce di Sant’Andrea, uno stemma che fa derivare le origini di questa che è una delle famiglie più nobili del Casentino dai Conti Alberti di Catenaia. AVVENTURE NELLA NATURA Il territorio del Comune di Subbiano si allunga armoniosamente lungo un “ancora giovane” fiume Arno che qui presenta acque chiare e rive ghiaiose, per poi fuggire verso l’alto attraverso colline coltivate a vite ed olivi, fino ai primi boschi di querce e cipressi, per infine trasformarsi in immensi boschi di cerri e castagni, sulle pendici dell’Alpe di Catenaia, e in secolari faggete intorno ai silenziosi ed evocativi Prati della Regina. Nelle campagne circostanti il paese di Subbiano, sono innumerevoli le case coloniche, che ci ricordano un passato legato alla cultura contadina. Escursione Alpe di Catenaia-Fonte del Berigno.

Una volta raggiunta Calbenzano, una località a nord di Subbiano, ci si dirige per Ponte alla Talla, da cui si sale nel paesino di Poggio d’Acona dove si può visitare il borgo e l’antica chiesetta. Da qui, prendendo il sentiero CAI 16 per l’Alpe, si può raggiungere, passando dal Castello di Valenzano, Fonte del Berigno, una piacevole area di sosta con tavoli da pic-nic circondata da faggete, dove sgorga un’ottima acqua di montagna. Salendo per qualche centinaia di metri si raggiunge un luogo magico: i Prati della Regina, una radura battuta dai venti, meraviglioso punto di osservazione, al cui culmine ad ovest, spicca il maestoso Sasso, visibile dalla sottostante vallata. Da Fonte del Berigno si possono scegliere due sentieri: il CAI 50 per la Casella della Verna e il CAI 013 per la Casina del Vaccaio, antico rifugio di pastori e allevatori, e la Pozza delle Strosce, testimone di antiche leggende. Sono questi i luoghi nei pressi di Monte Castello (1414 m.) e Monte Altuccia (1407 m.) da cui nascono i torrenti Sovara e Singerna, affluenti del Tevere, nonché dei torrenti Rio Cantalupo e Gravenna affluenti dell’Arno. La fauna dell’Alpe di Catenaia è ricca di

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caprioli, cervi, cinghiali, istrici, tassi, gufi, allocchi, civette, falchi, volpi, lupi, scoiattoli e uccelli di vario tipo. Non è raro incontrare alcuni di questi animali. Per tornare a Subbiano si può percorrere il percorso a ritroso oppure dall’Alpe di Catenaia si può riscendere in direzione di Terranera e Falciano, località quest’ultima conosciuta per la presenza di mulini tutt’ora funzionanti, testimonianza dell’operosa attività umana attorno alla cultura della montagna e dei suoi prodotti quali la castagna.

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IL NONNO RACCONTA Dalle testimonianze dei nonni abbiamo capito che la vita, quando loro erano bambini, era molto diversa; per andare a scuola dovevano camminare anche per tre chilometri ed erano costretti a partire molto presto. Formavano un bel gruppo e lungo la strada ne combinavano di tutti i colori. Le aule erano grandi con 40-50 alunni; c’era una sola maestra molto severa perché picchiava le mani con una bacchetta, tirava le orecchie o metteva in ginocchio dietro alla lavagna i bambini più disubbidienti. Per scrivere usavano il pennino e l’inchiostro, i quaderni erano piccoli con la copertina nera. I libri li portavano con una cartella di cartone o stretti con un elastico. Per giocare usavano giocattoli costruiti da loro o dai genitori, i maschi preferivano i trattori fatti con i rocchetti del filo, le fionde, le cerbottane e i carretti, mentre le bambine giocavano con bambole di lana o stoffa. Nella bella stagione giocavano a bottoni, a nascondino, a campana o moscacieca. I MESTIERI. Tutti i nonni ci hanno raccontato che ai loro tempi c’era tanta povertà e che dovevano faticare molto per andare avanti. Molti erano contadini, ma esistevano anche dei mestieri che oggi sono quasi del


tutto scomparsi. Nonna Leda che aveva sei figli faceva la lavandaia presso le acque del fiume Arno; quando doveva lavare i lenzuoli li metteva in un grosso vaso di argilla, li copriva con un panno, metteva sopra la cenere e infine l’acqua calda. Doveva aspettare tutta la notte poi andava al fiume per risciacquarli. Lo spazzacamino tutti gli anni passava con le sue scope, saliva sui tetti e puliva i camini dalla fuliggine. La mamma di nonna Rossana invece faceva la lattaia, tutte le mattine passava per le case e portava il latte fresco. A quei tempi era importante il mestiere del ciabattino che faceva e riparava gli zoccoli. Ci hanno raccontato che per farli durare più a lungo mettevano intorno allo zoccolo una striscia di ferro o tante “ bullette ”. C’era anche il cenciaiolo che passava con un carretto e prendeva i vestiti vecchi e rotti e le pelli di coniglio impagliate che servivano per fare colletti ai cappotti dei “signori”. L’arrotino passava di casa in casa e chiamava le massaie perché gli portassero coltelli e forbici. Quando ne aveva un pò “pigiava” sul pedale e faceva muovere una mola che arrotava le lame. Il mugnaio macinava il grano,

il granturco e le castagne. Con la farina di granturco veniva preparata la polenta che era il cibo principale mentre con quella di castagne facevano il baldino. TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA La leggenda del villino Mary. La mamma mi ha raccontato che al villino Mary, che si trova nei pressi di Monte Giovi, si dice che aleggi il fantasma di una bambina che abitava lì e nel periodo in cui è morta la si può vedere passeggiare nel parco. Molte persone sono pronte a giurare di averla vista raccogliere dei fiori e camminare intorno alla casa. La leggenda del vitello d’oro. Il nonno mi ha raccontato che in tempi molto antichi (addirittura quando c’erano gli Etruschi) a Vogognano fu seppellita una statua di un vitello d’oro di inestimabile valore, per evitare che questa cadesse nelle mani dei nemici. Nel corso degli anni numerosi sono stati quelli che hanno scavato nel territorio alla ricerca del fatidico tesoro senza però trovarlo e il vitello d’oro è ancora lì da qualche parte in attesa di essere scoperto.

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SAPORI DA NON DIMENTICARE IL BALDINO Ingredienti: 15 cucchiai di farina di castagne 4 bicchieri d’acqua 15 noci tritate Alcuni aghi di rosmarino Un filo di olio Un pizzico di sale. Preparazione: In una ciotola versare l’acqua e poi lentamente, un cucchiaio per volta, aggiungere la farina. Mescolare con una frusta, unendo anche il sale, fino ad ottenere un composto abbastanza cremoso. Versare tutto in una teglia, cospargere con le noci tritate, gli aghi di rosmarino, un filo d’olio e infornare per trenta minuti a 180.

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BRICIOLE “Alla terza si pela il gallo!”: sarebbe come dire “uomo avvisato mezzo salvato!” “Quando le nuvole van verso Arezzo tutte le fonti a buco secco, quando le nuvole van verso La Verna tutte le fonti a garganello”. “Aria rossa o piscia o soffia” corrisponde a “rosso di sera bel tempo si spera”.


AMICO MUSEO Il Centro di Documentazione della Cultura Archeologica del Territorio, annualmente, con la partecipazione attiva degli abitanti, promuove ricerche, progetti didattici, iniziative culturali e momenti di festa, allo scopo di stimolare il senso di appartenenza e lo sviluppo locale. In particolare ricostruisce le trasformazioni avvenute nel tempo, attraverso fonti documentarie e la ricerca archeologica. Il Centro di Documentazione è ospitato all’interno della ex cantina dell’Opera Pia Boschi, nel centro storico di Subbiano.

L’allestimento è organizzato lungo una sorta di percorso a ritroso nel tempo: una piccola sezione è dedicata ai materiali di età medievale delle antiche chiese scomparse; un’altra sezione in cui sono presenti le ricostruzioni che riguardano due tombe coeve, di I° secolo, tratta delle tombe e i rituali funebri etruschi. Presso il Centro è possibile svolgere attività didattiche per bambini: laboratori di scrittura, di lavorazione dell’argilla e narrazione del reperto archeologico, condotti dagli operatori del Gruppo Archeologico Giano.

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TALLA “D’oro al leone di rosso, posto su un monte all’italiana, di tre cime di verde, tenente con le branche uno scudetto ovale d’argento, caricato del giglio fiorentino di rosso; capo di rosso alla croce d’argento”. Che strano modo di scrivere! Non sembra anche a te che ci sia qualcosa che ricorda dame, cavalieri, castelli e duelli? Questo è l’antico stemma del mio paese: Talla, un piccolo borgo ai piedi del Pratomagno, che nasconde tesori e strane leggende. Tra vecchie mura, cavalli, alberi secolari e un po’ di fantasia accendiamo la macchina del tempo e partiamo all’avventura.

ALLA SCOPERTA DEL CASENTINO 110


SCUOLA PRIMARIA DI TALLA CLASSI 3째,4째 E 5째

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ALLA CONQUISTA DI TALLA Ti piacerebbe trasformarti in un cavaliere o in una dama medievale? Se la risposta è affermativa, devi visitare un luogo davvero speciale del nostro territorio, che ti farà tornare indietro di circa 1032 anni, una specie di macchina del tempo fatta di boschi. Sì, hai capito proprio bene! Attraversando i boschi vicini al Pratomagno, a 950 metri di altitudine, per essere più precisi sotto il monte Lori, alla testa della valle da cui scende il fosso di Capraia, puoi rivivere il Medioevo: lì infatti c’è un posto incantevole che odora ancora di passato: Badia Santa Trinita in Alpe. Si arriva alla Badia come si faceva secoli fa, facendo una bella camminata, il contesto naturalistico in cui è immersa è davvero affascinante: boschi di faggi, abeti, castagni, corsi d’acqua che scorrono creando giochi di colori e suoni davvero emozionanti. E’ facile scorgere in questo paesaggio meraviglioso animali selvatici e uccelli che è difficile incontrare. Ci sono vari percorsi per raggiungere la Badia, ma quello più agevole è da Pontenano, dove una strada sterrata raggiunge Fonte Cavallari e da qui prosegue attraversando molti fossi e ruscelli. Arrivati a questo punto sarai sicuramente curioso di 112

sapere cosa è Badia Santa Trinita in Alpe. Nessun problema ti racconto in breve: è un’abbazia, che secondo gli annali Camaldolesi fu fondata nel 970 circa da Pietro e Eriprando, due monaci tedeschi, su ordine dell’imperatore Ottone I di Sassonia. Questo luogo è stato scelto dai due monaci poiché era un punto di passaggio di pellegrini che si recavano a Roma, quindi Badia Santa Trinita in Alpe era un centro culturale, religioso, ma anche luogo di accoglienza per i viaggiatori. Oggi purtroppo è in uno stato di completo abbandono, ma si può intuire ancora quale poteva essere la sua imponenza. E’ una costruzione tipicamente benedettina, la pianta è a forma di croce latina e ancora si può delineare la zona adibita ai sacerdoti e quella al popolo. Sotto la Badia si trova la parte più antica, la cripta. L’importanza di questa Badia ben presto terminò a causa dell’abbandono dei sentieri di montagna quale via di comunicazione per Roma; nel 1700 fu chiusa definitivamente. Bene ti ho detto tutto o quasi, perché per capire di cosa sto parlando devi armarti di panini, felpa, scarpe da trekking per poter rivivere il Medioevo. Buon viaggio!


AVVENTURE NELLA NATURA Boschi, boschi, boschi! Salendo si va dalle querce, ai castagni, fino ai faggi, con qualche piantagione di pini e abeti. Ma ciò che ti stupirà sarà trovare sulle Coste del Picchio, vicino a Capraia, i lecci che qui vivono nelle rocce, e perciò si chiamano lecci “rupestri”. Il leccio è una quercia mediterranea sempreverde, che è veramente comune in Toscana solo vicino al mare. All’opposto, sull’altro versante, esposto a nord, potrai vedere le betulle. Questo albero è molto diffuso in nord Europa, tanto da essere considerato un simbolo in Russia; si può riconoscere per la corteccia bianca argentea, il tronco esile e le foglie leggere e a punta. Quindi, insieme, nella stessa valle, sul versante esposto a sud (o meglio a sud ovest) vedrai perciò il Mediterraneo, mentre dall’altra parte ti parrà d’essere in nord Europa. Tanti animali puoi incontrare, dagli onnipresenti cinghiali, alle volpi, alle faine, al tasso e all’istrice al capriolo e, con un bel po’ di fortuna, il lupo. Li potrai incontrare più facilmente di notte, percorrendo queste strade, ma sempre potrai cercare le loro tracce e orme, come gli aculei d’istrice, bianchi, neri e appuntiti.

Ma ogni tanto, soprattutto quando esci dal bosco, alza gli occhi al cielo, puoi veder volare una poiana ma, attenzione! D’estate la si può confondere con un falco pecchiaiolo, alla ricerca di api, vespe e bombi! Sempre fuori dal bosco potrai incontrare i rettili, lucertole e ramarri, e anche serpenti, innocui come il biacco e il colubro d’Esculapio, o da temere, come la vipera. Tornando nel bosco, guarda anche tra gli alberi, se ti ci metti con pazienza potrai scorgere un picchio (verde, rosso maggiore, o il più raro rosso minore), un rampichino, o una cincia. Attento anche ai torrenti, che qui sono bellissimi, con la loro vegetazione naturale e le acque pulite sono l’ambiente ideale per il merlo acquaiolo, una sorta di piccola “anatrina”, bianca e nera che si tuffa sott’acqua per catturare piccoli animaletti. Oppure una ballerina gialla, che potrai incontrare anche in paese, con la sua coda lunghissima e ondeggiante. Sempre vicino a Talla, sempre lungo i torrenti, puoi vedere qualche airone, cenerino o bianco maggiore, che se osservati in un piccolo fiume sembrano molto più grandi che se li vedi nell’Arno. Ricordati poi che anche dove vive l’uomo vivono, nei caratteristici

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paesini, o nelle case isolate, molti animali, alcuni sicuramente già li conosci, come rondini, rondoni, balestrucci e passeri, altri forse sono meno noti, come i due codirossi (comune e spazzacamino), altri ancora sono quasi sconosciuti, come i pipistrelli o gli scorpioni. Un consiglio prima di partire: guarda come sono fatti gli animali e le piante ora descritti, su una guida o anche su Internet, se li conosci ti divertirai molto di più. IL NONNO RACCONTA Il caffè con le ghiande. Non ti stupire, hai letto bene, si tratta proprio di caffe con le ghiande. Ti starai chiedendo: come è possibile?! Adesso vedrai. Il mio nonno mi racconta sempre di come tanti anni fa, al tempo della guerra e della miseria più nera, gli uomini della battaglia che si rifugiavano nei boschi o nelle case altrui, si preparavano il caffe facendo essiccare e poi sbriciolare vere e proprie ghiande di quercia. Infatti essi raccoglievano le ghiande nel bosco e le facevano seccare per un bel pò. Poi per terminare la loro essiccazione le mettevano vicino al fuoco. Quando erano ben tostate le mettevano dentro a un macinino e le facevano diventare polvere. Una volta pronte si prendeva la polvere e la si metteva dentro alla caffettiera, ma non usavano

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la moka come la nostra, ne avevano una speciale alta e con un “becco” lungo e nero.Si aggiungeva l’acqua e si metteva la caffettiera a “testa in giù” e si aspettava che l’acqua filtrasse dalla polvere. La cosa strana è che non si metteva sul fuoco ma si aspettava che tutta l’ acqua fosse passata e il caffe era pronto! Incredulo, ho provato a prepararlo di persona e alla fine me ne sono bevuto anche una tazzina, niente male! TI RACCONTO UNA STORIA DELLA MIA TERRA Una leggenda… della Madonna. Che noia tutti questi cartoni animati e film scontati! Ma non ti sei stufato di vedere sempre Dragon Ball, Winxs, Ben Ten e ragazzine dagli strani poteri lunari? Io ho qualcosa di più interessante e misterioso da raccontarti che mette i brividi anche senza poteri da Supersayan! Una stupefacente storia che i miei compaesani si tramandano da anni. Leggi e vedrai! Resterai senza parole! Nella caratteristica chiesetta del piccolo paese di Capraia, a circa 6 chilometri da Talla, si trova una Madonna con il bambino, proveniente dall’importante sito storico medievale benedettino di Badia Santa Trinita in Alpe. Quest’ultimo, dopo essere stato abbandonato dai suoi monaci, è stato privato della sua la pregiata statua in


terracotta e trasferita nel vicino borgo medievale. Le persone del posto raccontano però, che la Vergine non volesse andare e che voleva rimanere li dov’era. Si racconta infatti che una volta arrivata nel nuovo sito la Madonna abbia iniziato a muoversi verso la chiesa dalla quale proveniva. La cultura popolare tramanda infatti che per tre volte la Statua della Santa abbia “tentato la fuga” cercando in tutti i modi di raggiungere il luogo natale. La leggenda vuole che la Madonna abbia iniziato a camminare all’indietro, per non farsi notare, fino alla meta. A prova di questo sono state rinvenute impronte di piedi (rivolti proprio nella direzione dalla quale proveniva) e segni del velo appoggiato su una roccia vicino a Badia, tutt’oggi visibili. I cittadini devoti, che hanno invano tentato tutte le volte di riportare la Madre nella chiesa, hanno deciso come ultimo tentativo, di rinchiudere la statua all’interno di una teca di vetro trasparente, sia per agevolare il trasporto sia per custodire la statua della Vergine nella propria chiesa del paese. La Madonna è infatti tutt’oggi mirabile all’interno della Sacra struttura medievale di Capraia in tutto il suo splendore. Può essere che laVergine Maria sia rimasta perché si è

resa conto che in fondo in fondo anche a Capraia si sta bene. SAPORI DA NON DIMENTICARE In questa zona non ci sono piatti tipici appartenenti solo a questo territorio, ma esistono piatti legati al suo passato, alla sua storia, alla sua economia povera, con il sapore dell’orto, del bosco, degli animali da cortile, della tradizione contadina; infatti nonostante sappia che sei un vero goloso come me di pizza e patatine vorrei farti scoprire ricette strane e particolari fatte in casa e che mangiavano le persone di tanti anni fa, dai un’occhiata, resterai di sale! Zuccherini lessi: farina quanto basta, uova, 1 cucchiaio d’olio, un pizzico di sale e un cucchiaio di zucchero per ogni uovo messo, l’anice in precedenza messo a bagno nel vinsanto, e s’impasta tutto. Poi si formano delle ciambelle e s’immergono in acqua bollente fin tanto che non vengono a galla. Infine si appoggiano su una tovaglia e si fanno dei piccoli tagli sulla superficie, si mette lo zucchero sopra e s’infornano. Quando il loro profumo si comincia a sentire, lo zuccherino è già pronto. I cialdoni: mettiamo in una pentola 80 gr di farina, 30 gr di zucchero, 20 gr di “strutto” ( ricavato 115


dal grasso di maiale) e 7 “cucchaiate” di acqua tiepida. Prima facciamo sciogliere la farina con acqua e zucchero poi mettiamo lo “strutto”. Facciamo riscaldare bene il “ferro da cialde” sul fuoco e una volta caldo mettiamo ogni volta “mezza cucchiaiata” della pastella, chiudiamo il “ferro” e riscaldiamo tutte e due le parti. Una volta pronto prendiamo il nostro “cialdone”, lo arrotoliamo e lo riempiamo di panna montata, buonissimo! La panina. La sua preparazione era solita quando in casa si faceva il pane. Si prendeva parte dell’impasto e lo si faceva seccare. La sera s’immergeva a bagno e quando si era completamente sciolto si metteva al centro di “montagnina” di farina e si lasciava riposare un bel po’. Poi s’impastava con farina, acqua tiepida, strutto, zafferano, zibibbo, olio, sale e pepe. L’impasto doveva essere lavorato a lungo con forza e manualità formando infine le “panine” che si facevano riposare per un giorno su un’asse di legno. Quando erano a un buon punto di lievitazione, si accendeva il forno a legna e quando questo era ben caldo s’infornavano per circa un’ora. BRICIOLE Per forza non si fa nemmen l’aceto. Non friggo mica con l’acqua, io. Te voi la botte piena e la moglie briaca. Vale più un vecchio nel canto che un giovane nel campo. Contadino scarpe grosse e cervello fino. Contadino dal poco ingegno dalla punta spacca il legno. Al contadino non far sapere quanto è buono il cacio con le pere. Se vuoi fare un bel pagliaio fallo alla luna di gennaio, se sei un contadino che se n’antende fallo alla luna di novembre.

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Una filastrocca di paese: Carda e calletta tra due fiume giace Le sue ricchezze sono le quattro brice Se le quattro brice non vengono a buono Carda e calletta ballano senza suono. AMICO MUSEO Il 25 luglio 1998 è stato inaugurato il museo “ Guido d’Arezzo” dedicato a Guido Monaco, dove è possibile ripercorrere lo sviluppo della musica attraverso antiche riproduzioni di strumenti e immagini. In questo museo si può fare e ascoltare musica attraverso una tastiera e strumenti dell’epoca.


ITINERARI

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BIBBIENA LE TORRI DI GUARDIA DEL COMUNE

PERCORSI DA ESPLORARE 118


SCUOLA PRIMARIA LUIGI GORI CLASSI 3째, 4째, 5째 C E 4째 A, B, D

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Vi proponiamo come itinerario un percorso che, partendo dalla piazza più antica di Bibbiena (Piazza Tarlati) vi porterà con mezzi di trasporto ecocompatibili a conoscere i piccoli paesi nei quali si trovano resti di antichi castelli muniti di torri di guardia. Durata: 8-9 ore Numero di tappe: 4 Mezzi di trasporto: cavalli del maneggio “Le Amazzoni” di Marena; biciclette di Casentino Mountain Bike; Autobus di linea da Soci (ore 14:37) a Serravalle (14:57) e ritorno (16:08) 1˚ tappa: TORRE MARENA. A poca distanza da Bibbiena si trova Marena. Oggi la vecchia torre medievale è stata trasformata in abitazione. È interamente costruita in pietra e conserva ancora l’antica porta e le feritoie. Qui sarete accolti da un signore anziano della famiglia Nati Poltri che vi spiegherà la storia di questo luogo e vi porterà alla scuderia per scegliere il cavallo con il quale recarsi alla prossima tappa.

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2˚ tappa: GRESSA L’ antico borgo di Gressa offre un bel paesaggio e interessanti “rovine”. Attraverso una porta ad arco accederete alla rocca di Gressa con la cisterna, la chiesa, i resti del castello e della torre. Il castello che conserva ancor oggi tratti di due cinta murarie fu distrutto da molte “popolazioni”. Nel prato antistante la prima cerchia di mura, si trova una grande cisterna la cui entrata è protetta da delle sbarre. Questo paesino è un posto che ti aiuta a capire il modo di vita e i sentimenti delle persone che vi abitavano tanto tempo fa. 3˚ tappa: SOCI Soci è il più grande e industrializzato paese del comune di Bibbiena; visiterete il centro storico nel quale è ubicata la vecchia torre di guardia. Lasciate la bicicletta nel parcheggio e proseguite verso il centro storico; qui troverete in una piazza lastricata, isolata dagli edifici circostanti, l’antica torre di guardia. Anche questa come le altre è interamente costruita in pietra, non ha

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la porta al primo piano ma al secondo, per evitare gli attacchi nemici; in alto ci sono due piccole feritoie. Vicino alla torre vi è un’altra piazzetta chiamata: ”PIAZZA PADELLA” per la sua caratteristica forma. Ritornando giù nel parcheggio prendete il mezzo per andare a Serravalle. 4˚ tappa: SERRAVALLE Serravalle è un paesino situato su un’ altura custodito da una vecchia torre, all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Le case sono state costruite con la pietra tipica del

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luogo, compresa la piccola chiesa ristrutturata nel 1923 da Egisto Fabbri, in stile romanico. Serravalle chiude, a monte, la valle del Casentino e da ciò deriva il suo nome (serra: chiudere). Abbiamo raggiunto la torre, ciò che rimane dell’antico castello. La torre, che è possibile visitare, ha tre piani, ciascuno costituito da un’unica piccola stanza. Dentro alle stanze vi sono pochi oggetti. All’ ultimo piano c’è una terrazza dalla quale si può ammirare il panorama di tutta la vallata del fiume Archiano, affluente dell’ Arno, nominato anche nella “Divina Commedia” di Dante.


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CAPOLONA DI PIEVE IN PIEVE

PERCORSI DA ESPLORARE 124


SCUOLA PRIMARIA CAMPOLEONE DI CASTELLUCCIO CLASSI 3째,4째 E 5째

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Distanze e mezzi di trasporto: 1 ora e 15 minuti a piedi; 25 minuti in bici; 15 minuti in auto. Numero tappe: 3 Noi alunni della scuola Primaria Campoleone di Castelluccio suggeriamo la visita a tre antichi luoghi di culto nel nostro territorio. 1˚ tappa: cominciamo dalla chiesa di San Michele Arcangelo a Castelluccio. Questa chiesa è stata completamente ricostruita nel 1700, ma la sua origine risale al XIII sec. quando prese il posto della chiesa di San Gennaro, che si trovava nell’Abbazia di Campoleone da cui prese il nome il capoluogo comunale. All’interno viene ancora conservata una statua di epoca medioevale in legno dipinto raffigurante una Madonna con il Bambino. Il nome di San Michele Arcangelo, sacro ai longobardi, ci ricorda della dominazione di questo popolo nell’alto medioevo. 2˚ tappa: da Castelluccio a Pieve a Sietina. (15’ a piedi; 5’ in bici; 3’ in auto). Per raggiungere Pieve a Sietina si passa nei 126

pressi di Vado, anticamente vadum cioè il luogo del guado attraverso l’Arno, che in passato era sorvegliato da un castello. Pieve a Sietina è il luogo più interessante da visitare, perché ha mantenuto la sua forma originaria (IX-X sec.) con molti affreschi risalenti alla fine del XIV sec. e al successivo. Questa antica pieve è dedicata a Santa Maria Maddalena di cui si vede una raffigurazione con capelli lunghissimi mentre prega un angelo nel deserto. Un altro affresco invece è dedicato al martirio di Sant’Agata; rappresenta due pagani dal volto cattivo che con lunghe tenaglie stringono le mammelle della santa. Ci sono altri affreschi che meritano di essere osservati con cura e invitiamo i turisti appassionati di arte a dedicare a questo monumento una visita approfondita anche perché da un punto di vista architettonico presenta delle caratteristiche insolite. Alcuni pensano che dei maestri di Como abbiano voluto provare qui delle nuove tecniche che poi sono state sviluppate nello stile romanico. 3˚ tappa: da Pieve a Sietina alla Pieve di S.Martino sopr’Arno. (1h a piedi; 20’ in mountain bike; 10’


in auto seguendo la SP dello Spicchio). Alle spalle delle pieve parte il sentiero CAI n.47 che attraverso campi, vigne ed oliveti, raggiunge la riva dell’Arno nei pressi del punto in cui il fiume torce il muso agli Aretini, come scriveva Dante, per dirigersi verso Ponte Buriano e il Valdarno. Passando tra boschetti, che si aprono a sorpresa offrendo al viandante meravigliosi sguardi sul fiume e sui trampolieri che lo abitano, si raggiunge San Martino sopr’Arno, dove ha sede un’altra antica pieve. Purtroppo non esistono prove certe della data di costruzione della Pieve di San Martino ma è probabile che sia sorta sul luogo di un tempio romano dedicato al culto di Bacco intorno all’VIII sec. Nel corso del tempo la chiesa è stata più volte ristrutturata e la sua parte più antica è l’abside costruita con bozze di pietra arenaria. Anticamente San Martino, per quanto piccola e isolata, aveva una certa importanza e controllava tutti gli edifici sacri e i mulini nel territorio circostante, mentre ora dipende dalla parrocchia di Capolona. Il capoluogo comunale ha assunto rilevanza soltanto nell’ultimo mezzo secolo e ora la parrocchia principale è quella di Santa Maria della Natività nella piazza del comune. 127


CASTEL FOCOGNANO DALL’ARNO AL PRATOMAGNO: 14 KM DI STORIA

PERCORSI DA ESPLORARE 128


SCUOLA PRIMARIA DI PIEVE A SOCANA CLASSI 4째A E B

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Mezza giornata. Durata dell’itinerario: numero tappe: 3 Mezzo di trasporto: automobile oppure, per gli esperti, bicicletta o cavallo. 1˚ tappa: Pieve a Socana. Il paese di Rassina (il cui nome deriva dall’etrusco Rasini) è il capoluogo del comune, si trova a 24 km a nord di Arezzo, è attraversato dall’Arno e si è sviluppato intorno ad un cementificio e a un’industria di abbigliamento nel ‘900. Se da Rassina attraversiamo il ponte sull’Arno in direzione Ovest, dopo circa 1,5 km, arriviamo a Pieve a Socana, una frazione del comune, dove si trovano importanti reperti archeologici etruschi e romani 130

(vedi “Alla scoperta di Pieve a Socana”). 2˚ tappa: Castel Focognano. Dista circa 3 km da Pieve a Socana, è l’antica sede del comune, oggi piccolo e nobile centro. Le prime notizie di questo antico borgo risalgono all’XI secolo: qui risiedevano delle famiglie nobili, come i Giannellini, i Tarlati e gli Ubertini, che hanno lasciato alcuni bei palazzi. Possiamo ammirare anche le rovine di un castello, di cui rimane la “Torre di Ronda”, che ospita oggi un piccolo ma interessante “Centro di documentazione sulla cultura rurale del Casentino” (aperto tutti i giorni, compresi i festivi, tramite prenotazione alla Pro Loco di C. Focognano, tel. 0575. 592152-335.


1420861). Nel 1778 il granduca Pietro Leopoldo spostò la sede del comune a Rassina, dove si era ormai trasferito il potere economico e politico. 3Ëš tappa: Carda. Salendo le pendici del Pratomagno, dopo 6 km (e molte curve!) arriviamo a Carda, pittoresco villaggio montano a 684 m s.l.m. con una chiesetta, dedicata a S. Flora e Lucilla, che custodisce una Madonna con bambino in terracotta invetriata dei Della Robbia. Carda può essere un punto di partenza per passeggiate verso il Pratomagno.

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CASTEL SAN NICCOLÒ SAPIENZE ANTICHE DELLA VALLE DEL SOLANO

PERCORSI DA ESPLORARE 132


SCUOLA PRIMARIA DI STRADA IN CASENTINO CLASSI 1°, 2°, 3°, 4° E 5°

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Anello in auto di 16 km L’itinerario è dedicato alle attività artigianali che ancora oggi esistono nel nostro territorio e che hanno origini molto antiche. La 1˚ tappa, appena entrati nel comune, è in una fabbrica dove viene prodotta e decorata a mano la ceramica per ricavare moltissimi oggetti. I proprietari si rendono disponibili per una visita guidata nella quale possiamo ammirare l’intero ciclo di lavorazione: dalla stampa, alla cottura per concludere con la decorazione a mano di ogni singolo pezzo. Per la 2˚ tappa proseguiamo verso Strada in Casentino alla scoperta dell’antichissimo mestiere dello scalpellino. Nel paese troviamo

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tre laboratori; in passato l’attività veniva svolta in cava e con un’attenta osservazione del paesaggio possiamo ancora oggi individuarne alcune all’interno del paese. Gli scalpellini lavorano la pietra serena che è grigia e con questa realizzano camini, fontane, lapidi e tante altre cose. Gli strumenti che usano sono antichi: il mazzuolo, la subbia, lo scalpello ecc. .I bambini possono anche provare a scalpellare, ma attenti alle dita! La 3˚ tappa è il paese di Pagliericcio che ha un’antica tradizione legata alla lavorazione del ferro. Possiamo visitare due caratteristiche botteghe di fabbri e osservare la lavorazione a mano del ferro sull’incudine dopo averlo scaldato nella forgia. E’ veramente un’esperienza affascinante!


La 4˚ tappa, poco oltre Pagliericcio, in loc. Mulin Vecchio, è un antico mulino con le macine in pietra che si muovono grazie alla forza dell’acqua del torrente Solano. Il mulino è attivo da più di 400 anni, si respira un’atmosfera magica e un bel profumo di farina. Si può fare una passeggiata lungo il berignolo fino al torrente; l’acqua è pulitissima e ci sono tanti animaletti da scoprire (trote, gamberi e insetti sotto i sassi). La 5˚ tappa è il paese di Cetica dove c’è l’Ecomuseo del Carbonaio. In compagnia degli anziani carbonai del paese possiamo visitare il museo e il villaggio del carbonaio con le capanne e le carbonaie, ascoltare le loro storie di vita, scoprire un antico mestiere che ha rappresentato fino ad alcuni decenni fa la principale attività lavorativa per le popolazioni di montagna. In alcuni periodi dell’anno possiamo assistere alla costruzione e all’accensione di una vera carbonaia per la produzione di carbone vegetale. La 6˚ tappa ci portano a scoprire i laboratori dove viene lavorata in maniera tradizionale la carne di maiale per la realizzazione di salumi tipici della tradizione casentinese. Nel comune ce ne sono due, uno in loc. Barbiano e uno in loc. Prato di Strada. In entrambi è possibile assistere alle diverse fasi di produzione e stagionatura dei prodotti e assaggiare buonissimi salumi! Vi abbiamo presentato un itinerario un po’ magico perché riporta indietro nel tempo, fa vivere delle sensazioni e scoprire delle tradizioni che oggi sono sempre più rare ma che fortunatamente sono sopravvissute nel nostro comune. 135


CHITIGNANO I PILLI DI CHITIGNANO

PERCORSI DA ESPLORARE 136


SCUOLA PRIMARIA GIUSEPPE FRACASSI CLASSI 3째,4째 E 5째

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Durata dell’itinerario: 2 ore circa Numero di tappe: 2 Mezzo di trasporto: automobile e le proprie gambe Vi proponiamo una escursione nelle nostre foreste alla ricerca dei “pilli” per la produzione della polvere da sparo. La produzione della polvere da sparo, più o meno clandestina, è tipica delle aree di montagna, boscose, lontane dal controllo diretto del potere centrale, dove è diffusa la caccia e dove vi sono scarse risorse economiche. Ecco cosa raccontano i vecchi del posto a proposito della “Polveriera dell’Inferno”. Il nome non so proprio chi lo abbia fornito. Certo aveva a che fare con le polveri e non poteva essere più azzeccato. Nei tempi antichi, raccontava il mio nonno, una piccola imprudenza poteva costare la pelle e scatenare l’inferno, come quando 138

scoppiò una “pilla”, e ci furono, così raccontavano quei vecchi, alcuni morti e feriti. Si trattava di una striscia di terra che era ben riparata fino a costituire una piccola valletta, fuori dagli occhi dei curiosi e dei ficcanaso. Anzi c’era chi era pronto a metter in giro, specie per i forestieri, delle voci, che di notte lì “si vedeva e si sentiva”, come se gli spiriti dei polverai morti non avessero pace e si manifestassero come fuochi fatui che correvano e fuggivano. Già, il fuoco… Bisognava stare attenti anche quando faceva freddo ci si imbacuccava da sudare a morte, ma niente fiammelle in giro. Anche per fumare un sigaro o una sigaretta, bisognava allontanarsi lungo il bosco, e fumare di preferenza col fuoco in bocca, perché anche una scintilla poteva essere pericolosa. Guai poi a farlo nei giorni di vento, anche


lì una “luta” poteva incendiare la miscela e far succedere l’inferno per davvero! Occhio e orecchio a tutte le ore e a tutti i momenti”. Alla “Polveriera dell’Inferno”, dove è situato uno dei pilli più grandi, ci si può arrivare facilmente.

sostanze per creare la polvere nera. Lì vi troverete immersi nel silenzio della foresta e capirete perché la gente del posto aveva scelto proprio quell’angolo di paradiso per non farsi sentire da orecchie indiscrete!

1˚ tappa - Da Chitignano prendete la strada che va verso Chiusi della Verna e a circa metà strada trovate l’indicazione proprio per “la Polveriera dell’Inferno”. Lì parcheggiate la vostra automobile e prendete il sentiero che si inoltra nel bosco. Dopo 10 minuti di camminata vi troverete ad attraversare il torrente “Rio” e da lì manca poco per arrivare ad una piccola cascatella dove l’acqua alimentava un maglio (ancora presente ma non più funzionante) che batteva dentro un grande mortaio di pietra, cioè il pillo, dove venivano mescolate le

2˚ tappa - Sempre sulla strada che porta a Chiusi della Verna potete trovare una costruzione con la dicitura “Ecomuseo del Casentino - Museo della polvere da sparo e del contrabbando”. Lì viene illustrato il procedimento, sia manuale che industriale, di produzione di polvere pirica ottenuta miscelando in varie proporzioni carbone, salnitro e zolfo.

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CHIUSI DELLA VERNA COREZZO TRA STORIA E LEGGENDE

PERCORSI DA ESPLORARE 140


SCUOLA PRIMARIA DI COREZZO CLASSI 1°, 2°, 3°, 4° E 5°

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Durata: intera giornata Numero di tappe: dieci Mezzo di trasporto: cavallo Numero di partecipanti: circa quindici Si consiglia di contattare: Rifugio del lupo http://www.rifugiodellupo.it 05751840614 – 0575518255; oppure Agricola Casentinese 0575594806 info@agricolacasentinese.it 1˚ tappa: la Scuola. All’interno della nostra scuola c’è la stanza dell’ecomuseo dove possiamo invitare i nonni che ci raccontano della loro vita, storie e le leggende e ci possono insegnare i lavori del passato così noi li faremo vedere ai bambini degli altri paesi, tipo quelli della città. 2˚ tappa: il Coroglio del Diavolo. Lungo la vecchia strada che da Frassineta conduce a Giona possiamo vedere una cascata di macigni rotolati fino sul ciglio del percorso, questo è il “Coroglio del Diavolo”. La leggenda racconta che il diavolo, passando una notte da queste parti e vedendo il monte della Verna così vicino, pensò di raggiungerlo per tentare San Francesco. Però non poteva calpestare la valle che si trovava nel mezzo: la Vallesanta che, come dice il nome, era terreno proibito per un essere come lui. Pensò bene di costruire un ponte raccogliendo sassi e pietre. Cominciò la sua opera e non fece in tempo a finirla che lo sorprese il giorno, infatti la notte durò solo poche ore grazie all’intervento della “Madonna dei sette dolori” della cappellina di Frassineta. Il “povero” diavolo dovette scappare per un’altra strada e lì rimasero i sassi ammucchiati e aggrovigliati. Infatti il coroglio indica il canovaccio 142


arrotolato che si metteva sopra la testa per appoggiarci le ceste o le fascine di legna. 3˚ tappa: Il Badalischio. Animale mitologico, vari gli avvistamenti in molte zone della vallata. Viene descritto così: grosso come un bambino fasciato, con due zampette così piccole che neppure si vedono e due baffetti sopra la bocca. Alcuni dicono che abbia un diamante sulla testa, altri asseriscono di aver visto un corno sulla fronte e chi riusciva a prenderlo si

sarebbe arricchito perché aveva proprietà magiche. 4˚ tappa: il Castello di Montefatucchio. Sopra l’altura di monte Fatucchio sorgeva un castello di cui sono ancora visibili le mura imponenti. Si narra che sotto il monte ci siano passaggi segreti e tunnel che arrivano fino a Poggio Tre Vescovi. Si racconta che scavando in un punto preciso di cui non si conosce più l’ubicazione si possono trovare tre pentole piene d’oro.

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5˚ tappa: le Nocette. Nella chiesetta veniva custodito un enorme crocefisso in legno con notevoli virtù miracolose. Ogni volta che la siccità colpiva la valle tutti partivano in pellegrinaggio dalle Nocette a Monte Fatucchio e prima ancora di arrivare a casa cominciava a piovere. 6˚ tappa: il Romitorio. Romito di frati costruito lungo la strada maestra per Verghereto. Il luogo era così infestato dagli spiriti che i frati dovettero smontarlo pietra su pietra e ricostruirlo cento passi ad ovest purtroppo senza risolvere il problema.

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7˚ tappa: la Buca del Tesoro. Percorrendo la vecchia strada per Verghereto, raggiunto il passo “Rotta dei Cavalli” svoltiamo a destra e continuando lungo il crinale. Molte sono le grotte, alcune visibili, altre nascoste da quel manto e pericolose, ma la più interessante è “La Buca del Tesoro”. Molte leggende si narrano su questa grotta situata al termine di un canalone. Alcuni raccontano che Annibale, nel suo passaggio dagli Appennini verso il lago Trasimeno, avesse inviato un pugno di uomini a nascondere il tesoro portato con sé per comprare i favori di eventuali alleati. Altri affermano di essere entrati nella buca e di aver visto un salone


con una statua d’oro e qui le opinioni divergono: chi parla di un vitello d’oro, chi di una statua di forma umana con un piatto in mano su cui era posta una moneta, altri ancora sono convinti che l’ingresso di questa grotta sia in realtà l’ingresso dell’inferno. 8˚ tappa: il passo dell’Alpe di Serra. Luogo di transito e di pellegrini con torretta di avvistamento e cimitero. Lì vicino si trova una piccola casupola di pietra molto antica costruita su una roccia. 9˚ tappa: la Buca delle Fate. Viene chiamata anche Artello. Gli abitanti del posto dicono che spesso fuori dalla grotta si vedono dei panni stesi, molto probabilmente di proprietà delle fate che vivono lì dentro. 10˚ tappa: le Terre Rosse. Da qui sgorga un’acqua da tutti considerata più che curativa, infatti fa tornare giovani.

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MONTEMIGNAIO MONTEMIGNAIO AL TEMPO DEL MEDIOEVO

PERCORSI DA ESPLORARE 146


SCUOLA PRIMARIA DI MONTEMIGNAIO CLASSI 1°, 2°, 3°, 4° E 5°

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A piedi 3 km; in auto: 3,5 km. L’itinerario che proponiamo ci permette di spaziare con lo sguardo da un versante all’altro di Montemignaio, toccando i principali monumenti della storia medievale del paese. 1˚ tappa: il Piazzone. La partenza è nel piazzale antistante le mura del castello, detto Piazzone, dove si trova la porta di accesso principale alle mura, aperta per comodità degli abitanti del castello nei secoli successivi al medioevo. Questa piazza in origine era completamente occupata da un profondo fossato difensivo. Una volta entrati, attraverso una breve passeggiata, possiamo osservare la bellezza di un borgo medievale ben conservato con le torri, il lastricato e le case in pietra. Consigliamo di visitare il palagio, che conserva la cisterna, e di soffermarsi alla

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chiesetta di Sant’Agata, caratterizzata da un portale gotico in pietra serena dove c’è un’iscrizione ancora in parte leggibile e l’immagine scolpita di “Agnus Dei”, lo stemma della Corporazione fiorentina dell’Arte della Lana. E’ possibile inoltre percorrere tutta la cerchia muraria godendo di un bellissimo panorama verso il Pratomagno. Usciti dalle mura del castello ci incamminiamo tornando verso la strada principale. Prima di immettersi in questa, sulla sinistra, troviamo il sentiero CAI n. 27 che ripercorre l’antica viabilità. Scendiamo attraverso questo fino ad incontrare nuovamente la strada principale . 2˚ tappa: Pieve di Santa Maria Assunta. Arriviamo così alla Pieve romanica di Santa Maria Assunta che possiamo visitare ammirando la struttura,


i capitelli e le opere tra le quali segnaliamo in particolare la terracotta robbiana policroma di Benedetto Buglioli “Madonna con il Bambino e i Santi”. Proseguiamo verso la loc. Mulino, dove fino a qualche anno fa era attivo un mulino ad acqua. Proseguiamo attraversando lo Scheggia e percorrendo la strada verso valle. Seguiamo sulla destra le indicazioni che portano alla frazione di Forcanasso, piccolo borgo in pietra dal quale passava l’antica viabilità. 3˚ tappa: ponti e selciati antichi. Seguendo il selciato ritorniamo nella strada principale per poi scendere subito sul torrente e incontrare il ponte romanico sul Pistiano, torrente dalle acque limpidissime ricco di vita dove è possibile avvistare trote e gamberi di fiume. Il ponte è stato recuperato alcuni anni fa e rappresenta un bell’esempio di piccolo ponte romanico a schiena d’asino. Da questo diparte un altro tratto di viabilità che attraversa nuovamente la strada per salire fino a raggiungere una maestà detta “Di Picche” nella quale erano soliti soffermarsi in preghiera gli antichi viandanti. Proseguendo lungo il ben conservato selciato incontriamo un interessante ponte a mensola tardo medievale. In poco tempo il percorso ci permette dunque di scoprire la storia del paese e di avventurarsi nel suo paesaggio.

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ORTIGNANO RAGGIOLO ORTIGNANO RAGGIOLO TRA CASTAGNI E MULINI

PERCORSI DA ESPLORARE 150


SCUOLA PRIMARIA DI SAN PIERO IN FRASSINO CLASSI 1°, 2°, 3°, 4°E 5°

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Raggiolo appare improvviso al visitatore immerso nell’ampia foresta circostante e sembra dominare la valle; presenta tutte le caratteristiche del paese montano casentinese. Durata: 2 ore all’incirca. Mezzo di trasporto: passeggiata a piedi. 1˚ tappa: Ponte dell’Usciolino. Il ponte è stato recentemente restaurato e sovrasta la pozza di acqua chiara del torrente Teggina; un tempo permetteva il collegamento di Raggiolo con Quota. 2˚ tappa: Il Mulino e gli antichi opifici. Nella zona bassa di Raggiolo c’erano le fucine per la lavorazione del ferro poste sul Barbozzaia, affluente del Teggina (l’acqua del fiume forniva

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l’energia per azionare pesanti magli, mentre il legname, usato come combustibile, permetteva la lavorazione del metallo). 3˚ tappa: Il Museo della castagna allestito all’interno di una tipica casa in pietra ristrutturata dove, attraverso attrezzi di lavoro, pannelli e una sezione multimediale è possibile ripercorrere un viaggio nel tempo intorno alla civiltà del castagno. 4˚ Tappa: Muro delle parole dimenticate. Vicino alla fontana del paese, che rappresentava anche la piazza, è visibile il Muro delle Parole Dimenticate dove gli antichi e ormai tramontati vocaboli di piccoli animali nel vernacolo locale, riaffiorano tra le pietre grazie alle abili mani di uno scalpellino.


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5˚ tappa: Il Seccatoio con forno. Proseguendo lungo la via Piana troviamo un forno-seccatoio, dove il forno da pane veniva utilizzato anche per l’essiccazione delle castagne.

Raggiolo”) dove annualmente, per la festa della castagnatura, gli alunni della scuola Primaria di San Piero in Frassino raccontano, intorno al fuoco, storie e fiabe inerenti le castagne.

6˚ Tappa: Il Seccatoio stalla. Per far affrontare il lungo inverno agli animali la stalla veniva ubicata al di sotto del seccatoio.

8˚ Tappa: Il Mulino di Morino. Dal seccatoio si scende verso il torrente Barbozzaia fino al Mulino di Morino, da poco ristrutturato, dove è possibile assistere alle diverse fasi di molitura delle castagne.

7˚ Tappa: Il Seccatoio Ecomuseo. Continuando il nostro cammino, sempre a piedi, giungiamo al Seccatoio del Cavallari, (riportato in attività grazie all’Associazione “La Brigata di

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POPPI ITINERARIO CAMALDOLESE

PERCORSI DA ESPLORARE 156


SCUOLA PRIMARIA DI PONTE A POPPI CLASSI 2째 A, B E 4째 A, B

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Dato che nel 2012 ricorre il millenario dell’ordine dei monaci camaldolesi fondato da San Romualdo, noi scolari di quarta della scuola primaria di Poppi, il 16 novembre 2011 abbiamo fatto una gita di mezza giornata con un pullman per visitare alcune zone in cui sono evidenti i segni di questo ordine. 1˚ tappa. Ci siamo fermati alla rotonda di Ponte a Poppi, dove proprio in questi giorni, è stato sistemato un monumento di arte moderna. E’ una colonna di bronzo che termina con un calice al quale si abbeverano due pavoni che rappresentano la regola dei monaci camaldolesi: hora et labora cioè prega e lavora. 2˚ tappa. Ci siamo fermati al Porto dove recentemente è stato ristrutturato un vecchio edificio ed è stato adibito ad abitazioni e negozi tra cui anche un ristorante. L’importanza storica di questo

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luogo è dovuta al fatto che anticamente era un porto fluviale: i tronchi degli abeti delle Foreste Casentinesi partivano da qui e, grazie alla forza dell’acqua, arrivavano a Firenze e a Pisa per raggiungere successivamente località molto lontane. 3˚ tappa. A Camaldoli, ambiente molto suggestivo, abbiamo visitato la foresteria, i due chiostri, la chiesa in stile Barocco dove ci sono importanti opere dell’artista Vasari e l’antica farmacia in cui i monaci lavoravano piante medicinali per curare i malati. 4˚ tappa. L’Eremo di Camaldoli è circondato da un muro di sasso e intorno ha una corona di abeti bianchi secolari. Noi abbiamo visitato la chiesa Barocca, l’aula capitolare, la piccola cappella con una meravigliosa terracotta robbiana e la cella di San Romualdo dove il Santo trascorreva le sue giornate di studio, lavoro e preghiera.


5Ëš tappa. A Moggiona, piccola frazione del nostro comune immersa interamente nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, è possibile visitare il Museo del Bigonaio e la graziosa chiesa dedicata ai santi Jacopo e Cristofano. 6Ëš tappa. Ad Agna, piccolissima frazione, si trova la chiesetta di San Bartolomeo recentemente ristrutturata che vale proprio la pena di essere visitata. Noi,

per sollecitare la vostra curiositĂ , abbiamo fatto solo una brevissima panoramica delle nostre bellezze naturali e artistiche, ma se decidete di fare una gita durante la bella stagione percorrendo anche delle tappe a piedi o in bicicletta vi assicuriamo che le sorprese saranno infinite. Buon divertimento!

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PRATOVECCHIO LA VIA DEI LEGNI DELL’OPERA DEL DUOMO DI FIRENZE

PERCORSI DA ESPLORARE 160


SCUOLA PRIMARIA DI PRATOVECCHIO CLASSI 1°, 2°, 3°, 4°E 5°

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Le foreste del Crinale Appenninico Tosco-Romagnolo, sotto il controllo di Firenze dalla fine del Medioevo, rappresentarono un eccezionale luogo di reperimento del legname destinato ai cantieri edili e navali del governo fiorentino. Si hanno notizie certe che già dal 1398 la comunità di Pratovecchio aveva stipulato un contratto con l’Opera di Santa Maria del Fiore per fornire legname per la costruzione della cattedrale fiorentina. L’itinerario che proponiamo è dedicato proprio alla riscoperta di una di queste antiche vie usata per il trasporto del legname, tramite buoi, dalle abetine di alta quota fino al fondovalle. I legni, giunti nei pressi dell’Arno, venivano collegati a formare lunghe zattere detti foderi e spediti “via acqua” nei mesi primaverili quando l’Arno si “ingrossava” in conseguenza dello scioglimento delle nevi. Gli zatteroni erano guidati da alcuni uomini servendosi di lunghi bastoni di legno. Il viaggio alla volta di Firenze durava circa dieci giorni. I legnami, trovavano impiego nella costruzione di chiese e palazzi delle grandi città. Anche

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gli alberi maestri di molte navi che partivano da Livorno o da Pisa, venivano trasportati “via acqua” dai porti fluviali casentinesi. La pratica della fluitazione si protrasse fino al 1840. Durata: una giornata circa Mezzo di trasporto: a piedi 1˚ tappa: il porto della Badia di Pratovecchio. Il percorso prende avvio dalla località La Badia, alla confluenza del torrente Fiumicello con l’Arno. In quest’area c’erano l’antico porto fluviale e il palazzo del ministro che sovrintendeva


alle spedizioni. Da qui il percorso procede risalendo il torrente Fiumicello. 2˚ tappa: il Mulino di Valiana. In questa località vi erano alcuni opifici ad acqua quali un tornio per la lavorazione del legno e un mulino da grano e castagne. Quest’ultimo edificio è ancora ben conservato. Non lontano dal mulino c’è la chiesa di San Romolo a Valiana dove si conserva un opera di scuola fiorentina del XIV secolo, rappresentante episodi e personaggi della Passione. 3˚ tappa: Casalino. Gli abitanti della montagna erano impiegati nelle operazioni di trasporto del legname per conto dell’Opera del Duomo di Firenze. Dal piccolo borgo la salita continua attraverso antichi poderi abbandonati fino alla zona boscata all’interno del Parco Nazionale.

dalla bordatura dei due lati della via con pali di faggio detti “bordoni”. In questo modo veniva creata una sorta di pista obbligata. 5˚ tappa: il crinale appenninico (Giogo Secchieta). Il crinale costituiva, nell’ambito delle vie di esbosco, la linea di raccordo dei vari percorsi che “a pettine” scendevano lungo i due versanti, oltre ad essere un fondamentale punto di tappa nelle operazioni di trasporto del legname. Il percorso termina qui oppure può proseguire scendendo verso la località de “La Lama”.

4˚ tappa: Croce Gaggi (non lontano da Camaldoli). Il trasporto dei tronchi in discesa era molto pericoloso. Un accorgimento usato era costituito

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STIA LA VIA DELL’ACQUA

PERCORSI DA ESPLORARE 164


SCUOLA PRIMARIA DI STIA CLASSI 1°, 2°, 3°, 4°E 5°

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Durata: una giornata circa Mezzo di trasporto: automobile Il territorio di Stia è da sempre stato legato a questo prezioso elemento. Lo stesso toponimo “Stia”, di origine latina, nasce dalla contrazione del nome del torrente Staggia. L’insediamento nacque alla confluenza di due corsi d’acqua lungo un’antica direttrice viaria che dal Casentino conduceva in Mugello. Con questo itinerario proponiamo un percorso alla scoperta degli aspetti culturali, storici ed economici legati alla risorsa acqua. 1˚ tappa: Mulin di Bucchio. Iniziamo il percorso a monte di Stia, in corrispondenza del primo mulino ad acqua sull’Arno: Mulin di Bucchio. Oltre all’attività di molitura portata avanti per oltre 700 anni dalla famiglia Bucchi, il mulino è stato anche sede di un’importante troticoltura. Il mulino ha funzionato regolarmente fino al 1955 ed oggi è interessato da particolari azioni di valorizzazione da parte dei proprietari. 2˚ tappa: Canto alla Rana. Scendendo a valle, sulle rive dell’Arno, a pochi passi dal centro storico, è situato il Parco Comunale del Canto della Rana. 166

Durante la stagione estiva diventa il principale luogo di ritrovo di bambini e giovani che vi accorrono per fare il bagno. 3˚ tappa: Piazza Tanucci. Dall’Arno si raggiunge facilmente il centro storico del paese con la bella piazza Tanucci, l’antico mercatale dove è ubicata anche la pieve di Santa Maria Assunta. Nella parte alta della Piazza, con i suoi tipici portici, è ubicata una fontana da cui scorga un’acqua sempre fresca. 4˚ tappa: il complesso del Lanificio. Dalla piazza, attraverso il vicolo dei berignoli, superati il Museo del Bosco e della Montagna e Il Museo dello Sci, si giunge in prossimità dello Staggia e quindi dello storico complesso del Lanificio di Stia, strettamente legato allo sfruttamento dell’energia motrice ricavata dall’acqua. Le costruzioni sono state interessate da un intervento di recupero e alcuni spazi sono stati destinati alla realizzazione del Museo dell’Arte della Lana. 5˚ tappa: il Parco termale e l’acqua di Calcedonia. Dal Lanificio, superato lo Staggia per mezzo


di una moderna passerella, si arriva al Parco Termale ove può essere assaggiata l’acqua di Calcedonia. L’acqua di Calcedonia, condotta a valle, sgorga dalle pendici del Monte Falterona, a circa 1200 metri di altitudine. L’acqua, per la sua composizione chimica, rientra nel gruppo delle acque oligominerali bicarbonatealcaline. 6˚ tappa: Casa Giani e troticoltura Pucini. Rinfrescati dalle acque di Calcedonia, si procede in direzione del Passo della Calla. In corrispondenza del primo abitato “Casa Giani”, può valer la pena fare una sosta per osservare i canali che ancora raccolgono e convogliano le acque verso valle. Poco più avanti è presente una troticoltura nata in

corrispondenza di un antico mulino dove è possibile cimentarsi con la pesca alle trote. Per chi volesse poi continuare il percorso verso altre tappe, particolarmente significative, del “viaggio” intorno all’acqua, consigliamo di raggiungere in auto, una volta attraversato il paese di Papiano, la “Maestà di Montalto”. Da qui, dopo circa 7 ore di cammino, con un dislivello di 800 mt, si raggiunge il “Lago degli Idoli”. In questa località, nella prima metà dell’Ottocento fu rinvenuta un’importante stipe votiva etrusca, composta da innumerevoli bronzetti. A poche centinaia di metri da qui, si può raggiungere “Capo d’Arno” ed infine conquistare anche la cima del Monte Falterona.

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SUBBIANO I MULINI DI FALCIANO

PERCORSI DA ESPLORARE 168


SCUOLA PRIMARIA SANDRO PERTINI CLASSI 2째 E 5째

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Subbiano è un bellissimo paese ed offre molti luoghi belli da visitare. Noi vorremmo suggerirvi un itinerario culturale molto interessante: “I MULINI DI FALCIANO”. Falciano è una frazione di Subbiano e dista dal paese solo tre chilometri. Si parte da Subbiano e si prosegue verso nord; all’uscita dal paese si passa accanto al fiume Arno poi si gira a destra e si sale su fino a Falciano. Questa piccola frazione è importante per la presenza di quattro antichi mulini ad acqua. I mulini sono vicini tra loro e utilizzano tutti la stessa acqua canalizzata dal torrente che scorre poco lontano; attualmente solo due sono in funzione, perché grazie alla famiglia Mattesini sono stati restaurati e mantenuti funzionanti, degli altri due sono rimasti solo alcuni resti. I mulini di Falciano funzionano grazie alla forza dell’acqua. L’acqua viene attinta dal torrente Chiassa attraverso il berignolo, un piccolo canale che porta l’acqua nel bottaccio dove viene raccolta. Nel bottaccio si mettono a stagionare per molti anni dei pezzi di quercia che serviranno per costruire le nuove pale e ritrecine, quando diventeranno inutilizzabili. L’acqua dal bottaccio viene portata con dei tubi sotto al mulino e quando si fa scorrere fa ruotare le pale e il ritrecine. Il ritrecine è collegato con le macine che ruotano e ruotando macinano le castagne secche che cadono una ad una dalla tramoggia. I mulini di Falciano oltre alle castagne macinano anche il granturco ed il grano. Le castagne prima di poter essere macinate si fanno seccare nel seccatoio. Il seccatoio è una piccola casina in pietra con una finestra in alto. Le castagne si portano su con la scala e si buttano dentro. Sotto la finestra 170


ci sono dei rami lunghi e sottili legati insieme che formano il canniccio su cui si appoggiano le castagne. GiĂš sul lastricato si accende il fuoco e con il calore lentamente le castagne si seccano. Dalle castagne macinate si ottiene una farina profumatissima e dolce con cui si possono preparare alcune

ricette, le mugnaie Angiolina e Loretta, proprietarie dei mulini, ci hanno consigliato la ricetta del baldino un piatto buono, semplice e facile da preparare. Noi l’abbiamo provato e lo consigliamo anche a voi. Seguite la ricetta in “Sapori da non dimenticare� a pag. 108!

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TALLA LUNGO LA VIA DEL MEDIOEVO

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SCUOLA PRIMARIA DI TALLA CLASSI 3째,4째 E 5

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L’itinerario propone una cavalcata immersa nel verde, nei boschi più suggestivi e affascinanti delle foreste casentinesi unendo storia e natura in un unico connubio fatto di luci, colori e romantici ruderi medievali. Durata: 4h 15min Numero di Tappe: 6 più cinque emergenze storiche Mezzo di trasporto: cavallo www.fattoriailginepro.it In alternativa Durata: 8 Numero di Tappe: 6 più cinque

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emergenze storiche Mezzo di trasporto: asino www.gliamicidellasino.it 1˚ tappa: Talla. Dominata dalla Castellaccia (nucleo originario del paese), dove si trova una caratteristica chiesa medievale, la casa natale di Guido Monaco, sede attuale del museo della musica. 2˚ tappa: Capraia. Si trova a 6 km di distanza da Talla, particolare è la precisione architettonica che segue le


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linee delle mura medievali del castello un tempo legato a quello più importante di Pontenano. Interessante è la visita alla chiesa dove è custodita una madonna in terracotta proveniente da Badia Santa Trinita in Alpe. Percorrendo un piccolo e ripido sentiero possiamo scorgere l’antico ponte di Sasso. 3˚ tappa: Pieve di Pontenano. A 2,5 km da Capraia troviamo questo piccolo Borgo medievale che si caratterizza per la Chiesa e il suo elegante campanile a vela. Interessante è la Madonna, scolpita dai devoti in un tronco di castagno adiacente alla Chiesa. 4˚ tappa: Pontenano. A 3 km da Pieve Pontenano incontriamo un nucleo di case il cui paesaggio lascia davvero senza fiato. Da non dimenticare la sua importanza storica per essere

stata sede di uno dei castelli più noti del Pratomagno. 5˚ tappa: Badia Santa Trinita. A 5 km da Pontenano sotto il monte Lori, attraversando boschi e seguendo il percorso del fosso di Capraia, sorgono i resti dell’antica Badia di Santa Trinita in Alpe. 6˚ tappa: Faltona. A 5 km da Badia Santa Trinita. Elemento caratteristico di questo paese sono le maschere apotropaiche, (dal greco “apotrepein” significa allontanare), sculture in pietra poste vicino ai punti di accesso della casa come porte e balconi. L’uso di queste decorazioni, oltre ad essere elemento di ornamento, era considerato in grado di scacciare gli spiriti maligni grazie alle loro corna e linguacce.

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Finito di stampare nel mese di maggio 2012 presso la tipografia editrice Polistampa di Firenze


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