Primo itinerario
Il Casentino. Territorio, storia e viaggi
I castelli del Casentino
e più antiche tipologie insediative nel Casentino, come in tutta la Toscana, risalgono all’alto medioevo e sono legate all’organizzazione del territorio connessa con le strutture economiche e socio-politiche del feudalesimo. Il castello ne fu la tipica espressione sul piano insediativo: dai più antichi esempi, riferibili a prima del 1050 e da rapportare ai rappresentanti del potere pubblico (i vescovi aretini e i conti Guidi), ai castelli di gruppi familiari locali, per lo più feudalmente legati a famiglie comitali che nacquero a partire dal XII secolo. La base economica della società feudale era costituita dalla grande proprietà fondiaria, imperniata sulla curtis con le terre divise in una pars dominica, gestita direttamente dal signore e in una pars massaricia, divisa in mansi e data in uso ai servi. I coltivatori che lavoravano le terre ricevute in concessione vivevano in piccoli e piccolissimi villaggi (villae nel linguaggio medievale), che costituivano la forma insediativa più diffusa nell’alto medioevo. Il tipo di insediamento corrispondente alle sedi signorili fu invece il castello (castrum nelle fonti medievali), frutto spesso della fortificazione di una curtis, al centro della quale stava la residenza del signore, riconoscibile per i suoi caratteri architettonici di maggior rilievo. Nelle aree montane, come il Casentino, date le spiccate caratteristiche difensive del territorio, saranno fortificate anche le curtes meno importanti: di qui il gran numero di castelli che caratterizza la regione, costituiti talvolta da un grappolo di case racchiuse da un circuito murario. Riferibili per lo più alla seconda metà del XII secolo, costituiranno dei veri e propri “sistemi” di castelli facenti capo a una delle consorterie signorili che tra il X e l’XI secolo si affacciarono nella storia casentinese: l’episcopio aretino, gli Ubertini, alcune nobili famiglie locali e soprattutto i conti Guidi, che emergevano per potenza territoriale e militare. Signori di terre e di monti selvosi, “selvatici”, come alcuni di essi si soprannominarono, i conti Guidi rimasero sempre estranei alla città e alla vita cittadina, le loro sedi d’elezione rimanendo rustiche e montane, magari sedi sontuose e superbe, come quella di Poppi, che fu insieme castello e palazzo. La posizione topografica dei castelli, preferibilmente di altura, talvolta era anche strategicamente fondamentale per il controllo della viabilità, specie riguardo alle strade che conducevano ai passi montani: vedi il rapporto tra i castelli di Romena e Castelcastagniaio con il valico della Consuma, dei castelli di Serra e di Montefatucchio con il passo dell’Alpe di Serra, del castrum di Subbiano con l’accesso meridionale alla vallata casentinese. Molto varia è la consistenza dimensionale, formale e funzionale dei castelli: in genere la cinta difensiva è formata da cortine murarie di notevole altezza, intervallate da torri a pianta quadrangolare o poligonale, con il lato rivolto all’interno aperto per consentire il movimento degli uomini armati. Le torri sono distribuite a intervalli regolari lungo le mura e in corrispondenza delle porte diventano più alte
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Alberta Piroci Branciaroli
e robuste, oltre a essere dotate di dispositivi atti ad accrescere la resistenza agli assalti. Mura e torri erano originariamente dotate di merli allo scopo di difendere coloro che si muovevano sui camminamenti pensili di legno. All’interno, nel punto più elevato, sorgeva il cassero, un torrione che costituiva l’estremo ricetto dei difensori e che poteva servire anche da deposito per le vettovaglie. Le murature, di forte spessore, erano costruite “a sacco”, constavano cioè di due cortine di pietre disposte a filari, che racchiudevano pezzame di pietra misto a malta. Nel luglio 1440 anche il castello di Poppi finì nelle mani di Firenze, come in precedenza era avvenuto, l’uno dopo l’altro, per tutti gli altri castelli casentinesi dei numerosi rami che componevano la prosapia dei conti Guidi. Venne così meno l’ultimo emblema di una famiglia che più di ogni altra aveva contribuito all’incastellamento della regione. Più che una conseguenza dell’espansione politica fiorentina o delle infinite divisioni e suddivisioni patrimoniali all’interno della casata, la fine della potenza dei conti Guidi, come degli altri potentati feudali del Casentino, fu dovuta alla progressiva azione della borghesia cittadina che, erodendo i patrimoni terrieri, minò la struttura politico-sociale e la base territoriale del feudalesimo. Il conflitto tra società feudale e società comunale, iniziatosi a manifestare in Casentino forse più tardi che altrove, ma comunque già negli anni a cavallo tra il XII e il XIII secolo, con il tempo determinerà Poppi
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tutta una serie di rilevanti mutamenti nell’organizzazione territoriale, specie a livello di tipologie insediative. All’origine delle trasformazioni fu la forte espansione demografica che interessò sia i villaggi che i castelli e che si accompagnò ovunque a una generale fioritura della vita economica e sociale: da tutto ciò conseguì il processo disgregativo delle rigide strutture del sistema curtense, che per la loro stessa natura non contemplavano possibilità di sviluppo. Sul piano insediativo si verificò la formazione dei borghi, agglomerati che sorsero come per gemmazione attorno a un nucleo originario costituito per lo più da un castello, oppure a una certa distanza da esso, in corrispondenza di nodi viari in qualche modo vocati a divenire luoghi di mercato. Fu il caso, quest’ultimo, dei borghi di Stia, Pratovecchio, Ponte a Poppi e Strada, nati come “mercatali” dei castelli di Porciano, Romena, Poppi e Castel San Niccolò. I borghi casentinesi supereranno ben presto per consistenza urbana e demografica i vecchi centri castellani e si distingueranno per la vitalità economica dei propri abitanti, dediti prevalentemente ad attività mercantili e artigianali. Ne conseguirà quella che è stata definita l’“incastellatura tre-quattrocentesca”: divenuti i luoghi di maggior concentrazione della popolazione, i borghi, per ovvi motivi politici ed economici, verranno dotati di adeguate strutture di difesa (circuiti murari con torri). Nacquero così le “terre murate”, come a partire dal tardo medioevo verranno chiamati i centri più cospicui e più popolati della regione: da Poppi a Bibbiena, da Castel San Niccolò a Stia. La fine del sistema curtense determinerà anche la diffusione, a latere dei villaggi, degli insediamenti isolati, “su podere”, per il progressivo sostituirsi della moderna struttura agraria a base poderile al vecchio modo di produzione tipico della società feudale. Il fenomeno è da imputare in primo luogo al dinamismo del ceto cittadino, che lentamente erose, si è detto, le grandi proprietà feudali e che, disponendo di capitali, fu in grado di “costruire” i poderi. Ma non va sottovalutata la contemporanea azione di una borghesia “autoctona” di proprietari campagnoli forniti di terre, che era emersa dalla folla dei piccoli coltivatori. Le case poderali nelle campagne, assieme alla nascita delle “terre murate”, costituiranno a livello insediativo gli aspetti più significativi del nuovo assetto del territorio, contribuendo in maniera determinante alla formazione dei caratteri del “tradizionale” paesaggio toscano. Nel nucleo medievale di Castel San Niccolò, ospitato nei locali della cappella dedicata al Santo Patrono, è il Museo della Civiltà Castellana, uno dei sistemi con cui è organizzato l’Ecosistema del Casentino. Il percorso museale è indirizzato a illustrare il processo dell’incastellamento della vallata casentinese, l’organizzazione, i momenti significativi del quotidiano e lo svolgersi della vita oltre le mura del castello. Uno degli elementi distintivi del territorio casentinese, è rappresentato dalle numerose testimonianze architettoniche fortificate a difesa “piombante” risalenti al periodo medievale: si tratta del sistema dei castelli (un castello per ogni piccolo borgo e un borgo per ogni singolo castello). Il territorio del Casentino era diviso in feudi appartenenti ai conti Guidi, ai Tarlati, agli Ubertini o alla Chiesa, al centro dei quali era situata un’opera fortificata di potere politico-militare. Si deve a Chris Wickham la suddivisione in quattro fasi del fenomeno dell’incastellamento, universalmente condivisa oltre che confermata dai più recenti studi basati sulle fonti materiali. Primo itinerario
Castello dei Della Fioraia
Al periodo più antico, prima del 1050, appartengono i castelli definiti castra la cui edificazione è opera di rappresentanti del potere pubblico: conti Guidi e vescovi aretini. Queste fortificazioni non modificarono la qualità del potere esercitato dai loro fondatori né mutarono la condizione economica. Alla seconda fase appartengono i castelli attestati nel cinquantennio a cavallo dell’anno 1100; si tratta di fondazioni laiche non direttamente connesse al potere istituzionale ma dovute all’iniziativa di gruppi familiari locali di proprietari liberi o legati feudalmente a qualche abbazia, alle famiglie comitali o principalmente al vescovo di Arezzo. I possessori poterono formalizzare la propria preminenza locale, grazie al controllo di un castello. La terza fase si colloca cronologicamente nella seconda metà del secolo XII, quando le proprietà terriere laiche ed ecclesiastiche si avviarono ad essere trasformate in signorie e vennero fortificate nei loro nuclei insediativi o strategici: si crearono così veri e propri sistemi di castelli che comprendevano le precedenti fondazioni. Gli esponenti delle principali casate, gli Ubertini e i Guidi, furono i protagonisti indiscussi di questa trasformazione. Nell’ultima fase che comprende il secolo XIII, alcuni castelli vennero riedificati e alcuni abitati aperti, furono fortificati; nacquero i borghi annessi ai castelli e il cassero che garantiva la sicurezza dei signori. La struttura piramidale di Romena, Castel San Niccolò, Porciano, Poppi e Bibbiena, è la testimonianza dell’avvenuto mutamento della funzione del castello che, se nelle fasi precedenti aveva svolto funzioni militari e politiche, ora nella fase duecentesca, svolgeva anche funzione di centro demografico e di riferimento per le attività economiche. I numerosi insediamenti fortificati sono da riferirsi da un lato alla necessità di controllo politico- amministrativo e di presidio militare del territorio e dall’altro alle possibilità di sfruttamento delle attività agricole e commerciali. Si tratta infatti di insediamenti situati nelle vicinanze di un corso d’acqua e in alture o colline tali da non superare mai i cinquecento/seicento metri sul livello del mare per avere intorno una parte di bosco, di prato e di terreno per le coltivazioni. Lo Il Casentino. Territorio, storia e viaggi
sfruttamento delle varie attività agricole è la conseguenza del sistema feudale e queste caratteristiche sono comuni a cittadine come Bibbiena, Poppi e a piccoli villaggi come Lierna, Porciano. La posizione topografica dei castelli del Casentino, preferibilmente di altura, era strategicamente fondamentale anche per il controllo della viabilità. I passaggi montani di accesso alla valle, vennero protetti da un castello: la Consuma da Castelcastagnaio e da quello di Romena, il passo di Serra dal castello omonimo e da quello di Montefatucchio e più tardi di Serravalle e a sud, l’entrata alla valle, era protetta dal castrum di Subbiano. Molto varia risulta la consistenza formale e funzionale di queste strutture architettoniche: la cinta fortificata era formata da cortine murarie di notevole altezza, intervallate da torri a pianta quadrangolare o poligonale con il lato rivolto all’interno aperto, tale da consentire il movimento degli uomini armati. Torri e torricelle erano distribuite ad intervalli regolari sulle cortine; in corrispondenza delle porte, le torri erano più alte e robuste e dotate di dispositivi atti ad offrire resistenza agli assalti dei nemici. Le torri e le mura erano completate da merli per difendere i soldati che si muovevano sui camminamenti pensili in legno. All’interno, nel punto più elevato, sorgeva il cassero, costruzione a forma di parallelepipedo, nato come deposito di vettovaglie e come riparo per il bestiame. Le murature erano costruite con l’opera a sacco caratterizzata da due cortine che racchiudevano pezzame di pietra misto a malta, realizzate con pietre locali e disposte a filari orizzontali. Solo alcuni castelli erano abitati stabilmente e in quel caso il cassero si trasformava in palazzo padronale come a Poppi, Castel San Niccolò e Porciano. Nelle strutture destinate a residenza trovavano posto anche case e capanne per i servi e i laboratori artigiani come il fabbro, il falegname, il maniscalco. All’interno del castello signorile, a ridosso delle mura castellane, erano presenti terreni coltivabili per consentire la sopravvivenza anche in casi di prolungato assedio. Il fenomeno dell’incastellamento portò alla nascita dei villaggi: intorno al castello spesso sorgeva il borgo cioè il villaggio dove viveva e lavorava il popolo. Altro elemento caratterizzante i borghi era il mercatale, la grande piazza in cui si svolgevano le attività di scambio di prodotti come Stia, mercatale di Porciano o Strada, mercatale di Castel San Niccolò.
Castelfocognano
I CASTELLI DELL’EPISCOPIO ARETINO E DELLE NOBILI FAMIGLIE LOCALI I vescovi aretini avevano assunto il titolo di episcopus et comes sin dal 1059, unificando la carica ecclesiastica e quella laica ed eliminando così la figura del conte rappresentante imperiale. I loro presidi forPrimo itinerario
tificati erano localizzati nel versante di sinistra dell’Arno e nelle valli degli affluenti, Corsalone e Archiano. A est arrivavano fino all’Alpe di Serra, a nord fino a Camaldoli e Prataglia. A sud, l’episcopio aretino presidiava l’ingresso alla valle con il castello di Subbiano. È in questa zona che è documentato il primo castrum del Casentino, Marciano, fondato dal vescovo di Arezzo cui andranno ad aggiungersi Bibbiena, Montefatucchio, Gressa e Serravalle. Dei venti castra fondati tra l’XI e il XII secolo, quattro appartenevano all’episcopio aretino: Gressa, Bibbiena, Moggiona, Montefatucchio. Attraverso la fondazione di centri monastici come a Prataglia o approvando con una donazione la nascita del cenobio di Camaldoli, gli episcopi aretini cercarono di mantenere il controllo politico sulla valle. La piccola nobiltà locale ebbe un certo peso politico ed economico, considerate le cospicue donazioni documentate ai monasteri casentinesi. Dalla fine del secolo XI alcuni di questi nuclei familiari cominciarono a possedere porzioni di castelli localizzati nella zona d’influenza vescovile, cosa che fa supporre un legame di dipendenza tra la piccola nobiltà locale e i vescovi aretini. I boni homines (appartenenti alla piccola nobiltà locale) erano testimoni nelle assemblee presiedute dal vescovo aretino o da un suo rappresentante e la loro presenza era a garanzia delle decisioni prese. Tra il secolo XI e XII, sette castelli risultavano di proprietà di nobili laici: Banzena, Gello, Serra, Soci, Partina e Lorenzano. Erano situati lungo la riva sinistra dell’Arno, nella zona d’influenza episcopale, nei pivieri di Santa Maria di Partina, Sant’Ippolito di Bibbiena, Sant’Antonino di Socana e San Felice di Subbiano e i vescovi risultano proprietari di porzioni di detti castelli. La piccola nobiltà locale era legata all’episcopio aretino ed è da ipotizzare che fossero stati proprio i vescovi ad assegnare porzioni delle loro fortezze a questi potenziali vassalli. Nel giro di pochi decenni la situazione cambiò e tutti i castelli privati divennero, attraverso donazioni, beni del monastero di Camaldoli che già nella prima metà del XII secolo risulta possessore di sei castra. L’indipendenza che Camaldoli assunse nei rapporti dell’episcopio aretino, fu dovuta forse anche a questa nuova situazione. A sud del Casentino, Castelnuovo, posto all’imbocco della vallata, in un documento del 1022, risulta di proprietà dell’Abbazia delle Sante Flora e Lucilla di Arezzo. Durante il periodo delle guerre comunali, il castello fu conquistato dai fiorentini che lo cedettero alla nobile famiglia dei Della Fioraia. L’architettura presenta un’alta e massiccia torre quadrata con coronamento aggettante a beccatelli, circondata da un ampio recinto fortificato; la corte interna è l’elemento che più mantiene inalterato il carattere medievale. L’impianto originario è stato oggetto di numerose trasformazioni. Subbiano, collocato su un promontorio roccioso che sporge sul fiume Arno, è documentato fin dal 1064 come possesso della famiglia dei Filii Feralmi, nobili locali, vassalli del vescovo di Arezzo, gli stessi che ebbero in parte la proprietà del castello di Soci. Nel 1079, il castello è citato per la prima volta e nel 1081 risulta possesso vescovile. L’importanza del castrum è dovuta alla sua posizione dominante il passaggio dell’Arno in un punto dove era collocato un ponte, nella zona d’accesso alla vallata casentinese. Nel 1384 fu sottomesso alla Repubblica di Firenze. Dell’antica fortificazione rimane oggi, dopo accurato restauro, la torre a pianta rettangolare; la coronazione a merli della sommità è aggiunta di un recente restauro. Lorenzano è situato su un’altura lungo la sponda sinistra dell’Arno alla confluenza con il tor
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rente Zenna. L’abitato appartenuto alla piccola nobiltà locale della famiglia dei Filii Guinildi, compare come castello in un documento del 1111. La famiglia era legata da legami di vassallaggio all’episcopio aretino. I documenti ricordano che gli eredi di Guinildo donarono il castello al monastero di Camaldoli che ne rimase in possesso per tutto il secolo XII. Passò quindi alla famiglia comitale dei Guidi che nel 1384 lo cedettero alla Repubblica di Firenze. L’antica fortificazione è andata completamente distrutta; parziali resti delle antiche mura sono visibili nella cantina di un’abitazione. Il castello di Valenzano appartenne agli Ubertini, potente famiglia legata all’episcopio aretino e a quella dei Tarlati; alla fine del Trecento passò alla Repubblica Fiorentina. L’architettura odierna è una grandiosa costruzione dei primi anni del Novecento. Dell’antico castello di Rassina rimangono, sul poggio che sovrasta il moderno centro, solo alcune rovine. Nel secolo XIII il vescovo Guglielmino degli Ubertini si impadronì di questo castello che apparteneva ai Catani di Chiusi e ne tenne il possesso fino al 1385 quando passò sotto il dominio di Firenze. Nella valle del torrente Rassina, Chitignano fu feudo dei conti di Chiusi e Caprese. Il castello di Clotiniano era un sito fortificato già prima del secolo X. Proprietà dei conti di Chiusi poi dei vescovi di Arezzo, alla fine del duecento passò alla famiglia degli Ubertini. Fu proprio da questo castello che nel 1289 partirono le truppe ghibelline per la battaglia di Campaldino. Nel 1325 il vescovo Tarlati tolse il castello agli Ubertini e confiscò tutte le loro rendite. Nel 1384 con la conquista di Arezzo anche Chitignano passò alla Repubblica Fiorentina. Rimangono la residenza castellana perimetrata da alte torri e un piccolo cortile con un elegante porticato e varie strutture murarie. Chiusi della Verna fu dapprima feudo ecclesiastico, poi possedimento degli Ubertini. Alla fine del XIII secolo fu alternativamente dei Catani e dell’episcopio aretino. Dal 1324 Guido Tarlati da Pietramala vescovo di Arezzo entrò in possesso del castello di Chiusi finché passò alla Repubblica Fiorentina che vi elesse una podesteria.
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Poppi
Della maestosa fortificazione rimangono molte muraglie che proteggevano un cassero-resede con torre. Di grande interesse è una delle porte d’ingresso con arco a tutto sesto. Castel Focognano è situato su un’altura nei pressi del torrente Soliggine. In un documento del 1022, l’imperatore Arrigo II conferma i beni al monastero aretino delle Sante Flora e Lucilla tra cui il castello di Focognano. Il castrum rimase in possesso dei monaci cassinensi aretini fino al 1177. Una serie di contratti datati all’XI e XII secolo, redatti nel castello, confermano che il castrum funzionava da centro amministrativo. Il vescovo di Arezzo Guido Tarlati nel 1322 assediò il castello e lo distrusse fino alle fondamenta. Sul monumento funerario del vescovo, nella cattedrale di Arezzo, esiste una formella in cui è raffigurato l’assedio del castello che presenta una cinta muraria a pianta circolare; al centro si intravede un’altra cinta muraria intervallata da cinque torri. Dopo la sua distruzione il castello rimase alla famiglia vescovile degli Ubertini e nel 1384 fu sottomesso dalla Repubblica di Firenze. I resti dell’antica fortificazione consistono in una torre poligonale che si restringe verso l’alto, formata da sei lati che non presentano alcuna apertura, eccetto una feritoia con cornice in arenaria sul lato nord. Nella valle del torrente Salutìo, affluente di destra dell’Arno, il castello di Talla con quello di Capraia e Pontenano, controllava la viabilità di accesso al Valdarno. Fu possesso della nobile famiglia degli Ardinghi, signori di Catenaia fino al 1249, poi entrò a far parte dei possedimenti degli Ubertini e dal 1314 dei conti Tarlati. Nel 1348 fu sottomesso a Firenze che ne demolì le fortificazioni. Il nucleo medievale, del quale rimangono pochi resti, sorge su un’altura denominata Castellaccia. Nella valle del Corsalone, affluente di sinistra dell’Arno, l’insediamento fortificato di Sarna, era sotto l’egemonia ecclesiastica feudale di Chiusi della Verna e dei vescovi di Arezzo. Dell’antico castello rimane solo un’alta torre quadrata con conci in arenaria e una porta con arco a tutto sesto. Il castello di Banzena è situato su un poggio sulla destra del torrente Corsalone. Il primo documento che ricorda la villam de Bantena,
Raggiolo
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come bene della canonica aretina di san Donato, risale al 1020; solo dal 1114 è ricordato il castello de Banzina. Centro fortificato legato alla piccola nobiltà locale dei Filii Berardi che possedevano anche i castelli di Gello e Serra, anch’essi situati lungo il corso del Corsalone, si trova nell’area di influenza dell’episcopio aretino. Nel 1114 Guelfo, ultimo discendente della famiglia, si fece monaco a Camaldoli e donò tutti i suoi averi alla comunità monastica. Dagli Annales camaldolesi si evince che le tre fortificazioni furono tolte ai camaldolesi da Guido di Pietramala dei Tarlati, vescovo di Arezzo dal 1312 al 1323 e poi incorporate dalla Repubblica fiorentina alla fine del secolo XIV. Della fortificazione antica rimane un lacerto di muratura a sacco rivestita da cortine di blocchi squadrati di calcare disposti su filari paralleli. Gello è documentato dal 1019 come casale appartenente al distretto della pieve di Santa Maria di Partina. Il castello appare in un documento del 1065 quando Siizo, figlio di Signorello, donò al monastero di Prataglia la sua parte della curte et castello de loco qui dicitur Jello. Dell’antica fortificazione non rimane traccia. Montefatucchio sorge su un’altura. Nel 1147 il vescovo di Arezzo Ieronimo per riavere il castello di Marciano che il suo predecessore aveva ceduto al monastero di Prataglia, concesse a quei monaci la guardiam de castello et curte de Montis Fatucli. Il sito, che è raggiungibile solo a piedi, presenta resti di due grossi lacerti murari e una cisterna completamente interrata. Nella valle dell’Archiano, affluente di sinistra dell’Arno, il castello di Gressa è collocato su un poggio nei pressi del rio omonimo, subaffluente dell’Arno. La prima notizia documentaria del castrum di Gressa risale al 1078; nelle cronache del Trecento del Villani è considerata possesso del vescovo di Arezzo. Fu luogo di redazione di contratti che riguardavano il monastero di Prataglia. Nel 1259 subì un attacco da parte dei fiorentini che se ne impossessarono, ma già dal 1315 i vescovi ne ripresero il dominio. Nel 1353 il castrum fu occupato da Pier Saccone Tarlati e consegnato a Boso Ubertini. Nel 1386 passò alla Repubblica di Firenze. È uno dei siti fortificati che conserva intatta la sua topografia medievale. Il castello è costituito da una prima cinta muraria con un portale d’entrata restaurato e da un circuito murario concentrico. La pianta poligonale è irregolare e segue l’andamento del terreno. La muratura è costruita con opera a sacco, con cortine in blocchi di arePrimo itinerario
Castello di Sarna
naria e calcare, squadrata irregolarmente. Nel punto più alto si erge una torre a pianta rettangolare che si sviluppa su tre livelli. Una volta a botte divide il piano terra dal primo; la zona terminale presenta merli guelfi. Tra le due cerchie murarie ci sono due cisterne per l’acqua. Marciano si trova sulla sommità di un poggio nei pressi del rio Carlese, affluente dell’Archiano. L’edificio è probabilmente da identificarsi con la torre del castrum più volte ricordata dai documenti. Marciano è il primo castello ricordato da un documento del 1008: il vescovo di Arezzo Elemberto dona alcune terre al monastero di Prataglia situate apud castrum Marcianum. La sua posizione centrale nella valle dell’Archiano, ne fece un importante polo amministrativo per il controllo del territorio casentinese appartenente alla diocesi aretina. Nel 1124 Guido, vescovo-conte di Arezzo donò al monastero di Prataglia la chiesa dedicata a San Donato; nel 1130 anche le fortificazioni furono concesse ai monaci per far fronte ai debiti. Nel 1147 il vescovo Jeronimo cedette al monastero di Prataglia il castello di Montefatucchio per riavere indietro quello di Marciano strategicamente molto più importante. Nel 1389 fu ceduto alla Repubblica di Firenze. I resti della fortificazione sono individuabili in un edificio situato nella zona più elevata del sito che si sviluppa su tre piani ed ha pianta rettangolare; la muratura originaria è costituita da un’opera a sacco rivestita da cortine di grossi blocchi di pietra arenaria ben squadrati. Soci è situato presso il torrente Archiano. La prima menzione di Soci come castello risale al 1079 quando la fortificazione risulta appartenere a più proprietari: i conti Guidi, il monastero di Prataglia e i nobili locali Filii Feralmi, legati da vincoli di vassallaggio all’episcopo aretino. Attraverso donazioni, il castello divenne possesso dei camaldolesi che alla fine del secolo XIII, cedettero il castrum ai Guidi che lo tennero fino al 1359 anno in cui fu venduto alla Repubblica di Firenze. L’unico elemento della fortificazione originaria è la torre a pianta quadrangolare. Serravalle è situato su un’altura rocciosa nelle vicinanze del torrente Archiano. È l’unico castello del Casentino di cui si è conservata la
Castel San Niccolò
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carta di fondazione: nel 1188 Guglielmo, vescovo di Arezzo, fonda il castrum che permetteva un controllo della valle dell’Archiano e del monastero di Camaldoli che stava rendendosi sempre più indipendente dall’autorità vescovile. Il castello rimase di proprietà dell’episcopato aretino fino al 1404 quando passò alla Repubblica di Firenze. Nel punto più alto del sito si conserva la torre a pianta rettangolare, articolata su tre livelli; il piano terra è diviso dal primo da una volta a botte. Bibbiena, situata su un poggio alla confluenza dell’Arno con il torrente Archiano, dopo la prima metà dell’XI secolo, è definita sia curtis che casale. Fu uno dei più importanti centri amministrativi dell’episcopio aretino e venne definita dal vescovo Arnaldo curte sua domnicata de Biblina. L’importanza che rivestiva è confermata dal fatto che questo castello diventerà sede amministrativa e redazionale di documenti. Il castello è documentato dall’anno 1083; alla fine del XII secolo i vescovi dovettero provvedere ad una fortificazione del castrum. In un documento del 1194, Bibbiena viene descritta come castro novo de Beblena.
I CASTELLI DEI CONTI GUIDI Nella parte fiesolana del Casentino, i Guidi, famiglia comitale originaria dell’area pistoiese, controllarono almeno fino al tardo ’300, una ventina di luoghi fra i quali alcuni centri incastellati di grande importanza strategica come Battifolle, Porciano e Romena. Il controllo della valle lungo l’Arno fu assicurato grazie ai castra di Fronzola, Riosecco e Montecchio mentre sulle colline nei pressi di Camaldoli e Prataglia, condivisero con la famiglia comitale degli Ubertini, il possesso di Ragginopoli, Lierna, Partina. Gli Ubertini avevano possedimenti nelle valli dei torrenti Rassina, Archiano e Sova e allargarono la loro area d’influenza fondando Ragginopoli (1081). Dal 1268 acquistarono Chitignano e il castello fu al centro di una signoria rurale fino al 1779. Secondo gli studi più recenti e le ricerche di archeologia territoriale, il Casentino guidingo può essere diviso in quattro aree che si configurano come insieme di castelli con caratteristiche comuni (si ipotizzano maestranze e scalpellini specializzati al servizio della famiglia comitale) come territori coerenti geograficamente, corrispondenti alle valli dei maggiori corsi d’acqua dell’Alto Casentino: il primo corso dell’Arno e di alcuni suoi affluenti (sottosistemi idrografici come quello del Solano, dello Staggia ect). La vallata è caratterizzata dalla presenza dei conti Guidi dall’inizio alla fine della loro vicenda cioè dal secolo X al XV. Il capostipite della famiglia è Tegrimo, marito di Engelrada II, figlia del duca Martino di Ravenna. Un documento datato 982 toglie ai Guidi il controllo sul monastero di San Salvatore in Alina nel pistoiese e ricorda l’espandersi della famiglia comitale verso il Casentino con una metodologia di acquisizione e controllo del territorio attraverso una politica matrimoniale, la fondazione di monasteri di famiglia, l’incastellamento. Ne è chiaro esempio il matrimonio di Tegrimo II con Gisla, protagonista del documento del 992 in cui si nomina per la prima volta il monastero di San Fedele a Strumi, dove nel 1029, è attestata la presenza del primo castello casentinese dei Guidi. La presenza guidinga si concentra nell’area della valle del Solano, affluente di destra dell’Arno e nel Casentino settentrionale oltre che nella zona di Strumi. Il patrimonio castrense dei Guidi era costituito da fondazioni proprie (Strumi, Porciano) ma anche da castelli già fondati e passati sotto il loro controllo (Romena). È nella figura di Guido Primo itinerario
Pratovecchio, la torre
Guerra III che la storia dei Guidi si compie: dopo essersi unito in seconde nozze con Gualdrada, figlia di Bellincione Berti dei Ravignani, esponente femminile della famiglia imperiale, i loro figli daranno origine ai quattro rami familiari identificati dai nomi dei castelli: in Casentino saranno presenti quello dei Guidi di Porciano e Modigliana e quello dei Guidi di Romena. Di grande importanza risulta il diploma del 1220 con il quale l’imperatore Federico II conferma ai figli di Guido Guerra III i possedimenti del padre: Montemignaio, Lierna, Partina, Quota. Poppi, si trova su una collina sulla sponda destra dell’Arno. Il primo insediamento medievale di Poppi va ricercato nella torre dei Diavoli. Le vicende storiche di Poppi sono strettamente collegate a quelle di Strumi che in un documento del 1029 è definito dal conte Guido castello meo quod dicitur Strumi. Le prime notizie sull’esistenza del castello-palazzo si confondono con la storia dei Guidi. Il primo conte Guidi che abitò il castello fu Guido Bevisangue citato in un diploma dell’imperatore Arrigo VI del 1191 dove viene riconosciuto come Conte di tutta la Toscana. Il primo nucleo originario della costruzione doveva essere l’alta torre quadrata a fianco della porta d’ingresso al cortile davanti alla costruzione detta della “munizione”. Nel 1261-62 Simone dei Guidi da Battifolle inizia la trasformazione del cassero in palazzo e la costruzione della cinta muraria del borgo. Nel 1440 passò alla Repubblica di Firenze. Il castello-palazzo con alta torre merlata, le bifore della facciata, le mura di cinta e l’ampio fossato, è ricordato da Vasari a proposito della costruzione di Palazzo Vecchio a Firenze; il castello sembra sia stato progettato da Lapo, maestro di Arnolfo di Cambio. Importanti ristrutturazioni sono dovute all’architetto Jacopo Baldassarre Turriani che nel 1477 ricostruì la rampa di scale in pietra del cortile interno. Fronzola, situata sulla sponda destra del fiume Arno, è raffigurata in una formella del cenotafio del vescovo Tarlati nel duomo di Arezzo con un circuito murario intervallato da torri e una torre centrale di cui non resta traccia. Nel 1065 nel castello de Frunzola viene redatto un contratto; in un privilegio del 1161 tra i beni del monastero di san Gennaro a Capolona, compare anche il castellum de Fronzola. Nel 1164 l’imperatore affida al conte Guido Guerra dei conti Guidi, la wardia de Fronzola che nel corso dei secoli XIII e XIV rimase in suo possesso, eccetto il periodo che va dal 1322 al 1344 quando fu assediato e conquistato dal vescovo di Arezzo Guido Tarlati di Pietramala. Nel 1440 il conte Francesco de’ Guidi dovette cedere la fortificazione alla Repubblica di Firenze. Sul punto più alto del poggio, rimangono un grosso lacerto di muratura e due cisterne rettangolari coperti con volte a botte. Alle due estremità della muratura sono visibili due torri a pianta rettangolare. Il Casentino. Territorio, storia e viaggi
La valle del torrente Teggina, che costituiva uno dei limiti meridionali dell’espansione dei Guidi che in alcune località condividevano la signoria con l’episcopo aretino, risultava di grande importanza per essere sul confine fra le diocesi di Arezzo e Fiesole ed era controllata dai castelli di Uzzano, Giogalto e Raggiolo. Inizialmente possedimento dell’episcopio aretino, Raggiolo lega la sua storia ai conti Guidi dal secolo XIV quando nel 1301 Guido Novello II vi pose corte e residenza assumendo il titolo di conte di Raggiolo e rimanendovi fino al 1322. Il conte risulta proprietario del mulino e di tre fucine per la fabbricazione di manufatti in ferro. Poste in prossimità del torrente Teggina, le ferriere sfruttavano, con gli impianti idraulici, la forza motrice e l’acqua fredda e cristallina per temperare il metallo incandescente. Nel 1357, Raggiolo si sottomise a Firenze. Sulle fondamenta dell’antico castello guidingo, fu costruita la pieve. Lierna è una località situata nella valle dell’Archiano, di fronte al castello di Ragginopoli. Nel 1095 è documentato il castro de Lerna che durante i secoli XII e XIII risulta luogo di redazione di numerosi contratti relativi al monastero di Camaldoli. Federico II conferma il castello ai conti Guidi che lo avranno in possesso fino al 1440, anno in cui tutte le loro proprietà passeranno alla Repubblica di Firenze. Con il vicino castello di Ragginopoli, Lierna rappresentò nei secoli XI e XII uno dei castra dei Guidi posti in posizione più avanzata rispetto all’area d’influenza dei vescovi aretini nella vallata casentinese, posto com’era nella valle dell’Archiano. Le strutture dell’antica fortificazione sono completamente cancellate; nel punto più alto del sito si conserva il toponimo di castello. Moggiona, è località situata su un poggio nei pressi del torrente Sova. Alla fine del secolo XI, fu contesa tra i canonici aretini di S. Donato e Guido dei Conti Guidi, la curte vel casale quod vocatur Moiona. Nel 1107 un documento ricorda che il castello ibi edificato vel edificando viene donato al Capitolo della cattedrale di Arezzo da Guido Guerra. Nel 1130 i canonici furono costretti a vendere ai monaci di Camaldoli che ne rimasero in possesso fino a tutto il secolo XIV quando passò sotto il dominio della Repubblica di Firenze. L’attuale villaggio ha completamente cancellato qualsiasi traccia dell’antica fortificazione medievale.
NELLA VALLE DEL SOLANO Castel San Niccolò, edificato dalla famiglia comitale dei Guidi di Modigliana, con l’intento di presidiare la valle del Solano, su un preesistente insediamento detto Ghianzuolo, mostra i caratteri tipici dell’insediamento medievale. Un documento del 1253, ricorda l’assegnazione del castello al conte Guido Novello da Modigliana; il castrum passò poi al secondogenito di Guido Novello, conte Guglielmo Novello e infine al figlio di questo, Galeotto. La signoria dei Guidi durerà fino al 1342 quando gli abitanti di Castel San Niccolò, ribellatisi, chiesero spontaneamente la sottomissione a Firenze. Nel 1359 Marco, figlio di Galeotto rinunciò a tutti i suoi beni che passeranno a Firenze che vi istituì una Podesteria e organizzò amministrativamente, con il nome di Montagna Fiorentina, tutta la valle del Solano. Il castello era munito di due ordini di mura: al primo ordine sono state addossate delle costruzioni, il secondo racchiude un ampio spazio su cui si prospetta la torre angolare. Sulle mura perimetrali tutta una sePrimo itinerario
rie di elementi costruttivi come le merlature, i camminamenti di ronda e le bertesche, sono in parte conservate. All’interno della residenza fortificata sono rimasti la torre, la corte, il ballatoio e la cisterna. Nel corso dei secoli XV e XVI vennero riorganizzati gli spazi e il corpo centrale si trasformò in struttura residenziale: elemento architettonico significativo risulta essere la grande “loggia” sorretta da un massiccio pilastro con due grandi archi. Montemignaio sorge su un contrafforte a strapiombo sulla valle del torrente Fiana e per tutto il secolo XII è ricordato nei documenti come possesso dei Guidi; detto anche Castel Leone, dalla metà del secolo XV entrò a far parte dei possedimenti della Repubblica Fiorentina. La torre di controllo con muratura massiccia e senza finestre, resti della cerchia muraria e la porta ad arco a tutto sesto con cornice a conci ad arco acuto, sono gli elementi architettonici che rimangono dell’antica struttura fortificata. Pratovecchio, ricordata per la prima volta in un documento del 1054, lega la sua storia a quella dei conti Guidi del ramo di Battifolle. Alla metà del Trecento divenne dominio dei Guidi di Dovadola: 1334 Marcovaldo di Dovadola, figlio di Guido Selvatico, scambia con altri alcuni beni delle monache per fortificare Pratovecchio. Inizia la costruzione del borgo sostenuta dalla badessa del monastero camaldolese Beatrice, che cede parte del monastero al conte (una permuta a favore del borgo). Pratovecchio assume così l’assetto di oppidum, centro protetto da mura turrite. Nel 1440 passò a Firenze. Del complesso originale rimane solo la torre. Romena è situata su un poggio nei pressi del Fosso delle Pillozze. Il castello è stato posseduto e amministrato da uno dei rami più potenti della famiglia dei conti Guidi, ora guelfi ora ghibellini. La prima menzione del castrum risale al 1008 come feudo degli Alberti di Spoleto. Sono visibili resti di due cinte murarie: la più esterna intervallata da torri, la più interna racchiude una corte centrale su cui si affacciano altre due torri ed un edificio che aveva funzione di palatium. Stia è situata su un poggio nei pressi del torrente Staggia. Nel 1137 Ermellina dona al monastero di San Fedele di Strumi alcune terre poste presso il castello di Stia. Nel 1230 il conte Bandino fa edificare il castello di Palagio, alla sinistra del torrente Staggia, alla confluenza
Romena
Il Casentino. Territorio, storia e viaggi
con l’Arno. Faceva parte con Porciano, Papiano, Romena, Castelcastagnaio, di quel gruppo di fortificazioni costruite dai Guidi, localizzate lungo l’asse viario che costeggiava il corso superiore dell’Arno e raggiungeva il Mugello. Nel 1402 il castello è ceduto dai Guidi alla Repubblica di Firenze. Niente è rimasto dell’antica fortificazione essendo stata distrutta al tempo della guerra tra Firenze e i Visconti di Milano nel 1440. Il castello residenziale odierno è frutto di una ristrutturazione ottocentesca. Porciano è collocato su un poggio sulla riva sinistra dell’Arno. Il castello è ricordato per la prima volta in un documento del 1115 quando i conti Guidi lo avevano già fortificato, reso centro amministrativo; accanto al castrum è citato un borgo. Quando alla fine del XII secolo, per motivi dinastici, la famiglia comitale dei Guidi si divise in vari rami, uno di questi ebbe sede a Porciano. Gli ultimi discendenti, nel 1442 cedettero il castello alla Repubblica di Firenze. Rimangono la cinta muraria con due torrette e all’interno una torre con funzione di palazzo residenziale. È una costruzione maestosa con una tipologia fortificata tra la torre di avvistamento e il cassero. Il castello si presentava come una costruzione massiccia a più piani, con poche finestre e alta porta, presentava degli apparati a sporgere lignei, oggi perduti, che si appoggiavano alle buche pontaie ancora presenti. La struttura architettonica si allontanava dai modelli di castelli dell’XI secolo e si ricollegava alla tipologia più tarda, della quale fanno parte anche altri possedimenti dei conti Guidi (Montemignaio, Castel San Niccolò, Romena, Poppi) divenuti luoghi di rappresentanza signorile.
Primo itinerario
Castello di Porciano