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Del libro gli inesauribili sensi
GIUSEPPE BEARZI
Del libro gli inesauribili sensi
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Un libro non è letto solo con gli occhi, ma con tutti i sensi. È solo grazie alla loro interazione olistica che possiamo comprenderne e apprezzarne appieno valori e contenuti: altre forme, per quanto innovative, riescono a trasmetterne tutt’al più una parte.
Ainsi font font font – les petites marionettes, ainsi font font font – trois petits tours et puis s’en vont. Facile raffrontare le marionette della canzoncina con i turisti che scendono dal torpedone, visitano questo e quello, scattano tre foto e poi se ne vanno. O con i lettori dei libridi (vulgus gli e-book), che leggono tre pagine, cercano un significato, una citazione e un concetto e poi si sentono paghi. Il libro è altra cosa.
È tutto ciò che è e accade, che penetra per sensazioni ed emozioni nei luoghi della nostra psiche. Nello specifico e lento fluire dei secoli una cosa ha stimolato più di ogni altra la nostra mente e la nostra anima: il libro. Leggere la pagina di un documento o di un libro è statuire un contatto fisico e spirituale, percorrere un sentiero, entrare nel paese delle meraviglie, in un giardino a maggio, in un prato falciato di fresco, in una ‘selva oscura’, dove ci si può smarrire o cercare e trovare tutto, anche le cose, gli esseri, i pensieri di altri mondi e altre dimensioni. Il libro non colpisce un senso, li colpisce tutti.
Per primo la nostra vista, essenziale per quel flusso di onde elettromagnetiche la cui lunghezza determina il colore e la forma di quanto ci circonda: è lei che traduce le parole scritte nel linguaggio del cervello e le trasforma in immagini, situazioni, misure, sentimenti, emotività, espressioni, movimenti, stasi. Grazie ai nostri occhi la struttura del libro, le sue pagine, le sue misure diventano tessere di un mosaico che, nel comporsi, ci attrae o ci scontenta, sfoglia la nostra mente, ci allontana o entusiasma o lascia indifferenti. Sono cose che un librido non fa.
Pure il tatto però legge il libro: la sua fisicità non raggiunge ciò che prova la madre per il proprio figlio o il naufrago per un salvifico relitto, questo è vero; procura però altre sensazioni o emozioni talora allettanti, corporee, tonificanti, talaltra mnemoniche o piacevoli, qual è il contatto del musicista con il suo strumento, dell’artigiano con i propri attrezzi pregnanti di esperienze e saperi, dello scalatore con le sue corde, i suoi chiodi, moschettoni, caschi, imbraghi.
Tra il libro e il lettore si sancisce un legame fisico, che non è abuso ma senso di sicurezza, di fiducia, di pertinenza. È la certezza del pescatore che conta sulle sue reti, non su quelle altrui forse smagliate o svolte e avvolte diversamente, né su imbrocchi, tramagli, nasse, cogolli, bertovelli, arpioni, palangari che non gli sono propri. Tra libro e lettore nasce un legame che via via si consolida, si fa possesso. È l’album di foto della nonna, il Pinocchio per il bambino, La Tigre di Mompracen per l’adolescente e, per il giovane, i Sepolcri di Foscolo o
la Logica della scoperta scientifica di Popper. È un con-tatto vivo, che s’imprime e permane.
Se vista e tatto ci donano due letture di uno scritto, l’udito ne offre un’altra, specie se appartiene a chi comprende ciò che legge, cosa che, com’è noto, non sempre càpita. O capita? Per cogliere appieno il significato di un libro, e la sua bellezza, occorre che la lettura – oltre che udita – sia assimilata, compresa nel profondo. Può accadere di primo acchito, oppure in un modo lento, in una rilettura con un’attenzione totale che consente di cogliere quanto sia diversa quella nostra, ad alta voce, dal fine dire di altri.
Se in Rete aprite il portale “youtube” e richiamate la poesia San Martino del Carso1, detta prima da Giuseppe Ungaretti e poi da Luigi Gaudio, Antonio Chimenti o Sergio Carlacchiani, scoprirete le diversità abissali tra l’interpretazione dell’autore e quelle degli altri. La mia o l’altrui “lettura muta” non eguaglierà mai l’interpretazione del Poeta, l’unica che, per quanto imperfetta, è vera.
Oggi, nello scenario elettronico, succede di rado che una lettura ad alta voce riesca a esprimere tutti i valori e contenuti di un testo né possiamo pretendere che tutti i fini dicitori siano in grado di sublimarci. Anziché ascoltare qualcuno che azzoppa un capolavoro, ferendoci di stridori, è preferibile prendere quella pagina e leggerla e rileggerla fino a capirne tutto il patrimonio di pause, intonazioni, volumi, armonie, inflessioni, respiri, sentimenti ed emozioni che racchiude. E solo allora declamarla.
Degne di considerazione sono pure le suggestioni procurate dall’odorato quando, entrando nel luogo dove c’è il libro – la nostra stanza, la metropolitana, il vaporetto, la sdraio –, ne percepiamo l’aroma della carta, della colla, delle vernici di copertina; o, sfogliando le pagine, i respiri residui di un segnalibro. Lievi o intensi, sono qualcosa di intimo, di esclusivo che ci cattura, ci trasporta nella nostra isola e ci aiuta a riallacciare il flusso di un dialogo sospeso in cui vogliamo reimmergerci.
1. Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro // Di tanti/ che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto // Ma nel cuore / nessuna croce manca // È il mio cuore / il paese più straziato.
E c’è il gusto, non quello della gola, ovviamente: quello estetico, quello che abbraccia la miriade di accenti, colori ed espressioni dei manoscritti miniati. Penso a quelli della pergamena e della carta, ai capilettera, alle tipologie dei caratteri, al lavoro dei miniatori, degli scrivani, dei rubricatori, di chi craxava2. Quest’arte, iniziata, credo, in Egitto, al tempo del Libro dei Morti, si è sempre più perfezionata e arricchita fino al XIX secolo, lasciandoci un patrimonio incredibile di idee, capolavori ed esperienze che oggi stiamo ancora surrogando con scopiazzature di una banalità sconcertante.
Pare quasi che il nostro gusto si sia atrofizzato, che la cura – ieri di ogni foglio e di ogni rigo – si limiti alla copertina, all’esterno di un’opera che spesso non sarà letta. È come se oggi si volesse trascurare il resto – la composizione delle pagine, la scelta e la dimensione del carattere, la qualità della carta –, se si barattassero quei pregi con quantità eccessive, inutili, dannose per l’ambiente e per chi lo vive.
Il vero gusto non ha limiti né verso l’alto né verso il basso: si estende dalle vette del Codice Leicester di Leonardo giù, giù fino a certe edizioni economiche odierne che già alla prima lettura si sfasciano tra le dita; dove è una pretesa leggere tanto le ultime lettere a destra delle pagine a sinistra, quanto quelle a sinistra delle pagine a destra. Eppure, dalle opere di sublime perfezione e bellezza dei secoli passati l’editoria attuale potrebbe trarre tanti insegnamenti, idee e indicazioni per il futuro. Basterebbe guardare i fiori del campo di evangelica memoria o, per gli agnostici, gli abiti del gentil sesso che ogni giorno c’illumina sul valore della qualità e della bellezza e quanto meriterebbe cucirlo tra le pagine di un libro.
Ai cinque sensi dei nostri organi aggiungerei l’equilibrio, oggi alquanto trascurato dagli editori che, pur di vendere i personaggi dello ‘scherno’, scusate il refuso, dello ‘schermo’, pubblicano opere nelle quali prevale il disaccordo tra i cinque sensi, quando invece tutti dovrebbero esprimere un alto livello o non essere. Come lettori, dobbiamo confessarlo, certe nostre scelte sono dovute a follia, curiosità, a un momento di debolezza, alla mancanza di un
2. Craxare: il fungere sia da miniatore sia da scrivano.
consiglio o di equilibrio, a un incauto acquisto. Merita allora risfogliare questo e quel libro di ieri per ritrovare la pagina su cui riflettere, la frase che avremmo voluto usare in una nostra relazione, il passo da meditare e, forse, scalare.
E c’è, infine, il senso della cenestèsi, la capacità del cervello di riconoscere la posizione del nostro corpo in base allo stato di contrazione dei nostri muscoli, anche senza l’aiuto della vista. Riferito alla lettura è provare un sentimento di generale benessere o malessere, di stanchezza o di energia nella mente oltre che nelle membra. Un senso che può abbracciare la biblioteca tutta, la collocazione delle opere, la loro pace, quell’armonia che ci conforta e ci appaga, ci fa entrare tra i libri con tutti i nostri sensi.
In futuro, per offrire al libro tutto ciò che merita, non sarà il caso di restituirgli quella capacità, che gli è unica, di richiamare, avvincere ed appagare tutti i nostri sette sensi? Può un piccolo schermo, dove minuscoli grafemi s’inseguono ordinatamente per pagine e pagine su righe parallele, essere paragonato alle pagine di un libro con cui si statuisce un contatto fisico e spirituale, si percorre un sentiero, si entra nel paese delle meraviglie, in un giardino a maggio, in un prato falciato di fresco, in una antro buio, dove ci si può smarrire o cercare e trovare di tutto, anche le cose, gli esseri, i pensieri di altri mondi e altre dimensioni?
Per comprendere un’opera, per donare alla nostra mente, alla nostra memoria, al nostro cuore il significato olistico o, se preferite, ermeneutico di quei fogli di carta nei quali la sua essenza s’immerge, devono concorrere tutti i nostri sensi, equilibrio e cenestèsi inclusi. Rinnoveremo così ciò che scrisse Leonardo per l’infanzia:
L’inchiostro [fu] displezzato per la sua nerezza dalla bianchezza della carta, la quale da quello si vide imbrattare. Vedendosi la carta tutta macchiata dalla oscura negrezza dell’inchiostro, di quello si dole; el quale mostra a essa che per le parole, ch’esso sopra lei compone, essere cagione della conservazione di quella.
FOLIGNO, 11 SETTEMBRE 2021
SALA ROSSA, PALAZZO TRINCI