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Inventare il futuro: dalla parte della lettrice
ADRIANA CHEMELLO
Inventare il futuro: dalla parte della lettrice
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Il futuro del libro si costruisce nel presente, nel qui e ora, nella coscienza civile del lettore e della lettrice, si rafforza attraverso la carica trasformativa di ogni esperienza di lettura, s’imprime indelebile nel DNA del singolo attraverso l’esperienza della relazionalità, dell’interdipendenza dell’umano. L’etica della cura che le donne praticano e hanno praticato per millenni, il loro inclinarsi verso il neonato o verso l’anziano genitore, questa soggettività relazionale che si espande dall’umano all’ambiente e ai diversi manufatti, interseca nel suo percorso anche i libri e si china su di essi non solo per leggerli ma per prendersene cura e per traghettarli verso il futuro.
In questi giorni mi torna in mente un libro di Danilo Dolci, il cui titolo mi ha sempre affascinato: Inventare il futuro. Ebbene, oggi ci troviamo nella condizione di “inventare l’ignoto”, tuttavia abbiamo un punto di forza da cui partire: sono i libri, i testi, i testimoni del nostro pensiero, del nostro immaginario, delle nostre narrazioni legate ai tempi e agli spazi, urbani e non, dei territori, delle comunità, della polis.
E abbiamo una soggettività a cui nessuno finora ha dedicato la minima attenzione, pur essendo un agente importante nella filiera del libro e della sua promozione/distribuzione: la lettrice. È ormai un luogo comune affermare che le donne leggono più degli uomini, non solo, sanno essere delle “buone lettrici”, delle “lettrici scelte”, sanno dialogare con i libri facendoli diventare l’estensione di una relazione intima, ne sanno riconoscere la “funzione iniziatrice” (di cui parlava Proust agli inizi del secolo scorso nel suo saggio Sulla lettura).
Prendo spunto da una riflessione di Elena Ferrante, questa «autrice invisibile» che ha prodotto molto scompiglio nel mondo editoriale e non solo, per approfondire questo concetto. Scrive Ferrante in un saggio intitolato Il libro di nessuno, del 10 ottobre 2005: «Tra il libro che va in stampa e il libro che i lettori acquistano c’è sempre un terzo libro, un libro dove accanto alle frasi scritte ci sono quelle che abbiamo immaginato di scrivere, accanto alle frasi che i lettori leggono ci sono le frasi che hanno immaginato di leggere».1 Il terzo libro prefigurato da Elena Ferrante è quello a cui cooperano, accanto all’autrice, le sue lettrici e i suoi lettori. È il libro che viene inviato al futuro, il libro destinato a diventare quell’«eredità senza testamento» che deve essere condivisa da molti/molte.
Le lettrici salveranno i libri perché sanno trasmettere l’amore per il libro, aiutano a diffonderlo e a farlo circolare attraverso il passa-parola, attraverso la condivisione che si incarna nella relazione. Riflettiamo, per fare un piccolo esempio, sull’importante funzione sociale e culturale che assolvono le “Librerie delle donne” sparse un po’ in tutta Italia: librerie di nicchia ma spazi insostituibili di servizio culturale e di sociabilità, prevalentemente ma non esclusivamente tra donne. Queste librerie sono luoghi vivacissimi di politica culturale, dove si fa emergere l’editoria ‘invisibile’ delle piccole imprese editoriali indipendenti, escluse dai grandi circuiti del mercato, dove gli studi ‘gender’ e le ricerche sulla storia delle donne acquistano la meritata visibilità. Sono spazi deputati a far circolare pensieri e pratiche di scambio e di cura, dove lo spirito dei
1. E. Ferrante, Il libro di nessuno, in La frantumaglia, edizioni e/o, Roma 2016, p. 185.
libri si mantiene vitale ben oltre la misura ‘breve’ dell’obsolescenza programmata della “novità”.
In questi luoghi dedicati, i libri s’incarnano nelle lettrici e nei lettori e ne diventano altrettanti «momenti di essere», si fanno «ponti» lanciati verso chi legge, creando un continuum orientato verso il futuro.
Il futuro del libro si costruisce nel presente, nel qui e ora, nella coscienza civile del lettore e della lettrice, si rafforza attraverso la carica trasformativa di ogni esperienza di lettura, s’imprime indelebile nel DNA del singolo attraverso l’esperienza della relazionalità, dell’interdipendenza dell’umano, nell’inclinarsi verso l’altro/a così bene inscritta nell’esperienza del materno di cui parla Adriana Cavarero.2 L’etica della cura che le donne praticano e hanno praticato per millenni, il loro inclinarsi verso il neonato o verso l’anziano genitore, questa soggettività relazionale che si espande dall’umano all’ambiente e ai diversi manufatti da conservare e valorizzare, interseca nel suo percorso anche i libri e si china su di essi non solo per leggerli ma per prendersene cura e per traghettarli verso il futuro.
2. A. Cavarero, Inclinazioni. Critica della rettitudine, Raffaele Cortina, Milano 2014.