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Per il futuro del libro
ARNALDO CECCATO Per il futuro del libro
Quali caratteristiche etiche ed estetiche, care al nostro e non all’altrui gusto, rendono il libro più attraente e ricercato ai lettori italiani. Però, almeno lettori, devono esserlo.
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Analizzando la storia, si può dedurre che libri e cultura sociale sono sempre cresciuti insieme segnando il cammino di una civiltà: i libri quali memoria secolare di eventi e di pensiero, sono sempre stati un punto di partenza, apripista della cultura, radici di un albero in crescita; libri come radici, foglie come esperienza di vita.
Ma per svolgere appieno la sua funzione, il libro abbisogna in primo luogo di persone che amino leggere e che l’ambiente nel quale lo si presenta sia interessato ad accoglierlo. In secondo luogo il libro deve proporsi con un aspetto immediatamente seducente. In sostanza, ambiente, tema trattato, veste esteriore e stile linguistico, determinano il successo del libro e la sua efficacia culturale.
Esaminiamo l’ambiente. Il primo ostacolo alla diffusione del libro, spesso insuperabile, è la mancanza di tempo disponibile da dedicare alla lettura, all’informazione, alla riflessione, a quel godimento estetico che le incombenze della vita contemporanea sembrano negarci. Chi può avere l’interesse e la disponibilità di tempo di sostare anche occasionalmente davanti alla vetrina di una libreria, per acquistare un libro? Chi può avere, la curiosità e il piacere della lettura? L’attuale produzione libraria soddisfa le aspettative della società moderna? Non c’è dubbio che l’interesse per i libri deve essere seminato nella scuola; la scuola deve fare da vivaista, in tutti i campi della cultura; e deve anche esaltare la preminenza del libro sul telefonino. Il telefonino può dare nozioni in pillole, risposte immediate a brevi curiosità, spesso futili; ma non comporta lo sviluppo dell’intelligenza, non marca la memoria, non si presta a quella ginnastica intellettuale che dispone al ragionamento, a costruire una maturità autonoma da pregiudizi. Persino i milioni di foto che si scattano oggi, non hanno un futuro se non si materializzano in un album, cioè in un libro.
Circa il tema trattato, lo scrittore deve porsi sempre il problema del destinatario del suo lavoro, sia esso di narrativa, saggio, poesia o proposta commerciale e a quel destinatario deve adeguare il suo discorso, nello stile come nel contenuto. Certo, le proposte editoriali andrebbero guidate, nella direzione e nei contenuti: compito che spetta all’editore come quello della veste editoriale, cioè della scelta del titolo, dei caratteri tipografici, dell’immagine di copertina: aspetti che sono di non trascurabile importanza per il successo del libro. (Maestro nell’autopromozione è stato Gabriele d’Annunzio che si è affidato ai più grandi pubblicitari dell’epoca). Il titolo deve suggerire in estrema sintesi il mondo del contenuto; il carattere tipografico del titolo deve essere adeguato al suo genere, drammatico, sentimentale,
romantico, storico, scientifico o frivolo. Alcuni editori credono di enfatizzare l’importanza dei loro libri gonfiandone smisuratamente il titolo e l’autore con caratteri cubitali, magari in rilievo. Niente di più cattivo gusto. Poi, caratteri e immagine di copertina devono combinarsi in modo coerente. L’immagine deve poter suggerire il mondo in cui si muovono personaggi ed eventi. In sostanza una copertina valida deve avere la sua forza di seduzione, come un piccolo manifesto pubblicitario, che se non lo si interpreta in meno di tre secondi, fallisce la sua funzione. Sono molti gli editori attenti a questo aspetto ma molti si affidano, oltre che a traduttori un po’ approssimativi, ad agenzie o studi pubblicitari che non cercano prima di capire il testo, non si ispirano al suo contenuto, non hanno il senso della coerenza e fanno come certi scenografi di teatro che nascondono la loro ignoranza dietro le dichiarazioni di rinnovamento, di avanguardia, di sperimentale e sono capaci di distruggere un’opera musicale gettandola volgarmente fuori dal suo tempo.
È ancora sorprendente e deludente tuttavia che persone stimate di alto rango si scoprano indifferenti alle migliori offerte editoriali1. Se le persone che contano per il loro ruolo nella
1. Farò un paio di esempi. Nel 2010, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, ho cercato di offrire ad autorità diverse di Foligno, un mio saggio storico sulla figura del generale pontificio La Moricière, e sui retroscena della conquista piemontese delle Marche e dell’Umbria nel settembre 1860. Mi era sembrato interessante per la storia locale e per la diffusione nelle scuole sia perché il quartier generale del La Moricière era di stanza proprio a Foligno e sia perché il saggio inseriva l’evento storico in una indagine più ampia sul progredire dello stato sociale, politico ed economico del resto d’Europa. Nonostante le presentazioni personali per ottenere una sponsorizzazione e l’utile diffusione nelle scuole, il testo non ha riscosso alcun interesse ed è stato rifiutato con le scuse più banali (l’autore non è residente a Foligno). Presso il Comune di residenza invece, l’accoglienza è stata ancor più deludente. Il sindaco, incontrato per caso all’uscita del suo ufficio, di fronte all’estemporaneo omaggio che gli offrivo, non immaginando che ne fossi l’autore, così ha esclamato con arrogante sufficienza: “Ma questo chi è, che vòle, ha perso… e non je basta?” e trattenne il libro con palese sine cura. Lo stesso libro poi ha ottenuto il premio speciale della giuria (nella sezione saggistica) al premio letterario nazionale Franz Kafka, ad Udine; e ancora al premio letterario Carlo d’Asburgo, a Feltre. società contemporanea non hanno scienza e coscienza dei valori del libro, se le scuole non riescono a stimolare nei giovani il piacere di possedere dei libri, se le case editrici continueranno a sopravvivere sulle ambizioni di scrittori e traduttori che poco hanno da offrire alla cultura (ma che si pagano le spese), se non si scoprono e non si incoraggiano nuovi talenti, quale potrà essere il futuro del libro?
Non lo so.