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Yves Saint Laurent Il genio che parlava con le arti
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G LI ABITI NATI DAL G EN IO CHE PAR LAVA CON LE ARTI
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Con un format inedito, una mostra celebra Yves Saint Laurent a 60 anni dalla prima sfilata nella sua Maison portando in sei musei di Parigi, dal Louvre al Centre Pompidou, gli abiti simbolo del suo metodo creativo. Che prevede una corrispondenza fra moda, pittura e letteratura. E un dialogo costante con Marcel Proust.
DI MICHELE CIAVARELLA
IL 29 GENNAIO 1962. Parigi è in fermento.
ÈYves Saint Laurent, il «piccolo principe dagli occhi pervinca» che soltanto quattro anni prima, il 18 gennaio 1958, aveva salvato la moda francese sostituendo il suo maestro Christian Dior dopo la morte improvvisa e firmando, a soli 22 anni, una collezione memorabile, presenta la prima collezione con il suo nome. L’evento, che cambierà per sempre il corso della moda, si svolge nelle sale dell’hôtel particulier di rue Spontini dove, insieme a Pierre Bergé, il 26enne bello quanto introverso ha aperto la Maison Yves Saint Laurent. In quei quattro anni trascorsi da quando, affacciato sul balcone dell’Atelier Dior in avenue Montaigne dopo la sfilata, fu osannato come il salvatore della moda francese, era successo di tutto, però. Il trionfo senza precedenti della sfilata del 18 gennaio 1958, con la collezione Trapèze e la nascita del Now Look che supera il New Look del fondatore, viene offuscato due anni dopo dalla chiamata nell’esercito francese impegnato nella guerra d’indipendenza dell’Algeria. È lì, vicino alla sua città natale di Orano da dove era fuggito anni prima per studiare a Parigi, che si materializza la condanna al dolore della sua vita: la violenza sessuale subita dai commilitoni che gli provoca, oltre al danno fisico, una depressione violenta che non lo lascerà più. Segue il rimpatrio e il ricovero in ospedale, dove riceve la lettera di licenziamento da Dior, ma dove si annuncia anche la sua rinascita: Pierre Bergé, giovane intellettuale amico di Jean Cocteau e della mecenate viscontessa MarieLaure de Noailles, incontrato ai funerali di Christian Dior e diventato dal giorno dopo l’amore inseparabile che durerà tutta la vita, gli promette che fonderà una Maison tutta per lui. Ci riuscirà cercando e ottenendo finanziamenti e nel giro di un anno nascerà il «tempio» in cui Yves Mathieu Saint Laurent sarà il creatore assoluto delle invenzioni più
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Pablo Picasso, Ritratto di Nusch Eluard, 1937. Nella pagina accanto, Yves Saint Laurent, Giacca omaggio a Pablo Picasso, autunnoinverno 1979.
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Mai successo prima per nessun altro creatore di moda. È un altro record di Yves Saint Laurent dopo quello di essere stato l’unico stilista vivente ad avere una mostra al Met di New York nel 1983
straordinariamente innovatrici della moda del secondo Novecento. Inventerà il nude look, la sahariana, lo smoking da donna, i jeans firmati... E quando deciderà di dare vita a una sua linea maschile lo farà declinando sull’uomo il guardaroba che già preparava per Marlene Dietrich, trasformando l’androginia della diva nella prima idea di no gender che la semplificazione dell’epoca ha malamente confuso con l’unisex degli anni Settanta. Ma soprattutto inventerà il prêt-à-porter firmato separando per sempre le strade della Haute Couture, esercizio-invenzione-unicità, da quelle dell’industria, riproducibilità-diffusionedemocratizzazione. Non è esagerato, allora, che a 60 anni esatti da quell’esordio la cultura francese dedichi a Yves Saint Laurent non una mostra ma una celebrazione che raccoglie l’essenza del suo genio, e cioè la sua capacità di creare la moda mettendosi in relazione con le arti: pittura, scultura, letteratura, musica. Yves Saint Laurent aux Musées è un’esposizione diffusa che dal 29 gennaio al 5 maggio a Parigi occuperà le sale di Centre Pompidou, Musée d’Art Moderne de Paris, Musée du Louvre, Musée d’Orsay, Musée National Picasso-Paris, Musée Yves Saint Laurent Paris con il patrocinio della fondazione Pierre Bergé — Yves Saint Laurent. Mai successo prima per nessun altro creatore di moda. È un altro record di questo genio universalmente
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Martial Raysse, Made in Japan - La grande Odalisque, 1964. Nella pagina accanto, Yves Saint Laurent, pelliccia in volpe verde, primaveraestate 1971.
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Yves Saint Laurent non trasferisce mai un quadro sul tessuto perché l’opera diventa la struttura stessa dell’abito: è una costruzione e non un’illustrazione
riconosciuto della moda dopo che è stato l’unico stilista vivente a cui il Metropolitan Museum di New York ha dedicato una mostra (YSL: Twenty-five years of design, 14 dicembre 1983-2 settembre 1984, a cura di Diana Vreeland, l’ex direttrice di Vogue che, convinta della sua unicità, sfidò le ire dei designer suoi contemporanei). Ma questa volta è diverso: la mostra di Parigi non celebra semplicemente gli abiti ma è pensata per spiegare il metodo di elaborazione creativa di un couturier che si è trasformato anche in designer e che a oggi non ha ancora trovato un suo successore.
L’esposizione parte dal dato di fatto che nella creazione della sua estetica Saint Laurent non poteva prescindere dalle arti:
«Ogni uomo per sopravvivere ha bisogno
dei propri fantasmi estetici. La vita è possibile solo grazie a loro. Io credo di averli trovati in Piet Mondrian, Pablo Picasso, Henri Matisse. Ma anche in Marcel Proust. Sono assolutamente eclettico» diceva per spiegare il suo metodo che riassumeva nella famosa dichiarazione «la mia arma è lo sguardo che porto sulla mia epoca e sull’arte del mio tempo».
Ma non era affascinato soltanto dalla pittura e dalle arti plastiche. Conosceva a memoria tutta À la recherche du temps perdu di Marcel Proust fino a identificarsi con gli enervés del romanzo, i nevrotici depressi e insanamente emotivi che l’autore esaltava e di cui lui si faceva un’incarnazione. Eppure, non ha mai voluto leggere la fine, Le temps retrouvé, perché «se finissi la Recherche qualcosa si romperebbe dentro di me». E il suo personaggio insuperabilmente creativo ma anche estremamente inquieto e dispotico sembra nascere proprio da quelle pagine. Lo si vede anche nel film-documentario L’amour fou, uscito nel 2011 con la regia di Pierre Thoretton dopo tre anni dalla prematura scomparsa, in cui suo marito Pierre Bergé racconta con naturalezza la loro unica e nello stesso tempo difficile storia d’amore, una lunga complicità affettiva che ha resistito ai tradimenti e alla dipendenza dalle droghe di Saint Laurent e che è rimasta tale perfino quando Bergé decise di lasciare la casa comune e andare a vivere in una suite dell’Hotel Lutetia, il palazzo accanto alla loro casa. Ma proprio perché debitore alla letteratura della sua formazione, anticipando l’epoca dell’«appropriazione culturale» e dell’«hackeraggio creativo», Saint Laurent ha stabilito il sistema delle «corrispondenze fra le arti» senza mai separare la moda dalle altre creatività. Volando al di sopra delle soluzioni didascaliche, che sono quelle trappole creative costruite dagli inganni della banalità, lui non trasporta le opere d’arte sugli abiti, non scrive mai le frasi di Proust sui suoi abiti ma le trasforma nelle attitudini delle donne che veste. Così come non trasferisce mai un quadro su un tessuto per drappeggiarlo sul manichino: quel quadro (o quella scultura) diventa
Yves Saint Laurent, la struttura stessa dell’abito perché non deve Hommage à Piet Mondrian, essere un’illustrazione ma una costruzione. autunno-inverno 1965.
Nella pagina accanto, Ed ecco perché il lavoro dei tre curatori Piet Mondrian, Composition della mostra, Madison Cox, Stephan Janson en rouge, bleu et blanc, 1937. e Mouna Mekouar, non ha incontrato alcun ostacolo quando si è trattato di chiedere ai direttori dei cinque musei coinvolti (oltre quello di YSL), tra le maggiori istituzioni accademiche nazionali, di far esporre gli abiti nelle sale in cui si trovano le opere d’arte corrispondenti. «È stato sorprendente vedere come tutti i direttori abbiano accettato il progetto con molta naturalezza, riuscendo a cogliere un lato straordinario: gli abiti di Yves Saint Laurent possono riuscire a creare un ponte tra visitatori che hanno gusti artistici diversi, tra chi ama l’arte antica e chi quella contemporanea che, spinti da questo dialogo creativo, possono
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entrare negli spazi di un museo dove mai avrebbero pensato di andare» dice la storica dell’arte, critica e curatrice Mekouar abituata a muoversi tra gli ingranaggi dei Musei pubblici e delle Fondazioni private.
Un’abilità che si riscontra nel percorso della mostra. A partire dal Centre Pompidou. È qui che è esposta la pelliccia in volpe verde della collezione primavera-estate 1971. Nessuno lo sospetterebbe, ma quella collezione che fu bocciata dalla critica di moda dell’epoca tanto da essere ricordata come La collection du scandale (fu giudicata troppo rétro nei suoi rimandi ai tempi dell’occupazione nazista della Francia ma in realtà era ispirata al modo di vestire di Paloma Picasso, sua modella e collaboratrice, che comprava gli abiti al Marché aux Puces) viene identificata proprio per questa pelliccia il cui colore, assolutamente innaturale, viene da Made in Japan – La grande odalisque, il quadro di Martial Raysse del 1964 con la figura femminile coperta solo da un turbante. Nessun rimando facile, del resto, si può trovare nella sala del Musée d’Art Moderne de Paris dove accanto alla Struttura al Neon per la X Triennale di Milano di Lucio Fontana del 1951 dialogano, fra loro e con l’opera, la Bluse Normand in satin del 1962, un abito da sera in velluto argentato del 1975 e un cappotto in velluto nero bordato di polvere d’argento del 1983: e nessuno dei tre capi ricalca la referenza. «Come Proust, sono affascinato soprattutto dalle mie percezioni di un mondo in transizione» dice Saint Laurent. Ed eccoci allora al Musée d’Orsay. Qui l’universo proustiano si ritrova nel Cabinet d’arts graphiques e si materializza uno dei temi più cari alla creatività di Saint Laurent, ancora oggi di grande attualità: la dialettica incrociata tra il maschile e il femminile. Infatti, è qui che si trovano cinque modelli di smoking femminili (il primo del 1966 e poi due del 1967, con quello del 1988 e l’ultimo del 2001) ma anche il grande abito da sera con strascico realizzato per la baronessa Marie-Hélène de Rothschild in occasione del Bal Proust del 1971 accanto a un disegno dello stesso Saint Laurent per la scenografia di una festa a tema di 14 anni prima. Un salto dall’altra parte della Senna ed ecco il Musée Picasso. «Un dramma… non mi veniva nulla. Una domenica andai a una mostra sui Ballets Russes e scoprii i disegni di Picasso per i costumi del balletto Le tricorne di Sergej Diaghilev»: nasce così la collezione del 1979 Hommage à Picasso et Diaghilev esposta nelle sale del museo del Marais. Come una visita al Louvre produsse le giacche incrostate di cristalli di rocca esposte nella Galerie d’Apollon. E prima che ci si riprenda dallo stupore il percorso finisce al numero 5 di Avenue Marceau, sede del Musée Saint Laurent e della Fondation Bergé-Saint Laurent. È qui che si materializzano le sue parole: «È vero, la Haute Couture è fatta di tessuti. Ma nasce da un sussurro che si trasmette e si ripete come, del resto, sussurriamo i nostri segreti. (…) Tutti i miei abiti nascono da un gesto: un abito che non riflette un gesto non è un buon abito. (…) Inizio a lavorare a una collezione sprofondando nell’angoscia senza sapere dove dirigermi fino al momento in cui, tutt’a un tratto, arriva la direzione da prendere. Ed ecco: è la felicità». Quindi, senza riproporre l’inutile dibattito se la moda è arte, questa mostra diffusa ha il pregio di spiegare il meraviglioso rapporto d’amore un po ’ incestuoso tra due creatività simili ma differenti.
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Schizzo del décor per il Bal des Têtes del 1957 firmato con il nome intero da Yves Mathieu Saint Laurent. Nella pagina accanto, l’abito che Saint Laurent ha creato per Marie-Hélène de Rothschild per il Bal Proust del 1971.