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Il metodo che crea una mostra-evento
UNA MANIFESTAZIONE DI MODA MASCHILE CON EVENTI, MOSTRE D'ARTE E SPETTACOLI: DUE VOLTE ALL'ANNO A FIRENZE VA IN SCENA IL RITO DELLE IDEE INDOSSABILI.
Il metodo Pit ti
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DI ANTONIO MANCINELLI
PER FAVORE, non chiamatela fiera. Piuttosto mostra, evento o tutt’al più manifestazione, raduno o addirittura rito. Da officiare a Firenze, naturalmente: una città-gioiello che due volte all’anno, in una sorta di una sofisticata inception, con Pitti Immagine Uomo diventa, per quattro giorni, un forziere di vestibili idee in arrivo dal futuro, di previsioni di moda un anno prima che divengano «semplice» merce. Un dialogo con l’avvenire che ambisce a essere — giustamente, visti i 50 anni di vita e le oltre 100 edizioni — non solo un’occasione mercantile, ma una rivelazione, una profezia di mode, modi e vezzi che approderanno nei guardaroba degli uomini (e perché no? anche delle donne). E non solo nei guardaroba: nel corso del tempo Pitti ha generato mostre epocali sul costume come Excess, Uniforme, Il quarto sesso e la più recente Romanzo breve di moda maschile; ha ospitato i nomi più sfrontati e rutilanti dell’arte contemporanea, da Vanessa Beecroft a Thomas Demand, da Matthew Barney a Doug Aitken, da Shirin Neshat a Pipilotti Rist; ha diffuso saggi fondamentali in veste di cataloghi o di libri a sé stanti; ha ospitato i défilé dei fashion designer più nuovi, con un puntiglio notarile attento a ogni minimo cambiamento sociale, culturale e dunque anche estetico. Per ricordarci così che il vestire è ormai entrato a pieno titolo tra i linguaggi dell’espressività contemporanea. Ovviamente, Pitti produce utili non solo per chi vi partecipa, ma anche per tutta la regione: «La ricaduta sul territorio, in epoca pre-Covid, forniva circa 400 milioni all’anno solo per quello che riguarda le aziende legate al turismo, all’artigianato, all’ospitalità e alla cultura; in un trentennio abbiamo portato nove miliardi» afferma Raffaello Napoleone. Dal 1989 Napoleone è direttore generale e dal 1995 amministratore delegato di Pitti Immagine che resta il più importante e autorevole — se non anche il più esteso — salone dell’abbigliamento da uomo che attira da mezzo mondo buyer, aziende, agenti e produttori, oltre a giornalisti, intellettuali, artisti. La rivalità serpeggiante con Milano, dove ci sono le sfilate delle griffe più blasé, i fiorentini e i meneghini la risolvono con eleganza: «L’importante è fare sistema, non ci sono competizioni, specie di questi tempi» dichiara Claudio Marenzi, presidente di Pitti. Gli fa eco Carlo Capasa, Presidente della Camera della Moda Italiana: «Dobbiamo essere orgogliosi di avere Pitti a Firenze
IMMA GINE TI PIT ST AMP A UFFICIO COUR TESY
La performance VB53 (2004) di Vanessa Beecroft per Pitti Immagine Discovery al Tepidarium del Giardino dell’Orticoltura di Firenze.
La sfilata di Givenchy il 12 giugno 2019 per la 96esima edizione di Pitti Uomo, nei giardini di Villa Palmieri che ispirarono il Decameron di Giovanni Boccaccio.
IMA GES TY GET e le sfilate Uomo a Milano, contenti di essere tra quelli che riescono ad andare avanti in un momento in cui non è scontato farlo». Poi magari gli stilisti delle Maison continuano a ritenere Pitti una fiera ipercommerciale, mentre in Toscana persistono nel ritenere Milano gelida e priva di occasioni collaterali che facciano anche un po ’ sognare. In effetti, Pitti può contare su un’alleanza con un tessuto urbano insieme al quale predispone un sistema d’intrattenimento d’autore che sfida il carattere chiuso e un po ’ conservatore tipico di una certa noblesse indigena e apre palazzi, ville, giardini, chiostri, musei, dimore aristocratiche ma pure spazi industriali dismessi per farne passerelle, spazi per esibizioni estemporanee, luoghi per sfilate anche di massima avanguardia. Tipo quando, nel gennaio 2020, nelle sale di Palazzo Corsini è stato invitato lo stilista american-liberiano Telfar Clemens, autore di collezioni estreme, con i modelli che passavano pericolosamente accanto a mobili antichi, affreschi delicati, fragili lampadari: niente e nessuno ha riportato danni, per fortuna.
L’IMPATTO è stato dirompente, così come ci auguriamo lo sarà la sfilata di Ann Demeulemeester, stilista belga amata dai gentiluomini cerebrali, nel 2020 acquisita da Claudio Antonioli, che il 12 gennaio festeggerà i suoi 40 anni da creatrice alla Stazione Leopolda; quest’ultima nota ai più per essere teatro di esternazioni di Matteo Renzi ma comprata, restaurata e tirata a lucido proprio da Pitti. Delle organizzazioni di mostre e attività collaterali si occupa la Fondazione Pitti Discovery, nata nel 2002, che ha portato in città alcune grandi manifestazioni con l’aiuto di personaggi come Germano Celant, Franca Sozzani, Ingrid Sischy.
Pitti conta su un ’alleanza con il tessuto urbano
ARTS & COMMERCE, bellezza
& business, verrebbe da dire: due realtà che si avviluppano inestricabilmente e su un piano paritario, destinato a causare sindromi di Stendhal per le innovazioni dell’abbigliamento quanto per le glorie architettoniche e finisce per indurre dipendenza ai visitatori «che tornano qui con lo stesso spirito di fare una piccola vacanza in Italia, quasi una versione ridotta dei tour settecenteschi» sorride Francesca Tacconi, coordinatrice degli eventi e responsabile dei progetti speciali. Che poi, a ben pensarci, è un leitmotiv che accompagna quella relazione tra numeri e progetti, fatturati e immaginazione che nel 1951 portò Giovanni Battista Giorgini a inventare la moda italiana facendo sfilare in casa sua alcuni sarti nazionali, di fronte a un gruppo di sparuti compratori che andarono in brodo di giuggiole ammirando abiti, godendosi il paesaggio, apprezzando la cortesia, gradendo cibo, assaporando il vino; insomma vivendo dentro un’opera d’arte totale: i finti snob di oggi la chiamerebbero una «esperienza immersiva», solo che lì c’erano arrivati più di 70 anni fa. «Però la vera svolta è arrivata nel 1987, con l’arrivo alla presidenza di un imprenditore illuminato, Marco Rivetti, che stabilì quella ricetta di equilibrio tra manifestazione fieristica e grandi esibizioni di caratura internazionale» puntualizza Napoleone. Epicentro della fiera (ops! l’abbiamo detto) è la Fortezza da Basso, costruzione di Antonio da Sangallo (in collaborazione con Pier Francesco Viterbo) datata nel Cinquecento, attorniata da padiglioni creati negli anni Cinquanta del Novecento e da altri che vengono montati con allestimenti ad hoc, due dei quali, per la prima volta nella storia (Show your flags, realizzato nella piazzetta dell’area della Fortezza a gennaio 2020, e From Waste to New Materials, sul tema della sostenibilità), quest’anno sono stati selezionati per il Compasso d’Oro, premio destinato al migliore Design italiano. Lo spazio espositivo è diviso in diverse aree tematiche, che cambiano di anno in anno e che riuniscono al loro interno i vari marchi in base agli stili e alle tipologie di abbigliamento che propongono. «È un’architettura delirante» ironizza Napoleone «ma riflette la natura stessa della moda, che riceve sempre più stimoli da epoche e momenti storici diversi. Del resto, gli espositori che vengono selezionati da una giuria composta da proprietari di boutique, imprenditori, esperti del settore, coprono tutte le possibili richieste di interlocutori di diverse età e differenti desideri, così da far considerare la manifestazione indispensabile per ogni livello di consumatori. Non abbiamo mai accettato le richieste di ricreare la nostra manifestazione all’estero: non è replicabile altrove. Ma abbiamo esportato le nostre mostre per dare un esempio di come lavoriamo. Ma di “mostre” come Pitti, ne esiste solo una. A Firenze».
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