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PRIMO PIANO
Martedì 23 Luglio 2019 Corriere del Veneto
Politica e territorio
VENEZIA Autonomia, lo scontro viaggia sulle onde corte. Nel giro di un paio d’ore, ai microfoni di Radio Anch’io e Centocittà, ieri mattina, si sono alternati sul ring radiofonico i governatori di Veneto e Lombardia Luca Zaia e Attilio Fontana, mattatori con le loro lettere al premier dell’indignazione del Nord ma anche Nello Musumeci, governatore siciliano e Vincenzo De Luca, collega della Campania e grande accusatore del divario esistente con «gli amici del Nord» come li definisce ostentatamente. Non basta, oltre a parecchi governatori e un paio di sottosegretari, c’erano anche un costituzionalista, il «serenissimo» Mario Bertolissi e l’alfiere del no all’autonomia vista da Sud, Gianfranco Viesti che può vantare il copyright sull’espressione «secessione dei ricchi». Se non altro l’autonomia morente nelle sabbie mobili romane ha incendiato il confronto nazionale. L’impennata polemica degli ultimi giorni, la sollevazione dei presidenti, dal ligure Giovanni Toti al toscano Enrico Rossi, tutti a chiedere conto al premier Giuseppe Conte lascia spazio a interpretazioni stratificate. C’è chi giura che Matteo Salvini, alle prese con il momento più delicato di questo esecutivo, sia orientato a scegliere proprio l’autonomia come punto di rottura per scansare la manovra d’autunno da lacrime e sangue. Anche ai partiti di governo. E fonti ministeriali spergiurano che non è assolutamente vero. Fatto sta che il «tutti contro tutti» di queste ore ha ottenuto un risultato concreto: aumentare la confusione. Di più, la richiesta avanzata da Musumeci e De Luca, ma persino dal filo leghista Toti e dal dem Rossi affinché Conte al-
DaSudaNord,corsaall’autonomia «Masetuttilachiedono,salta» DeLuca:«LaspesastoricapenalizzailSud».EMusumeciaccogliel’ideadiunPattoperilSud
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Il punto ● La bozza di intesa sull’autonomia chiesta da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna «in lavorazione» ormai da oltre un anno a Roma pare arenata sul muro contro muro LegaM5s ● Si aprono ora nuovi fronti a partire dal fuoco di fila di altri governatori. Dalla Liguria alla Sicilia passando per la Toscana e la Campania, tutti chiedono al premier Conte di allargare la discussione anche alle altre Regioni della penisola
Musumeci In Sicilia autonomisti da 73 anni ma serve un fondo per il Sud
Con gli «amici» del Nord I tre governatori, da sinistra Attilio Fontata, Vincenzo De Luca e Luca Zaia
larghi il tavolo sulle autonomie differenziate anche alle altre Regioni potrebbe configurarsi come la pietra tombale su un iter già martoriato dalle discussioni fra Lega e M5s all’interno del governo. Un’autonomia per tutti equivarrebbe insomma a un’autonomia per nessuno nei fatti. Le sporadiche incursioni di De Luca degli scorsi mesi nel giro di qualche giorno si sono moltiplicate e allargate ad altri governatori. Complicato vederci un disegno preciso vista la diversa appartenenza politica ma il dato oggettivo resta: i fronti di battaglia di sono moltiplicati con il rischio di rallentare ulteriormente la redazione della «proposta governativa». Nel frattempo Zaia e Fontana non mollano, anzi. «Questo Paese può anche decidere
di non adottare l’autonomia differenziata. - scandisce tagliente Zaia - Però a questo punto si abbia il coraggio di andare in Parlamento e di modificare la Costituzione e decidiamo una volta per tutte che questo Paese è centralista». Zaia e Fontana ripetono fino allo sfinimento che no, non ci sarà un Paese di serie A e un Paese di serie B, e no, non si «ruberà» un euro dai fondi destinati al Sud e soprattutto che non si parli di secessione dei ricchi. Così come entrambi ribadiscono che non firmeranno una «finta autonomia». La storia raccontata da De Luca è un’altra: «Serve un’operazione verità - attacca - i numeri sono incontrovertibili e i dati forniti dal sistema dei conti pubblici nazionali non mentono. Per la spesa storica
pubblica allargata oggi il Sud riceve circa 12.000 euro pro capite a fronte dei circa 14.900 del Nord, 3.000 euro in meno che per la Campania arrivano a essere 4.000 euro. La cristallizzazione della spesa storica penalizzerebbe il Sud». E il governatore campano ribadisce i caposaldi della sua proposta di autonomia: «Stesse risorse pro capite e fondo di solidarietà per il Sud». E non risparmia, infine, una stoccata al Veneto, reo, secondo De Luca, di aver accettato la «porcheria» dei Navigator che invece la sua Regione ha rifiutato. Gli risponde l’assessore regionale al Lavoro Elena Donazzan: «Ha perso una buona occasione per tacere, le Regioni hanno ottenuto di governare e gestire la vicenda dei navigator». Interviene anche Musumeci che pur riba-
Rossi Di questo accordo sull’autono mia penso tutto il male possibile
dendo l’autonomismo dei siciliani ricorda sibillino che le ripercussioni dell’autonomia peseranno su tutte le altre Regioni. A Conte ho chiesto un tavolo per tutte le Regioni e va chiarito che un Nord in crescita e un Sud arretrato condannano l’Italia all’immobilismo». Insomma, la scalata è in corda doppia secondo i governatori del Sud, che abbracciano la proposta del premier di un «Patto per il Sud». I cui contenuti, per la verità, sono ancora tutti da sviscerare . Il Sud chiede un tavolo per ribadire la necessità di un fondo perequativo, la Liguria con Toti lo chiede apparentemente per accelerare: «Siamo incartati come un po’ tutte le cose importanti che riguardano il governo». Richieste di stampo diverso, se non opposto, che però chiudono una tenaglia intorno al premier e (effetto collaterale?) rischiano di inchiodare il già travagliato iter di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna a una plenaria che ne suggellerebbe la morte. Tanto più che non manca neppure il cuneo di centrosinistra rappresentato dal governatore della Toscana Enrico Rossi: «Se andranno avanti così, le Regioni del Nord avranno 2 miliardi e mezzo in più e il Sud ne perderà tre. In sostanza, vuol dire che vince chi è già ricco. Si è parlato di secessione dei ricchi. In effetti è così,inutile girarci intorno», spiega Rossi che, per non essere travisato, precisa: «di questo accordo penso tutto il male possibile». E pure lui chiede la plenaria dei governatori a Conte. Martina Zambon © RIPRODUZIONE RISERVATA
Tra insulti e inviti a moderare i toni: «Parliamoci». «No».
Il giallo dei tavoli, le agende liquide: cronache dal caos
La vicenda ● Oggi dovrebbero tenersi due nuovi vertici tecnici sull’autonomia, in materia di Cultura e di Finanza. Ma a ieri sera gli incontri non erano convocati ● Per giovedì è atteso un Consiglio dei ministri in cui il premier Conte confidava di poter portare le intese con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Ma il Cdm potrebbe essere rinviato
VENEZIA La situazione è fluida, talmente fluida da costringere gli stessi ministri a modellare la loro agenda sulle oscillazioni quotidiane del sismografo di governo. «Domani ha detto ieri il ministro per la Cultura Alberto Bonisoli - ci sarà la riunione con il premier Conte per ragionare sulla regionalizzazione di alcuni aspetti legati ai Beni culturali». Nulla di strano: era stato lo stesso Conte, al termine della riunione finita malamente venerdì scorso, ad annunciare per martedì (oggi) un vertice con il ministero della Cultura prima ed uno col ministero dell’Economia poi, utile a mettere a punto la fondamentale norma finanziaria. A ieri sera, però, né il vertice con Bonisoli né quello con Tria risultavano in agenda alle segreterie dei diretti interessati e a quella del ministro degli Affari regionali Erika Stefani, che sovrintende a tutti gli incontri sull’autonomia a prescindere dall’argomento. Non solo: anche il Consiglio dei ministri previsto per giovedì pare possa non
tenersi più, rinviato. Per carità, Conte potrebbe sempre convocare le riunioni tecniche stamattina per oggi pomeriggio, rientra nelle sue prerogative e in passato è già accaduto, ma il particolare rende bene il quadro generale di come a Roma si (soprav)viva alla giornata, con un occhio alle cose da fare ed un altro all’ultimo tweet, l’ultimo post, l’ultima agenzia di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Che anche ieri, per l’appunto, se le sono suonate di santa ragione, così alimentando l’interrogativo: si lasceranno? cadranno?, che a cascata porta con sé la domanda delle domande, per il Veneto: la riforma naufragherà o arriverà in porto? («Sperando sempre di non trovarlo chiuso» ironizza il consigliere regionale pentastellato Simone Scarabel). «Stiamo al governo solo per fare le cose importanti. Non accettiamo un no, il governo passa dalle Autonomie. Abbiamo aspettato anche troppo» aveva avvertito Salvini domenica dalla festa della Lega di Adro. «Sull’autonomia in
qualche modo si sta giocando a spaccare: spaccare il governo, spaccare l’Italia. Questo non lo permetteremo» ha replicato ieri Di Maio, che come al solito ha poi rassicurato: «L’autonomia va data alle regioni che la chiedono ma la dobbiamo scrivere bene. Vanno ascoltati i governatori che vogliono dialogare, dobbiamo essere disponibili al massimo su questo». Anche il premier Conte nella sua lettera al Corriere di due giorni fa aveva sottolineato di voler incontrare quanto prima Luca
In lite perenne Il premier Giuseppe Conte con i due vice, Matteo Salvini e Luigi Di Maio
Zaia e Attilio Fontana, a patto che la smettessero «con gli insulti». Anche in questo caso, però, a ieri sera non risultava in Regione alcun invito da parte di Palazzo Chigi. «Io ho proposto a Salvini di vederci perché le persone adulte si vedono e si parlano. Ora tocca a lui» ha quindi aggiunto Di Maio. «Non ho incontri in agenda. Per il futuro siamo nelle mani del buon Dio» ha replicato gelido Salvini. Che intanto continua ad attaccare il ministro M5s alle Infrastrutture Danilo Toninelli per i suoi no alle Grandi Opere, mentre Toninelli - pure lui - prova a dettare la linea sull’autonomia: «Abbiamo un premier molto preparato che vuole interloquire con i presidenti di Regione e lo vuole fare con toni istituzionali. Chiediamo che anche loro tengano gli stessi toni». Nel frattempo, «chiedo a tutti i ministri di abbassare i toni perché le tantissime ore di lavoro e i tantissimi tavoli coordinati dalla ministra Stefani stanno portando a un “prodotto” buono». Stefani, dal
canto suo, sospira: «Sapevamo che sarebbe stato difficile ma non immaginavamo che l’autonomia avesse tanti nemici. La speranza si sta trasformando in frustrazione. Per uscirne ci vorrebbe Diabolik, ci vorrebbe Mandrake con i suoi poteri». Torna Bonisoli: «Io ho una grandissima fiducia nelle capacità di mediazione del premier e sono sicuro che ci sarà una sintesi. In questi giorni onestamente mi è sembrato che si cantasse un’ottava più sopra del normale, secondo me con un’ottava più sotto i concetti si capiscono di più». Finita? No, ecco il presidente della Camera Roberto Fico che aggiorna dal parlamento: «Regioni e governo devono parlarsi, non insultarsi. Qui si tratta di trasferire potestà legislativa alle Regioni e questo non può avvenire se non in un passaggio serio, sostanziale dove il parlamento sia centrale e possa modificare le intese». E oggi si ricomincia. Marco Bonet © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Martedì 23 Luglio 2019 Corriere del Veneto
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Tributaria
Finanziamenti illeciti: Orsoni deve pagare le tasse ma fa ricorso
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Mose, i due nomi di Toninelli I test delle dighe di Chioggia
Commissione
er la commissione tributaria provinciale Giorgio Orsoni, ex sindaco di Venezia, deve pagare le tasse e le relative sanzioni sul finanziamento di 250mila euro ricevuto dal Consorzio Venezia Nuova nel 2010, per la campagna elettorale. Ma lui che si proclama innocente da cinque anni, ha presentato ricorso. La cifra che dovrà versare in caso di condanna non è ancora stata quantificata, intanto Orsoni ha rinunciato ad aderire alla definizione delle liti pendenti (che scadeva lo scorso 31 maggio), che gli avrebbe consentito di pagare di meno. Proprio di recente, nell’ambito del processo Mose, la Corte d’Appello ha confermato per Orsoni (insieme all’ex presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva) la condanna di primo grado, con il «salvaggio» della prescrizione per buona parte dei reati. Per gli altri, invece, è stato assolto. Adesso, in queste settimane dovrebbe arrivare la decisione della commissione tributaria regionale alla quale l’ex sindaco di Venezia, attraverso i suoi legali, ha presentato ricorso per non pagare le tasse su quei 250mila euro che secondo l’Agenzia delle Entrate e la Finanza avrebbe ricevuto come «tangente» dal Consorzio Venezia Nuova. La decisione della commissione tributaria provinciale di condannare Orsoni al pagamento risale a gennaio del 2018. Per l’accusa l’ex sindaco durante la campagna elettorale avrebbe ricevuto un finanziamento illecito. Una tesi, questa, che per la commissione provinciale sarebbe confermata oltre che da diversi informatori riconducibili al Consorzio, tra cui l’ex presidente Giovanni iMazzacurati, anche dal rendiconto finale del mandatario del comitato elettorale, che avrebbe evidenziato che dell’importo complessivo dei finanziamenti, pari a oltre 287mila euro, 250mila risultavano versati da imprese legate al Cvn. In più, ci sarebbe la testimonianza di Federico Sutto, del Consorzio sui tre presunti incontri nello studio di Orsoni relativi alla «preparazione delle buste, al conteggio del denaro ripostovi, ai tempi e alle modalità di preparazione e realizzazione degli accessi nello studio personale di Orsoni....», ha scritto la commissione tributaria provinciale. Per la difesa che ha già discusso in commissione tributaria regionale, l’ex sindaco quei soldi non li ha percepiti perché destinati al partito. I legali sostengono anche che le dichiarazioni dell’ex presidente del Consorzio Mazzacurati non siano utilizzabili per mancanza di contraddittorio. (e.bir.)
NUMERI UTILI CentroStorico MalmoccoAlberoni Pellestrina
Supercommissario, la lettera inviata a Zaia. Dal 2020 lavori per quasi 900 milioni
La vicenda ● Il ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli ha inviato ieri la lettera con i due nomi tra cui scegliere il commissario per il Mose al governatore del Veneto Luca Zaia ● Dopo l’estate dovrà essere nominato il nuovo Provveditore alle opere pubbliche del Triveneto considerando che Roberto Linetti andrà in pensione ● Ieri intanto ci sono state le prime prove di sollevamento delle dighe mobili della bocca di porto di Chioggia. Il vero test ci sarà con l’acqua alta in autunno ● Entro l’1 gennaio 2020 il Mose dovrà essere ultimato per l’esercizio provvisorio e di avviamento
VENEZIA Due nomi per il Mose.
Sono quelli che ha inviato ieri pomeriggio il ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli al presidente del Veneto Luca Zaia. Del resto lo prevede la legge: il commissario va nominato d’intesa con le Regione. Ma a quanto pare il governatore non ne vuole sentir parlare, ancor più dopo la coppia di nomi sottopostagli dal ministro. Entrambi infatti non sarebbero veneziani, tanto meno esperti delle vicende lagunari. Non ci sarebbe quindi l’attuale Provveditore alle opere pubbliche del Triveneto (prossimo a lasciare l’incarico) Roberto Linetti, ma nemmeno Fabio Riva ex responsabile dell’Ufficio Salvaguardia del Magistrato alle Acque, Nicola Dall’Acqua, direttore generale Arpav e commissario per i Pfas, tanto meno Marco Corsini il commissario per la Pedemontana veneta. Sembra che Zaia voglia lasciare carta bianca al ministro evitando di farsi coinvolgere nelle vicende che riguardano il Mose. Sono iniziate ieri intanto le prove di sollevamento delle paratoie della barriera di Chioggia, innalzate dall’alloggiamento sottomarino a gruppi di cinque per testarne la funzionalità. Fino a giovedì le diciotto dighe mobili saranno sollevate e riabbassate in modo da non intralciare la navigazione per controllare che tutto sia in ordine per la prima, vera prova sul campo ad autunno inoltrato, quando tutte le barriere saranno messe in funzione in occasione dell’acqua alta. Dopo l’esame a ottobre sulla schiera di Malamocco, la prova generale
Grandi navi
La decisione potrebbe essere presa questo pomeriggio, anche se non è prevista la presenza del ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli. Porto, Provveditorato, Capitaneria e Vtp assieme ai tecnici del ministero dovranno definire almeno la compatibilità delle autostrade del mare con le crociere. Pare che le strada sia spianata anche perché il terminal di Fusina può ospitare navi fino a 280-290 metri, molto dipenderà dalla convivenza con i traghetti che già scalano Venezia. Diverso il discorso sugli approdi diffusi su cui l’Autorità portuale ha lavorato in queste settimane evidenziando però difficoltà nella convivenza con il traffico commerciale. Il test del Redentore poi se da un lato ha confermato la fattibilità tecnica (anche del canale nord su cui insistono il sindaco Luigi Brugnaro e il goVENEZIA
La coppia Sono stati esclusi Linetti, Riva, Dall’Acqua e Corsini Nomina Dopo l’estate servirà il nuovo Provveditore
del Mose si terrà tra novembre e dicembre, al cospetto del nuovo super-commissario del Consorzio Venezia Nuova e anche del nuovo Provveditore alle Opere Pubbliche. Ovviamente, prima bisognerà ispezionale i cassoni delle paratie della barriera del lato Treporti più vicine a Punta Sabbioni che hanno la tendenza – nomen omen – a riempirsi di sabbia e a rendere difficile il ritorno delle dighe nell’alloggiamento sottomarino, problema strutturale che erediteranno i nuovi vertici. La nomina del supercommissario del Mose da parte del Mit (che dovrà relazionarsi con i due commissari del Consorzio Venezia Nuova Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola), dopo i nomi inviati
al presidente del Veneto, è alle battute finali e tutto pare dire che sarà una sorpresa. Quella del successore dell’ingegnere Roberto Linetti nell’agenda delle cose da fare nelle prossime settimane, per non lasciare l’ex Magistrato alle Acque (ora le competenze sono in carico al Provveditorato alle opere pubbliche del Trivento) nel vuoto di potere in una fase cruciale. Nomine delicate perché da qui al 2021 si gioca la partita della conclusione dei lavori del sistema di difesa dalle acque alte eccezionali. Nei primi sei mesi dell’anno il Consorzio Venezia Nuova ha assegnato lavori per 40 milioni; la divergenza di vedute tra commissari e Provveditorato ha tenuto fermi progetti per cento milioni che
Prove di intesa su Fusina Vtp convocata dal ministro La Cgil fa muro su Marghera L’incontro ● Per questo pomeriggio è stato convocato un vertice a Roma tra il ministero alle Infrastrutture, Porto, Capitaneria, Provveditorato e Vtp sul trasferimento da subito di alcune navi a Fusina e Porto Marghera
vernatore Luca Zaia), dall’altro ha fatto emergere le difficoltà nella gestione di merci e passeggeri. «E’ la dimostrazione che si può fare», aveva detto il sindaco pensando però al canale industriale nord. «Metta da parte le proprie visioni, si dimostri lontano dagli interessi e collabori con il ministro in questo lodevole impegno come abbiamo fatto noi: la città ne ha veramente bisogno», l’appello dei consiglieri del Gruppo Misto Renzo Scarpa e Ottavio Serena che assieme ai coautori della soluzione Fusina Renato Darsiè e Andrea Gersich hanno scritto a Toninelli. «Garantirebbe da subito la soluzione al passaggio delle grandi navi davanti a San Marco senza spostarle a Trieste— dicono — Tutto ciò, secondo i nostri calcoli e proiezioni raggiungibile in breve tempo, senza opere faraoniche a perdere e
senza pregiudicare l’attività del terminal delle Autostrade del Mare che deve poter conservare il suo dinamismo e potersi ulteriormente sviluppare quando sarà realizzata le nuova e definitiva stazione marittima». Contro si schiera invece la Cgil che boccia anche qualsiasi altra ipotesi che riguardi Porto Marghera. «Ri-
Tra le fabbriche La Msc Musica solca il canale dei Petroli per fermarsi poi in una delle banchine di Porto Marghera
dovranno, dunque, attendere la seconda finestra dell’anno dei finanziamenti. In complesso, dall’anno prossimo saranno in essere interventi attuativi per 460 milioni (il 75 per cento per ultimare gli impianti del Mose, un quarto per progetti ambientali) e altri 413 milioni ancora da progettare e formalizzare divisi a metà tra l’opera e il ripristino ambientale. Nei prossimi due anni, dunque, bisognerà che il Consorzio e il Provveditorato diano corso a oltre 550 milioni di euro di opere impiantistiche per arrivare al gennaio 2022 col Mose ultimato per l’esercizio provvisorio e di avviamento. Il commissario straordinario dovrà fare proprio questo. Mo. Zi. © RIPRODUZIONE RISERVATA
badiamo il nostro dissenso in quanto incompatibile con il tessuto industriale esistente e con qualsiasi ipotesi di rilancio dell’area — scrivono Filtcem e Fiom di Venezia — Questa scelta stravolgerebbe la sua naturale destinazione industriale, inducendo le aziende ancora presenti ad un repentino disinvestimento produttivo, favorendo piuttosto la speculazione. E con questa scelta si metterebbe a repentaglio la sicurezza delle navi, dei passeggeri e dei lavoratori, infatti passare a pochi metri da serbatoi pieni di combustibili sarebbe oltremodo pericoloso». Il piano «Rischio di incidente rilevante» però esclude sia il canale industriale nord che Fusina dalle aree a rischio, inserendo solo una parte del canale dei Petroli nella zona in cui sono vietate costruzioni che possono ospitare più di 500 persone, senza però specificare se il passaggio della nave rappresenta o meno una situazione vietata. Comunque sia la presenza di Vtp all’incontro di questo pomeriggio potrebbe portare già a una scelta operativa per la fine della stagione. F. B. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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La sfida delle Regioni
Autonomia, Conte prende tempo Salvini: con il no si va verso la crisi Oggi vertice sulle Sovrintendenze e la norma finanziaria Di Maio: «Non si può spaccare il Paese o cade il governo» Albino Salmaso PADOVA. Autonomia delle re-
gioni, “Russiagate” e “caso Arata-Siri”: sono i tre ostacoli che il premier Conte si prepara a superare in 48 ore decisive per la sorte del suo governo. Matteo Salvini nel comizio di Adro nel Bresciano ha ribadito che con i “no” del M5s si va dritti alla crisi e ha preso di mira Danilo Toninelli, simbolo del “non possumus” sulle Grandi Opere, dalla Tav Torino– Lione alle autostrade e ferrovie negate ai governatori di Veneto e Lombardia. «Non ho incontri in agenda. Per il futuro siamo nelle mani del buon Dio. Sulle autonomie non accettiamo un no come sta accadendo. Altrimenti andremo da soli, ma non ci fermiamo: abbiamo aspettato anche troppo», dice il Capitano. Nessun vertice, quindi, per costruire la tregua con Luigi Di Maio che rilancia: «La riforma va fatta, ma dobbiamo scriverla bene. Se qualcuno sta giocando a spaccare l’Italia o il governo, non lo permetteremo a nessuno», ribatte il vicepremier grillino. Torna il muro contro muro Lega-M5s e i nodi verranno al pettine oggi. Il premier Conte ha due appuntamenti per la riscrittura del testo: a palazzo Chigi nel pomeriggio è previsto un vertice con Erika Stefani e Alberto Bonisoli sul capitolo delle Soprintendenze. I governatori vorrebbero che
gran parte dei poteri sulla gestione del patrimonio storico e ambientale venissero trasferiti alle regioni, per ridurre i tempi di valutazione dei piani urbanistici. Passi avanti invece per la cessione dei musei “minori” dal Mibac alle città nel segno della devolution culturale e amministrativa. L’altro scoglio da superare è la norma finanziaria con il fondo di perequazione invo-
Zaia rilancia: non vogliamo dividere l’Italia tra Nord ricco e Sud povero cata dal M5S che viene visto come una provocazione da Zaia, Fontana e Bonaccini per nulla convinti di lasciare l’extragettito Irpef al Mef con il passaggio ai costi standard fra tre anni. Il meccanismo tecnico è molto complesso e verrà definito dallo staff del ministro Tria: si parte da una banda di oscillazione legata al Pil e al gettito Iperf e Iva. In tempi di vacche grasse di crescita made-Cina un po’ di extragettito delle regioni virtuose del Nord torna a Roma per aiutare il Sud. Quando invece soffia il vento delle recessione stile Usa-2008 allora sarà lo Stato a garantire il pareggio dei conti con le integrazioni di gettito. Pura teoria? No. Questa è vera questione politica che separa Lega e 5 Stel-
le. I grillini sono radicati al Mezzogiorno perché al Nord viaggiano al 10-15 per cento e quindi hanno fissato la loro linea Maginot: senza fondo di perequazione o piano straordinario per rilanciare il Sud non ci sarà alcun accordo. Una tesi ribadita con un post su Facebook dal leader grillino, dopo aver visitato Del Vecchio e i top manager di Luxottica a Milano. «L’Autonomia va fatta, va data alle Regioni ma la dobbiamo scrivere bene. Dobbiamo ascoltare i governatori che chiedono dialogo, per creare un’Autonomia che rispetti i principi costituzionali. Se qualcuno sta giocando a spaccare l’Italia o il governo, non lo permetteremo a nessuno» ha detto Di Maio che ha risposto a Zaia e a Fontana. E il presidente della Camera, Roberto Fico ha ribadito: «Qualsiasi intesa passerà in Parlamento». Insomma, strada sbarrata a chi cerca scorciatoie. Dopo il botta e risposta tra Conte e Zaia-Fontana, a palazzo Chigi hanno deciso di lasciar sbollire la tensione, con la speranza che si arrivi a un confronto civile e a una soluzione. Il Consiglio dei ministri annunciato per giovedì potrebbe essere rinviato a tempi più distesi, il premier ha in agenda un vertice con la Lega Coop nel pomeriggio. Prima di chiudere le tre intese vuole incontrare Zaia, Fontana a Bonaccini per spiegare loro perché la riforma non può essere una «bandiera da
Matteo Salvini e Giuseppe Conte in una foto d’archivio: ora il feeling si è spezzato
de poli (udc)
Solo parole vuote nessun passo avanti «Abbiamo constatato una cosa a noi tutti chiara da tempo: nel contratto di governo c’erano solo dei titoli. Tra questi punti c’era l’ autonomia ma non c’è mai stata un’intesa politica. I Cinque stelle sono la forza che ferma il cambiamento del Paese. Chi ha orecchi per intendere intenda». Così il senatore UDC Antonio De Poli secondo cui «un’ autonomia svuotata, senza le risorse, non ha senso. Bisogna rispettare gli elettori».
sventolare nelle regioni ma un salto di qualità per tutta l’Italia che non va disintegrata». Messaggio diretto al popolo lombardo-veneto. Da Venezia Luca Zaia rilancia la sua battaglia con un video su Facebook in cui rassicura: «Non vogliamo la secessione del ricco Nord che mette in ginocchio il povero Sud, basta con le narrazioni e le bugie di chi punta a spaccare il Paese», dice con rabbia e amarezza il governatore della Lega. Da Milano anche Attilio Fontana invita alla cautela: «Con determinazione va spie-
Trattativa impantanata, le colpe del Sud e quelle del Nord
L’
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GIANCARLO CORÒ
IL COMMENTO
autonomia regionale doveva essere un grande progetto di riorganizzazione istituzionale dell’Italia per favorire una migliore distribuzione dei poteri e delle risorse sul territorio. Oramai è diventata una farsa, dove tutti gli attori in commedia si lanciano accuse di tradimento, perdendo di vista il senso di una necessaria riforma nazionale. Se siamo arrivati a questo punto le responsabilità sono di molti. Innanzitutto di un vecchio me-
gata la verità. È importante smontare le fake news. Siamo per una riforma che non danneggi nessuno e si occupi di vita reale. Vogliamo più responsabilità per dare più servizi ai cittadini». Su Sky 24 arriva la voce di Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia: «Siamo stanchi delle prese in giro, la nostra proposta è più in sintonia con la mediazione suggerita dal premier Conte ma attendo di essere convocato a Roma per firmare». Invece si sta profilando un nuovo rinvio. —
ridionalismo che non vuole mettere in discussione le regole di un gioco distributivo che ha alimentato la dipendenza del Sud dal resto d’Italia. Un gioco costosissimo, affidato all’intermediazione di una burocrazia fra le più centraliste e inefficienti dell’Occidente, che come risultato ha prodotto un enorme debito pubblico, accrescendo allo stesso tempo i divari fra Nord e Sud. Divari che non si limitano al reddito pro-capite, ai tassi di occupazione o all’export, ma che toc-
cano il funzionamento di servizi essenziali quali sanità, scuola, gestione dei rifiuti, per non dire dei livelli di evasione fiscale, corruzione, criminalità. Invece che affrontare di petto questi problemi si preferisce ripararsi dietro slogan come “la secessione dei ricchi”, lanciando un messaggio devastante: piuttosto che lasciare crescere i territori con istituzioni e imprese più forti, meglio frenare il passo di tutti. Evitando così di porre la questione fondamentale dell’arretratezza del
Sud: l’inadeguatezza della sua classe dirigente, selezionata non in base alla capacità di fornire beni pubblici utili allo sviluppo, bensì nel formare coalizioni distributive per intercettare risorse prodotte altrove. Tutto questo non deve però metter in ombra le responsabilità delle classi dirigenti del Nord. Aver impostato la battaglia per l’autonomia a suon di mirabolanti promesse fiscali, lisciando il pelo all’egoismo territoriale del “prima noi”, ha costituito solo una strumenta-
lizzazione buona per raccogliere consenso locale, ma nella quale ci siamo impantanati appena la partita si è spostata, com’era inevitabile, a livello nazionale. Oltre alla politica, nemmeno la società e l’economia civile del Nord sono riuscite a esprimere “patti federativi” credibili. Non lo stanno facendo le città, a partire da Milano o Venezia, le cui reti di collaborazione con le città del Sud potrebbero diventare parte di una nuova politica europea, abbattendo i muri che i nazio-
nalismi stanno invece innalzando. Non lo stanno facendo gli industriali, che hanno cancellato dall’agenda i progetti di gemellaggio con distretti del Mezzogiorno avviati due decenni fa. Non lo fanno le Università, lanciate in una competizione per ottenere risorse sempre più scarse invece che proporre un nuovo gioco, che riconosca nella creazione e condivisione delle conoscenze il fattore oggi centrale per lo sviluppo. Nessun federalismo nascerà mai dall’alto. Perché dovremo aspettarci possa avvenire in Italia, dove anche il partito nato in nome del federalismo è ora diventato sovranista?
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LA SPESA PRO CAPITE DELLO STATO NELLE 15 REGIONI A STATUTO ORDINARIO Popolazione della Regione
Veneto Emilia Romagna Lombardia Abruzzo Basilicata Calabria Campania Lazio Liguria Marche Molise Piemonte Puglia Toscana Umbria TOTALE
4.906.283 4.450.735 10.027.712 1.318.722 568.742 1.960.908 5.832.972 5.897.409 1.561.144 1.534.904 309.471 4.384.196 4.056.065 3.739.703 886.774 51.435.737
Scostamento pro capite con la spesa media Spesa pro capite nazionale che andrebbe ripianato con trasferimento per tutte le dallo Stato alla Regione (+) funzioni richieste o dalla Regione allo Stato (-)
Somma complessiva che andrebbe trasferita dallo Stato alla Regione (+) o dalla Regione allo Stato (-) per ripianare lo scostamento
+75 +105 +187 -49 -265 -133 -119 -300 -204 +26 -85 +84 +59 +8 -108
901 871 789 1.025 1.240 1.109 1.095 1.276 1.180 950 1.061 892 917 968 1.084 976
+366.957.433 +467.975.735 +1.870.770.370 -64.709.222 -150.457.912 -260.760.451 -696.064.677 -1.770.601.048 -318.784.158 +40.221.798 -26.294.214 +367.838.754 +240.549.857 +29.012.544 -95.654.819 Fonte: Rizzo-Secomandi. Università di Ferrara
Costi standard, senza la scuola al Veneto solo 44 milioni Lo sostiene uno studio di due docenti della Facoltà di Economia di Ferrara «Con l’autonomia al Nord, a pagare il conto saranno le regioni più deboli» PADOVA. La riforma del federa-
lismo fiscale con il passaggio ai costi standard, battaglia storica della Lega? Vale un assegno di 2,7 miliardi di euro per Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna con cui riequilibrare i minori trasferimenti ricevuti dallo Stato con i decreti Stammati e la spesa storica. Il “tesoro” però scende drasticamente a 1,3 miliardi dato che la scuola rimane ancorata al Miur di Roma. L’identità culturale nazionale non verrà smembrata perché l’idea di trasferire gli insegnanti alle regioni è stata bocciata dal premier Conte. Cosa resta quindi sul piatto della bilancia dell’autonomia differenziata? Un pugno di milioni per il Veneto: con la scuola sarebbero 367 ma senza i professori con la rivoluzione dei costi standard Zaia porterà a casa 44 milioni. Briciole. Val la pena di sfasciare il governo per un piatto di
lenticchie, senza il Prosecco? Forse no. Anche se Matteo Salvini continua a minacciare la crisi spinto da Zaia e Fontana. Che non ci sia proprio nulla da temere lo conferma il ministro dell’Economia Tria che dalla Turchia dice di guardare con massimo rispetto «all’autonomia differenziata senza nutrire preoccupazione per l’aggravio di 3,3 miliardi per la spesa pubblica». A fornire queste cifre e analisi sono due docenti della facoltà di Economia di Ferrara, Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi, con un articolo che oggi verrà pubblicato su “Lavoce.info” e ieri anticipato da Repubblica. La loro tesi è molto semplice: se Veneto, Lombardia ed Emilia riceveranno 2,7 o 1,3 miliardi con il riequilibrio dei costi standard è evidente che a pagare il conto saranno le regioni più deboli, quelle del Sud che oggi spen-
dono nettamente di più rispetto alla media. L’alternativa è una sola: aumentare il deficit pubblico. Strada sbarrata. Il professor Rizzo ha analizzato i dati della Ragioneria 2017 da cui emerge che le tre regioni impegnate con l’autonomia differenziata hanno chiesto il trasferimento di competenze e funzioni per una spesa totale di 16,2 miliardi, oggi interamente coperta dallo Stato. Tolta l’istruzione, che pesa per 11,4 mld, si scende a 4,8 con una torta che sarà divisa in fette diverse con i costi standard. I parametri da analizzare sono due: lo Stato spende 974 euro procapite per garantire le 23 funzioni degli articoli 116-117 nelle 15 regioni a statuto ordinario. Nell’arco di tre anni appena la commissione paritetica avrà ultimato il lavoro, scatteranno le compensazioni previste dall’articolo 5 del titolo I formulate dal mini-
la reazione degli industriali
Piovesana: «È una battaglia da portare a casa, senza fretta» PADOVA. «Testa bassa e bereto
fracà». Suona così il motto veneto, una specie di ideologia del lavoro, fondamento dell’imprenditorialità. E un po’ vuol dire questo Maria Cristina Piovesana, leader della Confindustria Veneto Centro quando afferma che sull’autonomia, «alle lettere aperte (riferimento alla missiva del Premier Conte che invitava domenica ad abbassare i toni ndr.) preferisco la gente che lavora
in silenzio». Parafrasi: poche chiacchiere e propaganda e trovate un accordo. Che non significa, per la leader degli industriali trevigiani e padovani, un’intesa purché sia. «Dato per scontato che sosteniamo la battaglia del nostro governatore Zaia, ci sono dei ma e dei se, tempi, modi e condizioni». Piovesana non ritiene che tutte le 23 materie debbano essere prerogativa del territorio. «Sulle grandi infrastrutture la
pianificazione deve essere nazionale»; «Sull’energia non si può avere una visione regionale. E poi sui rapporti internazionali, in un mondo in cui tutti mostrano i muscoli, con Trump e la Cina serve si muova una nazione se non un perimetro europeo». E poi c’è la questione dei tempi: «L’autonomia è una battaglia che dobbiamo portare a casa, ma non ho fretta. Deve essere fatto in modo che ci sia una coesione
IL PROFESSOR LEONZIO RIZZO DELLA FACOLTÀ DI ECONOMIA DI FERRARA
La ricerca pubblicata anche su Lavoce.info nasce dall’analisi dei conti della Ragioneria Decisivi saranno i fabbisogni sociale e nazionale, bisogna fare tutti i passi gusti». E poi c’è la cruda realtà: «Ci troviamo con un governo dove non c’è una visione condivisa è velleitario arrivare in tempi brevi. Bisogna passare in Parlamento dove la Lega non ha la maggioranza». Infine c’è una questione di modo: «Bisogna far sì che l’autonomia non sia percepita come la secessione dei ricchi» fatto salvo «il sacrosanto principio del merito e dei costi standard». Prudenza dunque? «Non si tratta di prudenza, ma non si può credere di illudere la gente che le cose cambino con un “tic e tac”, l’autonomia se va fatta, va fatta bene». Matteo Zoppas, al vertice di Confindustria Veneto, segue Piovesana nell’ammorbidire i toni del dibattito: «L’Autono-
stro Stefani, oggi all’esame del Mef. Che scenario si profila? Senza la scuola, la spesa media nazionale teorica è calcolata di 316 euro pro capite, con la Lombardia che oggi ne riceve 228 euro e quindi ha diritto a un’integrazione di 88 euro procapite. L’Emilia Romagna dovrebbe incassare un bonus di 86 euro per cittadino mentre per il Veneto la cifra sarebbe molto più modesta: appena 9 euro. Che moltiplicati per la popolazione diventano 44 milioni . «Tirate le somme si presenta un aumento aggregato di spesa per le tre regioni del Nord di 1,3 miliardi ovvero il 21% dell’attuale spesa storica che passerebbe da 4,8 a 6,1 miliardi di euro», afferma il professor Rizzo. Chi paga il conto? Lo sapremo appena verrà definito il modello del fondo di perequazione. «La mia opinione è che l’autonomia differenziata funziona solo se ci sarà la volontà di calcolare i fabbisogni standard nel pieno rispetto delle emergenze sociali dell’Italia: fare scuola in Aspromonte con i professori che vanno in classe scortati dai carabinieri ha dei costi nettamente superiori rispetto a quelli di una città come Ferrara o Padova. La domanda è: che Italia vogliamo per i nostri figli?» — Albino Salmaso
Giovanardi: «La riforma non è stata smontata»
Andrea Giovanardi VENEZIA. Andrea Giovanardi, docente di diritto tributario all’Università di Trento che fa parte della delegazione che a Roma tratta l’autonomia differenziata, fa chiarezza sui conti e i rilievi dello Stato. «Non è vero che la presidenza del Consiglio dei Ministri ha “smontato” la riforma. Prova ne sia che l’unico rilievo che viene mosso alla norma finanziaria è quello attinente alla clausola della spesa media nazionale pro capite, che, nell’ipotesi contenuta nella proposta delle Regioni, dovrebbe trovare applicazione, in sostituzione della spesa storica, dopo tre anni dal varo della riforma nel caso in cui non si addivenga alla determinazione dei fabbisogni standard. La struttura della disposizione, che, in linea con l’articolo 119 della Costituzione, si fonda sull’utilizzo delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio al fine di coprire la spesa (storica) relativa alle competenze oggetto di trasferimento, non ha subito alcun tipo di critica dai tecnici del Dipartimento. Il criterio della spesa media costituisce una sorta di pungolo per indurre il Governo a varare i fabbisogni standard, in forza di quanto previsto dall’art. 1 della legge n. 42 del 2009 di Calderoli». –
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mia rafforzata non va considerata come un pericolo per l’unità nazionale, anzi è l’opportunità per una reale spending review che faccia da anno zero per definire i costi standard e individuare le best practice». Quasi rispondendo a distanza ai timori del leader nazionale Vincenzo Boccia che ieri era in-
vicentini, invece affronta la questione con ben altri accenti. «Basta ipocrisie, il Governo non vuole l'autonomia ma tutelare status quo» sbotta a mezzo comunicato stampa. «Se si pensa che i cittadini che hanno votato il referendum e attendono pazienti che chi di dovere faccia il proprio lavoro si lascino abbindolare, ci si sta sbagliando di grosso», aggiunge Vescovi. «Lo si dica chiaro e forte: il voto dei cittadini veneti e lombardi non vale nulla. Siamo stufi di questa pantomima». Il federalismo scriveva Repubblica costerebbe 3,3 miliardi al sud. Con una postilla: 1,7 miliardi di questi mancati trasferimenti riguardano un’unica regione: il Lazio. — Roberta Paolini
Lo sfogo di Vescovi: «Basta ipocrisie, il Governo vuole tutelare lo status quo» tervenuto sulla faccenda avvertendo: «L'autonomia non deve essere contro il Sud». Il collega berico Luciano Vescovi, a capo degli industriali
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Veneto Emilia Romagna Lombardia Abruzzo Basilicata Calabria Campania Lazio Liguria Marche Molise Piemonte Puglia Toscana Umbria TOTALE
4.906.283 4.450.735 10.027.712 1.318.722 568.742 1.960.908 5.832.972 5.897.409 1.561.144 1.534.904 309.471 4.384.196 4.056.065 3.739.703 886.774 51.435.737
Scostamento pro capite con la spesa media Spesa pro capite nazionale che andrebbe ripianato con trasferimento per tutte le dallo Stato alla Regione (+) funzioni richieste o dalla Regione allo Stato (-)
Somma complessiva che andrebbe trasferita dallo Stato alla Regione (+) o dalla Regione allo Stato (-) per ripianare lo scostamento
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901 871 789 1.025 1.240 1.109 1.095 1.276 1.180 950 1.061 892 917 968 1.084 976
+366.957.433 +467.975.735 +1.870.770.370 -64.709.222 -150.457.912 -260.760.451 -696.064.677 -1.770.601.048 -318.784.158 +40.221.798 -26.294.214 +367.838.754 +240.549.857 +29.012.544 -95.654.819 Fonte: Rizzo-Secomandi. Università di Ferrara
Costi standard, senza la scuola al Veneto solo 44 milioni Lo sostiene uno studio di due docenti della Facoltà di Economia di Ferrara «Con l’autonomia al Nord, a pagare il conto saranno le regioni più deboli» PADOVA. La riforma del federa-
lismo fiscale con il passaggio ai costi standard, battaglia storica della Lega? Vale un assegno di 2,7 miliardi di euro per Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna con cui riequilibrare i minori trasferimenti ricevuti dallo Stato con i decreti Stammati e la spesa storica. Il “tesoro” però scende drasticamente a 1,3 miliardi dato che la scuola rimane ancorata al Miur di Roma. L’identità culturale nazionale non verrà smembrata perché l’idea di trasferire gli insegnanti alle regioni è stata bocciata dal premier Conte. Cosa resta quindi sul piatto della bilancia dell’autonomia differenziata? Un pugno di milioni per il Veneto: con la scuola sarebbero 367 ma senza i professori con la rivoluzione dei costi standard Zaia porterà a casa 44 milioni. Briciole. Val la pena di sfasciare il governo per un piatto di
lenticchie, senza il Prosecco? Forse no. Anche se Matteo Salvini continua a minacciare la crisi spinto da Zaia e Fontana. Che non ci sia proprio nulla da temere lo conferma il ministro dell’Economia Tria che dalla Turchia dice di guardare con massimo rispetto «all’autonomia differenziata senza nutrire preoccupazione per l’aggravio di 3,3 miliardi per la spesa pubblica». A fornire queste cifre e analisi sono due docenti della facoltà di Economia di Ferrara, Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi, con un articolo che oggi verrà pubblicato su “Lavoce.info” e ieri anticipato da Repubblica. La loro tesi è molto semplice: se Veneto, Lombardia ed Emilia riceveranno 2,7 o 1,3 miliardi con il riequilibrio dei costi standard è evidente che a pagare il conto saranno le regioni più deboli, quelle del Sud che oggi spen-
dono nettamente di più rispetto alla media. L’alternativa è una sola: aumentare il deficit pubblico. Strada sbarrata. Il professor Rizzo ha analizzato i dati della Ragioneria 2017 da cui emerge che le tre regioni impegnate con l’autonomia differenziata hanno chiesto il trasferimento di competenze e funzioni per una spesa totale di 16,2 miliardi, oggi interamente coperta dallo Stato. Tolta l’istruzione, che pesa per 11,4 mld, si scende a 4,8 con una torta che sarà divisa in fette diverse con i costi standard. I parametri da analizzare sono due: lo Stato spende 974 euro procapite per garantire le 23 funzioni degli articoli 116-117 nelle 15 regioni a statuto ordinario. Nell’arco di tre anni appena la commissione paritetica avrà ultimato il lavoro, scatteranno le compensazioni previste dall’articolo 5 del titolo I formulate dal mini-
la reazione degli industriali
Piovesana: «È una battaglia da portare a casa, senza fretta» PADOVA. «Testa bassa e bereto
fracà». Suona così il motto veneto, una specie di ideologia del lavoro, fondamento dell’imprenditorialità. E un po’ vuol dire questo Maria Cristina Piovesana, leader della Confindustria Veneto Centro quando afferma che sull’autonomia, «alle lettere aperte (riferimento alla missiva del Premier Conte che invitava domenica ad abbassare i toni ndr.) preferisco la gente che lavora
in silenzio». Parafrasi: poche chiacchiere e propaganda e trovate un accordo. Che non significa, per la leader degli industriali trevigiani e padovani, un’intesa purché sia. «Dato per scontato che sosteniamo la battaglia del nostro governatore Zaia, ci sono dei ma e dei se, tempi, modi e condizioni». Piovesana non ritiene che tutte le 23 materie debbano essere prerogativa del territorio. «Sulle grandi infrastrutture la
pianificazione deve essere nazionale»; «Sull’energia non si può avere una visione regionale. E poi sui rapporti internazionali, in un mondo in cui tutti mostrano i muscoli, con Trump e la Cina serve si muova una nazione se non un perimetro europeo». E poi c’è la questione dei tempi: «L’autonomia è una battaglia che dobbiamo portare a casa, ma non ho fretta. Deve essere fatto in modo che ci sia una coesione
IL PROFESSOR LEONZIO RIZZO DELLA FACOLTÀ DI ECONOMIA DI FERRARA
La ricerca pubblicata anche su Lavoce.info nasce dall’analisi dei conti della Ragioneria Decisivi saranno i fabbisogni sociale e nazionale, bisogna fare tutti i passi gusti». E poi c’è la cruda realtà: «Ci troviamo con un governo dove non c’è una visione condivisa è velleitario arrivare in tempi brevi. Bisogna passare in Parlamento dove la Lega non ha la maggioranza». Infine c’è una questione di modo: «Bisogna far sì che l’autonomia non sia percepita come la secessione dei ricchi» fatto salvo «il sacrosanto principio del merito e dei costi standard». Prudenza dunque? «Non si tratta di prudenza, ma non si può credere di illudere la gente che le cose cambino con un “tic e tac”, l’autonomia se va fatta, va fatta bene». Matteo Zoppas, al vertice di Confindustria Veneto, segue Piovesana nell’ammorbidire i toni del dibattito: «L’Autono-
stro Stefani, oggi all’esame del Mef. Che scenario si profila? Senza la scuola, la spesa media nazionale teorica è calcolata di 316 euro pro capite, con la Lombardia che oggi ne riceve 228 euro e quindi ha diritto a un’integrazione di 88 euro procapite. L’Emilia Romagna dovrebbe incassare un bonus di 86 euro per cittadino mentre per il Veneto la cifra sarebbe molto più modesta: appena 9 euro. Che moltiplicati per la popolazione diventano 44 milioni . «Tirate le somme si presenta un aumento aggregato di spesa per le tre regioni del Nord di 1,3 miliardi ovvero il 21% dell’attuale spesa storica che passerebbe da 4,8 a 6,1 miliardi di euro», afferma il professor Rizzo. Chi paga il conto? Lo sapremo appena verrà definito il modello del fondo di perequazione. «La mia opinione è che l’autonomia differenziata funziona solo se ci sarà la volontà di calcolare i fabbisogni standard nel pieno rispetto delle emergenze sociali dell’Italia: fare scuola in Aspromonte con i professori che vanno in classe scortati dai carabinieri ha dei costi nettamente superiori rispetto a quelli di una città come Ferrara o Padova. La domanda è: che Italia vogliamo per i nostri figli?» — Albino Salmaso
Giovanardi: «La riforma non è stata smontata»
Andrea Giovanardi VENEZIA. Andrea Giovanardi, docente di diritto tributario all’Università di Trento che fa parte della delegazione che a Roma tratta l’autonomia differenziata, fa chiarezza sui conti e i rilievi dello Stato. «Non è vero che la presidenza del Consiglio dei Ministri ha “smontato” la riforma. Prova ne sia che l’unico rilievo che viene mosso alla norma finanziaria è quello attinente alla clausola della spesa media nazionale pro capite, che, nell’ipotesi contenuta nella proposta delle Regioni, dovrebbe trovare applicazione, in sostituzione della spesa storica, dopo tre anni dal varo della riforma nel caso in cui non si addivenga alla determinazione dei fabbisogni standard. La struttura della disposizione, che, in linea con l’articolo 119 della Costituzione, si fonda sull’utilizzo delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio al fine di coprire la spesa (storica) relativa alle competenze oggetto di trasferimento, non ha subito alcun tipo di critica dai tecnici del Dipartimento. Il criterio della spesa media costituisce una sorta di pungolo per indurre il Governo a varare i fabbisogni standard, in forza di quanto previsto dall’art. 1 della legge n. 42 del 2009 di Calderoli». –
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
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mia rafforzata non va considerata come un pericolo per l’unità nazionale, anzi è l’opportunità per una reale spending review che faccia da anno zero per definire i costi standard e individuare le best practice». Quasi rispondendo a distanza ai timori del leader nazionale Vincenzo Boccia che ieri era in-
vicentini, invece affronta la questione con ben altri accenti. «Basta ipocrisie, il Governo non vuole l'autonomia ma tutelare status quo» sbotta a mezzo comunicato stampa. «Se si pensa che i cittadini che hanno votato il referendum e attendono pazienti che chi di dovere faccia il proprio lavoro si lascino abbindolare, ci si sta sbagliando di grosso», aggiunge Vescovi. «Lo si dica chiaro e forte: il voto dei cittadini veneti e lombardi non vale nulla. Siamo stufi di questa pantomima». Il federalismo scriveva Repubblica costerebbe 3,3 miliardi al sud. Con una postilla: 1,7 miliardi di questi mancati trasferimenti riguardano un’unica regione: il Lazio. — Roberta Paolini
Lo sfogo di Vescovi: «Basta ipocrisie, il Governo vuole tutelare lo status quo» tervenuto sulla faccenda avvertendo: «L'autonomia non deve essere contro il Sud». Il collega berico Luciano Vescovi, a capo degli industriali
CRONACA
Martedì 23 Luglio 2019 | IL FATTO QUOTIDIANO |
I “PADANI” CONTRO BOCCIA
L’autonomia divide pure Confindustria: le note incrociate
LA COSIDDETTA autonomia chiesta da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna non divide solo la maggioranza gialloverde. Anche Confindustria è spaccata e ieri le diverse sensibilità sul tema sono emerse plasticamente. Ieri la Confederazione ha diffuso una nota frutto del “dialogo” tra gli industriali delle varie regioni: “L’autonomia differenziata può rappresentare un fattore di efficienza e com-
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petitività per i territori interessati e per l’intero Paese, nel rispetto dell’unità nazionale”, dice la nota, che invita le forze politiche a “valorizzare il ruolo del Parlamento” nel raggiungimento delle intese. Una posizione, all’ingrosso, simile a quella del premier Conte e dei 5 Stelle, ancor più chiara nelle parole del presidente Vincenzo Boccia, secondo cui l’autonomia “non può andare contro il Sud e la politica di coesione”. Pec-
MANI PULITE Di Pietro, Cusani e gli altri in Tribunale
» FERRUCCIO SANSA
“S
Milano
ono venuto al funerale di Borrelli per ques ta”, Sergio Cusani tira fuori dalla zaino una lettera consumata. È di Francesco Saverio Borrelli: “Caro Cusani, so che le mie parole non possono lenire il Suo dolore per la perdita della madre. Ma le scrivo avendo vissuto la stessa esperienza”. Dieci righe con la grafia minuta, aguzza, che in 47 anni di carriera ha riempito migliaia di fascicoli. Ma stavolta termina così: “Un abbraccio”. Sì, tra il magistrato che ha guidato Mani Pulite e uno degli imputati simbolo. Questo spirito forse ha spinto Cusani a sedersi accanto ad Antonio Di Pietro nella navata di Santa Croce. A porgergli un fazzoletto per il sudore, tipo Coppi e Bartali che si scambiano la bottiglietta all’attacco della salita. “Sono stati giorni dolorosi, ma ogni passaggio della vita ha un senso. Io non vorrei essere l’uomo che ero prima di Mani Pulite. È andata bene così”, sussurra Cusani mentre stringe le mani a magistrati e finanzieri.
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cato che i suoi associati di Lombardia e Veneto siano invece sulle posizioni di Luca Zaia e Attilio Fontana: “Qui non si tratta di nord o sud, ma si tratta di risparmi importanti che si possono fare anche al sud”, mette a verbale un’ora dopo Matteo Zoppas, presidente degli industriali veneti. Icastico il collega lombardo Marco Bonometti: “O l’autonomia passa o è meglio che questo governo vada a casa”.
Il saluto
Ultimo addio a Borrelli, angelo custode della Milano smarrita
È STATO LUNGO l’addio a Bor-
relli. Ieri mattina c’era stata la camera ardente in Tribunale; al culmine di quello scalone ripido dominato da una scritta a caratteri cubitali: “Iustitia”. Borrelli lo saliva ogni mattina dopo essere arrivato in bici. E ieri intorno a lui, come nelle riunioni al grande tavolo del suo ufficio, c’erano tutti: Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Paolo Ielo, quelli di Mani Pulite. Poi Armando Spataro, Alberto Nobili sempre con quell’aria da moschettiere, e Maurizio Romanelli con gli occhi lucidi. È arrivato anche Antonio Di Pietro, terreo. Da-
Procuratore capo Francesco Saverio Borrelli aveva 89 anni Ansa
vanti al feretro si è inginocchiato, la faccia tra le mani. Per un attimo rieccoli insieme con la toga (Di Pietro se la fa prestare). Manca qualcuno? C’è chi nella folla cerca i capelli rossi di Ilda Boccassini, ma non li trova. A salutare Borrelli ci sono il sindaco Beppe Sala e i predecessori Giuliano Pisapia e Gabriele Albertini. Poi Mario Monti e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: “Borrelli è un esempio nella lotta alla corruzione”. E sono loro, i sostituti di Borrelli, a portare sulle spalle il Capo nell’ultima uscita dal
suo tribunale. Quell’edificio squadrato, scuro, quasi disumano come si suppone debba essere la giustizia. Non quella di Borrelli. Ai lati della scalinata due ali di folla: tanti magistrati, di ogni età, e qualche avvocato. Parte un applauso interminabile. Minuti. Sarà difficile ripercorrere i passi di Borrelli, un uomo – ricorda nell’omelia don Lidio Zaupa – “che ha speso la vita per il bene comune, l’onestà, la giustizia” e “la lotta alla corruzione”. Leggi, codici, certo. Ma il suo ultimo messaggio è arrivato dalle letture scelte per
L’ultimo saluto La bara portata a spalla dai “suoi” sostituti. A destra Antonio Di Pietro e Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e Francesco Greco LaPresse/Ansa
il proprio funerale: il Vangelo di Matteo. “Fu detto occhio per occhio e dente per dente, ma se uno ti percuote la guancia, tu porgigli l’altra; a chi ti porta in tribunale per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello”. Fino a quel passaggio: “Amate i vostri nemici... non giudicate perché con il metro che usate per giudicare sarete giudicati”. Il pensiero di Borrelli è anche qui: la giustizia dei tribunali è necessaria, ma non è la sola. La chiesa è piena, non gremita. Riconosci volti che incontri ogni giorno a Palazzo di
Giustizia, ma c’è anche gente comune, come Anna Bertotti, professoressa in pensione: “Ero davanti al Tribunale la sera che manifestammo a migliaia per il Pool. Borrelli è stato un angelo custode per Milano negli anni dello smarrimento”. Ma oggi in chiesa i giovani sono una manciata. Non è un bagno di folla. Quando il feretro esce sulla piazza le auto per un attimo si fermano: “È Borrelli, quello di resistere, resistere, resistere”. Ma subito il traffico riprende a scorrere. Milano e l’Italia resistono ancora? © RIPRODUZIONE RISERVATA
IV
Treviso
Martedì 23 Luglio 2019 www.gazzettino.it
Ater, caro affitti quartieri in rivolta Conte: «Rimediamo» A San Liberale canoni triplicati per case senza riscaldamento Il sindaco: «Così non va, porteremo dei correttivi in tempi brevi» `
LA POLEMICA L’ennesimo sfogo di gruppo va in scena a San Liberale: alloggi popolari di via Sicilia, gli inquilini e i loro familiari attaccano il caro affitti applicato dall’Ater, che qui come altrove penalizza soprattutto i pensionati, spesso soli, che vivono con una magra pensione e che casomai, negli anni, hanno messo da parte qualcosa per la vecchiaia. «Parlo per mia madre – attacca una donna – vive qui da 52 anni, con una pensione di reversibilità e vive in una casa non a norma, senza riscaldamento. E si è messa via qualcosa per la vecchiaia. Risultato: le hanno triplicato l’affitto». Un’anziana mostra i bollettini racconta che il affitto è balzato a 490 euro: «Ho pagato, tanto in Italia bisogna sempre pagare». Bollettini alla mano, un altro inquilino, Ivano Martin, ci apre la porta di casa, mostra i bollettini, dovrà pagare ora oltre 400 euro. «A questo punto che ci vendano le case. Con tutti i lavori che mi sono fatto e che avrebbero dovuto farmi loro». «Io pago tre volte quello che pagavo prima, 1250 euro di pensione in due – dice Rino Scottà ho messo via qualche soldo e liquidazione, adesso me li mangiano tutti. Danno le case a chi non ha reddito, vale a dire gli extracomunitari». Dello stesso avviso Mario Caldato: «Hanno fatto una legge sbagliata, retroattiva. È il 300 per cento del canone in più, non può esistere. Sono 60 anni che vivo qui. Se prendevo il Tfr, avrei dovuto nasconderlo se superava i 20mila euro». In case che, all’inizio, non erano neanche abitabili, rincara. TREVISO
no al corrente dei contenuti della nuova normativa. Forse l’attenzione di Zaia e dei consiglieri regionali leghisti – commenta il segretario Giovanni Zorzi si è concentrata solo sulla norma che introduce il vincolo “veneto” dei cinque anni di residenza. Tanto è bastato a loro: rivendicare, anche su un fronte così delicato, lo slogan - di dubbia costituzionalità - “prima i veneti”, senza soffermarsi sulle
SINDACO Mario Conte
«UNA LEGGE CHE ANDAVA FATTA IL GOVERNATORE MI HA CHIESTO UNA RELAZIONE SUI CASI PIÙ GRAVI»
L’ATTACCO Il Partito democratico provinciale va all’attacco: «A sentire autorevoli esponenti della Lega, sembra che la nuova legge regionale sugli alloggi popolari sia stata calata dall’alto e all’improvviso. Invece, si tratta di un procedimento che ha seguito tutto il suo iter: Tutti era-
conseguenze che questa legge avrebbe generato alle migliaia di utenti». Il Pd invoca dei correttivi e a questo problema dedicherà domani sera un’assemblea con i propri amministratori locali e referenti dei vari comitati di inquilini.
RIMEDI Tirato in ballo a più riprese insieme allo stesso governatore del Veneto Luca Zaia, il sindaco Mario Conte si sta già muovendo per risolvere le situazioni palesemente ingiuste: «Gli inquilini devono stare tranquilli - spiega - stiamo prendendo per mano la situazione insieme all’assessore regionale Manuela Lanzarin e al presidente dell’Ater Luca Barattin. Abbiamo capito che ci sono aspetti che non vanno bene e vanno corretti, lo stesso governatore Zaia mi ha chiesto un report dei casi più problematici: è già pronto e nei prossimi giorni andrò in Regione a portarglielo. Il nostro impegno è quello di accelerare i tempi per trovare soluzioni fin da subito e rivedere gli affitti già dalla prossima mensilità».I primi correttivi, promette Conte, saranno applicati dunque a stretto giro. «Ma – dice il sindaco – questa era comunque una legge che andava fatta: ci sono tanti furbetti negli alloggi popolari che non possono continuare a usufruire di un servizio pubblico pagando pochissimi euro». Lina Paronetto
MALCONTENTO In alto alcuni residenti di S. Liberale protestano per gli aumenti arrivati ultimamente
Giuliato: «Questa riforma tartassa operai e impiegati» LA TESTIMONIANZA TREVISO «Sono un inquilino Ater
da 50 anni e posso parlare a ragion veduta: questa riforma è stata fatta da politici poco accorti o da tecnici sprovveduti». Zeno Giuliato, volto storico della sinistra trevigiana, sindacalista e politico che ha cavalcato la scena locale per qualche decennio, è tra le migliaia di cittadini che si sono visti aumentare l’affitto. «A me - dice - è andata anche bene. Ho avuto un aumento mensile di circa 80 euro. Altri se lo sono visto raddoppiato o triplicato. Ma il punto è un altro: hanno messo dei parametri assurdi. Prima della riforma per avere diritto a un alloggio Ater, dovevi avere un reddito massimo di 34mila euro annui lordi. Adesso la soglia è stata abbassata a 20mila. Questo vuol dire che io, e tantissimi altri come me che abitano nello stesso posto da decenni e hanno sempre pagato tutte le spese, tra due anni al massimo dovranno uscire e cer-
care casa nel mercato libero».
L’ACCUSA La soglia dei 20mila euro, per Giuliato, potrebbe avere grosse conseguenze: «Vuol dire andare a colpire il ceto medio, svuotare gli alloggi Ater da nobili categorie professionali come operai o impiegati. E poi i parametri per valutare l’appartamento: non penso che la vetustà debba essere così importante. Ci sono appartamenti relativamente nuovi realizzati con materiali che già stanno deperendo e che valgono meno di appartamenti ben più vecchi. E tutto que-
«DA 50 ANNI VIVO IN UN ALLOGGIO POPOLARE E NON È COSÌ CHE PUNIRANNO CH FA IL FURBO»
sto è stato deciso a tavolino, in maniera burocratica». Poi Giuliato affronta il vero problema: «I parametri del reddito sono stati rivisti per eliminare quei casi di affitti estremamente bassi pagati da persone con redditi medi? È vero: giusto intervenire. Ma con questa riforma non andranno mai a colpire chi paga il minimo ma sotto casa ha parcheggiato la Mercedes ultimo modello. Purtroppo si vanno ad accanire contro i redditi medi. E poi la scelta di prendere come punto di riferimento l’Isee e non la dichiarazione dei redditi: trovo assurdo tartassare qualcuno in base ai risparmi che ha in banca. Pensionati con 20-30mila euro, magari messi assieme risparmiando una vita anche sul mangiare, si vedono l’affitto raddoppiato. Le graduatorie fatte in questo modo, mi dispiace dirlo, favoriranno sopratutto i lavoratori stranieri con redditi molto bassi». P. Cal.
Convertite, il canale medioevale tornerà allo scoperto IL PROGETTO TREVISO Riportare alla luce un
tratto del canale delle Convertite, che scorre sottoterra tra porta San Tomaso e piazza Matteotti fino a terminare la sua corsa nel Sile. A Ca’ Sugana si sta lavorando a un progetto di recupero strettamente legato anche alla lotta all’inquinamento. L’idea è di portare alla luce il canale nel tratto in cui passa sotto la proprietà dell’Isrra, accanto alla Casa Albergo: «Parliamo di circa 50 metri - spiega Alessandro Manera, assessore all’Ambiente che assieme a Sandro Zampese dei Lavori Pubblici sta seguendo il caso - e stiamo progettando il recupero di un canale di origine medioevale inserito in un contesto molto bel-
lo. E anche se insisterà sul terreno dell’Israa, sarà fruibile da tutti».
ti, è invaso dalle radici degli alberi. Ha bisogno quindi di soluzioni per rendere più fluido lo scorrimento dell’acqua ed evitare pericolosi ristagni. Una prima bozza del progetto prevedeva un intervento sotto la piazza per ridurre l’ingombro delle radici. Le immagini che arrivano dalle volte nascoste del canale, rimandano una sorta di bosco alla rovescia: enormi radici che hanno bucato il cemento, scavato in profondità fino a raggiungere l’acqua che corre in abbondanza. Si parlava anche della possibilità di portare alla luce il canale sacrificando una parte del parcheggio.
LA CORDATA Il progetto è inserito nel programma “Veneto Adapt” che ha tra i propri obiettivi l’elaborazione di soluzioni comuni tra le città della regione per prevenire i pericoli legati ad alluvioni e allagamenti. Capofila per cercare finanziamenti in Europa è il comune di Padova, a Treviso dovrebbero arrivare circa 300mila euro.
CRITICITÀ Il canale delle Convertite, dal punto di vista degli allagamenti, è a rischio. Scorre infatti, percorrendolo in diagonale, sotto un lungo tratto di città e una parte del suo corso, soprattutto sotto piazza Matteot-
«NON SI PUÒ FARE» SOTTO TERRA Le radici che si trovano sotto piazza Matteotti, proprio nel canale delle Convertite: non saranno tagliate
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«Abbiamo valutato la possibilità di intervenire in piazza Matteotti - ammette Manera -
ma non è un intervento fattibile: troppo complesso lavorare sulla piazza sacrificando, inoltre, buona parte del parcheggio. Anche intervenire sulle radici sotterranee risulta complicato: oltre a minare la stabilità degli alberi, che hanno raggiunto un loro equilibrio, c’è il rischio di andare a compromettere la stabilità di tutta la volta del canale. Meglio quindi pensare a portare alla luce il tratto di Convertite che passa sotto l’Israa. Un intervento del genere, oltre a rendere più fluido il corso dell’acqua, consente anche di ossigenare meglio il canale e questo è fondamentale per migliorare le condizioni del corso d’acqua. Ovviamente la situazione dell’inquinamento cambierà in meglio quando faremo incrociare il canale alla fognatura». P. Cal.
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Primo Piano
Martedì 23 Luglio 2019 www.gazzettino.it
La riforma bloccata IL VERTICE VENEZIA È un po’ come «al lupo, al lupo»: a forza di sentire annunci di date asseritamente stringenti, ormai si fatica a credere che quello di oggi sarà davvero «il vertice decisivo». Ma tant’è, i toni si sono alzati e le aspettative si sono impennate, per cui tocca attendersi comunque un’altra giornata rovente dal fronte dell’autonomia, schierato a Palazzo Chigi attorno al tavolo su cui il premier Giuseppe Conte proverà a sciogliere i nodi della trattativa. «Il mio auspicio è che il Governo da subito dia vita alla sua proposta, in maniera tale che si possa confrontarla con la nostra», dice dal Veneto il governatore Luca Zaia.
LA RIUNIONE Una pre-riunione ristretta avrebbe dovuto tenersi ancora ieri, ma tutto è slittato a questo pomeriggio. Convocati, oltre alla ministra Erika Stefani che coordina i dossier agli Affari regionali, sono i viceministri Laura Castelli e Massimo Garavaglia con i relativi tecnici (Economia) per le risorse finanziarie e il ministro Alberto Bonisoli (Beni Culturali) per le Sovrintendenze, vistosamente ottimista: «Ho una grandissima fiducia nelle capacità di mediazione del premier Conte. Sono sicuro che ci sarà una sintesi e sarà una sintesi che andrà bene». Zaia, però, mette le mani avanti sull’intesa: «Se ci sarà un punto di incontro, la firmeremo. Se sarà una farsa, se sarà una finta autonomia, decisamente non possiamo firmarla, anche perché saremmo irrispettosi nei confronti dei nostri cittadini e non rispetteremmo comunque la Costituzione». Il presidente della Regione prova a rassicurare ancora una volta i critici: «Non si creerà un Paese di serie A e di serie B: questa è una brutta manfrina che non vogliamo più sentire. Noi abbiamo fatto un progetto serio, validato a livello scientifico. Non vogliamo la secessione dei ricchi: il Veneto si candida a gestire le competenze oggi gestite da Roma all’interno delle 23 materie previste dalla Costituzione». Consi-
IL GOVERNATORE VENETO: «SE CI SARÀ UN PUNTO D’INCONTRO FIRMEREMO L’INTESA, SE SARÀ UNA FARSA DECISAMENTE NO»
ARRABBIATO Il governatore del Veneto Luca Zaia critica duramente gli ostacoli posti dal governo nell’attuazione dell’autonomia
Autonomia, atto finale Zaia: «Si deve decidere» Oggi Conte al vertice di governo `Il leghista: «Nessuna secessione dovrebbe sciogliere gli ultimi nodi dei ricchi. Facciano loro una proposta» `
Replica alla Donazzan sulla scuola
I sindacati veneti: «Noi sempre contrari» VENEZIA I sindacati della scuola contro l’assessore Elena Donazzan sulla proposta di autonomia per l’Istruzione. Nell’intervista al Gazzettino, l’esponente regionale di Fdi aveva dichiarato: «Gli stessi sindacati sul territorio erano con noi». Secca la smentita dei segretari Marta Viotto (Flc Cgil), Sandra Biolo (Cisl Scuola), Giuseppe Morgante (Uil Scuola), Daniela Avanzi (Snals Confsal) e Livio D’Agostino (Fgu-Gilda Unams): «Le organizzazioni sindacali hanno promosso centinaia di
assemblee nelle scuole del Veneto motivando la loro contrarietà al progetto e raccolto migliaia di firme a sostegno del documento nazionale di tutti i sindacati della scuola e dell’Università». Le sigle ricordano inoltre «l’impegno assunto dal governo (presente il ministro Bussetti) con le organizzazioni sindacali in cui viene ribadito in modo chiaro l’unicità del sistema nazionale d’istruzione, il reclutamento nazionale del personale e la preminenza del contratto nazionale di lavoro».
derazioni ribadite anche da Attilio Fontana, governatore della Lombardia: «Firmo se c’è autonomia finanziaria per la quale ancora ci sono dei dubbi e poi se ci sono delle materie importanti. Noi non chiediamo un euro in più, ma che lo Stato centrale ci trasferisca certe competenze: cambia l’erogatore del servizio e chi spende i soldi».
I PENTASTELLATI Dal versante pentastellato Roberto Fico, presidente della Camera, non arretra: «L’autonomia regionale non deve dividere il Paese, non deve lasciare il Sud nella condizione economica in cui si trova ma deve essere un’autonomia che dà qualche potere in più alle Regioni. L’Italia è unita, una e indivisibi-
le e bisogna lavorare e coordinarsi insieme. Qualsiasi sia l’intesa, passerà in Parlamento». Danilo Toninelli, il titolare delle Infrastrutture che a mezzogiorno sarà in audizione alla commissione parlamentare per le Questioni regionali, è più conciliante: «Chiedo a tutti i ministri del M5s e della Lega di abbassare i toni. Le tantissime ore di lavoro, i tanti tavoli con i tecnici coordinati dalla ministra Stefani stanno portando a un prodotto buono, perché è in punta di Costituzione». Il vicepremier Luigi Di Maio, però, non vuole fraintendimenti: «L’autonomia va fatta, va data alle Regioni ma la dobbiamo scrivere bene. Dobbiamo ascoltare i governatori che chiedono dialogo, per creare un’autonomia che rispetti i
Ma su qualcosa si può cedere» L’ATTACCO TREVISO L’Autonomia s’ha da fare, anche per rispetto della volontà chiaramente espressa dai cittadini nei referendum. Sull’obiettivo finale, i rappresentanti veneti di Confindustria non hanno dubbi. Così come è unanime lo scarso gradimento per il sempre più palese scontro istituzionale sulla riforma. Sulle competenze da devolvere alle amministrazioni regionali, però, rimangono alcune differenze d’accento: Assindustria Venetocentro, la super associazione delle oltre 3.300 imprese di Padova e Treviso, ad esempio, invita a considerare alcuni ambiti come strategici per l’interesse nazionale. «Il tema autonomia è quasi scontato – sottolinea la presidente Maria Cristina Piovesa-
NEL MERITO Al di là del metodo, tuttavia, la leader di Assindustria pone anche una questione di merito, rilanciando un rilievo sollevato dall’associazione fin dall’avvio dell’iter. «L’abbiamo sostenuto fin da subito: ci sono alcuni temi sovraregionali. Penso a certe infrastrutture o all’approvvigionamento energetico: non mi riferisco al ponte in un singolo comune, che pure ci sta a cuore, nemmeno alla Pedemontana Veneta, che riguar-
da la nostra regione. Ma ci ricordiamo tutti cosa è successo con il Tap: il veto della Regione Puglia ha fermato tutto. Oppure l’alta velocità. Occorrono valutazioni oggettive per definire chi fa cosa, dove finisce la responsabilità dell’amministrazione locale e dove subentra l’interesse nazionale, per non frenare lo sviluppo». Senza la dovuta chiarezza, ribadisce Piovesana, il rischio è che la riforma poi non venga comunque approvata dal Parlamento:
ZOPPAS: «NON È UN PERICOLO». PIOVESANA: «ENERGIA E CERTE INFRASTRUTTURE POSSONO RESTARE IN CAPO ALLO STATO»
I PRESIDENTI A proposito degli altri presidenti, il toscano dem Enrico Rossi mantiene la sua contrarietà alle richieste dei colleghi: «Se andranno avanti così, le Regioni del Nord avranno 2 miliardi e mezzo in più e il Sud ne perderà 3. In sostanza, vuol dire che vince chi è già ricco». Il siciliano Nello Musumeci, a capo di una coalizione di centrodestra, chiede chiarezza: «Questa vicenda sembra circondata da un alone di mistero. È come se nessuno al di sotto della “linea gotica” avesse il diritto di sapere di cosa stiamo parlando». Il campano dem Vincenzo De Luca confida in Conte: «Ho apprezzato la posizione del presidente del Consiglio. Sarebbe stato meglio se la avesse esplicitata qualche mese fa, ma meglio tardi che mai». A.Pe. © RIPRODUZIONE RISERVATA
FONTANA (LOMBARDIA): «NON CHIEDIAMO UN EURO IN PIÙ, MA CHE LO STATO CENTRALE CI TRASFERISCA CERTE COMPETENZE» la lettera aperta diffusa dal premier. «A questo punto, lo si dica chiaro e forte – conclude amaramente - il voto dei cittadini veneti e lombardi non vale nulla e la si smetta di dire “Faremo l’autonomia”».
Confindustria: «Governo ipocrita na – la richiesta dei cittadini veneti in questo senso è chiara. Che il percorso sia complesso, è altrettanto chiaro. Queste esternazioni pubbliche da parte del presidente del Consiglio e dei governatori sui media, però, non hanno senso: hanno ricevuto un incarico preciso, vadano avanti nel percorso».
principi costituzionali. Se qualcuno sta giocando a spaccare l’Italia o il Governo, non lo permetteremo a nessuno».
APPELLO
INDUSTRIALI Matteo Zoppas e Maria Cristina Piovesana
«E questo vorrebbe dire illudere i cittadini: non possiamo accettarlo». Chi invece chiede un’accelerazione decisa, invece, è il collega Luciano Vescovi, alla guida di Confindustria Vicenza: «Basta ipocrisie, il Governo non vuole l’autonomia ma tutelare status quo». Il massimo rappresentante degli imprenditori berici si dice, senza mezzi termini, «stufo di questa pantomima». «I Governatori stanno portando avanti le sacrosante richieste di cittadini che hanno votato in massa e che vogliono
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che si esca dall’ipocrisia che regna da oltre un anno: questo Governo l’autonomia non la vuole perché deve tutelare gli interessi di alcune specifiche sacche di voto. E quindi sta creando un simulacro multiforme per tentare di dare il contentino a qualcuno senza toccare i privilegi dell’altro». «Se si pensa che i cittadini che hanno votato il referendum e attendono pazienti che chi di dovere faccia il proprio lavoro si lascino abbindolare, ci si sta sbagliando di grosso», attacca Vescovi riferendosi al-
E un appello ad uscire dall’impasse giunge anche da Matteo Zoppas: «L’Autonomia rafforzata non va considerata come un pericolo per l’unità nazionale – nota il presidente di Confidustria Veneto -, anzi è l’opportunità per una reale spending review che faccia da anno zero per definire i costi standard e individuare le best practice». Per questo Zoppas sollecita l’adozione dei costi standard su scala nazionale: «Le aree svantaggiate del Paese vanno sostenute con tutti gli investimenti necessari, ma questo non va confuso con la richiesta di Autonomia. Per liberare risorse da destinare al sud serve quella maggiore efficienza che sta proprio alla base dell’Autonomia differenziata». Mattia Zanardo © RIPRODUZIONE RISERVATA
IV
Venezia
Martedì 23 Luglio 2019 www.gazzettino.it
Festa grande ai Carmini in onore della Madonna `Suggestiva cerimonia
con la processione dei Confratelli Capitolari LA RICORRENZA VENEZIA Grande festa ai Carmi-
PIAZZALE ROMA Passeggeri in attesa di poter prendere un bus per lasciare Venezia
Trasporti, parte la protesta la città rischia di fermarsi Domani lo sciopero nazionale coinvolgerà `Presidi nelle stazioni, in piazzale Roma non solo l’Actv ma pure il porto e i camionisti e a Porto Marghera, si fermano anche i taxi `
LAVORO MESTRE Domani si annuncia co-
me una giornata di passione per pendolari e automobilisti: c’è lo sciopero nazionale dei trasporti, al quale aderiscono quasi tutte le categorie del settore (esclusa quella aeroportuale che si fermerà, invece, venerdì 26 luglio dalle 10 alle 14 ad eccezione dei controllori di volo); e c’è anche la corsa ciclistica “Adriatica Ionica Race” (della quale scriviamo a pagina X) con divieti di transito e sosta nel cuore di Mestre dalle 8 di mattina fino a sera domani e giovedì.
TUTTI IN CODA Quanto allo sciopero, il problema è che, oltre allo stop del trasporto pubblico locale dalle 10 alle 13, anche i lavoratori del porto si fermeranno per tutto il
giorno con presidi e manifestazioni previsti all’entrata del porto commerciale di Marghera. Per lavoratori portuali si intendono sia i dipendenti e i soci delle imprese che scaricano e caricano le navi, sia i camionisti che portano le merci alle banchine o che le ritirano. Vale a dire che domattina, dall’alba, al presidio dei lavoratori delle imprese dalla darsena Fincantieri fino al ponte strallato, si aggiungerà la protesta dei camionisti: e siccome sono centinaia ogni giorno i
ESCLUSO L’AEROPORTO DOVE PERÒ L’AGITAZIONE SI TERRÀ VENERDÌ E DOMANI INTANTO BLOCCHI ANCHE A CAUSA DELLA CORSA CICLISTICA
Tir che accedono allo scalo commerciale e industriale, potrebbero creare problemi pure alla circolazione stradale formando una lunga fila di automezzi e coinvolgendo pure la viabilità principale da e per Venezia. E non è finita perché, ai portuali, ai camionisti e ai dipendenti di Actv (che tra l’altro dovrebbero tenere un presidio in piazzale Roma), domani si aggiungeranno i ferrovieri (che si fermeranno dalle 9 alle 17 e protesteranno tra la stazione di Venezia e quella di Mestre), i dipendenti delle autostrade (ultime quattro ore di ogni turno), per una giornata intera gli addetti ai servizi di trasporto funerario, per quattro ore gli addetti al noleggio auto, sosta e soccorso stradale e pure i tassisti con uno sciopero articolato all’interno dei turni nell’arco delle 24 ore. Le motivazioni di Filt Cgil, Fit
ni per la celebrazione della sua protettrice, la Madonna del Carmine. Presenti tanti fedeli ad assistere alla suggestiva cerimonia e a partecipare alla processione dei Confratelli Capitolari del Sodalizio Carmelitano (Guardian Grande Franco Campiutti), dei Confratelli delle altre Scuole cittadine, dell’Arciconfraternita di San Cristoforo e della Misericordia, dei Cavalieri degli Ordini Cavallereschi di Malta, del Santo Sepolcro di Gerusalemme e del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, nonché gli Araldi del Vangelo. Tutti vestiti dell’abito proprio dalla longheniana sede monumentale della Scuola Grande (XVII secolo), per proseguire verso la vicina chiesa dei Carmini dove si è tenuta la concelebrazione. Hanno partecipato anche autorità civili e militari tra cui la consigliera Lorenza Lavini, in rappresentanza del sindaco, il questore Maurizio Masciopinto, l’assessore Paola Mar. A celebrare la messa solen-
Il settore aereo, ad esempio, prevede nel mondo la crescita dei passeggeri dai 3,2 miliardi del 2016 a 7,2 miliardi entro il 2030, eppure in Italia, «al crescere del traffico una serie di aziende, anziché svilupparsi, sono entrate in crisi». Idem nel settore ferroviario dove «la liberalizzazione ha aperto le infrastrutture senza garantire alle imprese italiane condizioni di reciprocità verso i paesi europei. Senza trasporti moderni ed efficienti il Paese non potrà ripartire». Elisio Trevisan
Ex generale o ingegnere per finire il Mose LA PROCEDURA
SALVAGUARDIA VENEZIA I trenta giorni previsti
dal decreto Sblocca-cantieri sono scaduti e il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha espresso i nomi dei candidati che, secondo lui, sono idonei a fare il commissario che dovrà chiudere i lavori del Mose nel più breve tempo possibile. Un commissario con poteri straordinari che dovrà rispondere solo al ministro.
NESSUN VENETO Il ministero ha trasmesso i nominativi alla Regione, perché il decreto prevede che la nomina avvenga d’intesa. Intanto, a dispetto del toto-nomine che si fa sempre, nessuno dei due è veneto. Si era parlato del Provveditore alle opere pubbliche Roberto Linetti, prossimo al pensionamento, di un alto funzionario della Regione e persino del sindaco
MOSE Una prova delle paratoie alla bocca di porto del Lido
Luigi Brugnaro (il quale aveva subito smentito). Invece, si tratta di scelte simili a quella già fatta dal Movimento 5 Stelle per il ministro dell’Ambiente, il generale dei carabinieri
Sergio Costa. Infatti, il primo dei due candidati è proprio un ex generale. Il secondo candidato proposto alla Regione è invece un ingegnere.
ALLA RICERCA DI UNO SPONSOR PER COMPLETARE I LAVORI DI RESTAURO DELL’ALTARE
I MOTIVI
CELEBRAZIONE La messa per la Madonna del Carmine
I Non distratti: «Messaggi vocali per combattere i borseggiatori» L’ALLARME VENEZIA La città in questi giorni
ministro Toninelli ha scelto i candidati a commissario
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Cisl e Uiltrasporti rientrano nei rapporti sempre più tesi con il Governo: «L’Italia, dal punto di vista infrastrutturale, rischia di diventare la cenerentola d’Europa se non si sbloccano le opere che la fanno viaggiare fra sud e nord a due velocità».
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ne, monsignor Giuseppe Andrich, vescovo emerito di Belluno Feltre e Confratello Onorario della Scuola stessa, don Silvano Brusamento, il nuovo parroco don Andrea Longhini, a cui sono state affidate ben tre parrocchie, ma che, alla fine della messa, nel salutare i fedeli, ha dimostrato un grande entusiasmo per il nuovo incarico: «Dedicherò tanto tempo ai giovani». Una piccola nota amara l’ha espressa Franco Campiutti riguardo agli interventi di restauro che sono stati bloccati considerato che la Scuola è gravata da un mutuo (150mila euro). Ma ha anche lanciato un messaggio di speranza : «Speriamo intervenga uno sponsor, perché manca da recuperare la controfacciata dei monocromi di Nicolò e Giovanni Bambini, l’unico ciclo ancora esistente e collocato nel suo sito originario; poi rimane la parte lapidea dell’altare e altro». Maria Teresa Secondi
La nomina dovrà arrivare con un nuovo decreto, a firma del presidente del consiglio dei ministri, su proposta del ministro delle Infrastrutture d’intesa con la Regione, sentiti i ministeri dell’Economia, dell’Ambiente, dei Beni Culturali, del Turismo, la città metropolitana e il Comune di Venezia. Un mese fa, a Roma, c’era stato un primo incontro tra il ministro Danilo Toninelli e i governatori interessati da opere per cui lo “sblocca-cantieri” prevede il commissario, tra cui il veneto Luca Zaia per il Mose. In quell’occasione Toninelli avrebbe chiesto a Zaia di presentare una propria rosa di candidati papabili, ma il governatore veneto avrebbe passato la palla al ministro, chiedendo che fosse Roma a fare le sue proposte su cui arrivare ad un’intesa. L’idea era quella di convergere su una figura tecnica di alto profilo, come sembra essere in questo caso. Anche perché, per chiudere definitivamente l’opera, servirà davvero un grande impegno. Michele Fullin © RIPRODUZIONE RISERVATA
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di luglio è letteralmente invasa da bande di borseggiatori. La novità è che non si tratta solo delle “solite” giovani incinte e addirittura minorenni. Ci sono anche bande formate da tre-quattro persone di cui una sola donna e tre guardie del corpo che, se necessario, sono pronte a menare le mani. I Cittadini non distratti, un gruppo di persone che sacrifica il proprio tempo, rischiando anche di farsi mettere le mani addosso, cercano di segnalare alle forze dell’ordine posizione e composizione delle bande e spesso colgono i malviventi in flagranza consegnandoli ad agenti o militari. Adesso chiedono alle autorità un minimo sforzo. «Chiediamo che davanti alla stazione, sui mezzi pubblici e in occasione di grandi assembramenti di gente - dicono - si possano emettere messaggi vocali che avvertono della presenza di borseggiatori. Sarebbe il mini-
PARTE LA RICHIESTA DI INFORMARE I TURISTI DEI PERICOLI NEGLI ULTIMI GIORNI NUOVA ONDATA DI FURTI IN ZONA STAZIONE
mo da fare, se la città tiene davvero alla salvaguardia del turista. E poi, che le forze dell’ordine facciano uscire squadre in borghese. Ce n’è bisogno. E tanto. Noi abbiamo un quadro d’insieme e possiamo fare tante segnalazioni a colpo sicuro in una sola giornata, ma poi qualcuno deve intervenire velocemente». In questi giorni, è molto attiva una banda formata da quattro uomini e una donna dai capelli rossi e il braccio tatuato. Uno degli uomini è una “montagna” e provvede a bloccare chi reagisce.
San Salvador Tim resta fino al 2021 nel convento in vendita Non trasloco ma restauro e manutenzione dei chiostri e di alcune sale dell’ex Convento di San Salvador. Il palazzo, come abbiamo annunciato nei giorni scorsi, è stato messo in vendita dal Demanio dello Stato a un prezzo base di 28 milioni di euro, ma la Tim, che nel 2002 ci aveva inaugurato il MediaLab del Telecom Future Centre, conta di tenere ancora l’edificio che ospita la centrale telefonica di Venezia Centro oltre a uffici e sale riunioni a disposizione del personale, almeno fino a scadenza della concessione del Demanio a fine 2021.
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Primo Piano
Martedì 23 Luglio 2019 www.gazzettino.it
La riforma bloccata
I 5stelle veneti: «Non si può premiare chi spreca»
IL COLLOQUIO VENEZIA Sono pentastellati, ma pure veneti. È in tale duplice veste che i consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle attendono l’ennesimo vertice, forse però quello cruciale, sull’autonomia del Veneto, oltre che della Lombardia e dell’Emilia Romagna. Per questo Jacopo Berti e Simone Scarabel, anche a nome della capogruppo Erika Baldin e del vice Manuel Brusco, hanno chiesto al Gazzettino di poter chiarire una volta per tutte la loro posizione sulla trattativa: «La riforma si fa e si deve fare. Chi lo nega, non vuole il bene di questo territorio e dell’Italia intera. Adesso però siamo nello stadio successivo: è giusto e normale che si discuta sulle modalità con cui farla».
`«Noi abbiamo sostenuto il Reddito, dai nostri Berti e Scarabel: «Sì all’autonomia. Il fondo di perequazione? Diseducativo, un’ingiustizia» al Sud ci attendiamo uguale onestà intellettuale» `
I MINISTRI È in questa cornice che i pentastellati veneti inquadrano pure la soppressione dell’articolo sull’istruzione che prevedeva l’assunzione diretta e i contratti integrativi da parte della Regione. «È stato Bussetti, ministro della Lega, a firmare l’accordo con i sindacati contro la regionalizzazione dei docenti», punge Scarabel. «Capisco la levata di scudi di Zaia e Fontana, e comprendo il gioco delle parti, ma al Governo ci sono anche i loro ministri», rincara Berti. Dunque i consiglieri regionali del M5s non pensano che l’autonomia possa far cadere il Governo: «La riforma pesa più sui problemi interni alla Lega, fra il territorio e Salvini, che sui rapporti con il Movimento. I messaggi di Zaia ci sembrano diretti più al suo segretario federale, che a Conte». Angela Pederiva
IL COINVOLGIMENTO Il punto è proprio questo: non è sul “se”, ma sul “come”, che il negoziato si è incagliato sull’orlo della crisi di Governo. «Il problema è che c’è un clima da tifoserie contrapposte – riconosce Berti – quando invece, su un tema come questo, occorre coinvolgere i veneti, indossare idealmente tutti la maglia della nazionale veneta, mantenere una pax veneta. Perciò come rappresentanti dei veneti, nel ribadire in maniera forte anche al livello nazionale che l’autonomia è doverosa, chiediamo un atto di coinvolgimento e di trasparenza prima di tutto alla Regione.
«PENSARE DI DIRE AI VENETI CHE I NOSTRI RISPARMI LI MANDIAMO A CHI BUTTA VIA I SOLDI, È DA LINCIAGGIO» «VANNO BENE I LIVELLI ESSENZIALI DI PRESTAZIONE UGUALI DA TRAPANI A VIPITENO. POI PERÒ CHI VALE, VOLA»
A PALAZZO FERRO FINI Da sinistra Jacopo Berti, Erika Baldin, Manuel Brusco e Simone Scarabel, consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle
Ad oggi non abbiamo mai avuto notizie ufficiali, né una relazione in aula, sull’andamento della trattativa: leggiamo solo resoconti sulla stampa e continui attacchi da una parte e dall’altra, col rischio di finire anche noi schiacciati fra quello che dice A e quello che ribatte B».
L’EXTRAGETTITO Un dato oggettivo è però costituito dalla diversità di vedute, per usare un eufemismo, sulla norma finanziaria, con particolare riferimento alla questione dell’extragettito: Palazzo Balbi chiede di trattenere il surplus erariale in caso di aumento del Prodotto interno lordo (e, viceversa, di accollarsi il mancato incasso nell’ipotesi di diminuzione del Pil), Palazzo Chigi risponde che una parte di quei soldi deve finire
nel Fondo di perequazione a favore delle altre regioni. Ecco, su questo punto i Cinquestelle veneti sono perentori. Afferma Scarabel: «Pensare di dire ai veneti che i nostri risparmi li mandiamo alle realtà che sprecano è come un attentato, una roba da linciaggio, un’ingiustizia che va contro il concetto di responsabilità che va esercitata nel bene e nel male». Concorda Berti: «È assolutamente diseducativo, dal punto di vista della morale in generale e del Movimento in particolare, pensare di premiare chi spreca e di azzoppare chi efficienta. Vanno bene i Livelli essenziali delle prestazioni, da Trapani a Vipiteno. Va bene la solidarietà nazionale. Detto questo, chi vale, vola».
LE MATERIE Ma i loro colleghi del Sud co-
sa pensano delle ragioni del Nord? «Il dibattito mediatico – risponde Scarabel – è polarizzato: qui siamo per il sì, lì sono per il no, per cui anche i nostri fanno fatica. Ma come al Nord abbiamo difeso a spada tratta il Reddito di cittadinanza, ritenendolo una misura giusta pur sapendo che non avrebbe suscitato molti consensi sul nostro territorio, così dal Sud ci aspettiamo la stessa onesà intellettuale sull’autonomia». «Come sosteneva Gianroberto Casaleggio – interviene Berti – un’idea non è né di destra né di sinistra: è giusta o sbagliata e, quando viene dai cittadini, è particolarmente giusta». Riprende Scarabel: «Il fatto è che “autonomia uguale costi standard” e l’idea di arrivare ai costi standard spaventa tutti. Ma allora Zaia si concentri su quelli e molli qualcosa sulle
materie. Non si impunti sul portarle a casa tutte e 23, perché così rischia di mandare a monte tutto, prendendosi una responsabilità troppo grande anche per lui. Penso alle infrastrutture, all’energia, alla tutela dei beni culturali: quello che oltrepassa i confini regionali, rimanga allo Stato». Completa Berti: «Ci sono già state importanti retromarce da parte della Lega, per esempio sulla legge delega e sui nove decimi, ma noi non siamo stati lì col ditino puntato a rinfacciarglielo. Quindi invitiamo i leghisti a non usare i sassolini delle autostrade o delle soprintendenze per bloccare l’intero ingranaggio complessivo: non vorremmo che, proprio adesso che siamo arrivati al 90% del percorso, diventassero un alibi per giustificare l’incapacità di ottenere l’autonomia».
Il prof della Regione replica ai rilievi dei tecnici di governo IL CONSULENTE VENEZIA Ma è vero che il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha “smontato” il progetto di autonomia delle Regioni? No, secondo il professor Andrea Giovanardi, docente di diritto tributario all’Università di Trento e componente della delegazione trattante del Veneto. Quattro i punti della sua contro-analisi.
LA MEDIA Il primo riguarda il rilievo mosso dagli uffici ministeriali alla norma finanziaria, quello riguardante la clausola della spesa media nazionale pro capite. «Nell’ipotesi contenuta nella proposta delle Regioni – spiega al riguardo Giovanardi – dovrebbe trovare applicazione, in sostitu-
zione della spesa storica, dopo tre anni dal varo della riforma nel caso in cui non si addivenga alla determinazione dei fabbisogni standard». Il consulente assicura che «non ha subìto alcun tipo di critica dai tecnici del Dipartimento» la struttura della disposizione, basata «sull’utilizzo delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio al fine di coprire la spesa (storica) relativa alle competenze oggetto di trasferimento». La seconda puntualizzazione concerne gli effetti di questo meccanismo intermedio: «Non corrisponde al vero che l’eventuale trasferimento di risorse connesso all’applicazione della spesa media risulterebbe ingiustificato, dato che vale proprio il contrario, nel senso che è ingiustificato che la spesa storica nelle materie trasferite sia più bassa nelle tre regioni richiedenti rispetto a tutte le altre regioni ita-
liane. Il criterio della spesa media costituisce una sorta di pungolo per indurre il Governo a varare i fabbisogni standard, in un contesto in cui il criterio della spesa storica, universalmente riconosciuto iniquo, deve essere superato a tutti i livelli dell’ordinamento in forza di quanto previsto dalle legge 42 del 2009». Giovanardi si dice stupito che qualcuno dia «per scontato che si debba continuare a tollerare che, per fornire gli stessi servizi, vi sia chi spende di più in altre parti del Paese».
ANDREA GIOVANARDI, DOCENTE DI DIRITTO TRIBUTARIO: «NON È GIUSTIFICATO CHE LA SPESA STORICA SIA PIÙ BASSA QUI CHE ALTROVE»
LA DELEGAZIONE Il professor Andrea Giovanardi è il terzo da sinistra
LE REGOLE Il terzo aspetto attiene alle modalità del negoziato: «Non corrisponde al vero che si vogliono riscrivere le regole partendo dalle richieste delle tre Regioni, senza coinvolgere le altre: questa è una strada obbligata imposta dall’articolo 116 della Costituzione, il quale prevede che sia la singola Regione a chiedere allo Stato ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle materie individuate dalla stessa norma costituzionale». La quarta considerazione concerne la scuola, a propo-
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sito dei numeri circolati in questi giorni: «Si scrive che l’ufficio parlamentare di Bilancio ha rilevato che se la spesa venisse regionalizzata, la Lombardia riceverebbe
«UN TERZO DELLA POPOLAZIONE ITALIANA RICEVE UN QUARTO DELLA SPESA TOTALE: DOVE ABITANO QUINDI GLI STUDENTI DI SERIE A E B?»
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«ZAIA NON SI IMPUNTI SU TUTTE LE 23 MATERIE, COSÌ RISCHIA DI MANDARE TUTTO A MONTE» «LA RIFORMA PESA SUI RAPPORTI INTERNI ALLA LEGA. I MESSAGGI DEL GOVERNATORE SONO PER SALVINI PIÙ CHE PER CONTE» 4,6 miliardi di euro l’anno, il Veneto 2,3 l’Emilia 2,1. Tutto vero: si tratta della spesa che attualmente lo Stato spende per la gestione dell’istruzione nei tre territori, abitati da circa 19 milioni di persone. Sfugge come possa essere considerato un “ottimo affare“ il riconoscimento alle Regioni, a fronte del trasferimento di funzioni e competenze in materia di istruzione, della stessa spesa che lo Stato sta già oggi sostenendo a fronte delle funzioni trasferite. Non un regalo o un ingiustificato trasferimento, quindi, ma il minimo che deve essere riconosciuto per poter continuare a fornire il servizio ai propri cittadini». L’annotazione finale è per le cifre complessive dell’operazione: «La spesa che verrebbe trasferita alle tre Regioni è pari a circa 9 miliardi di euro, a fronte di 19 milioni di abitanti circa. I restanti 27,5 miliardi restano alle altre Regioni, in cui abitano 41 milioni circa di persone. Il che significa che all’incirca, a fronte di una popolazione pari ad un terzo di quella italiana, le tre regioni ricevono un quarto della spesa. Ma allora, dove sta l’ingiustizia, dove abitano gli studenti di serie A e dove gli studenti di serie B?». (a.pe.) © RIPRODUZIONE RISERVATA
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IL GIORNALE DI VICENZA Martedì 23 Luglio 2019
AUTOSCUOLE
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VENETO
PADOVA.Operaiocollassaemuoreincantiere
Telefono 0444.396.311 | E-mail: veneto@ilgiornaledivicenza.it
UnoperaiodipendentediunacooperativachelavoraperilComunediPozzonovoè decedutoperunmalorementreconunfurgonestavaraccogliendocartellistradali relativiauncantiere.L’autopsiachiariràl’originedelmalore.
AUTOSCUOLE
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AUTONOMIA. Ipresidenti diVicenzae Venetoreplicano alpremier
Confindustria scendeincampo «Stopipocrisia»
Vescovi:«Ilvotodelreferendumnonvale?Quando Contedistinguetravenetielombardie“gli altri” dimentica che già oggi scuola e sanità sono diverse» Cristina Giacomuzzo
Dopo il botta e risposta a distanza tra il premier, Giuseppe Conte, e i governatori del Veneto e della Lombardia, Luca Zaia e Attilio Fontana, si è aperta una settimana determinante per l’autonomia. Non a caso scende in campo il presidente di Confindustria Vicenza, Luciano Vescovi, che non le manda a dire.
LA STRIGLIATA. «Una lettera
aperta di rivendicazione delle proprie prerogative e di richiesta di rispetto istituzionale - che mi pare non sia mai oggettivamente mancato - a Zaia e Fontana è un atto lecito, ma non significa che i veneti e i lombardi debbano accettare passivamente le decisioni solo perché se ne occupa il premier - esordisce Vescovi -. I governatori stanno portando avanti le sacrosan-
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Aspettiamo datroppotempo Lapazienza èallimite.Poi tireremolesomme LUCIANOVESCOVI PRES.CONFINDUSTRIAVICENZA
te richieste di cittadini che hanno votato in massa e che vogliono che si esca dall'ipocrisia: questo Governo l'autonomia non la vuole perché deve tutelare gli interessi di alcune specifiche sacche di voto. E sta creando un simulacro multiforme per tentare di dare il contentino a qualcuno senza toccare i privilegi dell'altro. Se si pensa che i cittadini che hanno votato il referendum si lascino abbindolare, ci si sbaglia di grosso. Quelli che stanno compromettendo il lavoro del ministro Stefani sono quelli che parlano di secessione dei ricchi e che non hanno capito che l’ autonomia può rappresentare un valore per tutto il paese». NORDESUD. Continua Vesco-
COMMISSIONEBICAMERALE.Oggi Toninelli
Edèguerrasullecifre chedividonoNordeSud Zaia:«Solomanfrine»
Zaiacon ilministroErika Stefania inizionegoziatonel giugno 2018
vi: «Quando poi il premier fa una distinzione tra “noi”, i veneti e i lombardi, e “gli altri” 45 milioni di cittadini, tralascia che 5 Regioni da Nord a Sud hanno già competenze diverse e che già oggi scuola (vedi i test Invalsi) e sanità non producono gli stessi risultati. L'autonomia punta a cambiare il sistema, ad efficientarlo. Il Governo del cambiamento - e la lettera del Premier purtroppo non smentisce questo atteggiamento - si rivela il Governo del mantenere lo status quo e i privilegi di chi spreca. A questo punto, al bando l'ipocrisia, lo si dica chiaro: il voto dei cittadini veneti e lombardi non vale nulla e la si smetta di dire ”Faremo l'autonomia ma...”, siamo stufi di questa pantomima. Scrivere poi in una lette-
ILREPORT. L’analisi dellaConsigliera diparitàe dellaRegioneha coinvoltooltre mille aziende
ra che se le richieste saranno soddisfatte a metà o anche meno “non sarà per insensibilità” nei confronti delle richieste dei cittadini, con tutto il rispetto per il ruolo, non basta. L'autonomia la aspettiamo da anni. La pazienza è al limite. E tireremo le somme». Sulla stessa linea Matteo Zoppas, presidente Confindustria Veneto: «L’autonomia rafforzata non va considerata come un pericolo per l’unità nazionale. Anzi. È necessario adottare subito il criterio dei fabbisogni standard. Le aree svantaggiate? Vanno sostenute con tutti gli investimenti. E per liberare risorse da destinare al Sud serve la maggiore efficienza che sta alla base dell’autonomia differenziata». • © RIPRODUZIONERISERVATA
Autonomia,tantii fronti aperti eincandescenti.Da quello politicoaquello tecnico.A Romaèattesa stamattinala relazionedelministro grillino alleInfrastrutture, Danilo Toninelli,davanti alla Commissionebicamerale: lì il ministrodirà cosapuòo meno rientrarenellabozza diaccordo sull’autonomia.Nei prossimi giornitoccherà allacollega alla Sanità,Giulia Grillo. Sempre oggiil premier, salvo imprevisti, incontrerài tecnici delMefper definireil meccanismodel fondodi perequazioneche rappresentail nuovofrontedi scontrotra Regioni eConte. Tuttoènato neigiorniscorsi, quandoil presidentedel ConsiglioinCdm hamodificato duepuntifondanti dellabozza delministroErika Stefani. E cioè,primo: noaltrasferimento delpersonalescolastico alle Regioni.Due: noallanorma finanziariasecondocui la Regionevirtuosachegestisce benele risorse risparmiandoci pure,possa tenerle persè. Con queisoldi Contevuole creare unfondo perequativo nazionalea cui potranno attingerele Regioni meno virtuose.Le reazioninonsi
sonofatte attendere.Il governatoreLuca Zaiaètornato a smontare:«Ivantaggi dell’autonomiasonol’efficienza, la responsabilitàepremiarele virtuositàenonsi creeràun Paese diserieAediserie B: bastacon questamanfrina».Ma èguerra sullecifre:davvero il federalismo fiscalerischiadispaccareindue l’Italia?AndreaGiovanardi, componentedelladelegazione trattantespiega: «Laspesa che verrebbetrasferita alleRegioni è di9miliardidieuro afrontedi 19 milionidiabitanti.I restanti 27,5 miliardirestanoallealtreRegioni incui abitano41 milionidi persone.Il chesignificache a frontediunapopolazionepari ad unterzodiquellaitaliana, le tre Regioniricevono un quartodella spesa.Dovestal’ingiustizia?». Intervieneil consigliere regionaleNicolaFinco, capogruppoLega:«Conte eDi Maiodimostrinodi essereil governodelcambiamento. Il Venetochiedesolo dicrescere e farcrescere così ilPaese». ESilvia Rizzotto(Lista Zaia):«Ilpremierei 5stellenon possonoricordarsi dei Venetisoloquando si trattadiIva e740.Siamo stanchidiessere trattaticosì». CRI.GIA. © RIPRODUZIONERISERVATA
NORMEETASSE. Le nuovedirettive nazionalirecepite dallaRegione
lariduzionedel 50per cento Benel’occupazionefemminile Veicolistorici, vale pure per i mezzi registrati entro marzo «Marestanolediscriminazioni»
Marina Zuccon PADOVA
Più donne al lavoro in Veneto: il 57,1% del totale della popolazione femminile nel 2017, oltre 8 punti percentuali in più della media nazionale. E anche più donne ai vertici: il 21 %, con un aumento del 3,7% nei ruoli apicali e del 10,6% nelle posizioni quadro. Ma, nonostante questa maggiore emancipazione femminile, la parità di genere è lontana. Sussistono ancora difficoltà, differenze e discriminazioni, alcune delle quali difficili da rimuovere. È quanto emerge dalla radiografia di ben 70 pagine del rapporto su “L’occupazione maschile e femminile in Veneto 2016-2017”, curato dalla Consigliera regionale di parità e pubblicato dalla Regione, che ha coinvolto le 1.047 aziende con oltre 100 dipendenti del Veneto. Ieri la presentazione all’Università di Padova. Le differenze si manifestano soprattutto nella retribuzione. Un uomo con incarico dirigenziale guadagna in media il 50% in più di una donna con la stessa qualifica. E la differenza di stipendio si am-
plifica con l’aumentare dell’età, a testimonianza di quanto sia più difficile per una donna seguire la stessa carriera. La provincia di Treviso registra la più elevata differenza di genere: a fronte di una paga annua recepita in media dalle donne di circa 30.500 euro, i colleghi maschi portano a casa quasi 39.500 euro. Seguono Venezia, Vicenza e Padova con un gap di oltre 8.000 euro . E resta sempre difficile per la donna conciliare lavoro e famiglia: inadeguato il sistema di welfare, servizi carenti o eccessivamente costosi. In Veneto, nelle coppie dove sono occupati sia l’uomo che la donna, è quest’ultima a farsi carico del 68% delle incombenze familiari. E la nascita di un bambino comporta una profonda riorganizzazione della vita. Così a circa due anni dalla nascita di un figlio il 20,9% delle madri non lavora più, perché ci rinuncia o perchè è licenziata. E le madri che devono lavorare di sera o di notte, di sabato o domenica, arrivano al 39,3%. Molte si vedono così costrette a ricorrere al part-time: sono circa il 32% le lavoratrici che a fine 2017 risultano im-
Donazzanaltavolodeirelatori
piegate a tempo ridotto, contro il 4,4% dei maschi. Da tutto ciò deriva un maggior grado di disagio e fragilità economica. Nel 2016 in Veneto il 20% delle donne sopra i 55 anni era a rischio povertà o esclusione sociale (28,2% in Italia) contro il 12,4% degli uomini. Il 47% delle donne pensionate percepisce meno di 1000 euro al mese, rispetto al 21% degli uomini. «Non possiamo imporre per legge uguali riconoscimenti economici. Ma possiamo aiutare le donne – afferma l’assessore regionale al lavoro, Elena Donazzan - con interventi di welfare che sostengano le madri, perché la famiglia deve essere vista come un investimento. È necessaria dunque una nuova cultura del lavoro».
La maggiore occupazione femminile è dovuta a un recupero nella scolarizzazione e nella formazione. Pur essendo lontani dai livelli europei, nel 2017 più di una donna su tre in Veneto in età tra i 30-34 anni è laureata. Mentre tale rapporto tra gli uomini si ferma a 1 su 5. In generale le donne sono più presenti nella sanità e assistenza sociale (sono il 64,4% degli occupati), nell’istruzione (73%), nella pubblica amministrazione (72,3%), nella ristorazione-alberghi (78,5%) e nel commercio (72,9%). «Nonostante l’introduzione di nuove leggi – commenta Sandra Miotto, Consigliera regionale di parità – nel mercato del lavoro c’è ancora molto da fare per arrivare alla parità di genere». E ricorda come in Veneto costanti siano gli strumenti di monitoraggio, di pratiche innovative per la formazione e la professionalità, di controllo delle “quote rosa”, di alleanze con le Università, l’Ispettorato per il lavoro e lo Spisal. Anche perché l’invecchiamento della popolazione richiederà una nuova organizzazione dei tempi di vita e del lavoro. Saranno necessari nuovi strumenti di flessibilità e logiche premiali, sia aziendali che previdenziali. In egual misura, per uomini e donne. • © RIPRODUZIONERISERVATA
anni fa che ne hanno registrato la certificazione di storicità entro la scadenza, prevista in un primo tempo al 31 gennaio, ma anche coloro che hanno assolto agli obblighi necessari per ottenerla entro il 2 marzo successivo. «Il Mef con la legge di bilancio di quest’anno ha finalmente dato segni di apertura, definendo una risposta al quesito da parte delle Regioni che chiedevano uniformità di interpretazioni su tutto il territorio – spiega Forcolin -. L’agevolazione è arrivata a sorpresa di tutti, introducen-
do nuovi requisiti mai richiesti in passato. Questo ha trovato impreparati tutti col risultato che molti non sono stati in grado di rispettare la scadenza del 31 gennaio. Con questa novità, tutti coloro che risultano aver assolto entro il 2 marzo agli adempimenti possono ottenere la riduzione. Non solo. Chi ha già pagato per intero l’imposta, pur avendo ottenuto la registrazione prima del 2 marzo, potrà richiedere il rimborso alla Direzione Finanza della Regione del Veneto». • © RIPRODUZIONERISERVATA
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«Più donne lavorano a meno soldi Il20%delleneomammelascia»
La riduzione della tassa automobilistica in caso di mezzo storico vale anche per i veicoli che sono stati registrati a marzo. È questa la novità approvata dalla Giunta regionale su proposta del vicepresidente, Gianluca Forcolin, che ha recepito le nuove direttive del ministero dell’Economia. Si sta parlando delle macchine di valore storico e collezionistico. Con il provvedimento possono avvalersi della riduzione a metà dell’importo dovuto non solo i proprietari dei mezzi con immatricolazione tra i 20 e i 29
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ATTUALITÀ
MARTEDÌ 23 LUGLIO 2019 MESSAGGERO VENETO
I nodi della politica il pd spaccato
Franceschini flirta con M5S No di Renzi e Calenda
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte con il vicepremier Cinque Stelle Luigi Di Maio a Palazzo Chigi durante l’ultimo vertice sulle autonomie regionali
Autonomie verso il rinvio I grillini: dibattito in Aula Oggi il previsto vertice a Palazzo Chigi, ma il premier non porterà un nuovo piano Anche il leader del Carroccio ha bisogno di tempo. Zaia: «I soldi sono il problema» Alessandro Barbera ROMA. Luca Zaia, che su questa partita si gioca un pezzo di credibilità personale, la mette in modo malizioso: «Questa è la politica del carciofo, via un petalo al giorno per arrivare al cuore. Ma stiano attenti perché poi resta la punta». Dal plebiscito veneto che ha detto sì all’autonomia differenziata son passati due anni. Il governatore leghista – e con lui il collega lombardo Attilio Fontana – non sa più che inventarsi per rassicurare la base. La soluzione alle richieste del Nord non c’è, ma la battaglia dei due governatori ha raggiunto l’obiettivo di mettere il problema al centro dell’agenda politica. Per Matteo Salvini – inventore della Lega nazionale – è una faccenda difficile da gestire. E
Giuseppe Conte, premier di fatto designato dai 5Stelle, non può non tenere conto delle obiezioni dell’altro partner di governo, i cui voti sono sempre più concentrati al Sud. Da Palazzo Chigi fanno sapere che dai due vertici tecnici previsti per oggi – uno con gli esperti del Tesoro, l’altro con i due ministri Erika Stefani (Regioni) e Alberto Bonisoli (Cultura) non usciranno conigli dal cappello. Il nodo – lo spiega bene Zaia – «sono i soldi». Il Nord vuole poter trattenere più gettito fiscale nei suoi confini, e il timore di Conte – il quale ha sul tavolo una nota poco rassicurante dei suoi uffici giuridici – è quello di un travaso di fondi da Sud a Nord. Poco importa se la proposta fin qui discussa escluderebbe scuola e sanità, le due grandi voci che le Regioni ribelli vogliono ge-
stire in piena autonomia. I rapporti fra Stato e Regioni sono cosa complessa, e quel che conta in questo caso è l’affermazione del principio: se Lombardia e Veneto ottenessero il sì al «costo medio» dei servizi come alternativa all’attuale ripartizione dei fondi con il criterio «storico», la diga del federalismo ad hoc sarebbe di fatto aperta. Ne è consapevole anche Salvini, che nelle ultime ore ha abbassato i toni nel timore di dover affrontare una crisi che dal governo si trascinerebbe rapidamente fin dentro il suo partito. Il leader del Carroccio al momento ha altre priorità: la soluzione alla Tav Torino-Lione, il sì al decreto sicurezza-bis, il caso Siri e soprattutto il sostegno di Conte per spegnere la polemica attorno ai presunti finanziamenti russi al suo partito. Allo stesso tempo
migranti
Sbarchi, 14 Stati con Macron Ma Salvini snobba il vertice Il ministro dell’Interno manda una delegazione di tecnici al tavolo internazionale sulle migrazioni. «Non prendiamo più ordini da nessuno» ROMA. Attacca il ministro
dell’Interno Matteo Salvini, assente «ingiustificato» alla riunione informale di Parigi sui migranti e raccoglie l’adesione di 14 Stati Ue a un «meccanismo di solidarietà» per riparti-
re le persone salvate in mare, con un’indicazione indigesta per il titolare del Viminale: lo sbarco deve avvenire nel porto più vicino. Il presidente francese Emmanuel Macron illustra la sua soluzione sul dossier migranti, aprendo a un nuovo scontro con l’Italia. La replica di Salvini non si fa attendere: la riunione «è stata un flop» e «noi non prendiamo ordini da Macron». Le posizioni si erano già
cristallizzate al vertice dei ministri dell’Interno di Helsinki la settimana prossima; da una parte l’asse Parigi-Berlino con una bozza di documento che apriva alla redistribuzione tra i Paesi europei dei migranti soccorsi, fermo restando che questi ultimi devono sbarcare nel «porto più vicino»: dall’altra Italia e Malta, fermamente contrarie al principio che le condannerebbe, nelle parole del ministro, «ad essere l’ho-
ROBERTO FICO IL PRESIDENTE CINQUE STELLE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
«Se qualcuno pensa di spaccare l’Italia, noi non lo permetteremo. L’autonomia va fatta, ma la legge va scritta per bene» tspot dell’Europa». Con queste premesse Salvini ha disertato l’appuntamento di ieri nella capitale francese, inviando una delegazione tecnica del Viminale con il preciso mandato di «affondare» i tentativi di arrivare a un documento condiviso. Alla fine Macron deplora gli esponenti politici assenti («non si guadagna mai nulla non partecipando») e porta a casa l’accordo di 14 Stati «volontari» pronti a ripartirsi in modo sistematico i migranti soccorsi in mare, senza dover avviare ogni volta complesse trattative dopo il salvataggio. Resta però fermo, ha sottolineato, che «quando una nave lascia le acque libiche e si trova in acque internazionali con rifugiati a bordo deve trovare rifugio nel porto più vici-
Salvini non può far finta di nulla, perché il malcontento cresce. Per capirlo basta vedere le ultime dichiarazioni dei vertici di Confindustria: mentre il presidente nazionale Vincenzo Boccia chiede un dibattito che «bilanci gli interessi», il numero uno degli imprenditori vicentini chiede di «porre fine a questa pantomima». Ecco perché l’aria che si respira a Palazzo è quello dell’ennnesimo rinvio. Il consiglio dei ministri già annunciato per giovedì quasi certamente slitterà, anche perché Conte ha preso l’impegno di un confronto con i due governatori ribelli. Lo scenario più probabile è un’intesa di massima che rinvii i nodi al dibattito parlamentare. Lo si intuisce dalle parole dei vertici pentastellati, del presidente della Camera Roberto Fico e di Luigi di Maio: «Se qualcuno gioca a spaccare l’Italia non lo permetteremo. L’autonomia va fatta, ma la dobbiamo scrivere bene. E dobbiamo ascoltare i governatori che chiedono dialogo». La legge sul federalismo fiscale del 2009 – voluta sempre dalla Lega – costò mesi di discussioni parlamentari ma non fu mai attuata. Resta da capire se il Nord sarà in grado di attendere ancora o se il dossier non si tramuti nel de profundis della maggioranza giallo-verde. — BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
no. È una necessità giuridica e pratica. Non si possono far correre rischi a donne e uomini in situazioni di vulnerabilità». Non ci sta Salvini che spara a zero su Parigi: la riunione francese, sostiene, «è stata un errore di forma e di sostanza. Nella forma, perché convocata con poco preavviso e in modo assolutamente irrituale visto che siamo nel semestre di presidenza finlandese. Nella sostanza, perché ha ribadito che l’Italia dovrebbe continuare a essere il campo profughi dell’Europa». Il vertice «è stato un flop ed è stato ampiamente disertato dai ministri europei. L’Italia ha rialzato la testa, non prende ordini e non fa la dama di compagnia: se Macron vuole discutere di immigrati venga pure a Roma». —
ROMA. Uno spetto si aggira per la segreteria del Pd ed è l’alleanza con quel Movimento 5 Stelle che proprio in questi giorni picchia duro sul caso Bibbiano additando pretestuosamente gli avversari come gli eredi post moderni dei novecenteschi mangiatori di bambini. A far rizzare i capelli dalla paura a un partito che faticosamente cerca di rimettersi in piedi è stavolta l’ex ministro della Cultura e potente grande elettore del nuovo segretario Dario Franceschini, che in un'intervista al Corriere è tornato sulla decisione a suo dire sbagliata di non dialogare con i pentastellati all’indomani delle elezioni politiche consegnandoli di fatto (e con loro l’Italia) alla Lega. Un putiferio montato a dismisura durante l’intera giornata con i renziani subito sulle barricate e Zingaretti costretto in extremis ad escludere qualsiasi chance di avvicinamento. Nonostante le ripetute smentite, l’ipotesi di una crisi di governo che porterebbe il presidente Mattarella a verificare possibili maggioranze alternative aleggia sul governo e sul Paese. E sono in molti nel Pd che, sia pur meno palesemente, criticano quella «strategia del pop corn» teorizzata dopo il voto dall’ex leader Renzi per ribadire il suo desiderio di aspettare il cadavere del nemico grillino sulla riva del fiume. Il risultato, secondo Franceschini, è stato l’autostrada che ha portato il Carroccio oltre il 35% e un cattivismo sociale diffuso sulla pelle per esempio dei migranti. #Nonconme rilanciano immediatamente sui social i fedelissimi dell’ex premier, schierandosi, oggi come ieri, contro la mano tesa al nemico. Il primo è proprio lui, il senatore Renzi, altisonante nel suo rifiuto proprio mentre lo stesso Di Maio ne esclude con forza qualsiasi fattibilità perché «siamo orgogliosamente diversi». L’idea franceschiniana di un arco costituzionale per difendere i valori comuni minacciati da Salvini non solo non fa breccia nel Pd ma lo lacera. I toni sono duri, con Renzi che ricorda al collega la sconfitta nella sua città, Ferrara, e Franceschini che lo invita ad analisi articolate. Tra i più diretti c’è Carlo Calenda che, mentre altri paventano l’epurazione dei renziani dal partito, invita a lasciar perdere i pentastellati destinati a non essere votati più da nessuno «tranne Franceschini». E alla fine il ruolo del pompiere tocca a Zingaretti: «Nessuna alleanza». — Re. In. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
MARTEDÌ 23 LUGLIO 2019 LA TRIBUNA
TREVISO
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Le grane immobiliari
Buco Bixio, stretta sui condòmini I gestori: «O pagate o tagliamo» Le persone amministrate dalla società di Zacconi & Co. costrette a versare il doppio. E lui intanto cede «In caso di mancato versamento dell’importo a noi dovuto entro e non oltre il primo agosto inoltreremo la richiesta di interruzione della fornitura e adiremo le vie legali onde tutelare il nostro credito». È una delle tante lettere che in questi giorni stanno arrivando nelle cassette della posta degli inquilini dei condomìni amministrati dalla Nino Bixio Snc di Adriano Zacconi e socie (Monica Grespan e la figlia di Zacconi Anna Maria).
za migliaia di euro e si prepara, in caso di mancato saldo, a inviare decreti ingiuntivi e pignoramenti ai danni del condominio, e quindi dei condomini che rischiano di ritrovarsi senza utenze. I termini di pagamento in molti casi sono più che prossimi ed hanno indotto molti inquilini a rimettere mano al portafogli per scongiurare il blocco dei contatori condominiali. È successo in via Gramsci, in viale Nino Bixio, sta succedendo anche in tanti altri condomìni.
«PAGATE O PIGNORIAMO»
I fornitori, siano acqua, luce, gas, hanno iniziato battere cassa dopo mesi di bollette mai pagate. In alcuni casi le mancanze della Nino Bixio – nonostante gli inquilini pagassero il dovuto – proseguivano da oltre un anno come se niente fosse. Le bollette, regolarmente emesse, no venivano pagate. I toni sono quelli perentori di chi avan-
MONTA LA RABBIA
I residenti? Becchi e bastonati, si trovano costretti a ripagare migliaia di euro. Chi li ha. Gli altri? Rabbia e disperazione, e trattative con gli amministratori che si stanno sostituendo a Zacconi ed ex socie. Ma l’onda delle protesta sta montando le scale e in queste ore il numero delle denunce per appropriazio-
La lettera di sollecito inviata a uno dei condomìni della Nino Bixio con l’elenco delle fatture non pagate
ne indebita ai danni di Zacconi e della sua società potrebbero aumentare. Sono gli stessi nuovi amministratori a sostenere questa via, anche se ha i suoi costi. ZACCONI CEDE
Ha detto di aver preso i soldi per interessi privati, l’acquisto di casa che poi si è rivelato non vero (l’aveva già comprata 40 anni fa). A chi lo interroga dice di non sapere dove siano i soldi che pare fossero gestiti da socia e moglie (Ermellina Cendese). Di certo – mentre il conto del buco pare salire a oltre 300 mila euro – Zacconi sta facendo di tutto per cedere i propri condomini ad altri. Quando non lo fa coattamente (perché le assemblee sfiduciano la Nino Bixio Snc), lo fa annunciando di chiudere attività a settembre e invitando a trovarsi un nuovo amministratore. È successo in pieno centro, in via Bergamo, e altrove. A danno atto, non resta altro da fare, anche perché nelle ultime ore sono in tanti quelli che gli chiedono conto di bilanci che – si scopre – non esistono. E così i documenti. «E tempo che qualcuno faccia chiarezza suo conti e chi è responsabile paghi, sia Zacconi o le sue socie» chiedono a gran voce gli inquilini. — Federico de Wolanski
il salasso delle case ater autostargroup.com
Caro affitti, residenti in rivolta Il Pd: «La legge tutta da rifare» La polemica sulla riforma regionale delle case popolari si fa sempre più aspra. Il presidente Luca Zaia promette un nuovo algoritmo per valutare con maggiore precisione le situazioni di disagio tra chi occupa gli alloggi comunali pur superando i 20.000 euro di Isee, e si muove anche il sindaco di Treviso Mario Conte, coordinatore di tutti gli enti locali a guida leghista, annunciando la convocazione di un tavolo tecnico per affrontare l'emergenza sociale e raccogliere le istanze dei cittadini in difficoltà. Già, perchè il problema è esploso nel capoluogo come nei comuni dell’hinterland e in tutta la provincia. Con famiglie che pagavano 20 euro e se ne sono trovati 300 nel nuovo affitto. Casi di conteggi fatti su Isee non aggiornati, perchè magari nel frattempo il nucleo familiare era cambiato. Di qui una mobilitazione che sta coinvolgendo tantissime amministrazione comunali. In città, nei quartieri dove sono presidenti gli alloggi Erp il malcontento rischia di diventare rabbia. Dopo il Biscione e San Liberale, ieri la protesta si è allargata in via Sicilia. Un gruppo di residenti è sceso in strada, la prossima mossa sarà una mobilitazione sotto Ca' Sugana. «Abito in questa casa da sessant'anni e ora vogliono but-
Ivano Martin e lo sfratto
tarmi fuori perché supero i 20.000 euro di Isee, i miei genitori sono morti qui, ho assistito mia madre tra queste mura fino all'anno scorso. Non lascerò questo alloggio per nessuna ragione al mondo. Prima di buttarmi fuori di casa che vadano a trovare quanti dichiarano un Isee basso perché lavorano in nero» dice con voce spezzata Ivano Martin, 66enne residente al civico 17 di via Sicilia. Stringe in mano le due lettere inviate nei mesi scorsi dalla Peruzzo Gestioni Immobiliari dove viene indicato il termine di 24 mesi per lasciare l'alloggio, salvo cambio di requisiti, lo sfratto arriverebbe nel febbraio del 2021. «Sono vedovo, prendo 1.800 euro di pensione al mese ma da qui non me ne voglio andare, questa e casa mia». Martin ne fa una que-
stione di principio e anche di legame affettivo, troppi i ricordi che lo legano a quelle «quattro mura che per me sono tutto». Il pensiero di doversene andare o di dover affrontare l'aumento del canone di affitto, non fa dormire molti degli abitanti di via Sicilia. «Prendo mille euro di pensione, come faccio a pagarne 500 di affitto? Si chiede Giancarla Gabbana, 79 anni e un'operazione alla gamba da affrontare tra pochi mesi. «La Regione Veneto ha sbagliato ad applicare il 300% di interessi sugli affitti di chi vive da sessant'anni in queste abitazioni. Quando siamo venuti qui a vivere non c'era nemmeno l'acqua calda, eravamo dei miserabili, adesso che abbiamo sistemato e ci siamo creati un po' di stabilità, ci cacciano. No alle leggi retroattive». La pensa allo stesso modo Mario Caldato, 80 anni e una moglie disabile: «Speriamo che il provvedimento venga bloccato, noi resteremo qui» dice. E il Pd insorge: «Questa legge necessita di correttivi e riformulazioni, sia nel merito che nella sostanza, innanzitutto con provvedimenti d’urgenza, prima che faccia esplodere una vera “bomba sociale» dichiara Giovanni Zorzi, segretario provinciale Pd Treviso. . — Valentina Calzavara
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