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ROGO A CANNE GRECHE, SARÀ UN PROCESSO LUNGO E MOLTO COMPLICATO

di MASSIMO BOCCUCCI

Sarà un processo lungo e complicatissimo. Passerà inevitabilmente per tre gradi di giudizio e sull’epilogo pesa in partenza se per quanto accaduto il 7 maggio 2021 a Canne Greche trattasi per i cinque rinviati a giudizio di omicidio doloso, come stabilito dal giudice dell’udienza preliminare Angela Avila nella fase che apre il dibattimento di primo grado, oppure colposo come di solito vengono configurate dai giudici le tragedie sul lavoro. Il 20 aprile, quando si aprirà il processo, si partirà da tutti i gravi reati contestati fin dall’inizio dalla Procura di Perugia, a cominciare appunto dal più grave che è l’omicidio doloso. Il giudice Avila ha disposto il processo per i cinque imputati ritenuti dal pubblico ministero Gemma Miliani responsabili a vario titolo dell’esplosione del laboratorio in cui hanno perso la vita il diciannovenne Samuel Cuffaro e la cinquantaduenne Elisabetta D’Innocenti che lavoravano nell’opificio in cui si produceva cannabis light, mentre Alessio Cacciapuoti all’epoca minorenne è rimasto gravemente ferito con altri due coinvolti senza particolari conseguenze.

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I COINVOLTI. Il processo sarà celebrato davanti alla Corte d’Assise di Perugia a carico di Alessandro Rossi, 33 anni, legale rappresentante di Greenvest e di Green Genetics; Gabriele Muratori, 29 anni, legale rappresentante di Green Genetics; Maria Gloria Muratori, 25 anni, legale rappresentante di Greenvest; Luciano Rossi, 35 anni, considerato socio occulto e gestore di fatto di entrambe le società; Giorgio Mosca, 43 anni, proprietario dell’immobile in cui si è verificata l’esplosione, anche lui considerato socio occulto e gestore di fatto di entrambe le società. Dovranno difendersi a vario titolo anche dall’accusa di lesioni dolose gravissime e gravi, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, perché - stando alla ricostruzione della Procura - i cinque sarebbero stati consapevoli della potenzialità lesiva del pentano sia per come veniva stoccato nel laboratorio che per come veniva utilizzato, ovvero con lavatrici a ultrasuoni che si surriscaldano e per questo non avrebbero potuto essere impiegate con una sostanza infiammabile come il pentano. Per il pm Miliani, inoltre, gli imputati erano anche a conoscenza dell’assenza di specifiche competenze scientifiche o di una pregressa esperienza similare in capo all’inventore della tecnica, ovvero Alessandro Rossi.

A GIUDIZIO DAL 20 APRILE I CINQUE COINVOLTI NELL’ESPLOSIONE DEL 7 MAGGIO 2021 , NEL LABORATORIO DOVE SI LAVORAVA LA CANNABIS, CHE COSTÒ LA VITA A SAMUEL CUFFARO

ED ELISABETTA D’INNOCENTI. BRACCIO DI FERRO

TRA LE PARTI SULL’ACCUSA DI OMICIDIO DOLOSO

IL DOLORE. La famiglia di Samuel Cuffaro si è costituita parte civile nel processo da cui si aspetta verità e giustizia dopo il dolore inconsolabile. Non è stata accolta dal gup Avila la tesi dalle difese, rappresentate dagli avvocati Monica Bisio, Luca Maori e Gervasio Paolo Cicoria, secondo cui il reato più grave di omicidio doloso avrebbe dovuto essere configurato in omicidio colposo, ricordando il precedente rappresentato dal gravissimo rogo Thyssenkrupp a Torino in cui la Cassazione ha inquadrato gli incidenti mortali sul lavoro come omicidio colposo. “A noi Samuel non lo ridarà nessuno, però non possiamo chiudere gli occhi di fronte a tutto quello che è successo. Chiediamo giustizia per lui”, ha detto Linda Fiorella Alonge, la madre di Samuel. Il ricordo è struggente, da quel 7 maggio 2021 la famiglia del ragazzo ha consumato le lacrime. La signora Linda ha assistito con il marito Gaetano all’udienza preliminare che ha portato al rinvio a giudizio dei cinque accusati. “Noi abbiamo poco, pochissimo, da dimostrare - ha evidenziato Gaetano Cuffaro, il padre di Samuel - perché i fatti sono così tanto evidenti che il giudice non ha potuto fare a meno di tenere questo impianto accusatorio. La nostra famiglia è stata distrutta completamente. Samuel per noi era tutto il mondo che ci girava attorno”. Anche a distanza di quasi due anni, la famiglia Cuffaro non si dà pace: “Abbiamo altri due bambini che ci tengono ancora in piedi. Vogliamo solamente giustizia e che queste persone che hanno fatto del male a tante famiglie paghino per quello che è giusto. Samuel qualche mattina, non sempre perché era a chiamata, andava a lavorare nei campi, mentre quel giorno il destino l’ha portato, chiamato dai datori di lavoro, in un posto in cui lui non doveva andare e di cui lui non sapeva niente. Poi è successo tutto quello che è successo”.

LA DIFESA. L’avvocato Luca Maouri, che difende Giorgio Mosca, ritiene che “la qualificazione del reato data dal gup non sussiste. I fatti sono molto gravi, questo è evidente, ma l’omicidio doloso non è una fattispecie che può essere contestata. Qui si tratta di una colpa e mai omicidio volontario. Abbiamo cercato di dimostrare questa circostanza prendendo a spunto la sentenza ThyssenKrupp di Torino. Il caso di specie è assolutamente lo stesso. Il mio assistito non era neanche socio delle attività ma proprietario dell’immobile e collaboratore saltuario”.

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