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Claudio Ursella
STORIA DEI NATIVI DEL NORD AMERICA
volume III
I LADRI DI TERRA
la colonizzazione e la guerra
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STORIA DEI NATIVI DEL NORD AMERICA
volume III
I LADRI DI TERRA
la colonizzazione e la guerra
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In copertina Wa-hon-ga-shee guerriero Kansa, ritratto da George Catlin
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I LADRI DI TERRA
La scoperta di un Mondo Nuovo, di una terra immensa e ricca, su cui nessuno poteva vantare diritti di proprietà, e in cui ognuno avrebbe potuto esercitare il proprio, supportandolo con la forza, la spregiudicatezza e la determinazione, fu per quasi un secolo cosa che riguardò solo una limitata elite della popolazione europea: i monarchi e i loro entourage, con i loro progetti di espansione coloniale, i mercanti che cercavano nuove vie per i loro commerci, i soldati, gli aristocratici, gli avventurieri, i navigatori, in cerca di fortuna e fama, il clero che vedeva nuovi orizzonti all’affermazione della fede cristiana. Al di fuori di questa tutto sommato limitata fetta di popolazione, tra le immense masse plebee d’Europa, analfabete, escluse da ogni circuito informativo, vincolate ad una vita misera e sottomessa, è facile immaginare che per lungo tempo la questione del Mondo Nuovo ebbe scarso impatto. Tra i servi della gleba di un’Europa ancora intrisa di feudalesimo, tra le masse miserabili delle rinascenti civiltà urbane il Catai, Cipango o l’America erano luoghi ignoti e irraggiungibili, a cui era impossibile affidare qualsiasi sogno o desiderio di speranza. Solo a quei pochi il cui mondo andava al di la dell’angusta quotidianità, fatta di fatica e miseria, quei pochi che potevano leggere ed informarsi, o che vivevano in prossimità di porti di partenza, solo costoro potevano in qualche modo cogliere l’enorme valenza delle scoperte geografiche, ed in particolare della scoperta dell’America . Poi a partire dalla fine del ‘500, accade qualcosa di nuovo: la stampa, la cui invenzione è del 1492, lo stesso anno della scoperta dell’America, apre ad una rivoluzione culturale in Europa, una rivoluzione che avrà profonde ricadute e conseguenze drammatiche: il sapere, non più custodito da una casta di eletti, si diffonde, e con esso lo spirito critico, la speranza, il desiderio di riscatto, fino a scuotere, con la Riforma Protestante, il fondamento stesso del potere medievale, la Chiesa di Roma. L’Europa cristiana si lacera e si divide, mentre immense forze economiche, che le stesse scoperte geografiche hanno contribuito a generare, mettono in discussione gli antichi valori e ne producono di nuovi, ricostruendo le strutture stesse della gerarchia sociale, non più intorno a quel diritto divino indiscusso, che ormai la Riforma ha messo in discussione, ma intorno al nuovo feticcio della modernità, il diritto alla proprietà, sulla base del quale ogni individuo definisce il suo status. E’ in questo quadro, quello di una società che ridefinisce la collocazione di ognuno a partire dalla preminenza del diritto di proprietà, che l’America finalmente compare agli occhi di quanti da tale diritto sono esclusi, come il luogo del riscatto e della speranza, il luogo in cui il diritto di proprietà può essere esercitato da chiunque, perché la prima fra tutte le proprietà, quella della terra, è libera e non sottoposta ai vincoli di alcuno, se non quello di “selvaggi”, fuori dalla luce divina e più simili ad animali che umani. Così per i successivi tre secoli, l’America non fu più solo un luogo lontano e ignoto di cui si curavano uomini di stato e mercanti per questioni commerciali e geopolitiche, ma la terra del possibile riscatto, della speranza e della libertà, per milioni di uomini e di donne d’Europa, che tentavano di sottrarsi al dramma della miseria e alle imposizioni della tirannia. L’America diveniva quindi non più una delle tante terre del mondo, in cui i potenti d’Europa cercavano di fare i propri profitti, ottenendo materie prime, vendendo i propri prodotti, sfruttando le popolazioni locali, ma una vera e propria terra di emigrazione, una terra di speranza, una terra in cui ricominciare e soprattutto una terra in cui chiunque, anche l’ultimo mendicante, poteva avere la sua opportunità, la sua occasione, e con le proprie forze, la propria tenacia, il proprio coraggio, poteva costruire la propria fortuna. Questa è stata l’America per oltre tre secoli nell’immaginario dei popoli d’Europa. Dalla fine del ‘500 esuli religiosi e dissidenti politici, poveri, reietti e miserabili che la nuova Europa capitalista lasciava ai margini, giovani dinamici e determinati, utopisti romantici e personaggi privi di scrupoli, e chiunque viveva con disagio le limitazioni di una gerarchia sociale senza prospettiva, guardarono all’America come alla terra in cui realizzare, in libertà, il proprio futuro, esercitando quel diritto alla proprietà, che in Europa era precluso. Le migliori energie popolari, frutto di una Europa in veloce trasformazione, si riversarono nel Nuovo Mondo, con la convinzione di poter finalmente costruire una società libera ed egualitaria, in cui ognuno potesse con pieno diritto, vivere sulla propria terra. L’America fu di fatto, il primo grande sogno “democratico” della moderna Europa capitalista. Questi furono i nuovi protagonisti della colonizzazione americana, non più conquistatori in armatura
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e cavallo, ma contadini, artigiani, lavoratori che per la prima volta potevano godere del frutto del proprio lavoro; presupposto fondativo di questa grande illusione, era la convinzione, su cui nessuno aveva alcun dubbio, che in America la terra fosse “libera”, e che chiunque poteva esercitare su di essa il proprio diritto, semplicemente lavorandola, migliorandola, rendendola produttiva. Il diritto alla terra, era la base di ogni ulteriore diritto e di ogni libertà, e tale diritto in America poteva essere esercitato: in America c’era terra per tutti… bastava il coraggio di prendersela. Fu così che le masse di diseredati, di esclusi, di perseguitati, che in Europa non avevano diritto a nulla, in America divennero, senza alcuno scrupolo morale, protagoniste di un immenso furto di terra, che spogliò una intera popolazione nativa di ogni diritto, la massacrò fin quasi a farla scomparire, e infine ne rinchiuse i superstiti in quei fazzoletti di terra improduttiva, che nessuno voleva. In questo processo, che durò oltre tre secoli, gli indiani non dovettero combattere solo contro eserciti o stati, ma contro la forza incontrastabile di un popolo, che avanzava inseguendo i valori più nobili, quelli del riscatto sociale e della libertà, senza curarsi del fatto che riscatto e libertà si realizzavano a spese dei “selvaggi”. Per i “selvaggi” questa massa incontrollabile di persone che ogni giorno avanzava di un miglio sulle loro terre, vi costruiva le proprie case, recintava i terreni e infine scacciava chi vi aveva sempre vissuti, apparivano solo come ladri, “ladri di terra”, che si appropriavano di ciò che a nessuno poteva appartenere, che dividevano ciò che da sempre era stato unito, che trasformavano ciò che sempre era stato immutato. Con gente simile, inutile era cercare un accordo e l’unica cosa che si poteva fare era ucciderli, ucciderne quanti più possibile, per difendere quella terra che nessun indiano si sarebbe mai sognato di definire propria. La colonizzazione del Nord America, che inizia a partire dalla fine del ‘500, fu sostanzialmente questo: lo scontro tra i “ladri di terra” e un popolo che mai aveva immaginato la terra, come una proprietà.
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GLI SPAGNOLI IN FLORIDA Il massacro degli ugonotti La penisola della Florida, che si protende dal continente americano a dividere le acque dell’oceano Atlantico da quelle del Golfo del Messico, non era terra di tesori e facili ricchezze, e questo era ormai acclarato alla metà del ‘500, dopo le imprese di Ponce de Leon, Vasquez de Ayllon e soprattutto di Pamfilo de Narvaez ed Hernando de Soto. Ciò nonostante ancora nel 1561 la monarchia spagnola inviava Tristan de Luna, con una grande spedizione, a tentare di conquistare questa terra ostile, non più per cercarvi regni dorati, ma con più concreti obbiettivi geopolitici: fare della penisola la base per le comunicazioni tra i possedimenti del Nuovo Mondo e la Spagna, oltre che un bastione difensivo, contro qualsiasi ingerenza di altre potenze europee, nella regione dei Caraibi e nella ricca America Centrale. La spedizione di Tristan de Luna si risolse nell’ennesimo e ancor più clamoroso fallimento, e puntualmente già l’anno successivo le preoccupazioni spagnole si concretizzarono, con il primo esplicito tentativo di una potenza europea, di contendere il dominio spagnolo nel Nuovo Mondo, fondando colonie stabili sulle terre rivendicate dalla Spagna. Il pericolo per il monopolio spagnolo nei Caraibi e in America Centrale non nasceva dalle decisioni di una monarchia rivale, ma dalle contraddizioni di un’Europa squassata dai conflitti religiosi e dalle tensioni sociali, in cui per la prima volta l’America diveniva luogo di speranza, per quanti soffrivano di persecuzioni e tirannia. Fu così che Gaspard de Coligny, il potente ammiraglio a capo degli ugonotti, i calvinisti di Francia, concepì il progetto di fondare colonie nel Nuovo Mondo, dove gli adepti al credo riformato, avrebbero potuto vivere liberamente senza dover temere l’odio dei cattolici e le accuse di eresia, che tra il 1562 e il 1598, portarono alla guerra e al massacro di migliaia di ugonotti. Già nel 1555 questo progetto si era concretizzato con la fondazione di una colonia in Brasile, che sopravvisse fino al 1567, quando dopo anni di guerra i Portoghesi riuscirono a espellere i Francesi dalle terre che essi rivendicavano in base al Trattato di Tordesillas; nel 1562 Coligny decise di affidare al suo sottoposto Jean de Ribault , la fondazione di un’altra colonia per gli ugonotti, più a nord lungo le coste di quella Florida che gli Spagnoli rivendicavano come loro possedimento, ma dove però non erano riusciti a costruire nessuno Jean Ribault stabile insediamento. Ribault partì nel febbraio del 1562 con circa
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150 uomini, approdando in America alla foce del fiume St.John, al confine tra gli attuali stati di Florida e Georgia, e qui stabilì amichevoli rapporti con i Saturiwa e i Tacatacuru tribù di agricoltori di lingua Timucuan. Ribault esplorò la regione, ma non trovandola adatta alla fondazione di un insediamento, si limitò ad erigere una stele di pietra a testimonianza del suo passaggio, e poi continuò a navigare lungo la costa in direzione settentrionale. Il posto adatto fu individuato nella zona di Port Royal Sound, sulle coste del South Carolina, una regione già attraversata dalla spedizione di Vasquez de Ayllon del 1526; a Parris Island Ribault stabilì il piccolo insediamento di Charlesfort, lasciandovi parte dei suoi uomini, mentre con gli altri faceva ritorno in Francia, per raccogliere rifornimenti e altri coloni da portare oltreoceano. Disgraziatamente al suo ritorno in Francia, i conflitti tra ugonotti e cattolici erano esplosi sanguinosi, ed egli fu costretto a fuggire in Inghilterra, dove fu accusato di spionaggio e incarcerato. In sua assenza la colonia di Charlesfort visse mesi difficili, tra la sospettosa indifferenza degli indiani Coosabo, che rifiutarono ogni aiuto, la fame, le malattie e l’insofferenza verso la dura disciplina imposta dal luogotenente di Ribault. La colonia non sopravvisse che pochi mesi, poi dopo un ammutinamento, gli ugonotti decisero di tentare la via del ritorno, impegnandosi in un viaggio drammatico attraverso l’oceano, durante il quale molti morirono di fame e sete, mentre chi sopravvisse, lo fece cibandosi dei propri compagni morti; alla fine i pochi superstiti furono recuperati da una nave al largo delle coste inglesi. Poco tempo dopo la partenza degli ugonotti, il governatore di Giamaica Hernando de Manrique de Rojas, raggiunse Charlesfort ormai abbandonata, e la incendiò, a monito per ulteriori tentativi di ingerenza nei possedimenti spagnoli; prima di ripartire prese prigioniero un Francese che non aveva osato prendere il mare e aveva trovato rifugio presso gli indiani. La colonia di Charlesfort era stato un tentativo effimero e velleitario, ma suonava come un campanello d’allarme: se gli Spagnoli non fossero stati in grado di controllare quella terra, certo altri l’avrebbero fatto, con grave pericolo per le colonie dei Caraibi e del Messico, che proprio in quegli anni divenivano l’obbiettivo di corsari inglesi come John Hawkins e Francis Drake. Nel 1563 i conflitti tra cattolici e ugonotti in Francia ebbero una precaria tregua, e il capo degli ugonotti Coligny, potè riprendere il suo progetto di colonia in Nord America, con l’appoggio del re di Francia Carlo IX; non potendo contare su Jean Ribault, ancora trattenuto nelle carceri inglesi, decise di affidarsi ad un suo luogotenente Renè Goulaine de Laudoniere, che nel 1564 partì con tre navi e circa 300 coloni ugonotti. Il 22 giugno del 1564 le navi Francesi approdarono ancora una volta alla foce del fiume St. John, dove i coloni fondarono l’insediamento di Ft.Caroline. La vita della nuova colonia fu subito difficile, e alcuni dei coloni che speravano di trovare chissà quale paradiso in terra, si rifiutarono di impegnarsi in lavori manuali, e furono per questo rimandati in patria. I vicini indiani delle tribù Saturiwa e Tacatacuru, si mostrarono amichevoli, e guidarono i Francesi alla stele di pietra eretta pochi anni prima da Ribault negli stessi luoghi, e che essi aveva trasformato in un piccolo altare con offerte votive; col tempo però i rapporti si fecero più difficili, sia per le pressanti richieste di cibo dei Francesi, sia per i tentativi dei diversi capi tribali di coinvolgere i Francesi nei loro conflitti. I coloni nella terra per loro sconosciuta avevano difficoltà anche a sfamarsi, ma con le loro armi di metallo e i loro archibugi, rappresentavano un alleato utile per i diversi capi locali, sempre divisi da rivalità e conflitti, e per questa ragione essi erano pronti ad offrire viveri e sostegno, pur di ottenerne il sostegno. La terra dove i Francesi erano giunti era abitata da popoli agricoli di lingua Timucuan, che avevano un’organizzazione sociale complessa e stratificata, con capi ereditari che esercitavano una forte autorità, secondo un modello simile a quello dei Popoli del Mississipi loro vicini. Oltre ai Saturiwa che avevano aiutato i Francesi a stabilirsi a Ft.Caroline, la più potente tribù della regione era quella degli Utina, anche detti Agua Dulce, stanziati più a sud, tra il il fiume St.John e la costa, il cui giovane capo guidava una potente confederazione di una quarantina di villaggi. Queste tribù non avevano avuto diretti contatti con le spedizioni di Pamfilo de Narvaez ed Hernando de Soto dei decenni precedenti, anche Renè Goulaime de Laudoniere
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se gli uomini di de Soto avevano razziato i campi degli Acuera, una tribù alleata degli Utina; in ogni caso è sicuro che notizie dei nuovi arrivati dalla pelle chiara e dal volto barbuto dovevano esser giunte loro, insieme alle meraviglie che essi portavano, e certamente i molti naufragi di navi spagnole, avevano permesso agli indiani di ottenere i primi manufatti europei. Al contrario di Hernando de Soto e Pamfilo de Narvaez, che avevano tentato di imporsi ai nativi con la forza, Renè de Laudoniere puntò ad ottenere l’aiuto delle tribù vicine, cercando di barcamenarsi nel complesso si- Tra i pochi ugonotti che riuscì a far ritorno in Francia, c’era l’artista Jacques le Moyne, a cui si devono le prime realistiche rappresentazioni degli indiani d’Amestema di alleanze e rivalità: i Sarica: qui sopra il figlio del capo dei Saturiwa mostra a Renè de Laudoniere la stele turiwa, da cui aveva ottenuto eretta due anni prima da Jean Ribault, a cui gli indiani facevano offerte; in basso ospitalità, erano in guerra con i la “cerimonia della bevanda nera”, praticata da quasi tutti i popoli delle regioni potenti Utina, e cercarono di del Sud-Est coinvolgere i Francesi nei loro conflitti; i Francesi non volevano inimicarsi i potenti Utina, così pur rimanendo neutrali nel loro conflitto con i Saturiwa, tentarono di ingraziarsi i potenti vicini, inviando un contingente di soldati a sostenere una spedizione contro i Potano, una tribù dell’interno; Theolbal d’Erlach e 25 uomini con qualche archibugio, si unirono agli Utina per attaccare i Potano, sconfiggendoli e uccidendo diversi guerrieri. I coloni stabilirono anche relazioni amichevoli con gli Yustaga, una potente tribù Timucuan, che viveva a ovest, tra il fiume Suwanee e la costa occidentale della Florida, e vennero a conoscenza di un’altra potente tribù, i Timucua veri e propri, il cui capo conoscevano con il nome di Onateaqua. La vita della colonia comunque procedeva stentatamente, i Francesi faticavano ad adattarsi ad una terra difficile e sconosciuta, l’attività agricola languiva, e in queste difficoltà un gruppo di soldati addirittura disertò per darsi alla pirateria nel mar dei Caraibi. La crisi alimentare ebbe poi anche conseguenze nel rapporto con gli indiani, quando il capo degli Utina tentò di obbligare i Francesi a mettersi al servizio dei suoi progetti di guerra, in cambio del cibo di cui questi necessitavano; i Francesi a quel punto rapirono il capo, cercando di ottenere così i rifornimenti, e ciò portò ad una battaglia in cui entrambe le parti ebbero gravi perdite; alla fine piuttosto che rischiare la guerra, oltre alla fame, i Francesi rilasciarono il capo, ma i rapporti con gli Utina erano ormai definitivamente deteriorati. All’inizio di agosto del 1565, dopo poco più di un anno dalla fondazione di Ft.Caroline, i Francesi erano ridotti alla fame, e furono salvati dal provvidenziale arrivo del corsaro inglese John Hawkins, da cui Renè de Laudoniere potè acquistare un po’ di provviste, con cui sostenere la sua gente durante il viaggio di ritorno in Francia, a cui si erano ormai rassegnati. Anche il secondo tentativo di fondare una colonia
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francese in Florida era destinato al fallimento, ma prima che la vicenda giungesse al suo epilogo, un sanguinoso dramma doveva ancora consumarsi. Alle fine di agosto del 1565 Renè de Laudoniere, con le provviste comprate dal corsaro inglese, attendeva un vento favorevole per prendere il mare e far ritorno in Francia; il 28 di quello stesso mese, Pedro Menendez de Avila, capitano generale della flotta spagnola, sbarcava sulle coste della Florida, poco a sud di Ft.Caroline, nel territorio degli Utina, e vi costruiva delle fortificazioni, embrioni del futuro insedia- Altre due tavole di Jacques le Moyne, che documentano la vita degli indiani Satumento di San Augustin: l’incarico riwa: l’attività agricola (sopra) e la caccia all’alligatore (sotto) che gli era stato affidato dal re di Spagna, era quello di distruggere la colonia di eretici francesi, e occupare militarmente la Florida; quello stesso 28 agosto Jean Ribault, finalmente liberato dalle carceri inglesi, approdava con cinque navi alla foce del St.John potando viveri e rifornimenti, 600 coloni e soldati, e l’incarico di sostituire Renè de Laudoniere come capo della colonia. Ai primi di settembre le navi di Ribault erano alla fonda alla foce del St.John, quando giunse la flotta di Menendez de Avila: lo scontro fu breve e ininfluente e le navi Spagnole si ritirarono verso sud, ma a quel punto Ribault decise che era il momento di agire. Dopo un incontro con Laudoniere, deciso a fare ritorno in Francia, Ribault lasciò suo figlio e tre navi alla foce del St.John e con le altre navi e quasi tutti i soldati, ripartì verso sud deciso e trovare gli Spagnoli ed attaccarli; il 10 settembre, mentre era impegnato ad inseguire la nave ammiraglia di de Avila, un terribile uragano disperse e distrusse la flotta, riducendo il suo piccolo esercito ad una banda di naufraghi. Nel frattempo de Avila aveva sbarcato i suoi uomini a San Augustin, e con una marcia via terra di 40 chilometri, il 20 settembre aveva raggiunto Ft.Caroline quasi completamente sguarnito, e l’aveva preso trovando poca resistenza: delle circa 150 persone che vi risiedevano, solo una ventina erano soldati e una cinquantina erano le donne e i bambini. Laudoniere e una ventina di coloni riuscirono a fuggire, raggiungere le navi alla foce del St.John, e far ritorno in Francia; tra quanti s’erano arresi, le donne e i bambini furono risparmiati, ma oltre 50 prigionieri furono impiccati. Il 28 settembre di quello stesso mese, gli indiani Utina, che si erano prontamente alleati agli Spagnoli, portarono notizia di una colonna di Francesi in viaggio lungo la costa a sud di San Augustin; si trattava di Jean Ribault e di oltre un centinaio di naufraghi che tentava di raggiungere Ft.Caroline, ignari di quanto era accaduto. De Avila li raggiunse con le sue truppe e li bloccò, ottenendone la resa dopo una lunga e confusa trattativa; quindi chiese ai prigionieri se fossero luterani o cattolici, e davanti alla risposta di Jean Ribault, che orgogliosamente rivendicò come tutti loro fossero protestanti, il capitano spagnolo non ebbe esitazioni e li impiccò tutti lungo la spiaggia: solo quattro si salvarono perché riconosciuti come cattolici. Secondo la tradizione, Menendez de Avila avrebbe dichiarato: “non vi uccido in quanto
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Francesi, ma in quanto luterani”; il luogo dell’eccidio è ancora noto come Matanzas Inlet (insenatura del massacro). La notizia del massacro suscitò grandi reazioni in Europa, con i Francesi, cattolici e ugonotti, uniti nel chiedere vendetta, e con il re di Francia che inutilmente chiese al re di Spagna una punizione per Menendez de Avila; al contrario questi premiò il suo capitano, con il titolo di governatore della Florida. La vicenda ebbe comunque una sua coda ulteriore tre anni dopo, nel 1568, quando un soldato ed esponente della piccola nobiltà guascona, Dominique de Gorgue, decise di vendicare l’eccidio. De Gorgue, che era cattolico, vendette tutti i suoi beni e chiese soldi in prestito, per arruolare duecento uomini, e con tre navi viaggiò verso Cuba, senza comunicare a nessuno i suoi propositi; una volta La regione interessata dal tentativo di colonizzazione degli ugonotti giunto nei Caraibi informò gli uomini del loro compito, e ottenuta conferma del loro impegno, prese il mare per raggiungere la foce del St. John. Giunto nelle vicinanze del vecchio Ft.Caroline, ora occupato dagli Spagnoli e rinominato Ft.S.Mateo, de Gorgue ottenne l’alleanza dei guerrieri Saturiwa, che erano in rapporti ostili con gli Spagnoli, e insieme a loro attaccò Ft.S.Mateo e il vicino Ft.San Juan, uccidendo tutti gli uomini presenti: in risposta a quanto detto da Avila, la sua dichiarazione fu “non vi uccido in quanto Spagnoli, ma in quanto assassini”. Compiuto quello che riteneva il suo dovere, de Gorgues tornò in Francia, accolto piuttosto freddamente dagli ambienti di corte, che temevano incidenti diplomatici con la Spagna, e vivendo per molti anni dimenticato e in miseria, prima di poter ottenere un incarico adeguato nell’esercito. La spedizione di vendetta di Dominique de Gorgues fu sicuramente un’azione eccezionale, che rappresenta bene un’epoca e una mentalità, ma non cambiò di una virgola il corso della storia, che Pedro Menendez de Avila, aveva sanguinosamente imposto con quasi duecento impiccagioni. Pedro Menendez de Avila iniziava l’epoca del dominio spagnolo della Florida, e non lo faceva sottomettendo i popoli che in Florida ci vivevano, ma dimostrando all’Europa intera, che nessuno poteva impunemente insidiare i domini del re di Spagna; il massacro degli ugonotti francesi, mise fino ad ogni velleità di colonizzazione delle terre pretese dalla Spagna, ma un’affermazione contro i competitori europei era ben altra cosa dal confronto con i popoli nativi, e Pedro Menendez de Avila, primo governatore della Florida, dovrà subito prenderne atto .
La “conquista” della Florida di Pedro Menendez de Avila
Pedro Menendez de Avila, non era un ambizioso avventuriero come altri che l’avevano preceduto nelle disastrose spedizioni spagnole in Florida degli anni precedenti, ma un soldato fedele al suo re e ligio ai suoi ordini; insignito del grado di capitano generale della flotta spagnola nel 1554, Avila fu il primo ad organizzare i grandi convogli navali, che annualmente riportavano in Spagna le ricchezze del Nuovo Mondo, fornendoli di un’adeguata scorta contro gli attacchi di pirati e corsari inglesi e francesi, che infestavano le rotte caraibiche. Nel 1561 una delle navi del convoglio, con a bordo suo figlio, andò persa in un naufragio al largo della Florida, e de Avila fece richiesta, dopo aver guidato la flotta in Spagna, di poter tornare in Florida alla sua ricerca, senza ottenere l’autorizzazione reale. Finalmente nel 1565 gli fu concesso di poter tornare in Florida con il titolo di “adelantado”, che gli garantiva il diritto di governo,
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sotto l’autorità reale, per le terre che avrebbe occupato; il suo compito, oltre che di distruggere la colonia degli eretici francesi, era quello di occupare militarmente la Florida, impedendo che potesse divenire una base per i nemici degli interessi spagnoli nell’area. Con la distruzione della colonia di ugonotti francesi di Ft.Caroline, de Avila aveva compiuto solo metà dell’incarico affidatogli, mentre la parte più difficile era quello di occupare una regione vasta e sconosciuta, abitata da bellicosi indiani, con poche centinaia di soldati e senza il supporto di coloni, intenzionati a costruire nella regione veri e propri insediamenti e attività economiche. La Florida, terra di acquitrini e paludi, poco adatta all’agricoltura, priva di risorse minerarie, non era luogo da attirare coloni, e gli unici, oltre ai soldati, su cui de Avila poteva contare per controllare la regione, erano i missionari, sempre interessati ad estendere la loro attività a nuove terre. Piuttosto che tentare la fondazione di una vera e propria colonia, de Avila cercò di stabilire un controllo sul territorio con presidi militari e missioni religiose, in particolare lungo le coste meridionali, più vicine alle colonie dei Caraibi. Per realizzare tale progetto doveva assolutamente ottenere l’amicizia, o quanto meno la non belligeranza degli indiani della regione, con cui i contatti fino ad allora erno stati scarsi e ostili. Specialmente gli indiani delle coste della Florida meridionale, i Calusa, gli Ais, i Tekesta, da tempo conoscePedro Menendez de Avila, primo governatore della Florida vano gli Spagnoli, non solo per i tentativi di occupazione da essi condotti, ma per i naufragi, che spesso portavano a riva i resti di imbarcazioni con le loro merci e i loro manufatti, oltre ai pochi superstiti, i più fortunati dei quali finivano schiavi, ma che nella maggioranza dei casi venivano uccisi dagli indiani. E’ anche probabile che i cacciatori di schiavi che per anni avevano razziato i Taino delle Bahamas, si fossero spinti fin sulle coste della Florida, e che con la loro attività abbiano ulteriormente fomentato l’ostilità degli indiani. I popoli della Florida meridionale Calusa, Ais, Tekesta ecc, linguisticamente e culturalmente diversi dai Timucuan che vivevano più a nord, non praticavano l’agricoltura, ma vivevano di pesca e raccolta di molluschi lungo le coste e nei tanti fiumi della regione, cacciavano cervi, tacchini selvatici e altre prede nelle grandi foreste, e potevano contare su un gran numero di frutti selvatici, che la lussureggiante vegetazione metteva a disposizione. Con tale abbondanza di risorse, questi popoli non avevano necessità di condurre una vita nomade, e vivevano in un gran numero di insediamenti stabili, guidati da capi autorevoli e potenti, al vertice di una società gerarchica e stratificata; non costruivano veri e propri mounds, i tumuli di terra su cui erano poste le case dei sacerdoti e dei capi nei villaggi agricoli più a nord, ma le grandi capanne in cui i capi vivevano circondati da servi e dignitari, erano poste su piattaforme di terra sopraelevate. La più potente di queste tribù era quella dei Calusa, che occupava tutta la parte sud-occidentale della Florida, e che per prima si era confrontata con gli Spagnoli, cacciando e uccidendo Ponce de Leon, più di quarant’anni prima. L’interesse di de Avila era anche di allargare l’area di influenza spagnola lungo le coste a nord, laddove gli ugonotti francesi avevano già tentato di costruire la colonia di Charlesfort, una regione abitata da popoli agricoli e sedentari di lingua Muskogean, i Guale e i Coosabo, riconducibili culturalmente ai Popoli del Mississipi, con un organizzazione anch’essa complessa e gerarchizzata, costruttori di tumuli, su cui ponevano i loro templi e le abitazioni dei capi. A differenza degli indiani della Florida meridio-
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nale, che si erano già mostrati ostili agli Spagnoli, i Guale e i Coosabo non avevano ostacolato i tentativi di stabilire una colonia fatti prima dagli Spagnoli e poi dai Francesi, mantenendosi comunque diffidenti, evitando di offrire alcun sostegno e limitando i contatti. Stabilita la sua prima base a San Augustin, de Avila prese possesso di Ft.Carolina e costruì un altro presidio, Ft.S.Juan, proprio alla foce del fiume Saint John, mentre da San Augustin, preti cattolici iniziavano, con scarsi risultati, la prima attività missionaria nei confronti degli indiani Utina; gli Utina avevano accolto gli Spagnoli e speravano di averli come alleati, dato che pur essendo la più potente tribù della regione, essi erano in guerra con tutte le tribù vicine, i Saturiwa a nord, i Potano a ovest, e i Mayuca a sud. L’anno successivo al loro arrivo, nel 1566 gli Spagnoli ricambiarono la buona accoglienza, accompagnando gli Utina in un attacco contro il principale villaggio dei Potano, dopo il quale la tribù fu obbligata a spostarsi più nell’interno. Spinto forse dalla speranza di avere notizie del figlio disperso nel naufragio, de Avila volse primariamente la sua attenzione a sud, verso i potenti Calusa, la tribù che s’era sempre mostrata ostile agli Spagnoli e che visitò nel 1566. De Avila non ebbe notizie di suo figlio, ma tra i Calusa trovò un altro naufrago, Hernando Escalante de Fontaneda, che da 17 anni viveva tra gli indiani della regione; nel 1549, appena tredicenne, Fontaneda era giunto con altri naufraghi sulle coste della Florida, ed era riuscito a scampare alla morte per mano degli indiani, forse per la sua giovane età e per l’aver soddisfatto il desiderio di un capo, che gli aveva chiesto di danzare e cantare. Dopo esser stato liberato da de Avila, e aver lavorato per lui come interprete, nel 1575 Fontaneda pubblicò un resoconto delle sue vicende, che è la principale fonte di notizie sugli indiani della Florida meridionale. Grazie anche a Fontaneda, de Avila riuscì a stabilire relazioni pacifiche con i il capo dei Calusa, che gli Spagnoli chiamarono Don Carlos, e con un diplomatismo sicuramente insolito per gli Spagnoli, tali relazioni vennero rafforzate con il matrimonio di de Avila con la sorella del capo, dopo che essa fu battezzata con il nome di Antonia; de Avila era già sposato in Spagna, e non sappiamo quale fu il destino della donna, sacrificata alle necessità diplomatiche, ma certo de Avila la usò come ostaggio, per garantirsi da attacchi del suo potente fratello. Grazie all’accordo i Calusa accettarono di ospitare una guarnigione e la missione di S.Antonio de Calus, nei pressi del loro principale villaggio. De Avila si adoperò anche per ottenere una pace tra i Calusa e i Tocobago, che vivevano nella zona di Tampa Bay sulla costa occidentale, un luogo di importanza strategica, dove erano approdate le spedizioni di Hernando de Soto e Pamfilo de Narvaez; ottenuta la pace tra Tocobago e Calusa, nel 1567 de Avila potè stabilire a Tampa Bay il presidio di Ft.Tocobago. Garantitosi l’alleanza della tribù più potente della Florida, il passo successivo fu quello di eliminare ogni traccia della presenza francese, e sempre nel 1566, egli si recò sul sito abbandonato di Charlesfort, dove fondò il piccolo insediamento di Santa Elena, che stabilì come capitale della nuova provincia della Florida, difeso dal presidio di Ft.San Felipe. Come già avevano fatto con i Francesi, i Coosabo e i Guale che vivevano a nord e a sud di Santa Elena, limitarono rapporti e contatti con i nuovi arrivati, e anche il lavoro missionario Ricostruzione di un villaggio Calusa
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che iniziò a partire dal 1568, non diede alcun esito. Nel 1567 de Avila continuò nel suo progetto teso a presidiare militarmente tutta la costa della Florida, e fu quindi la volta dei Tequesta, un’altra tribù costiera, di cui de Avila aveva avuto notizie nel 1565, quando una nave della sua flotta si era dispersa ed era approdata sulla costa vicino al villaggio venendo ben accolta; i religiosi presenti sulla nave avevano convinto il capo del villaggio ad affidare loro il nipote, perché fosse educato a Cuba, mentre il fratello del capo accettò di essere portato in Spagna, da cui tornò pochi anni dopo. I Tequesta si confermarono ben disposti verso gli Spagnoli, e de Avila vi lasciò un missionario e una guarnigione di 30 uomini, in un piccolo presidio difeso da una palizzata (Ft.Tequesta). Fu poi la volta degli Ais, che vivevano più a nord, la cui accoglienza fu molto più fredda, e nel cui territorio fu stabilito Ft.Ais. Il presidio della costa della Florida fu poi completato nel 1569, con la costruzione di Ft.S.Pedro, a Cumberland Island, sulla costa meridionale della Georgia, e la ricostruzione di Ft.S.Mateo sul fiume St.John, distrutto l’anno prima dai vendicatori di Dominique de Gorgue. Lo stesso anno ebbe inizio l’attività missionaria presso gli I presidi costruiti da Pedro Menendez de Avila indiani Guale, che si mostrarono scarsamente interessati; l’anno successivo alcuni missionari presero contatti anche con gli Yamassee, che vivevano poco più nell’interno. L’azione di de Avila evidentemente non mirava a costruire una vera e propria colonia, con attività economiche ed una popolazione civile, ne puntava a sottomettere gli indiani, cercando più che altro di ottenerne l’alleanza, e se possibile la conversione. Nei due anni in cui aveva operato in Florida, le sue azioni militari erano state contro i Francesi o in sostegno degli alleati Utina, ma egli aveva evitato qualsiasi conflitto con gli indiani. Ma la sua prudente ed oculata iniziativa era destinata comunque a scontrarsi con l’impossibilità di una pacifica convivenza tra bianchi e indiani. I primi furono gli Ais, che non avevano accettato la costruzione di Ft.Ais sul loro territorio; pochi mesi dopo la sua fondazione, una serie di attacchi costrinsero gli Spagnoli a lasciare il presidio e a spostarsi più a sud nel territorio degli indiani Guacata, dove costruirono il nuovo presidio di Ft.Santa Lucia de Canaveral. Prima della fine del 1568, in conseguenza degli attacchi degli indiani, i soldati di Ft.Santa Lucia si ammutinarono e fecero ritorno a San Augustin. Non è chiaro invece cosa accadde alla guarnigione di trenta soldati lasciati a Ft.Tocobago; una nave che vi portava rifornimenti nel gennaio del 1568, trovò tutti i soldati morti, ma non è chiaro se i responsabili furono i Tocobago, o qualche spedizione di guerra dei Calusa. Toccò poi ai Calusa, con i quali la precaria pace fu messa in crisi dall’assassinio nel 1568 da parte dei soldati di S.Antonio de Calus, del capo Don Carlos, del suo erede e di molti notabili della tribù; privati della loro guida gli indiani non riuscirono a vendicarsi, ma strinsero d’assedio gli Spagnoli, li ridussero alla fame, obbligandoli ad abbandonare il territorio. L’anno successivo missionari gesuiti tentarono di
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riaprire relazioni con la tribù, ma furono costretti a tornare indietro. Nel 1570 infine anche il forte e la missione fra i Tequesta dovettero essere abbandonati, malgrado i buoni risultati del gesuita Francisco Villareal, dopo l’assassinio da parte dei soldati dello zio del capotribù, e la conseguente ostilità degli indiani. Dopo soli quattro anni, gran parte dell’iniziativa diplomatica e militare di de Avila era andata in frantumi, e tutti gli indiani della Florida meridionale, non solo rimanevano liberi e indipendenti, ma la loro ostilità era aumentata e la loro sicurezza rafforzata dalle vittorie ottenute. Nel 1571 lo stesso de Avila, che in viaggio verso Cuba aveva fatto naufragio sulla costa degli Ais, riuscì a scampare alla cattura, solo con uno stratagemma, riuscendo a far credere agli indiani, che un forte contingente di soldati era nelle vicinanze. Dopo il fallito tentativo di de Avila, tutta la Florida meridionale rimarrà esclusa dalla presenza degli Spagnoli e di qualsiasi altro Europeo, per più di due secoli, e i Calusa in particolare continueranno a rimanere ostili e indipendenti, fino alla fine del dominio spagnolo. Oltra alla sua pianificata azione di controllo delle coste e dei luoghi strategici della regione, de Avila doveva garantire anche il rispetto e il prestigio della Spagna e della Chiesa Cattolica, ovunque esse fossero offese, e per questo toccò a lui impegnarsi nella più settentrionale delle spedizioni militari condotte dagli Spagnoli in America. Nel 1570, dopo essere stato costretto a ritirare i missionari dalla regione di Santa Elena e dal territorio dei Guale, il capo dei gesuiti a L’Avana, volle tentare l’esperimento di una missione, senza presidio militare, in una regione in cui gli indiani non avessero avuto contatti con gli Europei. Evidentemente si voleva verificare se, senza il comportamento dei soldati spagnoli, che certo non rappresentava un buon viatico per il messaggio evangelico, l’azione dei missionari poteva dare migliori risultati. Contando su un indiano denominato Don Luis, rapito nel 1561 da Angel de Villafane, il soccorritore della spedizione di Tristan de Luna, che era stato in Spagna ed educato dai gesuiti, il territorio scelto per la nuova missione fu quello della Baia di Chesapeake, nell’attuale Virginia, la terra in cui Don Luis era nato. Accompagnati da Don Luis come interprete, e da un ragazzo di nome Alonso de Olmos come servitore, alla fine del 1570 sette missionari gesuiti partirono da Cuba, e dopo aver fatto tappa a Santa Elena, si spinsero a nord fino alla Baia di Chesapeake, prendendo terra in luogo imprecisato, probabilmente nelle vicinanze della foce del fiume York, dove costruirono una capanna per vivere e un locale per dire messa, noti come “missione di Ajacan”. Poco dopo essere approdati, Don Luis riconosciuta la sua terra e ritrovato il villaggio in cui mancava da anni, abbandonò i missionari e fece ritorno tra la sua gente; la tribù di Don Luis era quella dei Chischiak, un piccolo gruppo di lingua Algonquian facente parte di quella che più tardi sarà conosciuta come confederazione Powhatan, e che nel secolo successivo si opporrà duramente ai coloni Inglesi. Privi di una guida e di un interprete, in una terra ignota e con il rischio reale di finire uccisi o morire di fame, i tre missionari si recarono al villaggio di Don Luis per convincerlo a tornare, ma questi non esitò ad ucciderli o farli uccidere, poi con altri guerrieri, si recò alla missione e completò l’opera uccidendo anche gli altri gesuiti e risparmiando solo il ragazzo, che portò con se al villaggio. Don Luis era vissuto nove anni tra i bianchi, imparandone la lingua, la religione, i costumi: evidentemente la sua esperienza non era stata piacevole. All’inizio del 1572 una nave giunta a portare rifornimenti ai gesuiti, fu accolta da canoe di indiani ostili, alcuni dei quali indossavano le vesti dei religiosi; nello scontro che seguì alcuni indiani furono uccisi e altri presi prigionieri, e quindi scambiati con il giovane Alonso, della cui sorte i marinai avevano saputo proprio dai prigionieri. Nell’agosto di quello stesso anno de Avila partì con una nave e una guarnigione di 30 uomini, alla volta della lontana Virginia, con l’obbiettivo di catturare Don Luis; come era prevedibile l’indiano non fu trovato, ma giunto nella zona in Il massacro di Ajacan in una stampa dell’epoca
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cui era avvenuto il massacro dei gesuiti, de Avila attaccò un villaggio uccidendo una ventina di indiani, e prendendo otto prigionieri, che furono tutti impiccati, non prima ovviamente di essere battezzati, garantendo così la salvezza delle loro anime. La vendetta per il massacro della missione ad Ajacan è l’ultimo fatto di rilievo compiuto da Pedro Menendez de Avila in Florida; morirà in Spagna due anni più tardi, dopo essere stato nominato governatore anche di Cuba; alla fine del suo mandato, condotto secondo una razionale strategia diplomatica e militare, usando il pugno di ferro contro i nemici della Spagna e della Chiesa Cattolica, ma evitando inutili conflitti, i suoi risultati erano ben limitati: la “conquista della Florida” si era risolta nella fondazione di pochi e precari presidi militari e missioni, in una striscia di costa tra Santa Elena e San Augustine. La Florida rimaneva una terra ostile e gli indiani che l’abitavano difendevano con determinazione la loro indipendenza. Ma l’azione di de Avila non si limitò al perseguimento di una razionale strategia per la sicurezza dei possedimenti spagnoli in Florida, dato che a lui si deve anche la decisione dell’esplorazione delle regioni dell’interno, fino al cuore dei monti Appalachee, già visitata da Hernando de Soto; non fu una operazione che condusse personalmente, ma che affidò ad suo sottoposto, Juan Pardo, l’ultimo a tentare di allargare i possedimenti spagnoli a nord.
Juan Pardo esplora i monti Appalache Due erano le ragioni per cui il controllo della Florida aveva un’importanza strategica nella politica coloniale Spagnola in America: evitare che la penisola divenisse la base per le attività di potenze europee concorrenti, e cercare una via che rendesse più facili i contatti tra l’Europa e il Nuovo Mondo, riducendo i rischi della navigazione nelle acque del Golfo del Messico, pericolose per i frequenti uragani e per l’attività di pirati e corsari che trovavano asilo nelle tante isole dei Caraibi. Proprio per realizzare tali obbiettivi era sta organizzata nel 1561 la spedizione di Tristan de Luna, che avrebbe dovuto costruire una via di terra tra la costa del Golfo del Messico e quella Atlantica, lungo la quale far viaggiare i convogli che riportavano in patria le ricchezze del Messico, e portavano in Messico i necessari rifornimenti dalla Spagna. L’operazione si era risolta in una drammatica catastrofe, ma Pedro Menendez de Avila continuò a lavorare secondo la stessa prospettiva, e non casualmente stabilì come capitale delle terre dai lui governate, la nuova colonia di Santa Elena, situata sulla costa Atlantica, più o meno laddove avrebbe dovuto essere il punto d’arrivo della via di terra che Tristan de Luna avrebbe dovuto aprire. L’ipotesi era assolutamente velleitaria e giustificata solo dalle scarse conoscenze geografiche dell’epoca, sulla base delle quali si sottostimava notevolmente la distanza tra le colonie del Messico, e la costa dell’oceano Atlantico. Proprio a partire da questa errata valutazione, Pedro Mendez de Avila decise di affidare a Juan Pardo, un suo ufficiale appena giunto dalla Spagna con truppe di rinforzo e rifornimenti, il compito di esplorare le regioni dell’interno e trovare una via che collegasse Santa Elena, alle lontane miniere d’argento di Zacatecas, nel Messico. Oltre a questo compito tanto ambizioso quanto fantasioso, Pardo doveva anche fare rifornimenti di scorte di mais per la colonia, sempre dipendente dagli indiani per il cibo, ottenere l’amicizia e la sottomissione delle tribù dell’interno e verificare la loro disponibilità ad accogliere missionari e convertirsi al cristianesimo. Per questo ambizioso progetto a Juan Pardo venivano dati circa 120 uomini , compresi alcuni archibugieri, e pochi mesi di tempo. Non sappiamo se de Avila e Pardo fossero al corrente del fatto che poco più di venti anni prima, Hernando de Soto, con una spedizione molto più grande, aveva già visitato quelle stesse regioni: se ne avessero avuto conoscenza, avrebbero anche saputo quali distanze e quali pericoli si frapponevano alla meta delle miniere del Messico. Con scarse conoscenze e senza guide affidabili, Juan Pardo mosse da Santa Elena nel settembre del 1566, e da subito fu obbligato cambiare il suo itinerario, viaggiando in direzione nord, piuttosto che a ovest, dove non vi erano villaggi indiani presso cui rifornirsi e soggiornare. La regione che Juan Pardo evitò di attraversare era la stessa per cui era invece passato de Soto dopo aver lasciato il potentato di Ocute, e prima di arrivare a Cofitachequi, una zona spopolata e selvaggia dove gli Spagnoli avevano rischiato di morire di fame; Ocute e Cofitachequi, abitati da gente linguisticamente e culturalmente affini, erano già in guerra ai tempi di de Soto, e forse lo spopolamento dell’area era conseguenza di tale ostilità. Pardo quindi mosse verso nord, attraversando alcuni villaggi degli indiani Cusabo, che già avevano avuto rapporti con Francesi e Spagnoli, quindi raggiunse la regione e il villaggio di Cofitachequi, dove de Soto era sta accolta dalla “regina”, a cui s’era presentato come “Figlio del Sole”, e da cui aveva ricevuto in dono quella collana di perle di fiume, che fu l’unico tesoro trovato in tutto il suo lungo vagare.
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Le informazioni su Cofitachequi di Juan Pardo sono scarse, ma la crisi che attraversava il potentato già ai tempi di de Soto, continuava acuendosi: se già gli scarsi contatti con i coloni di Vasquez de Ayllon nel 1526 avevano causato epidemie dalle conseguenze ancora visibili ai tempi di de Soto, ben più devastante doveva essere stata la permanenza di quest’ultimo nella regione. Juan Pardo non si presentò come Figlio del Sole, ma eseguendo gli ordini di de Avila, in ogni villaggio in cui arrivava, riuniva tutti gli abitanti, e se possibile anche quelli degli insediamenti vicini, faceva loro un lungo discorso in cui spiegava come da quel momento tutti loro Juan Pardo tra gli indiani, in una illustrazione contemporanea dovessero accettare il dominio del re di Spagna e del Papa di Roma, chiedeva se fossero disponibili ad accogliere missionari che li istruissero nella nuova fede, poi ordinava di predisporre scorte di mais e capanne per la sua gente, e infine distribuiva piccoli regali ai personaggi più influenti. Il discorso, fatto in Spagnolo, veniva tradotto da un interprete che Pardo aveva con se, ma questi ovviamente non conosceva le lingue di tutte le tribù che venivano incontrate, per cui il messaggio tradotto dall’interprete, veniva ancora tradotto da un indiano che conosceva la lingua usata dall’interprete, e questa operazione poteva venir ripetuta più volte, con il possibile cambiamento del messaggio, sia nei toni, che almeno in parte nei contenuti. Dal canto loro gli indiani, che già avevano accolto con disponibilità e amicizia de Soto, si dimostrarono pacifici e disponibili anche con Pardo, vuoi per evitare problemi con i nuovi venuti, numerosi e ben armati, vuoi per ottenere quei piccoli regali, come specchietti, tessuti, oggetti di metallo ecc… che a loro dovevano sembrare meraviglie. Lasciato il territorio di Cofitachequi, la spedizione proseguì verso nord lungo il fiume Wateree, attraversando diversi villaggi di indiani di lingua Siouan, i Waxhaw, con il villaggio di Gueza, i Catawba con quello di Issa, fino alla terra dei Cheraw, alle pendici dei monti Appalachee, il cui principale villaggio era Juara, coincidente con la Xuala visitata anni prima da de Soto, raggiunta nel novembre o dicembre del 1566. A Juara Pardo costruì Ft.San Juan de Juara, il primo presidio europeo nell‘interno del Nord America, lasciandovi una trentina di uomini al comando del sergente Hernando Moyano de Morales, e con l’inverno ormai arrivato, piuttosto che spingersi oltre sui monti, continuò ad esplorare le regioni a est, lungo l’alto corso del fiume Catawba , nella parte occidentale del North Carolina, fino alla terra dei Wateree, un’altra tribù Siouan, il cui principale villaggio era Guatari. A Guatari Pardo ricevette notizie da de Avila, che lo richiamava indietro per il timore di un attacco francese a Santa Elena, così riprese la strada del sud per far ritorno alla colonia spagnola ai primi di marzo. La relazione che Pardo fece a De Avila fu accolta con grande interesse: certo la via per il Messico non era stata trovata, ma le terre visitate erano belle e produttive, adatte allo sviluppo agricolo e, sempre nella speranza di trovare una via per il Messico, le fattorie che vi si potevano costruire, potevano rifornire le miniere di Zacatecas, nella cui regione l’attività agricola era quasi impossibile. Dopo la paludose Florida e le terre sabbiose della costa dove gli Spagnoli avevano fondato le loro colonie, una ricca regione agricola, abitata da indiani pacifici e amichevoli, poteva divenire veramente quella colonia che gli Spagnoli ancora non erano riusciti a costruire in Nord America. Mentre Pardo era a Santa Elena, in attesa di partire con una seconda spedizione, il suo sergente Moyano nel lontano presidio di Ft.San Juan, cercava di capire se la regione, oltre ad essere adatta all’agricoltura, poteva anche offrire minerali preziosi. Come era già accaduto a de Soto, anche a Moyano giunse la notizia che a ovest, oltre i monti, c’era un popolo, i Chiska, conosciuti più tardi con il nome di Yuchi, che possedeva il metallo giallo desiderato dai bianchi: quasi certamente non si trattava di oro, ma di rame, che gli indiani avevano imparato a raccogliere da depositi superficiali e a lavorare. Come aveva già fatto de Soto, Moyano alla fine dell’inverno del 1567, inviò un gruppo di soldati, accompagnati da guerrieri di Juara, a cercare l’oro nella regione, ma il gruppo non trovò nulla se non una famiglia di indiani Chiska che fu massacrata dagli indiani Cheraw di Juara, loro nemici. Qualche tempo dopo questo grave
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incidente, a Moyano giunse un minaccioso messaggio da parte del capo dei Chiska, intenzionato a vendicarsi per l’attacco subito; il sergente reagì prendendo venti dei suoi trenta uomini, insieme a un folto gruppo di indiani di Juara, e mettendosi in marcia verso il territorio dei Chiska. Dopo aver attraversato i monti, Mojano giunse al villaggio di Maniatique, sull’alto corso del fiume Holston, nei pressi dell’attuale Saltville in Virginia, e lì dopo una furiosa battaglia riuscì a sconfiggere gli indiani. Da un soldato spagnolo ci è giunta una delle prime testimonianze dell’usanza di scotennare i nemici, praticata dagli alleati di Moyano. Comunque malgrado la vittoria, Moyano preferì rinunciare alla ricerca di oro nella regione, e all’inizio della primavera, pur non sapendo degli ordini di Pardo che lo invitavano a continuare l’esplorazione per trovare una strada per il Messico, decise di muoversi in direzione sud-ovest verso il potentato di Coosa. Coosa era quella stessa entità politica e religiosa, formata da popoli di lingua Muskogean, con cui sia de Soto che de Luna avevano avuto rapporti, anche se la sua potenza e la sua ricchezza erano certo in declino dopo il passaggio dell’armata spagnola; la città più settentrionale di Coosa era Olamicco, abitata dalla tribù dei Chiaia, che vivevano sull’alto corso del fiume Tennessee. Ad Olamicco giunse Moyano, trovandovi subito un accoglienza piuttosto fredda, e da diversi elementi ebbe l’impressione che gli indiani preparassero un tranello. Piuttosto che proseguire, il sergente decise di stabilire un piccolo presidio nelle vicinanze del villaggio, e lì attendere il suo superiore, passando i mesi successivi circondato da indiani tutt’altro che amichevoli. Nel settembre del 1567, Juan Pardo riprese la via del nord, seguendo quasi lo stesso percorso dell’anno precedente, salvo una piccola diversione a nord, verso il villaggio di Quinamahiqui, oltre la terra dei Catawba; poi piegò di nuovo a ovest fino a Juara e a Ft.San Juan, dove ebbe notizie sui rischi che correva Moyano, circondato dagli indiani a Olamicco. Rafforzata la guarnigione di Ft.San Juan, Pardo si rimise in viaggio per ricongiungersi a Moyano, attraversando alcuni villaggi che quasi certamente erano abitati da indiani Cherokee. Anche i Cherokee si dimostrarono amichevoli con gli Spagnoli, e anche a loro fu spiegato come, da quel momento, i Cherokee dovessero considerarsi sottoposti all’autorità del re di Spagna e del papa di Roma: anche i Cherokee accolsero la notizia senza particolari malumori, e forse con ancor minore interesse. In ottobre Juan Pardo e Moyano si ritrovarono nei pressi di Olamicco, e insieme continuarono l’esplorazione, con l’obbiettivo di raggiungere il cuore del potentato di Coosa, ma giunti al villaggio di Satapo, i sospetti che gli indiani si preparassero ad attaccarli, si trasformarono in certezza; a Satapo un indiano li informò delle intenzioni ostili del capo di Coosa, i cui parenti erano stati rapiti e ridotti in schiavitù, proprio da Hernando de Soto; il vicino villaggio di Coste, quasi certamente abitato dalla tribù Muskogean dei Koasati, poteva essere il luogo in cui gli indiani si preparavano ad attaccare gli Spagnoli. Dopo una riunione con gli ufficiali per decidere il da fare, Juan Pardo ritenne opportuno desistere dal proseguire, e prendendo una via diversa, attraverso il villaggio di Chiaia, ritornò a Olamicco; qui il presidio già costruito da Moyano fu rafforzata e gli fu dato il nome di Ft.San Pedro, e vi fu lasciata una piccola guarnigione di meno di trenta uomini. Lungo la via del ritorno un’ altro presidio, Ft.San Pablo, fu stabilito presso il villaggio Cherokee di Cauchi, quindi dopo aver attraversato la terra dei Cheraw e fatto tappa a Ft.San Juan, gli Spagnoli attraversarono la terra dei Catawba, trovandovi tracce di minerali ritenuti preziosi, fino a raggiungere la terra dei Wateree e il villaggio di Guatavi, che era governato da due donne, e dove fin dall’anno prima erano stati lasciati due soldati; nel gennaio del 1568, anche a Guatari fu costruito un piccolo presidio, Ft.Santiago, quindi gli Spagnoli ripresero la via di Cofitachequi, facendo una diversione a est per visitare e “sottomettere” altri villaggi, probabilmente abitati da indiani delle tribù Siouan dei Pedee e dei Sissipahaw; secondo alcune testimonianze gli indiani Pedee, che vivevano al confine tra North e South Caolina, si erano spostati dalla costa all’interno, per sfuggire ai cacciatori di schiavi spagnoli che operavano fino in quelle terre ignote. Lungo il viaggio di ritorno Juan Pardo raccolse grandi quantità di mais per rifornire la colonia di Santa Elena, e giunta a Cofitachequi stabilì il presidio di Ft.San Tomas, poi carichi di mais, gli Spagnoli attraversarono le terre dei Cusabo per tornare sulla costa; poco prima del suo arrivo, i Cusabo del villaggio di Ahoya s’erano ribellati e avevano ucciso un soldato spagnolo, forse perché non volevano portare le loro scorte di cibo alla colonia di Santa Elena, e per questo atto erano stati puniti e il loro villaggio bruciato. Juan Pardo incontrò diversi capi locali, anche quelli del villaggio di Ahoya, si mostrò magnanimo con tutti, ottenne il mais di cui necessitava, e anche qui stabili un presidio, Ft.Nuestra Senora de la Buena Esperanza, presso il villaggio di Orista, e finalmente ai primi di marzo del 1568, ritornò a Santa Elena, trovando la colonia ridotta alla fame e salvandola con i rifornimenti di mais che aveva ottenuto tra gli indiani. Sotto molti punti di vista le spedizioni di Juan Pardo potevano considerarsi un successo: la via per Za-
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catecas non era stata trovata (e come sarebbe stato possibile), ma gli Spagnoli avevano conosciuto una regione bella, ricca e densamente popolata, avevano aperto amichevoli relazioni con i popoli che l’abitavano, e avevano addirittura stabilito una serie di presidi militari, intorno ai quali in futuro costruire i primi insediamenti di coloni; e tutto ciò era stato fatto senza perdere un solo uomo. Malgrado ciò le esplorazioni di Juan Pardo non ebbero alcuna conseguenza sulle successive vicende coloniali in Nord America, dato che nessuna ulteriore iniziativa fu assunta per stabilizzare i risultati da lui ottenuti; evidentemente la corona di SpaVillaggio degli indiani Siouan della Carolina in un disegno del XVII secolo gna poco si curava di quelle terre lontane e sconosciute, e soprattutto mancavano quei coloni, che con la loro determinazione a costruirsi una nuova vita, anni dopo sarebbero stati il vero motore della penetrazione nel continente. La dominazione Spagnola della Florida, più che una vera e propria colonizzazione, era solo il tentativo di mantenere il controllo militare su un’area strategica, presidiando le coste e mantenendo rapporti con gli indiani che l’abitavano, ottenendo da loro cibo e forza lavoro, anche grazie all’attività dei missionari. Dal punto di vista della storia degli indiani invece la spedizione di Juan Pardo è di grande importanza, perché le scarne notizie riportate da Juan de la Bandera, cronista della seconda spedizione, sono le sole che abbiamo su una serie di popoli i cui destini sarebbero stati molto diversi. Si trattava di tribù e gruppi di tribù di lingua diversa, ma tutti influenzati dal modello culturale dei Popoli del Mississipi, agricolo, sedentario, gerarchico e tendenzialmente teocratico, il cui centro di espansione era tra i popoli di lingua Muskogean che vivevano più a sud, nel potentato di Coosa, in quello di Ocute, e in quello più settentrionale di Cofitachequi; a nord di questi popoli meglio conosciuti, vivevano tante tribù di lingua Siouan della cui cultura sappiamo poco, perchè estintesi nel corso del ‘700; anche dei Cherokee di lingua Iroquaian, le cui vicende sono ben note, poco sappiamo delle loro origini e della loro cultura in epoca precolombiana. L’ipotesi più probabile che queste genti, subissero l’egemonia dei Muskogean di Cultura Mississipi, ne assumessero alcuni usi, ma mantenessero un profilo diverso, più semplice e meno gerarchizzato. Dalle poche testimonianze comunque sappiamo che se tutti i villaggi erano circondati da palizzate, e avevano al loro interno tumuli di terra su cui erano poste le case dei capi e dei sacerdoti, sembra che la tipologia delle abitazioni dei popoli Siouan fosse diversa da quella dei Muskogean: non case di rami e frasche con le pareti intonacate di fango, ma capanne ricoperte di corteccia d’albero, secondo uno stile diffuso tra i popoli Algonquian e Iroquaian che vivevano più a nord; è anche probabile che il modello sociale gerarchizzato fosse un’acquisizione recente, indotta dal contatto con i popoli meridionali, e che il più antico sistema basato sui clan famigliari, più egualitario e democratico, fosse ancora presente. Ciò è sicuramente vero per i Cherokee, nelle cui leggende si fa esplicito riferimento ad una sollevazione contro un “clan” di stregoni malvagi, evidente riferimento alle caste sacerdotali dei Popoli del Mississipi; se in questo mito c’è del vero, esso può far pensare ad un vero e proprio conflitto sociale, in cui la popolazione si ribella, sulla base della propria cultura tradizionale, alle elite di potere espressioni di un modello culturale alieno. Anche l’archeologia da indicazioni in tal senso, dato che in alcuni casi sotto i tumuli usati dai capi e dai sacerdoti, sono stati trovati i resti di grandi capanne usate per riunire i consigli dei capi clan, rappresentando così plasticamente la sovrapposizione di un modello gerarchico, ad un modello più “democratico” precedente. Il modello gerarchico della cultura del Mississipi, andò in crisi in questa regione, poco dopo la spedizione di Pardo, forse in coincidenza con l’emergere della potenza dei Cherokee, portatori di un modello sociale classicamente tribale, più egualitario e democratico; e proprio di questo stesso periodo infatti è l’inizio del conflitto tra Cherokee e Muskogee di Coosa,
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I territori esplorati da Juan Pardo
che durerà fino all’inizio del ‘700. Poco più di un secolo dopo la spedizione di Juan Pardo, quando la regione era ormai parte delle colonie inglesi del South e North Carolina, gran parte delle tribù Siouan che la occupavano erano scomparse, e i superstiti si erano in maggioranza aggregati alla tribù dei Catawba, che per sopravvivere si era alleata ai coloni, difendendoli dagli indiani che vivevano più a ovest. I Siouan che in epoca precolombiana avevano occupata vasti territori tra il Mississipi e l’Atlantico, finiranno quasi dimenticati; i Catawba si fusero con i Choctaw nell’800, ed è probabile che altri eredi delle tribù Siouan della Carolina siano parte della comunità meticcia dei Lumbee, che vive ancora oggi nel North Carolina. Nello stesso periodo i cui i Siouan erano ridotti sull’orlo dell’estinzione, scompariva il più nord-orientale tra i potentati Muskogean, quello di Cofitachequi, le cui ultime notizie sono del 1670, quando alcuni capi si incontrarono con gli Inglesi da poco giunti nella regione; per qualche tempo sulle terre di Cofitachequi, visse la piccola tribù dei Congaree, che parlava una lingua diversa dai vicini Siouan, e forse erano Muskogean come gli abitanti di Cofitachequi, ma poco dopo l’inizio del ‘700 anche i Congaree scompaiono dalla storia, come le tribù Siouan vicine. Diverso il destino dei Cherokee, un popolo di montanari a cui de Soto prestò quasi nessuna attenzione e che ai tempi di Juan Pardo sembrano già più importanti; di li a poco i Cherokee diverranno una delle tribù più potenti e significative del Nord America, impegnati prima in lunghe guerre di resistenza, poi in un difficile percorso da adattamento al mondo dei bianchi. Forse poco tempo dopo il passaggio nelle loro terre di Juan Pardo, i Cherokee iniziarono una lunga guerra contro le tribù Muskogean di Coosa, scacciandoli dalle pendici meridionali dei monti Appalachee sui quali essi costruirono i loro villaggi. Il potentato di Coosa, forse anche per le sconfitte subite dai Cherokee,
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scompare dalla storia nei decenni successivi, ma di esso rimane traccia nella confederazione dei Creek, che giocherà un ruolo strategico nell’area per quasi due secoli e mezzo; i Creek, come gli indiani di Coosa che si erano opposti all’avanzare di Juan Pardo, saranno una spina nel fianco degli Spagnoli, bloccandone non solo l’avanzata a nord, ma lanciando anche, con il sostegno inglese, devastanti attacchi fin nella Florida meridionale. Molto più misteriosa è invece la vicenda dei Chiska, conosciuti più tardi come Yuchi o Uchee, che parlavano una ligua diversa da tutte le tribù vicine, vivevano a ovest dei monti Appalachee e che si mostrarono sempre ostili agli Spagnoli; gli Yuchi erano rappresentanti classici della Cultura del Mississipi, un popolo ricco e potente, e per quel che sappiamo, bellicoso; per ragioni a noi ignote nei primi decenni del ‘600, la tribù si divise, e mentre una parte rimase nelle loro sedi originarie, un gruppo raggiuse l’attuale frontiera della Florida, dove gli Spagnoli continuarono a chiamarli Chiska. I Chiska continuarono ad essere ostili agli Spagnoli, e continuarono a lanciare raids contro le missioni della Florida, prendendo schiavi indiani, vendendoli agli Inglesi. Un ultimo capitolo riguarda la sorte dei presidi e delle guarnigioni che Juan Pardo aveva stabilito nelle terre da lui visitate; non si hanno notizie precise su ciò che accade a questi uomini, praticamente abbandonati ai limiti estremi delle terre conosciute, se non che nessuno di loro tornò mai a Santa Elena. Quasi sicuramente prima della fine del 1568, tutti i fortini erano distrutti e i soldati morti, molto probabilmente per attacchi dei vicini indiani, anche se non è da escludere che sia stata semplicemente la fame ad ucciderli; i presidi spagnoli dipendevano dagli indiani per rifornirsi di cibo, ed è probabile che gli indiani si siano stancati di mantenere questi ospiti non invitati. Dal canto loro i soldati spagnoli erano usi avanzare le loro richieste come arroganti pretese, accompagnandole con comportamenti offensivi e violenti; dopo mesi di forzata convivenza è probabile che le diverse tribù, forse con un piano deciso insieme, oppure ognuna di propria iniziativa, abbiano decisi di affamare, assediare e attaccare gli Spagnoli, verso i quali il reverenziale timore del primo incontro, era ormai scomparso. I discorsi con cui Juan Pardo li aveva informati di essere ora sottoposti al re di Spagna e al papa di Roma, erano solo parole, a cui gli indiani non avevano dato alcun peso.
Da Santa Elena a San Augustin
Come governatore della Florida Pedro Menendez de Avila aveva concepito una ambiziosa iniziativa, che lo aveva portato a stabilire presidi spagnoli in una vasta regione, che dall’estremità meridionale della Florida si estendeva fino alle lontane e sconosciute terre dei monti Appalache, e ovunque aveva rivendicato il dominio del re di Spagna e preteso la sottomissione dei popoli nativi; ma si era trattato di un’impresa velleitaria e già nel 1570 le tante piccole guarnigioni stanziate a difesa delle rivendicazioni spagnole, erano state distrutte, i soldati uccisi o costretti ad abbandonare gli avamposti, attaccati, assediati e ridotti alla fame dagli indiani, che avevano imparato a non temere gli archibugi e le armi di metallo degli invasori. Alla fine del suo mandato e poco prima della sua morte nel 1574, la conquista della Florida da lui condotta, si era risolta nella precaria occupazione di una striscia di costa, tra San Augustin, nel nord-est della Florida e Santa Elena, poco oltre il confine tra South Carolina e Georgia. La sottomissione degli indiani aveva riguardato le tribù di questa piccola regione, gli Utina della zona di San Augustin, che avendo combattuto contro i coloni ugonotti francesi, si erano subito alleati agli Spagnoli, i Saturiwa e i Tacatacuru, che dopo aver combattuto gli Spagnoli, insieme ai vendicatori francesi di Dominique le Gorgue, distruggendo Ft.San Mateo nel 1568, si erano adattati a convivere con loro, i Guale della costa della Georgia, per i quali nel 1573 era stata fondata la missione di Santa Maria de Sena ad Amelia Island, e infine i Cusabo, nella regione di Santa Elena, con cui i rapporti erano comunque precari e difficili; Ft. Nuestra Senora de Buenaventura, che Juan Pardo aveva stabilito nel loro territorio, non lontano dalla colonia di Santa Elena, nel 1570 era stato abbandonato per le ostilità degli indiani. Con l’arrivo del successore ad interim di de Avila, Diego de Velasco, i problemi esplosero nella colonia di Santa Elena con i vicini Guale, un cui capo aveva subito vessazioni e furti della sua proprietà e il cui nipote e un altro indiano erano stati impiccati, accusati dell’uccisione di un soldato spagnolo; anche i Cusabo erano stanchi delle continue richieste di cibo, e nel 1576 un contingente di uomini guidato da Moyano, inviato a rifornirsi di mais, cadde in un tranello e fu massacrato nel villaggio di Escamacu, e stessa sorte subì un altro contingente, inviato a punire i colpevoli dell’attacco. Prima della fine dello stesso anno, i Cusabo dei villaggi di Orista e Escamacu, insieme a bande di Guale che vivevano più a sud, attaccarono Santa Elena e uccisero i trenta soldati di guarnigione di Ft.S.Felipe, costringendo i
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coloni a fuggire via mare, e alla fine incendiando l’insediamento. Nel frattempo Velasco veniva cons i d e r a t o responsabile dei disordini a Santa Elena, accusato di corruzione e vessazioni nei confronti degli Ricostruzione di un villaggio Cusabo nelle vicinanze di Santa Elena indiani dal suo successore, che però restò in carica per poco, prima di venire a sua volta sostituito dal nipote di Pedro Menendez de Avila, Pedro Menendez de Marquez che restò in carica per i successivi diciassette anni. De Marquez iniziò il suo mandato ristabilendo nel 1577 la colonia di Santa Elena, e conscio di dover sopportare l’attacco degli indiani ostili, tornò all’insediamento distrutto, portando con se un fortino “prefabbricato”, che subito montò e chiamò Ft.San Marcos. Dopo aver ristabilito il presidio e la colonia, nel 1579 de Marquez lanciò una rappresaglia contro gli indiani che si erano ribellati, attaccando e distruggendo un vicino villaggio. La colonia di Santa Elena comunque sopravviveva in precario equilibrio, e ancora nel 1582 una forza di oltre un migliaio di guerrieri Cusabo si concentrò per scacciare gli Spagnoli, che questa volta però riuscirono a respingere l’attacco. Più a sud il pericolo era rappresentato dalla tribù dei Potano, che da anni in guerra con gli Utina alleati degli Spagnoli, rappresentavano anche una minaccia per la colonia di San Augustin; nel 1584 contro i Potano fu inviata una spedizione, sostenuta dai guerrieri Utina, che però cadde in una imboscata, in cui fu ucciso il capitano che guidava gli Spagnoli. L’anno successivo gli Spagnoli riuscirono a punire i Potano, distruggendo il loro principale villaggio e obbligando gli indiani a spostarsi in un'altra località. Ma al di la dei conflitti con gli indiani, le difficoltà della colonia e la sua precaria esistenza, erano legate alla sua scarsa attrattività e alla mancanza di risorse tali da far giungere coloni decisi a stabilirvisi. A differenza di quanto accadeva in Messico, dove le risorse minerarie favorivano la nascita di un gran numero di insediamenti e il progressivo aumento dei coloni bianchi, in Florida gli Spagnoli erano un pugno di uomini, per lo più soldati, funzionari civili e missionari, che non erano in grado di contendere agli indiani il controllo delle terre, di cui di fatto non avevano necessità, non essendo interessati a coltivarle, e non essendoci giacimenti da cui ricavare lauti profitti. I problemi con gli indiani derivavano principalmente dalla imposizione di tributi e dalle richieste di lavoro gratuito, dalla arroganza dei militari e successivamente dalle imposizioni dei missionari, che pretendevano di stravolgere culture e credenze tradizionali. Oltre ai problemi con gli indiani, alla scarsità dei rifornimenti, alle stesse condizioni climatiche e ambientali, a cui gli Spagnoli dovevano adattarsi, un ulteriore pericolo era rappresentato dall’attività di pirati e corsari che infestavano le coste; nel 1585 l’attacco più grave fu portato a San Augustin dal corsaro inglese Francis Drake, che costrinse il governatore de Marquez ad evacuare la città e lasciarla in balia dei razziatori. Forse fu anche in conseguenza di questo attacco, oltre che della costante ostilità degli indiani, che nel 1587 de Marquez decise di abbandonare Santa Elena, concentrando le sue forze e le sue attenzioni su San Augustin, dove gli indiani erano in pace, e che era più vicina alle colonie spagnole dei Caraibi; questo insediamento, che de Avila non aveva considerato adatto per fondarvi una colonia, è ancora oggi il più antico insediamento europeo, consecutivamente abitato del Nord America. Con l’abbandono di Santa Elena, i Cusabo si garantirono così quasi un secolo di indipendenza, prima che da nord i coloni inglesi giungessero con pretese ancora maggiori di quelle spagnole. Di fatto la Florida Spagnola, più che una vera e propria colonia europea, fu una vasto campo di lavoro per i missionari, che divennero i veri “colonizzatori”, estendendo le loro attività dalle regioni costiere sempre più nell’interno, fino a comprendere tutta la parte centrosettentrionale della penisola e le zone meridionali dell’attuale Georgia. All’inizio erano stati i gesuiti che al seguito di Menendez de Avila avevano tentato di cristianizzare gli indiani, ma visti gli scarsi risultati abbandonarono l’impresa, sostituiti nel 1573 dai francescani. All’inizio i missionari operavano al seguito dei soldati o dei funzionari spagnoli, o visitando i villaggi nelle vicinanze di Santa Elena e San Augustin, e gli unici tentavi di stabilire missioni
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furono quelli di Santa Maria de Sena tra i Guale e di Orista tra i Cusabo. Fu a partire dal 1587, lo stesso anno in cui venne abbandonata Santa Elena, che l’attività missionaria iniziò a farsi più estesa e strutturata, con le missioni di San Pedro de Mocama per i Tacatacuru, San Juan del Puerto per i Saturiwa e di Nombre de Dios per gli Utina, quindi nel 1595 altre missioni venivano stabile per potenziare l’attività presso i Guale, i Tacatacuru, i Saturiwa e gli Utina; quello stesso anno i Surruque e gli Ais, tribù ostili che vivevano a sud degli Utina, inviarono una delegazione a San Augustin, per verificare la possibilità di accordi con gli Spagnoli. Nel 1597 l’attività missionaria iniziò ad interessare anche le tribù dell’interno, gli Yamassee, gli Yui, i Timucua, fino ai lontani Mayuca a sud, visitati dai francescani e accolti amichevolmente; è anche possibile che l’attività dei missionari, abbia favorito la diplomazia spagnola, se in quello stesso anno, i capi di alcune tribù dell’interno, i Potano, gli Ocale e gli Acuera, visitarono San Augustin facendo formale atto di sottomissione. Il successo della penetrazione dei missionari tra gli indiani, non può essere certo spiegata con l’interesse per il messaggio evangelico, e deve avere certo avuto altre motivazioni; è legittimo ipotizzare che i capi delle comunità indiane, dopo aver dovuto prendere atto della inevitabile presenza spagnola, abbiano valutato più utile nella relazione con questi ingombranti nuovi venuti, avvalersi della “mediazione culturale” dei missionari, che almeno non imponevano con la violenza la loro presenza. Non furono quindi rari i casi in cui furono proprio gli indiani a far richiesta dei missionari, i quali a volte cercavano di tutelare gli indiani da abusi delle autorità civili e militari. D’altra parte alla lunga, anche i pacifici missionari potevano divenire un grosso fastidio con la loro pretesa di modificare usi e credenze, e con il progressivo sostituirsi alle autorità spirituali tribali; i missionari poi non si limitavano ad intervenire nella sfera religiosa, ma cercavano di modificare la vita quotidiana degli indiani, obbligandoli a usare vestiti per coprire le peccaminose nudità, vietando danze e giochi collettivi, cercando di modificare gli usi sessuali, contrastando la poligamia, che era un segno distintivo delle elite tribali, condannando le guerre tribali, che nelle società indiane erano il modo in cui gli uomini potevano mostrare valore e acquisire prestigio. Proprio nel 1597, mentre l’attività missionaria sembrava finalmente prendere slancio, una grave crisi esplose fra i Guale della costa della Georgia, gli indiani che da più tempo erano stati oggetto dell’attività dei francescani. La rivolta esplose il 13 settembre del 1597, quando Juanillo giovane capo del villaggio Guale di Tolomato, stanco dei divieti del missionario locale, lo uccise, quindi insieme ai suoi guerrieri distrusse la missione; il giorno successivo un incontro si svolse tra i diversi capi Guale, al termine del quale tutti furono d’accordo a cacciare i missionari; altri quattro francescani furono ammazzati, uno tenuto come schiavo e in totale sei missioni furono distrutte. La presenza dei missionari spagnoli tra i Guale fu azzerata e nessuno potè prontamente informare San Augustin, dove la notizia arrivò solo in ottobre, lasciando la possibilità agli indiani di ritirarsi nell’interno per evitare l’inevitabile rappresaglia. Quando Luis de Canco, il nuovo governatore da poco in Florida ebbe qualche notizia di ciò che era accaduto, era malato e non potè organizzare subito la reazione; successivamente una spedizione inviata non potè far altro che bruciare campi e villaggi abbandonati e fare un solo prigioniero, da cui gli Spagnoli riuscirono a sapere che i missionari erano stati quasi tutti uccisi: nel maggio dell’anno successivo gli Spagnoli riuscirono a liberare l’ultimo missionario superstite, ma non riuscirono a punire i ribelli. La rivolta potè essere domata solo l’anno dopo quando il capo del villaggio Guale di Asao, probabilmente La presenza spagnola in Florida alla fine del ‘500
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corrotto dagli Spagnoli, guidò i suoi guerrieri fin nelle regioni interne per attaccare il villaggio fortificato in cui Juanillo viveva; il capo ribelle e altri 23 guerrieri furono uccisi, ma intanto la presenza spagnola nella regione era stata eliminata. Mentre a nord i Guale si ribellavano, lungo la costa a sud di San Agustin, gli Ais continuavano a essere un problema malgrado le trattative di pace avviate due anni prima: durante la rivolta dei Guale, una nave di rifornimenti alla colonia, che aveva tentato di prendere terra sul loro territorio, era stata costretta a rinunciare a causa dell’ostilità degli indiani; per ritorsione il governatore de Canco, insieme ai guerrieri Utina, l’anno successivo attaccò il villaggio dei Surruque, alleati degli Ais, uccidendo una cinquantina di indiani e facendo oltre 60 prigionieri, liberati dopo un periodo di schiavitù. Nel 1599 uno Spagnolo veniva ammazzato nella terra degli Ais, e in più essi davano ospitalità agli schiavi africani che fuggivano da San Augustin e continuavano a portare attacchi agli indiani alleati della Spagna. Questa era la situazione della colonia della Florida alla fine del ‘500, a quasi 35 anni dall’arrivo di Menendez de Avila: il solo insediamento di San Augustin, presidiato da una guarnigione insufficiente e abitato da pochi coloni, poche missioni tra gli indiani alleati più vicini, indiani ostili a nord, a sud e nelle regioni dell’interno, e la difesa della colonia in buona misura legata agli indiani alleati. Da questo desolato avamposto la monarchia di Spagna avanzava pretese su gran parte del Nord America ancora ignoto.
Terra di missioni
Alla fine del ‘500, dopo quasi un secolo di tentativi di conquistare la Florida e sottometterne gli abitanti, tutto ciò che gli Spagnoli avevano ottenuto era di stabilire un precario avamposto militare ai limiti estremi dei loro possedimenti, circondato da indiani tendenzialmente ostili, esposto agli attacchi dei pirati, soggetto alle febbri di una terra paludosa, dipendente anche per il cibo dai pochi indiani alleati. Pure questa situazione si modificherà velocemente, e in modo quasi incruento, nel giro di meno di cinquant’anni, gran parte della Florida sarà sottomessa e inserita nel sistema coloniale spagnolo: artefici di questo successo, non furono conquistatori a capo di armate, ma inermi missionari, che spesso da soli, si spingevano nelle terre più lontane, forti solo della loro fede Già alla fine del ‘500 l’impegno missionario aveva dato i suoi primi risultati, non solo tra le tribù da decenni sottomesse o alleate agli Spagnoli, i Saturiwa, i Tacatacuru, gli Utina, ma anche tra i Guale, che vivevano al di fuori delle terre direttamente controllate dal potere civile e militare di San Augustin; poi c’era stata la rivolta di Juanillo, che aveva provocato una battuta d’arresto, e che soprattutto gli Spagnoli non erano riusciti a domare con la loro iniziativa, dovendosi invece affidare per la loro vendetta, proprio ad un capo della tribù ribelle, probabilmente rivale o comunque in disaccordo con Juanillo. Questo dato già segnala che all’interno delle comunità indiane il tema dei rapporti con i missionari doveva essere controverso, e che almeno alcuni leader fossero meno ostili alle relazioni con gli Spagnoli. Dopotutto tali relazioni si sostanziavano, oltre che in un atto di sottomissione formale, in oneri non gravosissimi: il dovere di mantenere un singolo missionario presso il villaggio e qualche forma tributo, sia in termini di forza lavoro che di cibo, per i soldati e i coloni di San Augustin; a ciò si aggiungeva la pressione dei missionari a cambiare usi e credenze, che certo era sentito come un problema. Ma l’alleanza con gli Spagnoli, poteva offrire anche vantaggi. Prima di tutto c’erano i regali, a cui i leader e le elite tribali potevano accedere, oggetti in metallo, abiti e tessuti, cibi sconosciuti, manufatti preziosi, tutti elementi che in una società stratificata come quella degli indiani della Florida, in cui il potere dei capi e dei loro famigliari si basava anche su manifestazioni esteriori, potevano avere grande importanza, per aumentare il proprio prestigio e il proprio rango. C’è poi da considerare che i missionari, oltre all’insegnamento religioso, portavano anche nuove conoscenze, nuove culture agricole, animali d’allevamento, la stessa possibilità di imparare a leggere e a scrivere, tutti fattori di interesse soprattutto per gli appartenenti alla casta tribale più elevata, che erano i primi interlocutori dei missionari. Non va poi dimenticato, che in una società stratificata, a pagare il costo dell’alleanza con gli Spagnoli, non erano le elite tribali, che certo non erano obbligate a impegnarsi a lavorare i campi degli Spagnoli, o a far loro da portatori o messaggeri, e che certo non soffrivano per il ridursi delle scorte alimentari. Infine va rilevato che mancava nella Florida Spagnola, la prima ragione del plurisecolare conflitto tra bianchi e indiani, quel pervasivo aumento dei coloni europei, che progressivamente si insediavano sulle terre indiane, cacciavano i nativi, appropriandosi delle loro risorse: in Florida la presenza spagnola rimase sempre limitata e circoscritta, a differenza di quanto accadeva in quegli stessi anni in Messico, dove la colonizzazione avanzava insieme allo sfruttamento minerario.
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E’ quindi probabile che una sorta di alleanza tra Spagnoli e leadership tribali, si sia prodotta rendendo possibile ai primi mantenere un certo controllo sugli indiani e ottenere da loro il necessario al sostentamento della colonia, e alle seconde di mantenere, e in qualche modo rafforzare, il loro potere all’interno delle comunità indiane. Ma tale alleanza non poteva prodursi direttamente fin quando il potere spagnolo si presentava con l’immagine violenta e arrogante dei soldati, e necessitava invece di figure che fossero in grado di operare all’interno delle comunità indiane, capaci di ridurre le tensioni derivanti dall’incontro tra culture diverse, e queste figure spesso furono i missionari. Come e anche più che in Messico, l’azione dei missionari fu determinante per inserire i nativi nel sistema coloniale spagnolo, riuscendo dove avevano fallito i soldati con le loro armature e i loro archibugi. Quanto detto può forse spiegare come sia stato possibile che i Guale, di fronte alla cui ribellione gli Spagnoli s’erano mostrati incapaci di reagire in modo adeguato, dopo la morte di Juanillo per mano di un capo rivale, nel 1600 abbiano inviata a San Augustin una delegazione di capi, per chiedere la pace, accettare la sottomissione e la riapertura delle missioni. E da questo momento, e per oltre mezzo secolo, l’avanzata dei missionari in Florida fu continua e senza interruzioni. Già l’anno successivo i Potano, che negli anni precedenti s’erano più volte scontrati con gli Spagnoli e per questo avevano dovuto abbandonare il loro villaggio, chiesero di poter tornare nella loro terra, ottenendo l’assenso spagnolo; cinque anni dopo nel 1606, tre missioni venivano stabilite nelle loro terre. Nel 1602, dopo alcuni anni di contatti, anche tra i Mayuca che vivevano a sud venne fondata una missione, che però operò a intermittenza negli anni seguenti, essendo molto lontana e isolata; nel 1605 i missionari tornarono tra i Guale, ricostruendo alcune missioni e fondandone di nuove; quello stesso anno dopo trattative, e con la mediazione dei Surruque, anche gli Ais accettarono di ospitare una missione, oltre a qualche piccolo allevamento di coloni spagnoli. Nel 1607 i missionari visitarono per la prima volta i lontani Appalache, anche se ci vorrà ancora molto tempo prima della fondazione di una missione nelle loro terre. I potenti Timucua vennero raggiunti nel 1608 e negli anni successivi diverse missioni saranno stabilite nella regione, che diverrà il cuore della colonizzazione spagnola in Florida; nel 1610 la missione di Cofao fu fondata sulla costa occidentale, nel territorio degli Amacano, con la funzione di offrire anche una base e punto d’approdo per i rifornimenti che giungevano da Cuba. Intorno al 1620 fu la volta degli Acuera e degli Ocala, quindi degli Yustaga, che vivevano a ovest dei Timucua, e avevano sempre mostrato resistenza ad accettare i missionari, ma che nel 1623 cedettero. Alla fine degli anni ‘20 è fondata la prima missione tra gli Appalachee, seguita da altre nel corso degli anni ’30, intorno alle quali nei decenni successivi si costituirà anche un villaggio spagnolo con una significativa attività economica e commerci con gli indiani che vivevano Una missione in Florida più a nord. Prima della metà del secolo una fitta rete di decine di piccole missioni si estendeva per la Florida centro-settentrionale e le confinanti aree della Georgia; si trattava abitualmente di strutture costituite da due o tre edifici, uno per la celebrazione della messa e altre attività religiose, l’altro per ospitare i religiosi, a cui poteva aggiungersi un piccolo magazzino, a volte circondate da palizzate, in pochi casi sede anche di un piccolo presidio militare. L’attività missionaria era principalmente rivolta ai capi e ai dignitari tribali, che nella società dei Timucuan, avevano anche un ruolo di capi spirituali; così ottenendo la loro conversione, le intere comunità accettavano il cristianesimo. Man mano che la penetrazione avanzava, le terre sotto controllo spagnole venivano organizzate in unità amministrative, quattro in tutto: la provincia di Mocama, comprendente la zona di San Augustin, tra la costa e il fiume St.John, quella di Guale, lungo la costa a nord del St.John, quella di Timucua, nell’interno fino al fiume Suwanee, e l’ultima quella di Appalache a ovest dello stesso fiume, mentre le terre più a sud, dove le missioni erano meno presenti, rimanevano fuori da questa divisione. Ognuna di queste regioni doveva garantire rifornimenti e lavoratori per la colonia di San Augustin, che rimaneva l’unico vero e proprio insediamento spagnolo; a partire dagli anni ’20 due “ranchos” (fattorie o allevamenti) vennero stabiliti nell’interno ad Alachua e Asile, per iniziativa dei maggiorenti della colonia, che però vi lasciavano qualche uomo di fiducia, ed erano lavorati da schiavi africani o dagli indiani delle missioni. Intorno agli anni ’30 l’integrazione delle comunità tribali era tale, che fu costituita una milizia indiana, in parte addestrata e armata dagli Spagnoli e guidata da loro ufficiali. Durante tutto
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questo periodo le tensioni furono minime: due limitati tentativi di ribellione subito sedati tra i Guale, nel 1608 e nel 1645, mentre nel 1618 i Guale e i Tacatacuru, fuggirono per qualche tempo dalle missioni per sfuggire alle vessazioni del governatore Juan de Salinas. Nel 1647 una più significativa rivolta scoppiò tra gli Appalachee con la distruzione della missione di San Antonio de Bacua; gli indiani, invitarono il luogotenente del governatore Claudio Luis de Florencia e la sua famiglia ad una festa, per indurli a uscire dal sicuro villaggio di San Luis de Talimali, e quindi li uccisero insieme ai missionari. Per punire gli Appalachee una trentina La Florida Spagnola alla metà del ‘600 di soldati spagnoli, insieme a 500 guerrieri Timucuan furono inviati da San Augustin, ma prima ancora di entrare nelle terre tribali, essi furono fermati dopo una battaglia durate nove ore, dagli Appalachee e dai loro alleati Chiska (il nome usato dagli Spagnoli per gli Yuchi). La crisi fu risolta dal co-governatore Francisco Menendez Marquez, che con una ventina di soldati e il sostegno del potente capo dei Timucua Lucas Menendez, suo amico personale, riuscì a ottenere con una pace negoziata, la ripresa delle attività spagnole nella regione; la soluzione negoziata della crisi, può far ritenere che la rivolta Appalachee non fosse sostenuta dalle leadership tribali, che dal rapporto con gli Spagnoli ottenevano regali e altri vantaggi, e fu la spontanea reazione di quegli indiani che erano obbligati al lavoro servile. Occasionali conflitti continuavano con gli indiani del sud, i Calusa, i Tocobago ecc…, ma non tanto per i tentavi spagnoli di controllare la regione, quanto per le ostilità tra queste tribù e quelle sottomesse alla Spagna; nel 1611 guerrieri delle tribù Tocobago e Pohoy, della regione di Tampa Bay, attaccarono un gruppo di indiani Potano da poco convertiti, mentre trasportavano rifornimenti alla missione di Cofao, uccidendone 17: soldati Spagnoli e alleati indiani furono subito inviati a compiere un’azione di rappresaglia, uccidendo tutti gli indiani che incontravano, ma già l’anno successivo una missione diplomatico-militare fu inviata presso i Tocobago, portando regali per ristabilire la pace. La missione diplomatica incontrò anche il capo dei Calusa, facendo regali anche a lui per garantire la sicurezza delle missioni,
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ma ciò nonostante nel 1614 i Calusa attaccarono i Mocoso, che pur fuori dalla zona di influenza spagnola, mantenevano con essi rapporti amichevoli, fin da quando avevano accolto Hernando de Soto nel 1539. Ancora negli anni ’20 gli attacchi dei Pohoy alla tribù degli Amacano, costrinse gli Spagnoli ad abbandonare la missione di Cofao. La Florida meridionale rimaneva totalmente indipendente, e gli indiani che l’abitavano continuavano ad essere una costante preoccupazione per gli Spagnoli. Anche lungo la frontiera settentrionale c’erano tensioni con gli indiani, e qui il pericolo principale erano i Chiska, una parte degli Yuchi che aveva lasciato le sue sedi sull’alto corso del Tennesse per spostarsi a sud; i Chiska razziavano i villaggi dei Timucua cristiani e contro di loro intorno al 1622 il governatore Salinas inviò un reparto di soldati e alleati indiani. I Chiska comunque continuarono a rappresentare un problema e nel 1639 il governatore Damian de Vega Castro y Pardo li deportò all’interno della colonia della Florida, dividendoli in diverse missioni tra il fiume St.John e la provincia di Appalache, per controllarli e usarli come servi; malgrado ciò essi continuarono a rappresentare un problema e nel 1647 ebbero un ruolo nell’istigare gli Appalachee alla rivolta. Sempre nel 1639 un inviato del governatore riuscì a mediare una pace tra gli Appalachee da poco convertiti, gli Amacano loro nemici tradizionali, e i Chatot e gli Appalachicola, che vivevano a ovest e a nord, fuori dalla colonia della Florida e non avevano alcun rapporto con i missionari. Alla metà del ‘600 il successo dei missionari francescani aveva portato finalmente gli Spagnoli ad esercitare un certo controllo su buona parte della regione, ma la colonia continuava a languire, priva di autonomia economica, senza alcuna attrattiva per possibili migranti, il suo valore era principalmente strategico e militare; a conferma di ciò il di fatto che tra le principali attività dei governatori spagnoli, c’era l’invio di periodiche spedizioni nell’interno o lungo la costa, per verificare le voci di possibili presenze di coloni inglesi, che a partire dai primi anni del ‘600 si erano stabiliti in Virginia.
La fine dei Timucuan
Quasi mezzo secolo di alleanza tra Spagnoli e tribù della Florida, mediata dai missionari non erano però stati indolori per gli indiani: pur non registrandosi catastrofiche epidemie, le malattie importate dall’Europa avevano comunque lasciato il segno tra gli indiani, la cui popolazione ebbe un progressivo e costante calo. E’ probabile che avendo già subito il trauma del contatto nei primi decenni del ‘500, gli indiani della Florida in questo periodo fossero meno soggetti a quelle disastrose epidemie che in poco tempo potevano distruggere intere comunità, ma il loro patrimonio immunitario continuava a soffrire il contatto con i bianchi, e le malattie continuarono a mietere vittime, specialmente nelle missioni. Nel corso di poco più di un secolo, tra il 1564 e il 1672, ben 11 focolai epidemici si produssero nella regione, ognuno di essi di impatto significativo, al punto che la poplazione si ridusse circa del 90 per cento. E lecito credere che malgrado l’atteggiamento disponibile delle leadership tribali, le malattie portate dai bianchi, l’imposizione di tributi e il lavoro servile, insieme alle pressioni dei missionari per cambiare usi e credenze, alla lunga abbiano ingenerato un clima di malessere tra gli indiani, di cui anche i leader tribali dovevano tenere conto; gli stessi capi tribali, pur considerando utile il rapporto con gli Spagnoli, spesso avevano ragioni di dissidio con le autorità civili e militari, le quali a loro volta, spesso diffidavano dell’attività dei missionari, che garantiva troppa indipendenza agli indiani. In ultimo va considerato che il calo demografico degli indiani nelle missioni, riduceva la disponibilità di forza lavoro per gli Spagnoli, specialmente nelle aree più vicine a San Augustin, dove gli indiani erano più esposti alle malattie dei bianchi, e per sostituire la forza lavoro che si riduceva, le autorità spagnole ad ogni occasione obbligavano o cercavano di indurre gli indiani, a trasferirsi vicino alla colonia, abbandonando le sedi tradizionali. Le ragioni di tensione tra i due mondi, benchè limitate e gestite, c’erano tutte ed esplosero nel 1656 per una serie di fattori coincidenti. Il governatore dell’epoca Diego de Rebolledo, aveva già avuto frizioni con i capi indiani per i suoi modi sprezzanti e per la costante richiesta di lavoratori per la colonia; in più egli sottraeva le risorse destinate ai regali con cui gli Spagnoli si garantivano l’alleanza dei capi indiani, per commerciare di contrabbando con gli indiani che vivevano a nord e a sud della colonia, ottenendo da loro merci pregiate da rivendere a Cuba. A quell’epoca la missione di San Luis de Talimali, nel territorio degli Appalachee, la più occidentale tra le missioni, era divenuta un fiorente insediamento, l’unico oltre a San Augustin, che ospitava coloni impegnati non solo nelle piantagioni e nell’allevamento, ma anche in un vantaggioso commercio di pelli pregiate con le tribù dell’interno; queste tribù dell’interno però non solo si mostravano ostili all’attività dei missionari, ma predavano gli indiani delle missioni, formalmente sudditi del re di Spagna,
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ed erano anche sospettati di mantenere rapporti con i coloni inglesi da poco stabilitisi in Virginia. Altri commerci illegali erano mantenuti con gli indiani della Florida meridionale, nelle cui terre era possibile trovare l’ambra, e che spesso entravano in possesso di oro o merci pregiate, recuperate dai naufragi; anche questi traffici riducevano le risorse con cui la colonia poteva ottenere il sostegno dei capi degli indiani delle missioni. In questa situazione già tesa nell’aprile del 1656 giunse da Cuba l’allarme per un possibile attacco in forze da parte degli Inglesi, e con esso l’ordine di preparare la difesa di San Augustin; Diego de Rebolledo a quel punto, piuttosto che convocare i capi chiedendo il loro aiuto, magari offrendo anche qualche regalo, diramò l’ordine a tutte le tribù dell’interno di inviare a San Augustin contingenti di uomini, che avrebbero dovuto portare con se il cibo con cui sostenersi. L’ordine coinvolgeva anche i capi e i dignitari delle tribù, che insieme ai loro guerrieri avrebbero dovuto lasciare le case e i campi, per combattere una guerra di cui nulla sapevano, e senza che nemmeno fosse garantito loro il cibo; i capi tribali non erano più alleati di cui ottenere i favori, ma semplici funzionari subalterni, con il compito di imporre alla loro gente le decisioni degli Spagnoli. Di fronte ad un comportamento che minava esplicitamente l’autorità dei capi, ridotti alla totale subalternità nei confronti dell’autorità spagnola, il principale capo dei Timucua Lucas Menendez, decise di reagire e non sottostare alle richieste del governatore; anni prima Lucas Menendez aveva collaborato con gli Spagnoli per domare la rivolta degli Appalachee, aveva preso il nome del precedente governatore, in virtù della loro amicizia, e nel diverso atteggiamento di Diego de Rebolledo, egli vedeva una chiara offesa al suo status. Comunque non si trattava ancora di una guerra, dato che Lucas Menendez inviò una lettera al governatore facendo le sue rimostranze, nella quale peraltro si diceva chiaramente che l’atto di ribellione non era nei confronti del re di Spagna, al quale si confermava fedeltà, ma ai suoi rappresentanti locali. La lettera non ebbe alcuna risposta, ma già poco dopo il suo invio la rivolta era cominciata con l’uccisione di due soldati e di un indiano del Messico al servizio degli Spagnoli, e in breve si era estesa alle principali tribù Timucuan dell’interno, i Potano e gli Yustaga. La rivolta dei Timucuan comunque non fu atto particolarmente cruento, e le ostilità furono limitate: oltre ai due soldati e al servo indiano, altri tre Spagnoli e uno schiavo africano furono uccisi nell’assalto al rancho di Alachua, guidato dallo stesso Lucas Menendez, che però risparmiò il proprietario, nipote dell’ex governatore suo amico. I pochi attacchi portati dai Timucuan non erano solo dovuti al ridotto numero di coloni in Florida, ma anche alle scelte di Lucas Menendez e degli altri capi, che a differenza di quanto era accaduto con la rivolta di Juanillo tra i Guale, decisero di non colpire i missionari, anche se molti di loro di fronte alla crescente ostilità drgli indiani, preferirono fuggire. Di fatto i capi delle tribù ribelli, non miravano a cacciare gli Spagnoli, ma soltanto a ristabilire un parziale equilibrio nei rapporti di potere tra loro e le autorità civili e militari, perché senza tale equilibrio, anche la loro autorità nelle comunità indiane veniva meno. Dopo i primi atti di ostilità, Lucas Menendez e gli altri ribelli si ritirarono nella località Santa Elena de Machava, al confine con il territorio degli Appalachee fortificandosi e preparandosi all’inevitabile rappresaglia spagnola; tentativi di coinvolgere anche i Guale e gli Appalachee furono fatti, ma queste tribù non si unirono ai rivoltosi, ma anzi fornirono Le principali missioni in Florida, dopo la rivolta dei Timucua
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guerrieri agli Spagnoli, che nel settembre dello stesso anno giunsero a Santa Elena de Machava, con 60 soldati e svariate centinaia di indiani alleati, Guale, Appalachee e di altre tribù Timucuan della costa: di fronte a tale forza i Timucua si arresero e la rivolta fu sedata senza ulteriori battaglie. Lucas Menendez e altri undici capi e guerrieri furono impiccati, molti altri costretti ai lavori forzati, mentre gli Spagnoli ridefinivano le leadership tribali, ponendo ai vertici i capi che avevano collaborato. Di fatto la rivolta dei Timunuan, una volta sedata offri alle autorità spagnole l’occasione di riorganizzare tutto il sistema delle missioni, eliminando ogni residua autonomia delle comunità indiane e ponendo gli indiani sotto un controllo ben più rigido di quello esercitato dai missionari; tra l’altro gli stessi missionari erano stati sospettati, senza alcuna prova, di aver sostenuto, se non addirittura fomentato gli indiani. Dopo la rivolta del 1656 un gran numero di indiani furono obbligati ad abbandonare i loro villaggi, e a riunirsi presso le nuove missioni stabilite lungo l’asse viario che collegava San Augustin a San Luis de Talimali. Qui gli indiani non solo potevano essere meglio controllati, ma essere usati come messaggeri e portatori per garantire gli scambi tra i due insediamenti, e le stesse missioni divenivano basi e tappe per i convogli che si spostavano lungo la strada tra San Augustin e San Luis de Talimali. Con la nuova riorganizzazione ogni residua autonomia dei Timucuan veniva meno, e per le tribù dell’interno il declino già in corso subiva un’accelerazione; a quell’epoca le tribù della costa, i Saturiwa, i Tacatacuru, gli Yui, gli Utina, da quasi un secolo a contatto con gli Spagnoli e sotto il loro diretto controllo, erano già estinte come autonome entità, e gli ultimi superstiti erano raccolti nelle missioni, alla completa mercè dei loro dominatori; le altre tribù Timucuan, riunite nelle missioni secondo i criteri delle autorità spagnole, si fusero in una entità indistinta, perdendo in breve oltre all’autonomia, l’identità tribale: tra la metà del ‘600 all’inizio del ‘700, ciò che restava delle tante tribù Timucuan si estingueva e scompariva dalla storia. Gli Spagnoli avevano finalmente ottenuto il pieno controllo della Florida settentrionale, ma pagavano un prezzo durissimo, dato che il costante calo della popolazione indiana, non sostituita dall’arrivo di coloni dalla Spagna, riduceva le risorse della colonia, sempre a corto di forza lavoro; più a sud la Florida rimaneva una terra ancora indipendente, in cui gli indiani potevano ancora vivere liberamente. Questa era la situazione alla metà del ‘600, ma di li a poco, tanto la colonia spagnola, quanto gli indiani che vivevano liberamente più a sud, avrebbero dovuto confrontarsi con una vera e propria catastrofe, che nel giro di pochi decenni avrebbe portato all’estinzione degli originari abitanti della Florida, e messo a rischio lo stesso potere della Spagna: più a nord, nella lontana Virginia, altri Europei, gli Inglesi, erano riusciti a stanziarsi sul continente, e il loro arrivo imporrà una potente accelerazione e drammatizzazione nella vicenda dei nativi del Nord America.
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VIRGINIA: LA PRIMA COLONIA Gli indiani della Virginia e l’Inghilterra Molto più a nord della colonia spagnola della Florida, oltre le tribù Muskogean e Siouan che avevano
incontrato Hernando de Soto e Juan Pardo, intorno alla vasta baia di Chesapeake, in quello che oggi è lo stato della Virginia, vivevano popoli di lingua e cultura diversa, che non conoscevano le complesse stratificazioni sociali dei Popoli del Mississipi, non elevavano grandi tumuli su cui edificare templi, non avevano una struttura gerarchica e non costituivano entità politiche centralizzate e grandi centri cerimoniali. Si trattava di un gran numero di piccole tribù di lingua Algonquian, probabilmente giunte in tempi recenti da nord, forse solo da alcuni secoli, che si erano progressivamente spostate a sud lungo la costa Atlantica, fino a raggiungere la Virginia e le zone limitrofe della North Carolina; nel corso della loro migrazione avevano acquisito l’agricoltura, ma il loro modello di sussistenza dipendeva ancora in misura significativa dalla caccia, dalla pesca, dalla raccolta di molluschi e dall’utilizzo delle risorse vegetali che offrivano le foreste; dalle scarse testimonianze, pare che una minore propensione all’agricoltura, caratterizzasse le tribù più meridionali, che avevano raggiunto le coste e le isole del North Carolina. La loro organizzazione sociale era semplice, basata su una vasta rete di piccole comunità, ognuna di poche centinaia di individui, legati da rapporti di parentela, dall’appartenenza al clan, con una linea ereditaria matrilineare che dava alle donne una significativa importanza. Le diverse comunità condividevano credenze, lingua, abitudini e rapporti di parentela, e costituivano labili entità politiche, ma spesso erano fra loro in conflitto, anche se erano in grado di agire in modo unitario in presenza di leadership di grande autorevolezza personale o di fronte ad un comune nemico. Loro nemiche erano le tribù Siouan dell’interno, che abitavano le fertili regione del Piedmont e che avevano dovuto cedere loro le aree costiere, meno produttive dal punto di vista agricolo, ma che offrivano le ricche risorse del mare. Dalla seconda metà del ‘500, anche queste tribù avevano avuto occasionali e sporadici contatti con i bianchi, singoli navigatori e mercanti di schiavi, ed erano stati anche oggetto di un progetto missionario spagnolo, finito tragicamente con il massacro dei missionari di Ajacan, e la successiva spedizione di rappresaglia di Pedro Menendez de Avila. Sicuramente questi indiani avevano avuto informazioni sugli Europei dai loro vicini meridionali, e quasi certamente sia tali informazioni, che le sporadiche e negative esperienze fatte da loro stessi, dovevano averli messi sull’avviso, rispetto al pericolo rappresentato dai nuovi arrivati; certamente l’interesse e la curiosità per gli oggetti di metallo era presente anche fra di loro, ma alla luce delle vicende successive, in alcun modo tale interesse giungeva al punto di accogliere l’uomo bianco come un semidio a cui prostrarsi rispettosi e intimoriti. Al tempo in cui l’uomo bianco sarebbe comparso sulle loro terre, queste sparse piccole comunità si stavano unificando sotto la guida
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di un grande capo, Waunnosocook, che con la diplomazia e con la forza, stava costituendo una grande entità politica, nota più tardi con il nome di Confederazione Powhatan, e i cui progetti non prevedevano la sottomissione a nessuno straniero, quali che fossero le meraviglie che portava con se. D’altra parte Waunnosocook e il suo popolo non si sarebbero misurati con armate di guerrieri guidate da ambiziosi e audaci conquistadores, ma con piccole comunità di coloni che giungevano al Nuovo Mondo egualmente pieni di speranza e incoscienza, e che ancor prima che cercare di conquistare e sottomettere gli indiani, dovevano evitare di morire di fame, di malattie e di stenti, in una terra a loro ignota e nel confronto con una natura che spesso si mostrava ostile. Questi uomini, che più che oro e ricchezze spesso cercavano solo una terra in cui poter vivere una vita meno misera di quella condotta fino ad allora, giungevano da una nazione in cui le forze della storia s’erano messe in moto in modo drammatico, ponendo le basi per la fine di quel sistema feudale, che nel resto dell’Europa ancora sembrava destinato a durare. L’Inghilterra che in Virginia avrebbe in quegli anni posto il seme del suo dominio del Nord America, contrastato per un secolo e mezzo dalle altre potenze coloniali, Francia e Spagna, e quindi pienamente affermato in tutto il continente, fin quando i suoi stessi figli non si sarebbero ribellati per dare inizio alla storia dei moderni Stati Uniti, era a quel tempo una nazione dinamica e in piena rinascita, ma che aveva scontato una lunga e profonda crisi, che per lungo tempo l’aveva messa ai margini nel confronto tra le potenze europee. Al tempo in cui Cristoforo Colombo piantava la croce e il vessillo del re di Spagna oltre i confini del mondo conosciuto, l’Inghilterra solo da pochi anni era uscita da una crisi profonda durata quasi 130 anni, dalla metà del XIV secolo, fin quasi alla fine del XV secolo: prima la Guerra dei Cento Anni, in cui immense ricchezze erano state dilapidate per difendere le pretese dinastiche dei re d’Inghilterra sulla Francia e quindi sul continente europeo, in un epoca in cui peraltro tutta l’Europa era stata squassata dalla crisi demografica e sociale prodotta dalle epidemie di peste nera; poi dopo la sconfitta nella Guerra dei Cento Anni e il ridimensionarsi delle ambizioni inglesi in Europa, il bellicismo delle aristocrazia feudali, potenziato e esaltato da un secolo di guerre, s’era scatenato in una trentennale guerra civile, la Guerra delle Due Rose, tra York e Lancaster, da cui l’intera aristocrazia feudale era uscita indebolita e impoverita, e soprattutto priva di prestigio e autorevolezza politica. Alla fine di questo ciclo di violenza e immiserimento, un nobile di basso rango era salito sul trono nel 1487 e con il nome di Enrico VII, aveva dato inizio alla dinastia dei Tudor, imponendosi sulle aristocrazie feudali ormai esauste, e aprendo un ciclo nuovo nelle ambizione di potenza inglese; tra i suoi primi atti non ci fu quello di inviare eserciti sul continente europeo, ma quello di aprire cantieri navali, e il sostegno ai viaggi esplorativi di Giovanni Caboto. Da allora la gabbia di un sistema feudale ormai in crisi, non potè più imbrigliare le energie di uomini di ogni provenienza sociale, dalla piccola aristocrazia alla nascente borghesia, fino ai livelli più bassi della società, che in tutti gli ambiti della vita sociale, politica ed economica, si misuravano con spregiudicatezza e determinazione, con le opportunità di un modello sociale in cui più che la nobiltà di sangue, erano la proprietà e la ricchezza a definire il rango di ognuno: e non ci si faceva scrupoli su come ricchezza e proprietà erano ottenute. E questa società in cui si ponevano le basi della prima rivoluzione borghese della storia, ebbe nel mare la sua prima opportunità di sperimentarsi, e il mare sarà per l’Inghilterra la via per affermarsi anche come potenza europea. Le ambizioni di potenza dominatrice del mare dell’Inghilterra, non nascono però con grandi progetti di conquista, e dopo i fallimenti di Caboto e altri nella ricerca di una via settentrionale al Catai, il Passaggio a Nord-Ovest, non ci furono ulteriori tentativi di esplorazione, anche perché l’attività della marineria inglese, in larga misura frutto dell’iniziativa di privati, sostenuti dalle politiche della corona d’Inghilterra, ma indipendenti, trovò nella pira- Il corsaro Francis Drake nominato cavaliere al ritprno del suo viaggio di circumnateria e nell’attività corsara un vigazio, carico di bottino razziato alle navi e alle città spagnole in America
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campo d’applicazione ben più remunerativo che non l’esplorazione di terre ignote. Nella seconda metà del ‘500 l’attività di corsari come Hawkins e Drake, che predavano le ricche colonie e i convogli di navi spagnole, portò immense ricchezze all’Inghilterra della regina Elisabetta I Tudor, che di questi avventurieri fece i suoi più preziosi strumenti di politica estera. Tra l’altro Francis Drake fu il secondo navigatore a completare la circumnavigazione della terra, compiendo l’impresa in modo meno drammatico, di quanto era accaduto, quasi mezzo secolo prima a Magellano, morto durante il viaggio. Verso la fine del ‘500 il dominio spagnolo del mondo era ormai conteso da una piccolo paese, un isola al margine d’Europa, che però era in grado di raggiungere con le sue navi ogni luogo in cui vi era ricchezza; ma le tolde di un’intera flotta non potevano bastare ad una nazione che cresceva velocemente dopo una lunga e drammatica crisi: c’era bisogno di terra, e la terra c’era, si doveva solo andarla a prendere. Gli indiani ovviamente, non erano considerati.
Roanoke, la colonia perduta
Era almeno dai primi decenni del ‘500 che le navi inglesi frequentavano le coste di Terranova, dove si fermavano per la stagione di pesca, ed in particolare la località di Saint John, probabilmente visitata già da Giovanni Caboto, era divenuto una sorta di insediamento semipermanente. Fu così che questa località nel 1583 divenne la prima rivendicazione territoriale inglese in Nord America, quando vi giunse il navigatore Humprey Gilbert, che con l’autorizzazione dalla regina Elisabetta I, aveva organizzato una flotta di cinque navi e una ciurma composta da pirati e malfattori, per cercare il Passaggio a Nord-Ovest e stabilire una colonia nel Nuovo Mondo. Malgrado le accuse di pirateria ad un suo comandante, avanzate dal responsabile della stazione di pesca (di nazionalità inglese), Gilbert, forte dell’autorizzazione reale, prese formalmente possesso di Terranova, stabilì tasse per la pesca, poi dopo poche settimane, a corto di viveri, decise di tornare in Inghilterra senza nemmeno tentare di fondare un insediamento stabile: morirà nel viaggio di ritorno, e le pretese inglesi su Terranova, saranno affermate solo dopo duri conflitti con la Francia, nella prima metà del ‘700. Comunque la partita era ormai aperta e la necessità di estendere l’influenza inglese, oltre che sui mari, anche sulle terre recentemente scoperte, divenne un tema d’interesse per i nuovi protagonisti dello sviluppo economico inglese, quegli avventurieri che tante ricchezze avevano ottenuto predando e trafficando sui mari. I diritti ottenuti da Gilbert sul Nuovo Mondo, passarono così al suo fratellastro, Walter Raleigh, favorito della regina Elisabetta, e il nuovo incarico specificava che la colonia sarebbe dovuta servire anche come base per le navi corsare inviate contro i ricchi convogli navali spagnoli. Fu così che quando nel 1584 Raleigh inviò due suoi uomini, Philip Amadas e Arthur Barlowe con due navi ad esplorare le coste del Nord America, per individuare un luogo adatto a stabilire una colonia, essi fecero rotta molto più a sud, rispetto a Terranova, in una zona non lontana dalle colonie spagnole. Partiti in aprile, Barlowe e Amadas raggiunsero le coste del North Carolina, addentrandosi tra le isole di Albemarle Sound, e li si incontrarono con gli indiani locali, tra i quali il figlio del capo Vingina, Granganimeo. Gli indiani furono gentili e accoglienti e li accompagnarono al loro villaggio, e due di loro accettarono anche di ripartire con gli Inglesi, per far ritorno l’anno dopo come guide per i coloni che sarebbero venuti. Gli indiani incontrati da Barlowe e Amadas erano Secotan, una tribù di lingua Algonquian, che occupava le coste e le isole tra Albemarle Sound e Pamlico Sound, ed era divisa in piccoli sottogruppi, i Roanoke, i Croatan e i Secotan veri e propri; prima della metà del ‘600, il nome Secotan scompare dalla storia, e i discendenti ella tribù saranno noti come Machapunga. Al villaggio gli Inglesi incontrarono il capo Vingina, ferito ad una gamba in uno scontro con i rivali Neusiok, che cercò di indurli ad aiutarlo in una spedizione di guerra. Barlowe e Amadas fecero ritorno in Inghilterra con un dettagliato rapporto sulla ricchezza e la bellezza della natura, sugli usi degli indiani e portando con se guide esperte e interpreti affidabili, ponendo così le basi per un tentativo di colonizzazione che nasceva sotto i migliori auspici. Sulla base di tali informazioni nell’aprile dell’anno successivo Raleigh inviò cinque navi e oltre un centinaio di coloni a stabilirsi nella nuova terra, sotto la guida di Richard Greenville, lontano cugino di Raleigh, e di Ralph Lane, come suo vice; con loro c’erano i due indiani, Manteo e Wanchese, venuti in Europa con Barlowe e Amadas, e ora impiegati come guide e interpreti. Malgrado le buone premesse poste dal precedente viaggio, una volta giunti a destinazione gli Inglesi riuscirono a rendere tutto difficile; al primo incontro con gli indiani, presso il villaggio Secotan di Aquascogoc, gli Inglesi non trovarono ostilità, ma comunque una certa freddezza, a cui però risposero nel peggiore dei modi: ritornati
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sulle navi dopo il primo colloquio, scoprirono che una coppa d’argento mancava all’appello, e incolpati del furto gli indiani, saccheggiarono e bruciarono il loro villaggio. Con questa premessa e con scarse provviste, 107 coloni guidati da Raph Lane, si stabilirono sulla parte settentrionale dell’isola di Roanoke, nell’attuale contea di Dale, North Carolina, mentre Greenville e le navi ripartivano per l’Inghilterra, per portare l’anno successivo altri coloni e i rifornimenti necessari. Iniziava così nell’agosto del 1585 la vicenda della prima colonia inglese in America. La colonia sopravvisse a fatica al primo inverno, a Ft.Raleign il piccolo villaggio fortificato che era stato costruito sull’isola, in attesa dell’arrivo dei rifornimenti promessi da Greenville, ma la primavera passò senza nessuna vela all’orizzonte; poi nel mese di giugno, gli indiani attaccarono il villaggio e gli Inglesi a fatica riuscirono a respingerli. Per i coloni già allo stremo, l’ostilità degli indiani fu la goccia che fece traboccare il vaso, e quando poco tempo dopo Francis Drake, di ritorno da un raid ai Caraibi, fece tappa alla colonia e offrì di riportare in patria chi lo desiderava, l’isola di Roanoke fu abbandonata. Con loro ripartiva anche Manteo, una delle due guide indiane, che era stato ricevuto a corte, aveva imparato l’inglese e di li a poco si farà cristiano, rimanendo sempre amico dei bianchi; il suo compagno Wanchese, che s’era sempre mostrato diffidente, tornò tra la sua gente, divenendo poi nemico degli Inglesi. Le navi di Drake erano da poco partite, quando finalmente Greenville giunse con i rifornimenti e altri coloni, trovando il luogo deserto; decise così di ripartire immediatamente dopo aver lasciato solo 15 Due acquarelli del pittore John White che documentano uomini a presidiare Ft.Roanoke e a garantire le pregli usi degli indiani della Carolina tese di Raleigh e dell’Inghilterra. L’anno successivo nel 1587, Raleigh decise di puntare un poco più a nord, per ristabilire la colonia nella baia di Chesapeake, in Virginia, dopo aver raccolto gli uomini lasciati in presidio a Ft.Raleigh, e affidò la guida della colonia e il titolo di “governatore” a un suo amico, il pittore John White, che aveva già preso parte al precedente tentativo; anche questa volta partivano oltre un centinaio di coloni, tra cui anche diverse donne e bambini. Partiti come al solito in aprile, all’inizio dell’estate i coloni erano a Roanoke, dove ebbero la sgradita sorpresa di trovare il forte deserto, senza traccia dei soldati, a parte il macabro ritrovamento di uno scheletro abbandonato. Non è chiaro chi siano stati i responsabili del massacro della piccola guarnigione, se i Secotan che vivevano nei dintorni, come dissero alcuni indiani amici tempo dopo, o se invece siano stati nemici degli stessi Secotan, come parrebbe dal racconto di più di vent’anni dopo del capo dei Powhatan Waunnosocook. Al tempo in cui gli Inglesi erano a Roanoke, Waunnosocook stava raccogliendo sotto la sua leadership gran parte delle tribù che vivevano più a nord, in Virginia, e spesso conduceva attacchi contro le comunità che si rifiutavano di far
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parte della confederazione che stava costruendo; lui stesso narrò di un attacco alla tribù dei Chesapeake, che vivevano a sud, non lontano dal territorio dei Secotan, durante il quale erano stati uccisi molti bianchi, alleati della tribù che combatteva. Il forte abbandonato a cui solo uno scheletro faceva da sentinella, ebbe certo un pessimo effetto sui coloni, ma ancor peggiore fu la decisione del pilota al comando delle navi, che invece di ripartire per la baia di Chesapeake, lasciando quel luogo sventurato, decise di sbarcare i coloni e ritornare in Inghilterra; non è ancora stato chiarito quali fossero le ragioni di questa decisione, e se essa fosse stata concordata con lo stesso Raleigh, ma certo per quel centinaio di coloni, privi d’esperienza, in una terra ignota e abitata da genti ostili, lo sconcerto e la preoccupazione dovevano essere forti. John White comunque era un uomo di buonsenso, con una qualche esperienza di quella terra, che aveva cercato di conoscere e documentare già l’anno prima come pittore, insieme ad un altro membro della spedizione, il naturalista Thomas Harriot. Il primo impegno di White fu quello di riaprire relazioni La colonia di Roanoke e le tribù della regione cordiali con gli indiani vicini, i Croatan dell’isola di Hatteras, un sottogruppo dei Secotan di cui dopo questa vicenda non si hanno più notizie; i suoi sforzi ebbero successo, garantendo agli Inglesi almeno di non subire attacchi. Comunque non tutti gli indiani si mostrarono disponibili, e i Secotan di Aquascogoc si rifiutarono anche di incontrare gli Inglesi; la situazione era precaria e un uomo fu comunque assassinato dagli indiani, mentre pescava gamberi lungo la costa. Forse anche in conseguenza di questo assassinio l’8 di agosto del 1587, White decise di guidare un attacco al villaggio di Dasamongueponke, abitato dai Roanoke, i cui guerrieri, secondo i Croatan, insieme ai Secotan di Aguacosdoc, erano i responsabili del massacro della guarnigione di quindici uomini l’anno precedente: nell’attacco al villaggio un indiano fu ucciso e molti altri feriti, ma l’unico risultato ottenuto fu quello di trasformare in nemici, una vicina comunità che fino a quel momento non s’era mostrata ostile; successivamente lo stesso White, riporterà nel suo diario di essere stato ingannato dagli indiani loro amici. Senza la pace con gli indiani, la colonia rischiava la morte per fame, dato che le provviste si riducevano velocemente, mentre data la stagione non era stato possibile nemmeno seminare qualche orto; solo grazie alle loro merci e ai loro manufatti, gli inglesi potevano fare qualche scambio, ottenendo un po’ di mais e di selvaggina; ma le condizioni per tali commerci si erano ormai deteriorate e solo il timore delle armi da fuoco tratteneva gli indiani dal distruggere definitivamente la colonia, così come avevano fatto con la piccola guarnigione. Prima della fine del 1587 fu deciso che John White doveva tornare in Inghilterra per chiedere aiuti e rifornimenti, affrontando un viaggio difficile in una stagione non propizia per la navigazione; White lasciò a Roanoke 117 coloni, una novantina di uomini e i restanti donne e bambini, più la sua nipote appena nata, Viginia Dale, la prima Inglese a nascere in Nord America. White non rivide più sua nipote e sua figlia: giunto in Inghilterra all’inizio della guerra contro la Spagna e la sua flotta, la “Invincible Armada”, trovò che tutte le energie navali erano impegnate, e nessuno era disposto a curarsi dei coloni abbandonati ai confini del mondo. Solo nell’aprile del 1588 White riuscì a trovare due navi non utilizzabili per la guerra, con cui raggiungere l’ America; durante il viaggio comunque i capitani ritennero di integrare il loro ingaggio, dedicandosi alla “guerra di corsa” contro le navi spagnole, attività molto più remunerativa del soccorso ai coloni; dopo molti ritardi, alla fine furono i pirati francesi a porre fine alla spedizione, attaccando le navi corsare inglesi e obbligandole a tornare indietro. Finalmente nel 1590 una spedizione diretta ai Caraibi per fare bottino, accettò di accompagnare White a Roanoke sulla via del ritorno; nell’agosto del 1590, quasi tre anni dopo la sua partenza, White fece ritorno alla colonia, trovandola deserta: ne cadaveri, ne segni di violenza, le case svuotate come
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fossero state abbandonate volontariamente, e come unica traccia la parola “Crotan” incisa sulla recinzione del villaggio, e le prime lettere della stessa parola, incise su un albero. La speranza di White di poter visitare gli indiani Croatan sulla vicina isola di Hatteras, per ottenere notizie, fu frustrata dall’arrivo di una burrasca, che indusse il capitano della nave a ripartire immediatamente. White non fece più ritorno in America e morì tre anni dopo, con la speranza che sua figlia e sua nipote fossero ancora vive, lontano, al di la dell’oceano, forse accolte da indiani amici. Walter Raleigh aveva collaborato con White per tentare di organizzare le spedizioni di soccorso, ma non si recò mai personalmente nella colonia e solo nel 1602 inviò Samuel Mace, per trovare almeno cinque superstiti, che gli garantissero il rinnovo della concessione ormai in scadenza. Mace comunque durante il viaggio pensò bene di dedicarsi a fare rifornimento di radici di sassofrasso, usate per un costoso olio essenziale, e così giunse a Roanoke a stagione avanzata, quando era già tempo di fare ritorno; durante il viaggio visitò la Chasapeake Bay, dove ebbe uno scontro con i Rapahannock, uccidendo un capo e portando via cinque uomini. L’anno successivo Raleigh, persi i favori della regina Elibetta, finì in galera e ovviamente ebbe altro a cui pensare. L’ultimo tentativo di avere notizie della colonia di Roanoke fu fatto nel 1603 dal navigatore Bartholomew Gilbert, che l’anno prima aveva visitato le coste del New England; la sua ricerca fu di breve durata perchè appena Capo dei Secotan, ritratto da John White giunto a terra, nelle vicinanze di Roanoke, venne ucciso dagli indiani insieme a quattro membri del suo equipaggio, mentre tentava di indurli a dargli le informazioni che cercava. Da quel tempo la colonia di Roanoke è divenuta la colonia perduta, e su ciò che accadde ai suoi membri il mistero non è mai stato totalmente svelato. L’ipotesi più accreditata sul destino della “colonia perduta” è che gli Inglesi ridotti alla fame e con il timore di indiani ostili, abbiano cercato e ottenuto ospitalità in qualche villaggio indiano amico, tra i Croatan dell’isola di Hatteras o forse presso qualche tribù dell’interno; nei decenni successivi, quando gli Inglesi si erano saldamente insediati in Virginia, diverse testimonianze furono riportate di indiani con gli occhi chiari in diverse tribù del North Carolina, ma nessuno può dire con certezza presso quale tribù gli uomini e le donne di Roanoke si siano trasferiti. Ancora più difficile immaginare quale sia stato il loro destino tra gli indiani e quale l’impatto della loro presenza, oltre un centinaio di persone, tra gli indiani stessi; la speranza di un loro pacifico inserimento nelle comunità d’accoglienza, si scontra con la realtà di un confronto tra due culture lontane, diverse e spesso inconciliabili, e l’ipotesi più probabile è che le tensioni siano esplose e che nel giro di breve tempo molti di loro possano essere stati uccisi, dagli stessi che li avevano accolti. Non va poi dimenticato che abitualmente il contatto con gli Europei, causava malattie fra gli indiani, malattie di cui ovviamente gli indiani incolpavano i bianchi. La vicenda di questi uomini e queste donne, portati ai limiti del mondo conosciuto, abbandonati e quindi obbligati a vivere tra genti sconosciute e diverse, rimane ignota nel suo esito finale. Quasi certamente comunque questa vicenda ebbe conseguenze gravi per gli indiani della regione; è un fatto che nei decenni successivi, i coloni della Virginia, poterono estendere senza significativi conflitti i loro insediamenti nelle regioni costiere del North Carolina, dove probabilmente la popolazione aveva subito un calo demografico. Dopo questa vicenda non si hanno più notizie dei Croatan, dei Roanoke, dei Neusiok, dei Moratuc, tutte tribù citate ai tempi della colonia di Roanoke o delle spedizioni di soccorso; i Weapemock, che alla fine del ‘500 erano conosciuti come la più potente e numerosa tribù di Albemarle Sound, cinquanta anni dopo vedranno i loro territori occupati dai coloni, senza quasi opporsi. E’ molto probabile che l’impatto con i bianchi abbia prodotto malattie e calo demografico, rimescolando le comunità, facendone scomparire alcune e obbligando altre a unirsi; prima della metà del ‘600 si fa
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ancora menzione dei Secotan, poi anche questo nome scompare, sostituito da quello di Machapungas, riferito alle poche centinaia di abitanti di un solo villaggio nei pressi del lago Mattamusket. D’altra parte il triste destino della colonia di Roanoke aveva reso evidente agli indiani che gli uomini venuti dal mare, con i loro archibugi, gli utensili e le armi di metallo, non solo non erano invincibili, ma dipendevano di fatto per la loro sopravvivenza dagli indiani. E’ molto probabile che notizie del destino dei coloni di Roanoke, siano giunte più a nord, fino al capo Waunnosocook, che in quegli anni si affermava tra le tribù della Virginia e si apprestava a costruire la potente Confederazione Powhatan; se così fosse, ciò spiegherebbe la politica di questo capo, quando altri coloni giunsero nelle sue terre: fare dei nuovi venuti uno strumento del proprio potere, controllandoli e ottenendo da loro tutto ciò che poteva tornare utile alla sua gente. Purtroppo le cose erano più complicate di quanto Waunnosocook potesse immaginare.
Il modello inglese: la colonizzazione come “impresa privata”
Al di la dei tanti misteri, la vicenda della colonia di Roanoke, ci illumina invece su un approccio completamente diverso nei tentativi di colonizzazione del Nuovo Mondo, rispetto a quanto fino ad allora fatto dagli Spagnoli. Non si tratta in questo caso di una iniziativa condotta da un singolo avventuriero, ma nel quadro di un apparato burocratico, militare e religioso, vincolato e dipendente da centri di potere statali, come fino ad allora avevano fatto gli Spagnoli, ma di una vera e propria impresa privata, che si muove nel solco della politica estera inglese, ma agisce in relativa autonomia, assumendo su di se rischi e profitti dell’impresa. I coloni inviati da Raleigh non erano funzionari, soldati e missionari inviati da uno stato per conquistare e governare una terra, ma piuttosto i “dipendenti” di una compagnia privata, che investiva le sue risorse nelle spese per il viaggio e nei primi rifornimenti, contando sui profitti che il lavoro dei coloni avrebbe successivamente prodotto, attraverso lo scambio tra le merci della colonia (prodotti agricoli, pelli, materie prime ecc…), e i manufatti di cui la stessa colonia necessitava, acquistati ai prezzi stabiliti dalla compagnia in regime di monopolio. Negli anni successivi le compagnie private che investivano sulla colonizzazione in America, useranno la pratica di rientrare delle spese di viaggio dei coloni che non erano in grado di pagare, imponendo che per un certo numero di anni, ogni settimana uno o più giornate lavorative del colono, fossero destinate al risarcimento del costo del viaggio. I coloni erano poi soggetti alle leggi imposte dalla compagnia, potevano subire punizioni, fino alla condanna a morte, e la loro corrispondenza era soggetta a censura: solo quando la compagnia aveva realizzato i suoi profitti, il colono poteva riprendersi la sua libertà, ma nel frattempo in tanti avevano già pagato con la vita la loro speranza in un futuro migliore. La colonizzazione divenne così un affare, in cui le politiche egemoniche della monarchia inglese, si coniugavano agli interessi delle compagnie commerciali private, utilizzando le aspettative di futuro e miglioramento sociale di parti della popolazione più povera o comunque fiduciosa in un futuro di maggior benessere: con una tale attivazione di energie, il processo di colonizzazione assunse in breve tempo un’accelerazione molto maggiore, rispetto a quanto accadeva nei possedimenti spagnoli, dove in ultima analisi, la burocrazia statale e la chiesa, erano gli unici protagonisti del processo. Il governo spagnolo giungeva ad esercitare un forte controllo sulla possibilità di potersi recare nel Nuovo Mondo, ponendo limiti ai dissidenti politici e religiosi, agli stranieri e a quanti non fossero considerati pienamente fedeli alle autorità; al contrario nel modello coloniale inglese, nessun limite era posto ai dissidenti religiosi e già nel 1608 tra i coloni giunti in Virginia, vi erano emigranti di nazionalità tedesca e polacca. Rispetto al modello di colonizzazione spagnolo, quello in- Un opuscolo “pubblicitario” che promuove glese si fonda sulla centralità della figura del colono, colui la colonizzazione della Virginia
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che per primo si spinge oltre i margini del mondo noto, alla ricerca di un futuro migliore, spesso inesperto o addirittura inadeguato; avanguardia e strumento di un sistema economico che lo sovrasta, è lui il primo a pagare i “rischi” di una impresa, di cui altri otterranno i “profitti”. Se la natura ostile o la violenta reazione degli indiani non avranno il sopravvento, il suo premio sarà la terra, la proprietà agognata, e con essa la libertà, quella libertà che è il fine del grande mito democratico americano, la “Frontiera”, il luogo in cui ogni individuo può far valere se stesso, senza vincoli e limitazioni. Corollario di questo ideale, è il sogno di una democrazia dei piccoli proprietari, che ancora all’inizio dell’800 sembrava la peculiarità dei neonati Stati Uniti d’America. E’ questa novità del modello di colonizzazione che non solo permette agli Inglesi di affermarsi in Nord America, contro i competitori spagnoli e francesi, ma che pone le radici della cultura e dell’ideologia individualista americana dei secoli successivi. A Roanoke si sperimentò per la prima volta un modello, che malgrado l’insuccesso, sarà poi la regola nei secoli successivi: spingere verso l’ignoto chi meno ha da perdere. Per i successivi tre secoli, le forze del capitalismo, prima europeo, poi americano, ebbero un esercito volontario di diseredati, di sradicati, di idealisti, di innovatori, che aprirono le terre vergini al loro sfruttamento e si batterono contro gli indiani: questi erano i “pionieri”. Man mano che il loro lavoro produceva risultati, e le terre selvagge venivano colonizzate e gli indiani scacciati, i grandi interessi economici che operavano nelle retrovie della Frontiera, si manifestavano, prendevano il sopravvento e il pioniere si trovava alla mercè di quei monopoli, che infatti ancora oggi, nei moderni Stati Uniti, sono il pericolo più temuto dagli Americani. Comprendere la peculiarità della colonizzazione del Nord America, rispetto al colonialismo che l’Europa esercitò in tutto il mondo, è necessario per comprendere l’assoluta peculiarità della vicenda storica degli indiani dell’America del Nord, che non si scontrarono solo con degli invasori, ma con un mondo nuovo che sulle loro terre nasceva, in forme originali anche rispetto alle sue origini europee, assemblando tutte le energie più innovative della vecchia Europa. Il confronto tra l’indiano e il pioniere è veramente un dramma, in cui si scontrano le motivazioni più profonde dell’agire umano: la speranza nel futuro, contro la difesa delle proprie radici; e ognuna delle due parti praticò le sue motivazioni fino alle estreme conseguenze. Comunque dopo il fallimento dell’esperienza di Roanoke, per qualche anno i tentativi inglesi ebbero una battuta d’arresto, dovuta anche alla lunga guerra Anglo-Spagnola protrattasi fin quasi alla fine del ‘500, e poi successivamente per la morte della regina Elisabetta I avvenuta nel 1603. Poco prima della morte della sovrana, nel maggio del 1602 i navigatori Bartholomew Gosnold e Bartholomew Gilbert esplorarono le coste del Massacchusset, da Cape Cod alle Elizabeth Islands e Gosnold diede il nome all’isola di Marta Vineyard (la vigna di Marta), in onore della figlia morta in quei giorni e per la presenza sull’isola di vite selvatica; Gosnold e Gilbert stabilirono poi una stazione commerciale sull’isola di Cuttyhunk, nel territorio degli indiani Wampanoag. Quello di Gosnold e Gilbert fu il primo tentativo di fondare in Nord America una stazione commerciale per ottenere dagli indiani pelli e altri generi che potevano avere valore, ma dopo poche settimane essi dovettero rinunciare, perché a corto di viveri rischiavano di non superare l’inverno. Come già accennato , l’anno successivo Gilbert trovò la morte per mano degli indiani mentre cercava tracce dei coloni di Roanoke, mentre Gosnold continuò in patria a perorare la causa della colonizzazione americana. Finalmente nel 1606 il nuovo re Giacomo I decise di dare nuovo impulso all’espansione in America, affidando a due compagnie private il compito di insediare nuove colonie in Virginia, il nome che all’epoca designava l’intera costa degli attuali Stati Uniti, a nord dei possedimenti spagnoli della Florida. Alle due compagnie, la Plimouth Virginia Company e la London Virginia Company, venivano affidati territori diversi, alla prima la parte settentrionale della costa, dall’attuale Maine, fino a Long Island, alla seconda l’area della Chesapeake Bay, fino a Cape Fear in North Carolina; l’area tra Long Island e Chesapeake Bay era condivisa, ma con l’obbligo di non costruire insediamenti o stazioni commerciali a meno di cento miglia di distanza. Le due compagnie si sarebbero dovuto fare carico Logo della London Virginia Company
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di trovare i coloni disposti a partire, raccogliere i capitali di investitori per garantire le spese di viaggio e i rifornimenti, avendo poi diritto ai profitti della colonia stessa; la colonia sarebbe stata di fatto autogovernata, e in questo principio vengono poste le basi per la successiva costituzione delle colonie americane, soggette alla monarchia, ma con una forte propensione all’autonomia. Delle due compagnie la Plymouth ebbe breve vita e cessò l’attività nel 1609, dopo un tentativo di fondare una colonia nel Maine, ma la seconda, a cui partecipava anche Bartholomew Gosnold, già nella primavera del 1607 era pronta a inviare i suoi uomini in America, nella speranza di trovarvi giacimenti d’oro; l’illusione dell’oro e del facile arricchimento, furono presto abbandonate, e dopo i primi anni di crisi la London Virginia Company iniziò a realizzare i propri profitti attraverso l’importazione del tabacco, che era la principale risorsa della colonia; la compagnia continuò ad operare fino al 1624, quando dopo una sanguinosa sollevazione degli indiani della Virginia, essa fu sciolta e la colonia passò sotto il diretto controllo della corona. Con la definitiva fine degli ultimi sogni di facili arricchimenti, con giacimenti di metalli preziosi o leggendari imperi dorati, fu evidente che la possibilità di trarre vantaggio dal nuovo continente, passava per il duro lavoro, e nel giro di pochi anni cambiò radicalmente la figura del colonizzatore: non più nobili, uomini d’arme o avventurieri, in cerca di tesori e prestigio, ma incapaci di usare una vanga, ma uomini e donne pronti a rimboccarsi le maniche pur di avere una speranza per l’avvenire. E l’Inghilterra del ‘600, attraversata da gravi trasformazioni sociali che penalizzavano i settori più poveri della società, sconvolta da decenni di guerra civile, divisa dalle dispute religiose, produceva migliaia di persone pronte a tutto, pur di avere una speranza per l’avvenire.
Jamestown: John Smith e Waunnosocook
Alla fine di aprile del 1607 una piccola flotta di tre navi entrava nella Baia di Chesapeake, una sorta di immenso canale che si stende in direzione nord-nord-ovest dalla costa dell’Atlantico, fino alla foce del fiume Susquehanna, lungo le coste degli attuali stati della Virginia e del Maryland. A bordo delle navi, oltre all’equipaggio, vi erano poco più di un centinaio di coloni inviati dalla London Virginia Company a fondare un insediamento sulle coste americane, con l’obbiettivo di trovarvi giacimenti d’oro o d’altri minerali e metalli preziosi; cosa avesse convinto i membri della Compagnia della possibilità di trovare l’oro, non è chiaro, dato che le terre su cui approdavano erano quasi del tutto ignote e nei pochi viaggi precedenti nessuno aveva portato notizie che potessero avvalorare questa ipotesi. D’altra parte per gran parte dei coloni solo la prospettiva di trovare l’oro e di ottenere un facile arricchimento poteva spingerli verso l’ignoto; in questo primo viaggio infatti, c’erano per lo più esponenti della piccola e piccolissima nobiltà, accompagnati dai loro servitori e da un certo numero di artigiani, tra cui non mancavano proprio gli orafi; quasi o del tutto assenti erano invece gli agricoltori, dato che l’idea di attraversare l’oceano per coltivare campi, non era presa in considerazione. Tra questi uomini vi era Bartholomew Gosnold, che già aveva visitato le coste del Nuovo Mondo pochi anni prima, un esperto corsaro come il capitano Newport, che comandava la flotta, e un soldato come John Smith, che in seguito avrebbe avuto un ruolo determinante. La spedizione non aveva un vero e proprio capo, dato che i coloni eleggevano da soli il proprio governatore, e quindi liti, diffidenze e rivalità tra i tanti gentiluomini, erano cominciate già durante il viaggio, quando lo stesso Smith fu accusato di ammutinamento da Newport, rischiando di finire impiccato; le rivalità e i dissidi interni, continueranno poi negli anni a venire, quando di fronte alle difficoltà dell’impresa, gli animi si sarebbero ulteriormente esacerbati. Dopo il triste epilogo della colonia di Roanoke, l’intenzione era quella di cercare rapporti amichevoli con gli indiani della regione, ma questo indirizzo fu poi più volte abbandonato. Comunque almeno il primo incontro fu pacifico: il 4 maggio del 1607 i coloni entrarono nella foce del fiume James e furono festosamente accolti da Wowinachopunk e dai suoi indiani Paspaheg, una piccola tribù di lingua Algonquian che era parte della Conderazione Powhatan, guidata dal capo Waunnosocook. Nelle vicinanze di questi indiani, su una piccola penisola alla foce del James, i coloni decisero di stabilirsi, costruendo una prima fortificazione cui diedero il nome di Jamestown, in onore del loro re; le loro scorte di cibo erano già ridotte al minimo, ed era anche tardi per seminare dei campi, cosa per la quale i coloni non erano comunque preparati. Gli indiani Paspaheg intanto controllavano discretamente i nuovi venuti, e una notte alla metà di maggio, la presenza di alcune canoe di indiani nelle vicinanze mise sull’allarme gli Inglesi; due giorni dopo, due indiani riccamente vestiti e ornati, vennero ad annunciare l’imminente visita del capo Wowinacho-
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punk, con la quale si sarebbero dovuti formalizzare i rapporti con la comunità dei nuovi venuti. Il 18 maggio 1607, Wowinachopunk, con un seguito di un centinaio di guerrieri, giunse a Jamestown per questo incontro dal cui esito poteva dipendere il futuro della colonia, ma malgrado i discorsi di circostanza e le espressioni di disponibilità, l’incontro si chiuse con una lita furiosa, per la disputa su un’ascia di cui un indiano s’era appropriato. E’ difficile credere che i responsabili della colonia fossero pronti alla guerra con gli indiani per un’ascia, ed è molto più probabile che l’indisciplina di un singolo membro della comunità, sia stata la causa del Jamestown in una mappa dell’epoca dissidio, le cui conseguenze furono però pesanti. Poco più di una settimana dopo, il 26 di maggio, circa 400 guerrieri delle tribù vicine, Paspaheg, Quiyackannock, Weamoc, Appomatoc e Chisckiak, diedero l’assalto a Jamestown; gli Inglesi, meglio armati, con archibugi e qualche piccolo cannone, e al riparo delle fortificazioni, riuscirono a resistere, uccidendo tre indiani e perdendo un solo uomo, ma ebbero diversi feriti. Ma una volta respinto l’attacco il problema non era risolto: fuori dalla fortificazione di Jamestown gli Inglesi erano alla mercè degli indiani, che continuavano a tenerli in assedio, mentre le loro provviste continuavano a scarseggiare. Il conflitto acceso con gli indiani, appena un mese dopo il loro arrivo, avrebbe potuto presto concludere l’esperienza dei coloni di Jamestown, ma alla metà di giugno essi furono salvati dall’intervento del potente capo della Confederazione Powhatan Waunnosocook, a cui le tribù che vivevano intorno a Jamestown erano soggette. Waunosocook mediò infatti una tregua tra i Paspaheg e gli Inglesi, che permise a questi di trascorrere in pace i mesi successivi, ottenendo anche viveri dagli indiani vicini; quasi certamente Waunnosocook aveva avuto informazioni sugli Inglesi, almeno fin dai tempi della colonia di Roanoke e probabilmente egli pensava di poterli controllare, ottenendo da essi quei manufatti in metallo che agli indiani erano ignoti e il cui possesso l’avrebbe potuto rafforzare. A quel tempo egli si era imposto come leader di un’ampia confederazione tribale che raccoglieva gran parte delle tribù della Baia di Chesapeake, ma la sua costruzione politica aveva ancora forti elementi di precarietà, e più di una tribù continuava a rivendicare la propria autonomia, come sarà evidente negli anni successivi. Waunnosocook manteneva il proprio controllo sulle tribù della regione, sia attraverso le vittorie militari con cui si era imposto, sia attraverso relazioni di parentela e accordi matrimoniali con gli altri capi tribali, e già anziano egli forse meditava di stabilizzare la sua posizione attraverso la relazione con i nuovi venuti, da cui poteva ottenere quegli oggetti di metallo, che per gli indiani rappresentavano una vera ricchezza. La tregua per quanto precaria e basata sulla reciproca diffidenza, durò per tutto l’inverno e nel novembre del 1607 lo stesso Wowinachapunk, si presentò a Jamestown per riconsegnare un ragazzo inglese che era stato preso prigioniero. Un incidente si ebbe nel dicembre dello stesso anno, quando John Smith fu catturato mentre esplorava la regione del fiume Chickahominy, cercando di trovare cibo per i coloni; una grossa spedizione di caccia guidata dal fratello di Waunnosocook, Oppecanough e a cui parteciColoni prigionieri dei Powhatan
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pavano guerrieri di diverse tribù, portò John Smth al villaggio di Waunnosocook, sul fiume York e ciò che avvenne in quel villaggio ha dato vita ad una delle vicende più romantiche e note, nei rapporti fra bianchi e indiani: la storia della giovane figlia di Waunnosocook, Pocahontas, che pone il suo corpo a difesa dell’Inglese, che suo padre ha deciso di giustiziare. Il racconto di questa affascinante storia è del solo John Smith, senza altri testimoni, e oltretutto esso venne fatto per la prima volta decenni dopo la vicenda, mentre non ne fa alcuna menzione in precedenti resoconti delle sue esperienze in Virginia; a quell’epoca la stessa Pocahontas, nel frattempo battezzata e sposata ad un Inglese, era morta e non poteva confermare o smentire la storia. Su questa vicenda gli storici hanno quindi fatto varie supposizioni, dal fatto che essa fosse totalmente inventata, fino all’ipotesi che John Smith avesse male interpretato un rito indiano di adozione tribale, che prevedeva la sua morte simbolica e la successiva rinascita. Non è coIl capo Waunnosocook in una illustrazione al resoconto di John munque da escludere che sia stato lo stesso Smith delle sue avventure in Virginia Waunnosocook a predisporre un intervento “a sorpresa” della figlia in favore di Smith, per risolvere una situazione che poteva essere difficile: suo fratello Oppecanough si era subito mostrato ostile agli Inglesi, e quasi certamente interpretava il sentimento di almeno una parte dei capi tribali, così la sua decisione di mettere a morte l’Inglese lo metteva al riparo dalle critiche, mentre il “coup de teatre” della figlia Pocahontas, gli permetteva di evitare la rottura con i coloni. A conferma di questa ipotesi c’è il fatto, sempre riportato da Smith, che Waunnosocook consigliò gli Inglesi di lasciare le terre dei Paspaheg, e stabilirsi in una località da lui indicata; evidentemente il capo aveva dei progetti sugli Inglesi e non era intenzionato alla guerra. Benchè la vicenda dell’impeto di generosità della giovane Pocahontas sia tutt’altro che certa, ciò che è sicuro è che essa successivamente giocherà un ruolo importante nei tentativi di stabilire rapporti pacifici fra le due comunità. Smith potè far ritorno a Jamestown sano e salvo, ma le condizioni della colonia nell’inverno 1607-1608 furono difficilissime: la scarsità di cibo, la cattiva qualità dell’acqua, l’ambiente malsano delle paludi intorno alla città, portarono alla malattia e alla morte il 60% dei coloni prima della fine dell’inverno: in più un incendio danneggiò molte abitazioni e i coloni furo costretti a passare un gelido inverno in ricoveri di fortuna. A gennaio comunque dall’Inghilterra giunsero rifornimenti, e con essi un altro gruppo di un centinaio di coloni. L’arrivo di altri coloni ovviamente suscitò la preoccupazione degli indiani, tra i quali cominciava a porsi la questione di quanti fossero questi bianchi e di come essi potessero rappresentare una minaccia; a rendere ancora più tesa la situazione fu la decisione dei coloni di impegnarsi in esercitazioni militari fuori da Jamestown, all’inizio della primavera del 1608. Di fronte a tale provocazione Wowinachapunk riprese le ostilità, e dopo una serie di scaramucce e aggressioni, nel corso delle quali i coloni presero otto prigionieri indiani e i Paspaheg due Inglesi, i coloni lanciarono una spedizione punitiva che distrusse il villaggio di Wowinachapunk. Ancora una volta dovette intervenire Waunnosocook a mediare una pace, dopo la quale gli indiani liberarono i loro prigionieri; i coloni dal canto loro ne liberarono uno solo, fin quando Waunnosocook non garantì loro abbondanti rifornimenti. In questa occasione Pocahontas fu inviata da suo padre a Jamestown a chiedere il rilascio dei prigionieri. Alla fine della primavera del 1608 di nuovo una precaria pace era stata stabilita, mentre nella colonia la figura di John Smith emergeva per la sua capacità di trattare e commerciare con gli indiani e soprattutto per la sua determinazione nell’affrontare le difficoltà; in particolare fu lui a stabilire il principio che “chi non lavora non mangia”, contro i pregiudizi di quanti fino ad allora ritenevano che per il rango tutto era loro dovuto; ad un gruppo di coloni inviato a pescare che era tornato a mani vuote, Smith ingiunse di vendere i loro beni agli indiani, se volevano avere qualcosa da mangiare. John Smith non si
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limitava a cercare di far progredire la colonia, ma nell’estate del 1608 si impegnò in un viaggio di esplorazione della Chesapeake Bay, nel corso del quale incontro i Rapahannock, una tribù che viveva alla foce del fiume omonimo, quasi al limite del territorio dei Powhatan; cinque anni prima i Rapahannock erano stati attaccati dagli uomini della spedizione di ricerca dei coloni di Roanoke, guidata da Samuel Mace, ma Smith riuscì asuperare la loro ostilità e a stabilire relazioni cordiali, mediando anche una pace tra loro e i vicini Moraughtacund. Sulla costa orientale della baia si inocontrò con i Nanticoke, una tribù indipendente dai Powhatan, con i quali aprì scambi commerciali; nel corso dell’esplorazione ebbe anche informazioni sulle tribù Siouan dell’interno, e riportò le prime mappe della regione. Intraprendenza, pragmatismo, decisione, insieme ad un certo spirito antiaristocratico, fanno di John Smith la figura dell’antesignano del pioniere, la prima espressione di quello “spirito della Frontiera”, che sarà la veste ideologica della conquista delle terre indiane. Qualche tempo dopo, all’inizio di ottobre del 1608, il capitano Newport giungeva dall’Inghilterra con un John Smith altro gruppo di una settantina di coloni, tra cui vi erano anche artigiani e manovali polacchi, tedeschi e slovacchi; Newport all’andata aveva riportato in Inghilterra un carico di pirite, nella convinzione che fosse oro, ma malgrado questo insuccesso gli investitori della Compagnia avevano organizzato un altro invio di coloni. Tra gli incarichi affidati a Newport vi era anche quello di rinsaldare i rapporti con Waunnosocook, con un maldestro tentativo di lusingarne l’ambizione in una cerimonia di incoronazione, con cui il capo veniva riconosciuto re degli indiani della Virginia e vassallo del re d’Inghilterra. Quasi certamente Waunnosoccok non comprese bene il senso dell’operazione, considerandola solo come una forma di omaggio, ma il maldestro tentativo fallì, quando nel corso della cerimonia gli Inglesi cercarono di far inginocchiare il capo, per porgli sul capo la corona. Waunnosocook ovviamente ne fu fortemente contrariato e rimase in piedi: egli era già un grande capo, e non doveva inginocchiarsi davanti a nessuno per ottenere legittimazione; alla fine l’incoronazione ci fu, ma Waunnosocook non fu per questo più ben disposto verso gli Inglesi. Ma ancor più che questo incidente, a preoccupare Waunnosocook fu la decisione di Newport di compiere una spedizione esplorativa lungo il corso del James, fino alle terre dei Monacan, una tribù di lingua Siouan, con cui i Powhatan erano in guerra; la possibilità di relazioni tra gli Inglesi e i loro nemici tribali, poteva essere la fine della sua strategia di controllo dei bianchi, e inutilmente il capo cercò di dissuadere Newport. Il viaggio tra i Monacan, nell’autunno del 1608, non ebbe comunque seguito e la tribù Siouan evitò relazioni con i bianchi . Intanto un nuovo inverno arrivava e come al solito i coloni si trovavano a corto di vivere e dipendevano per il cibo dagli indiani; quell’inverno però anche la situazione degli indiani era difficile perché, come è stato accertato dagli studiosi, in quel periodo la regione fu colpita da una siccità che ridusse notevolmente i raccolti: gli indiani avevano appena il cibo per loro, e nessuna eccedenza da barattare, ne tanto meno da regalare. Il 16 gennaio durante una trattativa con i Pamunkey di Oppecanaugh, le tensioni giunsero al punto che lo stesso Smith rischiò di essere preso in trappola dagli indiani che avevano circondato la capanna in cui discuteva con il capo: solo minacciando con la pistola Oppecanough, Smith riuscì a trarsi d’impaccio. Ancora una volta le richieste di mais degli Inglesi producevano tensioni, e alcune comunità di indiani preferirono abbandonare i villaggi e trasferirsi nell’interno, per non rischiare di essere derubati delle loro scorte. Ai Nansemond, una piccola tribù nelle vicinanze di Jamestown, che si era rifiutata di cedere il suo cibo, John Smith bruciò il villaggio e la ridusse alla fame e al freddo; poi pochi giorni dopo, alla fine di gennaio del 1609, inviò un gruppo di carpentieri e manovali al villaggio di Waunnosocook, per costruire al capo una casa in stile europeo. La spregiudicata manovra diplomatica però fallì, perché i coloni, spinti dalla fame, preferirono disertare e trasferirsi a vivere presso gli indiani, e lo stesso Waun-
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nosocook trasferì il suo villaggio più nell’interno, sul corso del James, per evitare rapporti con i coloni: a testimpnianza di questa vicenda, i resti di un camino in pietra trovati dagli archeologi, nel sito dove era il villaggio di Werowomoco, prima capitale della Confederazione Powhatan. Gli espropri delle scorte di cibo nella primavera del 1609 causarono la ripresa della guerriglia intorno a Jamestown, condotta principalmente da Wowinachapunk e dai suoi Paspaheg, e lo stesso capo veniva catturato da John Smith per poi riuscire a fuggire; i Paspaheg conducevano quasi da soli la guerra, dato che Waunnosocook continuava nella sua politica che non puntava alla distruzione della colonia, un obbiettivo a quel tempo ancora possibile dato che i coloni erano ancora pochi, mentre l’insieme delle tribù Powhatan poteva Jamestown e gli indiani della Virginia contare su almeno 3.000 guerrieri. Prima della fine della primavera Smith attaccò due villaggi Paspaheg, incendiò le abitazioni, distrusse canoe e uccise almeno sei guerrieri. Wowinachapunk fu costretto alla pace e dovette impegnarsi a fornire cibo, ma nel suo discorso ammonì gli Inglesi a non tirare troppo la corda. Il consiglio di Wowinachopunk non fu ovviamente recepito da Smith, che quell’estate approfittò della tregua per tentare di rafforzare le difese della colonia costruendo due fortini, uno a ovest lungo il fiume James, l’altro a est, su un’isola dove gli indiani Nansemond seppellivano i loro morti e officiavano i loro riti. Le due iniziative comunque non ebbero sucesso, perché il forte costruito nelle vicinanze del villaggio di Waunnosocook, fu presto abbandonato a causa degli attacchi dei Monacan nemici dei Powhatan; nel territorio dei Nansemond invece, gli Inglesi si diedero a profanare e saccheggiare il cimitero indiano, rubando oggetti di rame e ogni cosa pensavano avesse valore; infone diciassette di loro si ammutinarono al capitano Martin, e si recarono presso la tribù dei Keoughtan per ottenere del mais: nessuno di loro tornò Tra la fine dell’estate e l’ottobre del 1609 un terzo contingente di coloni giunse a Jamestown e questa volta la Compagnia aveva fatto le cose in grande, malgrado le delusioni circa la possibilità di trovare l’oro; ben nove navi, con diverse centinaia di coloni vennero inviati in Virginia e questa volta c’erano anche donne e capi di bestiame e tutto ciò che poteva servire per avviare una comunità autonoma e produttiva, oltre a rifornimenti di cibo per almeno un anno. Nel corso del viaggio comunque una tempesta durata tre giorni divise le navi, che giunsero separatamente in America, e soprattutto fece naufragare sulle coste delle Bermuda la nave ammiraglia, che conteneva gran parte dei rifornimenti. I naufraghi dell’ammiraglia riuscirono tutti a salvarsi, e dopo aver costruito nuove imbarcazioni, arrivarono in America nella primavera dell’anno successivo, ma intanto gran parte delle provviste erano andate perse. A Jamestown invece di rifornimenti erano arrivate altre centinaia di bocche da sfamare, e ormai l’inverno era imminente. Nell’ottobre del 1609 si concludeva l’esperienza virginiana di John Smith, che a causa di una ferita conseguente ad una esplosione, era costretto a tornare in Inghilterra con una delle navi appena giunte; è comunque possibile che egli avesse anche poca fiducia nella qualità dei nuovi coloni e che fosse in dissenso con le politiche di sviluppo della colonia decise dalla Compagnia. Smith non fece più ritorno in Virginia, ma scrisse diversi resoconti della sua esperienza, divenendo noto soprattutto per la vicenda di Pocahontas da lui narrata; anni dopo tenterà una nuova avventura nel New England, e da quella esperienza trarrà interessanti osservazioni su come rapportarsi agli indiani, nella costruzione di nuove
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colonie. La sua fu una esperienza breve, ma segnò profondamente la vicenda di Jamestown in una fase molto delicata; egli fu certamente il primo di quegli “uomini della Frontiera”, che avrebbero guidato i bianchi attraverso le terre degli indiani. Per Waunnosocook l’ottobre del 1609 portava due notizie preoccupanti: se ne andava John Smith, un uomo certo poco malleabile, che poteva essere un nemico pericoloso, ma con cui comunque spesso aveva trattato, e che aveva dimostrato in più occasioni di non volere la guerra per la guerra; e invece arrivavano centinaia di coloni, tanti come non ne aveva mai visti, tanti che era impossibile controllare. Per il capo ormai più che sessantenne, il tempo della diplomazia era finito e la guerra, che fino a quel momento aveva cercato di evitare, sembrava ormai imminente.
La Prima Guerra Powhatan Con l’arrivo alla fine dell’estate del 1609 di quello che viene ricordato come il “terzo rifornimento”, la colonia di Jamestown acquistava diverse centinaia di coloni in più e ne perdeva uno solo, quel John Smith che aveva svolto un ruolo centrale nei primi anni, sia per la sua capacità di trattare con gli indiani, alternando diplomazia e pugno di ferro, sia per l’energia con cui aveva indirizzato l’attività dei coloni, non più verso improbabili ricerche di oro e facile arricchimento, ma verso il duro lavoro. Ora un nuovo inverno si approssimava e i coloni si trovavano a corto di cibo, per il naufragio della nave ammiraglia della flotta di rifornimento, che era quella che trasportava la maggior quota di scorte alimentari. La situazione era quindi difficile, anche perché i rapporti con gli indiani erano ormai estremamente tesi, e l’arrivo di un così grande numero di coloni dall’Europa, non contribuiva certo a rasserenare il clima: e John Smith, che fino ad allora era stato il principale intermediario con gli indiani era ormai partito. Dopo l’arrivo dei nuovi coloni, nell’ottobre del 1609, il governatore di Jamestown Percy decise la costruzione di un nuovo presidio, Ft.Algernoon, nel territorio degli indiani Keoughtan che pochi mesi prima avevano ucciso gli ammutinati che cercavano cibo nel loro villaggio. Fu questa l’ultima iniziativa dei coloni, prima di quello che sarà il più duro inverno per Jamestown; ormai quasi 500 coloni vivevano nell’insediamento, praticamente senza altre risorse che i pochi rifornimenti giunti dall’Inghilterra e senza nemmeno la possibilità di cedere i loro averi agli indiani per ottenere cibo, dato che le tribù più vicine erano ormai tutte ostili. Solo i Chickahominy, un gruppo che viveva ovest di Jamestown, sottraendosi all’autorità di Waunnosocook, manteneva rapporti con i bianchi, ma il numero dei coloni era ormai troppo elevato, perché una piccola comunità di indiani, anch’essa a corto di cibo, potesse dare un aiuto determinante. In dicembre un messaggio venne dagli indiani Pamunkey, con cui essi si dichiaravano disponibili a fare scambi e a dare cibo alla colonia; da Jamestown, già ridotta alla fame, il capitano John Ratcliff e 14 uomini si misero in viaggio, ma una volta giunti al villaggio indiano, l’incontro presto degenerò e gli indiani già pronti, aggredirono gli Inglesi e li uccisero tutti: Ratcliff in particolare morì tra atroci torture, scorticato vivo e poi bruciato. Questa trappola, che di fatto diede inizio alla 1° Guerra dei Powhatan, fu probabilmente concepita in accordo tra Waunnosocook e suo fratello Oppecanough, per sancire il definitivo cambio di politica dell’anziano capo nei confronti dei coloni. Per i coloni di Jamestown significava la definitiva fine di ogni speranza di commerciare con gli indiani, dato che dopo quanto era accaduto, nessuno avrebbe più osato visitare un villaggio indiano. Per aggirare il blocco che di fatto gli indiani esercitavano sulla colonia, una nave fu inviata al comando di Francis West a cercare cibo tra gli indiani che abitavano più a nord, e che non erano ancora stati coinvolti nelle ostilità. Nel gennaio del 1610 West navigò nelle acque della Chesapeake Bay, fino alla foce del fiume Potomac, dove incontrò la tribù dei Patawakomet, il cui capo Japazawas mal sopportava l’autorità di Waunnosocook; neanche i Patawakomet comunque erano disponibili a cedere il loro cibo, e nello scontro che seguì gli Inglesi decapitarono due indiani. Ritiratosi dal villaggio indiano con il poco che aveva potuto rubare, West invece di far ritorno a Jamestown, fece direttamente rotta verso l’Inghilterra, risparmiandosi il destino di fame che attendeva i suoi compagni. Dopo la fuga di West i coloni non osavano più nemmeno uscire da Jamestown, mentre la fame e forse anche qualche malattia portata dai coloni da poco arrivati, continuavano a mietere vittime; è certo che durante questi mesi i coloni giunsero a cibarsi anche di carne umana. Alla fine dell’inverno dei quasi cinquecento coloni che abitavano Jamestown, non ne erano sopravvissuti più di centocinquanta; gli indiani non avevano nemmeno dovuto impegnarsi a combatterli, i coloni morivano semplicemente di fame e malattie. In questa condizione disperata, giunsero a bordo di due imbarcazioni altri centocinquanta coloni, i naufraghi della nave ammiraglia che avevano passato l’inverno alle Bermuda, dove
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avevano costruito i vascelli con cui raggiungere le coste americane: ovviamente anche loro erano a corto di provviste. Nel giugno del 1610 la situazione era ormai insostenibile, e i maggiorenti della colonia decisero di abbandonare Jamestown e far ritorno in Inghilterra. E’ probabile che spie indiane abbiano visto gli Inglesi evacuare Jamestown, e a bordo delle loro navi cominciare a discendere il fiume James per raggiungere il mare, e che la notizia della loro partenza sia giunta fino a Waunnosocook, che potè gioire per la vittoria ottenuta senza colpo ferire; ma se così fu, la sua gioia durò poco. Il giorno dopo la partenza, ancor prima di raggiungere il mare, i coloni di Jamestown incontrarono infatti le tre navi comandate da Thomas West, barone De la Warr, fratello di Francis West, che insieme a 150 uomini e nuovi rifornimenti, era stato inviato in Virginia dalla Compagnia come nuovo governatore. De la Warr ordinò ai coloni di fare ritorno a Jamestown, e prese il comando della situazione, imponendo un radicale cambiamento di strategia nei confronti degli indiani. Nessuna diplomazia e nessun tentativo di stabilire relazioni amichevoli o di scambi commerciali, ma solo il pugno di ferro. Già il 9 luglio, il mese successivo al suo arrivo un contingente di uomini fu inviato a cacciare i Keoughtan dal loro villaggio, poi dopo aver mostrato il suo biglietto da visita con questa azione, inviò un ultimatum a Waunnosocook, chiedendo la sua sottomissione: per dare maggior forza al suo messaggio, fece amputare la mano al prigioniero indiano che lo recava. Nel mese di agosto visto che nessuna risposta arrivava da Waunnosocook, De la Warr inviò 70 uomini al comando di George Percy, contro il villaggio dei Paspaheg, dove uccisero oltre settanta indiani e presero prigionieri anche una moglie e i figli di Wowinachopunk; dopo questo massacro i Paspaheg abbandonarono la regione e si unironi ad altre tribù. Un ‘altra spedizione, al comando di Samuel Argall, fu inviata contro i Warrasqueoc, ma gli indiani riuscirono a fuggire e gli Inglesi poterono solo bruciare il villaggio e i campi. La strategia di De la Warr era semplice e brutale: attaccare gli indiani, distruggere i loro villaggi e i loro campi, cacciarli dalle loro terre; della sua efficacia aveva già avuto prova nelle guerre contro gli Irlandesi, e quindi non si faceva alcuno scrupolo a praticarla contro dei barbari pagani. I quali dal canto loro non erano in grado di rispondere con una strategia altrettanto efficace; le azioni di guerriglia contro i coloni che venivano sorpresi fuori da Jamestown erano la principale reazione, e nel dicembre gli Appomatoc sorpresero un grosso gruppo di coloni e lo massacrarono, ma tali azioni erano sporadiche e ininfluenti, fin quando da Jamestown potevano partire colonne di uomini ben armati, in grado di attaccare i villaggi e distruggere i raccolti. Benchè quasi tutte le tribù della regione fossero potenzialmente obbiettivi degli attacchi dei coloni, esse non furono in grado di concertare una risposta unitaria per colpire militarmente Jamestown, la base da cui gli attacchi inglesi partivano, e la ragione può essere spiegata solo con una crisi della leadership di Waunnosocook, ormai anziano, mentre suo fratello minore Oppecanough, da sempre ostile ai bianchi, si candidava a nuovo leader. D’altra parte non è nemmeno da escludere che la stessa Confederazione dei Powhatan, la cui coesione era dovuta principalmente alla leadership di Waunnosocook, di fronte agli attacchi dei coloni cominciasse ad andare in crisi, e le tribù iniziassero ad agire ognuna per proprio conto, preoccupate ognuna della propria difesa, piuttosto che pensare ad una offensiva comune.
Il teatro della 1° Guerra Powhatan, le principali battaglie e i villaggi distrutti
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E’ un fatto che all’inizio del 1611 gli indiani erano ormai sulla difensiva, e nel gennaio di quell’anno De la Warr aveva anche stabilito una piccola guarnigione nella località strategica di James Falls, nel cuore del territorio di Waunnosocook. Nel mese successivo in una scaramuccia nei pressi di Jamestown, trovava la morte Wowinachopunk, il valoroso capo dei Paspaheg, e nei giorni successivi i suoi guerrieri lo vendicherannono uccidendo alcuni coloni isolati; dopo quest’ultima vicenda i Paspaheg escono definitivamente dalla storia. Nella primavera del 1611 De la Warr fece ritorno in Inghilterra, e la pressione militare sugli indiani si allentò, ma il nuovo governatore Thomas Dale, giunto con un nuovo contingente di coloni, spostò il conflitto nel cuore del territorio di Waunnosocook con la fondazione del nuovo villaggio di Henricus, a sud est dell’attuale Richmond, lungo il fiume James; la regione di Henricus divenne quindi il centro del conflitto, con continui attacchi degli indiani ai coloni del nuovo insediamento, guidati da un guerriero che presto si fece un nome, Nemattanew, che gli Inglesi chiamavano Jack il Piumato, per la sua abitudine di andare in battaglia con un appariscente costume di piume e di lanciarsi all’attacco simulando il volo di un uccello. Benchè visibile e appariscente Nemattanew non fu mai ferito, e presto tra gli indiani si sparse la credenza della sua invulnerabilità ai proiettili. Nel novembre del 1611 Thomas Dale lanciò una spedizione contro gli Appomatoc, per punirli del massacro di coloni di un anno prima e li scacciò dal loro villaggio; poco più di un anno dopo, nella stessa località Dale fondava un nuovo insediamento, Bermuda Hundred, il terzo in Virginia. La guerra sarebbe potuta continuare così per anni, con le azioni di guerriglia e gli agguati ai coloni da parte degli indiani e le periodiche azioni di rappresaglia dei coloni contro i villaggi indiani, in una condizione di stallo in cui nessuna delle due parti era in condizioni di liberarsi definitivamente della minaccia dell’altra, quando ancora una volta la figura di Pocahontas intervenne nella vicenda storica, aprendo l’ennesima speranza di pace. Nel dicembre del 1612 Samuell Argall, uno dei maggiorenti della colonia era riuscito a riprendere i rapporti con Japazawas, il capo dei Patawakomet insofferente all’autorità di Waunnosocook, dopo la rottura successiva all’incidente provocato da Francis West; nella primavera del 1613, Argall con l’aiuto di Japazawas riuscì a catturare Pocahontas, nella speranza di poter piegare il capo Waunnosocook e indurlo alla resa. Pocahontas rimase prigioniera degli Inglesi per diversi mesi, e durante questo periodo conobbe John Rolfe, un colono che fu tra i primi a impegnarsi nella coltivazione del tabacco, e tra i due nacque un amore che li avrebbe portati al matrimonio. Ovviamente non fu questa storia d’amore a porre fine al conflitto, perché Waunnosocook non accettò di venire a patti con gli Inglesi, almeno fino a quando nel marzo del 1614 i coloni guidati da Dale, non riuscirono a risalire il fiume James e raggiungere il suo villaggio, e dopo un duro scontro cacciare gli indiani, saccheggiarlo e bruciarlo; Pocahontas che Dale aveva portato con se nella speranza di una mediazione, non riuscì ad evitare la battaglia. Un mese dopo comunque Waunnosocook, contando anche La distruzione del villaggio di Waunnosocook: in primo piano Pocahontas prigioniera
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sull’intermediazione della figlia e di John Rolfe, decise di cessare le ostilità, probabilmente stanco di una guerra che non aveva mai voluto, e che sapeva di non poter vincere. Poco tempo dopo, il 5 aprile del 1614, Pocahontas, battezzata con il nome di Rebecca, sposava John Rolfe e il matrimonio che stabiliva rapporti di parentela tra il capo degli indiani della regione e un influente membro della colonia, sanciva la ritrovata concordia tra nativi e coloni. In questo clima di pace gli Inglesi ritennero utile anche un formale trattato di pace e amicizia con i vicini Chickaomini, che si erano sempre mantenuti in pace, che fu firmato alcuni mesi dopo quello con i Powhatan. Al di la del finale romantico, la prima guerra dei Powhatan finiva certamente con dei vincitori e degli sconfitti, e gli sconfitti erano gli indiani: in meno di sette anni essi avevano dovuto vedere un piccolo insediamento di un centinaio di coloni, sempre sull’orlo della morte per fame, trasformarsi in una vera e propria colonia la cui popolazione era quasi decuplicata, con villaggi e fattorie che ora si estendevano su gran parte della foce del fiume James, su terre un tempo abitate dagli indiani e dove ora essi non potevano nemmeno cacciare; diverse tribù, i Powhatan veri e propri, i Weanoc, gli Appomatoc, avevano dovuto cedere le loro terre e spostarsi nell’interno, mentre altre, i Paspaheg, Keoughtan, i Quiyouckoyannock, gli Arroha- Pocahontas, alias Rebecca Rolfe toc erano state completamente distrutte e di loro non v’è più menzione negli anni successivi. Ma la cosa più grave fu il dover prendere atto che per quanti bianchi si potessero uccidere, essi comunque tornavano, portati dalle loro grandi barche da un luogo ignoto; il loro numero cresceva sempre, malgrado ne morissero a centinaia, incapaci anche di sostentarsi da soli, essi però continuavano ad aumentare, mentre tra gli indiani, quando uno di loro moriva, lasciava un vuoto che ci voleva tempo a colmare. Il matrimonio tra John Rolfe e Pocahontas fu felice ma breve, perché la giovane indiana morì a Londra nel 1617 all’età di ventuno anni, di vaiolo o forse di tubercolosi, mentre si apprestava a tornare nella sua terra. La famiglia Rolfe, una delle più eminenti tra la vecchia aristocrazia virginiana, rivendicò sempre le sue ascendenze indiane. Un anno dopo sua figlia, nel 1618, moriva anche Waunnosocook, ormai anziano e forse non del tutto lucido, mentre la colonia continuava a prosperare, grazie alle piantagioni di tabacco, attirando sempre nuovi immigrati. Nel 1616 i Chickahominy, che erano sempre stati amici degli Inglesi, davanti al gran numero di coloni che si insediava intorno alle loro terre e contestava il loro diritto a spostarsi per cacciare e pescare, decisero di aderire alla Confederazione dei Powhatan: la pace era solo uno strumento dei bianchi per prendersi tutto, senza nessuna resistenza.
La Seconda Guerra Powhatan Dopo la pace del 1614 e il matrimonio tra Pocahontas e John Rolfe, con la ormai debole leadership dell’anziano Waunnosocook, i rapporti tra indiani e coloni non video ulteriori ostilità per alcuni anni, un periodo durante il quale la colonia uscì definitivamente dalla sua condizione precaria, per trasformarsi in una comunità economicamente attiva, incentrata sulle piantagioni di tabacco e in cui iniziavano a nascere le prime attività artigiane e manifatturiere. La coltivazione di tabacco per l’esportazione era l’attività più lucrosa e la colonia continuava ad avere problemi con le derrate alimentari, per le quali un modesto commercio si faceva con le tribù indiane; le prospettive di lavoro continuavano ad attirare emigranti e in questi anni di pace, le poche centinaia di coloni che abitavano Jamestown e gli altri piccoli insediamenti, crebbero fino a divenire oltre 1.200, con nuovi insediamenti lungo il basso corso del James. A partire dal 1619 fanno la loro prima comparsa anche gli schiavi africani, che in seguito diverranno la principale forza lavoro della colonia. Le tensioni con gli indiani comunque permanevano, conseguenti principalmente alle diverse culture e
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ai diversi approcci rispetto all’uso della terra: gli indiani si erano rassegnati a vedere i coloni edificare le loro fattorie e coltivare le loro piantagioni sulle terre che erano state loro, ma consideravano normale attraversare quelle terre per cacciare o per raggiungere luoghi di pesca; questo comportamento confliggeva invece con il concetto di proprietà dei coloni, che era esclusivo e prescindeva anche dall’effettivo uso della terra. Spesso i coloni accusavano gli indiani di piccoli furti o di danneggiamenti e in generale ne temevano la presenza; dal punto di vista degli indiani era assurdo contestare il loro diritto a spostarsi liberamente, su una terra che da sempre loro avevano usato. Comunque per i timori di una nuova guerra le autorità coloniali evitavano di esacerbare gli animi, anche se incoraggiavano i coloni ad avanzare nelle terre indiane, ad occuparle e imporre i loro abusivi diritti di proprietà. La speranza di Waunnosocook di poter mantenere una qualche pacifica relazione con i bianchi, attraverso il commercio, era ormai venuta meno: ai bianchi non interessava commerciare con gli indiani, volevano la terra, la terra su cui coltivare quel tabacco, così richiesto nella madrepatria. Waunnosoccok morì nel 1618, sostituito da un suo fratello minore, che dopo breve tempo però si fece da parte, per lasciare la guida della Confederazione dei Powhatan ad un altro fratello ancora più giovane, quell’Oppecanough che si era sempre messo in evidenza per la sua ostilità agli Inglesi. A Oppecanough era chiaro che se gli Inglesi non fossero stati cacciati, sarebbero stati loro a cacciare gli indiani, e non si faceva alcuna illusione sulle loro intenzioni, ma almeno all’inizio non si mostrò ostile e anzi nel 1621, incontrò un pastore inglese, mostrando addirittura disponibilità ad accettare il battesimo. Ma mentre con gli Inglesi si mostrava amichevole, egli ristabiliva relazioni con i capi tribali, rafforzava i legami interni alla Confederazione, dopo gli anni di crisi della guida di Waunnosocook, e soprattutto fomentava l’indignazione degli indiani per le limitazioni che i coloni tentavano di imporre ai loro spostamenti e per gli abusi che compivano; suo consigliere e collaboratore era Nemattanew, il guerriero che si era fatto un nome conducendo la guerriglia indiana nella regione di Henricus. L’azione di Oppecanough fu così efficace che gli Inglesi non ebbero alcun sentore del dramma che si preparava, fin quando il 22 marzo 1622 un indiano battezzato che viveva nella casa di un colono, portò la notizia che gli indiani stavano preparando una sollevazione. Immediatamente la notizia raggiunse Jamestown, ma prima che l’allarme giungesse a tutti, già centinaia di indiani di tutte le tribù della regione, avevano raggiunto fattorie e insediamenti. Si presentavano disarmati, portando con se pelli, carne di cervo e mais, dichiarando di voler commerciare e così riuscirono ad entrare in fattorie e villaggi, poi una volta dentro, afferrando ogni possibile arma, coltelli, strumenti da lavoro, asce, si diedero a massacrare i coloni, donne e bambini compresi. Nel giro di poche ore trentuno insediamenti erano attaccati, circa 350 coloni furono trucidati, quasi un terzo di tutti i bianchi della popolazione bianca della Virginia, interi villaggi distrutti, le fattorie abbandonate dai pochi coloni che riuscirono a sfuggire agli attacchi e oltre venti donne fatte prigioniere; solo il tardivo allarme impedì che il piano di Oppecanough avesse pieno successo e che tutti i coloni fossero massacrati, e quando questi riuniti a Jamestown cercarono di predisporre una reazione, si resero conto che la maggioranza di loro era composta di donne e bambini, e tra gli uomini molti non erano in grado di prendere le armi. Riunitisi a Jamestown e pochi altri insediamenti vicini, essi si preparavano alla difesa. Oppecanough aveva assestato agli Inglesi il colpo più duro che essi mai avessero subito ed era certo che dopo una simile strage essi non potevano che abbandonare la regione; così gli indiani, come era loro uso, festeggiarono la vittoria e il ricco bottino, ma non lanciarono ulteriori attacchi, attendendo con sicurezza di veder gli Inglesi caricare le loro navi, e tornarsene al loro Il massacro indiano del marzo 1622 in una illustrazione dell’epoca
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paese. Ovviamente il capo indiano non poteva immaginare che dietro quelle centinaia di coloni atterriti, barricati dietro la palizzata di Jamestown, lontano, oltre l’oceano, vi erano forze e interessi che mai avrebbero fatto un passo indietro, quale che fosse il costo di sangue da pagare; poteva però immaginare che il terrore dei superstiti, si sarebbe trasformato in odio, e l’odio in lucida e implacabile determinazione. I coloni non partirono e gli indiani non assestarono loro il colpo definitivo, poi in estate quando i campi erano pronti per il raccolto, la reazione arrivò: e se fu egualmente violenta, fu molto più prolungata. La prima iniziativa degli Inglesi fu quella di garantirsi i rifornimenti di mais, cercando relazioni con le tribù che si erano mostrate non ostili; i Patawakomet in particolare, che erano sempre stati amichevoli, furono aiutati nel maggio del 1622, in una spedizione di guierra contro i Nacotchank, una tribù della Confederazione dei Piscataway che viveva a nord del Potomac. Nell’estate del 1622, ottenuta l’alleanza dei Patawakomet e degli Accomac, gli Inglesi lanciarono una serie di raids contro i villaggi indiani vicini, colpendoli uno per volta, senza che gli indiani fossero in grado di organizzare una reazione coordinata. Di fronte alle colonne armate che spesso giungevano all’alba a incendiare i campi, a bruciare i villaggi, a uccidere uomini, donne e bambini, gli indiani fuggivano, si nascondevano nella foresta, poi ridotti alla fame, cercavano ospitalità verso qualche villaggio vicino. Quell’estate questa fu la sorte dei Chickahominy, Pamunkey, Nansemond, Weanoc e Warrasqueock, e a quel punto fu evidente anche a Oppecanough che gli Inglesi non se ne sarebbero mai andati, e che il loro modo di fare la guerra non dava tregua. La guerra praticata dagli indiani era fatta di azioni singole, condotte per lo più in primavera e in autunno, quando i campi richiedevano meno lavoro, dopo le quali si tornava alla propria tribù, per festeggiare, dividere il bottino e tornare alla propria vita, fino all’occasione successiva di mostrare il proprio valore; con questo tipo di guerra si tenevano lontani i nemici dal proprio territorio, o si prolungavano faide intertribali, ma la guerra dei bianchi era altra cosa, una guerra pianificata, di lungo periodo, che colpiva le tribù nel momento in cui si facevano scorte per l’inverno, le affamava e la lasciava al freddo e infine le distruggeva. Per sostenere questo tipo di guerra non bastava il valore dei guerrieri, e quando nel cuore di un duro inverno per le tribù ridotte alla fame, nel gennaio del 1623 i coloni assestarono un altro colpo, attaccando i villaggi dei Nansemond, Chickahiminy, Weanoc, Appomatoc e Powhatan veri e propri, gli indiani erano allo stremo. Gli Inglesi nel marzo del 1623 dovettero comunque pagare per il loro sostegno ai Patawakomet, quando un gruppo di venti uomini guidato da Henry Spelman e inviato a raccogliere viveri, fu attaccato e massacrato dai Nacotchank, lungo il corso del fiume Potomac. Nella primavera del 1623 Oppecanough si decise a chiedere la pace; c’era da seminare i campi e sperare in un buon raccolto, altrimenti l’inverno successivo poteva essere fatale; prima ancora di rispondere, durante il mese si aprile, i coloni organizzarono una spedizione punitiva contro i Chickahominy, accusati dell’uccisione di dieci coloni. Quando la proposta di pace giunse a Jamestown i coloni mostrarono disponibilità ad in contrare una delegazione di indiani, ma questa volta furono gli indiani a non immaginare cosa si tramasse contro di loro: il 22 di maggio, durante l’incontro tra le delegazioni, fu servito agli indiani del vino avvelenato e quando essi si resero conto che stavano per morire, gli Inglesi si avventarono su di loro e li finirono a colpi di arma da fuoco. Le ostilità ripresero e nel mese di luglio una nuova campagna di massacri e distruzione di villaggi e raccolti fu lanciata contro i Chickahominy, e i Weanoc, poi toccò agli Appomatoc e ai Powhatan veri e propri, quindi in ottobre fu la volta dei Nansemond. La guerra continuava secondo il solito schema: piccole azioni di guerriglia, agguati a coloni isolati, attacchi agli insediamenti più esposti, da parte degli indiani, campagne distruttive condotte dagli Inglesi. Il 24 luglio del 1624 uno scontro frontale avvenne nelle vicinanze del villaggio dei Powhatan, attaccato da una settantina di coloni con i loro archibugi, e difeso da diverse centinaia di guerrieri di diverse tribù. La battaglia si prolungò fin quando gli Inglesi riuscirono ad incendiare i campi, e gli indiani a quel punto, non avendo più nulla da difendere, si ritirarono. Il 2 dicembre dello stesso anno una battaglia durata due giorni si combattè presso il villaggio dei Pamunkey: alla fine diverse centinaia di guerrieri Powhatan dovettero ritirarsi con molte perdire, mentre gli Inglesi ebbero solo sedici morti. Con il mais razziato al villaggio c’era di che sfamare centinaia di bocche per un intero anno. La carenza di polvere da sparo nella colonia diede un paio di anni di tregua agli indiani, che dopo due inverni a rischio della fame, non approfittarono dell’occasione per colpire gli Inglesi. Così nell’agosto del 1627, ancora una volta contingenti armati di coloni diedero alle fiamme i villaggi e i campi, dei Pamunkey, Chickahominy, dei Powhatan, dei Warrasqueok, dei Nansemond, degli Appomatoc, dei Chesapeake e dei Weanoc; quello stesso anno i Chiskiac una piccola banda di duecento indiani che aveva
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Attacchi indiani nel marzo 1622 e la rappresaglia inglese degli anni suiccessi; la linea rossa indica il tracciato della palizzata difensiva edificata nel 1634
preso parte al massacro del 1622, abbandonarono la loro terra per spostarsi a nord, oltre il fiume York. La vendetta per il massacro del 1622 continuava, ma con la guerra la colonia aveva fermato la sua espansione e i coloni non osavano spingersi a ovest, dato che ad ogni attacco gli indiani reagivano colpendo i coloni dove e come potevano. Una tregua si ebbe nel 1628, poi la guerriglia indiana riprese nel marzo del 1629, quando fu eletto John Pott come nuovo governatore; si trattava della stessa persona che aveva preparato il vino avvelenato per le trattative di pace del 1623, e pur essendo un personaggio molto discusso nella colonia, egli si impose per la sua politica dura contro gli indiani; nei quattro mesi successivi all’elezione, la sua milizia si guadagnò una discutibile fama per la sua brutalità. La guerra era ormai un fenomeno endemico, che se non metteva a rischio la colonia, la obbligava comunque ad una condizione di stallo, senza possibilità di una ulteriore espansione. Le ostilità si prolungarono stancamente fino al 30 settembre del 1632, quando dopo l’elezione di un nuovo governatore, le due parti decisero di cessare le ostilità: gli Inglesi ormai avevano cacciato gli indiani dalla foce del fiume James e avevano occupato tutto il territorio fino al fiume York, ma a ovest dopo il terribile massacro del 1622 l’espansione s’era bloccata. Due anni dopo nel 1634, per garantirsi da qualsiasi infiltrazione di indiani, i coloni edificarono una alta palizzata in legno, lunga diverse miglia che collegava due affluenti dei fiumi James e York e chiudeva l’accesso alle terre compreso tra i due fiumi; fuori dalla palizzata rimanevano, molti i vecchi avamposti che dopo il massacro del 1622 nessuno aveva più osato ricostruire. La seconda guerra dei Powhatan si chiudeva con le tribù indebolite e quasi rassegnate; Oppecanough che aveva pensato di potersi liberare dei bianchi con un sanguinoso e terribile colpo di mano, s’era trovato coinvolto in una guerra lunga e distruttiva, quale gli indiani non avevano mai sopportato. Come il suo più anziano fratello si trovava impotente davanti ad un nemico, che non si poteva combattere con il solo valore. Ma anche i bianchi, malgrado la loro guerra distruttiva, continuavano a vivere nel timore, dietro la loro palizzata, senza osare spingersi nell’interno lungo il corso del James.
L’ultima guerra dei Powhatan Gli anni successivi alla 2° Guerra Powhatan, videro la colonia di Jamestown crescere in ricchezza e popolazione: le poche centinaia di coloni del primo insediamento erano cresciuti fino a diventare circa 8.000 intorno al 1640; al contrario la popolazione dei Powhatan, che al tempo della fondazione di Jamestown era di 15-20.000 indiani, nello stesso periodo era costantemente declinata, e le due comunità sul piano demografico ormai quasi si equivalevano; ed entrambe avevano bisogno di terra. L’economia indiana che integrava l’agricoltura con la caccia e la pesca, era basata su un uso estensivo del territorio, e le comunità erano use trasferire la loro sede, quando la selvaggina e la fertilità del terreno si esaurivano dopo anni di utilizzo; i coloni d’altro canto crescevano di numero e necessitavano di nuove terre, senza contare che la coltura del tabacco, prima risorsa della regione, impoverisce notevolmente i terreni e quindi richiede costantemente terra. Le due comunità mantenevano un livello di interazione commer-
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ciale, basato sulle reciproche necessità, dato che gli indiani ormai non potevano fare a meno dei manufatti europei, armi e utensili in metallo in particolare, mentre gli Inglesi ancora non producevano mais sufficiente ad alimentare la popolazione; a ciò va aggiunto che le pelli pregiate che gli indiani potevano fornire, costituivano la seconda voce delle esportazioni della colonia. Questa interazione commerciale imponeva agli Inglesi di evitare se possibile, il conflitto con gli indiani, applicando invece una strategia di progressiva penetrazione nei loro territori, cercando di ottenere per via pacifica nuove terre, salvo reagire con durezza ad ogni tentativo degli indiani di opporsi alla loro avanzata. Sulla base di questa politica la colonia riuscì a indurre l’ormai anziano Ouppecanough nel 1640, a cedere le terre della tribù dei Piankatank, a nord del fiume York. Comunque tra i coloni più poveri e giunti di recente, che spesso per trovare nuova terra dovevano spingersi nelle terre indiane, questa politica era malvista, in favore di soluzioni più sbrigative. Nel 1632, lo stesso anno della fine della 2° Guerra Powhatan, re Carlo I aveva concesso a lord Baltimore un’altra concessione di terra, nella parte settentrionale della Chesapeake Bay, dove nascerà la futura colonia del Maryland, che avrebbe dovuto offrire ospitalità ai cattolici perseguitati in Inghilterra. La nuova colonia ebbe il suo primo insediamento a St.Mary, alla foce del fiume Potomac, ben accolta dai Patawakomet, che erano sempre stati amici dei bianchi e insofferenti al controllo di Waunnosocook e Oppecanough, e dai Piscataway, una confederazione tribale simile a quella dei Powhatan, ma più piccola che raccoglieva alcune tribù tra il fiume Potomac e il Susquehanna. Data la presenza di immigrati cattolici i rapporti tra questa colonia e la Virginia, non erano buoni, ma certo Oppecanough registrò la fondazione della nuova colonia, come la conferma delle sue preoccupazioni sull’avanzata dei bianchi. Con i bianchi che avanzavano a est e a nord, per i Powhatan neanche era possibile ritirarsi a ovest, nella regione del Piedmont, dove abitavano i Monacan, Manahoc e altre tribù di lingua Siouan, da sempre loro nemiche. In questa situazione di assedio, l’ormai quasi centenario Oppacanough, probabilmente pressato dai guerrieri più giovani che nella guerra vedevano una opportunità di affermazione, decise di fare un secondo tentativo, se non per cacciare definitivamente gli Inglesi, almeno per porre un freno alla loro avanzata. Il 18 marzo del 1644, senza alcun preavviso, centinaia di indiani si scatenarono in attacchi contro fattorie e insediamenti avanzati, provocando una strage di entità eguale a quella del massacro del 1622. Ma dal 1622 le cose erano molto cambiate e se a quell’epoca la violenza degli indiani aveva ridotto di quasi un terzo la popolazione della colonia, in questa occasione, con circa 8.000 coloni di fronte, la morte di quasi 400 persone, fu un evento drammatico, ma che non mise a rischio l’esistenza della colonia. In aggiunta il vecchio capo, come già aveva fatto 22 anni prima, non prolungò l’offensiva ma si limitò ad attendere, forse sperando che dopo il duro colpo gli Inglesi cercassero di aprire trattative. Come durante la 2° Guerra Powhatan la reazione inglese non giunse immediata, ma fu estesa e distruttiva; ancora una volta, nel luglio del 1644, milizie di coloni armati attaccarono e distrussero i villaggi dei Pamunkey, dei Chickahomini e dei Powhatan veri e propri, a nord del fiume James; poi fu la volta delle tribù che vivevano a sud del fiume, i Weanoc, i Warrasquoak, i Nansemond e gli Appomatoc. Viste le ostilità ormai iniziate, i coloni colsero l’occasione per estendere le loro conquiste territoriali lungo la costa meridionale, nell’attuale North Carolina, attaccando le tribù dei Choptank e dei Secotan, che non avevano preso parte al massacro ordinato da Oppecanough. Dopo la vicenda della colonia di Roanoke quella regione non aveva visto altri tentativi di colonizzazione, ma a partire dal 1640, coloni giunti dalla Virginia avevano iniziato a stanziarsi sulla costa nord di Albemarle Sound, nel territorio dei Weapemock, che a causa delle malattie introdotte dai coloni di Roanoke, non furono in condizioni di opporsi; la loro tribù che nel 1585 poteva contare su 800 guerrieri e occupava diversi villaggi, un secolo dopo era ridotta a meno di un decimo. Con l’inizio delle ostilità iniziate a nord, i coloni attaccarono le vicine tribù dei Chowan e Secotan, che probabilmente s’erano mostrati meno accondiscendenti dei Weapemock; entrambe le tribù furono sconfitte e i Secotan scomparirono definitivamente dalla storia, lasciando dietro di se pochi superstiti, conosciuti come Machapunga. La 3° Guerra dei Powhatan fu un colpo di coda dell’anziano capo nemico degli Inglesi e una esplosione di rabbia dei guerrieri più giovani, ma le tribù forse memori dell’esperienza degli anni precedenti, non erano in grado di sopportare anni di guerra. Gli Inglesi dopo le spedizioni punitive, nel febbraio del 1645 costruirono tre avamposti fortificati, Ft. Charles sul fiume James, Ft.James sul Chickahominy e Ft.Royal sul Pamunkey, presidiando stabilmente la frontiera, poi in agosto, contando sull’aiuto degli indiani delle tribù Rapahannock e Accomac, riuscirono a sorprendere Oppecanough, nel suo villaggio di Manskin sul fiume Pamunkey, e il capo che a oltre 90 anni ormai aveva difficoltà anche a camminare, fu fatto prigioniero. Mentre si discuteva sul destino del vecchio capo, una guardia, ufficialmente di sua
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propria iniziativa, lo ammazzò, risolvendo così i problemi di legalità formale, su come trattare un prigioniero capo di una potenza straniera, come erano all’epoca considerate le tribù indiane. Subito dopo la morte di Oppecanoiugh furono eliminate le restrizioni al commercio con gli indiani, sia per rifornire la colonia di mais, sia per riaprire relazioni con la fazione pacifica degli indiani e concludere la guerra. Nel mese di febbraio del 1646 un I confini della colonia di Jamestown, dopo la 3° Guerra Powhatan altro presidio, Ft. Henry, fu costruito nelle terre degli Appomatoc, e pochi mesi dopo in ottobre, la guerra si concludeva con un trattato, il primo di una lunga serie, firmato dal nuovo capo dei Powhatan, Necotawance della tribù dei Weanoc. Il trattato del 1646, che concludeva definitivamente le Guerre Powhatan, imponeva la cessione di un ampio territorio tribale, in buona misura non ancora colonizzato, e soprattutto stabiliva che nessun bianco o indiano poteva superare i confini stabiliti, se non in possesso di una speciale autorizzazione scritta, rilasciata dalle autorità coloniali. La cessione territoriale riguardava tutto il territorio compreso tra i fiumi York a nord e il Blackwater a sud, fino alle coste del North Carolina e Albemarle Sound; oltre i confini della colonia rimaneva la penisola tra il fiume York e il Rapahannock, dove dal 1640 i coloni si erano già insediati, e il cui stanziamento era confermato; in aggiunta, tutte le tribù divenivano tributarie del re d’Inghilterra, a cui annualmente dovevano garantire un certo quantitativo di pelli pregiate. Per quella che un tempo era stata una potente confederazione tribale era la fine: costretti in una zona marginale del loro antico territorio, con una popolazione ridotta dalle guerre e dalle malattie, e più della metà delle tribù che ne avevano fatto parte ormai scomparse, essa era ormai da anni divisa al suo interno, dato che diverse tribù non si erano unite alla guerra contro i bianchi, o addirittura erano state loro alleate, in particolare quelle più lontane dagli insediamenti, che non sentivano la pressione dei coloni, e invece erano ansiose di commerciare con i bianchi. Nei trenta anni successivi, quanto rimaneva delle tante tribù indiane della regione potè vivere in pace, grazie soprattutto alla politica delle autorità coloniali, che avevano ottenuto terra a sufficienza, e che comunque potevano trarre vantaggio dai commerci. Diverso era il punto di vista dei coloni più poveri, sempre bisognosi di terra, esclusi dal commercio con gli indiani, per i quali i nativi erano solo un problema da risolvere con le maniere forti; questa contraddizione avrebbe portato presto a nuovi conflitti.
Nuove colonie e ultime resistenze
Con la dissoluzione della Confederazione Powhatan non c’era più nessun entità politicamente coesa e militarmente forte, per poter contrastare l’avanzata dei coloni; le piccole tribù Algonquian, ognuna composta da non più di un migliaio di individui e poche centinaia di guerrieri, armati di archi e frecce,
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divise da rivalità e gelosie, impegnate a difendersi dalle tribù Siouan dell’interno o Iroquaian del nord, non erano in grado di misurarsi con un processo di colonizzazione che ormai stava assumendo dimensioni di massa; praticamente ogni anno, velieri provenienti dall’Inghilterra sbarcavano centinaia di migranti, e nei decenni successivi alla fondazione di Jamestown, altre colonie vennero fondate a nord e a sud della Virginia; ma era tutta la costa atlantica che ormai attirava Inglesi, Francesi, Svedesi e Olandesi, che fondavano colonie e stazioni commerciali. A nord della Virginia, oltre il fiume Potomac i Piscataway (più tardi noti come Conoy) erano otto tribù alleate, che alla fine del ‘500 si erano unite sotto la guida di un solo capo per opporsi ai Susquehannock, una potente confederazione di tribù Iroquaian che viveva più a nord, lungo il corso del fiume omonimo; quando i loro vicini meridionali Patawakomet, avevano iniziato ad avere rapporti commerciali con gli Inglesi di Jamestown, entrando in possesso di lame di metallo e altre armi, i Piscataway s’erano trovati con un nemico anche a sud, e la loro situazione si fece difficile. Nel 1623 i Natchkohank, una delle tribù Piscataway, si erano scontrati con gli Inglesi, dopo che gli stessi Inglesi li avevano attaccati insieme ai Patawakomet, ma è probabile che i capi Piscataway fossero anch’essi desiderosi di aprire relazioni con i bianchi, per uscire dalla morsa delle tribù nemiche che li circondavano. Sul lato orientale della Chesapeake Bay, nella penisola di Delmarva, vivevano una decina di piccole comunità conosciute con il nome collettivo di Nanticoke, alleate dei Powhatan, mentre l’estremità meridionale della stessa penisola era occupata dagli Accomac e dagli Accohannoc, due tribù che erano state parte della Confederazione Powhatan, ma se ne erano distaccate fin dagli anni ’20, preferendo rimanere in pace con gli Inglesi. Piscataway e Nanticoke condividevano lingua e cultura con i Powhatan, ma erano più strettamente legate tra loro dal punto di vista linguistico. Per più di vent’anni i rapporti di queste tribù con i bianchi erano stati limitati, ma nel 1632 un gruppo di coloni provenienti dall’Inghilterra, risalì la Chesapeake Bay fin oltre la foce del fiume Potomac, approdando sulle terre dei Patuxent, una delle tribù Piscataway. Si trattava di coloni inviati da Lord Baltimore, che aveva ottenuto una concessione dal re Carlo I, e voleva fondare una nuova colonia improntata alla tolleranza religiosa, dove anche i cattolici perseguitati in patria potessero trovare accoglienza. I nuovi arrivati infatti erano sia cattolici che protestanti, e insieme ai cattolici non mancavano missionari gesuiti giunti appositamente per evangelizzare gli indiani; l’esperienza di questi gesuiti è un episodio unico e limitato nella colonizzazione inglese del Nord America, dove il ruolo dei missionari fu sempre marginale e i religiosi furono spesso più interessati a eliminare gli indiani che a convertirli. L’incontro fra i Patuxent e gli Inglesi fu cordiale, facilitato probabilmente dalla presenza dei gesuiti, che in breve tempo ottennero la conversione della regina dei Patuxent, poi i coloni stabilirono il loro insediamento nelle vicinanze del villaggio di Yacomico, a cui diedero il nome di St.Mary dando vita alla nuova colonia del Maryland. Dopo i Patuxent, la cui regina qualche anno dopo sposerà un bianco impegnato nel commercio con gli indiani, i rapporti amichevoli si estesero a tutte le tribù Piscataway, il cui capo considerò gli Inglesi come un possibile alleato contro i Susquehannock. I gesuiti continueranno ad operare tra gli indiani della regione per quasi dieci anni, ottenendo molte conversioni, ma avendo difficoltà con le autorità coloniali, che miravano a contrastare la loro autonomia, sia sulle questioni economiche sia su altri aspetti, compresa la politica nei confronti degli indiani. Intanto la colonia cresceva e con l’arrivo di nuovi immigrati, per lo più appartenenti alle varie chiese protestanti, sorsero nuovamente contrasti religiosi e persecuzioni contro i cattolici, fin quando all’inizio degli anni ’40 i Ricostruzione del villaggio di St.Mary negli anno ‘30 del ‘600 gesuiti furono costretti ad abban-
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donare la missione. E’ più o meno in questo periodo che iniziarono a prodursi le prime tensioni con gli indiani, dovute al comportamento dei coloni, che occupavano arbitrariamente le terre indiane o non si facevano scrupolo di vendere alcolici, anche contro le decisioni delle autorità coloniali, formalmente impegnate a tutelare i loro alleati. Non ci furono comunque significative ostilità nelle terre dei Piscataway, dato che in quegli anni le tribù si erano fortemente indebolite, sia a causa delle malattie conseguenti al contatto con i bianchi, sia per le incursioni dei Susquehannock, che nel frattempo continuavano; gli Inglesi erano già impegnati a difendere se stessi dai Susquehannock, e poco potevano fare per i loro alleati indiani. Differentemente andarono le cose per i Nanticoke, che erano i più lontani dalla colonia e non erano stati interessati dall’attività dei missionari; a partire dal 1640 i coloni inglesi iniziarono a insediarsi sulle loro terre, in numero limitato, ma sufficiente a far sorgere i primi conflitti. A volte era il bestiame dei coloni che andava a pascolare tra i campi degli indiani, altre volte erano i coloni stessi che si stabilivano laddove i Nanticoke avevano i loro villaggi agricoli, che stagionalmente lasciavano per dedicarsi alla caccia e alla pesca; nascevano così dispute, incidenti, violenze, al punto che nel 1642 le autorità coloniali decisero di inserire i Nanticoke fra le tribù nemiche, dando formale inizio ad una guerra che si protrasse per quasi venti anni. La guerra dei Nanticoke fu un conflitto a bassa intensità, fatto per lo più di piccole scaramucce con i coloni, agguati e assassinii da ambo le parti, ma in due occasioni, nel 1642 e nel 1647, spedizioni punitive al comando del capitano John Pike, furono inviate dalle autorità coloniali del Maryland, a distruggere villaggi e campi dei Nanticoke. Le ostilità tra i Nanticoke e i coloni comunque si protrassero senza significativi risultati per nessuna delle due parti: i coloni continuavano a insediarsi sulle terre indiane, gli indiano continuavano con le loro azioni di guerriglia. In quello stesso periodo la colonia del Maryland, divisa da dissidi politici e religiosi interni, era anche impegnata a difendersi dai periodici raids dei Susquehannock, la cui aggressività era cresciuta, dopo che nelle loro terre erano giunti coloni svedesi, con cui commerciavano e che fomentavano gli attacchi ai rivali inglesi; i Susquehannock cessarono di rappresentare una minaccia intorno al 1655, quando gli Svedesi furono cacciati dagli Olandesi, e la tribù si trovò a dover sostenere l’aggressività della Lega Iroquois da nord. A quel punto essi cercarono e ottennero l’alleanza dei coloni del Maryland, oltre all’uso di terre su cui vantavano diritto i Piscataway, ormai troppo deboli per opporsi. Le ostilità tra Nanticoke e coloni, continuarono per tutti gli anni ’50, condotte principalmente da gruppi di volontari, che agivano indipendentemente dal governo coloniale. Nel 1651 Edmund Scarborough, un virginiano che si era stabilito nelle terre degli Accomac, nel sud della penisola, convinse altri coloni ad attaccare il villaggio di Pokomoke, abitato dai Wicomico che fino a quel momento si erano tenuti fuori dal conflitto: nell’attacco al villaggio perirono quindici indiani. Ancora nel 1559 sempre Scarborough raccolse circa trecento coloni a piedi e sessanta a cavallo, per una campagna contro gli Assateaque, che vivevano sulla costa atlantica della penisola; la campagna fu un fallimento, dato che tra le paludi e le lagune costiere, l’improvvisata armata di volontari, non riuscì nemmeno a trovare gli indiani. La guerra cessò formalmente nel 1661, quando il governo del Maryland stipulò un trattato con i Nanticoke e le altre tribù alleate, che stabiliva dei confini invalicabili tra bianchi e indiani; tensioni e occasionali incidenti, continuarono comunque fin quasi alla metà del ‘700. Più a sud in quegli stessi anni la Virginia viveva un periodo di pace dopo la dissoluzione della Confederazione Powhatan, turbato solo nel 1656 dalla minaccia dei “Ricahecrian”, una tribù misteriosa che discese il corso del fiume James fino alle vicinanze dell’attuale Richmond; non è chiaro chi siano i Ricahecrian , il cui nome in lingua Powhatan significa “da al di la dei monti”, ma l’ipotesi più accreditata è che si trattasse degli Erie una tribù di lingua Iroquaian, che era stata scacciata dalle sue terre a sud del lago che da loro aveva preso nome. Si trattava quindi di profughi in cerca di una terra e di un rifugio, ma il loro numero doveva essere tale da rappresentare una minaccia tanto per i coloni, quanto per gli indiani Pamunkey sottomessi agli Inglesi. La ragione dello spostamento di queste tribù va probabilmente cercata in ciò che nel frattempo accadeva più a nord. In quegli anni nella regione del laghi Erie e Ontario, una terribile guerra si era scatenata tra la Lega Iroquois e le tribù vicine per il controllo dei territori di caccia, e nel giro di alcuni decenni le conseguenze del conflitto furono immani, con intere popolazioni distrutte, altre costrette a fuggire per centinaia e centinaia di chilometri. Le spedizioni di guerra della Lega e dei loro nemici Susquehannock, fornite di armi da fuoco da mercanti olandesi, svedesi e inglesi, competevano fra loro e attaccavano le tribù vicine, ed è molto probabile che gli indiani che discesero il fiume James nel 1656 fossero profughi Erie che quello stesso anno avevano subito una rovinosa sconfitta ad opera della Lega I coloni della Virginia comunque non erano disposti ad accogliere altri indiani, e quello stesso anno in-
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viarono un contingente di rangers, a cui si unirono un centinaio di guerrieri Pamunkey, guidati dal loro capo Totopomoi, per convincere gli indiani ad andarsene. L’incarico prevedeva l’uso della forza solo come estrema ratio, ma giunto nelle vicinanze degli indiani, nei pressi dello Shocco creek, il colonnello Hill fece uccidere cinque capi che si avvicinavano per parlamentare. La reazione dei Ricahecrian fu terribile, Inglesi e Pamunkey costretti a ritirarsi con un gran numero di perdite: morti quasi tutti i guerrieri Pamunkey, compreso il loro capo e metà dei rangers. Dopo questa battaglia, che prese il La Chesapeake Bay alla metà del ‘600 nome di “Bloody Run”, nessuna iniziativa fu più assunta contro i Ricahecrian, che rimasero per breve tempo nella regione, prima di spostarsi ulteriormente a sud, verso le sorgenti del Savannah; qui questi profughi Erie sarebbero divenuti i temuti Westo, che prima di essere distrutti combatterono contro gli indiani e i coloni della regione. Nel 1663 lungo le coste a sud della Virginia, dove i coloni erano penetrati già dal 1640, una nuova concessione fu affidata dal re d’Inghilterra per la fondazione di una nuova colonia, che in onore del padre del re prenderà il nome di Carolina. Qui la popolazione indiana era già stata ridotta dalle malattie introdotte dai bianchi di Roanoke, quasi ottanta anni prima, e durante la Terza Guerra Powhatan i coloni avevano sconfitto le tribù che avevano tentato di resistere; gli indiani della regione si adattarono ai nuovi arrivati e si fecero da parte, alcuni come i Weapemoc vivendo ai margini del mondo dei bianchi e cercando di apprenderne i costumi, altri come i Chowan, i Machapunga (Secotan), i Pamlico, ritirandosi nell’interno. Erano passati poco più di cinquanta anni da quando un pugno di coloni, alla ricerca di oro inesistente, erano approdati sulle coste della Virginia, senza aver nemmeno di che sfamarsi durante l’inverno; di fronte a loro c’erano decine di migliaia di indiani, perfettamente adattati al loro ambiente che vivevano prosperamente. In due generazioni i rapporti si erano invertiti, e ora gli indiani ridotti a poche migliaia, avevano di fronte a se dieci, forse ventimila coloni, che li spingevano ai margini delle loro terre, imponevano loro tributi e ne distruggevano la cultura. In quegli stessi anni una vasta estensione di costa, era ormai diventata terra inglese, già punteggiata di villaggi e fattorie, presidiata da piccole guarnigioni, vietata agli indiani. A compiere questa impresa non era stata una armata di soldati di professione guidata da un capo, ma una formicolante moltitudine di uomini spinti dalla speranza, dietro cui si muovevano gli interessi di profitto di altri uomini, lontani, che nulla sapevano di quella terra e di quanto vi accadeva, ma che raccoglievano i ricchi frutti della colonia insanguinata. Gli indiani s’erano opposti uccidendo i bianchi a centinaia, probabilmente a migliaia, ma altri ne giungevano sempre; alla fine arresisi, speravano solo di poter vivere in pace, su quanto rimaneva delle loro terre, cercando di comprendere come il mondo cambiava e come essi potevano cambiare con esso; ma prima che ciò fosse loro concesso, altro sangue doveva essere versato.
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IL SUD-OVEST SPAGNOLO Juan de Onate e la fondazione del Nuevo Mexico
Alla fine del ‘500 le terre che si estendevano a nord della frontiera della Nueva Espana, l’attuale Messico, non erano più un territorio ignoto, essendo stato visitato da diverse spedizioni spagnole a partire da quella di Coronado del 1540, e poi successivamente da altre minori, non autorizzate e illegali, nel corso degli anni ’80 e nei primi anni ‘90 dello stesso secolo. Si conoscevano i popoli che abitavano quelle terre, i pacifici agricoltori Pueblo che costruivano villaggi con case di pietra e mattoni di fango e che una volta sottomessi e convertiti, potevano divenire sudditi tassabili del re di Spagna e lavorare per arricchire l’aristocrazia di “encomienderos”, i proprietari di terre e miniere, eredi dei primi conquistadores. Le leggende sulle “7 città d’oro di Cibola” che avevano indotto Coronado a prendere la via del nord più di mezzo secolo prima, non avevano trovato alcuna conferma, ma dopotutto nemmeno autentiche smentite e ancora circolavano e suscitavano speranze, come era accaduto al gruppo di fuorilegge e disertori guidati da Francisco de Bonilla e Antonio de Humana, che nel 1593 avevano preso la via del nord. D’altra parte la lunga Guerra Chichimeca che per quarant’anni aveva insanguinato le regioni del Messico centro-settentrionale e la conquista del Messico settentrionale, avvenuta tra il 1560 e il 1590 avevano impegnato le risorse del governo coloniale spagnolo, che per più di cinquant’anni, rinunciò ad assumere iniziative nelle lontane terre del nord. Nel 1595 comunque la Guerra Chichimeca era finalmente conclusa, mentre insediamenti, fazendas e miniere spagnole ormai erano sorti fin nel Messico settentrionale, nelle terre a sud del Rio Grande; inoltre nella lontana Spagna, dopo il tra- Juan de Onate
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collo della Invincibile Armada contro gli Inglesi nel 1588, negli ambienti di corte si sperava di rimpinguare le casse dello stato con un altro colpo fortunato come quelli di Cortez e Pizarro; si ponevano quindi le condizioni per un ulteriore balzo in avanti nell’espansione dei domini spagnoli in Nord America, verso le terre dei Pueblo. Della organizzazione di una spedizione di conquista nelle terre del nord, si iniziò a parlare già nel 1595, quando Luis de Velasco, vicerè della Nueva Espana, individuò Juan de Onate come l’uomo giusto per guidare la spedizione; Onate era il figlio di Cristobal de Onate, nobile e proprietario di terre e miniere, che aveva combattuto nella guerra di Mixton e soprattutto aveva scoperto i giacimenti d’argento nella regione di Zacatecas. Tra i compiti affidati a Onate c’era anche l’arresto della banda di disertori di Bonilla e Humana, partiti per il nord due anni prima, ma la spedizione, tra problemi logistici e organizzativi e i rallentamenti dovuti all’arrivo del nuovo vicerè Gaspar de Zuniga, non fu pronta prima del gennaio 1598. Juan de Onate non partiva semplicemente in cerca di ricchezze da predare, ma era intenzionato a stabilire una vera e propria colonia, della quale sarebbe divenuto governatore, e portava con se oltre 400 uomini, di cui 180 con la famiglia al seguito, soldati ma anche artigiani, oltre a diverse centinaia di servitori indiani del Messico e dieci missionari francescani; il convoglio era composto da oltre 80 carri di vario tipo e accompagnato da 7.000 capi di bestiame di ogni genere. La carovana si mise in movimento da Zacatecas in gennaio, per raggiungere Santa Barbara, il più settentrionale insediamento minerario spagnolo, nel sud di Chihuahua; da Santa Barbara Onate decise di non seguire la via del fiume Choncho fino a La Junta, dove esso confluisce nel Rio Grande, come avevano fatto i suoi predecessori, ma abbandonato il fiume, attraversò con una durissima marcia il deserto di Chihuahua, per raggiungere il Rio Grande in una località poco a valle dell’attuale città di El Paso. Alla fine di aprile, dopo un difficile guado delle vorticose acque del Rio Grande, Onate fece celebrare una messa e proclamò la sovranità del re di Spagna, su tutte le terre a nord del fiume. La spedizione continuò poi a risalire il fiume, passando sulla riva occidentale con un nuovo guado nella localita di El Paso, che per la prima volta viene indicata con questo nome dallo stesso Onate; la marcia proseguì fino all’estate inoltrata per raggiungere la terra dei Pueblo, sull’alto corso del Rio Grande. Dopo la spedizione di Coronado e la fiera resistenza opposta dai Tiwa, gli indianio Pueblo avevano incontrato in altre occasioni gli Spagnoli e avevano imparato a conoscerli, il fanatismo dei loro missionari e la crudeltà dei loro soldati; tendenzialmente pacifici avevano sempre cercato di evitare la guerra, salvo poi esserci indotti per ineludibile necessità. Anche in questa occasione se la loro accoglienza non fu amichevole, certamente non si mostrò ostile; d’altra parte la forza dell’armata di Onate era tale, che solo un’alleanza di tutte le tribù vi si sarebbe potuta opporre e tale alleanza non c’era. Onate potè quindi stabilire la capitale per la nuova provincia in un pueblo degli indiani Tewa, che rinominò San Juan de los Caballeros; gli abitanti del villaggio si trasferirono in un pueblo sulla sponda opposta del Rio Grande. Come aveva già fatto Coronado a suo tempo, Onate era intenzionato ad esplorare la regione per cercare risorse minerarie L’assedio di Acoma
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e altre ricchezze, ma la prassi usuale degli Spagnoli di requisire provviste dai villaggi indiani, produsse presto quei conflitti che i Pueblo avevano cercato di evitare. All’inizio di dicembre una squadra di sedici uomini al comando del nipote di Onate, Vincente de Zaldivar, fu inviata presso il pueblo Keres di Acoma per imporre la sottomissione degli indiani e chiedere loro provviste, ma il capo di Acoma Zutapacan che aveva già deciso di non opporsi agli Spagnoli, non potè soddisfare le loro richieste di cibo, dato che anche il villaggio era in difficoltà; ne seguì una lite durante la quale gli Spagnoli offesero delle donne indiane, scatenando la reazione dei guerrieri Keres che uccisero dodici soldati, compreso Vincente de Zaldivar. La reazione di Onate fu durissima, tesa a dare un esempio che imponesse a tutti i Pueblo di non osare più alcuna resistenza agli Spagnoli, e inviò Juan de Zaldivar, fratello di Vincente e una settantina di soldati con un piccolo cannone a porre l’assedio ad Acoma. Acoma era allora il principale villaggio dei Keres abitato da 2 o 3.000 indiani, più gli altri che vivevano nelle vicinanze e vi erano accorsi per timore degli Spagnoli, poteva contare su più di mille guerrieri, ed era in una posizione ben difendibile; il 22 gennaio del 1599 gli Spagnoli avevano raggiunto il pueblo, e per due giorni vi furono scaramucce senza alcun risultato, poi Juan de Zaldivar, con una dozzina di uomini, riuscì a portare il cannone in una posizione adatta a colpire il villaggio, le cui case furono presto in fiamme. I colpi di cannone probabilmente gettarono nel panico gli indiani, permettendo al resto degli Spagnoli di irrompere nel Pueblo e iniziare una vera e propria carneficina; le stime parlano di circa 500 guerrieri e 300 donne massacrati, più 500 prigionieri, mentre i superstiti fuggivano abbandonando il villaggio. Drammatica fu la sorte dei prigionieri che portati a San Juan, furono sottoposti ad un processo sommario alla fine del quale tutti, uomini e donne furono condannati a venti anni di lavoro servile e divisi fra le famiglie spagnole; in aggiunta gli uomini sopra i ventiquat- L’itinerario di Juan de Onate tro anni subirono l’amputazione del piede destro, anche se pare che alla fine a subire l’amputazione furono solo ventiquattro indiani, probabilmente perché un servo monco di un piede non l’avrebbe voluto nessuno. Due indiani Hopi ospiti dei Tewa, subirono anch’essi l’amputazione del piede destro e furono rimandati al loro lontano villaggio, perché anche la loro tribù conoscesse la legge spagnola. Forse i Pueblo avrebbero comunque accettato la sottomissione agli Spagnoli, ma certamente se qualche ipotesi di resistenza era serpeggiata fra gli indiani, il massacro di Acoma vi pose fine. Ancora un massacro avvenne tra i Tompiro, la più meridionale tra le tribù Pueblo e la più lontana dalla zona in cui gli Spagnoli si erano stabiliti, che viveva in una decina di villaggi a est del Rio Grande nel New Mexico centrale. Alla fine del 1600 una spedizione spagnola inviata a requisire cibo, pelli e coperte, nella zona delle Sandia Mountains, non soddisfatta di quanto ottenuto bruciò un intero villaggio; pochi giorni dopo due soldati isolati venivano ammazzati dai Tompiro. Nel gennaio del 1601 ancora una volta Juan de Zaldivar, “macellaio di Acoma” fu inviato per la rappresaglia: probabilmente esagerando egli dichiarò di aver ucciso 900 Tompiro; anche se furono solo la metà, fu un altro massacro.
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In quello stesso 1601 gli indiani di Acoma tornarono al loro villaggio e ristabilivano la loro comunità; per gli indiani Pueblo iniziava un lungo periodo di sofferenze e sopraffazioni, a cui malgrado tutto seppero sopravvivere: Acoma, ancora oggi è il più antico centro abitato d’America, essendo stato fondato nel X secolo. Per Onate la crudele sopraffazione dei Pueblo, non aveva risolto la questione fondamentale: su quali ricchezze poteva contare la sua colonia ai confini del mondo? Ancora una volta la risposta fu cercata nella terra dei bisonti.
La spedizione nelle Grandi Pianure Tra gli incarichi affidati a Juan de Onate nelle terre del Nuevo Mexico vi era anche quello di arrestare la banda di disertori che al seguito di Francisco de Bonilla e Antonio de Humana, si erano recati illegalmente nelle terre dei Pueblo, dove si credeva di trovarli; quando Onate però raggiunse la regione, il destino della banda di fuorilegge s’era già compiuto, in qualche luogo lontano delle pianure dei bisonti, laddove nessun uomo bianco si era mai spinto. Tra i Pueblo vi era però il servitore indiano di Humana, quel Jusepe che l’aveva accompagnato quasi fino alla fine del suo viaggio, abbandonandolo in tempo per salvarsi la vita e riuscire a fare ritorno nella terra dei Pueblo, dopo un anno di prigionia tra gli Apache. Jusepe fece ad Onate un resoconto della sua esperienza, dal quale in alcun modo era possibile illudersi della possibilità di trovare nelle terre dei bisonti alcuna città favolosa, e che la Quivira di cui si favoleggiava, era solo un grande villaggio agricolo, in una terra più ricca degli aspri deserti del Nuevo Mexico. Il racconto di Jusepe non poteva che confermare quanto già appurato da Coronado quasi sessanta anni prima, dopo la sua esplorazione delle praterie che si estendevano a est; ciò nonostante l’illusione di trovare quelle ricchezze che tra i Pueblo non c’erano, era più forte di qualsiasi testimonianza diretta, e anche Juan de Onate si avventurò nelle inesplorate pianure, inseguendo l’ultima speranza. Nella primavera del 1601, circa 130 soldati spagnoli e altrettanti alleati indiani, con centinaia di cavalli e muli, tredici preti e la guida di Jusepe, lasciavano San Juan de los Caballeros e varcavano i monti Sangre de Cristo, per raggiungere il fiume Canadian e seguirne il corso in direzione est, fino a raggiungere le rigogliose praterie orientali, dove Onate rimase colpito dall’altezza dell’erba. La spedizione attraversò le terre dei bisonti lungo il confine degli attuali stati del Kansas e dell’Oklahoma, fin quando in una località che potrebbe essere nelle vicinanze del Salt Fork, un affluente dell’Arkansas, si incontrarono con una grande tribù di cacciatori di bisonti, che Onate chiama Escansaque. Non ci sono certezze su chi fossero questi Escansaque, anche se diversi elementi inducono a ritenere si trattasse di Apache delle Pianure, antenati degli Jicarilla: in primo luogo il termine Escansaque ricorda il nome Cancy, usato dai Pawnee e Wichita per definire i loro nemici Apache; a ciò va aggiunto che in base alle testimonianze, essi non coltivassero la terra, ma vivessero esclusivamente di bisonti; anche l’uso di grandi capanne cupoliformi, circolari o ovoidali, ricoperte di pelli, diverse dai piccoli tepee conici della tradizione nordica degli Atapaskan, ma simili a quelle di cui è rimasta traccia in alcuni villaggi occupati dagli Apache delle pianure in Nebraska e South Dakota, nel corso della loro migrazione verso sud; un ultimo elemento è lo scarso potere dei capi, tipico delle bande Apache, poco coese e refrattarie a ogni gerarchia. D’altra parte lascia qualche dubbio il fatto che gli Spagnoli, che avevano già avuto qualche esperienza con gli Apache, non abbiano identificato gli Escansaque come Apache; non è nemmeno possibile escludere che le differenze tra Apache Jicarilla, che all’epoca non avevano ancora raggiunto il Texas e vivevano nella zona tra Kansas e Colorado, e i Lipan, già presenti nel Texas nord-occidentale, e già venuti in contatto con gli Spagnoli, fossero tali da non permettere agli Spagnoli di collegare i due gruppi. Gli Escansaque si erano riuniti in grande numero per preparare un attacco ai loro nemici Rayado, un popolo agricolo, la cui descrizione coincide con quella dei Wichita storici e con gli abitanti di Quivira dei tempi di Coronado; il villaggio dei Rayado è stato individuato alla confluenza del fiume Walnut con l’Arkansas, molto più a sud di dove Coronado trovò Quivira, ma per il resto abitazioni, modello di insediamento e abitudini coincidono; i Rayado poi, come era uso tra i Wichita e i popoli Caddoan in genere, avevano capi rispettati, al vertice di una complessa gerarchia sociale. Con il termine Wichita si intendono una serie di tribù affini, i Tawakoni, Taweash, Yscani ecc…, ed è quindi quasi certo che le genti incontrate da Onate e Coronado non fossero le stesse, ma è sicuro che esse fossero linguisticamente e culturalmente affini. L’accoglienza degli Escansaque agli Spagnoli fu cordiale ed essi cercarono di convincere Onate a unirsi a loro nell’attacco ai Rayado; Onate al contrario cercò di convincere gli Escansaque alla pace, poi ottenute delle guide proseguì in direzione del villaggio dei Rayado. Lungo la via una grossa banda di Rayado si
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La spedizione di Onate attraverso le Grandi Pianure
presentò mostrando di essere pronta a combattere, ma gli Spagnoli li convinsero a parlamentare e a condurli al loro villaggio. Al loro arrivo comunque il villaggio era stato evacuato e gli Spagnoli, per essere sicuri di non avere sorprese, presero il capo in ostaggio, avendo cura di trattarlo bene. Secondo quanto riporta lo stesso Onate i Rayado erano un popolo più laborioso, unito e obbediente ai capi, che a lui piaceva più degli Escansaque, ma i Wichita dovevano vederla diversamente e non ricambiavano l’apprezzamento. Quando gli Spagnoli continuarono a inoltrarsi nel loro territorio, con il capo come ostaggio, iniziarono a radunarsi lungo il loro cammino, lanciando segnali minacciosi; alla fine Onate ritenne opportuno fare marcia indietro, ma appena uscito dalle terre dei Rayado, i problemi sorsero con gli Escansaque, dato il rapimento di alcune donne e bambini della tribù, con lo scopo dichiarato, di far loro conoscere la fede cristiana. Lo “zelo missionario” degli Spagnoli scatenò la rabbia degli Escansaque, i cui guerrieri (1.500 secondo Onate) decisero di attaccarli; fu questa la prima battaglia combattuta dai bianchi nelle Grandi Pianure, e i cavalli fecero la differenza: gli Spagnoli non ebbero nessuna vittima, ma tanti feriti, mentre le perdite degli indiani furono ingenti. Tra i ragazzi rapiti dagli Spagnoli, vi era un giovane prigioniero degli Escansaque, che fornì informazioni circa gli abitanti della regione, che permisero la stesura di una prima mappa dell’area. Tra i popoli citati vi sarebbero i Toncao, una tribù stanziata a sud-ovest dei Rayado, il cui nome ricorda evidentemente quello dei Tonkawa, e se tale coincidenza fosse accertata, ciò significherebbe che questa tribù era all’epoca stanziata molto più a nord del suo territorio storico, nel Texas centro-orientale; in tal caso essi sarebbero stati cacciati a sud dagli Apache delle Pianure, con cui in effetti i rapporti furono ostili fino alla metà dell’800. D’altra parte il nome Toncao, può anche essere collegato a Tawakoni, una tribù Wichita certamente presente nella regione. Non è chiaro se i Toncao parlassero una lingua simile a quella dei Rayado e fossero agricoltori, nel qual caso essi non potrebbero essere in alcun modo collegati ai Tonkawa, che parlavano una lingua diversa da ogni altra tribù, e furono sempre e solo cacciatori nomadi. Nei decenni successivi i rapporti con la regione furono scarsi, ma non si ebbe più notizia dei Toncao, mentre nella stessa regione si fa spesso riferimento agli Aguascanes, che probabilmente erano gli Escansaque di Onate. Dopo la battaglia contro gli Escansaque la spedizione spagnola nelle Grandi Pianure si concluse, come in altri casi, con un nulla di fatto e alla fine di novembre gli Spagnoli erano di nuovo tutti a San Juan de los Caballeros, in previsione di un altro difficile inverno. Come già aveva verificato Coronado, la terra dei Pueblo non era una terra ricca, ma Juan de Onate a differenza di Coronado, non era venuto solo in cerca di ricchezze da depredare, ma con l’intenzione di fondare una colonia di cui essere il governatore, e gli indiani Pueblo non si sarebbero liberati di lui.
L’inutile conquista L’organizzazione della nuova colonia comunque non fu cosa semplice: ricchezze minerarie non ve ne erano, la terra offriva i suoi scarsi frutti solo con un duro lavoro, come ben sapevano i Pueblo che vi risiedevano da millenni, in più essa era lontana dagli insediamenti più settentrionali del Messico, divisa
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da un territorio in gran parte desertico e abitata da popoli nomadi e aggressivi. Dopo il ritorno dalla spedizione nelle Grandi Pianure Onate decise di trasferire la sua capitale in un pueblo vicino sull’altra riva del Rio Grande, che denominò San Gabriel, poi tentò di affrontare la questione del collegamento della colonia, sperando di poter stabilire un porto sulla costa, dove poter far giungere i rifornimenti via mare. A questo La spedizione al fiume Colorado scopo nel 1604 organizzò una spedizione esplorativa di poche decine di uomini, che si spinse a ovest, e dopo essere passati attraverso le terre degli Zuni e degli Hopi, discese il fiume Bill Williams fino alla sua confluenza con il Colorado, seguendo poi i corso del fiume fino al mare. In queste regioni, già visitate ai tempi di Coronado da Hernando de Alarcon e Melquiades Diaz, i suoi uomini incontrarono i Mohave, lungo il Colorado, gli Halchidoma, presso la confluenza del Gila, e i Cocopa, i Kohuana e gli Halikwamay più a valle presso la costa. Si trattava di tribù di lingua Yuman, un sottogruppo della grande famiglia Hoka,che vivevano in piccoli insediamenti agricoli lungo il fiume, approfittando delle piene che rendevano il terreno fertile, e avevano dato vita ad una cultura nota come Patayan. L’incontro con gli Spagnoli non sfociò in ostilità, ma non ebbe seguito, perché il progetto di un porto alla foce del Colorado non prese mai corpo. Negli anni successivi ogni illusione sulle possibilità di arricchimento della colonia scomparve definitivamente: per il cibo gli Spagnoli dipendevano in larga misura dall’imposizione di tasse e tributi agli indiani, i quali con le poche risorse che la terra garantiva, faticavano anche a sfamarsi; un po’ d’allevamento poteva essere praticato, ma era anch’essa un’attività povera, e comunque sempre sottoposta al rischio di predazione da parte degli indiani nomadi, che circondavano le terre dei Pueblo. Gli indiani dei Pueblo si mostravano pacifici e remissivi, i loro capi davanti alla potenza delle armi degli invasori e alla crudeltà mostrata ad Acoma, s’erano recati a fare atto di sottomissione e accettavano di pagare tasse e tributi, ma l’attività dei missionari era fortemente contrastata con una sorta di resistenza passiva, mentre nel chiuso dei loro “kivas”, le stanze a pozzo circolari presenti in ogni pueblo, essi continuavano a praticare in segreto la loro religione; il timore di una rivolta era sempre presente, e gli Spagnoli erano comunque un pugno di uomini, non più di un centinaio, circondati da migliaia di indiani e lontani da ogni aiuto. Presto tra i coloni che erano giunti con Onate il malessere crebbe, e con esso il desiderio di abbandonare la regione e l’impresa, ormai evidentemente di scarso profitto; Onate dal canto suo era invece determinato a perseguire il suo progetto e impedì ogni tentativo di lasciare la colonia, mentre continuava a inviare rapporti alla corona, che presentavano una situazione molto migliore che nella realtà, e organizzava la colonia in distretti, dotandola di una sorta di struttura amministrativa. Alla fine dalla colonia, i suoi oppositori riuscirono a far giungere notizie in Spagna, e nel 1606 il re chiamò Onate per rispondere delle accuse che gli erano state rivolte: crudeltà verso i coloni e gli indiani, con esplicito riferimento al massacro di Acoma, e false comunicazioni al re. Nel 1607 Onate dovette dimettersi e il vicerè della Nueva Espana, scelse per sostituirlo un colono, Juan Martinez de Montoya, che era stato tra i suoi oppositori; a quel punto la fazione favorevole a Onate non riconobbe Montoya, e decise di eleggere il giovane figlio di Onate, Cristobal. Durante il breve periodo in cui Montoya fu governatore, egli lanciò una spedizione punitiva contro i nomadi dell’ovest, quasi certamente Navajo, responsabili di avergli rubato del bestiame. Nel 1610 Onate si recava in Spagna a difendersi dalle accuse e lasciava definitivamente il Nuevo Mexico, dove non avrebbe più fatto ritorno, mentre il nuovo governatore in-
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viato dal re, Pedro de Perralta raggiungeva la colonia, insieme a 150 coloni e alcune centinaia di indiani messicani; nel frattempo Onate e il suo seguito, viaggiavano in direzione sud per tornare in Messico, ma poco dopo la partenza furono assaliti da un gruppo di indiani, forse gli stessi Navajo attaccati da Montoya, e nello scontro il figlio di Onate Cristobal rimase ucciso. Con la morte di suo figlio Onate sugellava la fine delle sue ambizioni. Quando re Filippo III ebbe il quadro reale della situazione del Nuevo Mexico, la sua intenzione fu quella di abbandonare la lontana e improduttiva regione, una inutile conquista che rischiava di produrre più costi che benefici; per i Pueblo ciò avrebbe potuto garantire forse un altro secolo di libertà e magari un destino diverso. Fu la Chiesa, su pressione dei missionari locali, che fece sentire il suo peso; vantando di aver già convertito 7.000 indiani, che a quel punto non potevano essere abbandonati a se stessi, i missionari riuscirono ad ottenere di tenere aperta la colonia, in cui nel 1610 giunse con il nuovo governatore, frate Isidro Ordonez “presidente” delle missioni, un francescano fanatico assertore del potere della Chiesa, tanto sugli indiani quanto sulle stesse autorità civili. Se la Florida con le sue paludi era di scarso interesse economico, essa aveva almeno una posizione geografica di interesse militare strategico; il Nuevo Mexico, terra di montagne e deserti ai confini del mondo, non interessava nemmeno per stabilirvi presidi militari. L’unica sua risorsa erano dei pacifici e laboriosi contadini, le cui anime e le cui braccia dovevano essere dedicate al dio dell’uomo bianco. Semmai un popolo dovette le sue disgrazie esclusivamente allo zelo missionario, questi furono i Pueblo.
Zelo e avidità: gli Spagnoli tra i Pueblo
Come e ancor più della Florida, l’altro possedimento spagnolo in Nord America, il Nuevo Mexico fu terra di missioni; nessuna ragione geopolitica o interesse economico giustificavano il mantenimento di quella colonia ai confini del mondo, remota anche rispetto alle terre del Messico: se Juan de Onate aveva fondato la colonia, era solo per i Francescani che essa sopravvisse al suo fondatore, i missionari se ne sentivano i padroni, e i rappresentanti civili e militari del governo spagnolo, erano presenti solo per favorire il loro lavoro. Però a differenza che in Florida, la penetrazione dei missionari fu molto più difficile. Come i Timucuan della Florida, i Pueblo avevano una organizzazione sociale in cui i capi religiosi e spirituali avevano una grande importanza, Danza Katchina celebrata in un Pueblo a fine ‘800. I Pueblo lottarono secoli per ma a parte questo aspetto le preservare religione e cultura differenze tra i due popoli erano notevoli, e ciò produsse situazioni e problematiche completamente diverse. A differenza dei Timucuan, che avevano una organizzazione sociale stratificata con elites tribali in grado di imporre le loro scelte alla comunità, i Pueblo avevano una organizzazione molto più democratica, in cui i capi e i sacerdoti non erano esponenti di
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una casta superiore, ma espressione dei clan, i gruppi famigliari allargati, che erano alla base dell’organizzazione sociale. Come membri anziani e autorevoli dei clan, i capi e i sacerdoti erano inseriti nel sistema di relazioni economiche e sociali della tribù e non sovrapposti e al vertice di tali relazioni; a differenza dei capi Timucuan che spesso nell’accogliere la fede cristiana (insieme ai regali degli Spagnoli), accentuavano il loro status separato e più elevato, rispetto agli altri membri della comunità, per le elites tribali dei Pueblo, l’accettazione del cristianesimo era la premessa della distruzione di quel sistema di relazioni sociali e credenze religiose, di cui essi erano espressione; tra i Pueblo un capo o un sacerdote, non erano tali perché parte di una casta superiore, che nel rapporto con i potenti colonizzatori poteva ottenere ulteriore legittimazione, ma perché espressione di una comunità autonoma che i missionari però ponevano sotto tutela, negando ogni autonomia. Così se fra i Timucuan l’attività missionaria trovò spesso il supporto dei capi, con una sorta di alleanza tra elites tribali e potere spagnolo, tra i Pueblo i capi, e soprattutto i capi spirituali, furono il cuore della resistenza. Di conseguenza mentre tra i Timucuan della Florida l’attività di conversione si sviluppò per quasi sessant’anni senza conflitti, e quando poi un conflitto si produsse, esso non coinvolse i missionari, nella provincia del Nuevo Mexico, complotti, ribellioni e azioni cruente furono frequenti, e i missionari ne furono le prime vittime, tra gli Spagnoli. Le periodiche tensioni con i Pueblo non erano però l’unico problema per la colonia, dato che intorno alle terre dei Pueblo, vagavano indiani nomadi, gli Apache e i Navajo, la cui tendenziale aggressività crebbe con la progressiva diffusione del cavallo, che favorendo gli spostamenti, trasformava bande di indiani che vagavano a piedi in terre semidesertiche, alla perenne ricerca di cibo, in pericolosi predoni in grado di colpire e poi scomparire nelle terre ignote. Il cavallo ovviamente permetteva alla bellicosità di esprimersi, ma essa aveva diverse ragioni che la alimentavano. Sicuramente il comportamento degli Spagnoli, che non potendo sfruttare questi indiani nomadi come i pacifici e sedentari Pueblo, li consideravano solo come possibili schiavi e non perdevano occasione per catturarli e venderli alle miniere d’argento del Messico. C’era poi il bestiame, pecore, capre, buoi e cavalli, che portati dagli Spagnoli suscitavano la bramosia dei nomadi; i Navajo in particolare, proprio in quel periodo stavano cominciando ad abbandonare il nomadismo, per dedicarsi ad un po’ di agricoltura, e iniziarono anche a praticare l’allevamento di pecore e capre, rubate agli Spagnoli: nei due secoli successivi la pastorizia diverrà una delle principali attività tribali. Non ultimo c’era l’interruzione, voluta dagli Spagnoli, di quelle relazioni commerciali tra indiani Pueblo e nomadi Apache e Navajo, che in qualche modo s’erano costruite nei secoli precedenti. Sicuramente nei periodi di raccolti poveri e di scarsità di selvaggina, i due gruppi confliggevano e i nomadi potevano razziare i campi agricoli spinti dalla fame, ma quando entrambi i gruppi producevano un surplus, di selvaggina, di pelli, di mais, di prodotti artigianali, allora malgrado le diffidenze, avvenivano scambi, reciprocamente profittevoli. Gli Spagnoli vietarono tali scambi, sia per evitare contatti tra gli indiani sottomessi e convertiti e i nomadi, sia per porre sotto controllo tutte le attività economiche dei Pueblo. Messi ai margini, Apache e Navajo si prendevano con la forza ciò che avrebbero ottenuto con gli scambi, razziando i Pueblo dominati dagli Spagnoli. Dati questi fattori la guerra tra Spagnoli e nomadi Apache e Navajo fu costante e nessuna delle due parti prese mai in considerazione, almeno per tutto il ‘600, la possibilità se non di una pace, almeno di una tregua.
Le missioni di San Miguel a Santa Fè (1610) e di San Esteban ad Acoma (1629)
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Ma non erano solo gli indiani a creare problemi allo sviluppo della colonia, dato che per gran parte del tempo gli Spagnoli stessi furono impegnati in aspri conflitti interni, tra gli esponenti del clero e le autorità civili. La principale ragione del contendere riguardava il trattamento degli indiani, cioè in ultima analisi l’am- Una vecchia immagine del palazzo del governatore a Santa Fè ministrazione dell’unica ricchezza di cui la colonia disponeva, la forza lavoro degli indiani: sia i frati che i coloni, tutti dipendevano dal lavoro e dai tributi degli indiani. In questa disputa il clero agiva con molta più determinazione che non l’amministrazione civile, e mentre la popolazione laica della colonia non superava le poche centinaia di civili, per lo più concentrati nella nuova capitale Santa Fè e in poche fattorie e allevamenti nei dintorni, vivendo in modo sostanzialmente parassitario, i missionari operavano presso i villaggi indiani, fondando almeno una quindicina di missioni, con chiese in muratura, economicamente autonome e produttive. Attraverso le missioni, i Francescani controllavano l’attività agricola degli indiani, introducendo nuove tecniche artigiane e colture agricole, promuovendo l’allevamento e la costruzione di edifici, salvo poi vedersi sottratti il frutto della loro “impresa”, attraverso l’imposizione di tributi alle comunità indiane da loro controllate, da parte dell’amministrazione civile. I problemi iniziati già con l’arrivo del successore di Onate, Pedro de Perralta, insieme al presidente dei Francescani frate Isidro Ordonez, si ripeterono poi con quasi tutti i successivi governatori, per i quali l’assunzione dell’incarico, era solo l’opportunità per lucrare su di esso. Oltre ai tributi alcuni governatori promossero piccole manifatture tessili, approfittando della competenza dei Pueblo in tale arte; ovviamente la produzione veniva venduta privatamente dal governatore stesso. C’era poi il commercio illegale degli schiavi, osteggiato dai missionari, che vi vedevano una minaccia per il loro lavoro di conversione, ma che era ampiamente tollerato, se non esplicitamente giustificato, se ne erano vittime indiani pagani e ribelli. Altri piuttosto che cacciare gli Apache per venderli come schiavi, mantenevano con essi illegali e lucrosi scambi, soprattutto di pelli o magari di bestiame frutto di razzie proprio in qualche missione. Dalla metà del ‘500 il sistema dell’encomienda, che riproponeva nelle colonie la servitù della gleba feudale, era stato reso meno duro, ma ovviamente ogni tutela per gli indiani poteva essere tolta in caso di indiani ribelli, indebitati o sospettati di ritorno al paganesimo; il governatore aveva anche quindi l’autorità per inasprire o meno la condizione degli indiani, e di questo potere faceva uso in base ai suoi interessi. Quasi tutti i governatori che si succedettero nel corso del ‘600, badarono principalmente al loro arricchimento e quei pochi che cercarono di collaborare con la Chiesa, per gli indiani a volte furono anche peggiori, divenendo uno spietato strumento di repressione nelle mani dei missionari. I dissidi tra i due poteri furono subito chiari quando mentre il governatore Perralta fondava la nuova capitale Santa Fè, frate Ordonez stabiliva la sua sede poco più a valle sul Rio Grande, nel pueblo di San Domingo, con il proposito di farne la “Roma del Nuovo Mondo”. Il conflitto tra i due personaggi assunse tinte grottesche: la scomunica di Perralta da parte di frate Ordonez affissa sulla chiesa, il pellegrinaggio a piedi scalzi e con il cero in mano di Perralta, poi il tentativo di questi di ammazzare frate Ordonez, il ferimento accidentale di un altro missionario, e infine l’imprigionamento e la messa in catene di Perralta, da parte di frate Ordonez. Il successore di Perralta Bernardino de Ceballos, fu anch’egli scomunicato, prima che frate Ordonez fosse richiamato in Spagna. Quello successivo, Juan de Eulate, fu denunciato dai missionari perché istigava gli indiani al ritorno alla religione tradizionale, e anche di usare il lavoro servile degli indiani per favorire i suoi amici; Eulate dal canto suo contestava l’impiego degli indiani
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Villaggi indiani e missioni nella terra dei Pueblo alla prima metà del ‘600
nell’edificazione di chiese, ritenendoli più utili per i campi e gli allevamenti. Dopo Eulate ci fu Felipe de Sotelo Osorio, che in spregio ai frati, pretendeva che i suoi soldati si mettessero sull’attenti al suo arrivo, anche se erano inginocchiati durante una funzione religiosa. Nella seconda metà degli anni ’30, il governatore Luis de Rosas, trafficante di schiavi, impegnato nel commercio illegale, proprietario di fattorie e laboratori artigiani in cui lavoravano indiani, concesse al villaggio di Pecos il diritto a praticare i loro riti tradizionali, in cambio di un raddoppio dei tributi. Accusato di eresie dai frati, de Rosas venne cacciato con una rivolta e l’ammutinamento dei suoi soldati, dopo sedici mesi di una sorta di guerra feudale fra Santa Fè e San Domingo; de Rosas finì poi incarcerato e quindi assassinato in cella prima del processo. Il conflitto fu esplosivo all’inizio degli anni ’60 con Bernardino Lopez de Mendizabal, che oltre ad organizzare spedizioni a caccia di schiavi, impose tributi agli indiani delle missioni, raddoppiò le paghe agli indiani che lavoravano per i civili e difese il diritto degli indiani a praticare la loro religione; la sua scelta di scegliere come rappresentate civile del pueblo di Taos, l’assassino del precedente missionario, chiarisce i rapporti di Mendizabal con il clero. Accusato, fra le altre cose, di una vita sessuale dissoluta, tanto lui quanto sua moglie, alla fine fu anch’egli cacciato dai francescani, che riuscirono a farlo sostituire. Comunque anche il suo successore fu costretto ad abbandonare l’incarico e dopo la scomunica e analoghe accuse da parte dei francescani. In questo quadro di caos politico e amministrativo, guerra costante con le popolazioni nomadi e fortissimo controllo repressivo per le comunità agricole, gli indiani Pueblo furono le vittime di tutti, predati da Apache e Navajo, derubati con i tributi dalle autorità civili, sottoposti a controllo strettissimo dai missionari al fine di distruggerne cultura e religione. Degli oltre cento villaggi che punteggiavano l’alta valle del Rio Grande, con una popolazione di forse 40.000 individui all’arrivo di Onate, prima della meta del ‘600 ne erano rimasti poco più di 40 e la popolazione indiana calò in proporzione. Ovviamente il calo demografico dei Pueblo, era un ulteriore elemento di crisi della colonia, che dal loro lavoro dipendeva.
Complotti e ribellioni
Popolo di contadini i Pueblo avevano probabilmente accettato i dominatori spagnoli, come una sorta di catastrofe naturale, una siccità o una malattia del grano, che si doveva superare ma a cui era inutile opporsi; i Tiwa del Sud s’erano opposti ai tempi di Coronado, e così gli indiani di Acoma o i Tompiro,
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ma malgrado il numero e il coraggio, sempre gli Spagnoli avevano vinto e gli indiani erano stati massacrati. Così forse la pensavano i Tewa, i cui villaggi erano proprio nella zona di Santa Fè e Santo Domingo, nel cuore del dominio spagnolo, che furono i primi a essere cristianizzati in massa dopo l’arrivo dell’armata di Onate; così forse anche i Tiwa del Sud, che già Il pueblo di Jemez in una foto della seconda metà dell’800 avevano subito la distruttiva guerra degli Spagnoli. Presso altre tribù, più lontane da Santa Fè e San Domingo il controllo spagnolo non poteva raggiungere ogni pueblo e ogni kivas, e gli indiani continuavano a praticare in segreto i loro riti; era questa la loro rivendicazione di identità e la loro resistenza passiva. I missionari cercavano di mantenere il controllo usando gli indiani convertiti come spie, e questo faceva nascere la diffidenza e le fazioni fra gli indiani; le punizioni per chi era scoperto erano la pubblica fustigazione, ma si poteva giungere anche al rogo: nel 1655 a Oraibi, un pueblo degli Hopi, un missionario in un atto di rabbia giunse cospargere di trementina un indiano sospettato di seguire la religione tradizionale, e poi dargli fuoco. I missionari seppero farsi odiare. Questa era la vita dei Pueblo sotto il dominio spagnolo: far buon viso al missionario quando veniva in visita al villaggio, con il timore che una spia potesse far giungere una denuncia, poi quando il missionario ripartiva riunirsi nel segreto dei kivas, per celebrare i propri riti. Occasionalmente un rifiuto, un gesto di protesta, una ribellione, in una condizione di costante tensione; nell’ottobre del 1613 gli abitanti di Taos si rifiutarono di pagare i tributi imposti dagli Spagnoli, poi quello stesso anno i Jemez furono accusati dell’ omicidio di un indiano convertito di Cochiti, e alcuni di loro furono giustiziati, scatenando la rivolta della tribù, prontamente repressa. In quegli stessi mesi Frate Ordonez preparava un intervento contro Acoma, che era divenuto il centro dei pagani. La pace dei missionari era quanto mai precaria. Quando nel 1618 si insediò il governatore Juan de Eulate, forse uno dei meno corrotti, il controllo degli indiani era più formale che reale, il pagamento dei tributi non era regolare, alcune comunità mostravano esplicita ostilità verso i missionari, da qualche altra parte gli indiani si dividevano in fazioni tra convertiti e pagani. Intorno agli anni ’20 Eulate dovette intervenire con Il pueblo di Zuni in una foto della seconda metà dell’800
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una serie di operazioni repressive, prima contro gli abitanti di Gran Quivira, anche nota come Las Jumanas, un pueblo Tompiro che era sede di scambi tra Pueblo e nomadi delle pianure e che fu distrutto; poi fu la volta dei Tiwa del Nord di Picuris, che si erano ribellati; nel 1623 i Jemez uccisero il missionario, e furono puniti, quindi Eulate dovette intervenire tra gli Zuni, per sedare un principio di guerra civile e difendere gli indiani convertiti. Infine intervenne ad Acoma, i cui abitanti rimanevano ostili, distruggendo parte delle difese della rocca. Nel 1620 il governo spagnolo aveva deciso che in ogni villaggio dovesse esserci un rappresentante del potere civile, e così indiani fidati venivano scelti come capi; alla fine del mandato di Eulate, i tributi giungevano regolarmente. Comunque il suo successore Felipe de Sotelo Osorio , dovette ancora reprimere i Jemez, non placati. Nel 1629 i missionari spinsero la loro attività ai Pueblo dell’ovest, i Keres, gli Zuni, i lontani Hopi. Al pueblo di Zuni il missionario giunse insieme al governatore Francisco de Silva Neto, e 30 uomini in armi, e venne accolto in pace. Ma alla lunga le cose non funzionarono e nel 1632 il nuovo missionario, giunto da una settimana, venne ammazzato dagli Zuni; altri missionari furono uccisi ad Hawikuh, e tra gli Hopi, ad Oraibi. De Silva organizzò una spedizione punitiva, ma per una nuova missione tra gli Zuni, si dovette attendere fino al 1643. Nel 1639 furono di nuovo i Jemez, insieme ai Tiwa del Nord di Taos e Picuris, a cacciare i missionari, che tornarono solo nel 1644, insieme alla punizione degli Spagnoli. Quell’anno il governatore Fernando de Arguelo Carvajal, uno dei pochi non in lite con i missionari, punì gli indiani di Jemez con 29 impiccagioni e decine di arresti e imprigionamenti; l’accusa era di tradimento per essersi alleati con gli indiani nomadi, Apache e Navaho. Jemez era il villaggio più vicino ai Navajo, con cui spesso c’erano stati scambi e commerci, e certamente la comune ostilità verso gli Spagnoli era una buona base per ristabilire le normali relazioni che gli Spagnoli avevano interrotto; simili rapporti avevano i Tiwa del nord e i Pecos con gli Apache delle pianure, così come i Tompiro con i nomadi Jumanos, che spesso svernavano presso i loro pueblo. Quasi tutti questi popoli furono i più riottosi e ribelli al controllo spagnolo, e certo l’influenza degli indiani nomadi deve aver contribuito in questo atteggiamento, senza contare il fatto che forse già da questo periodo iniziava la fuga di indiani, che preferivano unirsi ai nomadi, piuttosto che vivere oppressi nei loro villaggi. Sei anni dopo l’impiccagione di massa voluta da Arguelo, nel 1650, la rete di spie su cui potevano contare gli Spagnoli, riportò la notizia di un complotto che preparava la rivolta generale; il governatore Juan de Ugarte decise altre sette impiccagioni e decine di indiani venduti come schiavi, e ancora una volta si trattava dei Jemez e Tiwa del Nord, accusati di alleanza con i Navajo. L’alleanza tra nomadi Apache e Navajo e agricoltori Pueblo, era ciò che più temevano gli Spagnoli e i luoghi più a rischio erano quei villaggi di frontiera come Jemez e Taos dove più facili erano i contatti; trasformare quei luoghi di scambio, in luoghi di maggiore conflittualità, fu quanto fecero gli Spagnoli, fomentando anche le diffidenze e le diversità, che dividevano i due gruppi. L’arruolamento, anche forzato, di indiani Pueblo nella lotta contro Apache e Navajo, era una delle procedure con cui tale piano fu attuato. L’alleanza tra nomadi e agricoltori veniva cos’ spezzata, ma i nomadi non erano ancora stati sottomessi. A partire dagli anni ’60 del ‘600, proprio i pueblo di Jemez e Gran Quivira, tradizionali luoghi di scambio, divennero l’oggetto di raids dei Navajo e degli Apache; ma tutto il territorio fu soggetto all’intensificarsi delle scorrerie dei nomadi, sempre più forniti di cavalli. Fu l’inizio di quasi un ventennio di attacchi e massacri di Apache e Navajo ai danni dei Pueblo, con villaggi abbandonati e intere tribù che scompaiono dalla storia. L’impegno degli Spagnoli nella difesa dei Pueblo, che erano la loro unica risorsa, non poteva in alcun modo considerarsi adeguato: spedizioni di rappresaglia, per punire i nomadi dopo gli attacchi, ma nessuna effettiva possibilità di difendere le tante comunità nella vallata del Rio Grande. Ovviamente la debolezza degli Spagnoli davanti ai nomadi, creava rabbia e malessere, e lo spirito Ricostruzione della missione e del villaggio di Gran Quivira, di rivolta continuava a diffondersi. A sud dei di cui ogg rimangono solo le rovine
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Focolai di rivolta e complotti trai Pueblo
Pueblo i Manso (Mansueti), erano stati cristianizzati e raccolti in missioni da tempo, ma nel 1665 anch’essi tentarono di ribellarsi. Poi ancora una vlta la ribellione riesplose a sud tra i Piro e i Tompiro, dei pueblo di Senecu, Socorro, Quarai e soprattutto a Gran Quivira, il centro del commercio con gli indiani delle pianure, nel cuore di una terra ricca di saline. Nel 1667 dopo l’ennesimo distruttivo raid degli Apache, tra i Piro ci furono alcuni atti di ribellione e il governatore Fernando de Villanueva rispose come prassi, impiccando sei indiani e vendendone come schiavi altre decine. Di fronte a tale vicenda il capo dei Tompiro Esteban Clemente cercò di tessere le fila di un’alleanza e sicuramente riuscì a riaprire i rapporti con gli Apache. La rivolta sarebbe dovuta esplodere il successivo Giovedì Santo, ma come al solito gli Spagnoli furono informati, e anche Esteban Clemente finì impiccato. Nei giorni successivi Tompiro e Apache uccisero cinque soldati e sei indiani convertiti sui monti Santa Magdalena, mentre altri convertiti furono avvelenati nei villaggi; ma la rivolta generale non ci fu, e ancora una volta la repressione spagnola fu durissima, in particolare per i villaggi di Senecu e Socorro. Poi benevolmente Villanueva concesse a tutti un ampio perdono e l’obbligo di arruolamento nella guerra contro gli Apache; gli Apache considerarono la resa dei Piro e dei Tompiro come un tradimento, e ripresero e intensificarono gli attacchi ai pueblo. Dall’inizio degli anni ’70 del ‘600 tutta la regione delle Saline e Gran Quivira, saranno progressivamente abbandonate, così come diversi pueblo Piro sul Rio Grande, a causa degli attacchi degli Apache. Gli stessi Apache che stavano cacciando a sud i Jumanos, i tradizionali partners commerciali di Gran Quivira, producendo un altro elemento di crisi; i Piro e i Tompiro scompaiono come tribù in quegli anni, e quelli che scamparono agli attacchi Apache, abbandonarono la regione e si dispersero, chi accolto in qualche altro pueblo o tra gli stessi Apache, chi ridotto al servizio degli Spagnoli. La repressione del complotto del Giovedì Santo, come quelle precedenti, non chiudeva l’epoca delle ribellioni, e la successiva avrebbe lasciato il segno.
I nomadi: schiavi e predoni
La prima metà del ‘600, che per i Pueblo fu forse il periodo più triste della loro storia, rappresentò invece un periodi grandi trasformazioni per due popoli, i Navajo e gli Apache, giunti di recente dal lontano Canada, e che al tempo dell’arrivo degli Spagnoli vivevano poveramente di ciò che la terra offriva. Parlando di Apache va specificato che con questo nome si definiscono popoli linguisticamente affini, ma con una storia e una cultura significativamente diverse. Tutti comunque venivano definiti Apache,
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una parola della lingua Zuni, che significa “nemico”; e questo era probabilmente ciò che unificava tutte le bande Apache, l’essere sempre e comunque il “nemico”. A est, gli Apache delle pianure, identificabili con i due gruppi storici dei Lipan e degli Jicarilla, erano dei nuovi arrivati nelle terre del sud, essendo giunti poco prima degli Spagnoli, dopo aver attraversato le grandi pianure lungo le pendici orientali delle Rocky Mountains, in una lenta migrazione di secoli. I Lipan, l’avanguardia di tale movimento alla metà del ‘500 aveva raggiunto l’alto corso del Pecos, nel New Mexico centrale; i Jicarilla erano ancora più a nord, nel Colorado e nel Kansas; altri gruppi di cui si sono perse notizie, vivevano fin nel Nebraska e nel Dakota, dove diedero vita ad una cultura parzialmente agricola nota come “Dismail river”; ancora più a nord un altro piccolo gruppo di Apache viveva nelle pianure del Montana, alleato dei Kiowa. Di fatto tutta la regione ai piedi delle Rocky Mountains era all’epoca abitato da Apache delle pianure, ma la loro presenza quasi si dissolve dall’inizio del ‘700, quando con la diffusione del cavallo, si intensificò il movimento migratorio verso sud. Da allora il termine Apache si lega alle sole vicende delle terre del Sud-Ovest Gli Apache delle pianure che occupavano il Nuevo Mexico e le pianure a nord, i Lipan e gli Jicarilla, vivevano principalmente di caccia al bisonte, una attività che condotta a piedi, non sempre garantiva risultati certi; comunque le mandrie di bisonti abbondavano, e nel complesso queste bande Apache vivevano una vita meno precaria La migrazione a sud degli Atapaskan, dei loro parenti stanziati a ovest delle Rocky Mountains. tra il IX e il XV secolo A occidente delle Rocky Mountains, le tante bande di Apache che vi vivevano, parlavano una lingua diversa, anche se intellegibile dagli Apache delle pianure, e condussero una migrazione separata, seguendo un percorso a ovest delle Rocky Mountains, giungendo nelle terre del Sud-Ovest in tempi più lontani e probabilmente in due successive ondate. Gli Apache Occidentali, stanziati in Arizona, lungo i fiumi Gila, Salt e Verde, e conosciuti coi nomi di Tonto, Gileno, Cibecue, Monteblanco, ecc.. erano linguisticamente più vicini ai Navajo, che vivevano più a nord, e probabilmente giunsero insieme a loro, forse già nel XII secolo. Sia i Navajo che gli Apache Occidentali, avevano imparato a praticare un po’ d’agricoltura, ma mentre i primi proseguirono su questa strada, integrandola con la pastorizia, gli Apache Occidentali si limitavano a seminare piccoli orti,
Apache delle diverse tribù: Chiricahua, Tonto, Mescalero, Jicarilla
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in cui tornavano all’epoca del raccolto, dopo essersi dedicati alla caccia e alla raccolta di vegetali selvatici, vagando a piedi fra i monti. Al tempo della fondazione del Nuevo Mexico, i Navajo erano assimilati a tutti gli effetti agli Apache, e il termine Navajo, viene dall’espressione Apache de Nabacu, che significa “Apache dei campi coltivati”; i Navajo sarebbero quindi Apache Occidentali, la cui cultura prese una via diversa. Erano quasi certamente Apache Occidentali, quelli che un membro della spedizione di Coronado del 1540, definì il popolo più “barbaro e selvaggio” che avesse mai incontrato; certamente erano molto poveri, vivendo di caccia e di raccolta in una regione montuosa e aspra. Tra questi due gruppi di bande Apache, vivevano gli Apache centrali, i Chiricahua, divisi in più bande, i Mescalero e forse altri gruppi minori come i Janos o i Jocome del Messico, di cui si hanno scarse notizie; queste tribù, che parlavano lingue simili, giunsero anch’esse seguendo un itinerario occidentale, ma in tempi successivi, forse solo nel XV secolo. I Mescalero, che dal New Mexico sudorientale si spostavano fino al Texas e al Messico, nomadizzavano a piedi nelle pianure per cacciare i bisonti e ma vivevano gran parte dell’anno sui monti, raccogliendo frutti e radici selvatiche (mescal). I Chiricahua che vivevano a ovest dei Mescalero, fino in Arizona e Messico, erano probabilmente i più poveri tra gli Apache, che non praticavano alcuna forma di agricoltura e vivevano lontani dalle pianure dei bisonti, in una terra povera di acqua, di selvaggina e in larga parte semidesertica. A fronte degli abitanti dei Pueblo, organizzati in comunità strutturate, con i loro grandi villaggi in pietra o adobe, circondati dai campi coltivati e da canali di irrigazione, questi nomadi erano un popolo di reietti, spesso affamati, capaci di ruberie e violenze, ma anche troppo disorganizzati e poco coesi per rappresentare una minaccia. Con loro i Pueblo avevano imparato a commerciare, quando c’era abbondanza, ma comunque ne diffidavano e li temevano. Tutti questi gruppi provenivano dal Canada e parlavano diverse dialetti Atapaskan, ma avevano usi e sembianze diverse: gli Apache dell’est usavano il classico tepee delle pianure, mentre a ovest si usavano semplici ripari di frasche, e i Navajo avevano imparato a costruire robuste caTepee degli Apache delle pianure (in alto), panne di pali ricoperte di terra; diverse erano anche le wyckiup degli Apache dell’ovest (al centro) accociature e gli abiti, mentre il sistema di credenze era e hogan dei Navajo (in basso) rimasto sostanzialmente simile. Per questi popoli, che da secoli viaggiavano verso sud, vedendo terre e genti diverse, lo stupore con cui guardavano alle armi e agli oggetti di metallo dei bianchi, non doveva essere dissimile da quello provato davanti ai grandi edifici in pietra e mattoni, costruiti nei secoli dai Pueblo; per questi nomadi, poveri e aggressivi, è probabile che l’impatto con la culture dei bianchi sia stato meno traumatico. In nessuna testimonianza dei primi incontri con gli Apache si fa mai menzione di timore reverenziale nei confronti dei bianchi; da subito invece gli Apache si fanno notare per piccoli furti di bestiame ai danni dei bianchi, che abitualmente producevano sproporzionate rappresaglie da parte degli Spagnoli. E il furto di bestiame fu proprio la prima causa di conflitto. Già Montoya, per breve tempo successore di Onate nel 1607 aveva organizzato una spedizione punitiva contro i Navajo, accusandoli di furto del suo bestiame; i Navajo però furono tutt’altro che intimoriti, e tre anni dopo attaccarono il convoglio di
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Onate sulla via del ritorno, uccidendo lo stesso figlio di Onate. Prima ancora che gli Apache Lipan e Jicarilla giungessero a sud, le pianure del New Mexico e del Texas erano abitate da un’altra importante tribù di nomadi e cacciatori di bisonti, gli Jumano di cui si hanno scarse notizie perchè scomparvero all’inizio del ‘700, proprio in conseguenza dell’arrivo degli Apache con cui furono subito un competizione e conflitto. Essi comunque vivevano più distanti dalla colonia di Santa Fè, che più che con loro dovette vedersela con gli Apache Nei primi anni gli Apache, più che una minaccia, furono una molestia… ladri e selvaggi; e in effetti fin che gli indiani sono a piedi, essi non rappresentano un grave pericolo. Ma con i furti di bestiame, il cavallo si diffuse tra i nomadi che impararono cavalcarli; fu un processo lento, pluridecennale. Per i primi anni comunque, questi reietti ladri e selvaggi, più che nemici, furono prede, prede dei trafficanti di schiavi, contro gli Apache sempre legittimati e autorizzati. I primi comunque ad aprire il confronto con gli Spagnoli furono i Navajo, tra i nomadi quelli che avevano maggiori rapporti con i Pueblo; per loro l’arrivo degli Spagnoli aveva significato la difficoltà a mantenere rapporti di scambio con i Pueblo, ma anche l’opportunità di predare bestiame. In un epoca in cui stavano acquisendo dai Pueblo le tecniche dell’agricoltura, i Navajo non ebbero problemi ad imparare dagli Spagnoli anche la pastorizia: il furto di bestiame non era quindi un fatto episodico, ma una pratica economica a tutti gli effetti, resa probabilmente più gratificante, dal danno procurato agli odiati Spagnoli. Nel secolo successivo tra i Navajo il possesso di pecore e capre, era indice di prestigio e autorevolezza, come nelle classiche società di pastori. Naturalmente dai furti e dalle piccole razzie erano colpiti anche le missioni, le più esposte, ma dati i rapporti tra potere civile e clero e le periodiche ribellioni dei Pueblo, la reazione Spagnola era debole e occasionale, e in generale più legata alla possibilità di catturare schiavi, che a impedire le razzie. Nella seconda metà degli anni ’20 il governatore Osorio assunse qualche iniziativa contro i Navajo, ma viene ricordato principalmente per aver ridotto in schiavitù nel 1628, una intera banda di Apache Jicarilla, che affamati erano giunti a Santa Fè per fare qualche scambio, e avevano addirittura chiesto di vedere l’immagine della Madonna. I missionari non escludevano a priori la possibilità di pacificare e cristianizzare anche i nomadi, specialmente quando erano questi a richiedere la loro presenza, spinti dalle ragioni più varie. Nel 1629 alcuni Jumano del Texas giunsero al pueblo di Isleta, narrando di una visione in cui una “Signora in Blu”, li esortava a cercare l’aiuto del dio dei bianchi; qualche anno prima una monaca e mistica che viveva in Spagna, Maria de Argueda, aveva dichiarato di essere stata “portata in volo dagli angeli” nel villaggio di Jumanos, per parlare ai pagani selvaggi; gli Jumanos confermarono di essere stati visitati dalla Signora in Blu, e quindi missionari, scortati da pochi soldati, furono inviati nel Texas, nella zona del fiume Concho, dove battezzarono migliaia di indiani. L’attività missionaria fu comunque abbandonata dopo sei mesi, e i frati fecero ritorno alle missioni della valle del Rio Grande; probabilmente, al di la delle facili conversioni, lo stile di vita nomade poco si adattava all’idea dei Francescani del lavoro missionario. A prescindere da ogni valutazione sulla visita della Signora in Blu agli Jumanos, il dato certo è che a quell’epoca gli Jumanos stavano subendo la pressione dei Lipan Apache, e certamente cercavano l’aiuto degli Spagnoli contro i loro vicini. Nell’aprile del 1632, il governatore de Silva, dopo aver punito gli Zuni in rivolta, partecipò a una spedizione in supporto dei missionari che volevano tentare la pacificazione e la conversione dei Navajo: l’incontro si svolse pacificamente, alcuni indiani vennero battezzati, ma la cosa non ebbe conseguenze. I Navajo speravano di poter ritornare fare scambi con i Pueblo e magari anche con gli Spagnoli, ma la politica spagnola non prevedeva questa possibilità, e gli indiani continuarono con i furti di bestiame. Mentre con i Navajo che stavano trasformandosi in agricoltori e pastori, riducendo in parte il loro nomadismo, si tentava di giungere ad un qualche accordo, gli Apache continuavano ad essere prede per il commercio di schiavi. Tra il 1638 e il 1639 il governatore de Rosas, con la scusa della ennesima esplorazione delle pianure alla ricerca della mitica Quivira, organizzò una spedizione che catturò molti schiavi tra gli Apache delle pianure, Jicarilla probabilmente; poi fu la volta degli Ute, nomadi che vivevano sui monti a nord di Taos, fra i quali fece molte catture; un’altra spedizione contro i Navajo non ebbe eguale fortuna. Anno dopo anno comunque l’aggressività degli Apache cresceva, in rapporto alla diffusione del cavallo; i piccoli furti di bestiame, a volte solo conseguenze della fame, si trasformarono in vere e proprie sanguinose razzie, che colpivano in particolare i Pueblo sotto il controllo spagnolo: nel corso di uno solo di questi attacchi si ebbero una quarantina di morti e una decina di indiani rapiti. D’altra parte Apache e Navajo continuavano a mantenere contatti con i pueblo di frontiere, Gran Quivira, Pecos, Taos, Jemez
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dove il controllo spagnolo era scarso ed era ancora possibile fare scambi. Non mancarono poi le occasioni in cui lo stesso governatore che catturava gli Apache nelle pianure, commerciava poi con loro illegalmente, ottenendo pregiate pelli. Per fare fronte ai nomadi predoni, nel 1642 il governatore Heredia provò a colpire Navajo e Apache delle pianure, catturandone alcuni, poi nel 1647 la stessa cosa faceva Figueroa; queste spedizioni attraversavano il territorio alla ricerca degli indiani e li uccidevano o catturavano, senza troppo curarsi se essi fossero colpevoli di razzie o meno. Fatto un buon bottino di schiavi le spedizioni tornavano indietro, con il solo risultato di aver esacerbato l’animo degli indiani, senza essere nemmeno riusciti a intimorirli. D’altra parte la possibilità di poche centinaia di coloni di porre sotto controllo migliaia di indiani nomadi in una terra vasta e sconosciuta, era assolutamente velleitaria; fuori da Santa Fe o dalle loro missioni nella valle del Rio Grande, il territorio era dominio dei nomadi. In una terra povera, su cui nessuno apriva fattorie o allevamenti, solo la caccia agli schiavi o la speranza di trovare ricchezze, spingeva gli Spagnoli fuori dalla loro colonia assediata. Così nel 1650 notizie della presenza di perle nei fiumi del Texas, spinsero il governatore Ugarte a inviare una spedizione al comando del capitano Diego del Castillo, presso gli Jumano, nella stessa regione dove per qualche tempo avevano operato i missionari oltre vent’anni prima. Gli Jumano, oltre che dedicarsi alla caccia ai bisonti, erano anche esperti commercianti, che intrattenevano rapporti sia con il pueblo di Gran Quivira, sia con i popoli agricoli di La Junta, alla confluenza tra Concho e Rio Grande, fino agli agricoltori Caddoan del Texas orientale. Molto probabilmente secoli prima, gli stessi Jumano erano stati agricoltori, probabilmente affini ai Tompiro di Gran Quivira, ma poi dopo anni di cattivi raccolti avevano preferito darsi alla vita nomade, mantenendo però rapporti con i popoli agricoli, scambiando con loro pelli e carne, e attraverso di loro ottenendo anche manufatti europei, divenendo all’inizio del ‘600, la tribù più importante delle praterie meridionali. Con l’avanzare da nord dei Lipan e dei Mescalero da ovest la condizione dei Jumano si fece più difficile: i Lipan e i Mescalero erano nomadi cacciatori di bisonti, come gli Jumano, concorrenti sui territori di caccia, con cui non c’erano scambi da fare; gli Apache poi erano aggressivi e controllavano la via che dalle praterie portava a Gran Quivira, uno dei centri del commercio dei Jumano, dove gli Apache progressivamente e anche minacciosamente, si sostituirono ai Jumano come partners commerciali. Con la loro vicinanza agli Spagnoli poi, gli Apache potevano predare cavalli, lame di metallo e altro, che davano loro una indiscussa superiorità militare. La possibilità poi di ottenere cavalli, faceva si che sempre più Apache si spostassero a sud. Queste erano le ragioni per cui gli Jumano cercarono a più riprese di stabilire un’alleanza con gli Spagnoli. La spedizione di del Castillo fu amichevolmente accolta dai Jumano, che si impegnarono nella raccolta di molluschi alla ricerca di perle e scambiarono con gli Spagnoli molte delle loro pelli. Dal fiume Concho, una parte degli uomini proseguì ulteriormente a est, fino al limite della terra dei Teyas, ricca e popolosa, dove però si fermarono temendo la reazione degli indiani, il cui capo s’era comunque mostrato disponibile ad incontrarli; i Teyas erano quasi certamente agricoltori di lingua Caddoan, Hasinay o Wichita, che occupavano il Texas centrale e orientale. Dopo circa sei mesi gli Spagnoli ritornarono a Santa Fè, con un ricco carico di pellicce e un quantitativo di perle non disprezzabile. Dopo questo parziale successo, il successivo governatore Juan de Samaniego nel 1654, ritentò l’impresa affidandone il comando al sergente Diego de Gualajara, che nel periodo di Pasqua lasciò Santa Fè con 30 soldati e 200 indiani Pueblo. Raggiunto il fiume Concho e gli Jumano, mentre gli in- Rappresaglie e razzie di schiavi degli spagnoli in Nuevo Mexico
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diani venivano impegnati nella raccolta delle perle, gli Spagnoli si dedicavano alla caccia al bisonte e ai commerci, ma una parte di essi, dodici uomini al comando del capitano Lopez, continuò a est per circa 80 chilometri, raggiungendo la “rancheria” dei Cuitao. Non è chiaro chi siano i Cuitao, agricoltori di lingua Caddoan o piuttosto una delle tante bande nomadi di Coahuiltecan del Texas meridionale; Lopez comunque non si pose molte domande e attaccata la “rancheria”, catturò 200 indiani e altrettante pregiate pellicce; il fatto che nel bottino non si accenni al mais, può far ritenere che i Cuitao fossero nomadi Coahuiltecan. Quando Lopez fece ritorno dalla sua impresa, gli Spagnoli ripartirono per Santa Fè con un bel bottino di perle, pelli e soprattutto schiavi. Malgrado le opportunità che le terre del Texas offrivano, negli anni successivi non vi furono altre importanti iniziative; un po’ di commercio con i Jumano si manteneva, ma la colonia era sotto pressione per il crescente pericolo rappresentato da Apache e Navajo, la cui ostilità cresceva in proporzione al livello di sottomissione dei Pueblo: quanto più questi accettavano le imposizioni spagnole, tanto più subivano gli attacchi degli Apache e dei Navajo. Dopo le esecuzioni e la repressione dei Pueblo nel 1644 e nel 1650, il controllo spagnolo si fece più stretto anche sui villaggi di frontiera, e quando a Apache e Navajo erano vietati i pacifici scambi, essi si prendevano con la forza ciò non potevano ottenere in altro modo; nel 1653 e poi nel 1654, prima il villaggio di Gran Quivira, poi quello di Jemez subirono gli attacchi degli Apache e dei Navaho, e in entrambi i casi, oltre a razziare e uccidere, gli indiani rapirono decine di donne e bambini, come risposta al traffico di schiavi degli Spagnoli. Il governatore Juan de Samaniego, incaricò per la repressione un esperto uomo di frontiera, Juan Dominguez de Mendoza, che prima punì gli Apache, poi l’anno successivo rintracciò un grosso villaggio Navajo, prendendo di sorpresa gli indiani impegnati in un rito, e catturandone oltre 200. Gli Apache e i Navajo mantenevano con i Pueblo una politica ambivalente: se da un lato essi predavano i villaggi, rapivano e uccidevano, dall’altro essi accoglievano i Pueblo che fuggivano dal dominio spagnolo, e questi figgitivi mantenevano rapporti con i villaggi di provenienza, mantenendo viva la speranza di ribellione. Nel 1659, ai pueblo di Jemez, Taos e più a sud sul Rio Grande, Apache e Navajo si presentarono ancora una volta per fare scambi, ma il governatore Mendizabal pensò che quella era una ottima opportunità per procurarsi schiavi, senza la necessità di andare a cercarli nel deserto; centinaia di Apache e Navajo furono catturati per essere venduto alle miniere del Messico, e i Navajo reagirono lanciando l’anno successivo un attacco a Jemez. All’inizio degli anni ’60 mentre i Navajo procedevano verso la semisedentarietà, costruendo villaggi nei luoghi più adatti all’agricoltura e all’allevamento, gli Apache, i Lipan e i Mescalero in particolare, stavano dando vita ad un modello economico, di cui la predazione era elemento organico, e che si basava principalmente sulla possibilità di spostarsi a cavallo. Prima ancora della fine del ‘600, quando il cavallo inselvatichito si diffuse rapidamente in gran parte del Nord America, gli Apache furono il primo popolo equestre del Nord America, e grazie al cavallo essi che erano i più poveri abitanti del semiarido SudOvest, divennero i dominatori e i predatori di questa vasta regione. A partire dagli anni ’60 del ‘600, gli attacchi Apache si faranno sempre più distruttivi, anche se essi continueranno a mantenere rapporti con le fazioni antispagnole presenti nei villaggi Pueblo; così nel 1667 essi appoggiarono la ribellione del Giovedì Santo organizzata dai Tompiro. Poi quando i Tompiro furono obbligati a sottomettersi e vennero arruolati a forza contro gli Apache, questi reagirono in modo distruttivo, costringendo all’abbandono tutta la regione di Gran Quivira, e contribuendo in modo determinante alla dissoluzione dei Piro e dei Tompiro. E questo rendeva chiaro ai Pueblo, che per quanto gli Spagnoli fossero da temere, la guerra degli Apache poteva essere molto peggio.
Prima della tempesta
A quasi settanta anni dalla fondazione della colonia, gli Spagnoli in Nuevo Mexico non avevano fatto grandi passi avanti: la popolazione bianca non raggiungeva il migliaio di persone, quasi tutte concentrate a Santa Fè e nelle vicinanze, a cui andava aggiunto un buon numero di indiani del Messico convertiti, impiegati come servitori; a parte Santa Fè, non c’erano altri centri, e la presenza spagnola nella regione si mostrava solo attraverso i missionari e le periodiche repressioni dei soldati. Le attività economiche erano in larga misura legate alla sussistenza, e l’unica opportunità di commercio era legata ai traffici illegali con i nomadi, ampiamente tollerati nel villaggio di Pecos, a metà strada tra
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Santa Fè e le pianure dei bisonti; visitato fin dai tempi di Coronado, il pueblo di Pecos era uno dei più ricchi e potenti della regione, con oltre 2.000 abitanti, posto in una posizione difendibile, era il più orientale tra i Pueblo e il principale punto di incontro con i nomadi Apache delle pianure in visita al pueblo di Pecos (opera del pittore contemporaneo Tom Lowell) Apache. Quando all’inizio del ‘600 il missionario inviatovi si rese inviso agli indiani, fu trasferito e sostituito con un frate più esperto (e forse meno intollerante), che in breve edificò una grande chiesa e ottenne molte conversioni; è significativo comunque che gli indiani di Pecos non permisero la costruzione di edifici religiosi all’interno delle mura del pueblo, ma solo nelle sue immediate vicinanze. Pecos fu uno dei pochi pueblo di frontiera a non subire attacchi degli Apache, uno dei pochi villaggi in cui non ci furono rivolte, ne crudeli rappresaglie, e se alcuni missionari portavano l’esperienza come esempio per tutta la regione, il governatore Mendizabal era così ben disposto verso gli abitanti di Pecos, da concedere loro il permesso di praticare i loro riti, ovviamente a fronte di un raddoppio dei tributi. Il commercio illegale di pelli con gli Apache delle pianure, evidentemente metteva tutti d’accordo. A parte il commercio illegale, le uniche opportunità di guadagno nella colonia erano legate allo sfruttamento dei Pueblo e al commercio di schiavi, e mentre la prima si riduceva progressivamente con il ridursi della popolazione dei villaggi, la seconda era sempre più difficile vista l’aggressività e la mobilità degli indiani nomadi, man mano che questi entravano in possesso di cavalli. Oltre alla scarsità di risorse economiche la colonia continuava a vivere nell’insicurezza, dato che se le pianure e i monti erano dominio dei nomadi Apache e Navajo, nemmeno nei villaggi vi era sicurezza, date le periodiche rivolte dei Pueblo; malgrado repressioni brutali e controlli polizieschi, in quasi settanta anni gli indiani non erano stati domati, e continuavano a rappresentare una costante preoccupazione. In questa situazione non solo i coloni e le attività economiche non crescevano, ma la colonia stessa rimaneva una enclave isolata, raggiungibile solo dopo un viaggio di centinaia di chilometri tra deserti e popoli ostili e selvaggi; l’ipotesi di un porto alla foce del Colorado, dopo la spedizione di Onate, non fu più presa in considerazione, e solo nel 1659 fu fondato il piccolo villaggio di El Paso, lungo la pista che collegava Santa Fè al Messico, nel luogo più adatto ad attraversare il Rio Grande; a parte questa opportunità di fare tappa, chi viaggiava verso Santa Fè dal Messico, per settimane attraversava solo terre semidesertiche e quasi disabitate. E’ interessante notare che mentre in Virginia, gli Inglesi avevano costruito una ricca e popolosa colonia in meno di trenta anni, in quasi settanta poco era cambiato in New Mexico; certo le due regioni erano profondamente diverse, la Virginia sicuramente molto più ricca, ma è lecito ritenere che i due diversi modelli di dominio coloniale influirono notevolmente. Alla fine degli anni ’60 del ‘600, mentre l’aggressività di Apache e Navajo si faceva sempre più intensa e sanguinosa, a completare il quadro di crisi della colonia, giunse un periodo di cattivi raccolti, che per i Pueblo tradizionalisti era evidentemente causato dall’abbandono dell’antica religione. La terra dei Pueblo, vessata dagli Spagnoli, aggredita da Apache e Navajo, colpita da fame e carestia, stava divenendo esplosiva, e quando la miccia sarà consumata, l’esplosione causerà la più grave sconfitta della storia coloniale spagnola in America. Ma nessuno immaginava ciò che stava per prepararsi nella colonia ai confini del mondo, anche perché più a sud, dove il dominio spagnolo sembrava ormai consolidato, i problemi non mancavano: gli indiani del nord del Messico, facilmente sottomessi e cristianizzati alla fine del ‘500, nella prima metà del ‘600 avevano compreso la natura del dominio spagnolo, e provavano a ribellarsi; così mentre nel Messico settentrionale gli Spagnoli dovevano dedicarsi periodicamente a reprimere le rivolte degli indiani locali, in Nuevo Mexico si preparavano le condizioni per la più umiliante delle loro sconfitte.
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LA FRONTIERA DEL MESSICO Gli indiani del Messico settentrionale
La precaria esistenza della colonia di Santa Fè, sempre a rischio di sollevazione degli indiani Pueblo e assediata dai nomadi Apache e Navajo, non era certo tra le prime preoccupazioni del governo coloniale spagnolo in America, che alla fine del ‘500, dopo la conclusione della Guerra dei Chichimechi, era entrato in possesso dei vastissimi territori del Messico settentrionale, ricchi di risorse minerarie e abitate in larga misura da popoli agricoli, che avevano accettato i missionari e si erano convertite al cristianesimo. Un immenso territorio, in larga misura inesplorato, che doveva essere sfruttato economicamente, controllato e amministrato, abitato da decine di migliaia di indiani, il cui lavoro doveva essere posto al servizio degli Spagnoli. Infatti a differenza di quanto accadeva nelle colonie inglesi, dove gli indiani erano solo un problema da eliminare, nei domini spagnoli, essi dovevano essere si sottomessi, ma anche inseriti nel sistema di relazioni economiche coloniale. Infatti mentre nelle colonia inglesi il flusso di migranti permetteva, e anzi in qualche modo imponeva addirittura, l’eliminazione totale degli indiani, il cui lavoro o contributo economico era marginale o addirittura irrilevante nell’economia coloniale, nelle colonie del Messico, l’emigrazione dalla Spagna fu sempre piuttosto contenuta, e sottoposta a vincoli e controlli dalle autorità politiche e religiose: per fare un raffronto basti pensare che alla fine del ‘500, dopo un secolo di dominazione, gli Spagnoli presenti in Messico erano circa 70.000, per arrivare a 600.000 alla metà del ‘700, 250 anni dopo il viaggio di Colombo; nelle colonie inglesi, nate all’inizio del ‘600 e con una estensione geografica notevolmente inferiore, in meno di un secolo e mezzo, gli immigrati dall’Inghilterra erano oltre 700.000. Va poi considerato che la popolazione spagnola era principalmente concentrata a Città del Messico e nelle regioni meridionali, con una presenza significativa nella zona mineraria di Zacatecas, mentre molto ridotta era nelle zone del nord e quasi irrilevante in Nuevo Mexico, territori che comunque erano parte del vicereame della Nueva Espana. Di fatto mentre nelle colonie del Nord America, in tempi relativamente brevi il confronto demografico tra bianchi e indiani si sviluppò a favore dei primi, nel Messico la regione con la più alta densità demografica d’America, i bianchi rimanevano una netta minoranza. A causa di ciò, la forza lavoro degli indiani era necessaria e determinante, e gli indiani più che eliminati o scacciati, come avverrà in Nord America, dovevano essere sottomessi e obbligati al lavoro servile. Dopo la Guerra dei Chichimechi, protrattasi per quasi 40 anni, e che aveva obbligato gli Spagnoli a sopportare gravosissimi costi economici, si era ormai rinunciato a tentare la sottomissione degli indiani attraverso la sola forza militare. Le imprese audaci che avevano permesso di colpire il cuore e la testa di imperi fortemente centralizzati e gerarchizzati, come quello Azteco o Inca, non erano replicabili con una quantità di tribù, ognuna autonoma e con propri capi, spesso usa ad uno stile di vita nomade, e quindi poco controllabile. Così la sottomissione degli indiani del nord del Messico fu compiuta affiancando alla pressione militare, sia l’attività dei missionari, sia il trasferimento di indiani e meticci prove-
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nienti dalle terre del sud, già da tempo sottomesse e cristianizzate, favorendo i matrimoni misti con gli indiani locali. L’obbiettivo era quello di destrutturare la coesione tribale e l’integrità culturale degli indiano del nord del Messico, trasformandoli in una entità indistinta, priva di identità culturale e di autonomia politica, da impegnare come forza lavoro a basso costo nei campi, negli allevamenti e nelle miniere, la cui proprietà rimaneva nelle mani di una ristretta cerchia di aristocratici spagnoli di “sangue puro”, oltre che delle gerarchie ecclesiastiche che controllavano la fitta rete delle missioni. Il processo si realizzò in buona misura, ma l’identità culturale, così come le credenze religiose degli indiani, non furono mai del tutto sradicate, ed esse invece si mescolarono alla cultura e alla religione dei dominatori, dando vita a forme di sincretismo ancora vive nella cultura messicana. Si trattò comunque di un processo lento, non del tutto concluso ancora all’inizio del XX secolo, quando le antiche guerre tribali contro gli Spagnoli, prendevano le forme nuove del conflitto sociale che opponeva la massa di peones di origine indiana, ai pochi grandi proprietari terrieri eredi dei primi “conquistadores” spagnoli. Dall’inizio del ‘600 la resistenza degli indiani del Messico si protrasse per oltre tre secoli, alternando lunghi periodi di pacifico adattamento alla cultura dei dominatori, a periodiche esplosioni di violenza o lunghi conflitti armati. All’inizio di quello stesso secolo, una indefinita linea di frontiera da est a ovest divideva la popolazione indiana del Messico settentrionale, fra quelle tribù che già conoscevano il dominio spagnolo e le tribù ancora indipendenti. Questa linea di frontiera, dalla foce del Rio Grande, correva poco a nord dell’attuale stato di Durango, fino a raggiungere la regione di Culiacan e la costa del Pacifico; oltre il braccio di mare del Golfo di California, la penisola di Baja California rimaneva una terra ignota, dopo il breve tentativo di Sebastan Vizcaino nel 1596, di stabilirvi una colonia per la pesca delle perle: il tentativo fu di breve durata e il piccolo insediamento di La Paz, fu abbandonato dopo breve tempo, per le difficili condizioni ambientali, e le ostilità degli indiani Waicuru. Due immagini del nord del Messico: le montagne della Sierra Madre Occidental (sopra) A sud della linea indefie il deserto del Bolson de Mapimi (sotto) nita tra Culiacan e la foce del Rio Grande, erano le terre sottoposte al dominio spagnolo, giò oggetto delle attività di esplorazione e di conquista condotte nella zona orientale da Luis de Carvajal e in quella occidentale da Francisco del Ibarra, nella seconda meta del ‘500. La linea di frontiera attraversava e divideva trasversalmente tre diversi raggruppamenti di indiani, ognuno con una propria cultura e un proprio stile di vita. All’estremo ovest, lungo la
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Il Messico settentrionale alla fine del ‘500
costa del Pacifico vivevano popoli non agricoli, la cui sussistenza era basata sulla caccia e soprattutto sulla pesca e la raccolta di molluschi; alcuni di questi popoli, come i Guasave che vivevano a nord di Culiacan, erano venuti in contatto con gli Spagnoli già ai tempi di Nuno de Guzman, erano stati colpiti da epidemie e avevano subito gli attacchi dei cacciatori di schiavi, e alla fine del ‘500 erano già quasi scomparsi come tribù autonoma; più a nord vivevano i Seri, che già si erano scontrati con i bianchi ai tempi della spedizione di Coronado, e nei secoli successivi condurranno una ostinata resistenza, che si protrarrà fino all’inizio del ‘900; i Seri e probabilmente anche i Guasave, parlavano una lingua isolata, ma forse riconducibile alla famiglia Hokan. A est di questi popoli primitivi, le valli montane della Sierra Madre Occidentale erano abitate da tribù popolose e sedentarie, tutte di lingua Uto-Aztecan; i Tepehuan che erano la più numerosa, vedendo quanto stava accadendo ai loro vicini orientali Chichimechi, dalla metà del ‘500 avevano accettato di accogliere i missionari e di garantire agli Spagnoli il libero accesso alle risorse minerarie della regione; gli Acaxee loro vicini e nemici, non si erano opposti a Francisco de Ibarra quando questi ne aveva attraversato le terre per raggiungere il Pacifico; infine gli Xixime, che vivevano più a sud, bellicosi e antropofagi. Più a nord vivevano popoli di cultura e lingua simile, che avevano avuto pochi o nessun contatto con gli Spagnoli, gli Yaqui e i Mayo, che avevano combattuto Nuno de Guzman, i Nebome, noti anche come Pima Bajo, gli Opata che avevano fermato le esplorazioni di Francisco de Ibarra, i Tarahumara sul cui confine meridionale era stato fondato il villaggio di Santa Barbara, il più settentrionale insediamento spagnolo, e infine i Concho, lungo il fiume omonimo, le cui terre erano state attraversate dalle spedizioni spagnole verso il Nuevo Mexico. A est della Sierra Madre Occidentale, si estendeva il grande bacino del Bolson de Mapimi, un altipiano interno semidesertico, abitato da popoli nomadi divisi in un gran numero di bande, forse affini ai Chichimechi stanziati più a sud, e che forse li avevano accompagnati in incursioni e razzie contro gli Spagnoli; mentre i Chichimechi alla fine del ‘500 venivano pacificati e raccolti intorno alle missioni, per essere indotti all’agricoltura, questi indiani vivevano ancora liberi e tendenzialmente ostili. Gli abitanti di questa terra difficile ci hanno lasciato qualche nome e scarse informazioni: i Toboso, i Lagunero, i Chiso, i Salinero, i Cabezas, i Gocoyome e tanti altri, popoli forse di lingua Uto-Azteca come i Chichimechi, anche se non è possibile escludere che tra essi vi fossero anche genti affini agli Apache, che a quell’epoca prendevano possesso delle terre immediatamente a nord. Ancora più a est, tra la Sierra Madre Orientale e l’Atlantico, altri nomadi conosciuti col nome generico di Coahuiltecan, da anni erano vittime del traffico di schiavi e cercavano rifugio a nord oltre le rive del Rio Grande. I popoli agricoli della Sierra Madre Occidentale, vivevano divisi in diverse tribù, ognuna delle quali a sua volta era costituita da diverse entità autonome, singoli villaggi o gruppi di villaggi, ognuno con un proprio capo, che spesso svolgeva come tra i Pueblo, anche funzioni cerimoniali e religiose; costruivano i loro villaggi di capanne di rami e paglia, con il tetto piatto (jacal) nelle nascoste valli montane, coltivando mais, zucche e fagioli, in prossimità di corsi d’acqua e sorgenti. Le tribù erano spesso divise da dissidi e rivalità, ma nel complesso si trattava di popoli pacifici, che nel rapporto con gli Spagnoli, furono
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sempre recettivi e disponibili ad integrare la loro cultura, con le novità portate dai nuovi venuti. Molto diversa doveva essere la condizione dei nomadi del Bolson de Mapimi, il cui stile di vita doveva essere molto simile a quello dei Chichimechi che vivevano più a sud; nel bacino interno del Bolson de Mapimi, le precipitazioni sono scarse a causa dei monti che lo circondano a est e a ovest, mentre i pochi corsi d’acqua alimentati dalle nevi invernali, convergono verso il centro del bacino in una regione di paludi salmastre, che durante la stagione secca possono evaporare completamente. La selvaggina era quindi scarsa, cervi o antilocapre, lepri e conigli, roditori, serpenti ecc...,anche se è probabile che all’epoca i bisonti facessero ancora la loro apparizione in quelle terre, dalle praterie a nord del Rio Grande; egualmente scarse erano le risorse vegetali, frutti e radici che erano l’altra risorsa alimentare. Nomadi e agricoltori tutti questi popoli dovettero misurarsi con l’avanzata verso nord degli Spagnoli, accompagnati da indiani convertiti delle terre del sud, e la loro vicenda prese vie diametralmente opposte. Per i nomadi il contatto fu fatale, tutte le tribù scomparirono definitivamente e se ne perse anche il ricordo ed è oggi estremamente difficile riuscire a ricostruirne le vicende. I popoli agricoli al contrario in gran parte sopravvivono ancora oggi, dopo secoli di conflitti e ribellioni, difesi soprattutto dalla natura della loro terra, la Sierra Madre un aspro complesso montuoso in cui la civiltà dell’uomo bianco ha sempre faticato a penetrare: quando alla fine dell’800 l’epopea del “selvaggio west” era ormai al tramonto, questo fu l’ultimo rifugio per i ribelli più irriducibili.
La rivolta degli Acaxee e la fine dei Xixime
Nella seconda metà del ‘500, mentre la Guerra Chichimeca ancora divampava nelle regioni dell’interno, l’espansione spagnola verso nord era proseguita lungo la costa del Pacifico, nelle terre in cui dopo la cruenta avventura di Nuno de Guzman, il primo conquistador a spingersi nelle terre del nord, gli Spagnoli non avevano assunto più alcuna iniziativa, lasciando quasi abbandonato l’antico presidio di Culiacan. Dai tempi della sua fondazione nel 1531 da parte di Nuno de Guzman, la città di Culiacan aveva condotto vita stentata e precaria, lontana dalle province già colonizzate del sud e separata dalle cime della Sierra Madre Occidentale, dalla regione mineraria di Zacatecas, a est, nell’attuale stato di Durango. Comunque la presenza degli Spagnoli, con le loro malattie e le incursioni a caccia di schiavi doveva aver avuto gravi conseguenze sugli indiani della regione, di cui ci rimangono solo alcuni nomi tribali, quello dei Taho che vivevano a sud di Culiacan e quello dei Guasave, che vivevano a nord, oltre ai nomi di alcuni sottogruppi locali; già negli anni ’60 del ‘500, quando Francisco de Ibarra varcò la Sierra Madre Occidentale, e dalla regione di Durango raggiunse le coste del Pacifico, nell’attuale Sinaloa, le tribù locali opposero scarsa resistenza e furono facilmente assoggettate. Nel giro di pochi decenni la popolazione locale della regione fu presto mescolata e sostituita da indiani del sud e schiavi africani, portati dagli Spagnoli per lavorare nelle miniere della regione; l’espansione degli insediamenti spagnoli giunse fino al limite delle terre dei Mayo, lungo il fiume Fuerte, laddove si era dovuto fermare già Nuno de Guzman a causa dell’ostilità degli indiani; su quello stesso fiume comunque nel 1564 Francisco de Ibarra aveva fondato la città di San Juan Bautista de Carapoa, che però cinque anni dopo fu attaccata dai Tehueco, una sottotribù dei Mayo, che la distrussero e costrinsero gli Spagnoli ad abbandonare la zona. Dopo la morte nel 1575 di Francisco de Ibarra, appena quarantenne, la presenza spagnola iniziò ad estendersi oltre le regioni costiere, lungo le pendici occidentali della Sierra Madre Occidentale, abitata dagli Acaxee, una tribù di agricoltori di lingua Uto-Aztecan, nota per la sua bellicosità e e accusata, senza prove reali, della pratica dell’antropofagia rituale; nel 1581 venne scoperto il primo giacimento La missione fondata dai gesuiti nel 1591 nel villaggio d’oro nella regione, nella località di San di San Felipe y Santiago
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Andres, con il conseguente arrivo dei primi coloni, ma già tre anni prima una mortale epidemia si era diffusa nella tribù in conseguenza dei contatti con gli Spagnoli, e un’altra colpì la tribù nel 1590. Nel 1591 giunsero poi a Culiacan i missionari gesuiti, che iniziarono a convertire le popolazioni locali intorno a Culiacan e al nuovo villaggio di S.Felipe y Santiago (più tardi Sinaloa de Leyva); poi dalla metà degli anni ’90 guidati dall’ex luogotenente di Ibarra, Rodrigo del Rio Losa, allargarono la loro attività fin sui monti abitati dagli Acaxee. Puntualmente insieme ai missionari giunsero le malattie infettive, che ancora una volta tra il 1596 e il 1597, falcidiarono la tribù. Malgrado la loro fama di popolo bellicoso, dovuta probabilmente al conflitto che da sempre li opponeva ai vicini Tepehuan, gli Acaxee non si mostrarono subito ostili agli Spagnoli, che a quel tempo continuavano ad essere quasi sconosciuti e soprattutto temuti, per le lame di metallo, le armi da fuoco e i cavalli, ancora quasi ignoti agli indiani. Gli Acaxee poi non costituivano una tribù unitaria e coesa e non avevano capi o strutture tribali comuni; ogni comunità viveva separata e isolata nelle nascoste valli montane, spesso con difficoltà anche di comunicazione con le comunità vicine; pur essendo considerati bellicosi, gli Acaxee erano comunque ospitali con chi si recava in visita da loro, e tale usanza può aver favorito una prima penetrazione spagnola. Gli Spagnoli dal canto loro, come la Guerra Chichimeca stava mostrando, piuttosto che agire direttamente con la forza, cercavano di indurre gli Acaxee a riunirsi presso le missioni, offrendo loro merci, introducendo nuove culture agricole e animali d’allevamento, garantendo protezione; ovviamente inducendo gli indiani a lasciare i loro villaggi sui monti, si aveva la possibilità di controllarli, imporre loro il cambiamento di costumi e credenze, e soprattutto era possibile indurli al lavoro servile nelle miniere, al fianco degli indiani portati dalle terre meridionali. Nel 1600 il gesuita Hernando de Santaren, insieme ad un ecomiendero locale, il capitano Diego de Avila, visitarono diversi villaggi Acaxee per convincere gli indiani a riunirsi sotto il controllo spagnolo, riuscendo anche a conseguire qualche successo. Ma la pressione dei gesuiti interveniva ad esacerbare una situazione già precaria a causa delle tante epidemie che avevano flagellato la tribù causando migliaia di morti, e di cui proprio i missionari erano considerati i responsabili; la relazione era automatica e semplice, dato che i primi ad essere contagiati dalle malattie dei bianchi, erano proprio coloro che si allontanavano dalle antiche credenze, per vivere nelle vicinanze delle missioni. Nel 1601 dopo quasi venti anni di contatti con il mondo dei bianchi, emerse finalmente la figura capace di riunire le migliaia di indiani che vivevano sui monti, intorno ad un’unica leadership e ad un unico obbiettivo. Si trattava di un capo e shamano di nome Perico, che come in altri casi prima e soprattutto dopo, iniziò una predicazione di tipo millenaristico, in cui elementi della religione cristiana si fondevano con le credenze tribali, in un messaggio di fede che profetizzava salute e benessere con il ritorno alle antiche usanze religiose, e soprattutto con la cacciata degli Spagnoli. In pochi mesi il messaggio di Perico riuscì a raggiungere gran parte delle comunità, trovando un gran numero di sostenitori pronti all’azione; nel dicembre di quello stesso anno, gli Acaxee si scatenarono in una serie di attacchi ai campi minerari di Las Virgenes, San Hipolite, San Andres, Los Papudos distruggendo chiese e fattorie, e uccidendo in in poche settimane una cinquantina di Spagnoli e servitori indiani; nella località di San Andres una quarantina di Spagnoli e indiani cristiani, fu tenuta per giorni in assedio, prima di essere liberati da rinforzi giunti da Durango. In breve la regione fu abbandonata e le attività minerarie interrotte, mentre gli Acaxee si riunivano in posizioni ben difendibili sulle loro inaccessibili montagne. Colti probabilmente di sorpresa, gli Spagnoli tentarono la via della trattativa, forse sperando di incrinare la compattezza dell’avversario, ma gli Acaxee si mostrarono irriducibili a qualsiasi accordo; due delegazioni, una organizzata da padre Hernando de Santaren, l’altra dal vescovo di Sinaloa, inviate nel 1602 per aprire trattative, furono attaccate e molti loro membri uccisi. Per due anni gli Spagnoli furono estromessi dalla regione, ma alla fine nel 1603, il nuovo governatore di Durango Francisco de Urdinola, riuscì a raccogliere una grande armata, composta da encomienderos e proprietari di miniere con la loro servitù, a cui aggiunse un gran numero di guerrieri Tepehuan, nemici tradizionali degli Acaxee, e guerrieri Concho provenienti da nord, oltre a un certo numero di Acaxee cristiani, che conoscevano le montagne inesplorate e potevano fare da guide. La campagna fu condotta con la consueta brutalità, distruzione di villaggi, massacro di donne e bambini, schiavitù per i prigionieri. Alla fine quarantotto capi e shamani Acaxee, tra cui lo stesso Perico, furono catturati, processati e impiccati, e le loro teste, in cima a delle picche, furono lasciate esposte lungo le strade e nelle località attaccate dagli indiani. Dopo questa sconfitta gli Acaxee furono affidati ai gesuiti, che li obbligarono a lasciare i circa settanta villaggi in cui vivevano fra i monti, per riunirsi in ventiquattro villaggi sotto il loro diretto controllo; la popolazione era ormai ridotta a poche migliaia di individui, alle comunità veniva negato il diritto di
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eleggere i propri capi, che venivano scelti dai gesuiti, e gli indiani, la cui anima era finalmente salva, potevano sostentare il loro corpo andando a lavorare nelle miniere dei loro dominatori. Solo pochi riuscirono a fuggire nascondendosi tra i monti, per unirsi alle altre ribellioni che negli anni successivi sarebbero esplose fra le tribù vicine. La gran parte degli Acaxee non oso più ribellarsi e quando i loro vicini meridionali, gli Xixime, nel 1610 cercarono di coinvolgerli in una nuova guerra essi preferirono porsi sotto la protezione del governatore. Da allora gli Acaxee vissero in pace, sotto i loro dominatori, e ancora negli anni ’70 del ‘900 1.000, forse 2.000 Acaxee di sangue Il cannibasismo degli indiani in una illustrazione del tempo puro vivevano sui loro monti; forse 40.000 abitanti della regione, sono in qualche modo discendenti degli Acaxee, mescolati e meticciati con indiani altre tribù. La pacificazione degli Acaxee, che era costata circa 25.000 pesos, senza contare le perdite di due anni di sospensione di ogni attività economica nella regione, portò però gli Spagnoli a contatto con un altro popolo di montanari, gli Xixime, una tribù che viveva a sud degli Acaxee, non molto numerosa, forse non più di 5.000 individui, ma che era temuta e invisa ai popoli vicini, per le loro pratiche antropofaghe. In tempi recenti, ritrovamenti archeologici di depositi di ossa umane, hanno dimostrato che a differenza che in altri casi, quando l’accusa di cannibalismo serviva a giustificare la schiavizzazione degli indiani, gli Xixime erano effettivamente antropofagi, e praticavano tale usanza abitualmente e su larga scala. Essi infatti credevano ad una relazione diretta tra la fertilità dei campi e i banchetti rituali a base di carne umana; era anche loro usanza appendere le ossa dei nemici uccisi, a protezione delle loro case e dei loro villaggi. Per questa ragione essi inviavano spedizioni di guerra contro i loro vicini per catturare prigionieri da destinare a tale macabro rituale, e gli Acaxee erano le principali vittime dei loro attacchi. Con simili scomodi vicini gli Spagnoli stabilirono rapporti nel 1607, cercando di indurli ad una pace che garantisse la sicurezza degli Acaxee sottomessi e delle miniere della regione. Tre anni dopo però gli Xixime ripresero le antiche abitudini aggressive, minacciando in particolare gli Acaxee, ponendoli di fronte alla scelta di unirsi a loro contro gli Spagnoli o di essere anch’essi vittime dei loro attacchi; gli Acaxee cercarono la protezione degli Spagnoli e il governatore Urdinola tentò di aprire trattative, con questo popolo di bellicosi montanari, ricevendo però una sprezzante risposta: se gli Spagnoli volevano la guerra, loro sarebbero stati ben contenti, dato che la loro carne aveva un buon sapore. Nell’estate del 1610 una spedizione di guerra Xixime si diresse verso il campo minerario di Las Virgenes, ma lungo la strada trovò un gruppo di indiani che furono tutti uccisi, salvo uno che riuscì a dare l’allarme e a far evacuare l’insediamento. A questo punto il governatore Urdinola raccolse al presidio di San Hipolito un’aramata di 200 Spagnoli e oltre 1.000 indiani alleati e con essi all’inizio di ottobre si preparò ad invadere il territorio Xixime, lungo le piste di montagna in cui anche gli animali da soma avevano difficoltà a camminare. Il 18 di ottobre Urdinola con questa grande forza raggiunse Xocotilma, uno dei principali villaggi Xixime, dove erano raccolti alcune centinaia di guerrieri; Urdinala occupò il villaggio e chiamò gli indiani a riunirsi e accettare la sottomissione, ma dopo giorni di trattative la tensione esplose in una battaglia in cui gli Xixime furono sconfitti; dodici di loro vennero impiccati, non prima di essere battezzati (tutti tranne uno, un anziano che aveva sobillato gli indiani e fatto fallire le trattative), poi campi e villaggi furono bruciati, mentre gli Spagnoli trovavano centinaia di crani e ossa umane accumulati. Mentre gli Xixime fuggivano e si disperdevano fra i monti, gli Spagnoli ripresero il cammino, fino l’altro importante villaggio di Guapisuxe, dove però il capo già intimorito, dichiarò di non avere responsabilità per la rottura degli accordi di pace e fece atto di sottomissione; poco dopo una delegazione degli indiani di Xocoltima venne ad implorare il perdono, e la campagna fu conclusa. Negli anni successivi i missionari iniziarono a lavorare presso gli Xixime, che abbandonarono l’antropofagia e le spedizioni di guerra, per fondersi con i vicini Acaxee, scomparendo dalla storia come tribù autonoma.
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Diego Martinez de Hurdaide e gli Yaqui Negli stessi anni in cui si consumava la sottomissione degli Acaxee, gli Spagnoli tornavano a confrontarsi con le tribù del nord che avevano fermato l’avanzata del crudele Nuno de Guzman settanta anni prima; si trattava dei Mayo e degli Yaqui, due popoli che parlavano la stessa lingua e avevano la stessa cultura, ma che erano spesso divisi da rivalità. I Mayo, i più meridionali erano frammentati in una serie di comunità (Tehueco, Zuaque, Sinaloa, Baciroa ecc…) che avevano i loro villaggi lungo i fiumi Fuerte e Mayo, mentre gli Yaqui occupavano il basso corso del fiume che prendeva nome da loro, più a nord. Al tempo in cui Francisco de Ibarra aveva iniziato ad esplorare la regione, ne i Mayo ne gli Yaqui si erano mostrati ostili, anzi questi ultimi avevano tentato di ottenere l’alleanza spagnola contro i loro vicini, con cui a quel tempo erano in conflitto; qualche anno dopo però, nel 1569 i Tehueco, avevano attaccato e distrutto il piccolo villaggio di San Juan Bautista de Carapoa, fondato da Ibarra sul fiume Fuerte, e da allora i Mayo avevano continuato a rappresentare una minaccia per gli Spagnoli e Busto di Diego Martinez de Hurdaide gli indiani convertiti che iniziavano a colonizzare la regione, lanciando periodiche incursioni, per poi ritirarsi a nord del fiume Fuerte, dove gli Spagnoli non osavano inseguirli. Particolarmente esposto era il villaggio di San Felipe y Santiago, fondato nel 1585 a nord di Culiacan, e che dal 1591 era divenuto la base operativa dei missionari gesuiti, impegnati a evangelizzare e convertire gli indiani della regione, i nomadi Guasave ormai sottomessi, e le comunità Mayo più meridionali; il loro lavoro comunque trovava resistenze e nel luglio del 1594 padre Gonzalo de Tapia, che era stato inviato fra gli indiani a nord di San Felipe y Santiago, fu ucciso dalla shamana Necaeva e dagli indiani del suo villaggio. Questa era la situazione, quando nel 1599 fu inviato nella regione il capitano Diego Martinez de Hurdayde, con meno di una quarantina di soldati, bene armati e forniti di cavalli; l’anno prima tra i Guasave vi erano stati dei sospetti di ribellione, poi poco dopo l’arrivo di Hurdaide gli Ahome, un gruppo Guasave che si era posto sotto la protezione degli Spagnoli, furono attaccati dai Tehueco e dagli Zaque, indiani Mayo che vivevano lungo il fiume Fuerte. La risposta di Hurdaide fu efficace sul piano militare e ancora più incisiva sul piano diplomatico: non solo riuscì a catturare un buon numero di donne e bambini tenendoli come ostaggi e ottenendo la consegna di diversi capi ribelli in cambio della loro liberazione, ma invece di giustiziarli, come era prassi usuale del tempo, egli si limitò ad umiliarli con il taglio dei capelli, prima di rimandarli fra la loro gente. La mossa fu di grande effetto e ottenne il risultato sperato: di fronte a quella che era un espressione al tempo stesso di forza, ma anche di benevolenza, la tradizionale ostilità dei Mayo iniziò ad incrinarsi e nella tribù iniziò a manifestarsi una fazione favorevole alla conciliazione con gli Spagnoli. Ma questa era solo una delle facce del potere spagnolo che Hurdaide presentava: due anni dopo, per punire gli Zuaque, si presentò in un loro villaggio sul fiume Fuerte, con otto cavalleggeri e un contingente di indiani cristiani, senza mostrare intenzioni ostili e riuscendo a farsi accogliere pacificamente; poi all’improvviso i suoi uomini presero prigionieri ventiquattro tra capi e guerrieri, e li impiccarono sul posto. Mentre Hurdaide minacciava della stessa sorte a chiunque osasse rimuovere i corpi penzolanti, i gesuiti insegnavano i precetti cristiani davanti agli indiani atterriti. Negli anni successivi Hurdaide continuò ad operare nella regione alternando la capacità di intervento militare e la repressione più brutale, con l’azione diplomatica, operando sempre in stretta collaborazione con i gesuiti, e avvalendosi della collaborazione di una indiana convertita come interprete. Con il suo piccolo esercito di poche decine di cavalieri e diverse centinaia di indiani convertiti, nel giro di pochi anni egli riuscì a pacificare quasi del tutto la regione, acquistandosi nel frattempo il rispetto degli indiani; dalla sua base di San Felipe y Santiago i suoi cavalieri intervenivano a punire con durezza ogni tentativo
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di ribellione e ogni gruppo di razziatori, riuscendo contestualmente ad impedire che le migliaia di indiani del nord si riunissero in una sollevazione generale, attraverso la benevolenza nei confronti dei capi che non si mostravano ostili. Con la sua attività Hurdaide riuscì ad aprire all’azione dei missionari la valle del fiume Fuerte, ma più a nord le terre degli Yaqui rimanevano un rifugio sicuro per quei Mayo più refrattari alla dominazione spagnola e ai tentativi di conversione dei missionari. Nel 1607 nel tentativo di raggiungere un gruppo di Mayo che si erano resi colpevoli di atti di ribellione, Hurdaide si spinse fino alla Sierra del Bacatete, nella terra degli Yaqui presso cui i fuggitivi cercavano rifugio, ma vista l’opposizione degli Yaqui, rinunciò alla cattura e invitò un loro capo, per discutere un possibile scambio con alcune donne della tribù tenute prigioniere. Secondo le fonti, l’accordo fu raggiunto e alcuni indiani Tehueco, furono inviati presso gli Yaqui, per prendere in consegna i ribelli; gli Yaqui però non accettarono i termini dell’accordo stabilito dal loro capo, e uccisero la delegazione dei Tehueco. Guerriero Yaqui in una foto della fine dell’800 Dopo questa vicenda, che scuoteva il prestigio degli Spagnoli agli occhi degli indiani sottomessi, Hurdaide comprese che se voleva ottenere la piena pacificazione della regione, doveva punire e sconfiggere gli Yaqui, la cui indipendenza alimentava i periodici tentativi di ribellione tra i Mayo. Nel 1609 una prima spedizione fu tentata contro gli Yaqui, con una quarantina di cavalleggeri e circa 2.000 indiani alleati, fra cui molti Mayo, ma una volta giunti nella Sierra del Bacatete, all’ingresso del territorio Yaqui, essi dovettero arrestarsi per la resistenza di migliaia di guerrieri. All’inizio dell’anno successivo un nuovo tentativo fu compiuto, con una forza di quasi 4.000 indiani alleati, e questa volta l’esito fu disastroso: quasi tutti i cinquanta soldati spagnoli furono feriti, salvandosi solo per le armature, gli indiani alleati furono uccisi a centinaia, e lo stesso Hurdaide rimase ferito e scampò per poco alla morte, sfuggendo da un accerchiamento grazie ad uno stratagemma. Mai gli indiani avevano ottenuto una simile vittoria in campo aperto, e mai gli Spagnoli avevano subito una simile umiliazione. Comunque poche settimane dopo gli Yaqui inviarono emissari per aprire trattative di pace: forse fu la presenza di una flottiglia di pescatori di perle lungo la costa, a far loro temere una invasione dal mare, forse i capi Yaqui ritennero opportuno approfittare del vantaggio ottenuto per imporre una pace favorevole, ciò che è certo è che Hurdaide fu ben lieto di accettare, e nell’aprile del 1610, centocinquanta capi e guerrieri Yaqui si recarono a San Felipe y Santiago, per ottenere regali e firmare la pace. Negli accordi gli Spagnoli ottenevano la consegna dei dei due capi ribelli, ma si tenevano fuori dalle terre degli Yaqui, mentre questi rinunciavano a portare attacchi agli indiani sottomessi: mai una guerra indiana si era conclusa con un simile accordo, che fetmava ogni espansione nella terra degli Yaqui . Hurdaide comunque per maggior sicurezza, fece costruire un forte in pietra nel luogo del vecchio villaggio di San Juan Bautista de Carapoa, intorno a cui sorse un villaggio, che per quell’edificio prese il “El Fuerte” costruito nel 1610, dopo la pace con gli Yaqui
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nome di El Fuerte, e che divenne uno dei centri più importanti della regione. La pace del 1610 comunque garantì la sicurezza della colonia e del lavoro dei missionari, che nel 1613 avevano completato la piena conversione dei Mayo. Con la pace si erano fatte frequenti le visite degli Yaqui ai Mayo e al villaggio spagnolo di San Felipe y Santiago, durante i quali gli indiani ebbero modo di valutare il lavoro dei missionari. Forse per lo scarso numero di coloni spagnoli, la presenza dei missionari tra i Mayo non aveva prodotto epidemie, mentre l’introduzione di animali d’allevamento e di nuove tecniche e colture Il teatro della rivolta degli Acaxee e delle guerre contri i Mayo e gli Yaqui agricole, migliorava le loro condizioni di vita; a partire dal 1617 gli Yaqui cominciarono ad accogliere anche loro i missionari, e alla metà del ‘600 essi erano ormai tutti battezzati. La presenza dei missionari non aprì però la regione alla colonizzazione, ne la conversione al cristianesimo mise in discussione la leadership tribale e l’autonomia politica delle comunità; dopo aver sconfitto sul campo gli Spagnoli, gli Yaqui tentarono, e in buona misura riuscirono, a gestire le relazioni con la cultura europea, selezionando quegli elementi che ritenevano utili, ma continuando a tenere fuori dalle loro terre i coloni europei. C’è da dire che una simile impresa fu possibile, anche perché tra i monti abitati dagli Yaqui non fu fatta nessuna scoperta di metalli preziosi. Per i missionari comunque l’attività presso gli Yaqui, fu la base dell’espansione della loro attività verso nord, e soprattutto un modello di attività missionaria meno intrusivo nei confronti delle comunità indiane, che permetterà loro di avanzare in terre selvagge, quasi senza il supporto delle autorità civili e militari, ma solo contando sulla forza di un messaggio di pace.
La Guerra Tepehuan
Sul versante orientale della Sierra Madre, a est degli Acaxee, vivevano i Tepehuan una delle più grandi tribù agricole del Messico settentrionale, che fin dall’inizio della seconda metà del ‘500 aveva avuto contatti con gli Spagnoli. Avendo anche rapporti con i nomadi Chichimechi che vivevano a est, essi erano stati quasi sul punto di unirsi ai loro vicini nella lunga guerra che li opponeva agli Spagnoli insediati nella zona mineraria di Zacatecas, ma alla fine avevano deciso di mantenersi neutrali. Quando poi Francisco de Ibarra aveva esplorato le loro terre, scoprendo giacimenti minerari e fondando i primi insediamenti spagnoli, i Tepehuan non si erano opposti, evitando però per quanto possibile i contatti; dal canto loro gli Spagnoli, impegnati già a combattere contro i Chichimechi, non avevano tentato di sottometterli, ne di imporre loro la conversione o il lavoro servile nelle miniere e negli allevamenti. Dato anche lo scarso numero di Spagnoli presenti nel loro immenso territorio, i rapporti si mantennero abbastanza pacifici per quasi quaranta anni, anche se occasionalmente vi erano frizioni e violenze con gli indiami meridionali che gli Spagnoli avevano portato a lavorare a nord. Questa situazione di precario equilibrio si modificò a partire dalla metà degli anni ’90 del ‘500, quando
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in coincidenza con la fine della Guerra Chichimeca, i missionari gesuiti iniziarono ad operare nella regione, e la presenza di coloni iniziò ad aumentare. Dopo che per anni i Tepehuan erano stati in rapporti pacifici con gli Spagnoli, i gesuiti ebbero buon gioco a penetrare tra di loro, facendo un gran numero di conversioni e iniziando a raccogliere gli indiani intorno alle missioni; tra il 1596 e il 1597 tre missioni furono istituite per i Tepehuan nel nord-ovest dello stato di Durango: Santiago Papasquiaro, Santa Caterina de Tepehuanes e San Un gruppo di indiani Tepehuan fotografati all’inizio del ‘900 Ignacio de El Zape. Il lavoro dei gesuiti diede in breve ottimi frutti, almeno dal punto di vista dei gesuiti, e nel 1615 un gesuita poteva testimoniare con soddisfazione dei progressi fatti, e dichiarare che i Tepehuan, erano quasi al pari degli Spagnoli, nella loro fede cristiana. Ma il punto di vista di molti Tepehuan doveva essere diverso; una serie di epidemie aveva colpito la tribù nel 1594, nel 1601-1602, nel 1606-1607 e nel 1610 e la popolazione si era ridotta forse addirittura dell’80%. I missionari salvavano le anime battezzandole in punto di morte, e poi conteggiavano i morti tra le conversioni, ma per molti indiani il battesimo era in diretta relazione con la successiva morte. In aggiunta non mancavano i casi in cui i missionari collaboravano con i possidenti locali per indurre i Tepehuan a lavorare al loro servizio. Come era accaduto per gli Acaxee, anche tra i Tepehuan fece la sua comparsa la figura in grado di catalizzare il malessere degli indiani, e trasformarlo in aperta ribellione. Lo shaman Quatlatas aveva iniziato la sua predicazione tra i Tepehuan visitando le comunità, portando con se il suo simbolo, una croce rotta, garantendo la resurrezione dopo sette giorni a quanti fossero morti combattendo gli Spagnoli e profetizzando il ritorno alla pace e al benessere, quando fosse stata placata l’ira delle antiche divinità, tradite da quanti si convertivano alla religione dei bianchi. La situazione gia tesa, divenne insopportabile nel 1616, quando una nuova epidemia colpì la tribù: la ribellione esplose coordinata e simultaneo, facendo centinaia di vittime e gettando nel panico gli Spagnoli. Il 16 novembre del 1616 il segnale fu dato con l’attacco ad un convoglio spagnolo per Citta del Messico, nei pressi di Santa Caterina de Tepehuanes, e l’attacco alla missione di Atotonilco, dove un centinaio di civili e i missionari furono uccisi, poi nelle settimane successive fu colpita San Ignacio de El Zape dove un centinaio tra Spagnoli e schiavi africani fu massacrato, quindi fu la volta di Santiago de Papasquario, dove le vittime furono svariate decine, dopo una resistenza di diciasette giorni. Gli attacchi raggiunsero al nord la missione di San Pablo, fondata nel 1607 anche per i Tarahumara, che fu distrutta, fermando l’iniziativa missionaria per i successivi dieci anni, mentre a sud colpirono l’importante centro minerario di Copala, quasi sulla costa, anch’esso distrutto ed evacuato, e ricostruito solo l’anno dopo. Missione gesuita in Nueva Espana
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Appena la notizia della rivolta giunse a Durango il governatore Gaspar de Alvear reagì facendo arrestare e giustiziare 75 capi Tepehuan; poi in dicembre una prima spedizione, guidata dallo stesso governatore e accompagnata da 400 indiani alleati si spinse nelle terre dei Tepehuan, distruggendo ogni villaggio, compiendo massacri e catturando schiavi. I Tepehuan comunque, guidati da sei capi guerrieri, il più noto dei quali era Francisco Gogoxito, continuarono a resistere sui loro monti, lanciando azioni di guerriglia contro insediamenti miniere e e ranchos. In breve tempo la regione fu evaIl teatro della Guerra Tepehuan cuata dagli Spagnoli, tutte le attività economiche interrotte, così come quelle dei missionari, dieci dei quali erano stati uccisi, praticamente tutti quelli che operavano nella regione, salvo uno che fece in tempo a fuggire. Nel mese di marzo del 1617 una nuova spedizione di una settantina di soldati spagnoli e centoventi guerrieri Concho del nord fu inviata sui monti dei Tepehuan, senza riuscire a sedare la rivolta. L’anno successivo Alvarez Gonzalo de Uria con settanta soldati spagnoli e il supporto di duecento guerrieri Acaxee, Xixime e Lagunero, partì alla fine di febbraio da Durango; poco dopo la partenza gli scout indiani incontrarono due Tepehuan, uno dei quali fu ucciso, mentre l’altro, sottoposto a tortura, cercò di indurre gli Spagnoli su una falsa pista. Comunque gli scout indiani riuscirono a individuare la rancheria di Guasimey, dove erano riunita la gente di Gogoxito, nel territorio degli Hume, un sottogruppo degli Xixime, in una zona di canion e vette inaccessibili. Il 5 marzo la colonna si mise in viaggio lungo una difficile pista fra i monti selvaggi, ma prima ancora di raggiungere la rancheria un gruppo di guerrieri Laguneros incontro Gogoxito e una quarantina di guerrieri, di ritorno da una incursione e nello scontro che ne seguì Gogoxito perse la vita, colpito più volte dalle frecce e poi finito dalle lance dei soldati sopraggiunti. La testa di Gogoxito fu portata al campo come trofeo, insieme a quella di altri guerrieri morti al suo fianco, poi la colonna ripartì per Guasimey, per catturare tutti i ribelli. A Guasimey però gli indiani erano fuggiti e nemmeno l’aiuto degli Hume, che si erano presto schierati con gli Spagnoli, permise di ritrovarli; per tutto il mese di marzo e fino ai primi di maggio Spagnoli e alleati indiani vagarono sulle pendici orientali della Sierra Madre al confine delle terre degli Acaxee e dei Xixime, senzatrovare i Tepehuan, incontrando solo una piccola banda di ritorno da una razzia di bestiame e pochi indiani isolati. I Tepehuan comunque dopo la morte di Gogoxito erano demoralizzati: la loro terra era presidiata da contingenti di Spagnoli e indiani alleati, non potevano seminare campi o ricostruire villaggi, e la loro unica possibilità era quella di fuggire e nascondersi fra i monti più inaccessibili. Dopo questo successo i missionari fecero ritorno nelle terre dei Tepehuan, ovviamente con la scorta dei militari, ma la guerra continuò ancora per anni, tra gli indiani nascosti sui monti e gli Spagnoli che riprendevano possesso di miniere e ranchos; un solo raid sul villaggio di Mapimi, a decine di miglia dai monti dove i Tepehuan si erano rifugiati, causò un centinaio di vittime. Nel 1620 dopo che gran parte dei Tepehuan erano stati obbligati a raccogliersi di nuovo intorno alle missioni, per essere meglio controllati, gli Spagnoli considerarono formalmente conclusa la guerra, anche se una parte significativa della tribù continuava a vivere nascosta nelle valli montane più nascoste. Ancora nel gennaio 1621 ribelli Tepehuan, insieme a gruppi di Tarahumara, attaccarono gli insediamenti spagnoli nella zona di Santa
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Barbara a nord, provocando la reazione del nuovo governatore Mateo de Vesga, che inviò nella valle di San Pablo, in territorio Tarahumara, il capitano Francisco Montano de la Cueva; Montano de la Cueva catturò undici Tarahumara, tra cui un capo importante, che fece atto di sottomissione, e rinunciò a sostenere i ribelli Tepehuan. Altre ostilità si ebbero nel territorio dei Conchos, alleati degli Spagnoli, dove l’hacienda di Alonso del Castillo fu attaccata il 20 gennaio 1621, con il massacro di molti suoi abitanti, compresi diversi indiani Concho; per tutto l’anno poi continuarono gli attacchi ai villaggi dei Concho, almeno uno dei quali subì il massacro completo. Infine i ribelli Tepehuan ormai sconfitti, portarono il seme della rivolta, tra i nomadi del Bolson de Mapimi, tra cui molti di loro trovarono rifugio. Come gli stessi Tepehuan avevano fatto al tempo della rivolta degli Acaxee, le tribù vicine non si erano unite alla sollevazione, ma anzi avevano fornito guerrieri per le spedizione punitive spagnole; solo un gruppo di Acaxee che non si era arreso dopo la rivolta del 1601, si unì ai Tepehuan, ma altri Acaxee e Xixime che conoscevano la regione, svolsero un ruolo importante come scout, nell’uccisione di Gogoxito. Tramontato il sogno di Quatlatas, morto egli stesso senza che ne lui, ne nessuno fosse resuscitato dopo sette giorni, ai Tepehuan non rimaneva che scegliere tra ritirarsi nelle regioni più povere e nascoste della loro terra o porsi sotto il dominio degli Spagnoli, e in molti scelsero la prima opzione. Dopo le malattie, la guerra aveva causato un numero indefinito di morti, forse 4.000, molti per fame e freddo, dopo che villaggi e raccolti erano stati distrutti dagli Spagnoli. Solo nel 1707 nuove missioni furono aperte nella terra dei Tepehuan, e si dovette giungere alla metà del ‘700 per avere un numero significativo di conversione. La tribù riuscì comunque a sopravvivere nei secoli successivi e anche a riprendersi, e se gran parte dei Tepehuan persero la loro identità nella popolazione meticcia del Messico, ancora nella seconda metà del XX secolo tre diversi gruppi di Tepehuan continuavano a vivere sui loro monti, preservando ancora parte della loro antica cultura. Per gli Spagnoli i quattro anni della Guerra Tepehuan furono distruttivi: oltre un migliaio di indiani convertiti, meticci e schiavi africani uccisi, e forse duecento Spagnoli, una quota importante rispetto alla presenza di coloni europei nella regione, a cui andavano aggiunti gli immensi costi economici, tra attrezzature minerarie distrutte, bestiame razziato, edifici bruciati, senza contare le mancate entrate dovute alla sospensione di tutte le attività economiche. La rivolta dei Tepehuan obbligò gli Spagnoli a modificare la loro politica verso gli indiani, che dopo la Guerra Chichimeca era stata incentrata principalmente sulla possibilità di indurli alla sottomissione, grazie al lavoro dei missionari e alle merci che venivano distribuite a quanti accettavano di convertirsi e risiedere presso le missioni. Questo strumento, aveva dato i suoi frutti tra i popoli nomadi, con un modello di sussistenza povero e una struttura sociale poco coesa, la cui bellicosità era spesso frutto di una condizione di indigenza e di precarietà; una volta raccolti intorno alle missioni, sostenuti nel passaggio all’attività agricola e all’allevamento, riforniti di piccoli tesori di merci europee, questi indiani potevano facilmente essere indotti a rinunciare alla loro cultura, per poi essere inseriti nel sistema di relazioni coloniali, di cui rappresentavano il livello più basso. Diversa era la condizione per popoli agricoli e sedentari, con una strutturata vita sociale, forse meno propensi alla guerra che non i nomadi, ma pronti a difendere la loro cultura e il loro sistema di vita, quando si trovavano messi alle strette. Dopo la rivolta dei Tepehuan fu chiaro che la questione indiana non poteva essere lasciata ai soli missionari, e la necessità di un adeguato presidio militare delle terre del nord si pose con urgenza.
L’espansione delle missioni in Sonora e Chihuahua
Con la fine della disastrosa Guerra Tepehuan i popoli indiani delle regioni di Durango e Sinaloa erano stati finalmente sottomessi e pacificati, ma a nord dei più avanzati presidi spagnoli, in quelli che oggi sono gli stati messicani di Sonora, Chihuahua e Coahuilla, si estendeva un vasto territorio in larga misura ignoto, abitato da popoli indipendenti e tendenzialmente ostili; oltre queste terre, la sparuta colonia di Santa Fè in Nuevo Mexico, rimaneva sostanzialmente isolata, e per rifornimenti e comunicazioni era necessario viaggiare per centinaia di chilometri in terre semidesertiche abitate dai nemici Apache. In questo vasto territorio all’inizio degli anni ’20 del ‘600, l’espansione spagnola a nord riprese dopo le distruzioni provocate dalla Guerra Tepehuan, principalmente per l’iniziativa dei missionari, che operarono con successo tra gli Yaqui, e allargarono il loro intervento tra i pacifici Nebome (Pima Bajo), fino a raggiungere i lontani Opata, fondandovi la prima missione nel 1628; queste tribù rimasero sostanzialmente indipendenti, salvo l’atto formale di sottomissione al re di Spagna, ma attraverso l’azione dei missionari il governo coloniale iniziò ad avere almeno conoscenza dei suoi possedimenti e dei suoi sud-
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diti. In tutta questa area che verrà conosciuta dalla metà del ‘600 come provincia di Sonora, l’attività missionaria proseguì nei decenni successivi in modo sostanzialmente pacifico, non accompagnandosi all’avanzare dei coloni. Senza encomienderos e cacciatori di schiavi, senza l’imposizione del lavoro servile, senza il furto delle terre migliori, e evitando eccessi di zelo e fanatismo religioso, i missionari progressivamente acquisivano autorità tra gli indiani, riuscendo con il tempo ad aumentare le conversioni senza snaturare e distruggere del tutto lo stile di vita indiano. In tal modo gli indiani furono riuniti dalle disperse comunità montane in più popolosi villaggi, dove veniva introdotto l’allevamento e nuove colture agricole, mentre i precetti e i riti cristiani si fondevano alle credenze locali, dando vita ad un sincretismo religioso ancora oggi vivo nella regione. Prima della fine secolo la quasi totalità degli indiani erano convertiti, vivendo in pace e lontani dai coloni spagnoli, fin quasi alla metà del ‘700. Più difficile era la situazione nella zona di confine tra Sinaloa, Sonora e Chihuahua, dove la penetrazione dei gesuiti trovava ostacoli maggiori; dopo aver convertito gli indiani Mayo i gesuiti negli anni ’20 si erano spinti nell’interno, lungo l’alto corso del fiume Mayo nelle terre abitate dai Guarijo, un popolo affine ai Tarahumara, trovando però resistenze tra gli indiani locali; in questa zona montuosa è possibile che avessero trovato rifugio gruppi di Tepehuan ancora ostili e che la loro presenza abbia fomentato gli indiani locali. Nel 1624 Diego Martinez de Hurdaide si impegnò in una campagna contro le comunità dei Soes, Calimomes e Apalacas che avevano ucciso otto capi convertiti e costretto i due gesuiti che operavano nella regione a fuggire; da El Fuerte Hurdaide si spinse nell’interno con una cinquantina di soldati e centinaia di guerrieri Mayo, poi dopo l’uccisione di un messaggero indiano inviato a cercare di aprire trattative con i ribelli, pose un lungo assedio alla località dove gli indiani si erano riuniti, e alla fine lanciò un attacco vittorioso uccidendo oltre un centinaio di indiani, prendendo una quarantina di prigionieri e giustiziandone altri venti sul posto. L’anno successivo i due gesuiti stabilivano nella regione la missione di Nuestra Senora de Varijos de Guadalupe e altre minori, ma ostilità e tensioni continuarono ancora per anni, dopo la morte di Hurdaide, avvenuta nel 1626; infine il 1 febbraio del 1632, gli indiani si sollevarono nuovamente, distrussero la missione di Chinipas e uccisero i due gesuiti e alcuni indiani convertiti. Il nuovo alcade di San Felipe y Santyiago, Pedro Perea, punì i Guarijo uccidendone a centinaia e deportandone altrettanti nella valle del fiume Sinaloa. L’attività missionaria fu ripresa tra gli indiani che ancora vivevano sui monti, solo negli anni ’70 del ‘600, quando tutto il Messico nord-occidentale era ormai pacificato. Oltre ai Guarijo delle montagne un altro popolo che rimase fuori dall’attività dei missionari furono i Seri, un popolo nomade e bellicoso che viveva nella regione costiera e sull’isola di Tiburon, in una zona povera di sorgenti e corsi d’acqua e di scarse precipitazioni, dove la scarsità d’acqua potabile rendeva la vita molto difficile. I Seri, che parlavano una lingua diversa dai loro vicini Uto-Aztecan e forse riconducibile al gruppo Hoka, erano probabilmente abitanti originari di quelle terre, spinti ai margini dal successivo arrivo dei loro vicini Yaqui e Nebome. Presso questi indiani che vivevano in piccoli gruppi, spostandosi lungo la costa dove pescavano, raccoglievano molluschi e cacciavano leoni marini, o cervi e pecari nelle zone interne, i missionari non fecero significativi tentativi di intervento, anche se è probabile che i Seri si siano avvicinati alle missioni stabilite tra gli Yaqui e i Nebome, per curiosità o attratti dagli oggetti di metallo, o semplicemente spinti dalla fame e in cerca di cibo. Il loro precedente contatto con gli Spagnoli era stato ai tempi della spedizione di Coronado, quando avevano attaccato un contingente di Spagnoli di ritorno dall’esplorazione della foce del Colorado; il loro secondo contatto non fu meno cruento. Sappiamo che nei primi anni del ’60 del ‘600 essi subirono un sanguinoso attacco spagnolo, forse per rappresaglia ad un precedente attacco ad una missione. Dopo questo fatto di sangue la tribù continuò a vivere isolata, anche se è probabile che i piccoli furti di bestiame e altre molestie nei confronti delle missioni siano continuate nei decenni successivi. Solo dall’inizio del ‘700 fu iniziato il tentativo di conversione e sottomissione, ma nemmeno due secoli di conflitti sarebbero bastati a vincere la loro resistenza. Più a est, sul versante orientale della Sierra Madre i Tarahumara erano un’altra grade tribù agricola e sedentaria, che era entrata per la prima volta in contatto con gli Spagnoli, quando nel 1567 il luogotenente di Francisco de Ibarra, Doimingo del Rio de Losa aveva fondato il villaggio di Santa Barbara, al centro di una ricca zona mineraria, al limite settentrionale dei possedimenti spagnoli in Messico. Nel giro di tre decenni Santa Barbara era quindi divenuta una popolosa e ricca città di frontiera, con circa 7.000 abitanti tra Spagnoli, meticci e servitori indiani delle terre del sud; da Santa Barbara poi partivano le prime spedizioni verso il Nuevo Mexico, e i convogli che collegavano Santa Fè alle colonie messicane. Come ogni città di frontiera a Santa Barbara giungevano uomini spinti dalle più diverse ambizioni, dagli zelanti missionari, a quanti speravano di arricchirsi con le miniere, fino ad avventurieri, soldati, fuori-
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legge e ovviamente mercanti di schiavi, che si arricchivano rifornendo le miniere sempre in cerca di manodopera. Con la presenza di una simile fauna, i Tarahumara si mantennero alla larga dalla città, evitando contatti e non offrendo alcuno spazio ai tentavi dei missionari che cominciarono ad operare nella regione. Nel 1607 i missionari che operavano fra i Tepehuan, raggiunsero i gruppi più settentrionali di questa tribù, che vivevano nelle vicinanze di Santa Barbara, fondandovi la missione di San Pablo de Tepehuanes a nord-ovest della città, e uno di loro ebbe i primi contatti con i Tarahu- Una veduta del fiume Conchos, che attraversa il deserto di Chihuahua mara, mediando una pace tra loro e i Tepehuan. L’esperienza comunque finì nel sangue, quando nel 1616 i Tepehuan si ribellarono, la missione venne distrutta, i gesuiti massacrati; poi per oltre dieci anni nessuna iniziativa venne più assunta. Ancora più a est, lungo il corso del fiume Conchos, che divide la regione montuosa della Sierra Madre Occidentale dal bacino desertico del Bolson de Mapimi, erano stanziati i Concho, e a nord di questi, alla confluenza tra il Conchos e il Rio Grande, le varie tribù di La Junta. I Concho, differenza degli indiani de La Junta e dei Tarahumara con cui condividevano l’appartenenza al gruppo linguistico Uto-Aztecan, erano solo parzialmente sedentari, coltivando piccoli orti lungo il fiume Concho e i suoi affluenti, e spostandosi per parte dell’anno per cacciare e raccogliere vegetali selvatici nelle aride pianure del deserto di Chihuahua; erano divisi un gran numero di bande poco coese che all’inizio del ‘600 da quasi mezzo secolo mantenevano sporadici e pacifici contatti con gli Spagnoli. Attraverso le loro terre correva la via principale che portava in Nuevo Mexico, e dal 1569 i francescani avevano aperto la prima missione nella valle de San Bartolomè a nord-est di Santa Barbara; proprio operando tra i Concho frate Augustin Rodriguez sentì parlare dei Pueblo e decise di organizzare la seconda spedizione in Nuevo Mexico, dopo quella di Coronado. Dopo la prima missione i francescani ne aprirono altre discendendo il corso del fiume Conchos, dove si raccolsero fino agli anni ’40 del ‘600 circa 4.000 indiani, non solo Concho ma anche nomadi Toboso, Salinero e di altri gruppi del Bolson de Mapimi. Come era già accaduto nella terra dei Chichimechi, le missioni rappresentavano un centro d’attrazione per gli indiani nomadi delle regioni semidesertiche, che vi trovavano cibo e merci europee, e dove veniva promossa l’attività agricola e l’allevamento. Gli scambi con i convogli Spagnoli in transito e i rapporti con i missionari avevano permesso relazioni amichevoli, e i Conchos erano stati anche arruolati come mercenari per sedare le rivolte degli indiani di Durango, ma la situazione sarebbe cambiata prima della metà del ‘600, quando la presenza spagnola nella regione sarebbe aumentata.
Le rivolte dei Concho e dei Tarahumara
Ancora una volta furono le scoperte minerarie a guidare l’avanzata, verso nord: nel 1630 a est di Santa Barbara veniva scoperto il più grande giacimento d’argento del mondo, che avrebbe garantito ricchezza per i successivi tre secoli e mezzo; nel 1631 presso il giacimento minerario veniva fondato il centro di Parral, il cui nome sarebbe divenuto sinonimo di lavoro forzato per migliaia di indiani che vi furono deportati da ogni luogo. Come era accaduto un secolo prima a Zacatecas, la scoperta attirò i coloni come mosche sul miele, e con loro giungevano indiani del sud al servizio dei coloni, missionari e soldati, mentre la richiesta di braccia rilanciava il commercio illegale degli schiavi. A partire dal 1630 tanti piccoli
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insediamenti spagnoli, quasi tutti abbandonati in epoca successiva, iniziarono a sorgere a nord di Parral, lungo il corso del Concho e dei suoi affluenti, sia per estendere le ricerche minerarie, sia per stabilirvi ranchos in cui produrre le derrate necessarie al sopstentamento delle colonie minerarie; il contatto con gli indiani iniziò così a divenire concorrenza per lo sfruttamento del territorio, in particolare lungo il fiume Concho, dove gli indiani Concho praticavano un po’ d’agricoltura. Quella che era stata una regione mineraria di frontiera diveniva ora una delle principali risorse economiche del potente impero spagnolo, e ovviamente tutta la regione doveva essere posta sotto controllo, gli indiani sottomessi e impiegati al lavoro, i ricchi convogli inviati a sud e le merci e i rifornimenti diretti a nord, messi in sicurezza. Come era già accaduto tra i Chichimechi l’attività dei missionari, divenne parte di una più generale strategia di controllo degli indiani, e a partire dal 1640, mentre si cercavano nuovi giacimenti sulle loro terre, anche i Tarahumara divennero oggetto dell’attività dei gesuiti. Ma se i missionari potevano penetrare pacificamente tra gli indiani di Sonora, dove non c’erano giacimenti Monumento agli ormai estinti indiani Choncho minerari e coloni spagnoli, differente era la situazione a San Francisco de Concho in Chihuahua, dove i missionari non si opponevano alle varie forme di lavoro servile o semiservile che veniva imposto agli indiani, attraverso le forme legali dell’encomienda o del repartimiento. Alla metà degli anni ‘40 il malessere esplose con violenza, prima fra i nomadi Toboso, che erano le principali vittime dei cacciatori di schiavi, poi nel 1645 raggiunse i Concho, che erano considerati sudditi fedeli e che solo pochi mesi prima avevano partecipato ad una spedizione spagnola contro i Toboso . Non sono chiare le ragioni che portarono i Concho a ribellarsi, dopo anni di rapporti pacifici con i missionari, ma pare che anche tra loro il moto abbia assunto anche un carattere religioso, con il rifiuto della fede e dei nomi cattolici e il ritorno alle antiche credenze; va rilevato che come in altri casi, il dogma cristiano della resurrezione di Cristo, fu adattato all’esigenza del momento, dato che dalle testimonianze pare che diversi indiani fossero convinti, che se fossero morti combattendo contro gli Spagnoli, dopo tre giorni sarebbero risorti. Comunque a differenza di quanto era accaduto tra gli Acaxee e i Tepehuan, in cui la rivolta era stata preparata dalla predicazione di un capo spirituale, ed esplodeva in modo simultaneo e coordinato fra tutte le comunità, la rivolta dei Concho fu probabilmente il prodotto improvviso e imprevisto di una esasperazione che montava da tempo, causato dal difficile rapporto con i coloni, che aumentavano ogni giorno di numero dopo la scoperta dell’argento a Parral, ma anche da un ciclo di siccità durato cinque anni, in cui la fame, ma anche le malattie, avevano colpito gli indiani. Le prime violenze si ebbero nel marzo del 1645, nella zona di San Bartolomè a est di Parral, dove i Concho uccisero due Spagnoli e rubarono del bestiame, poi pochi giorni dopo, il 26 dello stesso mese, la rivolta raggiunse la missione di San Francisco de Concho, che fu distrutta e dove vennero uccisi i due missionari francescani, un colono spagnolo e diversi indiani convertiti, compreso il capo tribale riconosciuto dagli Spagnoli. Nel corso del mese di aprile, la ribellione si estese lungo il corso del fiume Concho, fino al Rio Grande, coinvolgendo anche le tribù di La Junta; furono distrutte le missioni di San Pedro de Concho, di Atotonilco e San Luis de Mascomalhua, e attaccata una hacienda dove furono uccisi lavoratori indiani e rapite donne meticce, mentre in tutta la regione avvenivano razzie e furti di bestiame. Gli Spagnoli erano stati presi alla sprovvista dalla rivolta dei loro alleati e per più di tre mesi i Concho furono i padroni del campo e gli Spagnoli dovettero ritirarsi nei principali centri, sul margine meridionale del bacino del fiume Concho. Poi in luglio il capitano Francisco Montano de la Cueva, un esperto uomo di frontiera si mise in campagna per punire i ribelli. La spedizione era composta da novanta cavalieri spagnoli e da quasi trecento alleati indiani, e dopo aver viaggiato verso nord per circa duecentocinquanta chilometri, 16 luglio individuò il grande accam-
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pamento in cui i ribelli si erano radunati sul basso corso del Concho. La battaglia fu una disfatta per gli indiani che ebbero venti morti, decine di prigionieri e un numero imprecisato di feriti; la gran parte degli indiani riuscì comunque a fuggire passando a nuoto sull’altra riva del fiume, ma ormai lo scoramento e la delusione si erano diffusi fra i ribelli. Montano de la Cueva, dopo la vittoria, piuttosto che incalzare gli sconfitti, inviò emissari per trattare la resa, accordandosi subito con i capi di due bande Concho; poi tra agosto e settembre quasi tutte le bande si arresero e in ottobre il capitano spagnolo tornava alla base, portando con se centinaia di indiani da riunire intorno alle missioni distrutte e nuovamente ricostruite. I Concho ritornarono nelle missioni o nei loro villaggi sotto il controllo spagnolo, obbligati al lavoro servile e per circa vent’anni, si mantennero in pace, salvo qualche occasionale raid o violenza nella parte occidentale del loro territorio, al confine con la terra dei Tarahumara. Nel 1666 i Concho furono ancora una volta coinvolti nelle ostilità iniziate dai loro vicini nomadi del Bolson de Mapimi, ma dopo i primi segni di ribellione, essi furono di nuovo posti sotto controllo. La rivolta dei Concho era stata domata piuttosto velocemente, ma la pace nella regione durò poco. A difIndiani Tarahumara alla fine dell’800 ferenza dei Concho, che da anni erano in rapporti pacifici con gli Spagnoli, i Tarahumara, che vivevano di agricoltura sui monti a nord delle zone minerarie di Santa Barbara e Parral, si erano sempre mantenuti indipendenti e diffidenti. All’inizio degli anni ’40 i gesuiti avevano iniziato a tentare di fare le prime conversioni, aprendo alcune missioni sul margine meridionale del loro territorio, ma la loro azione avanzava in contemporanea a quella dei coloni che si appropriavano delle terre migliori, dei cacciatori di schiavi in cerca di manodopera, di un’amministrazione civile che imponeva il lavoro servile; i missionari erano così considerati parte della minaccia rappresentata dagli Spagnoli, e quando essi cercarono di insediarsi nel cuore del territorio Tarahumara, fondando la missione di San Francisco de Borja, gli indiani reagirono distruggendola e uccidendo i missionari. Gli Spagnoli riuscirono a individuare due leader della rivolta e a giustiziarli, ma l’ostilità dei Tarahumara non fu domata. Non tutti i Tarahumara erano ostili comunque, un loro giovane capo di nome Teporaca aveva accettato il battesimo, poi quando gli Spagnoli si erano ripresentati nel 1649, per riprendere il controllo della regione fondando il presidio di Villa de Aguilar, lui aveva collaborato con loro. Ma la presenza militare e civile spagnola non favorì rapporti più pacifici, e già nel 1650 ci furono nuove violenze: nella missione di Papigochi, istituita nelle vicinanze di Villa de Aguilar, un gesuita fu assassinato. Il governatore Diego Guajardo Fayardo, organizzò una colonna che attaccò i Tarahumara nella località fortificata di Pichachi, riuscendo a sconfiggerli dopo un’ostinata resistenza. I Tarahumara erano un popolo sedentario e tendenzialmente pacifico, poco incline alle razzie come invece erano i Toboso e le altre tribù del Bolson de Mapimi, ma di fronte alla presenza arrogante degli Spagnoli, anche i capi più pacifici, potevano diventare guerrieri pericolosi. Questo fu il caso di Teporaca, che nel 1652, dopo esser stato testimone per anni degli abusi degli invasori, decise di guidare la sua tribù alla rivolta. L’obbiettivo fu la cittadina di Villa de Aguilar, la cui popolazione fu totalmente massacrata il 2 di marzo, poi fu la volta della missione di Papigochic, distrutta; alla guida di circa 2.000 guerrieri Tarahumara, Teporaca si spostò a est di un centinaio di chilometri, per attaccare il villaggio di S.Lorenzo, poi la missione gesuita di San Francisco Javier de Satevo, e quella francescana di Santa Isabel e altre sei minori, al limite del territorio dei Concho. Per quasi un anno i Tarahumara ritornarono a essere padroni della loro terra, mentre tutti gli Spagnoli abbandonavano la regione, e solo all’inizio del 1653, il governatore Guajardo y Fajardo riusciva ad organizzare una reazione. Per due mesi i soldati spagnoli rastrellarono il territorio, riuscendo infine a corrompere alcuni Tarahumara, che alla fine di febbraio consegnarono il loro capo agli Spagnoli; pochi giorni dopo essere stato fatto prigioniero, Tepo-
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raca subì un veloce processo, fu impiccato e il suo corpo trafitto dalle frecce, lasciato a imputridire appeso, come monito per tutti i Tarahumara. Secondo testimonianze, Teporaca morì gridando il suo odio per gli Spagnoli, e il suo disprezzo per chi l’aveva tradito. La cittadina di Villa de Aguilar venne ricostruita, con il nuovo nome di Basuchil, ma l’attività dei gesuiti ebbe comunque un forte rallentamento, così come l’avanzata dei coloni. Gran parte del territorio Tarahumara, specialmente a nord-ovest rimase sostanzialmente indipendente, e i gesuiti fecero la loro ricomparsa solo negli anni ’70; nel frattempo la tribù progressivamente si divideva tra una parte che viveva nella Baja Tarahumara, la parte sud-orientale del territorio tribale, vicina agli insediamenti spagnoli, che progressivamente perse la propria identità, e quanti invece vivevano nella Alta Tarahumara, nel nord-ovest, presso le sorgenti del fiume Yaqui, che avrebbe continuato a mantenere i propri usi e credenze, e avrebbe ancora dato filo da torcere agli Spagnoli, prima della fine del secolo.
I nomadi del Bolson de Mapimi
A est del fiume Concho e fino ai rilievi della Sierra Madre Orientale, si apre la grande depressione interna del Bolsom de Mapimi, un’estensione verso nord della Gran Chichimeca, da cui è divisa da una regione di paludi salmastre, prodotte dai corsi d’acqua che dai monti scendono verso il centro del bacino. Ancor più arido della Gran Chichimeca, il Bolson de Mapimi è ancora oggi una terra scarsamente popolata e priva di risorse, e nella seconda metà dell’800, quando ormai i suoi abitanti originari erano stati distrutti, divenne il punto di raccolta per le bande Comanche, che passavano il Rio Grande per lanciare incursioni e razzie in Messico, fino alla lontana Durango. I suoi abitanti originari sono i popoli meno conosciuti del Nord America, estinti di fatto già ai primi del ‘700; da quel poco che si sa dalle testimonianze spagnole, essi non dovevano essere molto diversi nello stile di vita, e probabilmente neanche nella lingua, dai Guachichile della Gran Chichimeca, come loro di lingua Uto-Aztecan, nomadi, bellicosi e pronti alla razzia, socialmente poco coesi e capaci di sopravvivere in una terra difficile e povera, spostandosi in piccoli gruppi e costruendo i loro accampamenti di semplici capanne di rami e frasche raccolte sul posto. Nelle cronache spagnole essi compaiono con una quantità di nomi diversi, spesso riferiti alla stessa banda locale, oppure citati da una sola fonte e mai più ricordati; da questa quantità di nomi è possibile individuare quattro principali raggruppamenti, due posti a sud lungo i corsi d’acqua e le lagune salmastre, gli altri due a nord nel cuore desertico del Bolson de Mapimi. I gruppi meridionali erano noti come Lagunero e Salinero, un nome descrittivo, riferito alle caratteristiche del loro territorio di lagune e saline; a nord vivevano invece i Toboso, la tribù più nota, che impegnò gli Spagnoli in una lunga ed estenuante guerriglia, quindi i Chiso, un certo numero di bande che parlavano la stessa lingua dei Concho, ma che erano passate al nomadismo e alternavano alleanza e ostilità con i Toboso. Almeno al tempo degli Spagnoli, vi era ostilità tra i Toboso e i Lagunero, mentre le diverse bande Salinero a volte furono alleate degli Spagnoli, in altri casi furono fra le tribù più ostili. Altri nomi usati a definire queste tribù sono quelli dei Cabezas, Goyocome, Gavi- Indiani di Coahuilla alla fine dell’800, discendenti dei nomadi del Bolson de Mapomi
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lan e molti altri ancora, o riferiti ai gruppi già citati, o a singole bande degli stessi gruppi. I primi contatti di questi indiani con i bianchi, risalivano agli anni ’60 del ‘500, durante la Guerra Chichimeca, quando a est del Bolson de Mapimi fu fondato il centro agricolo di Saltillo, per rifornire le zone minerarie più a sud, e le spedizioni dei cacciatori di schiavi si spingevano nella regione per trovare materia prima umana; è quindi probabile che anche queste tribù siano state coinvolte e abbiano preso parte ad azioni contro gli Spagnoli, durante la Guerra Chichimeca; quasi certamente anche il cavallo fece la sua comparsa nella regione, favorendo il nomadismo e la predisposizione aggressiva di queste tribù, insieme a merci europee e manufatti di metallo ottenuti attraverso scambi con i popoli che vivevano più a sud o con atti di predazione. Negli anni ’90 del ‘500, alla fine della guerra Chichimeca, i gesuiti provarono a iniziare un lavoro missionario fra i Lagunero, la tribù più meridionale del Bolsom de Mapimi, e nel 1598, nella regione fu fondato il villaggio di Parras, al centro del distretto missionario di Laguna; il lavoro missionario ottenne un buon successo, ovviamente dal punto di vista degli Spagnoli, al punto che i Lagunero si allearono agli Spagnoli e collaborarono a stroncare la rivolta dei Tepehuan. Le bande nomadi spesso si recavano alle missioni al tempo del raccolto, si fermavano per qualche tempo facendo scambi, poi partivano per tornare l’anno successivo; il contatto con le missioni diveniva così un elemento dell’economia nomade, e permetteva ai missionari rapporti pacifici e un certo controllo. I Lagunero erano poi in rapporti ostili con i Toboso, i Salinero e altri indiani del nord, per cui molti si avvicinarono alle missioni, per cercare protezione dai nemici. Tali contatti comunque erano causa di malattie, progressiva perdita di identità tribale a seguito del meticciato con indiani del sud già convertiti, e infine portava alla dissoluzione della tribù, come entità etnica definita: di fatto dalla metà del ‘600 i Lagunero scompaiono dalla storia, per mescolarsi al mondo di peones di origine nativa, come era già accaduto ai vicini Chichimechi . Più a nord però l’espansione missionaria si fermò: l’assenza di risorse minerarie o d’altra natura scoraggiava l’espansione dei coloni, riducendo quindi l’interesse e gli investimenti dell’amministrazione civile per l’area, mentre lo stile di vita nomade degli indiani rendeva estremamente difficile l’attività dei missionari. Senza risorse economiche per i regali, il bestiame, il cibo, con cui attirare i nomadi e cercare di mantenerli nelle vicinanze della missione, i missionari rinunciarono ad operare nelle regioni desertiche, cercando di attirare i nomadi nelle missioni nella zona delle lagune, o lungo il corso del Concho; la missione di Atotonilco, lungo il fiume Florido, affluente del Concho, divenne il punto di raccolta per i Toboso convertiti, il cui numero fu sempre però scarso; a San Josè de Tizonazo si tentò di riunire i Salinero, che però non vi rimasero mai per lunghi periodi. Anche l’azione militare fu scarsa e soprattutto difensiva, dato che gli Spagnoli si resero presto conto che l’inseguimento di piccole bande di nomadi a cavallo, attraverso quelle immensità desolate e deserte, era abitualmente inutile. Il Bolson de Mapimi rimaneva così un’enclave fuori controllo, di nessun interesse economico, dove trovavano rifugio gli indiani nomadi, il cui povero modello di sussistenza si era arricchito della razzia di bestiame ai danni di missioni e ranchos spagnoli, sia sul fiume Concho, che nelle terre più a sud; in aggiunta negli anni ’20, dopo la fine della Guerra Tepehuan, fuggitivi di questa tribù si trasferirono nella regione, portandovi la loro ostilità agli Spagnoli. I Toboso e le altre tribù divennero così una costante minaccia alle proprietà spagnole e allo stesso tempo i principali fornitori dei mercanti di schiavi, per le zone minerarie del sud e dell’ovest. Analoga era la situazione a est della Sierra Madre Orientale, dove dalla fine del ‘500 l’avanzata spagnola subì uno stallo, sia per la mancanza di stimoli, non essendo la regione ricca di minerali preziosi, sia per l’ostilità delle bande nomadi Coahuiltecan. A nord di Monclova, Saltillo e Monterey, la regione era teatro di un conflitto a bassa intensità, in cui gli indiani occasionalmente predavano bestiame e merci dai ranchos, e i coloni rispondevano con spedizioni per la cattura degli indiani, da vendere poi come schiavi. Tra le scarse notizie relative a questa regione, risulta che nel 1607 Francisco de Urdinola condusse una spedizione, tra il Rio Grande e il Rio Sabinas, per punire una banda che chiamò Quamoquane, uccidendone un gran numero e portandone in schiavitù a Parras e Saltillo molti altri; non è chiara quale fosse la ragione della punizione, se ci fossero stati furti o scorrerie, o se piuttosto la vera ragione della spedizione fosse quella di fare schiavi. In questo quadro generale è probabile che singoli capi locali, abbiano anche tentato di cercare di stabilire accordi di pace con gli Spagnoli, richiedendo missionari, allo scopo di ottenere la protezione dai cacciatori di schiavi, come avveniva per gli indiani raccolti nelle missioni. Nel maggio del 1621 e poi ancora il 7 maggio del 1624 alcuni capi Toboso si recarono a Durango, dichiarandosi pronti ad accettare la sottomissione, e spiegando la loro azioni violente con la mancanza di istruzione religiosa; l’iniziativa però non ebbe seguito e la guerriglia di frontiera continuò.
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L’ostilità di queste bande nomadi che era costante, ma che almeno nei primi decenni non metteva veramente a rischio gli insediamenti minerari e i villaggi a ovest e a sud, diveniva particolarmente grave quando essa si saldava con il malessere dei popoli già inseriti nel sistema delle missioni, come i Concho, o i popoli sedentari in genere, come quelli di La Junta. I nomadi avevano spesso relazioni di scambio con queste tribù e il lavoro dei missionari che cercava di attirare i nomadi nelle missioni era un ulteriore occasione di incontro e scambio di informazioni. Così quando ala fine del 1644 i Toboso della missione di Atotonilco si ribellarono e le azioni ostili dei Toboso ebbero un’impennata, esse fecero da miccia all’esplosione della rabbia dei Concho che si ribellarono all’inizio del 1645. All’inizio dell’estate 1645 mentre i Concho attaccavano missioni e villaggi discendendo il corso del fiume verso nord, i Toboso portavano i loro attacchi a sud, tra Parral, la valle di San Bartolomè e Mapimi; una banda di Toboso a cavallo, attaccò il villaggio minerario di Indè, nel nord di Durango uccidendo diversi Spagnoli, rubando bestiame e poi fuggì a nord, dove però incontrò gli Spagnoli di ritorno dalla vittoria contro i Concho, che li dispersero e misero in fuga. Una parte dei Toboso, raggiunse allora la missione di San Josè de Tizonazo, dove erano riuniti molti Salinero, e riuscì a convincerli a fuggire, a distruggere la missione e a unirsi a loro negli attacchi a ranchos e convogli. I Salinero si spinsero a sud nella regione di LagunaParras, dove distrussero il villaggio di San Pedro, rinunciando ad attaccare Parras, dove gli Spagnoli li attendevano in forze; lungo la strada rapirono una donna spagnola e i suoi tre figli, due dei quali, secondo testimonianze indiane, furono arrostiti e mangiati: la madre fu tenuta come schiava e poi venduta ai Toboso che la uccisero, mentre l’ultima figlia rimase tra i Salinero e fu poi riconsegnata, incinta, alla fine della rivolta. I Salinero guidati dal capo Geronimo Moranta, furono intrappolati senza cibo dal governatore di Durango Luis de Valdez, nella regione delle saline a nord di Cerro Gordo, e dopo aver ceduto diciotto prigionieri come ostaggi, aprirono trattative di pace, che però servirono loro solo per prendere tempo e preparare la fuga dall’accerchiamento; dopo tre giorni di trattative i Salinero erano scomparsi, e al go-
Rivolte e guerre indiane nel nord del Messico alla metà del ‘600
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vernatore non rimase che giustiziare tutti gli ostaggi e poi far ritorno alla base, essendo ormai a corto di viveri, prima di rimettersi inutilmente all’inseguimento. I Salinero, a tappe forzate, raggiunsero la regione di Atotonilco, dove Montano de la Cueva e le sue truppe si erano fermate dopo la vittoria contro i Concho e si arresero a lui, probabilmente sperando in una miglior trattamento. Già dal mese di maggio infatti, mentre preparava l’offensiva contro i Concho, Montano de la Cueva aveva iniziato a cercare di trattare con i Toboso, inviando presso di loro un anziano capo amico, con doni in cibo e abiti; l’anziano capo era morto durante la missione, ma il luogotenente di de la Cueva a Atotolnico, aveva continuato a cercare di aprire trattative, e quando lo stesso de la Cueva fece ritorno dalla spedizione contro i Concho alla fine di agosto, sia i Salinero che diverse bande Toboso erano nelle vicinanze per discutere la pace e ottenere il perdono, sfuggendo al le truppe del governatore Valdez e un’altra colonna guidata dal generale Barraza, che rastrellavano il loro territorio. Dalla fine di settembre gran parte dei ribelli si erano arresi, senza subire punizioni, poi nei mesi successivi e fino al gennaio del 1646, altre bande fecero lo stesso. Tutti gli indiani furono trasferiti nelle missioni, spesso cercando di venire incontro alle loro richieste, ma in molti casi dopo poco tempo, ripresero le fughe degli indiani per tornare alla vita nomade; a San Josè de Tizonazo, gran parte dei Salinero si ribellarono già nell’estate del 1646, in conseguenza di una malattia epidemica che li aveva colpiti. Altre bande erano rimaste ostili, nascoste nel deserto, e così malgrado la rivolta fosse considerata domata, la situazione lungo la frontiera rimaneva precaria.
Barbari, crudeli e traditori La resa dei Toboso e dei Salinero e la successiva pace ottenuta da Montano de la Cueva, era il frutto di una politica conciliatoria, che mirava a controllare gli indiani nomadi con piccoli regali, concessioni e soprattutto l’attività dei missionari; in questo quadro il perdono dei ribelli era il primo passo. Tale politica aveva permesso di venire a capo della resistenza dei Guachichili, Zacatechi e di altri nomadi della Gran Chichimeca, e si sperava potesse ottenere analoghi risultati con i nomadi del Boson de Mapimi; ma le cose non andarono così. La politica di conciliazione, aveva il suo punto di forza nell’attirare i nomadi in piccole comunità stabili, inducendoli ad abbandonare il nomadismo, per divenire agricoltori, pastori e servi per i proprietari terrieri e minerari; a questo servivano le piccole forniture di merci europee, l’insegnamento dell’agricoltura e dell’allevamento e l’indottrinamento religioso; ma tale politica richiedeva un progressivo controllo del territorio, che nelle regioni a sud fu possibile, dato l’interesse economico alla colonizzazione, mentre nel Bolson de Mapimi mancò, data l’estrema povertà di quelle terre, in cui nessuno era interessato a trasferirsi per aprire ranchos o miniere. I missionari si fermavano al margine delle terre desertiche, cercando di attirare gli indiani nomadi, ma l’entroterra desertico rimaneva terra indiana, luogo di rifugio e alternativa sempre possibile al duro controllo spagnolo. Cosi gli indiani nomadi spesso frequentavano le missioni, vi passavano qualche tempo, attirati dalla possibilità di ottenere cibo o merci europee, alcuni si impegnavano a lavorare per gli Spagnoli per misere paghe, poi se ne andavano quando ne avevano voglia, o ai primi dissidi. Ovviamente attraverso questi contatti gli indiano ottenevano informazioni, valutavano le migliori occasione per condurre razzie di bestiame, infiltravano spie. “Ladinos” è il termine che gli Spagnoli usavano per definire questi nomadi, che pur essendo selvaggi, avevano ormai una certa conoscenza dei bianchi e la usavano con astuzia a loro vantaggio. In questo quadro la decisione di chiudere le missioni gesuite di Laguna-Parras alla fine degli anni ’40 del ‘600, sostituendoli con il meno zelante clero secolare, fu un altro elemento di debolezza: ciò che rimaneva della tribù dei Lagunero si dissolse e gli indiani abbandonate le comunità missionarie, si dispersero, e forse una parte andò ad unirsi ai loro nemici settentrionali. Di fatto l’attività missionaria a sud del Bolson de Mapimi si indebolì, e solo i francescani continuarono ad operare nella valle del fiume Concho a ovest. All’inizio degli anni ’50, in coincidenza con le rivolte dei Tarahumara a ovest, la tensione permanente lungo la frontiera crebbe: proprio all’inizio del 1650, i Toboso riuniti nella missione di Atotonilco fuggirono per condurre raids, nella regione tra Parral e Mapimi; a loro si unirono i Salinero, anche se quello stesso anno alcune bande Salinero, si accordarono a ristabilire la pace. Sarà questa una costante degli anni successivi, con alcune bande della stessa tribù impegnate a compiere razzie e saccheggi, altre in trattative di pace cercando di ottenere regali; altre volte era la stessa banda che dopo aver razziato e combattuto gli Spagnoli in un luogo, si spostava in un'altra parte della regione, mostrandosi amichevole;
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poteva inoltre accadere che capi di bande locali noti agli Spagnoli, caduti in disgrazia presso i loro seguaci, contrattassero la resa ottenendo regali e piccoli favori, senza che la maggior parte della loro gente li seguisse. Tali comportamenti ovviamente rendevano impossibile ogni politica di conciliazione e difficili anche gli interventi militari, confermando i peggiori pregiudizi degli Spagnoli, verso questi indiani barbari, crudeli e infine traditori. C’è da dire che questo comportamento inaffidabile, non riguardava soltanto i rapporto con gli Spagnoli, ma anche quello fra le tribù, o fra le comunità alAlbero e frutti di mesquite, la pianta che cresce nelle zone aride del Sud- l’interno delle stesse tribù; le frequenti Ovest ed era una delle principali risorse alomentari degli indiani nomadi ostilità intertribali, saranno una delle leve che gli Spagnoli useranno per venire a capo dei ribelli. Abituati a sopravvivere in una terra estrema, i Toboso e gli altri nomadi avevano fatto dell’opportunismo e della capacità di coglier le occasioni, la base della loro strategia di sopravvivenza; così se c’era la possibilità di razziare bestiame e raccogliere scalpi, lo si faceva, ma se si era in condizioni di difficoltà, si chiedeva la pace, sperando nella politica di conciliazione spesso attuata dagli Spagnoli. Dal canto loro gli Spagnoli, piuttosto che vederli scomparire negli ignoti e irraggiungibili deserti, spesso erano pronti a concedere il perdono, pur di riportarli sotto controllo. Nell’agosto del 1652, secondo le notizie riportate da tre indiani Tepehuan che avevano abbandonato le bande ribelli, gruppi di Salinero, fuggiti dalla missione di Tizonazo, si erano spostati nella regione di La Magdalena, dove si erano riuniti ai Cabezas del capo Santiaguillo, il quale aveva mandato suo fratello a razziare la zona di Indè e del fiume Nazas; i razziatori si erano poi riuniti al grosso della banda nelle vicinanze della località di El Gallo, dove gli indiani avevano raccolto mesquite e macellato e mangiato parte dei cavalli razziati, poi da lì un gruppo di guerrieri era ripartito per colpire l’insediamento di Los Palmitos e una vicina hacienda, dove però avevano fatto poco bottino, per la reazione degli Spagnoli. Ancora una volta i razziatori si riunirono al resto della banda nella zona di Las Salinas, poi a un giorno di viaggio da Las Salinas, incontrarono un’altra banda, i Bazozorima del capo Baltazar, e tutti insieme continuarono a nord verso il territorio dei Toboso. Furono quindi inviati messaggeri ai Toboso, che erano a due giorni di viaggio da Atotonilco, e a tutte le altre bande sparse, gli Acoclane, i Nonoje, i Gavilan e altre ancora, perché tutte si spostassero lungo la frontiera di Parral, per lanciare attacchi contro gli Spagnoli. Poi, sempre secondo i tre testimoni, Santiaguillo si sarebbe messo in viaggio per raggiungere i Cibolo (sicuramente una banda di Coahuiltecan) che vivevano nelle pianure a sud del Rio Grande, per convincerli a unirsi a loro nella guerra agli Spagnoli. Non sappiamo come finì questo progetto perchè i tre indiani che ne informarono gli Spagnoli, a quel punto abbandonarono gli ostili, temendo per le loro vita, dopo che alcuni loro parenti erano stati uccisi. Ciò che è certo è che durante l’estate del 1652 in tutta l’area si intensificarono le violenze e le razzie. Il racconto fatto dai tre Tepehuan va probabilmente assunto con riserva, specialmente per quanto riguarda la possibilità delle diverse bande di concepire un piano d’attacco unitario e coordinato, ma da’
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un quadro della mobilità dei diversi gruppi nomadi e delle relazioni che si producevano nel corso degli spostamenti. Nell’estate del 1652 gli attacchi dei Toboso e dei Salinero-Cabeza furono comunque così virulenti, che il governatore Guajardo y Fajardo, dovette rinunciare a punire la rivolta dei Tarahumara guidati da Teporaca, per cercare di porre un freno alle razzie e agli assassinii. Alla metà di settembre gli Spagnoli, si misero in marcia, inviando scout indiani alla ricerca dei Toboso, di cui un grande accampamento fu scoperto e attaccato il 26 settembre, nella località non indentificata di San Miguel de Nonolat, una zona di gole e dirupi. Nella battaglia molti indiani furono uccisi, ed essi persero tutte le scorte di acqua e di cibo, prima di riuscire a mettersi in salvo in cima a un dirupo; seguirono quindi tre giorni d’assedio, con gli indiani che si difendevano con frecce e pietre e facendo rotolare massi, fin quando il 29 si giunse ad una tregua in cui i capi Toboso annunciarono la resa per il giorno successivo. Il giorno successivo comunque i Toboso rimasero nascosti e Guajardo y Fajardo, temendo che riuscissero a fuggire, li attaccò nuovamente massacrandone la gran parte. Il bilancio finale fu di circa 3-400 indiani uccisi e quasi 200 presi prigionieri, appartenenti a diverse bande Toboso. La battaglia di San Miguel de Nonolat, fu il più significativo successo militare spagnolo contro i nomadi, ma cambiò poco la situazione. Dopo la vittoria Gajardo y Fajardo dovette spostare le truppe nel territorio dei Tarahumara, lasciando due suoi subordinati e il generale Juan de Barraza a continuare a rastrellare il territorio, per punire anche i Salinero come già era toccato ai Toboso; alla metà di novembre gli uomini del capitano Gutierrez Tamayo si scontrarono nella località di Acatita, con una grossa banda di forse 200 guerrieri, che avevano attaccato e ucciso un indiano e uno Spagnolo inviati a cercare tracce dei ribelli; presi in trappola dal grosso delle truppe, gli indiani riuscirono però a sganciarsi, a dividersi e a far perdere le tracce. Questa era abitualmente la realtà della guerra contro i nomadi, una grande fatica per trovarli e poi vederseli sfuggire al momento della battaglia; la conoscenza del territorio e la capacità di sopravvivere in condizioni estreme, erano l’arma in più degli indiani. Quando nel gennaio del 1653 il generale Barraza fu richiamato nelle terre dei Tarahumara, la sua opinione, dopo due mesi di campagna nel deserto, era di sfiducia sulla possibilità di poter risolvere il problema dei nomadi solo sul piano militare; da ottobre a dicembre, malgrado le azioni di rastrellamento, le incursioni di nomadi delle diverse bande Salinero e Toboso, colpirono le località di Santa Cruz, San Josè de Tizonazo, San Juan del Rio, Los Palmitos, Parras, mentre la cittadina di Cuencamè era quasi stata spopolata, e gli attacchi dei Toboso erano segnalati fin nelle terre dei Tarahumara. Di fronte a questa situazione Barraza, insieme ai capi Salinero che erano rimasti fedeli, sollecitò il perdono, come unica possibilità di controllare gli indiani. Comunque in quei mesi alcune nuove iniziative furono assunte; proprio il generale Barraza prese contatti con gruppi di nomadi Coahuiltecan dell’est, per assoldarli nella guerra contro gli ostili, e un simile tentativo fu fatto da Guajardo y Fajardo, inviando messaggeri della tribù Choncho dei Julime, preso i Chiso, anch’essi di lingua Concho, che nomadizzavano a nord dei Toboso. I Chiso non furono trovati e i contatti con i Coahuiltecan non produssero risultati significativi, ma questi tentativi furono forse la prima occasione in cui si prese atto che solo i nomadi del deserto erano in grado di combattere i nomadi del deserto: più di due secoli dopo gli Stati Uniti riuscirono a farla finita con i ribelli Apache, solo arruolando in massa gli stessi guerrieri Apache. Nella primavera del 1653 le incursioni continuavano a colpire tutta la frontiera, dal territorio dei Tarahumara a ovest, fino a Indè e alla regione di Parras-Laguna a sud, coinvolgendo forse anche gruppi di Concho in fuga dalle missioni e unitisi ai Toboso; gli Spagnoli che avevano sedato la rivolta dei Tarahumara, tentarono ancora una volta una iniziativa diplomatica verso i nomadi del Bolson de Mapimi. A diversi capi Salinero che erano rimasti fedeli, tra cui il principale era Geronimo Moranta, fu chiesto di inviare messaggeri, per annunciare agli indiani una prossima grande campagna militare per punire i ribelli, così come erano stati puniti i Tarahumara, offrendo ai Salinero, ai Cabezas e altre bande il perdono, in cambio del sostegno contro i Toboso. La proposta fu accolta dal capo Santiaguillo, cui i Toboso avevano ucciso dei parenti, e lui stesso convinse altri capi; nel mese di luglio una piccola armata di Salinero-Cabeza e altri gruppi era radunata a nord di Parras, pronta a combattere i Toboso, e a loro si erano uniti una quarantina di Chiso provenienti dal nord. Tutti questi nuovi alleati degli Spagnoli, ognuno dei quali rivendicava ragioni di vendette per qualche offesa subita dai Toboso, si aspettavano ovviamente di avere dagli Spagnoli, oltre al perdono, quei regali in merci cibo, vestiario ecc…, che fino a poco tempo prima si erano presi con la violenza; d’altro canto gli Spagnoli, dopo aver per decenni investito risorse per trasformare i nomadi, in pacifici e sottomessi contadini cristiani, non avevano problemi ad investire le stesse risorse, per farli scannare fra di loro. Di
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fatto a partire dal 1653 e per molti anni, gli Spagnoli rinunciarono ad intervenire direttamente contro i nomadi, rifornendo invece una parte di essi per combattere contro l’altra e pagando gli indiani per gli scalpi degli ostili. Tale politica non aumentò la sicurezza lungo la frontiera, ma alla lunga portò ad una soluzione drastica e definitiva del problema dei nomadi. All’inizio di agosto del 1653 i Salinero e gli altri alleati degli Spagnoli, guidati dal capo Geronimo Moranta, riuscirono a sorprendere con un tranello un grande accampamento di Toboso, uccidendone più di un centinaio fra cui molte donne e bambini: lo scontro avvenne sul fiume Angosto, un corso d’acqua oggi non identificabile; dopo tale successo i Toboso erano in grande difficoltà, le bande disperse e indebolite, ridussero i raid contro gli allevamenti. In settembre i Salinero uccisero il capo dei Toboso don Cristobal insieme a dieci suoi guerrieri nella Sierra di Guapagua, un’altro nome che oggi non è possibile identificare; in ottobre una spedizione di guerrieri Julime, Mamite e di altre gruppi Concho, aveva attaccato gli Acloclane, una banda Toboso, nella località di Las Encinillas uccidendone diversi; alla fine di ottobre alcuni capi Toboso giunsero a Parral per cercare di ottenere la pace, poi nelle settimane successive le trattative continuarono e nel gennaio del 1654 diversi capi di bande Toboso, tornarono a Parral per ottenere il perdono. Nel febbraio del 1654 mentre una parte dei Toboso era di nuovo riunita ad Atotonilco, e altri si preparavano alla resa, negli accampamenti giunse la notizia portata dai Gocoyome, una delle bande più ostili, che i Chiso li avevano attaccato e ucciso molti di loro; le trattative di pace con gli Spagnoli furono rimandate a dopo la vendetta contro i Chiso; poi il mese successivo, anche i Toboso già riuniti ad Atotonilco presero la via della fuga, portando con se tutto il bestiame. Nel mese di aprile cinque indiani catturati e poi impiccati dal generale Barraza, riportarono che c’erano almeno tre gruppi di ribelli, uno composto dalle bande Acloclame e Nojone, uno di Gavilan e Ocome, e uno misto e guidato da un ribelle Concho. I duri colpi subiti dai Toboso comunque non fermarono le razzie e le incursioni, che ormai erano parte del sistema di sussistenza dei nomadi, e tra aprile e maggio decine di attacchi furono compiuti nelle zone di San Miguel de las Bocas, San Francisco de Concho e Parral; la cosa grave è che le bande ostili non erano le uniche responsabili: in alcuni casi furono riconosciuti Cabeza e Salinero, che erano alleati degli Spagnoli, in altri casi i razziatori indiani non erano dipinti, e vestivano pantaloni e portavano i capelli corti, come quelli che lavoravano nelle fattorie e vivevano nelle missioni. C’erano poi i Chiso, abitualmente ostili ai Toboso, ma che gli Spagnoli non erano riusciti a portare dalla loro parte: guerrieri Chiso che l’anno prima erano venuti a Parras per arruolarsi nella guerra contro i Toboso, erano tornati infuriati dalla loro gente perché non erano stati pagati. Durante l’inverno 1654-1655 continarono gli attacchi nella zona di San Miguel de las Bocas, Indè, poi a Los Palmitos, presso San Juan del Rio, Las Cruces, sul fiume Nazas e a Cuencamè; in gennaio i Salinero della missione di Tizonazo, riuscirono a infliggere una dura sconfitta ad un gruppo di razziatori nei pressi di Los Palmitos, e in novembre un altro gruppo fu messo in fuga alle sorgenti del Florido, e costretto ad abbandonare il bestiame rubato. La guerra sostanzialmente continuava e nemmeno la politica di arruolare gli indiani sembrava garantire risultati, se a volte gli stessi indiani pagati per combattere i razziatori, razziavano essi stessi il bestiame. Una vicenda riguardante i Chiso rende chiaro come fosse difficile per gli Spagnoli districarsi tra le di-
Le rovine delle miniere di oro e argento di Ojuelo, nella zona di Mapimi, scoperte nel 1598 e attive fino ai primi del ‘900
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verse bande di nomadi, per capire almeno quali fossero ostili e quali fedeli. Un gruppo di Chiso si presentò a Parral raccontando agli Spagnoli di una dura battaglia contro i Toboso, quasi cento dei quali erano stati ammazzati e altri ancora presi prigionieri, e di come i Toboso fossero tornati in forze, riuscendo a liberare tutti i prigionieri, tranne tre ragazzi che essi portavano in dono alle autorità spagnole; per questo loro gesto ai Chiso furono dati regali, ed essi ritornarono al loro villaggio. Poi gli Spagnoli interrogarono i tre ragazzi, i quali però non capivano la lingua Toboso; poi interrogati nella lingua dei Chiso essi potevano raccontare la verità: non c’era stata alcuna battaglia tra Toboso e Chiso, e anzi i due gruppi erano accampati insieme danzando e festeggiando per il bottino fatto (e probabilmente per i regali ottenuti); due dei Chiso venuti a chiedere regali, erano in realtà anch’essi Toboso. Le confuse e frammentarie testimonianze sui conflitti con gli indiani del Bolsom de Mapimi, si riducono alla fine degli anni ’50, ma ciò probabilmente non dipende da una riduzione delle violenze. Ancora nel 1656 notizie di incursioni riguardano Los Palmitos, San Juan del Rio, Cuencamè, il fiume Nazas, Ocotan, Canatlan, Mapimi e San Juan de Casta; quello stesso anno un gruppo di Cibolo al servizio degli Spagnoli, attaccò una spedizione di indiani ostili presso Penol Blanco, e ne uccise oltre quaranta, dando fuoco alla macchia in cui gli indiani avevano trovato rifugio. L’anno successivo anche le missioni sul fiume Concho, da San Francisco de Concho, a San Pedro e San Felipe subirono attacchi dai Toboso, guidati spesso proprio da indiani Concho fuggiti dalle missioni. Ancora nel 1657 testimonianze da Durango riportano di attacchi compiuti anche nelle vicinanze della città molto più a sud del Bolson de Mapimi. La cosa più grave era che dai dialetti che parlavano i razziatori, gli Spagnoli comprendevano che i ribelli non erano solo Toboso, ma anche Choncho, Salinero e indiani di altre tribù già sottomesse e convertite; quasi certamente alcune bande di razziatori erano composte da indiani che lavoravano come servi per gli Spagnoli, e che si riunivano per le loro scorrerie per poi dividersi e far perdere le loro tracce. La presenza dei ribelli del Bolson faceva da catalizzatore per il malessere di tutti gli indiani, compresi quegli stessi indiani che gli Spagnoli pagavano per combattere i ribelli, come i Salinero della missione di Tizonazo, arruolati come ausiliari, ma che spesso agivano come spie, o scambiavano con i ribello merci e armi ottenute dagli Spagnoli. I Chiso cambiavano atteggiamento a secondo del momento, e se nel settembre del 1655 vennero in aiuto ai Toboso attaccati alla Sierra del Diablo dagli uomini di Cristobal Nevares, tre anni dopo gli stessi Chiso, si presentavano a Parral portando scalpi Toboso e ottenendo premi dagli Spagnoli. Alla fine degli anni ’50 era ormai evidente che i nomadi del Bolson de Mapimi, non potevano essere controllati in alcun modo, ne potevano essere ridotti alla condizione di servi, comprandoli con pochi regali e mutandone il carattere con l’indottrinamento religioso. A differenza di quanto fino ad allora avevano fatto gli Spagnoli, che era sottomettere e sfruttare i nativi con l’encomienda e altre pratiche di lavoro servile, si fece sempre più forte la convinzione che l’unico modo di garantire sicurezza sulla frontiera era ammazzare tutti i nomadi; ma dirlo era un conto, riuscirci era altro. Malgrado il rafforzarsi della convinzione della necessità di iniziative radicali e definitive per mettere i nomadi in condizione di non nuocere, di fatto nessuna vera campagna militare fu messa in atto; la distruttiva guerra “sangre y fuego” che pure in altro occasioni gli Spagnoli non s’erano fatti scrupolo di praticare, era difficile contro indiani che non avevano campi e villaggi da distruggere, che non si potevano ridurre alla fame, perché proprio la fame (e la sete) erano abituati a sopportare, e soprattutto perché essa richiedeva investimenti e risorse, che non sarebbero state ripagate da nessuna ricchezza ottenuta con la vittoria. Si continuò così tra scorrerie sanguinose, occasionali rappresaglie e tentativi di pacificazione per anni, in una sorta di guerra dimenticata, i cui protagonisti sono oggi anch’essi quasi dimenticati. Di questa guerra in cui nessun generale poteva trovare gloria e riconoscimenti, manca una cronaca organica e si può ricostruire solo dalle notizie di testimoni del tempo che riportano singole scorrerie e atti di violenza; ma è una ricostruzione lacunosa, dalla quale parrebbe che tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 del ‘600, essa abbia subito una tregua. D’altra parte non c’è alcuna ragione di immaginare che la pratica ormai consolidata della razzia, come elemento dell’economia nomade sia venuta meno, ed è invece più probabile che essa sia continuata, contrastata dalla solita pratica di assoldare mercenari indiani contro i razziatori. Pur mancando precise informazioni su raid e scorrerie, quel che è sicuro è che i Salinero-Cabeza, che avevano accettato di vivere nelle missioni e allearsi agli Spagnoli, si ribellarono più volte, fin quando alla fine degli anni ’60 abbandonarono la missione di San Josè de Tizonazo, per tornarsene nei deserti. La scarsità di informazioni è ancora maggiore nelle terre più a est, oltre la Sierra Madre Orientale, dove vivevano le tante bande Coahuiltecan egualmente nomadi, ma con un territorio più ricco a disposizione;
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qui una guerra di bassa intensità, in cui si alternavano accordi con singole bande, a spedizioni di caccia agli schiavi contro altri gruppi, si protrasse per decenni, lasciando pochissime notizie. E’ probabile che i Coahuiltecan avessero minori necessità di compiere scorrerie contro gli insediamenti spagnoli, avendo un territorio che offriva maggiori risorse; inoltre, proprio la natura meno ostile del loro territorio, li rendeva più soggetti alla reazione degli Spagnoli, che infatti spesso vi si spingevano in cerca di schiavi. Documenti attestano che alla metà del ‘600 l’alcade di Monterey autorizzava privati cittadini ad inseguire gli indiani fuggitivi e a riportarli al lavoro nei campi e nelle miniere: di fatto una autorizzazione alla caccia degli schiavi, che era prassi ben oltre il caso documentato. Tali spedizioni avvenivano in particolare prima della stagione dei raccolti o nei momenti di maggiore impegno dell’attività mineraria; ovviamente la fuga del lavoratore indiano alla fine del lavoro rappresentava un costo in meno, oltre al diritto di “inseguirlo” e riportarlo indietro quando se ne aveva necessità. All’inizio degli anni ‘60 del ‘600 comunque l’attività di bande ostili Coahuiltecan a nord di Saltillo, dovette farsi più significativa, e nel 1663 fu inviata una spedizione guidata da Juan de la Garza per punire i razziatori. Garza partì nel mese di ottobre del 1663 e viaggiò per 180 miglia in direzione nord, senza trovare traccia degli indiani, che evidentemente fuggivano all’approssimarsi della grande colonna, composta da un centinaio di soldati, altrettanti indiani del Messico meridionale e circa 800 cavalli; in una qualche località nella zona di Eagle Pass, a sud del Rio Grande, finalmente gli Spagnoli riuscirono a trovare una grande rancheria, dove un centinaio di indiani furono uccisi e altrattenti presi come schiavi e inviati alle miniere di Zacatecas; nel marzo del 1664, dopo diversi mesi di campagna, gli Spagnoli fecero ritorno a Saltillo. L’iniziativa comunque non risolse il problema, se l’anno successivo l’alcade di Saltillo, Fernando de Azcuè, chiese aiuto alla vicina Monterey per organizzare una spedizione punitiva contro gli indiani; una truppa di oltre cento soldati, con circa trecento indiani, per lo più Bobole, un gruppo Coahuiltecan alleato, mosse da Saltillo con una grande mandria di cavalli, viaggiando in direzione nord per sei giorni, verso la stessa regione attraversata due anni prima, ma questa volta giungendo fino a varcare il Rio Grande nella zona di Eagle Pass. Gli indiani sicuramente informati dell’avanzare della colonna, erano fuggiti a nord del fiume, dove gli Spagnoli non s’erano mai spinti e li s’erano riuniti in un grande accampamento, dove erano presenti diverse bande, di cui il nome dei Cacaxtlee è quello che è rimasto nelle cronache. Gli Spagnoli e i loro alleati indiani attaccarono il villaggio che però era fortificato con barricate di rovi, cactus e tronchi d’albero, e la battaglia durò un’intera giornata; alla fine un centinaio di indiani erano morti, una settantina i prigionieri, altri fuggiti e dispersi nella prateria, mentre gli Spagnoli ebbero diversi feriti e nessun morto, e solo tra gli alleati Bobole vi furono alcune vittime. Secondo i testimoni durante tutta la battaglia una donna suonò il flauto per dare coraggio ai suoi guerrieri, e quando alla fine fu presa prigioniera, i Bobole chiesero agli Spagnoli che fosse sacrificata, e che loro potessero mangiarla, probabilmente per ottenere il suo stesso coraggio; gli Spagnoli ovviamente rifiutarono, ma i Bobole, pensarono che anche un consanguineo potesse essere utile, così individuato un giovane parente della donna, lo rapirono e lo mangiarono in un banchetto rituale. L’anno dopo questa vicenda nel 1666, il cronico conflitto sulla frontiera si infiammò per una ribellione che coinvolgeva gli indiani Concho e gli abitanti de La Junta; la rivolta probabilmente dovuto al periodico mix di siccità, cattivi raccolti, fame e malattie, suscitò l’allarme degli Spagnoli che ormai abituati a subire gli attacchi dei nomadi, temevano soprattutto la saldatura tra loro e gli indiani cristiani delle missioni. Nel dicembre di quello stesso anno il governatore Antonio de Oca Sarmiento attraversò la valle del fiume Concho, imponendo l’ordine nelle missioni: la rivolta dei Concho era stata facilmente domata, ma i Toboso e i Salinero continuavano nella loro attività, senza alcuna possibilità di controllo. Nel gennaio del 1667 una banda di Toboso e Salinero attaccò un convoglio presso El Gallo uccidendo tutta la scorta; inseguiti dai soldati spagnoli, gli indiani furono circondati nella località di Acatita, ma dopo il primo attacco in cui tre di loro furono uccisi, gli altri riuscirono a sganciarsi. Di nuovo ripartirono gli attacchi sul fiume Nazas, a San Juan del Rio, Covadonga, Los Palmitos, Cuatimapè, Texame, fino ad una missione Tarahumara, dove furono uccisi tre missionari. Tra agosto e settembre gli Spagnoli organizzarono due spedizioni contro gli indiani a Sierra de Diablo e Las Canas, zone dove erano sorgenti, frequentate dai nomadi, ma tutte e due furono senza esito; la seconda individuò i resti di un grande accampamento dove le ossa testimoniavano della gran quantità di bestiame macellato. Poi in novembre ricominciarono le richieste di pace da parte di singoli capi banda; il primo fu un capo Toboso che si presento alla missione di San Antonio di Julime sul fiume Concho, chiedendo di potervisi stabilire: la sua richiesta fu accettata, ma nemmeno due mesi dopo gli indiani se ne erano già andati. In febbraio un capo dei Cabeza, con un grande seguito si presentò a Tizonazo per aprire trattative di pace e per dimostrare la sua buona fede, lasciò due ragazzi in ostaggio: tre giorni dopo uno dei due ostaggi fuggiva,
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portandosi via tre cavalli. Nel frattempo gli indiani lanciavano attacchi nella stessa regione: Los Palmitos, Huejotitlan, Roncesvalles e Santa Caterina de Tepehuan, attaccata da oltre 150 indiani. Comunque ufficialmente il governatore Oca de Sarmiento considerò la rivolta domata, gli indiani erano stati puniti e chiedevano la pace. In realtà nulla era cambiato e gli indiani continuavano a mantenersi ostili; le cronache parlano genericamente di un gran numero di attacchi indiani, ma solo alcuni episodi specifici sono ricordati. Nel giugno del 1668 una banda di Toboso e Cabeza, molti fuggiti da Tizonazo, attaccarono un convoglio a La Encina de la Paz, uccisero quattordici persone, risparmiando solo un prete per timore che il suo spirito potesse vendicarsi facendoli ammalare; insieme al prete gli indiani mossero al presidio di Cerro Gordo per attaccarlo, ma il prete riuscì a intimorirli, ed essi si limitarono a razziare tutto il bestiame. L’anno successivo in una località imprecisata altri due convogli furono attaccati da bande di centinaia di guerrieri indiani, poi nel 1669 gli ultimi Salinero di Tizonazo abbandonarono la missione, e gli Spagnoli per tenerla aperta, nel 1671 dovettero spostarvi una quarantina di famiglie Tepehuan. Questi Salinero alla metà del 1672 si presentarono a San Miguel del Bocas, per trattare di nuovo la pace, ma dopo il primo incontro, cambiarono idea e fuggirono di nuovo nel deserto. Nella primavera del 1673 il grosso dei Salinero si era concentrato nella regione intorno a Mapimi, mentre una delegazione di capi si recò a est per incontrare i capi di diverse bande Coahuiltecan intenzionate a chiedere la pace; non è chiaro se queste bande avessero affiancato i Toboso e i Salinero prima d’allora, o se essi fossero estranei alle violenze, e volessero porsi sotto la protezione spagnola. I capi Salinero comunque diedero indicazioni di limitarsi a razziare il bestiame per cibarsene, evitando di uccidere i bianchi, in attesa dell’esito dell’incontro con i Coahuiltecan, e nella prospettiva di un nuovo accordo di pace; nei mesi precedenti questi Salinero si erano resi responsabili delle seguenti azioni: due attacchi consecutivi al villaggio di Avino, con un bilancio di quindici morti; attacchi ai villaggi di Puana, La Haja, Caopas e sul Rio Battaglie, presidi militari e principali obbiettivi delle scorrerie dei nomado tra il 1650 e il 1680
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Aguanaval, con un bilancio di un’altra quindicina di vittime, attacco a due convogli nella località di La Silla e sulla strada tra Saltillo e Mazapil, con quasi un’altra trentina di vittime. In ottobre i Chiso, che erano stati fino a quel momento ostili, si presentarono a San Francisco de Concho per chiedere la pace e furono smistati in diverse missioni; poi fu la volta dei Coahuiltecan che si erano decisi a prendere le distanze dai ribelli. In novembre diverse bande Coahultecan (Bobole, Colorado, Negrito), raggiunsero Saltillo per chiedere la pace, poi in dicembre altri Coahuiltecan (Tetecore, Contotore, Obayo, Guesacale) chiesero di potersi stabilire vicino a Cuencamè, con un frate di loro fiducia, offrendo in cambio di combattere contro i Toboso e i Salinero; è probabile che la loro richiesta non sia stata accolta dato che nel marzo 1674 queste bande risultavano ancora fra i ribelli. Dai Coahuiltecan giunti a Saltillo, arrivò la notizia che i Cabeza e i Salinero, erano pronti alla pace, avendo fatto la guerra solo per vendicarsi di alcuni assassini subiti, ma che dato che la vendetta l’avevano avuta la guerra poteva finire. In quegli stessi giorni il governatore Garcia de Salcedo lamentava attacchi nella regione di Cuecamè e lui stesso si pose all’inseguimento di un gruppo di razziatori che aveva colpito il villaggio di El Penol, uccidendone due e prendendo alcuni prigionieri. Dai prigionieri il governatore seppe della vicenda del sergente Valerio Cortez, che manteneva rapporti con gruppi di ribelli, offrendo loro cibo, abiti e coperte, forse per corromperli, anche se il processo che subì dalle autorità spagnole per atti di disubbidienza, può far pensare che altri rapporti intercorressero tra lui e gli indiani; gli indiani lo consideravano un amico, anche se una volta gli avevano bruciato la fattoria. Comunque se i Salinero si sentivano soddisfatti e pronti per riprendere trattative di pace, gli Spagnoli la pensavano diversamente, e il 29 dicembre 1673 riuscirono a individuare il grande accampamento di Salinero e di altre bande nella Sierra de Mapimi e distruggerlo, provocando un numero significativo di morti tra gli indiani, dai quaranta ai cento non è chiaro, mentre gran parte di quelli che riuscirono a fuggire nei giorni successivi si arresero alla spicciolata. E lecito ipotizzare che questo successo sia stato possibile anche grazie alle informazioni ottenute dai Coahuicaltecan che si erano arresi agli Spagnoli e che probabilmente sapevano dove i ribelli si nascondevano. Dopo questa battaglia le informazioni sulle scorrerie dei ribelli si riducono, mentre all’inizio del 1674 alcuni capi Toboso vennero ad arrendersi per evitare la sorte subita dai Salinero; nei mesi successivi e ancora nel 1675 si hanno notizie di altri capi che cercavano di stabilirsi in pace da qualche parte, e anche di una inutile trattativa, condotta dai Salinero attraverso la mediazione di un frate, per ottenere la liberazione delle donne e dei bambini presi prigionieri nella battaglia di dicembre. Comunque diverse bande di ribelli continuavano ad essere fuori controllo, e se le violenze diminuirono la regione del Bolson de Mapimi, rimaneva ancora un inattaccabile rifugio. Per qualche anno la tensione forse si abbassò, prima della successiva esplosione di violenza, che avrebbe scosso tutta la frontiera settentrionale, dal fiume Concho al Nuevo Mexico.
La “guerra sporca” La guerra contro i nomadi del Bolson de Mapimi si protrasse con maggiore o minore intensità per quasi un secolo, fin quando gli indiani non furono definitivamente eliminati e di loro si perse addirittura anche il ricordo; ma la lunghezza di tale conflitto non fu la sua sola peculiarità, dato che essa ha caratteristiche molto diverse da quasi tutte le guerre indiane. A differenza che negli altri conflitti, in cui abitualmente gli indiani dovevano difendersi dagli Spagnoli o da altri colonizzatori europei, che miravano a prendere le loro terre e a sottometterli, imponendo le loro leggi e il loro stile di vita, il conflitto del Bolson de Mapimi vide gli Spagnoli abitualmente sulla difensiva, di fronte a bande di razziatori, che usavano del bestiame e delle altre risorse degli Spagnoli, come una delle tante opportunità che la natura metteva a disposizione e di cui approfittare senza alcuno scrupolo. Le aride terre del Bolson de Mapimi non erano oggetto di contesa, e quanto alla possibilità di usare i nomadi come forza lavoro, fu quasi subito evidente che l’impresa non valeva la spesa; il tentativo di attirare i Toboso, o i Salinero e altri nomadi nelle missioni abitualmente non durava che pochi mesi, il tempo per gli indiani di riprendersi da una sconfitta, di riposarsi e cibarsi a spese degli Spagnoli, di fare qualche scambio e ottenere qualche informazione, poi gli indiani riprendevano il largo, spesso portandosi via cavalli e bestiame rubato. Anche quando gli Spagnoli riuscivano, pagando, a ottenere l’alleanza di qualche banda, al primo dissidio questa si riprendeva la libertà, o addirittura manteneva nascostamente rapporti con gli ostili, mentre si mostrava sottomessa agli Spagnoli. Da quel che sappiamo di questo conflitto, sembrerebbe che la doppiezza e mancanza di lealtà, della quale gli indiani furono abi-
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tualmente vittime nel confronto con i bianchi, fu invece pratica ampiamente usata da ambo le parti, senza alcuno scrupolo, ne riserva. Valutare in termini moralistici tali comportamenti ha poco senso. Per questi indiani che vivevano poveramente in una terra arida e dura, l’alternanza tra pratiche di scambio e predazione con i vicini popoli sedentari, era prassi consolidata; l’arrivo degli Spagnoli, che portavano cavalli, muli e altro bestiame, merci e armi sconosciute, raccontavano curiose storie sul loro dio, e avevano incomprensibili pretese, per questi indiani rappresentò l’opportunità di un grande arricchimento del loro modello di sussistenza e della loro vita materiale. Il prezzo da pagare era un prezzo che avevano sempre pagato, la guerra, ma una guerra che essi ora potevano condurre a cavallo, colpendo dove volevano e fuggendo dove altri non osavano spingersi. La guerra condotta dai nomadi del Bolson de Mapimi, largamente sconosciuta e ignorata, anticipa le vicende dei più famosi Apache, che continueranno a rappresentare una spina nel fianco degli Spagnoli, quando essi alla fine saranno riusciti a distruggere definitivamente i Toboso e le altre tribù del Bolson de Mapimi. Ma la guerra del Bolson de Mapimi, sotto altri aspetti anticipa le successive guerre indiane. La crudeltà e l’efferatezza degli Spagnoli contro gli indiani che si opponevano a loro, è ampiamente testimoniato da decine di massacri, centinaia di esecuzioni sommarie, dall’uso della tortura e da altre nefandezze. E’ probabile però che in questo specifico conflitto l’esperienza spagnola si arricchisca di quegli elementi di brutale e manifesta crudeltà, che attengono proprio alle culture più semplici, incapaci della pianificata distruzione di interi popoli, ma in cui la violenza delle passioni si esprime in forme eclatanti, che abitualmente provocano sconcerto nella cultura europea. Lo scotennamento, l’amputazione dei cadaveri, la tortura, l’esposizione dei macabri risultati di tali operazioni, nella culture tribali spesso sono pratiche consuete e socialmente accettate e rispondono a logiche complesse, che non è questa la sede per approfondire; gli Spagnoli però acquisirono tali efferatezze, trasformandole in una pratica non solo rituale ma “economica”, laddove l’esibizione di uno scalpo o di una mano mozzata, aveva un immediato e concreto riscontro in merci e regali. La pratica di pagare per gli scalpi dei nemici ostili, che continuerà in tutto il Sud-Ovest fino alla fine dell’800, coinvolgendo sia i bianchi che gli indiani, inizia in questi anni e in questi luoghi. E’ questa una guerra particolarmente “sporca”, in cui è persino difficile capire chi è il nemico, in cui ogni accordo viene tradito, in cui gli indiani vengono assoldati per combattere non solo contro altri indiani, cosa che era la prassi per gli Spagnoli, ma contro la loro stessa gente, di cui condividevano lingua, credenze e abitudini e addirittura rapporti di parentela. Una simile guerra, priva di quel “sistema di valori”, che spesso costruisce il manto ipocrita di ben altri interessi, produce così in questi anni quell’odio profondo tra Ispano-Messicani e indiani nomadi, che porterà infine gli Apache a preferire la resa agli Americani, piuttosto che mettersi nelle mani dei plurisecolari nemici; e porterà i Messicani, che da secoli combattevano i nomadi, a considerare la dura politica americana contro gli indiani, come inutilmente “corretta” contro nemici, che dovevano solo e semplicemente essere eliminati, con ogni mezzo e senza alcuno scrupolo. E questa guerra, in cui il tradimento, la corruzione del nemico, l’ambiguo compromesso, sono la regola, è anche possibile per la natura dell’avversario, irriducibilmente refrattario alla sottomissione e duro da sconfiggere, ma debole per l’assenza di coesione sociale e capi autorevoli, in cui ogni singola banda agisce per proprio conto, sulla base di necessità e opportunità contingenti, stabilisce accordi e precarie relazioni che si dissolvono in un giorno. Del gran numero di capo banda che le cronache spagnole riportano, nessuno assume una leadership che vada oltre il proprio gruppo di poche decine di guerrieri, salvo forse quei capi come Santiaguillo e Geronimo Moranta, che dopo aver combattuto gli Spagnoli, ne divennero alleati e retribuiti mercenari. Nè emersero figure di capi spirituali in grado di ammantare di motivazioni religiose e millenaristiche il conflitto, come invece accadeva tra i popoli agricoli. E la scarsa coesione sociale, la debolezza delle leadership, il periodico esplodere di dispute e faide tra tribù affini o anche all’interno della stessa tribù, fu infine l’elemento chiave per la sconfitta e la fine di questi indiani, esattamente come lo sarà due secoli dopo per gli Apache. Di fatto questi nomadi ormai dimenticati, anticiparono la vicenda storica ben più nota delle guerre Apache, e gli Ispano-Messicani quando dopo aver vinto la resistenza nel Bolson de Mapimi, incontreranno gli Apache, riproporranno nei loro confronti l’esperienza acquisita in un secolo di conflitti; ma questa esperienza non risulterà sufficiente a chiudere la partita con gli Apache, nemmeno dopo un secolo di guerre.
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LA NOUVELLE FRANCE
Le origini del commercio delle pellicce
Fra le grandi potenze europee che nel ‘500 si misuravano per il controllo dei mari, dei commerci e delle terre ignote del Nuovo Mondo, la Francia fu quella che certo investì minori risorse, assumendo solo iniziative occasionali e senza continuità; il viaggio di Giovanni da Verrazzano nel 1523, poi più di dieci anni dopo la deludente impresa di Jacques Cartier, infine la drammatica avventura degli Ugonotti in Florida, non si collocano nel quadro di una compiuta strategia, come quella condotta da Spagna e Portogallo, per tutto il ‘500, o quella diversa ma non meno efficace dell’Inghilterra e dei suoi corsari negli ultimi decenni del secolo. In quello stesso secolo la Francia, prima con il re Francesco I era stata impegnata in una guerra tanto dispendiosa quanto inconcludente contro la Spagna di Carlo V, per il dominio dell’Italia, poi era stata lacerata da una guerra civile politico-religiosa tra cattolici e protestanti ugonotti, che si protrasse fin quasi alla fine del ‘500. Malgrado ciò, mentre monarchi e aristocratici si scannavano tra guerre dinastiche, conflitti politici e dispute religiose, non si era interrotta l’attività di marinai e pescatori bretoni e normanni che ogni anno visitavano le pescose acqua tra l’isola di Terranova e la foce del San Lorenzo, per portare in patria il loro bottino di pesca, certo non esaltante come le miniere d’oro e d’argento messicane, ma non per questo privo di interesse commerciale. Nei loro viaggi i pescatori si fermavano per mesi, per essiccare il pesce pescato, dando vita a piccoli insediamenti stagionali, che salvo il caso della colonia portoghese di Cape Breton, non avevano l’ambizione di divenire colonie stabili. Durante questa intensa attività, che coinvolgeva marinai e pescatori di varia nazionalità, e che durava dai primi decenni del ‘500, i rapporti tra pescatori e nativi furono continui e quasi totalmente pacifici, basati su piccoli scambi tra manufatti e merci europee, in particolare asce e coltelli, con le pellicce di cui gli indiani disponevano, come prodotto della loro attività venatoria. Gli indiani della regione erano nomadi come i Montagnais del Labrador, che avevano inserito la visita agli insediamenti provvisori dei pescatori come un elemento della loro economia e dei loro spostamenti stagionali, o seminomadi come i Micmac della regione costiera a est del San Lorenzo, che aspettavano l’arrivo delle navi europee per fare scambi. E’ molto probabile comunque che visto il valore che per gli Europei avevano quelle pelli, che agli indiani servivano solo a coprirsi e costruire capanne, essi abbiano iniziato a portarne carichi sempre maggiori, scambiandole a basso prezzo e facendo di questo commercio una attività che per i bianchi era almeno altrettanto lucrosa della pesca. Fu così che a partire dal 1580 le pregiate pelli di castoro o di lontra, martora e di altri mammiferi, iniziarono ad attirare l’attività dei mercanti, essendo più remunerative del pesce e più facilmente trasportabili. Iniziò così quel commercio che per i successivi due secoli e mezzo, sarà la principale ragione di penetrazione nel continente americano, oltre che motivo di conflitto tra le principali potenze coloniali e
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soprattutto di semisconosciute quanto distruttive guerre tribali. E proprio le guerre tribali sono probabilmente la prima significativa conseguenza di questi primi contatti tra bianchi e indiani, che avendo coinvolto solo pescatori, marinai e i primi mercanti, non hanno lasciato testimonianze certe. Da testimonianze dei primi anni del ‘600 sappiamo però con certezza, che l’intera valle del fiume San Lorenzo, dopo la scomparsa delle tribù Iroquaian che l’abitavano ai tempi del viaggio di Cartier, era divenuta una sorta di terra di nessuno, territorio di caccia conteso tra i Mohawk, e le altre Cap Gaspè a est della foce del San Lorenzo tribù della Lega Iroquois, stanziate a sud, e i Montagnais e gli Algonquin, che vivevano a nord e a ovest; tutte queste tribù vi inviavano spedizioni di caccia e di guerra che rendevano la regione una campo di battaglia permanente. Questo conflitto, le cui cause probabilmente prescindono dal contatto con i bianchi, e vanno ricercate nell’espansionismo della Lega, fu però probabilmente condizionato ed inasprito dall’introduzione delle prime armi di metallo, per il cui possesso forse i Mohawk attaccarono gli Iroquaian del San Lorenzo e di cui certamente i Montagnais entrarono in possesso nella seconda metà del ‘500. Direttamente connesso al contatto con i bianchi fu certamente l’emergere dei Micmac di Nova Scotia e del New Brunswich, come tribù preminente della regione; grazie ai continui contatti con mercanti e pescatori europei, Portoghesi prima, poi principalmente Francesi, i Micmac poterono cacciare gli Iroquaian del San Lorenzo dalla penisola di Gaspè, a est della foce del grande fiume, contribuendo alla scomparsa della tribù, già minacciata dagli attacchi dei Mohawk da sud. Poi la necessità di rifornirsi di pelli da scambiare con gli Europei portò all’inizio di un conflitto con le tribù Algonquian che vivevano più a sud, per il controllo dei territori di caccia, una guerra che iniziò alla fine del ‘500 e si protrasse fino agli anni ’20 del secolo successivo. Mentre le tribù si combattevano per il possesso dei territori di caccia, mercanti francesi, inglesi e olandesi, visitavano le tribù della costa, dalla foce del San Lorenzo, a quella dell’Hudson, stabilivano più o meno effimeri stanziamenti e iniziavano a coinvolgere tutte le tribù nell’infernale meccanismo del commercio, offrendo loro merci e manufatti ignoti e preziosi. Tra loro i Francesi furono i primi a fare delle pelli di castoro, il fondamento di un impero coloniale. Alla fine del ‘500 mentre Spagnoli e Inglesi ancora cercavano oro e metalli preziosi, come principale motivazione per l’esplorazione e la conquista del Nord America, i Francesi lungo le fredde coste del Canada trovavano un tesoro ben diverso, un tesoro per il cui sfruttamento era necessaria la piena collaborazione dei nativi, esperti cacciatori e conoscitori del territorio, producendo una relazione tra indiani e bianchi che darà vita ad un modello coloniale diverso, meno brutale nelle forme, anche se alla lunga non meno distruttivo negli esiti. Il rapporto che si produrrà tra Francesi e indiani nel secolo e mezzo successivo è l’unico tentativo di interazione tra due mondi diversi e inconciliabili, e produrrà la nascita di una figura diversa di colonizzatore: non il conquistador o l’encomiendero spagnolo, che sottomette l’indiano e lo obbliga al lavoro servile e alla rinuncia alla sua cultura e religione, non il pioniere anglosassone, che semplicemente scaccia l’indiano dalle sue terre per appropriarsene, ma il “voyageur” e il “coreur de bois”(scorridore dei boschi), il mercante e cacciatore che penetra nelle terre inesplorate per commerciare con gli indiani, e spesso vive con loro, ne impara la lingua, ne assume usi e costumi, fino al nascere di una vera e propria popolazione mista come furono i “brulè”, i meticci del Canada, protagonisti di uno degli ultimi episodi delle guerre indiane. Ma il modello coloniale francese si distinguerà da quello inglese e da quello spagnolo anche rispetto ad un altro tema, quello della diffusione del cristianesimo, che per i Francesi come per gli Spagnoli sarà un elemento chiave nella relazione con gli indiani. Dopo una breve esperienza all’inizio del ‘600 con l’attività dei francescani, saranno i gesuiti francesi ad impegnarsi nel lavoro missionario tra gli indiani della Novelle France, ma lo faranno con una strategia diversa da quella delle missioni spagnole, coerente con l’interesse commerciale e politico francese, che necessitava sia dell’attività di caccia degli indiani per rifornire i mercati di pelle, sia della bellicosità degli indiani, da indirizzare contro i rivali coloniali
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inglesi e a difesa dell’impero coloniale francese. Il “manto nero”, il missionario gesuita francese, non cercherà di trasformare gli indiani in pacifici e sedentari agricoltori, ma vivrà nei loro villaggi, li accompagnerà nei loro spostamenti, senza disdegnare di partecipare o addirittura di porsi alla guida degli indiani, nei lunghi conflitti in cui furono impegnati tra il ‘600 e la metà del ‘700. La storia di questa vicenda peculiare, che inizia con i piccoli traffici di umili pescatori di merluzzo, vede il primo tentativo di fondare una colonia stabile sulle coste del Canada nel 1598, quando una piccola stazione commerciale fu fondata sull’isola di Sable, al largo delle coste della Nova Scotia, ma l’iniziativa fu di breve durata; l’anno successivo però il re di Francia Enrico IV, accettò la proposta del capitano e proprietario di navi Pierre de Chauvin de Tonneuit e del mercante Francois Gravè du Point, affidando loro il monopolio del commercio delle pellicce nel Nuovo Mondo. Nel 1600 i due raggiunsero la foce del San Lorenzo, risalendo il fiume per un breve tratto, fino alla confluenza con il Saguenay, e qui stabilirono la prima colonia francese in Canada, dopo il vano tentativo di Jacques Cartier. La colonia denominata Tadoussac era in una località già nota ai Francesi, un luogo di raduno durante la buona stagione, per i marinai e gli indiani che si incontravano per commerciare; era abitualmente visitato da indiani Micmac, Montagnais, Algonquin che vivevano nella regione e sembrava la base migliore. In realtà il duro inverno canadese fu fatale per i coloni e dei circa cinquanta che vi erano giunti in estate, solo una quindicina erano vivi alla fine dell’inverno; il luogo adatto come punto di incontro, non aveva le caratteristiche per una colonia permanente, la terra non era adatta all’agricoltura e a causa della frequentazione di tanti indiani, anche Un “coureur des bois”: ai piedi le racla selvaggina scarseggiava. In aggiunta a ciò c’era il pericolo rap- chette da neve il cui uso i bianchi impapresentato dal conflitto tra i Montagnais e gli Algonquin, in contatto rarono dagli indiani con i Francesi, e la Lega Iroquois a sud, una guerra che metteva a rischio tutta la valle del San Lorenzo. Anche la colonia di Tadoussac ebbe breve vita, ma la località rimase come il principale luogo d’attracco per le navi che giungevano al San Lorenzo. I rapporti con gli indiani comunque erano pacifici, le pellicce abbondavano e le ragioni e le possibilità per una lucrosa attività commerciale c’erano tutte: serviva solo l’uomo giusto per avviare l’impresa, e quest’uomo, il giovane Samuel de Champlain, nipote di Francois de Gravè du Point, nel 1603 fece il suo primo viaggio in America.
I Micmac e l’Acadia francese
Dopo il fallimento della piccola colonia di Tadoussac, nel 1602 Pierre de Chauvin decise di rinunciare al monopolio ottenuto da Enrico IV, il quale affidò all’ammiraglio Aymar de Chaste, l’incarico di organizzare una nuova spedizione esplorativa in Canada. De Chaste scelse per il comando della spedizione Pierre Doguè de Mons, un mercante che aveva già visitato il Canada e aveva partecipato al tentativo di Chauvin e Gravè a Tadoussac. Con Doguè era partito anche Francois Gravè du Point, accompagnato dal nipote Samuel de Champlain; a quell’epoca Champlain aveva ventinove anni, era l’erede di una ricca famiglia di commercianti, che avendo sostenuto re Enrico IV nella sua lotta per la corona di Francia, aveva anche ottenuto rendite reali. Economicamente autonomo Champlain era stato soldato e marinaio, era impiegato come geografo di corte, e aveva letto con interesse ogni testimonianza sul Nuovo Mondo, studiato i resoconti dei viaggi di Cartier, i falliti tentativi di fondare una colonia in Canada, ed era ansioso di potersi misurare con l’impresa in cui altri erano non erano riusciti. Nel marzo del 1603 le navi francesi erano di nuovo a Tadoussac, e da lì Champlain e suo zio Gravè du Point esplorarono in corso del fiume San Lorenzo spingendosi a sud verso le zone già visitate da Cartier;
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come era abitudine anche gli indiani si recarono a Tadoussac per fare scambi e in maggio una grande festa fu tenuta in presenza del capo dei Montagnais Beogurat, in procinto di partire per una spedizione di guerra contro gli Iroquois. La festa fu un grande evento perché gli indiani non solo commerciarono, ma stabilirono una vera e propria alleanza con i Francesi, a cui il capo dei Montagnais affidò un figlio per un viaggio in Europa; l’alleanza con i Montagnais e i loro vicini Algonquin, sarebbe durata fino alla fine dell’esperienza coloniale francese in Nord America. In settembre, dopo aver fatto un ricco carico di pelli i Francesi erano di nuovo in patria, e Champlain pubblicò un resoconto delle sue esperienze. Nel frattempo l’ammiraglio Aymar de Chaste era morto, prima ancora del ritorno della spedizione, e il monopolio del commercio delle pelli era stato affidato da Enrico IV a Pierre Doguè du Mons, che nel 1604 organizzava un altro viaggio in America, portando con se Gravè du Point e Champlain e altri settansette uomini. Questa volta invece che puntare sulla foce del San Lorenzo, le navi raggiunsero la baia di Fundy, tra la Nova Scotia e il New Brunsiwich, fermandosi alla foce del fiume St.Croix, sulla costa occidentale della baia. Ancora una volta comunque la località scelta non risultò adeguata, e quando nel 1605 Gravè du Point dopo essere tornato in patria, tornò con rifornimenti e nuovi coloni, l’insediamento fu abbandonato e ristabilito con il nome di Port Royale in nuova località sulla costa orientale della baia. Questo fu l’inizio della colonia francese di Acadia che successivamente avrebbe compreso gran parte del territorio tra il San Lorenzo e l’Atlantico. Il villaggio di Port Royale si trovava nel territorio del Micmac, che da anni conoscevano e commerciavano con gli Europei ed in particolare con i Francesi, quindi i rapporti furono subito semplici e immediatamente profittevoli. I Micmac non praticavano l’agricoltura, ma vivevano abbastanza stabilmente riunendosi nelle migliori località costiere nella buona stagione, per pescare, cacciare mammiferi marini e raccogliere molluschi, mentre durante il freddo inverno si ritiravano nelle regioni dell’interno per cacciare caribòù e altri mammiferi, vivendo in piccole comunità; usavano wigwam conici o cupoliformi, ricoperti di corteccia o pelli animali, ed erano organizzati in sette raggruppamenti locali, ognuno con un proprio consiglio degli anziani e leader tribale. A differenza dei Montagnais che erano totalmente nomadi e vivevano abitualmente in piccole comunità, riunendosi solo in occasioni particolari, i Micmac avevano una maggiore coesione sociale e politica, e ciò probabilmente permise loro di sfruttare al massimo il vantaggio derivante dalla lunga frequentazione con i mercanti europei. Non ci sono invece elementi per sapere se e quanto anch’essi abbiano pagato il duro pedaggio in distruttive malattie epidemiche, che era abitualmente la prima conseguenza del contatto; forse tale prezzo fu pagato già all’inizio dei rapporti con i bianchi, nei primi decenni del ‘500, e poi la tribù ripresasi, potrebbe aver perso memoria dell’evento; o forse, data la natura non continuativa dei contatti, l’impatto fu più limitato, diluito nel tempo e meno distruttivo. Non ci sono elementi per avere un quadro chiaro, ma quel che è certo e che i Micmac nella seconda metà del ‘500 erano la tribù più potente e aggressiva della regione. Già dai resoconti di Jacques Cartier è certo che i Micmac erano in guerra con gli Iroquaian del San Lorenzo, per il controllo delle stazioni di pesca alla foce del San Lorenzo. Poco prima del 1534 una spedizione di cacciatori Iroquaian era stata più volte attaccata dai Micmac e dai loro alleati Malecite, presso un fiume non individuato chiamato Bouabouscache; Micmac e Malecite continuarono a tormentare e inseguire gli Iroquaian sulla via del ritorno, infliggendo loro un’altra sconfitta sul fiume Tres Pistoles, anch’esso di non chiara identificazione. Nella primavera del 1534, gli Iroquaian erano però Villaggio estivo dei Micmac lungo la costa
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tornati presso la baia di Le Bic; qui individuarono un accampamento Micmac, che però gli indiani riuscirono ad evacuare prima dell’attacco, cercando rifugio in un’isoletta vicina, dove nascosti gli anziani e gli infermi in una caverna, si barricarono con fortificazioni di rami e tronchi. Gli Iroquaian li attaccarono il giorno successivo, e dopo due giorni di combattimenti e usando frecce incendiare contro la barricata di rami, riuscirono ad avere la meglio e a massacrare tutti i Micmac. Questi resoconti di Cartier danno il quadro di quello che doveva essere un conflitto endemico e stagionale, che probabilmente durava da anni, tra gli agricoltori Iroquaian del San Lorenzo, che periodicamente lasciavano i loro villaggi per pescare e cacciare, e i Micmac residenti nella regione, che non tolleravano l’intrusione. Dai tempi di Cartier questo conflitto si risolse sicuramente prima del 1570, con la scomparsa degli Iroquaian del San Lorenzo, probabilmente indeboliti dalle malattie introdotte dagli uomini di Cartier e poi attaccati nei loro stessi villaggi dai Mohawk. Con il pieno controllo della costa, dalla foce del San Lorenzo, fino alla Nova Scotia e alla baia di Fundy, riforniti di asce e lame di metallo dai mercanti e pescatori europei, i Micmac iniziarono progressivamente a modificare la loro economia, riducendo le attività di pesca e aumentando invece la caccia, per rifornirsi di pelli necessarie al commercio con gli Europei; ovviamente il loro territorio, su cui prima avevano cacciato per il mero sostentamento, si dimostrò presto insufficiente a garantire un adeguato quantitativo di pelli, e forti delle loro armi i Micmac iniziarono ad espandersi a svantaggio dei loro vicini. I Malecite che vivevano nell’interno, erano stati tradizionali alleati contro gli Iroquaian, e furono inseriti nel loro sistema di approvvigionamento di pelli, ma con le tribù che vivevano più a sud fu guerra. Forse dalla fine del ‘500, sicuramente dall’inizio del ‘600 spedizioni di caccia e di guerra iniziarono a visitare le coste a sud, dal Maine al Massachusset, razziando i villaggi Penobscot, Passamaquody, Abnaki, Pennacook e Massachusset. Più o meno nello stesso periodo spedizioni di caccia e di pesca raggiungevano le coste meridionali di Terranova, permettendo ai Micmac con le loro precarie e leggere imbarcazioni, di controllare tutti i traffici tra quest’isola e le coste del New England. Questa era la situazione quando nel 1605 i Francesi fondarono Port Royale, che divenne la base per il loro commercio con i Micmac. Capo dei Micmac nella zona di Port Royale e rispettato leader spirituale di tutta la tribù era Membertou, già novantenne, che ricordava di aver incontrato in gioventù Cartier. Nel luglio del 1607, in risposta all’uccisione di un loro capo da parte dei Passamaquody, i Micmac di Membertoù attaccarono la tribù vicina uccidendo una ventina di guerrieri compreso il capo; forse fu proprio questo grave fatto di sangue che impose alle tribù vittime degli attacchi dei Micmac di costituirsi in una alleanza. Da Port Royale nel frattempo Champlain esplorava le coste vicine, ansioso di allargare la propria attività e le relazioni con le tribù indiane, incontrando nel 1606 i Penob- Port Royale in un disegno di Samuel de Clamplain del 1612 (sopra) scot del capo Betsabes e facendo con lui e la ricostruzione fatta nel 1639 (sotto) scambi, mentre un tentativo di stabilire una nuova stazione commerciale a Cape Cod, sulla costa del Massachusset, fallì dopo un piccolo scontro con la locale tribù dei Nauset nel luglio del 1605. I rapporti tra Francesi e Micmac ebbero una battuta d’arresto alla fine del 1607, quando re Enrico IV, su pressione di mercanti rivali di Doguè, decise di ritirargli il monopolio, obbligando i coloni a lasciare Port Royale a tornare in Francia. Quello stesso anno un altro problema sorse per i Micmac, quando il capo dei Penobscot Betsabes, riuscì a riu-
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nire un gran numero di comunità, compresi Abnaki e Passamaquody in una alleanza che sarà il cuore della futura confederazione dei Wabanaki; le periodiche razzie condotto dai Micmac, si trasformarono così in una vera e propria guerra tribale, che durò per gli otto anni successivi: la La valle del San Lorenzo e l’Acadia all’inizio del ‘600 Guerra Tarrantine, dal nome usato dalle tribù meridionali per indicare i Micmac. I Francesi tornarono a Port Royale, solo nel 1610 ma prima che ciò accadesse, nel 1609 i Micmac ebbero l’amara esperienza di incontrare altri Europei, che si mostrarono molto meno amichevoli. Nel luglio di quell’anno il navigatore John Hudson, in cerca del Passaggio a Nord-Ovest per conto dei mercanti olandesi, attraccò nella attuale località di Le Have, sulla costa orientale della Nova Scotia, un’importante stazione di pesca dei Micmac; gli indiani abituati a commerciare con navi europee, e forse a corto di merci, a due anni dalla partenza dei Francesi da Port Royale, diedero il benvenuto agli Olandesi, offrendo di scambiare le loro pelli, ma non trovarono alcun interesse nelle loro offerte. Poi una mattina, dopo dieci giorni che la nave era attraccata, da essa improvvisamente uscì l’intera ciurma, armata di moschetti e di un cannone, per attaccare di sorpresa il villaggio, uccidendo tutti gli indiani che non poterono fuggire e poi rubando tutta la scorta di pelli. Un’altra nave olandese pagò due anni dopo per tale misfatto, quando totalmente ignara di quanto accaduto fece scalo nella stessa località, subendo un improvviso e sanguinoso attacco dei Micmac. Nel 1610 i Francesi tornarono a Port Royale, trovando il vecchio forte ben conservato e protetto dagli indiani di Membertoù che attendevano il loro ritorno; i tradizionali rapporti d’amicizia ripresero e il 24 giugno del 1610 l’anziano capo e tutti i suoi più stretti famigliari accettavano il battesimo e divenivano cristiani: l’anno successivo il vecchio capo moriva, forse ultracentenario, avendo però aperto la via al successivo lavoro dei missionari francesi. Negli anni seguenti i Micmac verranno tutti convertiti al cristianesimo, senza brutali imposizioni, senza essere stati sottomessi, senza significativi cambiamenti nello stile di vita. Per i Francesi comunque la Guerra Tarrantine era un problema: non solo essa pregiudicava l’allargamento delle relazioni commerciali alle tribù meridionali, ma addirittura rischiava di spingere tali tribù fra le braccia dei concorrenti Inglesi e Olandesi che in quegli stessi anni tentavano insediarsi sulle coste più a sud; Inglesi che dalla loro base di Jamestown in Virginia, nel 1613 avevano attaccato con una flotta Port Royale distruggendola e obbligando a ricostruirla a otto chilometri di distanza. In più era chiaro che l’espansione commerciale francese avrebbe già trovato un potente avversario tra gli indiani nella Lega Iroquois, tradizionale nemico delle tribù Algonquian alleate della Francia: non c’era alcuna necessità di avere altri nemici. I Francesi tentarono di garantire i loro rapporti commerciali con le tribù che vivevano più a sud, fondando nel 1613 una missione gesuita a Pentagoet, nella terra dei Penobscot di Betsabes, ma fu un tentativo di breve durata: prima della fine dell’anno, gli Inglesi che avevano attaccato Port Royale, distrussero anche la missione. Gli sforzi Francesi per indurre gli indiani ad una pace avranno finalmente un buon esito solo dopo il 1615, quando i Micmac riuscirono ad infliggere un duro colpo ai loro nemici. Quell’anno in un attacco diretto al villaggio di Betsabes, lo stesso capo era stato ucciso, ponendo le condizioni per la fine del conflitto con l’eliminazione del loro principale antagonista.
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Dopo questa vittoria, tra il 1616 e il 1619, una serie di devastanti epidemie colpirono sia i Micmac che le tribù che vivevano più a sud, fino al New England, e la morte che colpiva indiscriminatamente le diverse fazioni, indusse i contendenti alla pace. Attraverso la mediazione francese le tribù coinvolte nel conflitto giunsero ad una tregua, che poi si sostanziò in una comune alleanza, la confederazione dei Wabanaki, che coinvolgeva tutte le tribù della regione, i Micmac, i Malecite, i Passamaquody, i Penobscot, gli Abnaki, tutte alleate della Francia, e che manteneva rapporti d’amicizia con le tribù del San Lorenzo i Montagnais e gli Algonquin. Dall’inizio degli anni ’20 del ‘600 la provincia di Acadia, corrispondente agli attuali New Brunswich, Nova Scotia e parte del Maine, fu una parte del possedimento d’oltremare della Nouvelle France, che si regAlle fine del’800, dopo tre secoli di rapporti con i bianchi, tra i geva sostanzialmente sull’alleanza con i Micmac si conservavano ancora molti aspetti dell’antica cultura Micmac e le altre tribù della confederazione Wabanaki; la sua importanza nel commercio delle pellice si ridusse però notevolmente: con i territori di caccia depauperati, la popolazione indiana decimata dalle malattie, e gli insediamenti francesi sempre a rischio di attacco da parte degli Inglesi, il grosso del commercio di pelli si spostò nella valle del San Lorenzo, mentre solo a Port Royale e in un posto commerciale a Pentagoet, alla foce del Penobscot si concentrò l’attività commerciale nella regione. Nei decenni successivi la provincia di Acadia ebbe vita travagliata, divenendo colonia scozzese per tre anni, tra il 1629 e il 1632, in seguito ai conflitti tra Francia e Inghilterra, poi tra il 1635 e il 1654 fu lacerata da una lunga guerra civile interna, quindi tra il 1654 e il 1667, ancora una volta la regione fu occupata dagli Inglesi, poi fu la volta degli Olandesi, che nel 1674 per un breve periodo costituirono la colonia della Nuova Olanda. Durante tutto questo tempo però non vi fu nessun conflitto tra coloni francesi e indiani, ma anzi numerosi furono i matrimoni misti che rafforzarono i legami con gli indiani, i quali continuarono a supportare i Francesi in tutte le loro guerre, difendendone le pretese coloniali, anche dopo che erano stati sconfitti dagli Inglesi. Le ragioni di questa situazione peculiare, vanno sicuramente ricercate nella presenza non invasiva dei coloni, mai particolarmente numerosi, oltre che dal loro sostanziale inserirsi nel tessuto di relazioni indiane, partecipandovi e interagendo con essi, fino a dare vita ad una cultura locale di cui gli indiani erano parte integrante. Per gli indiani il contatto con i Francesi non fu indenne da conseguenze, dato che essi rinunciarono alle loro credenze tradizionali per aderire al cattolicesimo, e vivevano in una sostanziale dipendenza economica dalle merci francesi, essendo obbligati ad impegnarsi nel commercio delle pellicce fino alla quasi scomparsa della fauna locale. Il destino dei Micmac fu comunque meno drammatico di quello di altri popoli, deportati o del tutto scomparsi dalla storia, e ancora oggi essi vivono sulle loro terre, orgogliosi della loro storia. L’Acadia comunque, costretta tra il mare e le vicine e concorrenti colonie inglesi e olandesi, non era che un angolo dell’immenso continente la cui via era aperta dal grande fiume San Lorenzo, e da questo fiume muoverà l’avventura francese in Nord America, guidata da quello che fu sicuramente il più peculiare se non il più grande, tra gli esploratori e i colonizzatori del Nord America: Samuel de Champlain.
Samuel de Champlain a Quebec
Costretto a lasciare Port Royale nel 1607 e a far ritorno in Francia, a causa dei rivali che contestavano il monopolio commerciale, già nell’aprile del 1608 Samuel de Champlain era pronto a ripartire con Pierre Doguè, che nel frattempo aveva organizzato una nuova spedizione in Canada con tre navi armate a sue
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spese. Impedito a riprendere i suoi commerci in Acadia, Doguè in giugno era a Tadoussac, dove una volta attraccato, dovette lasciare le navi per proseguire con piccolo barche risalendo il San Lorenzo, alla ricerca di una località adatta per fondare una nuova colonia, essendo stata già verificata l’inadeguatezza di Tadoussac. La località fu scelta laddove il larghissimo letto del fiume inizia a restringersi, e lì il 3 luglio 1608 fu fondato il primo nucleo della città di Quebec, la più antica tra le grandi città del Nord America. Il luogo in cui fu fondata Quebec, era nelle vicinanze del villaggio di Stadacona, un tempo abitato da Iroquaian del San Lorenzo e visitato da Jacques Cartier più di settanta anni prima, ma ormai disabitato come tutta la valle del San Lorenzo, contesa tra tribù Algonquian del nord e dell’ovest, e la Lega Iroquois a sud; i coloni non ebbero quindi alcun problema ad insediarsi nella valle, anche perchè gli indiani più vicini, Montagnais, Algonquin, Malecite, erano da tempo in buoni rapporti con i Francesi che incontravano annualmente a Tadoussac, e proprio in un raSamuel de Champlain fondatore della Nouvelle France duno a Tadoussac cinque anni prima, avevano stabilito un patto d’alleanza con lo stesso Champlain. I Francesi poterono quindi dedicarsi a costruire un piccolo forte su una collina, le poche abitazioni necessarie ai coloni e le fortificazioni, a preparare il terreno per la coltivazione di piccoli orti e ad esplorare la regione circostante. Nel nuovo villaggio furono rinsaldati i rapporti d’amicizia con le tribù Algonquian, fatti scambi commerciali e aperte relazioni con una tribù fino ad allora sconosciuta, gli Huron o Wendat, una confederazione di comunità di lingua Iroquaian, che aveva i suoi villaggi a sud, sulla sponda settentrionale del lago Ontario, e pur essendo linguisticamente e culturalmente affini alle tribù della Lega Iroquois, ne era nemica e per questo alleata degli Algonquin. Il primo anno di vita della nuova colonia passò senza problemi, ma nell’estate del 1609 la politica di strette relazioni con gli indiani su cui Champlain puntava per il buon esito dell’impresa, produsse le prime conseguenze; come era prassi consolidata per gli indiani, l’estate era la stagione delle spedizioni di guerra, una guerra di frontiera la cui funzione più che di sottomettere o distruggere il nemico, era quella di tenerlo a distanza, difendendo i territori di caccia tribali. Quell’anno quindi, circa 300 guerrieri Montagnais e Algonquin in viaggio verso sud per combattere contro gli Iroquois, giunsero a Quebec chiedendo il sostegno dei Francesi contro i loro nemici; Champlain non potè, ne volle tirarsi indietro, e insieme ad una decina dei suoi uomini, tutti armati di archibugi, si unì agli indiani. Durante il mese di luglio la spedizione vagò nella regione contesa, discendendo il fiume Richelieu, allora chiamato “riviere des Iroquois”, perché via preferita per le spedizioni di guerra di questa tribù, fino a raggiungere il lago a cui Champlain diede il nome, una via d’acqua che attraverso il lago e poi il fiume Hudson, collega la costa dell’Atlantico alla valle del San Lorenzo; lungo questa via d’acqua, nei successivi centocinquant’anni, Francesi e Inglesi e i loro rispettivi alleati indiana, si scontreranno in cruente battaglie, agguati e continue scaramucce. Non trovando spedizioni di guerra nemiche con cui confrontarsi, gran parte dei guerrieri indiani e anche dei Francesi abbandonarono l’impresa, e solo sessanta guerrieri, con Champlain e due suoi compagni, continuarono a spingersi a sud, fino all’estremità meridionale del lago, nella zona dove più tardi sorgeranno gli avamposti inglesi di Crown Point e Ticonderoga. Qui il 29 luglio il nemico fu trovato, ma si trattava di oltre duecento guerrieri Iroquois, anch’essi in cerca di nemici da uccidere; la temeraria avanzata dei guerrieri indiani avrebbe potuto avere esiti tragici, ma il pronto intervento di Champlain e di un suo compagno, che con due soli colpi d’archibugio uccisero tre capi avversari, provocò il panico tra gli Iroquois, che mai avevano avuto esperienza delle armi da fuoco. La vittoria in questa battaglia garantì definitivamente il prestigio e l’autorevolezza di Champlain e dei Francesi fra i loro alleati indiani, ma procurò loro un nemico implacabile e determinato, la Lega Iroquois, la cui ostilità sarebbe durata oltre un secolo e mezzo, per placarsi solo quando i Francesi avranno perso
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del tutto il loro dominio coloniale. L’intervento francese cambiò i rapporti di forza nella valle del San Lorenzo, e se gli Iroquois non rinunciarono a frequentare la zona contesa e a colpire le tribù nemiche quando potevano, la presenza dei Francesi a Quebec rappresentava un deterrente per la loro aggressività. Il 19 giugno dell’anno successivo i Francesi, insieme a guerrieri Huron, Algonquian e Montagnais, inflissero un’altra sconfitta ai La prima battaglia di Champlain contro gli Iroqouis Mohawk che si erano stabiliti presso la confluenza tra il Richelieu e il San Lorenzo, in quella che è ricordata come la battaglia di Sorel. Dopo questa altra vittoria, che costò ai Mohawk un gran numero di vittime e di prigionieri, essi dovettero rinunciare alla valle del San Lorenzo, anche se periodici raid continuarono negli anni successivi, disturbando soprattutto i commerci con gli Huron e gli Algonquin che vivevano a sud di Quebec e che dovevano attraversare la regione per portare le loro pelli in città. Nel 1610 comunque Champlain fu richiamato in Francia, dove re Enrico IV era stato assassinato e dove cambiavano gli equilibri politici; a Doguè sostenitore del re assassinato, fu interdetta l’attività in America, ma Champlain riuscì a tessere nuove relazioni con la fazione vincente, salvaguardando la sua attività e l’esistenza della colonia. Quando Champlain tornò a Quebec nel 1613, la città non era cresciuta ne i coloni francesi erano aumentati in modo significativo, ma la colonia era economicamente autonoma, con una piccola produzione agricola ed era il centro di una intensa attività di scambi commerciali con gli indiani vicini. Champlain che conosceva l’impresa di Cartier, come lui esplorò la regione nella speranza di trovare un fiume che aprisse la via per la il lontano Oriente, puntando verso il fiume Ottawa, un affluente del San Lorenzo, risalendo il quale si giungeva nelle vicinanze del lago Huron e le inesplorate foreste a sud della Baia di Hudson. Lungo il fiume Ottawa rafforzò l’alleanza con Tessouat il capo dei Kichesperini, un sottogruppo Algonquin, che abitualmente stabiliva il suo villaggio lungo il fiume sull’isola di Allumette (Morris Island), e che negli anni successivi, furono i principali intermediari commerciali, con le sconosciute tribù dell’ovest. Nel 1615 fecero la loro comparsa anche i primi missionari, francescani recolleti, che negli anni successivi visitarono i villaggi indiani della regione e spesso vissero per lunghi periodi con loro, seguendoli anche nel loro nomadismo: i recolleti opereranno nella regione fino al 1629, senza produrre conflitti con gli indiani, e da uno di essi, Gabriel Sagard, ci è giunta l’opera “Grande viaggio nel paese degli Huron”, una delle prime testimonianze etnologiche sugli indiani d’America. In quello stesso 1615, Champlain con alleati Huron e Algonquin lanciò una spedizione di guerra contro gli Iroquois, che continuavano ad essere una minaccia per il commercio; partita dal lago Simcoe nel territorio degli Huron all’inizio di settembre, la spedizione viaggiò a est fin oltre il lago Ontario, scendendo poi a sud nel territorio della Lega Iroquois, fino a raggiungere il 10 ottobre il villaggio di Canastota abitato dagli indiani Oneida. L’attacco forse per la troppa precipitazione degli Huron, non ebbe successo e lo stesso Champlain fu ferito ad una gamba. Quell’inverno egli visse tra gli Huron, poi nel 1616, tornò in Francia dove si trattenne quattro anni. Negli anni ’20 del ‘600 Quebec continuò a prosperare come centro del commercio delle pellicce, e Champlain abbandonati i progetti di esplorazione e la ricerca della via per la Cina, si dedicò principalmente ad organizzare e amministrare la colonia, con la costruzione di chiese e strutture civili e militari; i rapporti con gli indiani continuarono a mantenersi pacifici, mentre la presenza dei bianchi cresceva moderatamente e senza rappresentare una minaccia per i nativi; la guerriglia con la Lega Iroquois continuava, ma gli indiani alleati della Francia, riforniti di lame e punte di metallo garantivano la sicurezza dei Francesi. Nel 1627 fu fondata per volontà del cardinale Richelieu la Compagnia dei 100 Associati, che si sostituì ai precedenti monopoli e di cui Champlain fu messo a capo; questa compagnia dominò il traffico di pellicce fino al 1663, fino al lago Superiore e alle sorgenti del Mississipi, in terre mai visitate dall’uomo
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bianco, estendendo le relazioni commerciali dei Francesi, a tutte le tribù dei Grandi Laghi. Nel 1629, comunque la minaccia della Lega si fece nuovamente sentire con forza; da qualche anno gli Iroquois commerciavano con gli Olandesi che si erano insediati alla foce dell’Hudson, e potevano così ottenere armi da fuoco; quell’anno gli Iroquois lan- Scambi commerciali a Quebec ciarono un distruttivo attacco ad un villaggio di Algonquin e Motagnais nella località dove sarebbe sorta più tardi Trois Riviere, un luogo frequentato dagli indiani per i commerci. Con questa iniziativa la Lega rivendicava i suoi diritti sull’alta valle del San Lorenzo, in un momento in cui i Francesi non erano assolutamente in grado di sostenere i loro alleati indiani. Quello stesso anno infatti, mentre era in corso il conflitto europeo della Guerra dei Trent’Anni, David Kirke un avventuriero e mercante scozzese al comando di una piccola flotta, risalì il San Lorenzo per attaccare Quebec; Champlain fu abile a scoraggiare gli attaccanti, facendo apparire una forza difensiva molto maggiore di quella reale, ma quando Kirke discendendo il fiume sulla via del ritorno catturò una flotta di rifornimenti in viaggio per Quebec, la città ridotta alla fame fu costretta alla resa. Per tre anni gli Inglesi furono i padroni di Quebec, ma infine dimostrando che la presa della città era avvenuta quando il conflitto in Europa era già concluso, la Francia riprese possesso della colonia e Champlain potè farvi ritorno. Champlain moriva nel 1635, rispettato dai coloni e dagli indiani e considerato il padre fondatore dell’impero coloniale francese in America e del futuro Canada; unico tra gli esploratori e i colonizzatori del Nord America, egli seppe coniugare con grande pragmatismo gli interessi politici e commerciali, con una costante collaborazione con gli indiani, dando vita ad un modello coloniale di cui gli indiani erano un pilastro fondante. Se si escludono i conflitti tribali con la Lega Iroquois, a cui i Francesi presero parte, la vicenda della colonia di Quebec si caratterizza per oltre trent’anni di pacifici rapporti tra bianchi e indiani; ma ovviamente non poteva durare, e pochi anni dopo la morte di Champlain, il germe avvelenato del commercio e del profitto, che proprio Champlain aveva seminato, avrebbero prodotto il più distruttivo conflitto della storia conosciuta del Nord America: la Lega Iroquois, che già aveva ripreso il controllo dell’alta valle del San Lorenzo, si preparava ad espandere il suo dominio su un territorio vastissimo, mettendo a rischio la stessa opera di Samuel Champlain.
Etienne Brulè, il rinnegato
Poco più di un secolo dopo la fondazione di Quebec, i possedimenti francesi nel Nuovo Mondo, si estendevano su un territorio vastissimo, che dalla valle del San Lorenzo si allargava al Canada orientale e alla regione dei Grandi Laghi, occupava parte della valle dell’Ohio, comprendeva tutto il corso del Mississipi, fino al Golfo del Messico e penetrava fin nelle ignote Grandi Pianure risalendo il corso del Missouri, dell’Arkansas e del Red River. Mettendo a confronto su una carta geografica tale immensità territoriale, con le colonie inglesi, una stretta striscia di terra schiacciata tra la costa Atlantica e i monti Appalache, queste possono apparire addirittura marginali. Su tale immenso territorio però la quantità effettiva di coloni francesi fu assolutamente scarsa: il personale variamente coinvolto nel traffico di pellicce (mercanti, courrier des bois, voyauger) che garantiva l’esistenza dell’estesa rete di scambi commerciali, pochi presidi militari, un pugno di missionari vaganti e alcuni impiegati civili e coloni, presso i principali centri (Quebec, Montreal e più tardi New Orleans e Saint Louis). Nello stesso periodo al contrario, il piccolo territorio sotto
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controllo inglese, era meta di un flusso costante di immigrati dall’Europa, che in breve fecero crescere la popolazione bianca della regione, perennemente in cerca di nuove terre da occupare. Data la scarsa presenza di emigranti, la colonizzazione francese ebbe sui nativi un impatto significativo, ma non mise quasi mai in discussione il diritto degli indiani all’uso delle loro terre; solo poche tribù che entrarono in conflitto con la Francia, furono costrette ad abbandonare le loro terre o comunque a difenderle. Al Alla fine del ‘600 Robert Chevalier de La Salle, con un pochi uomini e senza conflitti con gli indiani, discese il coro del Mississipi e rivendicò tutta la regione alla Francia contrario nelle colonie inglesi gli indiani venivano cacciati, o comunque costretti a vivere ai margini, a mala pena tollerati. Il rapporto con gli indiani era invece per i Francesi costituente del loro modello coloniale; questa fu probabilmente l’intuizione di Samuel de Champlain, che in seguito, pur tra contraddizioni, rimase il tratto peculiare della presenza francese in America; fu proprio Samuel de Champlain a favorire la permanenza, per periodi più o meno lunghi, dei figli dei coloni presso le comunità indiane amiche, per acquisirne la lingua, gli usi e imparare da loro a conoscerne il territorio: una iniziativa inimmaginabile nelle colonie inglesi o spagnole, e in cui il concreto pragmatismo si imponeva, su ogni pregiudizio etnico, culturale o religioso. Di fatto la costruzione del dominio coloniale francese in America, fu opera di pochi individui, che con grandissima intraprendenza, si spinsero ogni dove, avendo scarso aiuto dalla madrepatria, e contando sulla loro capacità di stabilire buone relazioni con gli indiani. Alcuni di questi uomini divennero famosi perché per primi si spinsero in terre sconosciute: Pierre Esprit Radisson e Medard Chouart de Grossellieres, che commerciarono sul lago Superiore, Louis Joliette e padre Jacques Marquette che iniziarono l’esplorazione del fiume Mississipi, Robert Chevalier de la Salle e l’italiano Enrico Tonti che la completarono e si spinsero fin nel Texas, Etienne de Veniard de Bourgmont, che esplorò le Grandi Pianure centrali e Pierre Gautier de Varennes de la Verendrye, che esplorò quelle settentrionali. Ma insieme a questi uomini famosi che aprirono le immense vastità del Nord America al commercio delle pellicce francese, tanti altri ancora che li accompagnarono e li seguirono, sono ormai dimenticati; uomini che spesso condussero la loro intera vita ai limiti del mondo conosciuto e al confine tra due culture antagoniste, divenendo essi stessi mezzi indiani, sposando donne indiane e mettendo al mondo figli meticci, vivendo vite estreme e avventurose, molto tempo prima che i “mountain men” americani divenissero i primi eroi dell’epopea del Far West. Di questi personaggi che furono certamente l’elemento più pittoresco e avventuroso nella vicenda dei rapporti tra bianchi e indiani, il primo fu certamente Etienne Brulè, un giovane quasi certamente di umili origini, che nel 1608 all’età di sedici anni giunse a Quebec insieme a Champlain. Due anni dopo il giovane Brulè chiedeva il permesso a Champlain di poter vivere presso gli Algonquin, per imparare la loro lingua e i loro usi. Cosa spinse un giovane bianco a voler vivere tra indiani che abitualmente erano disprezzati dai suoi connazionali e la cui vita era dura e difficile non lo sappiamo, ma Champlain colse al volo l’occasione si accordò con Iroquet, il capo della Petit Nation, una banda di Algonquian che vivevano vicini e alleati degli Huron; Iroquet accolse nella sua comunità Brulè, e inviò un giovane parente tra i Francesi, perché imparasse la loro lingua e i loro usi. Champlain affidò a Brulè il compito di visitare la terra degli Huron, stabilire con loro contatti, e fissò con lui un incontro l’anno successivo, nel 1611. Un anno dopo Champlain incontrò Brulè che era pienamente inserito nella tribù Huron, parlava la loro lingua, vestiva come loro, aveva esplorato il loro territorio e aveva garantito una salda alleanza della tribù con la Francia.
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Etienne Brulè non era certamente uomo di lettere, forse era addirittura analfabeta, e non ci ha lasciato alcuna testimonianza dei suoi viaggi e della sua vita tra gli indiani; quel poco che ci è giunto da lui è riportato da Champlain o da qualche missionario, i quali guardavano con disapprovazione a quest’uomo che non si limitava ad avere Il primo incontro tra gli indiani di Samuel de Champlain con Etienne Brulè buone relazioni diplomatiche con gli indiani, ma viveva come loro, fra di loro, e in più conduceva vita dissoluta, frequentando donne indiane senza curarsi della morale corrente. Su di lui giungono ancora notizie da Champlain nel 1615, quando si recò tra gli Huron per organizzare la spedizione contro la Lega Iroquois. In quell’occasione Brulè lo informò delle sue esplorazioni in tutta la regione compresa tra i laghi Ontario e Huron, e sicuramente egli fu il primo bianco a esplorare il fiume Ottawa, la via d’acqua che collegava la valle del San Lorenzo al lago Huron, e che per oltre un secolo costituì la principale via commerciale per i carichi di pellicce che giungevano dall’ovest. A quell’epoca Brulè aveva certamente avuto contatti con le tribù vicine e alleate degli Huron, i Tionontati e i Neutrali, che parlavano anch’esse una ligua Iroquaian e condividevano la medesima cultura, e con gli Ottawa, di lingua Algonquian e stanziati intorno alla Georgian Bay, sul lago Huron. Mentre Champlain preparava la sua spedizione contro gli Iroquois, Brulè ottenne l’autorizzazione a mettersi in viaggio con una dozzina di guerrieri Huron, per raggiungere il territorio degli “Andaste”, o Susqueahannock, un popolo di lingua Iroquaian che viveva a sud degli Iroquois, per cercare la loro alleanza; l’8 settembre del 1615, Brulè partì dal villaggio Huron sul lago Simcoe, per compiere un pericoloso viaggio attraverso il territorio dei Seneca, una tribù della Lega, e raggiungere la regione a nord della baia di Chesapeake, dove prese contatto con i Susquehannock, che a quell’epoca erano già a conoscenza della colonia inglese di Jamestown a sud delle loro terre; Brulè fu quindi il primo Europeo a esplorare l’attuale Pennsylvania. Sulla via del ritorno Brulè fu catturato dai Seneca, che però alla fine rinunciarono a torturarlo e a ucciderlo e lo liberarono, forse affidandogli una missione di intermediaRicostruzione di un villaggio Huron
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La Nouvelle France ai tempi di Champlain e le esplorazioni di Etienne Brulè
zione con i Francesi, nella speranza di poter anch’essi commerciare con loro e sostituirsi come fornitori di pellicce ai nemici Huron. Alla fine Brulè fece ritorno tra gli Huron solo nella primavera del 1616, troppo tardi per incontrare Champlain, che già era già tornata dalla spedizione di guerra, in cui era stato sconfitto e ferito, nella battaglia contro gli Oneida a Canastota. Nel 1618 Brulè era di nuovo a Quebec dove Champlain gli rinnovò la fiducia e lo invitò a tornare tra gli indiani e a proseguire le sue esplorazioni; nel 1621 condusse un viaggio lungo la sponda settentrionale del lago Huron, fino allo stretto di Salt Saint Marie e al lago Superiore, dove sicuramente aprì le prime relazioni con i potenti Ojibway, la tribù Algonquian che abitava a nord del grande lago; nessun bianco si era mai spinto così a ovest. Dal 1624 i rapporti tra Brulè e Champlain si deteriorarono, in seguito alle denunce del padre recolleto Gabriel Sagard, che lo accusava per la sua vita licenziosa e soprattutto per i suoi traffici illegali, insieme a mercanti che si opponevano a Champlain. Infine l’indipendenza di Brulè lo portò alla definitiva rottura con i suoi connazionali nel 1629, quando i Francesi abbandonarono la colonia, sconfitti dagli Inglesi di David Kirke; Brulè non seguì i suoi connazionali in patria, ma rimase in Canada, collaborando con gli occupanti e continuando a vivere tra gli indiani: evidentemente la rottura con il suo mondo di provenienza si era ormai del tutto consumata, per lui era impossibile tornare a vivere in Francia e forse dopo i dissidi con Champlain e i missionari, pensò di badare solo ai propri interessi, rinnegando i suoi connazionali. Quando nel 1633 Champlain tornò in Canada, Brulè era morto da poco, ucciso in circostanze poco chiare dagli stessi Huron fra cui viveva; forse la sua liberazione dai Seneca, anni prima aveva ingenerato sospetti di tradimento fra membri della tribù, forse gli Huron lo considerarono un traditore per i suoi rapporti con gli Inglesi, forse si trattò semplicemente della conseguenza di qualche lite per questioni personali, non è dato sapere. Pare comunque che il suo corpo fu mangiato dagli Huron in un banchetto rituale, un trattamento che era abitualmente riservato ai nemici rispettati per il loro coraggio. Questo fu l’onore che gli riservarono gli indiani fra cui avevo scelto di vivere; i suoi connazionali invece, non gli perdonarono la sua collaborazione con gli Inglesi, e per quanto il suo contributo sia stato determinante, nei primi anni della colonizzazione del Canada, nessuna statua fu mai eretta a suo ricordo. Anni dopo altri personaggi, con vicende simili alle sue, saranno considerati solo dei rinnegati. Come già accennato, Brulè non ha lasciato alcuna testimonianza della sua vita, vissuta in una terra alla vigilia di grandi sconvolgimenti che l’avrebbero profondamente trasformata; egli quasi certamente ebbe conoscenza e probabilmente anche contatti diretti con tribù che nel giro di pochi anni sarebbero scomparse: i Tionontati, i Wenroronon, i Neutrali, gli Erie, gli Honiasont e forse altre ancora. Di questi popoli, che ebbero sporadici contatti con i Francesi negli anni ’20 del ‘600, qualche notizia giunge dal recolleta
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padre Joseph de la Roche Daillon, che in quel periodo tentò una penetrazione missionaria tra i popoli vicini degli Huron; poi di essi non si sa quasi più nulla. La morte di Brulè, e pochi anni dopo anche di Champlain, chiudono la prima fase della storia della colonizzazione francese in Nord America, durante la quale furono stabiliti rapporti con gli indiani, di alleanza o di ostilità, che poi si mantennero nel secolo e mezzo successivo. Gli Huron e le tribù Algonquian loro alleate, durante questo periodo si avvalsero dell’alleanza francese per contrastare la potenza della Lega Iroquois, che dalla sua nascita, non più di due secolo prima, stava imponendosi come una potenza regionale. Ma il momentaneo equilibrio raggiunto era basato sull’esclusione della Lega Iroquois dai commerci con gli Europei, e tale esclusione non sarebbe durata a lungo; a sud della valle del San Lorenzo, lungo le coste dell’Atlantico, dalla foce dell’Hudson, a Cape Cod, fino all’attuale Maine, altri Europei stavano arrivando, e il loro intervento avrebbe stravolto i precari equilibri dei rapporti intertribali.
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I PURITANI NEL NEW ENGLAND La terra di Dio
La costa del Nord America che si estende tra l’attuale città di New York e il confine con il Canada, fu per quasi un secolo luogo di periodici incontri tra bianchi e indiani, senza che però alcun significativo tentativo di colonizzazione fosse avviato; è probabile che già Giovanni Caboto, abbia visitato la regione, è certo che lo fece Giovanni da Verazzano per conto della Francia nel 1523, e sicuramente negli anni successivi altri navigatori europei ebbero occasionali contatti con gli indiani. Rapporti indiretti tra il mondo dei bianchi e gli indiani della regione, furono conseguenza di quanto avveniva poco più a nord, nella regione compresa tra Terranova e la foce del San Lorenzo, dove i rapporti tra indiani e pescatori europei, dalla metà del ‘500 furono continui. Dalle regioni a nord, merci europee iniziavano a diffondersi tra gli indiani, e con esse le notizie su questo popolo sconosciuto che giungeva dal mare; non ci sono dati certi, ma è probabile che già all’epoca insieme alle notizie e alle merci, siano giunte anche le malattie che abitualmente accompagnavano l’arrivo dell’uomo bianco. Gli indiani di questa regione parlavano vari dialetti Algonquian, e come quelli della Virginia, si sostentavano con l’agricoltura, abbondantemente integrata dalla caccia, dalla raccolta e dalla pesca; vivevano in villaggi di capanne, i wigwam, strutture di rami coniche o cupoliformi ricoperte di corteccia, villaggi che a volte erano cinti da palizzate e che periodicamente venivano spostati in altra località, quando il terreno sfruttato perdeva fertilità. Praticavano un piccolo nomadismo stagionale, quando le comunità abbandonavano i villaggi per dedicarsi alla caccia e alla pesca; tale nomadismo stagionale era più diffuso tra le comunità che vivevano più a nord, nell’attuale Maine, al limite della regione in cui l’agricoltura non era praticabile, e che quindi dipendevano maggiormente dalla caccia e dalla pesca. A differenza di quanto accadeva in Virginia, dove gran parte delle comunità tribali si riconoscevano in una labile confederazione politica come quella dei Powhatan, in questa regione le diverse tribù, ognuna suddivisa in gruppi minori, erano autonome, controllavano una piccola porzione di territorio e spesso erano in conflitto con i vicini; gli Abnaki, che vivevano nella parte settentrionale della regione, erano quelli che occupavano un territorio più vasto, anche perché il loro modello di sussistenza, meno stanziale e più dipendente dalla caccia e dalla pesca, implicava un uso del territorio di tipo estensivo, rispetto ai gruppi posti più a sud, che attraverso una agricoltura più produttiva, usavano in modo più intensivo le risorse della loro terra ed erano più legate ai campi e ai villaggi. Dalla fine del ‘500, il commercio che si svolgeva più a nord e che era nelle mani dei Micmac della zona costiera, produsse drammatiche conseguenze anche per questi popoli, quando l’aggressività dei Micmac si riversò su di loro. Armati di asce e coltelli di metallo e stimolati dalla possibilità di fare scambi con gli Europei, i Mimac iniziarono a lanciare incursioni verso i loro vicini meridionali, invadendo i territori di caccia, predando e colpendo tutte le tribù costiere fino al Massachusset. Di fronte a questa minaccia il capo dei Penobscot, Betsabes riuscì a riunire le tribù che vivevano più vicine ai Micmac, in una alleanza da cui sarebbe più tardi nata la Confederazione Wabanaki; a partire dal 1620, grazie alla mediazione francese, il conflitto con i Micmac si concluse e i Wabanaki, entrarono nel sistema di traffici commerciali che la Francia stava costruendo nella regione. La loro storia avrebbe poi preso vie diverse, rispetto a quella delle tribù che vivevano più a sud, escluse dal commercio con i bianchi, falcidiate da periodiche epidemie che si diffondevano più in fretta e con più estensione che non i commerci, e in ultimo, politi-
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camente divise di fronte all’imminente arrivo dell’uomo bianco. Queste terre comunque, benchè visitate dagli Europei fin dalla prima metà del ‘500, erano fuori dalla sfera di influenza della Spagna, l’unica potenza veramente impegnata in Nord America nel corso del XVI secolo, e solo quando mercanti e investitori inglesi, francesi e olandesi entrarono nella partita, questa zona iniziò a vedere i primi tentativi di colonizzazione. La regione comunque non aveva tesori celati, non c’erano risorse minerarie, ne ricche civiltà da conquistare; le risorse che la regione offriva, richiedevano duro lavoro, conoscenza del territorio e soprattutto, buoni rapporti con gli indiani: tutti elementi che non era facile trovare tra i coloni inesperti. Così anche quando qualche tentativo di iniziare la colonizzazione fu avviato, fu presto abbandonato dopo le prime difficoltà e i primi scarsi risultati; una terra simile poteva attrarre solo uomini poco inclini alla ricerca del facile arricchimento, forti di una fede indiscussa e soprattutto, senza molte possibilità di scelta… dissidenti, perseguitati, esuli. Con loro gli indiani si sarebbero confrontati, una specie di coloni del tutto nuova, esuli religiosi che ammantavano Le tribù indiane del New England ogni aspirazione, anche le più venali, dell’aura fanatica e senza mediazioni della fede nel proprio dio; uomini che consideravano la terra come un dono di dio. Un dio che ovviamente era dalla loro parte.
La colonia di Sagahadoc e altri fallimenti
La colonizzazione delle terre che poi presero nome di New England, inizia effettivamente con la nota vicenda dei Padri Pellegrini giunti a bordo della Mayflower nel 1621, ma nel ventennio precedente gli Europei, per lo più Inglesi, diverse volte visitarono la regione per aprire iniziative commerciali o vere e proprie colonie. In particolare dal 1590, dopo la disastrosa vicenda della colonia di Roanoke, tra i fautori inglesi della colonizzazione in America, prese corpo l’idea che il clima delle latitudini più meridionali fosse meno adatto ai coloni inglesi e si cominciò a guardare alle regioni costiere poste più a nord, già note perché limitrofe alle aree di pesca a sud di Terranova, frequentate da decenni. La pesca, il commercio di pellicce, il legname delle vaste foreste, la possibilità di una agricoltura simile a quella praticata in patria, erano le maggiori ragioni di interesse per questa regione, ma nessuna iniziativa fu assunta fino all’inizio del ‘600. Nel 1602 Bartholomew Gosnold, che più tardi sarà fra i protagonisti della fondazione di Jamestown, riuscì a raccogliere i capitali sufficienti per una spedizioni di commercio e l’eventuale fondazione di un
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insediamento, imbarcando una trentina di coloni; lo schema era quello usato dalla monarchia inglese, che favoriva e sosteneva le iniziative dei privati, garantendo loro anche il monopolio dello sfruttamento delle terre raggiunte, ma senza alcun diretto investimento economico, ne sostegno militare o d’altra natura. Alla metà di maggio del 1602 la nave di Gosnold raggiunse la costa americana a Cape Cod, nell’attuale Massachusset, continuando Il fortino di Gosnold sull’isola di Cuttyhunk, in un quadro della metà dell’800 verso sud fino all’isola di Cuttyhunk, dove i coloni costruirono un piccolo fortino. Nel corso della navigazione Gosnold scoprì l’isola di Martha’s Vineyard (Vigna di Marta), che prende nome dalla figlia di Gosnold, morta in quei giorni, e dalla presenza di vite selvatica; anche il nome di Cape Cod, (capo dei Merluzzi, per l’abbondanza di pesce) fu usato per la prima volta da Gosnold. Durante la navigazione lungo la costa e nella breve permanenza nel loro fortino, gli Inglesi vennero più volte a contatto con gli indiani della zona (Wampanoag, Narraganset, Nauset), che si mostrarono curiosi e soprattutto interessati a fare scambi commerciali; evidentemente i traffici che da anni avvenivano più a nord erano noti agli indiani, che desideravano entrare in possesso di merci europee. Gli uomini di Gosnold comunque non seppero sfruttare l’opportunità, e invece di invitare gli indiani a commerciare, cercarono addirittura di nascondere il loro fortino ai nativi. I coloni si dedicarono alla raccolta di radici di sassofrasso, da cui si ricavava un olio essenziale pregiato, mentre i rapporti con gli indiani erano principalmente basati sul sospetto e il timore. Questo atteggiamento provocò un’analoga reazione degli indiani, che l’11 giugno ferirono con una freccia un uomo impegnato a raccogliere molluschi; il piccolo incidente indusse parte degli uomini a tornare in patria e cinque giorni dopo gli Inglesi riprendevano il mare, con il loro carico di radici di sassofrasso e legname pregiato. La difficoltà degli Inglesi a rapportarsi con gli indiani, a differenza di quanto facevano i Francesi in quello stesso periodo, viene confermata dal successivo viaggio del giovane Martin Pring nel 1603, il quale per i rapporti con gli indiani pensò bene di portarsi due feroci mastini, da sguinzagliare contro di loro. Con queste premesse Pring giunse nel maggio del 1603 all’isola di Munhagen, esplorando poi la costa del Maine e incontrando indiani Abnaki e d’altre tribù, fino a raggiungere la baia di Cape Cod, dove costruì un fortino e iniziò a dedicarsi alla raccolta delle pregiate radici di sassofrasso. La sua permanenza durò due mesi, in cui i rapporti con i locali Wampanoag peggiorarono costantemente, fin quando gli indiani attaccarono la fortificazione; Pring ebbe così modo di mettere alla prova i suoi mastini, oltre ai cannoni che difendevano la postazione, respingendo gli indiani, ma ai primi di agosto ripartì in fretta e furia con il suo carico di sassofrasso. George Weimouth che nel 1605 fece una nuova spedizione commerciale raggiungendo la costa del Maine e la foce del Kennebeck, fu probabilmente meno avventato nell’approccio agli indiani, ma ancora più brutale nei comportamenti; dopo aver accolto cordialmente gli indiani Abnaki che vivevano nella regione, ed aver concordato una visita al loro villaggio, quando si rese conto che ad accompagnarlo nel tragitto c’erano centinaia di guerrieri, prima rinunciò alla visita, poi con l’inganno e la violenza prese cinque indiani come ostaggi. I cinque furono portati in Inghilterra, dove tre di loro furono dati come servi, a sir Ferdinand Gorges uno dei finanziatori del viaggio di Weymouth. Questi primi contatti tra Inglesi e indiani del New England, mostrano una situazione ben diversa da quanto accadeva più a nord, dove i Francesi stabilivano rapporti cordiali, scambi commerciali e vere e proprie alleanze con i Micmac e gli Algonquin; gli Inglesi al contrario sembravano considerare gli indiani più un ostacolo, nei loro viaggi per appropriarsi delle risorse che il nuovo mondo offriva. Per gli indiani della costa del New England la situazione probabilmente appariva paradossale: non solo dovevano difendersi dai vicini settentrionali, che con le armi di metallo ottenute dai Francesi, depredavano i loro
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villaggi e invadevano i loro territori di caccia, ma quando cercavano anch’essi di commerciare con i bianchi, si trovavano di fronte individui incapaci di cogliere le opportunità, sprezzanti, sospettosi, timorosi e violenti. Dopo il viaggio di Weymouth l’ostilità degli indiani della zona nei confronti degli Europei era tale che ne fece le spese lo stesso Champlain, un uomo la cui capacità di ottenere la fiducia degli indiani è indiscussa. Nel corso delle sue esplorazioni della costa americana, nell’ottobre del 1606 Champlain raggiunse la baia di Cape Cod, dove si fermò per quattro giorni, prima di ripartire a causa di un attacco degli indiani Monomonoy, un gruppo dei Nauset, che uccisero quattro Francesi e subirono diverse perdite. Malgrado queste difficoltà con gli indiani, l’interesse per la colonizzazione in Inghilterra cresceva tra uomini d’affari in grado di investire risorse economiche; le ricchezze delle nuove terre venivano vantate e ampliate a dismisura, mentre i problemi con gli indiani erano deliberatamente taciuti o sottovalutati, per non scoraggiare la speranza dei coloni, senza i quali non si facevano affari in America. Fu così che nel 1606, con l’esplicito sostegno della corona, fu concepito un più vasto piano per la colonizzazione della Virginia, termine con cui allora si indicava tutta la costa Atlantica a nord della Florida. Nell’aprile del 1606 diversi investitori e uomini d’affari ottennero dal re Giacomo I, i diritti di sfruttamento per le terre che avrebbero colonizzato in Nord America, e furono così fondate due società, entrambe denominate Virginia Company, con sedi a Londra e a Plymouth, a cui fu “appaltata” l’attività coloniale in America. Le due società avrebbero dovuto operare in aree diverse, la London Virginia Company a sud, nella zona della baia di Chesapeake, la Plymouth più a nord, oltre la foce dell’Hudson e Long Island; nel territorio intermedio a queste due aree, entrambe le società avrebbero potuto operare, ma con il vincolo a non stabilire insediamenti o stazioni commerciali troppo vicine, per evitare una concorrenza distruttiva. Delle due compagnie, quella londinese, si mosse più tardi, ma diede vita alla colonia di Jamestown, embrione del futuro stato della Virginia, mentre la Plymouth Virginia Company, si mosse per prima e già nel novembre del 1606 provò a inviare dei coloni in America; della spedizione erano parte anche due degli Abnaki rapiti l’anno prima da Weymouth, inviati come interpreti, ma le navi furono intercettate dagli Spagnoli, e il primo tentativo abortì sul nascere: dei due indiani, unò morì durante il viaggio, l’altro fini per qualche tempo nelle carceri spagnole, prima di riuscire a fuggire in Inghilterra e finire al servizio di sir Ferdinand Gorges, per poi tornare nel Maine nel 1614. L’obbiettivo della Plymouth Virginia Company, era la costa dell’attuale Maine, visitata nel 1605 da George Weymouth, in particolare la zona della foce del Kennebeck, allora chiamato Sagahadoc, e verso quelle terre si indirizzarono altre due navi di coloni, inviate nell’aprile del 1607. Comunque le pretese inglesi erano già contestate dalla Francia, che nel 1604 aveva costituito colonie più a nord, in Acadia, da cui erano partite spedizioni esplorative che avevano raggiunto la foce del Kennebeck, rivendicando per se la regione; questo territorio che rimarrà conteso fino alla metà del ‘700, sarà la linea di frontiera insanguinata nei conflitti coloniali tra Francia e Inghilterra. La spedizione della Plymouth Virginia Company, guidata da un maturo magistrato, George Popham e dal suo vice Raleigh Gilbert, giovane rampollo di un’aristocratica famiglia di navigatori e avventurieri, con due degli Abnaki rapiti da Weymouth in qualità di interpreti, e circa 120 coloni a bordo di due navi, raggiunse alla fine di maggio la foce del Kennebeck, dove gli uomini si misero alla ricerca di un posto in cui stabilirsi. Trovata la località adatta, i coloni si misero quindi al lavoro per costruire un forte, difeso da cannoni, e le loro abitazioni, mentre Gilbert con una ventina di uomini si diede ad esplorare la regione, spingendosi a nord fino alla terra dei Penobscot, alla ricerca del capo Betsabes, di cui gli Abnaki gli avevano parlato; Gilbert raggiunse il villaggio di Betsabes sul fiume Penobscot, ma lo trovò deserto. L’estate passò tra lavori di costruzione e esplorazioni, e quando ai primi di ottobre Raleigh tornò al forte, intitolato a San Giorgio, patrono dell’Inghilterra, i coloni si resero conto che non avendo dissodato e seminato campi, non avevano La piantina di Ft.St.George, base della colonia di Sagahadoc
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cibo sufficiente per superare l’inverno. I vicini indiani Wawenock, un gruppo di Abnaki con cui gli Inglesi avevano cercato di fare scambi, si erano mostrati diffidenti, e avevano lasciato il villaggio nelle vicinanze del forte; gli interpreti indiani tornati nella loro terra con i coloni, si erano rifiutati di collaborare e anzi avevano invitato la loro gente a diffidare degli Inglesi; senza l’aiuto degli indiani i coloni sarebbero certo rimasti senza cibo. Per ridurre le bocche da sfamare fu deciso di rimpatriare più della metà dei coloni, che ripartirono a dicembre, mentre una cinquantina si prepararono a passare il duro inverno. I mesi successivi passarono tra freddo, maltempo e bufere, incendi che distrussero i principali edifici, e dispute tra Raleigh e Popham, intorno ai quali si erano raccolti i coloni divisi in fazioni; Popham morirà di morte naturale proprio alla fine dell’inverno, unica vittima di quell’inverno terribile. In ogni caso l’ipotesi che il freddo clima del nord fosse più adatto per i coloni inglesi, che non quello delle terre meridionali non era infondata: quello stesso inverno a Jamestown, anch’essa appena fondata, il 60% dei coloni erano morti di febbri e malattie varie. A primavera i rapporti con gli Abnaki migliorarono un poco, e i coloni riuscirono a fare qualche piccolo scambio, ma nulla che potesse far sperare in grandi guadagni; in maggio con la nave dei rifornimenti, giunse la notizia che il padre e il fratello maggiore di Gilbert erano morti, ed egli era quindi erede delle proprietà di famiglia. L’avventura di Gilbert e della colonia di Sagahadoc o di Popham, questi sono i nomi con cui è ricordata, si concluse prima dell’inverno; passata l’estate a raccogliere salsapariglia, una pianta usata nella medicina del tempo, in autunno Gilbert e i coloni fecero ritorno in Inghilterra. Il ritorno dei coloni avvenne a bordo di una nave, la “Virginia” da essi stessi costruita, il primo veliero costruito in America. Mettendo a confronto questa vicenda con quella contemporanea e parallela di Jamestown, ciò che risulta immediatamente evidente è la totale marginalità del rapporto con gli indiani Abnaki, a differenza di quanto accadeva a Jamestown, dove nel bene e nel male, i rapporti con i Powhatan furono continui. A Jamestown i coloni dipendevano dagli indiani, e non esitavano a prendersi con la forza ciò di cui avevano necessità, ma commerciavano anche con loro, e se la guerra fu quasi una costante della relazione tra bianchi e indiani, essa non fu l’unica, come dimostra il matrimonio tra Pocahontas e John Rolfe; evidentemente Raleigh non aveva la stoffa di un John Smith, la cui capacità di relazionarsi con gli indiani salvò più volte la colonia nei suoi due primi anni. D’altra parte di fronte a John Smith, a guidare gli indiani c’era il capo dei Powhatan Waunnosocook, che da subito cercò di comprendere se e come i bianchi potevano tornare utili, nel rafforzamento della propria leadership sulla confederazione tribale da lui fondata; Waunnosocook considerò sempre il rapporto con i bianchi una questione di rilievo, e si misurò con loro sia in pace che in guerra. Al contrario il capo degli Abnaki Betsabes, non sembra aver mostrato alcun interesse a incontrare gli Inglesi, benchè sicuramente egli fosse informato della loro presenza, e quasi certamente del tentativo fatto da Raleigh di incontrarlo; gli Abnaki non si mostrarono ostili agli Inglesi, semplicemente se ne tenevano a distanza, riducendo al minimo le relazioni, una scelta di cui quasi certamente il capo aveva qualche responsabilità. Proprio mentre gli Inglesi costruivano Ft.St. George, Betsabes era impegnato a riunire la sua tribù, i Penobscot, ai Passamaquody e agli Abnaki, per difendersi dalla minaccia dei Micmac e Malecite, che commerciavano con i Francesi e da loro ottenevano armi di metallo. Nel 1606 nel corso di un viaggio esplorativo Champlain aveva incontrato Betsabes, e da allora i Penobscot erano entrati in rapporti commerciali con i Francesi, seppur in competizione con i Micmac; l’anno successivo anche Gilbert cercò di mettersi in contatto con Betsabes, ma senza ottenere alcun risultato. Evidentemente gli Inglesi si erano fatti una cattiva fama, e il capo indiano preferiva trattare con i Francesi, piuttosto che con chi nei precedenti incontri, s’era sempre comportato in modo sprezzante e ostile. Dopo la fine della colonia di Sagahadoc, per tredici anni non si ebbero altri tentativi di colonizzare la regione, che però fu ancora visitata da spedizioni commerciali, che continuarono a comportarsi in modo pessimo con gli indiani, in particolare con la pratica di rapire gli indiani e portarli in Inghilterra. Nel 1611 il capitano Edward Harlow, navigando tra Cape Cod e l’isola di Martha’s Vineyard, si scontrò più volte con gli indiani che cercavano di liberare membri della tribù che erano stati rapiti; uno dei cinque indiani rapiti da Harlow era un capo di nome Epenaw, che finì anche lui al servizio di sir Ferdinad Gorges, riuscendo a convincerlo della presenza di oro sull’isola di Martha’s Vineyard. Sulla base di questa falsa informazione Gorges nel 1614 inviò in America con il capitano Hobson, con lo stesso Epenow come guida, e altri due indiani, uno dei quali si chiamava Assacomet, ed era stato rapito nel 1605 da Weymouth. Una volta raggiunte le coste di Martha’s Vineyard gli Inglesi incontrarono gli indiani Wampanoag, tra cui i parenti dello stesso Epenow, che informati della sua condizione di prigioniero, attac-
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carono la nave, liberarono gli ostaggi, ferendo diversi Inglesi tra cui lo stesso Hobson. Ovviamente la ricerca dell’inesistente oro di Martha’s Vineyard fu abbandonata. Quello stesso anno un uomo ben più esperto di relazioni con gli indiani visitò le coste del New England. Si trattava di John Smith, fondatore di Jamestown, che nel 1609 aveva lasciato la colonia e nel 1614 tornò in America con il progetto di dedicarsi al traffico di olio di balena e alla ricerca di risorse minerarie. Dopo aver esplorato le coste del Maine, Smith sbarcò sulle coste della baia di Massachusset , e cambiando i suoi originari progetti si dedicò al traffico di pellicce, mentre i suoi uomini si dedicavano alla pesca. Raccolte migliaia di pregiate pellicce commerciando con gli indiani, quello stesso anno Smith tornò in Inghilterra con un vascello, mentre l’altro al comando di Thomas Hunt, partì poco tempo dopo; l’intenzione di Smith era di tornare presto in America e prima della fine del 1614 era di nuovo in viaggio, ma fu costretto a tornare indietro a causa delle avverse condizioni del mare; un altro tentativo nel 1615, fu bloccato dagli Spagnoli che lo catturarono, e Smith non tornò mai più in America. Quando nel 1616 fu liberato dagli Spagnoli, egli elaborò la prima mappa della regione, a cui diede il nome di New England; la località in cui era approdato fu chiamata New Plymouth, e qualche anno dopo divenne il villaggio di Plymouth, La presenza europea sulla costa del New England all’inizio del ‘600 quando i Padri Pellegrini vi si stabilirono. Da questa sua esperienza e da quella precedente in Virginia, Smith si convinse della centralità del rapporto con gli indiani come fondamento per un proficuo commercio nella regione, portando ad esempio l’iniziativa dei Francesi, che in quegli anni erano ormai saldamente insediati in Acadia e nella valle del San Lorenzo, dove facevano ricchi affari commerciando con gli indiani. Le idee di Smith non erano probabilmente condivise dal suo socio Hunt, che prima di partire rapì oltre venti indiani della vicina comunità dei Patuxent, un gruppo della tribù Wampanoag, e della vicina tribù dei Nauset, che vendette come schiavi in Spagna; Smith accusò Hunt di aver voluto deliberatamente sabotare la sua impresa, provocando la rabbia degli indiani. Tra gli indiani rapiti, ve ne era uno di nome Squanto o Tisquanto, che riuscì a far ritorno alla sua terra e che negli anni successivi avrebbe svolto un ruolo determinante nella storia della prima colonizzazione del New England; senza di lui quasi certamente i Padri Pellegrini della Mayflower avrebbero scontato in modo drammatico, la rabbia provocata dagli Inglesi in quasi vent’anni di contatti con gli indiani del New England.
L’anno nero dei Beothuk
L’interesse inglese alla possibilità di costruire colonie nel nuovo continente, riportò anche l’attenzione su una terra che pur frequentata da quasi un secolo, era rimasta in una sorta di limbo, frequentato da Europei di varie nazione, ma provasse a rivendicarne il possesso e soprattutto dove i pur frequenti contatti fra bianchi e indiani, non aveva prodotto significativi conflitti. L’isola di Terranova a nord dei possedimenti francesi del Canada, era da un secolo una sorta di zona franca in cui si incontravano pescatori
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di varia nazionalità che durante i mesi della buona stagione, costruivano piccoli insediamenti temporanei, che poi abbandonavano durante l’inverno; in questo modo la presenza dei bianchi, pur avendo obbligato gli indiani Beothuk che abitavano l’isola ad abbandonare molte buone stazioni di pesca lungo le coste orientali e meridionali dell’isola, non aveva però arrecato una vera minaccia agli indiani, che quando arrivavano i bianchi si ritiravano nelle zone dell’interno. Gli indiani occasionalmente si avvicinavano alle baracche dei pescatori per rubare qualche oggetto di metallo, e questo dava luogo a occasionali tensioni, che però non si erano trasformate in veri e propri conflitti; i pescatori erano interessati a caricare di pesce le loro navi e a tornare in patria il prima possibile, i Beothuk aspettavano la partenza dei pescatori, per frugare nelle loro baracche alla ricerca di qualche pregiato oggetto di metallo dimenticato o abbandonato. Altri visitatori dell’isola erano gli indiani Micmac, che stagionalmente si spostavano sulle coste meridionali dell’isola per pescare, senza che ciò producesse conflitti con i Beothuk, tendenzialmente pacifici e non in grado di vedersela con i Micmac ben forniti di lame di metallo dai Francesi. Questa situazione di precario equilibrio, non era comunque destinata a durare dato che sia la Francia che l’Inghilterra vantavano pretese sull’isola; gli Inglesi fondavano tali pretese sull’impresa di Giovanni Caboto che aveva scoperto l’isola alla fine del ‘400 e sul tentativo di Humphrey Gilbert del 1583, che vi aveva fondato una effimera colonia, i Francesi vantavano i diritti derivanti dai viaggi di esplorazione di Giovanni da Verazzano e Jacques Cartier. All’inizio del ’600 comunque in Inghilterra l’interesse per le imprese d’oltremare era sempre maggiore e nel 1608 il mercante e navigatore John Guy, che aveva fondato la London e Bristol Company, con interessi nella pesca a Terranova, fece un viaggio sull’isola per verificare la possibilità di costituirvi una colonia. Nei due anni successivi Guy lavorò a trovare investitori per finanziare il progetto e nel 1610 re Giacomo I affidò alla London e Bristol Company una concessione per la colonizzazione di Terranova; Guy assunse l’incarico di governatore e nell’agosto del 1610 con una quarantina di coloni, riserve di grano, sementi e bestiame raggiunse l’isola e fondò il primo insediamento stabile a Cuper’s Cove nella Conception Bay, sulla costa nord-orientale. La regione dove gli Inglesi si erano insediati, era già stata abbandonata dai Beothuk, ma Guy intenzionato ad aprire il commercio di pellicce nella regione, nell’autunno del 1612 si mise in cerca degli indiani e il 6 di novembre di quello stesso anno riuscì a trovare un loro accampamento, lungo il Bull Arm della Trtinity Bay. Gli indiani questa volta non si sottrassero all’incontro, ma sventolando una bianca pelle di lupo si prepararono ad accogliere Guy e i suoi uomini; nell’incontro ci fu un pasto comune, scambi di regali e i Beothuk si mostrarono ansiosi di commerciare con Guy, appendendo pelli a dei pali, che gli Inglesi ritirarono, lasciando al loro posto, gli oggetti che consideravano un giusto prezzo. Guy decise che sarebbe tornato l’anno successivo, e accordi furono presi con gli indiani. I Beothuk dopo anni in cui avevano evitato ogni relazione con i bianchi si preparavano ad entrare nella loro rete commerciale, una scelta che non sappiamo come e da chi fu maturata, ma che certo la tribù attendeva con timore e speranza: purtroppo solo i primi avevano fondamento, mentre le speranze andarono deluse. Nella primavera successiva una nave inglese penetrò nella Trinity Bay e fu presto circondata da centinaia di indiani in canoa ansiosi di commerciare con i bianchi, ma il capitano della nave, ignaro degli accordi presi da Guy, fu preso dal panico e temendo un attacco li accolse a cannonate: fu un massacro. Da allora i Beothuk ripresero a evitare ogni contatto con i bianchi. Quel 1613 fu un anno disgraziato per i Beothuk; qualche mese dopo il massacro a Trinity Bay, lungo la Inglesi e Francesi a Terranova all’inizio del ‘600
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costa meridionale, frequentate da pescatori francesi, avvenne un incidente dalle conseguenze tragiche: un indiano Beothuk , sorpreso a rubare un oggetto di metallo, fu ucciso da un pescatore, e i Beothuk della zona, forse esacerbati dal massacro avvenuto qualche tempo prima, reagirono con un attacco furioso, alla fine del quale rimasero sul terreno i cadaveri di 37 pescatori; le vittime indiane non furono conteggiate, ma è probabile che siano state almeno altrettante numerose. I Francesi decisero allora di chiamare a loro difesa gli alleati Micmac, che iniziarono una distruttiva guerra contro i Beothuk, per cacciarli da tutta la costa meridionale. I Francesi furono anche accusati dagli Inglesi di pagare i Micmac per gli scalpi dei Beothuk, anche se non vi sono conferme di ciò e i Micmac hanno sempre smentito questa circostanza. Il risultato fu che i Beohuk si ritirarono nelle regioni dell’interno, abbandonando gran parte della costa e rinunciando alla pesca, una delle loro principali fonti di sussistenza; l’altra importante risorsa il cariboù che veniva cacciato stagionalmente, non era sufficiente a garantire cibo tutto l’anno e la fame divenne una condizione usuale nei villaggi . Nei decenni successivi le colonie inglesi a Terranova ebbero vita travagliata, tra conflitti con i Francesi e gli Olandesi, periodiche incursioni dei pirati, ma degli indiani non si ebbero più notizie; anche lungo la costa meridionale, dove i Francesi avevano costruito il villaggio e presidio militare di Placentia, nella baia omonima, i Beothuk scomparirono del tutto, mentre i bianchi si combattevano per il controllo delle loro terre. Solo nella seconda metà del ‘700, quando i coloni ormai erano presenti lungo tutta la costa, si ebbero ancora occasionali contatti con i Beothuk, ma ormai la tribù era ridotta al lumicino, quasi totalmente distrutta dalla fame e dalla guerra portata dai Micmac. Dopo questi episodi il dramma dei Beothuk si consumò così nel silenzio e nel rifiuto di ogni contatto con il mondo dei bianchi.
La nascita del New England e la “divina provvidenza”
Per quasi vent’anni ogni tentativo inglese di prendere possesso della costa settentrionale del Nuovo Mondo, aveva dato risultati limitati, se non deludenti: singole iniziative commerciali erano state fruttuose, portando in Inghilterra carichi di pelli, piante essenziali e medicamentose, pesce e legname pregiato, ma nessuna stabile base commerciale era stata fondata, ne tanto meno vere e proprie colonie. Ma soprattutto gli Inglesi erano stati incapaci di stabilire proficue relazioni con i nativi, suscitando invece la loro diffidenza, se non la loro aperta ostilità, con la pratica diffusa di rapire gli indiani, abitualmente attirandoli a bordo con la prospettiva di commercio, per poi venderli come schiavi. E questo mentre poco più a nord, i Francesi costruivano una vasta rete commerciale, fondata proprio sulle buone relazioni con i nativi. Poi quasi inspiegabilmente, un pugno di esuli giunti nel New England quasi per caso, riuscì dove gli altri avevano fallito, e lo fece in modo quasi del tutto incruento; a differenza di quanto accadde in Virginia, dove i coloni di Jamestown furono impegnati in continue guerre con gli indiani Powhatan per oltre trent’anni, nel New England i coloni vissero in pace con gli indiani per oltre cinquat’anni, a parte il cruento, ma comunque limitato episodio della Guerra dei Pequot. Senza alcuna esperienza nel commercio con gli indiani, senza conoscenze di quella terra, in cui approdavano proprio all’inizio del freddo inverno, il momento peggiore per organizzare una nuova colonia, un pugno di uomini riuscì a stabilirsi fra gli indiani che avevano maggiori ragioni di ostilità verso gli Inglesi, ottenendo la loro fiducia e il loro aiuto, senza il quale certamente sarebbero tutti morti prima della fine dell’inverno. Un tale miracolo fu per questi uomini una conferma della volontà della “divina provvidenza”, a cui gli esuli si erano affidati nella loro impresa, rafforzandoli nella loro convinzione e nel fanatismo di cui avrebbero dato prova nei decenni a venire; ma al di la della “divina provvidenza”, diversi furono i fattori che agirono in concomitanza e che spiegano il successo di questa impresa. Iniziando proprio dalla natura dei coloni, che per la prima volta non erano giunti nel Nuovo Mondo alla ricerca di facili ricchezze da conquistare, o solo spinti dalle opportunità del commercio. Gli uomini e le donne che nel novembre del 1620 raggiunsero le coste di Cape Cod, non erano un gruppo raccoltosi per l’opportunità di fare fortuna in America, ma membri di una comunità coesa che da quasi trent’anni difendeva le sue convinzioni religiose puritane, rivendicando autonomia dalla Chiesa d’Inghilterra ufficiale, e subendo per questo persecuzioni; per questa ragione nel 1607, la comunità si era trasferita a Leiden, in Olanda, dove vi era una maggiore tolleranza religiosa, e li essa era vissuta per dieci anni, mantenendosi coesa ed economicamente indipendente. Ma la maggiore tolleranza in Olanda era frutto di un approccio alla vita che i puritani separatisti guardavano con sospetto, considerando i rischi del libertinismo, di una eccessiva spregiudicatezza intellet-
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tuale e della prevalenza degli interessi materiali; la lingua diversa frenava le possibilità di relazione con gli Olandesi, e limitava le possibilità per molti membri di trovare un’occupazione; forte era il timore che alla lunga la comunità perdesse la sua identità inglese, e che i bambini crescessero come i coetanei olandesi; in aggiunta a tutto ciò c’erano le pressioni del La costa settentrionale americana, nelle mappe di Samuel de Champlaon del 1607 (sopra) e governo inglese sulJohn Smith del 1616 (sotto) l’Olanda, per limitare e reprimere la comunità e soprattutto la sua attività di divulgazione della propria fede. Fu così che nel 1617, tra i maggiorenti della comunità si rafforzò la convinzione di poter meglio garantire la propria gente, trasferendola in una nuova terra, in cui poter vivere con la propria tradizione inglese, senza essere perseguitati per le proprie convinzioni religiose anticonformiste. Vennero così iniziate trattative con i mercanti e investitori inglesi che da anni erano coinvolti nei progetti coloniali in America, in particolare la Virginia London Company, che aveva fondato Jamestown, e che dopo lunghe trattative, concesse alla comunità di Leiden di trasferirsi in America, con il benestare reale, ma l’esplicita negazione del riconoscimento della colonia come comunità religiosa. Malgrado questo primo risultato, le diffidenze verso i separatisti continuavano e ritardavano l’organizzazione del viaggio; a questo punto un emissario olandese, che operava però come spia per la corte d’Inghilterra, tentò di indirizzare i coloni verso le terre della foce dell’Hudson, da anni visitate da mercanti olandesi; è possibile che la corona d’Inghilterra mirasse ad usare i dissidenti esuli, per poter contrastare l’iniziativa olandese. Per i Separatisti si trattava di una ipotesi migliore che non quella di fondare la propria colonia troppo vicina a Jamestown, dove i dissidi religiosi con i coloni già presenti, avrebbero potuto prodursi come in Inghilterra, e al tempo stesso avrebbe permesso di non iniziare la propria impresa in una terra esclusa dai collegamenti con l’Europa. Comunque mentre gli uomini di Leiden, cercavano di trovare una via per partire, sia la corte, che i principali uomini d’affari erano al corrente dei loro piani, e si preparavano ad usarli per i propri fini. Ad interrompere i rapporti con gli Olandesi intervenne il mercante Thomas Weston, da anni in contatto con i separatisti di Leiden,
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che li convinse, che essi si sarebbero potuti insediare alla foce dell’Hudson, con l’appoggio della London Virginia Company, che pretendeva per se quella regione e voleva anticipare la fondazione di una colonia olandese. Alla fine non fu la London Virginia Company ad organizzare l’impresa, ma un'altra du minore importanza e collegata allo stessop Weston,, che però non aveva ancora ottenuto la concessione reale. Si trattò quindi di una vicenda complessa e confusa, in cui molti attori giocarono le proprie carte, ognuno per i propri interessi e in cui gli stessi Separatisti divennero lo strumento della rivalità tra Olanda e Inghilterra; in aggiunta gli investitori stabilirono un contratto con i coloni, che era piuttosto pesante, dato che gran parte del lavoro che essi avrebbero svolto per i successivi sette anni, sarebbe andato a pagare il loro investimento, così come metà delle terre colonizzate alla fine del periodo; tali clausole estremamente pesanti, non furono rese note ai coloni che si preparavano alla partenza, una piccola avanguardia di un centinaio di persone, scelte tra i più giovani, forti e coraggiosi della comunità, che avrebbero dovuto aprire la strada. Malgrado tutto ciò i capi della comunità di Leiden erano convinti che partire fosse necessario, l’unica possibilità per dare un futuro alla propria gente e alla loro fede. Gli uomini e le donne che si preparavano per il viaggio in America, non avevano una terra a cui tornare e portavano sulle loro spalle la responsabilità di aprire la strada ai loro parenti, ai loro amici, ai loro compagni di fede: non si trattava di avventurieri in cerca di fortuna, ma di persone dalla convinzioni salde fino al fanatismo, decisi a costruire un mondo a misura della propria fede. E questo non era poco. Comunque la forza soggettiva della fede forse non sarebbe bastata, senza altri fattori oggettivi e casuali che intervennero, primo fra tutti il fatto che i coloni non giunsero alla metà prevista, la foce dell’Hudson, ma più a nord, nella zona di Cape Cod, in una terra su cui nessuna compagnia poteva vantare pretese, e soiprattutto su una terra che non era quella prevista nel contratto stabilito. A causa di questo incidente i coloni si sentirono liberi di rescindere il gravoso contratto con la compagnia che aveva finanziato l’impresa, e che oltretutto non aveva ancora ottenuto una concessione reale: di fatto erano liberi da ogni obbligo. Questa scelta però avrebbe potuto portare ad una veloce e cruenta fine la nuova colonia, di fatto isolata dalla madrepatria, dato che gli indiani che essi si preparavano ad incontrare, non erano le tribù della foce dell’Hudson, ormai abituata a commerciare con gli Olandesi, ma quegli stessi indiani che da anni subivano i rapimenti e le violenze degli Inglesi che frequentavano le coste. Ma un altro fattore giunse a ribaltare la situazione, e a trasformare una condizione pessima per i coloni, nella migliore delle condizioni possibili. Tutto cominciò a nord, nelle terre frequentate dai Francesi, dove un morbo sconosciuto ma devastante, a partire dal 1615 colpì tanto i Micmac quanto gli Abnaki, inducendoli a porre fine alla guerra che li opponeva da anni; dal 1616 il morbo si estese verso sud, attraverso la rete commerciale francese, che metteva in circolo oggetti, come coperte o vestiario che erano il probabile elemento di contagio, o più semplicemente attraverso le relazioni con individui infettati. Nell’inverno del 1616-17, il mercante Richard Vines, che operava per conto di sir Ferdinand Gorges, svernò tra gli Abnaki sulla costa meridionale del Maine, e testimoniò che i suoi uomini, pur avendo stretti contatti con gli indiani, non soffrirono per quella malattia che stava letteralmente svuotando la regione; ciò indica che evidentemente la malattia non era grave in se, ma solo in relazione al diverso patrimonio immunitario degli indiani. Dal Maine il contagio si diffuse verso sud, colpendo una regione densamente popolata, dove la vita sedentaria nei villaggi, rendeva il contagio ancora più distruttivo; non ci sono testimonianze dirette, a parte quella di Richard Vines, che però riguarda la costa del Maine, ma le descrizioni che Champlain fa della costa del New In una stampa del ‘600 un villaggio indiano colpita da una epidemia
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England nel 1605, fittamente abitata e in gran parte coltivata, dove i singoli villaggi si susseguivano l’uno breve distanza dall’altra, è completamente diversa dalle successive testimonianze che descrivono la regione, in vaste aree totalmente spopolata. Negli anni ’20 del ‘600 più volte i coloni trovarono villaggi deserti e abbandonati, dove la morte aveva lasciato il suo segno ancora visibile, perché “non c’erano più abbastanza vivi per seppellire i morti”. Gli indiani Pennacook furono duramente colpiti, così come i Wampanoag e i Nauset di Cape Cod, ma la tribù che pagò il prezzo più pesante fu certo quella dei Massachusset, quasi totalmente distrutta dalla malattia e sulle cui terre sopravvivevano solo pochi superstiti. Il contagio aveva arrestato la sua diffusione al limite della terra dei Narraganset, una tribù rivale dei Wampanoag, che esclusa dalla rete di traffici che irradiava dalle colonie francesi, riusciva pero ad ottenere merci europee, attraverso mercanti olandesi che operavano alla foce dell’Hudson; forse il contagio, ancor più che tra le persone passava per le merci, se proprio la tribù che era esclusa dal traffico di tali merci ne rimase indenne. La terra in cui approdarono i “Padri Pellegrini”, questo il nome con cui sono passati alla storia i fondatori della colonia di Plymouth, tra il 1616 e il 1619 era stata in larga misura svuotata dai suoi abitanti; non c’è da stupirsi che questi fanatici religiosi abbiano considerato l’immane tragedia di un popolo, come un segno della benevolenza divina, inteso a favorire i loro progetti di colonizzazione. Anni dopo narrando le cronache della colonia, John Smith e un interessante personaggio di nome Thomas Morton, giunsero a spiegare l’epidemia, come la conseguenza di una sfida al potere del dio dei bianchi, da parte degli indiani che vessavano un marinaio naufrago, che li implorava di avere pietà proprio in nome di Dio; di fronte al beffarsi della potenza divina, il marinaio avrebbe richiesto la giusta punizione, che puntualmente sarebbe quindi giunta. Vicende come queste producono una costruzione ideologica, su cui il fanatismo cresce forte e inattaccabile. Un gruppo determinato di uomini decisi ad insediarsi su una terra e una terra in larga misura priva d’abitanti, sono già due condizioni che rendono possibile un progetto di colonizzazione, ma per avere la sicurezza del successo di tale progetto, è importante che i colonizzatori, abbiano una qualche conoscenza della terra da colonizzare, almeno quanto necessario a sopravvivere il primo duro inverno: e non era questo il caso dei Padri Pellegrini, tra cui tra l’altro gli agricoltori erano pochi, mentre maggiore era il numero di artigiani. Ma ancora una volta la “divina provvidenza” volle favorire i suoi prediletti attraverso un indiano la cui incredibile vicenda, sembra abbia avuto come unico fine la nascita del New England. Squanto o Tisquanto aveva tra i 25 e i 30 anni nel 1614, quando insieme ad una ventina di membri della sua tribù i Patuxet, un gruppo dei Wampanoag, fu rapito da Thomas Hunt, il socio di John Smith, sulla costa della baia di Cape Cod; Hunt arricchì il suo bottino catturando altri sette indiani Nauset, poi si diresse a al porto spagnolo di Malaga, con l’intenzione di vendere gli indiani come schiavi. I suoi progetti furono in parte mandati in fumo dall’intervento di preti cattolici, che gli sequestrarono parte degli indiani e ne assunsero la cura, per insegnare loro la fede cristiana e salvare la loro anima; pare che Squanto non abbia fatto parte di questi “favoriti dalla fortuna” e sia rimasto invece in schiavitù almeno per qualche anno in Spagna; non è chiaro come sia accaduto ma alla fine del 1617, Squanto viveva nella casa londinese del mercante John Slany, uno dei principali investitori nella colonia di Cuper’s Cove a Terranova; dati gli interessi americani di Slany, è possibile che egli abbia conosciuto Squanto in qualche viaggio commerciale e l’abbia riscattato dagli Spagnoli, per usarlo come interprete in future operazioni commerciali in America. Ciò che è certo è che all’inizio del 1618, quattro anni dopo il suo rapimento, Squanto era a Terranova, dove incontrò Thomas Dermer, un avventuriero che era stato nel New England insieme a John Smith, e lo convinse delle possibilità di arricchimento, con un viaggio nella regione. Per una spedizione nella regione Dermer aveva comunque necessità dell’autorizzazione di sir Ferdinand Gorge, che ottenne recandosi a Londra e alla fine della primavera del 1619 era pronto a navigare insieme a Squanto verso le coste del Maine. A quell’epoca l’epidemia aveva in larga misura svuotato la regione, e senza incidenti essi raggiunsero la baia di Cape Cod, e il villaggio dei Patuxet da cui Squanto era stato rapito: il luogo era deserto, non c’era più nessuno, tutti erano morti. Ormeggiate le navi, Dermer e Squanto si avviarono verso l’interno fino al villaggio Wampanoag di Nemasket, dove furono accolti dagli indiani e dove Dermer si fermò, inviando Squanto fino al villaggio di Pokanoket, dove viveva il capo Massassoit. Due giorni dopo, più o meno all’inizio di giugno, Massassoit e un altro capo, forse suo fratello, giunsero a Nemasket, con una scorta di 50 guerrieri e si incontrarono con Dermer; l’incontro, favorito dall’intermediazione di Squanto fu cordiale, ci furono commerci e Dermer ottenne la liberazione di due naufraghi, un Francese e un Inglese, tenuti prigionieri dagli indiani. Massassoit, la cui tribù era stata gravemente
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indebolita dall’epidemia, temeva i vicini Narraganset e cercava di ottenere le merci e le lame di metallo europee, come i Narraganset le ottenevano dagli Olandesi. Dopo questi primi contatti, Dermer riprese la navigazione verso nord, lasciando Squanto presso un gruppo di Abnaki suoi amici, al villaggio di Pemaquid nella zona del fiume Saco nel Maine; Squanto era riuscito a far ritorno nella sua terra, ma della sua comunità e della sua vita precedente il rapimento rimaneva ben poco. Dermer continuò a navigare nella regione superando diverse traversie a causa del maltempo e rischiando di essere preso prigioniero dai Nauset, raggiunse Marta’s Vineyard, dove si incontrò con il capo Epenow, anche lui riuscito a tornare nella sua terra dopo essere stato rapito, e infine continuò il suo viaggio verso sud fino in Virginia. L’anno successivo Dermer fece un altro viaggio nella regione, prendendo con se Squanto e un suo amico Abnaki di nome Samoset, e nel giugno del 1620 con loro si diresse ancora alla baia di Cape Cod e di li al villaggio di Nemasket, dove trovò una situazione molto tesa tra i Wampanoag. Qualche tempo prima una nave di nazionalità sconosciuta aveva compiuto l’ennesimo crimine attirando gli indiani a bordo per commerciare e massacrandoli poi tutti. Secondo il racconto di Dermer, fu solo grazie all’intermediazione di Squanto che non fu ucciso dai Wampanoag. Viste le difficoltà Dermer riprese il mare sperando di commerciare con il capo Epenow a Matha’s Vineyard ma le cose non andarono meglio; parlando della sua fuga dagli Inglesi qualche anno prima, Epenow seppe che Dermer era al servizio di quel Ferdinand Gorges, presso cui era stato prigioniero in Inghilterra, e temendo un qualche tradimento, tentò di catturare Dermer; questi fu ferito più volte ma riuscì a fuggire e a riprendere il mare e rakkiungere la Virginia, dove morirà poco dopo il suo arrivo, non è chiaro se per le ferite o di malattia. Di Squanto e di Samoset che erano con lui non si sa nulla di preciso, ma pochi mesi dopo tutti e due erano tra i Wampanoag di Massassoit che avrebbero accolto i Padri Pellegrini. Dopo una lunga serie di vicende anche l’ultimo tassello nel mosaico della “divina provvidenza” era posizionato; ora i Padri Pellegrini avevano tra gli indiani un interlocutore amico, che parlava la loro lingua e conosceva quella terra, e avrebbe potuto fare da intermediario con gli altri indiani e consigliarli su come sopravvivere in quei luoghi a loro ignoti. Avere dubbi sulla “divina provvidenza” in una simile condizione era ovviamente piuttosto difficile.
I Padri Pellegrini arrivano in America L’avventura americana dei Puritani Separatisti, iniziò nel luglio 1620 con la partenza da un borgo nelle vicinanze di Rotterdam, in Olanda a bordo di una piccola nave, la Speedwell, per raggiungere le coste dell’Inghilterra, dove un’altra nave più grande, la Mayflower, carica di provviste, si sarebbe aggiunta alla spedizione, insieme ad un gruppo di altri coloni, inviati dagli impresari che avevano finanziato la spedizione. Le spedizioni che attraversavano l’Atlantico per raggiungere l’America, partivano abitualmente in primavera, per completare la traversata all’inizio dell’estate e approfittare dei mesi più caldi per prepararsi ad affrontare l’inverno, ma i Pellegrini non avevano potuto fare di questi calcoli: l’organizzazione del viaggio era stata ritardata da tanti incidenti, poi il rischio di arresto per William Brewster uno dei capi della congregazione, aveva reso impossibile attendere oltre; un altro membro influente della comunità Thomas Brewer fu arrestato e condannato a 14 anni di carcere, per la diffusione di idee condannate dalla Chiesa Anglicana, al cui vertice era il re d’Inghilterra. I coloni non avevano nemmeno potuto attendere che la nuova compagnia che finanziava il viaggio, dopo che erano stati rotti i rapporti con la London Virginia Company, completasse le procedure per la concessione dei diritti di colonizzazione, e la loro iniziativa era ancora priva La partenza della Mayflower
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di copertura legale; essi poi miravano a raggiungere la foce del fiume Hudson, una regione su cui gli Olandesi vantavano pretese e in cui commerciavano da anni. I coloni stessi erano dissidenti ed esuli, guardati con sospetto in patria, e di cui l’Olanda si liberava volentieri. L’impresa quindi prendeva le mosse in un quadro di incertezza e precarietà. A confermare le peggiori preoccupazioni, giunse la scoperta, una volta giunti La Mayflower ancorata nella baia di Cape Cod in Inghilterra, che la Speedwell imbarcava acqua e i tentativi di ripararla non andarono a buon fine; qualcuno pensò anche ad un sabotaggio, e alla fine 102 dei 120 coloni furono imbarcati con le provviste sulla sola Mayflower. Dei 102 coloni un buon numero erano bambini e minorenni, c’erano una quindicina di nuclei famigliari completi, una ventina di persone di servizio, qualcuna con figli al seguito. I Puritani Separatisti di Leinden erano poco meno di due terzi del totale, gli altri erano coloni organizzati da Thomas Weston e dalla compagnia di investitori; tra i non appartenenti alla congregazione religiosa, c’era un soldato inglese, assunto in Olanda per occuparsi dell’organizzazione della difesa della colonia: si chiamava Miles Standish, e negli anni successivi avrebbe svolto un ruolo determinante. Non è chiaro quanti fossero gli uomini dell’equipaggio, forse una trentina, forse di più, alcuni impegnati a rimanere per un anno e aiutare i coloni. I coloni partirono da Plymouth il 6 settembre e la traversata dell’Atlantico, incontrò quasi subiti venti ostili e mare grosso, al punto che a metà del viaggio la nave fu danneggiata da una bufera e fu presa in considerazione l’idea di tornare indietro; due persone morirono durante il viaggio, un bambino nacque. Dopo 66 giorni di navigazione il 10 novembre 1620 la Mayflower raggiunse le coste americane a Cape Cod, con un carico umano spossato dal viaggio, malato di scorbuto, timoroso di ciò che avrebbe trovato nella nuova terra; le prime nevicate e il gelo li accoglievano. William Brewster guidò i coloni in una preghiera di ringraziamento, poi dopo un fallito tentativo di continuare la navigazione verso la foce dell’Hudson, loro meta originaria, i Pellegrini presero atto che quella era il luogo in cui avrebbero dovuto passare l’inverno; allora, con molto senso pratico, qualcuno fece notare che visto che la concessione degli investitori non era ancora stata regolarizzata, e che erano approdati in una località diversa, essi non avevano più alcun obbligo economico da rispettare; trovato l’accordo su questo punto, 41 maschi adulti della comunità firmarono un contratto, più tardi noto come Mayflower Compact, con il quale si impegnavano al mutuo aiuto e al rispetto delle leggi della colonia; infine fu eletto il primo governatore, John Carver. E’ possibile considerare questo breve contratto prodotto in condizioni di estrema precarietà, come l’antesignano delle moderne costituzioni democratiche e la base della democrazia americana; in esso i coloni, pur riaffermandosi sudditi leali di re Giacomo I, si costituiscono in “corpo politico”, autonomo e in grado di darsi leggi e regole proprie e scegliere i propri governanti: una condizione quindi diversa da quella dei coloni di Jamestown, che pur eleggendo un proprio governatore, rimanevano sotto la giurisdizione della La firma del Mayflower Compact compagnia privata, titolare della concessione
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coloniale. Tutto ciò era accaduto a bordo della nave, dato che per due settimane, salvo brevi visite alla vicina spiaggia, nessuno osò scendere a terra; anche l’esplorazione della costa fu rimandata, perché la scialuppa di bordo era rimasta danneggiata durante il viaggio. Tra la fine di novembre e i primi di dicembre, Standish e pochi uomini effettuarono due brevi esplorazioni a terra, trovando tracce degli indiani, sepolture, campi abbandonati, ma senza incontrare nessuno; con leggerezza gli esploratori violarono alcune tombe, trafugandone le offerte di mais ai defunti, e la cosa ovviamente non fu presa bene dagli indiani. In una terza esplorazione, alla metà di dicembre, Standish e una quindicina di uomini ebbero il primo contatto con gli indiani, i Nauset, i più ostili ai bianchi per aver più volte subito rapimenti e angherie dalle navi inglesi di passaggio. Dopo essere fuggiti alla vista dei bianchi, il giorno successivo gli indiani attaccarono la pattuglia di esploratori, venendo però messi in fuga dal fuoco degli archibugi: questo incidente incruento per i bianchi e forse anche per gli indiani, viene ricordato come “primo contatto”. Gli indiani scomparirono e la pattuglia continuò a esplorare la baia di Cape Cod, per cercare un punto adatto per insediare la colonia; alla fine il luogo scelto fu quello di un villaggio indiano abbandonato, Patuxent, il villaggio di Squanto, ormai deserto dopo la morte per malattia di tutti i suoi abitanti; la località era già stata visitata da John Smith nel 1614, che la denominò New Plymouth. Alla fine di dicembre tutti i coloni sbarcavano e immediatamente si impegnavano a costruire una casa comune e abitazioni per i diversi gruppi famigliari, ai quali furono aggregati i singoli; il primo uso della casa comune, fu quello di ospedale, per il gran numero di malati della spedizione; la prima “opera pubblica” fu il cimitero, dato che alla fine dell’inverno dei circa 140 inglesi, tra coloni e marinai, quasi la metà erano morti. Durante questi mesi, gli indiani non si erano mai mostrati. Gli indiani più vicini alla colonia di Plymouth erano i Wampanoag del capo Massassoit, che solo pochi mesi prima aveva mostrato tutta la sua ostilità agli Inglesi, durante l’incontro con il capitano Thomas Dermer, la cui vita era stata risparmiata, solo per la presenza di due indiani che l’avevano accompagnato. Samoset era un Abnaki che aveva avuto molte occasioni di contatto con marinai e pescatori inglesi e un po’ ne parlava la lingua, Squanto era un Wampanoag rapito, che aveva passato anni in Europa, era stato a contatto con gli Inglesi, ne parlava correttamente la lingua ed era stato battezzato. Dopo che Dermer dovette fuggire ferito dagli indiani del capo Epenow all’isola di Martha’s Vineyard, Samoset e Squanto rimasero con i Wampanoag, ed ebbero certo modo di narrare a Massassoit quanto sapevano degli Inglesi, e Squanto aveva conoscenze tali dell’Europa da suscitare la curiosità e l’attenzione del capo. Se durante l’estate del 1620 Massassoit ebbe occasione di parlare con Squanto degli Inglesi, quasi certamente il capo si rese conto che essi rappresentavano un problema di non facile soluzione, ma forse potevano addirittura divenire un’opportunità. Quando poi in dicembre arrivarono i coloni del Mayflower, con donne e bambini al seguito, mai visti prima dagli indiani, che costruivano case, mostrando chiaramente che non si trattava di una visita per commerciare o addirittura di una razzia, ma dell’intenzione di fermarsi su quella terra e viverci, possiamo immaginare che l’inverno passò fra discussioni nei villaggi sul da farsi: e certo il parere di Squanto dovette essere ascoltato tanto da Massassoit, quanto da altri capi e notabili tribali. Durante il freddo inverno gli indiani vivevano nei loro villaggi dell’interno e non frequentavano la costa, quindi se Massassoit avesse ordinato di non assumere alcuna iniziativa con i bianchi, fin quando una decisione fosse stata presa, tale ordine poteva essere facilmente rispettato, ma alla fine di febbraio, dopo mesi di curiosità e discussioni intorno al fuoco, piccoli gruppi di indiani iniziarono ad avvicinarsi alla colonia, per spiare, o forse solo curiosare. I bianchi impegnati a fare legna o in altre attività fuori dal villaggio, ebbero così occasione di vedere qualche indiano, in una occasione un gruppo di loro, mo- La visita di Samoset a Plymouth in una stampa popolare
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strandosi a distanza fece segno ai bianchi di avvicinarsi; la presenza indiana nelle vicinanze mise in allarme gli Inglesi, che trasportarono dalla nave cannoni, elessero Miles Standish capo militare e iniziarono a dedicarsi a qualche esercitazione per la difesa. Poi la mattina di venerì 16 marzo del 1621, mentre gli Inglesi si preparavano alle esercitazioni, Samoset, da solo e senza alcun timore si presentò al villaggio, dando il benvenuto ai coloni in Inglese. Dopo l’iniziale stupore i Pellegrini si resero conto della loro grande fortuna e accolsero l’indiano, che con il suo povero inglese, li intrattenne raccontando chi era lui e da dove veniva, quale fosse il nome e la sorte del popolo che aveva abitato quella stessa località, oltre ad un gran numero di informazioni sulla regione e la gente che l’abitava; Samoset mangiò con soddisfazione il cibo che gli veniva offerto, bevve acquavite e la sera si fermò a dormire presso una famiglia, per poi partire il giorno dopo, con la promessa di tornare insieme al capo Massassoit. Questo fu il primo vero incontro tra i Padri Pellegrini e gli indiani: da un lato decine di uomini e donne angosciati dalla paura, provati dalla fame e dalle malattie, dopo aver visto morire quasi metà della comunità, che si preparano a incontrare gli indiani montando cannoni e facendo esercitazioni in piazza sotto gli occhi ansiosi di donne e bambini; dall’altra un giovane indiano, che da diversi mesi viaggiava nella regione, incontrando marinai e visitando villaggi indiani, e che davanti alla curiosità un po’ ansiosa della sua gente, con baldanza va a dimostrare a tutti che non c’è da aver paura, per quella che alla fine, è solo una gita, corredata da chiacchiere e da buon cibo, tra gente che bastava saper trattare. Samoset fece presto ritorno a Plymouth, già il giorno successivo alla fine della sua prima visita, insieme ad altri indiani che portavano pelli da scambiare, ma i Pellegrini declinarono l’offerta di commercio, essendo quel giorno una domenica, giorno destinato alla preghiera, in cui ogni altra attività era vietata; comunque i coloni incoraggiarono gli indiani a tornare. Mentre Samoset era al villaggio, altri indiani dalle colline intorno scrutavano con curiosità i coloni, ma quando questi fecero per avvicinarsi, preferirono scomparire. La successiva visita di Samoset avvenne il 22 marzo, questa volta insieme a Squanto, portando l’annuncio dell’imminente arrivo del capo Massassoit, insieme a suo fratello e ad un seguito di 60 guerrieri. La schiera degli indiani e quella dei coloni si fronteggiarono timorose e dubbiose fuori dal villaggio, poi grazie all’intermediazione di Squanto, i coloni affermarono i loro propositi di pace, e Massassoit e i suoi indiani, scortati dagli uomini di Standish armati di moschetto, entrarono nel villaggio; nella casa comune, per l’occasione preparata con cuscini e tappeti, Massassoit incontrò il governatore Carver, brindarono con acquavita, mangiarono insieme, per poi firmare un trattato di pace, mutua assistenza e difesa, che tra le altre cose prevedeva, la reciproca consegna dei criminali colpevoli di reati contro una delle parti. Iniziava in questo modo una delle vicende coloniali più particolari, se non altro perché, caso forse unico nella storia degli indiani, i termini del trattato furono sostanzialmente rispettati, almeno fino alla morte di Massassoit nel 1662. Le poche decine di coloni sopravvissuti all’inverno potevano ora dedicarsi ad organizzare la loro nuova vita, senza il timore di attacchi indiani; Massassoit, la cui tribù indebolita dalle malattie era minacciata dai vicini Narraganset, aveva trovato un forte alleato. Quando si rese conto che la forza del suo alleato era tale, da non poter accettare alcun controllo, egli era ormai anziano, e rassegnato a veder arrivare navi cariche di uomini bianchi, che si insediavano su quella che un tempo era stata la terra del suo popolo. Massassoit offre iul calumet sacro al governatore John Calvert, durante la lettura del trattato di pace e mutua assistenza
Squanto, lo “strumento di Dio”
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Dei due indiani protagonisti del primo incontro e dell’accoglienza dei Padri Pellegrini, Samoset uscì quasi subito dalle cronache, probabilmente perché tornò tra la sua gente, gli Abnaki, nel Maine; qui fu incontrato nel 1624 dal capitano di un peschereccio con cui si intrattenne con la sua solita buona disposizione. Squanto al contrario continuò a svolgere un ruolo centrale nei rapporti tra bianchi e indiani, non solo come interprete, ma dando utili consigli su come sopravvivere e sostenendo l’azione diplomatica dei coloni nei confronti delle tribù vicine; egli fu anche al centro di polemiche e dispute gravi, dato il ruolo di prestigio che si trovò ad assumere. La vicenda più famosa riguardante l’aiuto di Squanto ai coloni, è quella della semina del mais, un cereale ignoto ai contadini europei e a maggior ragione ai coloni di Plymouth, in gran parte artigiani. Giunti con semenze europee e con le scarse conoscenze agricole di cui disponevano, derivanti dalle tecniche europee, i coloni avrebbero fatto certo un ben magro Squanto insegna ai coloni a concimare con il pesce i campi di mais raccolto senza l’aiuto di Squanto, il quale insegnò loro a seminare il mais e concimarlo con il pesce; quando i coloni ebbero il loro primo raccolto, l’orzo e altre coltivazioni europee diedero frutti magri, il mais invece ebbe ottimi risultati, divenendo quindi da allora una ricchezza anche per i coltivatori bianchi. I coloni di Jamestown per anni furono costretti a comprare o a estorcere il mais dagli indiani, preferendo coltivare tabacco, mentre nel New England in breve tempo l’agricoltura fu in grado di garantire la sussistenza. Quanto al commercio, i Padri Pellegrini non solo non avevano alcuna esperienza del commercio indiano, ma neanche avevano mai visto una pelle di castoro, o avevano la minima nozione del valore delle pelli; Squanto non aveva solo le sue conoscenze di indiano, ma a Terranova e nei suoi viaggi con il capitano Dermer, aveva avuto esperienza del commercio di pelli praticato dagli Europei. Come interprete e “mediatore culturale”, Squanto partecipò a tre missioni diplomatiche a partire dall’estate del 1621, nei confronti delle tribù limitrofe. In giugno Squanto e una delegazione di coloni si recarono a Pokanoket in visita a Massassoit, il capo dei Wampanoag, per riconfermare i termini di alleanza del trattato fatto in marzo. Gli Inglesi volevano anche affrontare e risolvere due questioni: in primo luogo il problema delle frequenti visite di indiani curiosi al villaggio, che oltre a creare qualche imbarazzo alla comunità, gravavano anche sulle sue scorte di cibo, poi la possibilità di una intercessione nei confronti dei Nauset, con cui c’era stato uno spiacevole primo contatto, causato anche dalla leggerezza di aver violato alcune loro tombe, trafugandone il mais lasciato in offerta ai defunti; rispetto a ciò i coloni esprimevano il loro desiderio di risarcire il danno. Con grande diplomazia i coloni fecero diversi regali al capo, tra cui una catena di rame, che sarebbe stato segno che gli indiani venuti in visita portando l’oggetto, erano da lui inviati e sarebbero stati accolti cordialmente; ovviamente il sottinteso era che chi non aveva la sua autorizzazione, e veniva in visita a Plymouth, poteva non essere considerato gradito ospite. La visita fu un successo e i termini del trattato di marzo furono confermati, con reciproca soddisfazione. La questione dei Nauset fu invece affrontata nella seconda missione diplomatica, pochi giorni dopo il ritorno dalla prima, quando un bambino del villaggio si perse nei boschi e Massassoit informò i coloni che il bambino, dopo essere stato raccolto dagli indiani del villaggio di Manumet, era finito fra i Nauset. Questa volta la vicenda era molto delicata, dato che l’unico rapporto che i Pellegrini avevano avuto con i Nauset, era stato lo scontro con loro appena approdati a Cape Cod. Con la guida di Squanto una de-
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legazione di coloni raggiuse la penisola di Cape Cod, abitata dai Nauset, dove incontrarono un giovane capo locale di nome Inyanough, che li accompagnò dal capo Aspinet, che guidava il gruppo che aveva il bambino e con cui i Pellegrini si erano scontrati appena giunti in America. Durante la visita il capo della delegazione inglese ascoltò il racconto straziato di una donna molto anziana, i cui figli erano stati rapiti dagli Inglesi insieme a Squanto, ma non erano più tornati, poi l’incontro con Aspinet fu amichevole, i coloni risarcirono i parenti dei defunti le cui tombe erano state profanate e regalarono un coltello a Aspinet e all’indiano che aveva portato il bambino. Anche questa missione fu un successo e i Nauset nell’inverno del 1622 rifornirono di cibo la colonia, e da allora rimasero fedeli alleati degli Inglesi. L’arrivo dei coloni e il ruolo di Squanto stavano però cambiando i rapporti politici della regione, dato che l’alleanza tra i Wampanoag di Massassoit e gli Inglesi, suscitava l’ostilità dei rivali Narraganset e anche di capi Wampanoag in concorrenza con il capo principale. Mentre si apprestavano a lasciare il villaggio dei Nauset, giunsero voci di un imminente attacco dei Narraganset, della scomparsa di Massassoit, forse rapito, e dell’attività del capo Corbitant, del villaggio Wampanoag di Pocasset, al limite del territorio Narraganset, che era giunto al villaggio di Nemasket per aizzare gli indiani contro Massassoit e gli Inglesi; Squanto in particolare era nelle mire di Corbitant, perché “se lui muore, gli Inglesi non hanno lingua”. Le fonti raccontano i fatti successivi in forme diverse ma è certo che Squanto, fu catturato da Corbitant presso il villaggio di Nemasket; la notizia giunse agli Inglesi attraverso Hobomoke, un altro indiano amico degli Inglesi che accompagnava Squanto ma riuscì a sfuggire alla cattura. Al comando di Miles Standish una dozzina di coloni si recarono a Nemasket, entrando di sorpresa all’alba nel villaggio, scatenando il panico tra gli indiani; nella confusione alcuni Inglesi spararono e ci furono tre feriti. Standish e Hobomoke che lo accompagnava, riuscirono infine a spiegare che essi cercavano solo Corbitant e non volevano far male a nessuno; alla fine seppero che Corbitant era tornato a Pocasset, mentre Squanto era ancora vivo nel villaggio. Standish completò l’operazione, ricordando a tutti che nessuno poteva minacciare gli Inglesi e i loro amici e che Massassoit doveva essere rilasciato dai Narraganset. In settembre, dopo questa vicenda, tutti i capi Wampanoag, compreso Corbitant fecero atto di sottomissione. L’ultima tribù confinante con cui i coloni entrarono in contatto fu quella dei Massachusset, che vivevano a nord e che secondo le voci che giravano fra gli indiani erano ostili. Anche questa vola Squanto accompagnò la missione diplomatica, anche se è probabile che il suo sentimento verso i Massachusset non fosse benevolo. Comunque quando i pellegrini giunsero al villaggio di Nepashamet, all’estremità settentrionale di Massachusset Bay, trovarono una tribù devastata dalle epidemie, che viveva sulla costa solo il tempo necessario a rifornirsi di cibo, poi si nascondeva nell’interno per evitare gli attacchi dei Tarrantine (Micmac); non solo i Massachusset non avevano alcuna intenzione ostile, ma essi si posero subito sotto la protezione inglese e si impegnarono a raccogliere pellicce da consegnare ad una prossima visita. Alla fine del 1621 grazie all’azione di Squanto, la colonia di Plymouth non solo era sopravvissuta, ma era riuscita ad imporre un rapporto di alleanza subalterna alle tribù più vicine, i Wampanoag, i Nauset, i Massachusset e soprattutto aveva fatto il primo soddisfacente raccolto, festeggiato nella prima festa del Il primo “Thanksgiving Day” celebrato nel 1621 a Plymouth insieme agli indiani “Giorno di Rin-
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Ricostruzione aerea del villaggio di Plymouth, dopo la costruzione della palizzata difensiva
graziamento” celebrata in America, con la partecipazione di Massassoit e novanta indiani della sua tribù. Rimaneva ancora irrisolto il problema con i Narraganset, che essendo stati risparmiati dalle epidemie, fino all’arrivo degli Inglesi erano la tribù dominante della regione, in grado di imporre tributo ai villaggi vicini; essi poi avevano già qualche contatto con i mercanti olandesi alla foce dell’Hudson, e per commerciare avevano bisognò di un sovrappiù di pelli, che potevano ottenere solo imponendo tributi ai vicini. A gennaio del 1622 un messaggero di Canonicus, il capo dei Narraganset, portò a Plymouth come messaggio simbolico, un fascio di frecce in una pelle di serpente, che i coloni faticarono ad interpretare; Squanto spiegò loro che si trattava di una minaccia e di una sfida, e i coloni risposero secondo lo stesso linguaggio: riempito il fascio di polvere da sparo, ci spararono sopra e lo rinviarono a Canonicus. Il passo successivo fu quello di dotare la colonia di una palizzata di difesa e la costruzione di un vicino fortino, per prepararsi al possibile attacco dei Narraganset. L’attacco dei Narraganset non ci fu, e tra i coloni la convinzione fu che l’orgogliosa risposta aveva intimorito Canonicus, obbligandolo a più miti consigli; oggi sappiamo che proprio all’inizio del 1622 i Narraganset avevano subito un pesante attacco dai Pequot, una tribù dell’interno attirata sulla costa dalla possibilità di commercio, e per questo avevano rinunziato ad ogni ostilità contro gli Inglesi. I Pequot, che fanno la loro prima comparsa nella storia, svolgeranno un ruolo determinante per quasi un ventennio, fino a quando non si scontreranno con gli Inglesi. Nella primavera del 1622 la condizione di Squanto, come punto di contatto tra due mondi diversi e lontani si fece difficile; il primo segnale giunse quando Miles Standish si stava preparando a visitare i Massachusset, per commerciare con loro come da accordi nel precedente incontro. Hobomoke, uno degli indiani che aveva conquistato la fiducia dei coloni, li informò della possibile alleanza di Massachusset e Narraganset, e del piano concordato di sguarnire la colonia invitando Standish e parte degli uomini a commerciare, per favorire un attacco a Plymouth dei Narraganset. La notizia era già di per se inquietante, ma fu aggravata dall’accusa a Squanto di essere parte del complotto. I coloni non sapevano cosa pensare delle accuse a Squanto, ma decisero di non rinunciare alla visita ai Massachusset, che fu un successo per il commercio, e durante la quale non ci fu alcun attacco a Plymouth da parte dei Narraganset. Nei mesi successivi continuarono a circolare sospetti, nei confronti di Squanto, accusato da altri indiani di utilizzare il suo prestigio tra gli Inglesi per ottenere potere tra i Wampanoag, ovviamente a scapito del capo Massassoit; in particolare Squanto era accusato di raccontare agli indiani della malevolenza degli Inglesi, che solo la sua azione tratteneva dall’agire contro di loro. La situazione giunse al punto che Massassoit chiese la consegna di Squanto e inviò agli Inglesi un quantitativo di pelli, in cambio della sua testa. Il governatore di Plymouth rifiutò l’offerta di pelli, dichiarando che non era il loro uso pagare così la vita delle persone, e pur con qualche dubbio decise di non consegnare Squanto, il quale d’altra parte si affidò agli Inglesi senza tentare di fuggire. Si trattava della prima violazione al trattato dell’anno precedente con i Wampanoag, che prevedeva la consegna dei criminali alle rispettive comunità per la loro punizione. La crisi fu comunque superata e Massassoit rinunciò alle sue pretese sulla vita di Squanto. In giugno una nave giunse a Plymouth portando notizia del massacro avvenuto a Jamestown di 400 coloni da parte dei Powhatan e annunciando il prossimo arrivo di altri 60 coloni, organizzati da Thomas
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Weston, che avrebbero stabilito un’altra colonia; altre notizie riguardavano il dissolvimento della compagnia che aveva investito nell’impresa e in generale il peggiorare dei rapporti tra Weston e i coloni di Plymouth. All’inizio dell’autunno, quando i nuovi coloni giunsero, Squanto fu impegnato in ultima missione, guidando una spedizione commerciale composta da coloni di Plymouth e nuovi arrivati, lungo le coste meridionale della penisola di Cape Cod; grazie a Squanto i rapporti con i nativi furono pacifici e proficui. Poi a novembre del 1622, al ritorno da questo viaggio, Squanto si ammalò di uno dei tanti mali che colpivano gli indiani e dopo pochi giorni morì, assistito dai suoi amici inglesi. La morte di Squanto avvenuta poco dopo l’arrivo di un nuovo gruppo di coloni, gli evitò di essere testimone degli av- Plymouth e le tribù indiane vicine nel 1621 venimenti successivi, quando la presenza inglese nella regione sarebbe aumentata e non sarebbero più stati i prudenti, e tutto sommato corretti, Padri Pellegrini, a gestire i rapporti con gli indiani. Poco dopo la sua morte i rapporti tra bianchi e indiani si fecero più tesi, e se per lungo tempo la pace in buona misura resse, al passare di ogni giorno risultava evidente agli indiani, che con i bianchi non si poteva convivere. Ma ciò non riguardò Squanto la cui vicenda fu assolutamente unica. Tutta la storia di Squanto, dal suo rapimento, al suo apprendimento della lingua e della cultura dei bianchi, fino al sui ritorno nel villaggio natio ormai deserto, poco primo che in quello stesso villaggio si insediassero i coloni inglesi, fino alla sua morte, proprio alla fine della prima fase della storia della colonia, appare come un prodursi di coincidenze che sembrano seguire un piano, ed è comprensibile che tra i coloni diffusa era la convinzione che egli fosse uno strumento della volontà divina e una conferma della sua benevolenza. Più difficile è capire quale fu il travaglio di quest’uomo che aveva avuto la sventura e il privilegio di vivere tra due comunità, e aveva scelto alla fine di porsi al servizio di una di esse. Da quel che possiamo intuire da questa vicenda possiamo immaginare Squanto come un individuo riflessivo, non facile preda delle passioni, interessato soprattutto a comprendere e ad agire con prudenza e misura. Le accuse rivoltegli da Massassoit, per incrinare la fiducia che Inglesi avevano in lui, erano quasi certamente false o almeno esagerate, ma è certo che la sua personalità e il suo ruolo ingeneravano invidie, gelosie e soprattutto timori, da chi come Massassoit, vedeva la sua autorevolezza messa a rischio. Comunque anche nel difficile frangente in cui i sospetti e le accuse misero a rischio la sua vita, egli reagì con coerenza e misura, affidandosi a quegli Inglesi, la cui sopravvivenza era stata la sua prima preoccupazione. E questo ci interroga su come sia stato possibile che un uomo, anche rischiando la propria vita, si sia dedicato a sostenere e aiutare, gente completamente diversa, di cui aveva conosciuto i limiti e subito la cruideltà, che certo apprezzava per averne conosciuto la potenza e la conoscenza, ma che era anche in grado di valutare la loro crudeltà e i bassi interessi che li muovevano. Per i Pellegrini la ragione di ciò era nell’intervento divino, che aveva fatto trovare loro, in una terra ignota, un indiano cristiano; ma benchè battezzato, Squanto non fu mai veramente cristiano, e continuò a vivere e a pensare da indiano, e forse la spiegazione dei suoi comportamenti, va ricercata più che nel suo battesimo, nella spiritualità degli indiani, per cui nulla accadeva per caso, e ogni cosa era un segno da interpretare. Così c’è da chiedersi cosa può aver significato per Squanto aver coltivato per anni la speranza del ritorno al suo villaggio, a Patuxent, l’essere riuscito in una impresa quasi impossibile, per poi trovare quello stesso villaggio deserto di vita, la sua gente e i suoi parenti morti; poi dopo poco tempo l’apparire di nuovo in quello stesso villaggio, di uomini, donne e bambini, diversi dagli indiani, ma vivi e bisognosi d’aiuto. Così se per i coloni Squanto era lo “strumento di Dio”, non possiamo escludere che per Squanto i coloni siano stati la manifestazione di una volontà altrettanto misteriosa e imperscrutabile: a cui era doveroso adattarsi.
La “grande migrazione”
La vicenda dei Padri Pellegrini è il primo dei rarissimi casi in cui i bianchi, si insediarono sulle terre indiane mostrando almeno la parvenza formale del rispetto di coloro che su quelle terre vi risiedevano.
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Diversi furono i fattori che determinarono questa scelta, che fu in parte imposta dalla necessità, in parte frutto delle convinzioni degli stessi coloni, e in buona misura frutto dell’opportunità rappresentata dalla presenza di una figura come quella di Squanto, che rese possibile la comunicazione con gli indiani. I coloni giunti con il Mayflower e sopravvissuti al primo durissimo inverno, erano alcune decine, compresi donne e bambini, e non erano certo in grado di assumere comportamenti arroganti o addirittura aggressivi nei confronti degli indiani; d’altra parte in altre occasioni, tentativi di colonizzazione erano falliti o comunque erano stati ostacolati, a causa di comportamenti irresponsabili dei bianchi, che pur in condizione di minorità, o addirittura di dipendenza nei confronti degli indiani, provocarono incidenti, scatenando la loro rabbia. Questo non accade ai coloni di Plymouth, che invece si comportarono sempre con prudenza, seguendo le indicazioni dei loro capi e accettando con pazienza, il contatto con esseri che se la loro fede imponeva di considerare umani, dal loro punto di vista, erano comunque sporchi, incivili, invadenti, impudici e in La figura idealizzata di Massassoit,“proultima analisi, infidi; l’assenza di quei piccoli incidenti e incom- tettore dei Pellegrini”, è celebrata a Plyprensioni che abitualmente creavano tensioni fra le comunità, pro- mouth con questa statua, di cui esistono ducendo le condizione per l’aperta ostilità, fu certamente dovuta numerose copie in altre città americane alla rigorosa disciplina e alla fede condivisa dei membri della comunità, il cui costume era quello di dominare le proprie passioni, per responsabilità verso la collettività. Del ruolo di Squanto si è già detto, e c’è solo da aggiungere che la colonia si affermò, fondando i suoi primi anni sull’alleanza con il capo Massassoit e i suoi Wampanoag, sempre assistito nelle dispute con capi e tribù rivali; grazie a quest’alleanza gli Inglesi non solo erano sopravvissuti a primi due anni di vita in America, ma si erano anche inseriti nella rete di relazioni tribali, con un ruolo preminente. Dal canto loro gli indiani non erano nelle condizioni, ne avevano ragioni per opporsi ai coloni. Già indeboliti sul piano demografico da anni di drammatiche epidemia, essi avevano molta più terra di quanto servisse loro, e un piccolo gruppo di coloni, pacifico e ben disposto, che poteva fornire beni sconosciuti o rari, le cui armi erano potenti, e le cui conoscenze erano misteriose, potevano rappresentare un’opportunità per tutti. Gli Inglesi poi avevano dimostrato di saper riconoscere i loro torti, come aveva provato il risarcimento dei Nauset, ma anche di non temere chi si dichiarava loro nemico: il capo Corbitant, rivale di Massassoit, era dovuto fuggire dal villaggio in cui era andato a cercare proseliti, e poi aveva dovuto fare atto di sottomissione; quanto ai potenti Narraganset, avevano avuto una decisa risposta alle loro minacce, e avevano rinunciato a porle in atto. La presenza di un piccolo gruppo di coloni poteva sembrare a Massassoit e agli altri capi, più un’opportunità che un problema e non c’era ragione di combatterli; in realtà l’unica ragione per cui i Wampanoag avrebbero dovuto cacciare i Padri Pellegrini, la poteva conoscere solo Squanto, e non sappiamo se ne abbia mai parlato con Massassoit: quel primo manipolo di bianchi, erano l’avanguardia e la testa di ponte, di un esercito sterminato. Comunque non passò molto tempo, che l’arrivo di altri coloni avrebbe reso evidente che il fragile equilibrio raggiunto nei primi due anni di vita della colonia era a rischio. Il primo gruppo di nuovi coloni giunse all’inizio di novembre del 1621, 36 in tutto, di cui solo sette Puritani Separatisti della originaria colonia di Leiden, inviati da Thomas Weston, finanziatore del primo viaggio; inaspettati e privi di provviste, furono un problema per i coloni di Plymouth, che dovettero dividere con loro le scarse scorte invernali, ma in breve si inserirono nella colonia. Poi nel giugno 1622 altri 60 coloni, ancora inviati da Thomas Weston , giunsero a Plymouth, per fondare un nuovo insediamento; all’inizio i coloni di Plymouth sostennero i nuovi arrivati insieme ai quali organizzarono una spedizione di commercio con la guida di Squanto, Miles Standish, responsabile militare dei ma in breve i rapporti tra i due gruppi si deteriorano; i nuovi arrivati non erano rigorosi e integerrimi come i Puritani Separatisti, colonia di Plymouth
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alcuni di loro bevevano, ci furono accuse di furto e in breve, essi andarono a costruire il loro villaggio nella località di Wessagusset, a nord di Plymouth, nel territorio degli indiani Massachusset. Come era prevedibile il primo durissimo inverno mandò in crisi i coloni, inesperti, poco disciplinati, con poche scorte di cibo e senza una guida come Squanto a consigliarli. Subito i rapporti con i vicini indiani si fecero pessimi, e mentre alcuni di loro non si facevano scrupolo di andare a rubare nei campi degli indiani, altri per sfuggire alla fame si adattarono a cercare rifugio tra i nativi, adattandosi a vivere come servi. Quando un gruppo di indiani si presentò minacciosamente a chiedere giustizia per i furti subiti, i coloni intimoriti presero il presunto colpevole e lo impiccarono davanti agli indiani per dare loro soddisfazione; ancora oggi non è chiaro se la vittima della giustizia sommaria era il vero colpevole o se, come narrano alcune fonti, si trattava di un vecchio malato che fu sacrificato innocente. I coloni di Plymouth guardavano con preoccupazione al comportamento dei loro vicini, debole e disonesto al tempo stesso, che minava quel “prestigio dell’uomo bianco” che avevano faticosamente costruito con i loro comportamenti. Nel marzo del 1623 giunse notizia a Massassoit, che alcuni tra i guerrieri Massachusset più autorevoli si stavano preparando a cacciare i coloni di Wessagusset; più o meno negli stessi giorni un gruppo di Massachusset spostò il proprio accampamento nelle vicinanze della colonia, probabilmente solo per un ordinario trasferimento stagionale, ma ciò bastò perché un colono corresse a Plymouth, annunciando un imminente guerra contro tutti gli Inglesi. I governanti della colonia, davanti a simili allarmanti informazioni, decisero di mandare a Wessagusset Miles Standish e una decina di uomini. Standish si presentò alla colonia come per un ordinario viaggio di commercio, ma fece richiamare tutti i bianchi che erano andati a vivere fra gli indiani, poi prese contatto con gli indiani della zona, tra cui c’erano alcuni dei guerrieri più ostili, uno dei quali suo nemico personale, per un precedente scambio di insulti. Il giorno successivo organizzò un incontro all’interno di una casa, con il capo Pecksuot e altri tre indiani, ma il confronto si trasformò subito in un alterco; il piano di Standish era comunque pronto, perché chiusa la porta dell’abitazione lui e i suoi uomini uccisero i quattro indiani, poi usciti all’esterno si scagliarono sul resto del seguito facendo una decina di vittime, di cui uno decapitato, la cui testa fu portata a Plymouth. I coloni ebbero cinque morti nella battaglia, più altri coloni che erano ancora presso gli indiani, che furono uccisi successivamente. Standish si offrì di lasciare uomini a difesa del villaggio, ma ormai i coloni non ne potevano più: la maggioranza ritornò in Inghilterra, altri si unirono alla comunità di Plymouth. Il precario equilibrio La vicenda di Wessagusset in tre stampe popolari: Miles Standish guida i suoi uomini era ormai saltato e il comporverso il villaggio (sopra); l’assassinio di Pecksuot, (in basso a sinistra); il ritorno di tamento degli Inglesi fece Standish, con il macabro trofeo (in basso a destra) molta impressione sugli indiani, molti dei quali per lungo tempo rinunciarono ad ogni contatto, mettendo in crisi l’usuale commercio di pelli. Anche tra i coloni ci fu chi criticò la brutalità di Standish, ma il governo locale ritenne che quell’azione aveva prevenuto un conflitto più grave e gli rinnovò la fiducia. Prima della fine del 1623 comunque altri Inglesi si stabilirono a Wessagusset, rinominandola Weymouth,
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per un breve tentativo che si concluse in pochi mesi, dopo i quali solo pochi coloni rimasero, sotto la protezione di Plymouth. Quello stesso anno stessa sorte subì un altro tentativo di insediamento, nella regione di Cape Ann, a nord della Massachusset Bay, dove la maggior parte dei coloni ripartì dopo pochi mesi; altri piccoli insediamenti venivano fondati sulla costa del New Hampshire, e un altro gruppo di coloni era lasciato alla fine del 1623 dal capitano Leveret a Casco Bay, nel Maine; di questo gruppo non si ebbero più notizie. Il successo degli uomini di Plymouth, i cui resoconti pubblicati in Inghilterra cominciavano a circolare, suscitavano attenzione e speranza, oltre all’interesse di compagnie e ricchi investitori; altri membri della comunità di Leiden raggiunsero Plymouth, ma anche semplici emigranti in cerca di una speranza per il futuro. Il New England non era terra che offrisse facili ricchezze, non c’erano metalli preziosi, ne le ricche piantagioni di tabacco della Virginia, ma c’era la possibilità di avere terra da coltivare, acque pescose, boschi ricchi di selvaggina e soprattutto, indiani pacifici e accoglienti: l’anno prima dalla ricca Virginia le notizie che erano giunte erano quelle del massacro di centinaia di coloni, e questo faceva la differenza. Gli indiani dal canto loro non erano in grado di opporsi all’arrivo dei coloni, i cui tentativi di insediamento furono principalmente nelle terre dei Massachusset, una tribù già ai minimi termini per le malattie; sempre nel 1623 un’altra epidemia si diffuse nella regione, colpendo i Nauset e i Wampanoag: i capi Nauset amici dei coloni, Aspinet e Iyanough, persero la vita e Massassoit ammalato, fu ospitato e curato a Plymouth fino alla guarigione. Tra i coloni giungevano anche figure insolite come quella di Thomas Morton, un avvocato e libero pensatore, che era giunto nel 1625 in New England con un gruppo di coloni organizzato da sir Ferdinand Gorge, e che dopo diverse vicende nel 1626 si era trovato a guidare la colonia, che non aveva più rapporti con la compagnia organizzatrice. Innamorato degli indiani e del loro stile di vita, Mor- Thomas Morton ton tentò di costruire una colonia basata su un cristianesimo estremamente tollerante, in cui egli riportava anche le abitudini tradizionali della sua rurale terra natia, come la Festa dell’Albero di Maggio, retaggio di antichi riti pagani; con un simile approccio era naturale che guardasse senza sospetto alla spiritualità degli indiani. La colonia di Morton a Mount Wollaston (conosciuta come Merrymont), poco a ovest di Wessagusset, per gli uomini di Plymouth era invece un covo di eretici ubriaconi in combutta con i pagani, insieme ai quali praticavano orge in onore di Bacco, in compagnia di donne indiane, e che agli stessi indiani vendevano armi (commercio illegale, che molti praticavano se ne avevano l’opportunità e la convenienza): per i rigorosi Puritani di Plymouth questo non era tollerabile. Nel 1628 Miles Standish fu inviato a Mount Wollaston per arrestare Morton, e benchè i coloni si fossero barricati, non ebbe problemi a superare la loro resistenza (erano tutti ubriachi secondo la testimonianza di Standish); poi disarmato Morton, lo arrestò e questi dopo un breve processo fu condannato a vivere su un isola deserta, fin quando una nave di passaggio non l’avesse riportato in Inghilterra. Sotto stretto controllo la sua colonia sopravvisse ancora un anno, poi fu definitivamente rasa al suolo nel 1629; Morton che grazie agli indiani era riuscito a non morire di fame sull’isola e a far ritorno in Inghilterra, ritornò nel Massachusset dovè la sua colonia non c’era più, e dove fu di nuovo arrestato, imbarcato per l’Inghilterra e definitivamente cacciato dal New England. Negli anni successivi si fece notare per un opera letteraria in cui attaccava i puritani, difendeva la cultura indiana a rischio di genocidio, e ipotizzava una sorta di società multiculturale antelitteram. Morirà nel 1647 nel Maine, dove riuscì a tornare grazie al suo protettore sir Ferdinand Gorge. Mentre si consumava la breve utopia di Thomas Morton, sulle coste del New England la presenza inglese si faceva sempre più massiccia; nel corso degli anni ’20 del ‘600, in Inghilterra i rapporti tra Puritani, anche quelli meno radicali, e la Chiesa Anglicana ufficiale, si erano molto deteriorati, e ciò portò molti dissidenti religiosi a guardare all’America e alla colonia di Plymouth come una speranza per il futuro. Nel 1628 un nuovo contingente di un centinaio di coloni, raggiunse Cape Ann, dove già risiedeva un piccolo gruppo di Inglesi, residuo di un precedente tentativo di colonizzazione; il nuovo insediamento si chiamava Salem, e già l’anno successivo vi giungevano altri 300 coloni, che si impegnavano a fortificare il villaggio. Quello stesso anno i coloni stabilivano un altro piccolo insediamento nelle vicinanze, Charlestown, poi nel 1630 da Charlestown alcuni si spostarono ulteriormente per fondare la futura città
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di Boston. Il territorio su cui si erano insediati era quello degli indiani Massachusset, ridotti a quell’epoca a poche centinaia di individui, e che dopo il duro trattamento subito da Miles Sandish a Wessagusset, avevano ormai rinunciato a qualsiasi resistenza; poi nel 1632 un’altra epidemia colpì la tribù, i cui superstiti nel 1634 venivano visitati dal missionario John Elliot, e convinti ad accettare il cristianesimo e vivere sotto la protezione inglese. Furono quindi conosciuti come “Praying Indians” e negli anni successivi i loro villaggi divennero il punto di raccolta degli indiani battezzati di tutto il New England. Già alla fine degli anni ’30 i Massachusset erano ormai una minoranza marginale, rispetto al gran numero di coloni che viveva su quelle che erano state le loro terre. Dopo la fondazione di Boston, l’emigrazione dall’Inghilterra ebbe un notevole impulso e nei dieci anni successivi, quasi 20.000 Puritani raggiunsero il New John Elliot predica agli indiani England, in quella che viene ricordata come la “grande emigrazione”. Nel 1629 i Puritani di Boston fecero un trattato con i Pennacook del capo Passaconaway, che cedette loro delle terre; Passaconaway negli anni precedenti aveva visto la sua tribù indebolirsi, prima per gli attacchi dei Micmac durante la Guerra Tarrantine, tra il 1607 e il 1615, poi c’erano stai i tre terribili anni di epidemie, e quando all’inizio degli anni ’20 ebbe i primi contatti con i coloni di Plymouth, ne fu favorevolmente colpito e si impegnò nel commercio con loro. Nel 1627 i Pennacook, alleati dei Sokoki e dei Pocuntuk che vivevano nell’interno, subivano gli attacchi dei Mohawk, e questo rendeva per loro ancora più necessario il rapporto con gli Inglesi per rifornirsi di punte di ferro. I coloni di Boston erano però molto più numerosi di quelli dell’originaria colonia di Plymouth, più sospettosi nei confronti degli indiani, più sicuri nell’imporre le loro pretese. Passaconaway rimase comunque convinto della necessità di non inimicarsi gli Inglesi, e nel 1632 giunse a consegnare loro un membro della sua tribù, accusato dell’omicidio di un bianco. Alla metà degli anni ’30 i coloni inglesi avevano risalito la costa oltre la foce del fiume Piscataway, fino alla baia di Portland, al fiume Saco e alle coste meridionali del Maine; qui gli Abnaki della regione erano abituati a commerciare con navi inglesi di passaggio e non ostacolarono i primi Inglesi che vi si insediarono, per lo più impegnati nel commercio. Intorno alla originaria colonia di Plymouth, malgrado la crescita del numero di coloni, l’alleanza con i Wampanoag di Massassoit continuava a reggere, e nel 1632 fu di nuovo confermata quando ancora una volta Canonicus, il capo dei Narraganset provò a sottomettere gli Wampanoag, dovendo pero rinunciare di fronte alla minaccia dell’intervento inglese. A quell’epoca per i Narraganset la situazione si stava facendo complicata, dato che ormai essi erano isolati dal commercio con i bianchi, al contrario dei loro vicini, i Wampanoag, ma soprattutto dei Pequot, un popolo bellicoso che si stava imponendo come intermediario tra gli indiani nella valle del Connecticut e delle coste adiacenti, e gli Olandesi che commerciavano alla foce dell’Hudson. In aggiunta a ciò i Narraganset, fino ad allora risparmiata dalle epidemie furono falcidiati nel 1633 da una malattia comparsa l’anno prima più a nord; nei due anni successivi l’epidemia si diffuse lungo tutta la costa del Connecticut, insieme alle tensioni connesse al traffico delle pellicce con gli Olandesi. Comunque malgrado le malattie e la minore disponibilità di armi di metallo, nel 1635 i Narraganset, furono ancora in grado di scacciare i Pequot dalla parte meridionale del loro territorio dove si erano insediati. La terra dei Narraganset non era fino a quel momento rientrata nei progetti di colonizzazione, perRoger Williams
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ché gli indiani erano ancora numerosi e la terra fittamente abitata; nel 1636 anche per loro venne il momento del confronto con i bianchi, in una modalità che, nelle loro condizioni, non erano potevano rifiutare. Tra i dissidenti Puritani giunti a Boston nel 1630 vi era un teologo di nome Roger Williams, convinto assertore della separatezza rispetto alla Chiesa Anglicana, ma con idee molto radicali rispetto alla tolleranza religiosa, alla divisione tra stato e chiesa e, tema particolarmente scottante, del diritto degli indiani alla propria terra, che i bianchi potevano ottenere, non per concessione del loro re, ma solo pagando un giusto prezzo ai loro legittimi proprietari. Benchè apprezzato dai Puritani più rigorosi per la sua preparazione e la sua intransigenza, le sue idee non potevano renderlo popolare in una comunità rigidamente controllata dall’integralismo religioso, fondata sul presupposto del diritto ad impossessarsi delle terre indiane: fu quindi messo al bando dai coloni di Plymouth e di Boston, ma proprio per le sue idee non ebbe problemi ad accordarsi con Canonicus, acquistando nel 1636 terre dai Narraganset , dove fondò la colonia di Providence, seguita, l’anno successivo da quella vicina di Rhode Island per opera di altri coloni Canonicus vende a Roger Williams la dissidenti, che acquistarono altra terra. Prima del 1635 altri coloni da Boston e da Plymouth, alcuni mossi terra su cui sarà fondata Providence dal desiderio di vivere liberamente secondo la propria fede, altri più prosaicamente attratti dalle prospettive di commercio con gli indiani che offriva la regione, si spinsero fin nella valle del fiume Connecticut, una regione sulla quale gli originari coloni di Plymouth avevano rinunciato ad ogni pretesa nel 1627. Quell’anno mercanti olandesi che operavano alla foce dell’Hudson, temendo tensioni con gli Inglesi, si erano presentati in visita a Plymouth e dopo aver fatto i loro complimenti ai coloni, avevano cercato un accordo sulle diverse aree di influenza, trovando i coloni di Plymouth, ancora poco numerosi, non interessati a contendere loro quelle terre. Pochi anni dopo era tutto cambiato, e i Puritani appena giunti, non sentendosi vincolati ad alcun trattato con gli Olandesi, avevano iniziato ad insediarsi nella regione, aprendovi nel 1633 anche un posto commerciale lungo il Connecticut , poco a monte di quello olandese; gli Olandesi reagirono fortificando la loro la loro stazione commerciale (Ft.Hoop), e gli inglesi in risposta stabilirono il presidio militare di Ft.Saybrook, alla foce del Connecticut nel 1635. Erano passati meno di quindici anni, da quando un gruppo di meno di un centinaio di coloni, uomini, donne e bambini, la metà dei quali morì dopo meno di tre mesi, si erano stabiliti nel villaggio indiano abbandonato di Patuxent; ignari di tutto e forti solo della loro fede, avevano trovato l’aiuto del loro dio, in un indiano tornato alla sua terra dopo vicende travagliate, solo per scoprire che la sua gente era tutta morta. Ora c’erano quasi ventimila coloni in quelle terre, che consideravano le loro terre; complici le devastanti malattie che avevano anticipato l’arrivo dei coloni, gli indiani prima non avevano visto ragione di opporsi all’arrivo di pochi migranti, poi non avevano più potuto opporsi quando quei migranti erano divenuti migliaia. Tutto era accaduto in modo quasi incruento, prima per la prudenza dei primi coloni, poi per il timore degli indiani; ora però in questione non c’era più l’occupazione di terre svuotate dalle epidemie, ma il profitto legato al commercio; gli interessi del commercio delle pelli, non prevedevano mediazioni e dopo L’avanzata della presenza inglese duramte gli anni ‘30 del ‘600
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quindici anni di crescita pacifica, i Puritani inglesi dovevano misurarsi con concorrenti agguerriti. Che però non erano gli Olandesi.
I Pequot
L’arrivo dei primi Europei sulle coste dell’Atlantico settentrionale nel corso del ‘500, non fu il solo evento che sconvolse la vita degli indiane nelle terre tra i Grandi Laghi e l’oceano: anche nei rapporti tra le tribù indiane la situazione stava cambiando, dato che nelle regioni dell’interno, a sud del lago Ontario, il costituirsi della Lega Iroquois contribuì anch’esso a rimescolare i rapporti tribali e a produrre un clima di costante conflittualità. Si è già detto dei conflitti che furono conseguenza dell’espansione degli Iroquois, e dei Mohawk in particolare, nella valle del San Lorenzo, ma tale espansionismo si estese a tutti i territori contigui a quelli abitati dalla Lega; a sud, in Pennsylvania, quando i primi bianchi visitarono la regione, la trovarono insanguinata dalla guerra condotta dagli Iroquois, contro la potente confederazione dei Susquehannock, mentre è certo che alla metà del ‘500, Mohawk, Oneida e altre tribù della Lega, sconfissero e cacciarono a est gli Adirondack, una sconosciuta tribù Algonquian, il cui nome è oggi rimasto ad una catena montuosa a ovest del lago Champlain. E’ possibile che in questo quadro di trasferimenti determinato dall’espansionismo della Lega Iroquois, possa anche essere collocata la vicenda dei Pequot, una piccola tribù che fu la prima a confrontarsi con i la violenza che i religiosi A differenza delle tribù vicine, i Pequot vivevano in villaggi fortificati Puritani erano in grado di pianificare e realizzare contro i nativi. La tradizione tribale dei Pequot fa riferimento ad una loro terra d’origine nelle regioni interne, probabilmente nella regione del lago Champlain, che essi potrebbero aver abbandonato in conseguenza degli attacchi dei Mohawk; altra ipotesi è che gli Adirondack corrispondano ai Mahican, che scacciati dai Mohawk, abbiano a loro volta obbligato i Pequot a trasferirsi dalle terre a sud del lago Champlain. In ogni caso al tempo dei loro contatti con gli Olandesi, intorno al 1614, i Pequot vivevano a est del basso corso del fiume Connecticut, a sud-est della loro terra d’origine, non più numerosi delle tribù vicine, i Nipmuc, i Pocuntuk, i Niantic, e i Mattabisec, ma molto più coesi politicamente, militarmente aggressivi e capaci di imporsi nella regione in cui erano da poco giunti. E’ probabile che tale maggior coesione politico-militare, sia stata proprio conseguenza della loro migrazione, che li indusse a muoversi con unità e sotto la guida di leader tribali autorevoli, per poter trovare una nuova terra, in una regione già fittamente popolata. Ciò che è certo è che all’inizio del ‘600 i Pequot erano riusciti a imporsi alle tribù vicine, meno coese e unite, costruendo i loro villaggi fortificati fra quelli delle tribù sottomesse. Prima dell’arrivo degli Europei, la terra in cui erano giunti i Pequot, e le zone limitrofe comprese tra il basso corso dei fiumi Connecticut e Hudson, la penisola di Long Island, fino alla baia di Narraganset, era di grande importanza nelle relazioni tra le tribù indiane, perché lungo le sue coste era possibile raccogliere due particolari tipi di conchiglie marine, i cui piccoli frammenti tubolari, erano utilizzati per comporre le pregiate cinture di wampum, un oggetto di grande valore fra gli indiani, utilizzato nelle cerimonie, come sorta di “libro delle memorie” tribali, simbolo di autorità dei capi o “certificato” di attendibilità per i messaggeri. Presso gli Iroquois, preziosi wampum custoditi dai capi Onondaga, simboleggiavano e narravano le vicende della fondazione della Lega, e più in generale ogni capo e ogni tribù aveva i suoi propri wampum sacri. La produzione artigianale di questi pregiati oggetti, dipendeva principalmente dalle tribù costiere, e i Metoac di Long Island erano i principali produttori, poi dalla costa i wampum venivano scambiati con le tribù dell’interno, giungendo fino ai Grandi Laghi e alla valle dell’Ohio; è quindi probabile che i Pequot , con il loro ruolo di tribù preminente della regione, controllassero gli scambi nella regione, ancor prima che i mercanti olandesi facessero la loro comparsa alla
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foce dell’Hudson Quando poi all’inizio del ‘600 i mercanti olandesi iniziarono ad operare alla foce dell’Hudson e sulla costa del Connecticut, fino alle terre dei Narraganset, i Pequot videro l’opportunità di inserirsi nei loro commerci, isolando i Narraganset con cui entrarono in conflitto, e imponendosi agli Olandesi come partners commerciali. Con l’inizio del commercio di pelli pregiate, le tradizionali cinture di wampum acquisirono un valore aggiuntivo, divenendo una sorta di moneta indiana accettata anche dai mercanti olandesi, che con essi pagavano le pelli indiane. Il controllo della produzione e della circolazione dei wampum, In alto la varietà di conchiglie con cui si intessevano divenne così un modo per ottenere le armi e le merci eule pregiate “cinture wampum” (in basso) ropee, e i Pequot contando sulla loro preminenza militare, imposero tributi alle tribù produttrici della costa: i Niantic, si divisero in due fazioni, i gruppi occidentali accettarono il dominio dei Pequot, mentre quelli orientali preferirono porsi sotto la protezione dei Narraganset; le sparse comunità Mattabisec e Metoac, che non avevano alcuna unità politica, accettarono l’imposizione. Dopo che gli Olandesi avevano compreso il valore delle cinture di wampum per gli indiani e iniziato ad accettarle come pagamento al pari delle pelli, il commercio delle pelli e quello dei wampum erano strettamente connessi, e i Pequot non potevano permettere ad altri tribù di trattare direttamente con i mercanti europei senza pagare a loro un tributo. Essi quindi divennero intermediari in regime di monopolio, tra indiani e Olandesi. Gli Olandesi ovviamente non avevano interesse a garantire alcun monopolio ai Pequot, e quando nel 1622 avevano stabilito il primo posto commerciale sul fiume Connecticut, Ft.Hoop, nei pressi dell’attuale Hartford, si rivolsero alle diverse comunità Nipmuc, Pocuntuk e Mattabisec che vivevano nei dintorni, perchè vi portassero carichi di pelli; solo alcuni gruppi Mattabisec si presentarono al posto commerciale quell’anno, ignorando i diktat dei Pequot, ma mentre erano impegnati nei commerci, una spedizione di guerra Pequot giunse all’improvviso, disperdendo e uccidendo gli indiani giunti a commerciare. Di fronte a questa chiara rivendicazione di potere, il responsabile olandese della stazione commerciale, reagì prendendo in ostaggio un capo Pequot, per la cui liberazione chiese oltre ad un riscatto, l’impegno dei Pequot a cessare ogni limitazione commerciale alle altre tribù. Il grande capo dei Pequot, Wopigwooit, che non aveva alcuna intenzione di combattere gli Olandesi, pagò il riscatto richiesto, ma non con le pelli che avevano tolto ai Mattabisec, ma con una grande quantità di wampum; il mercamte non soddisfatto decise di uccidere comunque l’ostaggio, limitandosi a restituire il suo cadavere. I Pequot non ebbero esitazioni, bruciarono il posto commerciale e uccisero il responsabile. Dopo questa prova di forza gli Olandesi rinunciarono a limitare il monopolio dei Pequot, inviarono un nuovo responsabile di cui i Pequot si fidavano, e accettarono che i guerrieri della tribù facessero da collettori per la raccolta di pelli da tutta la valle del Connecticut; con molto spirito pratico gli Olandesi valutarono che una guerra era più dannosa, che non un accordo commerciale eccessivamente vincolante. Con il medesimo pragmatismo nel 1627 alcuni rappresentati olandesi visitarono Plymouth amichevolmente per evitare tensioni con i coloni inglesi, che garantirono loro che non avrebbero allargato la loro attività alla valle del Connecticut, e così Olandesi e Pequot stabilirono un’alleanza di necessità che permetteva loro di controllare tutti i commerci nella regione. Questa situazione si protrasse fino agli inizi degli anni ’30, quando alcuni avvenimenti vennero a turbare l’equilibrio raggiunto; nel 1631 moriva il
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capo dei Pequot Wopigwooit, e nella tribù iniziava una competizione tra i due guerrieri più autorevoli che puntavano alla successione, Sassacus e Uncas. Alla fine fu Sassacus a prevalere, ma la fazione minoritaria legata a Uncas, rimaneva insoddisfatta e pronta a cogliere la prima occasione per ribaltare la situazione. L’occasione giunse nel 1632, quando gli abitanti di alcuni villaggi Mattabisec, stanchi del predominio dei Pequot, presero contatti con i coloni di Boston, invitandoli ad aprire una stazione commerciale sul fiume Connecticut, con cui rendersi autonomi dal monopolio gestito da Pequot e Olandesi. La nuova stazione commerciale fu stabi- Ft.Saybrook alla foce del Connecticut lita nel 1633 nei pressi dell’attuale cittadina di Windsor, poco a monte di Ft.Hoop lungo il corso del Connecticut, in una posizione favorevole ad intercettare i carichi di pelli di castoro che venivano dall’interno, e comoda anche per i Pequot del capo Uncas, che a quel punto iniziarono a rendersi commercialmente autonomi, fino a costituirsi come una tribù separata, i Mohegan. Furono i Mohegan di Uncas, alleati degli Inglesi, ad ispirare due secoli dopo le figure letterarie inventate da John Feminore Cooper ne “L’ultimo dei Mohicani”, e rese poi famose in molti film. Le rivalità fra le due fazioni Pequot, ognuna delle quali aveva tra i propri alleati una parte dei Mattabisec a loro sottoposti, portarono alla crescita della tensione nella regione, inasprendo le rivalità commerciali di Inglesi e Olandesi; gli Olandesi decisero di fortificare la loro stazione commerciale, ormai minacciata dagli Inglesi e soprattutto dai loro alleati Mohegan, e rafforzarono la loro presenza acquistando terra dai Pequot (che vendettero loro terra della tribù Mattabisec dei Sicaog); nel frattempo i Pequot dovevano vedersela con i Narraganset, a cui avevano sottratto parte delle terre, e che ora essi si riprendevano. A rendere ancora più drammatica la situazione giunse da nord un’epidemia, che iniziata tra i Massachusset nel 1632, nei due anni successivi raggiunse tutte le tribù tra la baia di Narraganset e la foce dell’Hudson. La situazione si stava facendo sempre più esplosivo e nel 1634 un ulteriore incidente la aggravò. Nel gennaio di quell’anno i Niantic Occidentali, alleati dei Pequot, uccisero alla foce del Connecticut il mercante e pirata John Stone e altri Inglesi, mentre questi tentavano di rapire alcune donne e bambini per venderli come schiavi; Sassacus che era già in difficoltà, tra divisioni tribali, epidemie e la guerra con i Narraganset, in ottobre si recò a Boston per “coprire la morte”, cioè risarcire i parenti delle vittime, con un grande quantitativo di wampum, ma gli Inglesi questo non bastò e pretesero la consegna dei colpevoli. Il tentativo di chiudere l’incidente fallì e il contrasto tra Pequot e Inglesi si fece ancora più acceso. Va rilevato che John Stone, il capo degli Inglesi uccisi dai Niantic, era un pirata, messo al bando dai Puritani di Boston per la sua condotta immorale, che si stava dirigendo a Jamestown per vendere schiavi e rifarsi delle perdite subite con la cacciata da Boston; dal punto di vista dei coloni comunque un bianco era un bianco, e andava difeso in ogni caso. L’inasprirsi delle ragioni del contrasto con gli Inglesi non era dovuto ad una particolare fedeltà dei Pequot ai loro partner olandesi, ma a precisi motivi economici: i mercanti inglesi, compreso il valore dei wampum, non si limitavano a scambiarli, ma avevano iniziato a produrli in serie, favoriti dall’uso di aghi d’acciaio per forare i frammenti di conchiglia, di cui gli artigiani indiani non erano Guerrieri Pequot, con i loro wampum
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forniti. Con una massiccia produzione di wampum, tali oggetti furono progressivamente svalutati del loro valore commerciale, pur mantenendo il loro valore simbolico e rituale, e i più danneggiati furono proprio i Pequot, che dominando i Metoac e le altre tribù della costa, avevano avuto il controllo della produzione artigianale indiana. Nel 1635 poi gli Inglesi riuscirono ad eliminare definitivamente la concorrenza olandese, costruendo il presidio militare di Ft.Saybrook, alla foce del Connecticut, la prima vera e propria struttura militare costruita nel New England. L’attività commerciale olandese di Ft. Hoop, si trovò a quel punto bloccata, a monte del fiume dalla stazione commerciale costruita nel 1633, e a valle dal nuovo presidio di Ft.Saybrook. Ft. Hoop rimase come un avamposto olandese ormai isolato, circondato dall’avanzante presenza inglese; nel 1634 gli Inglesi avevano fondato il villaggio di Wethersfield, poi a partire dal 1635 altri coloni si trasferirono nella valle e lungo le coste del Connecticut. I Pequot vedevano la loro pluridecennale egemonia regionale posta seriamente a rischio, divisi al loro interno, privi di alleati europei, mentre i loro nemici, bianchi e indiani si preparavano a colpire uniti.
I “figli del Demonio” La guerra che si preparava tra gli Inglesi e i Pequot non originava dalla necessità dei coloni di difendere i propri villaggi, ne da quella degli indiani di impedire l’invasione delle proprie terre: i Pequot vivevano lontani dalle terre colonizzate dagli Inglesi, e le poche centinaia di coloni che si erano insediati nella valle del Connecticut tra il 1633 e il 1636, non rappresentavano una vera minaccia immediata per gli indiani. Le ragioni di tale conflitto erano in realtà squisitamente economiche e politiche: in ballo c’era il controllo del commercio delle pellicce, come elemento economico, e il controllo degli indiani della regione come elemento politico. Si trattava quindi di una guerra che a differenza di altro casi, non coinvolgeva direttamente l’interesse di tanti coloni, abituati da anni a convivere pacificamente con i vicini indiani, impegnati a coltivare i loro campi e timorosi che la miccia accesa da un conflitto nell’interno, lontano dagli insediamenti della costa, potesse propagarsi a tutta la regione, coinvolgendo quelle migliaia di indiani che se si fossero sollevati tutti insieme, potevano portare alla distruzione le colonie di Plymouth e Boston. Per queste ragioni benchè fosse evidente che gli interessi commerciali di Boston miravano a liberarsi dei potenti Pequot, ci vollero almeno due anni prima che le ostilità esplodessero; e si dovette attendere che un incidente offrisse l’opportunità per cominciare la guerra. L’incidente giunse alla fine di luglio del 1636, quando il capitano Gallup trovò a Block’s Island, un’isola a largo della baia di Narraganset, il cadavere smembrato del capitano John Oldham, uno dei coloni che aveva fondato il villaggio di Wethersfield, e a cui era stata affidata la missione di allargare i commerci sulla costa del Connecticut. Oldham era giunto nel 1623 a Plymouth e dopo poco si era messo in evidenza come sobillatore e piantagrane, giungendo a minacciare con un coltello Miles Standish; per questa ragione era stato cacciato, e si era quindi recato nel Massacchusset, dove i principi morali erano meno rigorosi ed egli potè conquistarsi un posto di rilievo nella comunità come mercante, impegnato tra le coste del Maine e la Virginia. Con una decina di altri coloni si era poi spostato nella valle del Connecticut, fondando il villaggio di Wethersfield, e da li aveva disceso il Connecticut, per navigare lungo la costa per conto dei mercanti di Boston; non si sa per quali ragioni fu ucciso, ma non si può escludere, visto il personaggio, che sia stato lui a provocare in qualche modo la reazione degli indiani. Non è nemmeno chiaro a quale tribù appartenessero gli abitanti di Block’s Island, se ai Narraganset, o più probabilmente ai loro alleati Niantic Orientali; sicuramente non erano Pequot, che non abitavano le isole, ne Niantic Occidentali che abitavano la costa e le isole più a ovest. I Narraganset comunque non ebbero problemi ad accusare i loro nemici Pequot, e i coloni di Boston colsero la palla al balzo; immediata- Attacco inglese a Block’s island
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mente i Pequot divennero “figli del demonio” la cui crudeltà fu denunciata in ogni sermone domenicale, una minaccia giunta dall’inferno contro la cristianità, contro cui era necessaria una “guerra sacra”. Secondo una prassi che diverrà poi ben nota e ampiamente praticata, una volta trovato l’incidente per scatenare la guerra, si cercava la copertura ideologica per renderla accettabile a tutti. Un incidente di cui i Pequot nulla sapevano, su un isoletta che probabilmente non avevano mai visitato, stava producendo le condizioni per la rovina della tribù. Il 20 agosto del 1636, un mese dopo il ritrovamento del cadavere di Oldham, il capitano John Endicott con 90 uomini, partiva da Boston alla volta di Block’s Island, con l’ordine di uccidere ogni indiano maschio e fare schiavi tutte le donne e i bambini; il 25 agosto gli Inglesi attaccarono il villaggio sull’isola, uccisero quattordici indiani, bruciarono case e raccolti, mentre gli indiani superstiti fuggivano a nascondersi nei boschi. La missione poteva dirsi conclusa, ma evidentemente Endicott aveva anche altri ordini; reimbarcati i suoi uomini , raggiunse la costa a Ft.Saybrook, dove tra lo stupore della piccola guarnigione, chiese il supporto di altri uomini per recarsi ad un vicino villaggio Pequot, dove chiedere una gran quantità di wampum ed un certo numero di bambini come ostaggi, per risarcire l’assassinio di Oldham; i soldati di Ft. Saybrook che nulla sapevano di quanto si preparava a Boston, reagirono con preoccupazione, ma si dovettero adeguare e si unirono agli uomini di Endicott. Obbiettivo della spedizione era il capo Sassacus, che si sperava di trovare nel villaggio sul fiume Thames, a est di Ft.Saybrook, ma il capo era assente, in viaggio a Long Island, e quando il 29 luglio gli Inglesi raggiunsero il villaggio Pequot e avanzarono le loro richieste, i notabili indiani presenti, presi di sorpresa, ebbero l’astuzia di iniziare una prolungata trattativa, mentre di nascosto evacuavano il villaggio. Alla fine ad Endicott non rimase che bruciare le capanne vuote, mentre i soldati di Ft.Saybrook razziavano i campi di mais, per riformirsi e prepararsi all’assedio che sapevano di doversi ormai attendere. Ai primi di settembre Endicott e i suoi uomini ripartirono per Boston, lasciando il forte isolato a vedersela con la rabbia degli indiani. L’assedio di Ft.Saybrook iniziò pochi giorni dopo, appena Sassacus tornato da Long Island, seppe della distruzione del suo villaggio, e si protrasse per tutto l’inverno; la costruzione era troppo solida e difesa da cannoni, per essere attaccata senza scontare la perdita di un gran numero di guerrieri, e gli indiani si limitarono a colpire chiunque osava uscire. In settembre la guarnigione inglese fu attaccata nei campi vicini al forte, tre uomini furono feriti e uno catturato, e un edificio fortificato a protezione dei campi, fu abbandonato; all’inizio di ottobre, un’altra uscita per raccogliere fieno costò un morto e due feriti, poi per il resto dell’inverno gli Inglesi non osarono più uscire dalla palizzata. Intanto sia Sassacus che gli Inglesi cercavano di trovare alleati: Sassacus inviò messaggi ai Narraganset, ma il conflitto con loro era troppo recente perché la richiesta potesse essere accolta, e anzi il 21 ottobre 1636 i capi dei Narraganset Miantonomo e Canonicus, firmarono un trattato di alleanza con gli Inglesi. Stessa cosa fece Uncas con i suoi Mohegan, un piccolo gruppo, ma pericoloso perché conosceva il territo- L’attacco alla pattuglia del luogotenente Gardiner rio dei Pequot e perché era in relazione con molte delle tribù Mattabisec, sottoposte ai Pequot; anche per questo i Mattabisec, che formalmente erano schierati con i Pequot, per lo più cercarono di evitare di essere coinvolti, aspettando di capire l’esito dello scontro; simile fu l’atteggiamento dei Metoac, che collaborarono con gli Inglesi verso la fine del conflitto. Con la loro bellicosità e la loro volontà di dominio, i Pequot non si erano fatti amici tra le tribù; solo i Niantic Occidentali rimasero fedeli alleati dei Pequot, mentre i loro parenti Orientali, pur essendo alleati dei Narraganset, cercarono di mantenersi neutrali. Anche i coloni di Boston si impegnarono a raccogliere risorse per prepararsi alla guerra, ma all’inizio ottennero maggiori risultati con gli indiani piuttosto che con gli altri coloni. Roger Villiams, che da poco aveva fondato Providence, fece da intermediario per l’alleanza con i Narraganset, ma i coloni di Plymouth per tutto l’inverno rimasero piuttosto dubbiosi rispetto alla necessità di iniziare la guerra, e i
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loro alleati Wampanoag, rimasero estranei al conflitto. Per tutto l’inverno Ft.Saybrook non ottenne alcun sostegno della colonia e nel febbraio del 1637 i viveri cominciavano a scarseggiare; il 22 di quel mese il luogotenente Gardiner, uscito dal forte con nove uomini in cerca di cibo, fu attaccato dai Pequot che uccisero tre uomini, altri tre ne ferirono (compreso Gardiner), mentre due colsero l’occasione per fuggire e disertare. All’inizio di marzo centinaia di guerrieri guidati da Sassacus circondarono il forte minacciando gli Inglesi e cercando di indurli alla resa o alla battaglia, ma si ritirarono senza perdite, quando gli Inglesi risposero con salve di cannone. Solo a metà marzo i primi rinforzi giunsero L’attacco al villaggio sul fiume Mystic in una stampa dell’epoca a Ft.Saybrook; sei uomini guidati dal capitano Mason, tutti i volontari raccolti dai tre villaggi inglesi di Windsor, Wethersfield e Hartford, lungo il Connecticut; in aprile da Boston e dal Massachusset, giunse il capitano John Underhill con venti uomini. Evidentemente i coloni non consideravano la guerra contro i Pequot una priorità, e la colonia di Plimouth, benchè formalmente sollecitata da Boston, ancora evitava di farsi coinvolgere. Le cose sarebbero presto cambiate , dato che come era uso degli indiani, a primavera Sassacus era pronto a lanciare i suoi guerrieri contro i coloni, per vendicare la distruzione del villaggio Pequot l’anno precedente. Alla fine di aprile una serie di raid furono lanciati dai Pequot e dai loro alleati che causarono la morte di una trentina di coloni in pochi giorni; l’attacco più grave fu condotto il 23 aprile contro Wethersfield dove circa 200 guerrieri Pequot e Wogunk (una tribù Mattabisec) uccisero sei uomini e tre donne, rapirono due ragazze e ammazzarono decine di capi di bestiame; due giorni dopo una canoa indiana con le due prigioniere, passava sotto Ft.Saybrook, mostrando i vestiti insanguinati dei coloni e venendo presa a cannonate dal forte. Per Sassacus però non si trattò di un successo, perché la scarsa presenza inglese non fu eliminata e diverse tribù alleate si rifiutarono di prendere iniziative contro i coloni. Rispetto a quanto accadeva negli stessi anni in Virginia, gli attacchi dei Pequot possono sembrare di limitata entità, ma per i coloni del New England, che da quindici anni avanzavano nella regione senza trovare resistenza, si trattava del più grave attacco mai subito, uno shock che diede un immediato impulso alla mobilitazione. Le colonie del Connecticut all’inizio di maggio dichiaravano una guerra offensiva contro i Pequot e dai tre villaggi il 10 dello stesso mese partivano novanta uomini e un centinaio di guerrieri Mohegan al comando di Uncas per raggiungere Ft.Saybrook; i Mohegan, per convincere il luogotenente Gardiner a fidarsi di loro, appena giunti al forte si impegnavano in uno scontro con i Pequot uccidendo cinque guerrieri. Dopo aver lasciato parte degli uomini a rinforzare la debole guarnigione di Ft.Saybrook, al comando del capitano Mason, Inglesi e Mohegan si mossero via mare per raggiungere un villaggio Pequot sul Mystic river, a est del forte; il 18 di maggio, trovando il villaggio preparato alla difesa, la spedizione decise di non prendere terra e continuare verso la baia di Narraganset, facendo credere ai Pequot che avevano rinunciato all’attacco, ma puntando invece Il fumo dell’incendio richiama i guerrieri Pequot a colpire il villaggio via terra, dopo
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aver raccolto altri guerrieri tra i Narraganset. Al villaggio Narraganset del capo Miantonomo altri 200 guerrieri si unirono alla spedizione, più un piccolo contingente di coloni giunto dal Massachusset guidato dal capitano Patrick, portando la forza complessiva a circa 400 uomini tra bianchi e indiani. Dopo la sosta al villaggio Narraganset, la spedizione mosse via terra, grazie alle guide indiane, raggiungendo il 26 maggio il villaggio fortificato dei Pequot sul fiume Mystic. Dal villaggio dopo aver visto gli Inglesi rinunciare all’attacco, molti guerrieri Pequot si erano allontanati per lanciare altre scorrerie contro i coloni della valle del Connecticut, e dei circa 700 abitanti presenti, la maggior parte erano donne e bambini; altri guerrieri Pequot erano al villaggio di Sassacus poche miglia nell’interno. Gli Inglesi e gli alleati indiani attaccarono in due diversi gruppi, guidati dai capitani Mason e Patrick; Mason attaccò per primo da nord, e trovata una forte resistenza decise di dar fuoco all’accampamento. Davanti all’incendio che distruggeva il villaggio, gli indiani per lo più donne e bambini si spostarono all’estremità meridionale, dove c’erano gli uomini di Patrick, e fu un massacro che lasciò pochi superstiti. Gli Inglesi poi si spostarono subito sulla costa, dove avevano appuntamento con le navi per tornare indietro, mentre il fumo dell’incendio richiamava altri guerrieri Pequot dal vicino villaggio e un grosso gruppo di guerra di ritorno da una scorreria; ci furono altri scontri con gli indiani lungo la costa, anche se molti guerrieri raggiunsero inutilmente il villaggio abbandonato, dando agli Inglesi il tempo per imbarcarsi; sulle navi comunque non c’era posto per tutti e molti dei loro alleati indiani si dovettero aprire a forza la via del ritorno, lasciando sul terreno diverse vittime. La battaglia del fiume Mystic fu una grave sconfitta per i Pequot, non solo per le centinaia di vittime, ma soprattutto per la perdita di prestigio rispetto alle altre tribù; i loro villaggi difesi da palizzate s’erano dimostrati trappole davanti agli Inglesi forniti di liquidi incendiari, e in breve la loro alleanza si sfaldò ed essi si trovarono isolati e braccati senza un luogo sicuro in cui fuggire. Durante il mese di giugno i Pequot senza scorte di cibo, si divisero in diversi gruppi; una parte cercò rifugio nell’interno, presso i Nipmuc, ma ai primi di luglio molti di loro furono catturati dai Narraganset e consegnata agli Inglesi del capitano Patrick, che uccise tutti gli uomini in età per combattere, mentre donne e bambini finirono sul mercato di schiavi di Boston; intorno al 10 luglio in un'altra battaglia contro i Narraganset altri Pequot furono uccisi o catturati, e quei poche che riuscirono a fuggire cercarono di riunirsi al gruppo guidato da Sassacus , che invece si era diretto a ovest, lungo la costa, dove era possibile trovare cibo per nutrirsi durante la fuga. Verso la metà di giugno, mentre attraversavano il fiume Connecticut, i Pequot trovarono e uccisero tre bianchi, lasciando due cadaveri appesi agli alberi, mentre il terzo portato dalla corrente, raggiunse Ft.Saybrook: era la conferma della presenza degli indiani in fuga, ciò che gli Inglesi aspettavano, perché non paghi di aver sconfitto i Pequot, volevano ormai eliminarli tutti. Una nuova campagna, a cui questa volta partecipò anche la colonia di Plymouth, fu organizzata per continuare la caccia ai fugiaschi Pequot, i quali avevano lasciato la costa e attraversato un breve tratto di mare per cercare rifugio tra i Metoac di Long Island; il capo dei Metoac però due giorni dopo la battaglia di Mystic si era recato a Ft.Saybrook, per offrire la propria alleanza, e non offrì alcun aiuto ai Pequot in fuga. Sassacus a quel punto guidò di nuovo la sua gente sulla costa del Connecticut, puntando a ovest, verso la foce dell’Hudson, dove forse sperava di trovare accoglienza dagli Olandesi. Ai primi di luglio la spedizione inglese partita da Ft.Saybrook all’inseguimento dei Pequot, raggiungeva Long Island dove aveva avuto notizia della presenza di Sassacus, e qui un capo dei Metoac informava gli Inglesi che i Pequot erano nella regione di Quinnipiac, alla foce dell’Hausatonic, una colonna di profughi che si muoveva lenta con donne, bambini e feriti al seguito; oltre alle informazioni gli Inglesi ottenevano anche l’aiuto di un gruppo di guerrieri Metoac. Le navi inglesi sbarcarono quindi un centinaio di soldati e un numero imprecisato di alleati indiani, proprio nelle vicinanze dei Pequot, con le cui retroguardia si La battaglia della palude di Sasqua
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ebbero i primi limitati scontri, poi il 15 luglio l’intera colonna fu bloccata presso una palude nel villaggio di Sasqua (Fairfield, Connecticut), abitato dai Pocquonnock, una tribù Mattabisec. I Pocquonnock avevano dovuto accettare l’arrivo dei Pequot, ma non volevano essere coinvolti, così riuscirono ad ottenere una tregua e dopo lunghe trattative fu concesso loro di lasciare il villaggio, insieme a donne, bambini e anziani Pequot; i guerrieri Pequot che non si aspettavano pietà non si arresero. La mattina dopo con una riuscita sortita parte dei Pequot spezzò l’accerchiamento, permettendo ad una parte dei guerrieri di fuggire e far perdere tracce, lasciando però dietro di se 180 indiani che finirono prigionieri e alcune decine di morti; alcuni dei fuggitivi furono co- Il teatro della Guerra dei Pequot munque uccisi pochi giorni dopo dagli ex alleati Wogunk, mentre cercavano di raggiungere la terra dei Mahican. Sassacus nel frattempo aveva lasciato il villaggio di Sasqua durante le ultime fasi della battaglia, e con una scorta di una ventina di guerrieri, aveva continuato la fuga verso le terre dei Mahican, una tribù affine, alleata degli Olandesi; i Mahican però a quel tempo non erano nelle condizioni di decidere in proprio le loro alleanze, perché dopo una dura sconfitta subita dai Mohawk erano divenuti loro tributari. Furono sicuramente i Mahican ad attaccare Sassacus e la sua scorta, ma quasi certamente l’ordine giunse dai Mohawk, che si stavano preparando ad aprire relazioni commerciali con gli Inglesi; la testa decapitata di Sassacus giunse prima ad Hartford, poi ai primi di agosto era a Boston, a sancire la vittoria contro i Pequot e a porre le basi per una futura e solida alleanza tra Inglesi e Lega Iroquois. Gli Inglesi comunque non si fermarono e ancora per mesi i Pequot furono la preda preferita sia per i coloni, sia per gli indiani che volevano ingraziarseli. Nel luglio del 1638, un anno dopo la guerra, il capo dei Niantic Orientali Nigrinet, lanciò un attacco contro i Montauk, un gruppo Metoac di Long Island, individuati come alleati dei Pequot, poi ancora nell’agosto dello stesso anno, il capitano Mason guidava Inglesi e Mohegan in un attacco contro un villaggio di Niantic Orientali, presso cui c’erano rifugiati Pequot. La guerra fu formalmente conclusa con un trattato firmato il 20 settembre 1638, tra le colonie inglesi e le tribù dei Narraganset e dei Mohegan: nel trattato gli Inglesi si riservavano i diritti sulla valle del Connecticut e il ruolo di mediatori tra le tribù della regione, mentre i Mohegan e i Narraganset si dividevano i superstiti Pequot che non erano già stati venduti come schiavi nelle piantagioni delle Indie Occidentali. La Guerra dei Pequot si era conclusa, la tribù non esisteva più e la “pax puritana” era stata ristabilita.
Il New England dopo la Guerra dei Pequot
Alla fine della Guerra dei Pequot tutti gli equilibri e le relazioni politiche che avevano caratterizzato i primi anni di colonizzazione furono ridefiniti, e nuovi protagonisti emersero e si imposero su quelli che erano stati gli attori della fase precedente: i mercanti di Boston, con i loro interessi, i Mohegan, una tribù che fino agli anni ’30 del ‘600 neanche esisteva, e infine la Lega Iroquois, che in ultima analisi pose fine al conflitto, con l’esecuzione del capo dei Pequot Sassacus. I mercanti di Boston, per interesse dei quali era iniziata colonizzazione della valle del Connecticut e la guerra contro i Pequot, si sostituirono ai loro compatrioti di Plymouth, con una politica nei confronti degli indiani molto più espansiva e aggressiva, che non si poneva il problema di cercare una prudente mediazione, attraverso una attenta diplomazia, ma imponeva con la forza i suoi diktat, favorita dalle storiche divisioni e rivalità tra le diverse tribù della regione. La necessità di una simile politica era legata alla diversa natura degli interessi economici dei coloni di Boston, che si avviava a diventare uno dei più floridi centri commerciali del Nord America, le cui attività si estendevano dal commercio sui mari, fino
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all’entroterra inesplorato del continente; a differenza dei primi coloni, che cercavano solo un po’ di terra da coltivare e in cui poter vivere in pace secondo la propria fede, e che quindi erano disposti ad un compromesso con i vicini indiani, gli immigrati giunti successivamente erano l’espressione dei cambiamenti sociali che attraversavano l’Inghilterra, e portavano ambizioni, aspettative e capitali, che non potevano trovare soddisfazione in un buon raccolto di mais. Nel commercio delle pellicce i puritani di Boston videro una grande opportunità di arricchimento; ma per realizzare tale opportunità era necessario il controllo del territorio, ben al di la della limitata striscia di terra lungo la costa, effettivamente occupata dagli insediamenti inglesi. Il commercio ovviamente faceva da apripista alla vera e propria colonizzazione, così come era avvenuto nella valle del Connecticut, dove dopo l’apertura di una stazione commerciale nel 1633, nel giro di tre anni erano sorti ben tre villaggi. La promozione di questo nuovo approccio nei confronti degli indiani, fu opera degli ambienti mercantili di Boston, ma ovviamente trovò piena adesione nelle neonate colonia del Connecticut, che di Boston erano una emanazione, e della colonia di Plymouth, che pure per buona parte della guerra dei Pequot si era rifiutata di intervenire. All’inizio degli anni ‘40 le tre colonie si costituirono in una alleanza, in cui il tema delle politiche nei confronti degli indiani era centrale, e non a caso tennero fuori i coloni del Rhode Island, dove le concezioni radicali di Roger Williams, sul diritto degli indiani alla terra, erano ovviamente inconciliabili con i fini espansivi di tale alleanza. Nel 1644, a fronte di un adeguato compenso economico, l’alleanza delle tre colonie inviò una spedizione militare nella valle dell’Hudson, per sostenere gli Olandesi in guerra con le tribù locali. Di fatto gli Inglesi che al tempo dei primi coloni di Plymouth si erano limitati ad inserirsi, pur con forza e decisione, nelle relazioni intertribali, facendosi garanti della pace regionale attraverso l’asse con i vicini Wampanoag, dopo la Guerra dei Pequot si sovrapposero da dominatori a tutte le tribù della regione, addirittura offrendo i loro “servizi di polizia” a pagamento, anche ai rivali commerciali Olandesi. Con un simile approccio e dopo la dimostrazione esemplare di cui i Pequot erano stati vittima, nei trent’anni successivi, la penetrazione commerciale e la costruzione di insediamenti proseguì senza ostacoli secondo tre direttive: dagli insediamenti della costa del Massachusset verso le zone più interne; lungo la valle del Connecticut, fino alle zone interne dell’attuale Massachusset, e infine lungo le coste, a nord verso il New Hampshire e il Maine, a sud verso la foce dell’Hudson e le colonie olandesi. Intorno agli anni ’60 del ‘600, le vicende politiche legate alla Rivoluzione Inglese, diedero un ullteriore impulso all’emigrazione dalla madrepatria, e a quel punto la quantità dei coloni, l’estensione della terre da loro occupate e la vastità dei loro interessi commerciali erano tali, da entrare in collisione con i vicini olandesi, e con i Francesi sul San Lorenzo e in Acadia. Con gli Olandesi la questione fu chiusa nel 1665 con l’occupazione incruenta della loro capitale Nieuw Amsterdam, rinominata New York, con i Francesi invece le cose furono molto più complicate e causarono ben quattro conflitti in meno di ottant’anni. Il successo degli Inglesi non fu comunque tutta opera loro, e così come la Guerra dei Pequot fu vinta con il determinante contributo di alleati indiani, anche il successivo ordine regionale fu imposto con il determinante contributo di una tribù alleata, i Mohegan. Alla fine della Guerra dei Pequot due tribù firmarono da vincitrici gli accordi con gli Inglesi, i Mohegan e i Narraganset, ma delle due una era destinata ad emergere, i Mohegan, che avevano subito stretto alleanza con i coloni del Connecticut, e attraverso loro con Boston, mentre i Narraganset, dati i loro rapporti con il radicale e sospetto eretico Roger Williams, furono presto messi ai margini. I Mohegan di fatto non fecero che riproporre, amplificandole, le politiche di dominio e controllo sulle vicine tribù, precedentemente praticate dai Pequot, con la differenza che mentre i Pequot trattavano con i partners commeciali olandesi su un piano di totale parità, i Mohegan divennero lo strumento dei loro alleati inglesi, nelle relazioni con le altre tribù. Così essi raccoglievano tributi in pelli e wampum, con cui commerciavano con gli Inglesi, e non esitavano in caso di mancato pagamento dei tributi a vendere le terre delle tribù sottomesse, permettendo così agli Inglesi di impossesDavid Wagner, storico e pittore, ha così immaginato il capo dei Mohegan sarsi legalmente delle terre degli indiani, senza curarsi degli effettivi Uncas, di cui non ci sono ritratti diritti dei Mohegan a vendere tali terre. Ovviamente i Mohegan colla-
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boravano militarmente con gli Inglesi per ogni necessità, facevano pressioni sulle tribù perché accettassero richieste di cessioni di terre da parte degli Inglesi, oltre a garantire ai loro alleati informazioni su quanto accadeva nei villaggi indiani, permettendo un’efficacie controllo e la repressione preventiva di ogni possibile rivolta. In cambio di ciò i Mohegan ottenevano armi, merci di valore e anche quell’alcool che da sempre alimentava il commercio illegale. E’ su questo tipo di alleanza che si fonda il mito romantico della lealtà, al centro del romanzo “L’ultimo dei Mohicani”. Il terzo soggetto che emerse come protagonista dopo la Guerra dei Pequot è la Lega Iroquois, i cui interessi politici e commerciali spaziavano in una vasta regione che andava dalla Pensylvania a sud, alla valle del San Lorenzo a nord, e che dopo aver sconfitto i Mahican (diversi dai Mohegan) dell’alta valle del fiume Hudson, si erano sostituiti a loro nel commercio di pellicce con gli Olandesi. Gli Iroquois, e i Mohawk in particolare, erano sempre stati in rapporti ostili con le tribù Algonquian del New England, ma con il commercio delle pelli di castoro, la competizione sui territori di caccia si fece ancora più aspra, e dopo i Mahican essi iniziarono a premere sulle tribù limitrofe, i Sokoki dell’attuale Vermont, i Pennacook del New Hampshire, i Pocuntuk del Massachussett occidentale e dell’alta valle del Connecticut. Queste tribù si trovarono così pressate a ovest dall’aggressività degli Iroquois, a est dall’avanzare dei coloni inglesi. A partire dal 1640, dopo che i Mohawk avevano omaggiato i mercanti di Boston della testa mozzata del capo Sassacus, i mercanti si resero conto che il grande affare del commercio di pelli di castoro, necessitava di aperture verso i ricchi territori di caccia dell’ovest, il cui accesso era controllato dai Mohawk e dagli Iroquois; iniziò così un tentativo di sottrarre clienti agli Olandesi, vendendo agli Iroquois, non solo asce, coltelli e lame di metallo, ma anche armi da fuoco. Con quelle armi gli Iroquois si scatenavano contro i nemici indiani, comprese le tribù del New England e anche quelle che si erano poste sotto la protezione inglese; dopo l’occupazione di Nieuw Amsterdam da parte degli Inglesi, questi si sostituirono definitivamente agli Olandesi, dando vita ad una duratura e salda alleanza con la Lega Iroquois, che sarebbe continuata fino alla fine del periodo coloniale. Per circa quarant’anni, questi tre soggetti, Inglesi, Mohegan e Lega Iroquois, in sostanziale collaborazione, impedirono che il malessere degli indiani si trasformasse in aperta ribellione e che le tribù ancora non sottomesse, tentassero di fare argine alla penetrazione dei bianchi. Furono decenni caratterizzati dal costante timore degli attacchi degli Iroquois, da periodici conflitti intertribali, dalla diffusione tanto dell’alcool, quanto del cristianesimo, e di continua perdita delle terre. Le tribù divise e le leadership tribali a volte corrotte, sempre inadeguate, non vollero ne seppero imporsi alla progressiva spoliazione delle proprie terre. Quando infine un leader giunse a raccogliere la rabbia e la frustrazione degli indiani, l’intero New England sarebbe giunto quasi alla distruzione.
Sotto il tallone inglese
L’azione coincidente di Inglesi, Mohegan e Iroquois impedì alle tribù del New England qualsiasi resistenza e ed esse si trovarono a confrontarsi con i vincitori della Guerra dei Pequot, ognuna da sola, senza neanche la possibilità di concepire una strategia comune, alla progressiva spoliazione delle terre. Il dramma peggiore fu ovviamente quello dei Pequot, il cui numero era quasi dimezzato, forse poco più di 1.500 individui, che furono divisi tra i vincitori Narraganset e Mohegan. Non sappiamo quale fu il destino di quanti vissero fra i Narraganset, ma è probabile che dopo le prime difficoltà essi si siano inseriti nella tribù, processo che potrebbe essere stato facilitato dai Niantic, una parte dei quali era alleata dei Narraganset, mentre l’altra era insieme agli sconfitti Pequot. Sappiamo invece per certo che fu terribile il destino della maggioranza dei superstiti, affidati ai Mohegan, che li vessarono e li fecero lavorare come schiavi, anche perché gli Inglesi pretendevano risarcimenti per i danni di guerra. Paradossalmente comunque, dopo quasi vent’anni furono proprio gli Inglesi ad intervenire per proteggere i Pequot superstiti, garantendo loro nel 1655 una piccolo area nell’est del Connecticutt, che poi nel 1663 fu divisa in due piccole riserve. I Pequot cessarono comunque di esistere come tribù autonoma e dovettero partecipare come subalterni a tutte le guerre in cui i Mohegan furono impegnati negli anni successivi. Un’altra tribù che scomparì in quegli stessi anni fu quella dei Massachusset, che dopo essere stati falcidiati dalle malattie, si erano fatti cristiani e avevano visto le loro terre occupate dai coloni; raccolti in un certo numero di piccole comunità e noti come “Praying Indians”, ad essi si unirono altri indiani cristiani, che vivevano poveramente ai margini degli insediamenti inglesi. Le ultime notizie su di loro riguardano un attacco ad un loro villaggio presso Boston da parte dei Mohawk nel 1655 e poi nel 1659 una spedizione di guerra condotta dal loro capo Wampatuck contro il villaggio Iroquois di Gandouagu;
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i “praying indians”, assediarono inutilmente il villaggio, poi sulla via del ritorno caddero in un agguato e subirono molte perdite. Questa fu l’ultima occasione in cui un capo Massachusset, guidò la sua tribù in una azione decisa autonomamente. Gli Wampanoag, che erano stati i protagonisti nei primi anni della coloMissionario puritano tra gli indiani del New England nizzazione, si tennero in disparte durante la Guerra dei Pequot e sotto la guida del capo Massassoit, continuarono a mantenersi in pace con i coloni di Plymouth e con gli altri insediamenti che progressivamente spuntavano sulle loro terre. I coloni aumentavano di numero, e con essi le malattie che uccidevano gli indiani e l’alcool, particolarmente dannoso per i nativi. Anche per contrastare la diffusione dell’alcool, intorno al 1650 tra gli Wampanoag iniziò a diffondersi il cristianesimo, e questo permise una gestione delle tensioni con i bianchi che impedì lo scoppio di violenze; sulle isole di Martha’s Vineyard e Nantucket, il mercante Thomas Matyhew che vi si era insediato nel 1641, riuscì a convertire al cristianesimo gli indiani locali, senza pretendere di stravolgere la loro cultura, e diede vita ad una collaborazione che si mantenne poi pacifica per decenni, fino alla progressiva integrazione delle due comunità nel corso del tempo. Spesso però i coloni non erano così lungimiranti, si comportavano con arroganza e si prendevano le terre migliori, ma fino alla morte di Massassoit, avvenuta nel 1660 non ci furono violenze, e nella speranza di favorire la pace nel futuro, prima di morire Massassoit volle che i suoi due figli prendessero nomi cristiani, Alessandro e Filippo. Alla morte di Massassoit, il figlio Wamsutta (Alessandro) divenne capo, ma è probabile che egli avesse idee diverse dal padre e le cose cambiarono; non ci sono dati certi e non è chiaro il contesto, ma Wamsutta morì, ufficialmente di “febbre”, dopo aver partecipato ad un banchetto a Plymouth, e dai registri delle colonia risulta in quei giorni l’acquisto di veleno “to rid ourself of a pest”. Toccò a Metacom, che gli Inglesi chiamavano re Filippo, prendere il suo posto, e il suo nome non fu mai dimenticato nella storia del New England. Migliore fu il destino dei Nauset, anch’essi in buona misura convertiti, ma che vivendo isolati sulla penisola di Cape Cod, di scarso interesse per i coloni, vissero in pace sulle loro terre, in buoni rapporti con gli Inglesi. I Narraganset avevano combattuto a fianco dei Mohegan e degli Inglesi contro i Pequot e il loro intervento nella guerra era dovuto sia alla tradizionale ostilità con questa tribù, sia all’opera di Roger Williams, che da loro aveva acquistato terra per fondarvi la colonia di Providence. I Narraganset continuarono a mantenere ottimi rapporti con Williams, che però non era in buoni rapporti con le altre colonie; d’altra parte i Narraganset non erano in buoni rapporti con i Mohegan, da cui per anni, quando erano parte dei Pequot , si erano dovuti difendere. Così dopo la fine della guerra, sia Roger Williams che i Narraganset, si trovarono in una condizione di isolamento, e all’inizio degli anni ’40 il capo Miantonomo, che insieme a Canonicus guidava la tribù, cercò di promuovere un’alleanza contro i Mohegan, visitando i Mattabisec e le tribù della valle dell’Hudson. L’iniziativa ebbe scarso seguito, ma le tensioni con i Mohegan crebbero e quando nel 1644, questi inviarono guerrieri agli Inglesi per sostenere gli Olandesi contro gli indiani della valle dell’Hudson, Miantonomo, insieme agli alleati Niantic, decise di attaccare il principale villaggio Mohegan, Shetucket. La battaglia fu lunga, ma alla fine i Mohegan ebbero la meglio, e lo stesso Miantonomo fu fatto prigioniero; i Mohegan lo consegnarono agli Inglesi di Hartford, perché fosse processato per aver infratto il trattato del 1638, che imponeva di non fare guerra senza il consenso inglese. Per gli Inglesi processare un amico e alleato dei coloni di Rhode Island, poteva essere un problema; la decisione ufficiale fu per il rilascio del capo, che sarebbe stato scortato fai Mohegan fino al sui villaggio; probabilmente l’accordo segreto fu che Miantonomo doveva essere ucciso da mano indiana e fuori dalla giurisdizione inglese. Poco dopo usciti da Hartford il fratello del capo dei Mohegan Uncas, uccise con un colpo di tomahawk Miantonomo, e ovviamente a Boston e a Hartford,
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nessuno ebbe nulla da obbiettare. Saputo dell’assassinio, l’altro capo Canonicus e il fratello minore di Miantonomo Pessicus, tentarono di organizzare la vendetta, ma a quel punto intervennero gli Inglesi che minacciarono l’intervento militare, e imposero ai Narraganset un gravoso tributo. La tribù che era stata una delle più potenti della regione, era ormai anch’essa sotto il tallone degli Inglesi e degli alleati Mohegan; nel 1647 anche il capo Canonicus moriva, e gli succedeva il figlio Canochet, che nel 1655, per risolvere il problema del gravoso tributo di wampum imposto dagli Inglesi, tentò di sottomettere i Metoac di Long Island, i principali produttori di wampum, ma gli Inglesi ormai si erano stanziati anche a Long Island, e Canochet fu costretto a rinunciare. Durante tutta questa vicenda si mantenne l’amicizia di tutti i capi Narraganset, nei confronti di Roger Williams, che continuò ad acquistare terreni dagli indiani, mentre la colonia cresceva senza tensioni interne. I Niantic Orientali, avevano accolto fra di loro i superstiti dei Niantic Occidentali, e in alleanza con i Narraganset di Miantonomo, si erano battuti contro i Mohegan, ma il loro capo Nigrinet, pur mantenendo per tutta la vita la rivalità con Uncas e rimanendo alleato dei Narraganset, riuscì a evitare conflitti con gli Inglesi. Il piccolo territorio da loro occupato, lungo la costa al confine tra Connecticut e Rhode Island, non fu pressato dal- L’assassinio del capo Miantonomo l’avanzata dei coloni e questo permise loro di vivere relativamente in pace nei decenni successivi alla Guerra dei Pequot. I Metoac di Long Island, non avevano alcuna unità politica, e per questa ragione avevano subito il dominio dei Pequot, quindi quello dei Mohegan e le minacce dei Narraganset, tutti interessati ad appropriarsi della loro ricchezza, i wampum, fatti con le conchiglie che abbondavano sulle loro coste, dalle mani esperte delle loro donne. Le bande orientali alla fine preferirono porsi sotto la tutela inglese e alcuni coloni furono accolti sulle loro terre; rispetto ai loro parenti delle bande occidentali, che vivevano nella zona di influenza olandese, questi Metoac non ebbero altri problemi, se non quello di dover produrre wampum, che i mercanti inglesi impiegavano nel commercio delle pellicce. Completamente diversa la vicenda dei Mattabisec, un gruppo di piccole comunità indiane, poco unite politicamente, che erano già state sottoposte ai Pequot; stanziate proprio nella valle del Connecticut, che in quegli anni vedeva sorgere nuovi insediamenti Inglesi, una parte di essi si unì ai vicini Wappinger della bassa valle dell’Hudson, quando nel 1643 essi iniziarono a combattere gli Olandesi, pagando un duro prezzo in vite umane. Tutte le tribù poi erano sotto il tallone dei Mohegan che imponevano tributi e che nel 1654 vendettero le terre lungo il fiume Connecticut dei Massaco, assorbendo la comunità al loro interno. Altri gruppi come i Sicaog, i Pocquonnock ecc, per sfuggire al dominio dei Mohegan, tentarono di unirsi ai Pocuntuk che vivevano a nord, che essendo sotto attacco dei Mohawk, avevano bisogno di aiuto. Tra il 1658 e il 1659 ci fu quindi un breve conflitto, in cui i Mohegan attaccarono i Pocuntuk, imponendo loro di non dare alcun sostegno ai Mattabisec che si recavano presso di loro. A ovest del fiume Connecticut, alla foce dell’Housatonic, nel 1638 era stata fondata la colonia di New Haven, e negli anni successivi i coloni si presero tanta di quella terra, che nel 1659 i Paugusset e altri gruppi locali, inviarono al governo coloniale una richiesta di avere un po’ di terra in cui vivere, che fu concessa istituendo la prima riserva della storia. Solo lungo l’alto corso del fiume Housatonic, libero dai coloni, trovò rifugio quanto restava di tante piccole bande Mattabisec, almeno fino alla fine del secolo. Simile fu la condizione dei Nipmuc, che vivevano nelle zone interne a ovest di Boston e degli altri villaggi inglesi del Massachusset, che dovettero vendere parte del loro territorio nel 1643, 1644 e 1655, oltre alle terre che vennero occupate illegalmente; ancor più dei Mattabisec i villaggi Nipmuc non avevano alcuna unità politica, non vi erano leader autorevoli, e non ci fu alcun tentativo di opporsi alle minacce inglesi e dei loro alleati Mohegan. I Nipmuc furono anche interessati dall’attività missionaria del pastore John Elliot, che aveva coinvolto i vicini Massachusset, e anche fra di loro furono istituite comunità di “praying indians”. I Pocuntuk vivevano nell’interno, lungo il medio corso del Connecticut, e fino ai primi anni ’30 del ‘600
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il loro unico contatto con i bianchi era stata una terribile epidemia che aveva provocato centinaia di morti; quando gli Inglesi fondarono il posto commerciale di Windsor, poco a sud delle loro terre, essi iniziarono a commerciare con loro, come avevano fatto prima con gli Olandesi, sempre passando attraverso il controllo degli intermediari Mohegan. Il loro problema era comunque l’aggressività delle tribù Iroquois Mohawk e Oneida, a cui si opposero in alleanza con i Mahican, i Sokoki e i Pennacook, ma senza poter contare su alcun sostegno degli Inglesi, interessati al commercio con i Mohawk e subendo anche gli attacchi dei Mohegan nel 1658-59, per aver offerto rifugio ai Mattabisec; i Pocuntuk reagirono attaccando un villaggio Mohegan , ma alla fine dovettero rinunciare all’alleanza con i Mattabisec. All’inizio degli anni ’60 gli attacchi dei Mohawk si fecero più aspri e continui, giungendo a colpire fino agli Abnaki del Maine e anche le tribù che vivevano nella zona di Boston. Nel 1663 la situazione era talmente grave, che i Pocuntuk chiesero agli Olandesi di mediare una pace, senza alcun esito; l’anno successivo il principale villaggio dei Pocuntuk sul fiume Connecticut, nei pressi dell’attuale Deerfield, fu attaccato da una grande spedizione di guerra Mohawk, e benchè gli attaccanti fossero respinti, le perdite erano state tali, che i Pocuntuk chiesero ai Mohawk di trovare un accordo. I Mohawk accettarono di aprire trattative, ma una loro delegazione in viaggio per incontrare i capi Pocuntuk, cadde in un agguato di guerrieri Sokoki, o forse Mahican, che non volevano permettere ai Pocuntuk di uscire dall’alleanza, trattando una pace separata. Ovviamente la guerra riprese con virulenza da ambo le parti, ma i Pocuntuk non erano più in grado di continuare a vivere nella valle del Connecticut, e in gran parte alla fine degli anni ’60 si spostarono, in maggioranza a nord presso i Sokoki e a est presso i Pennacook, altri verso sud e l’alto corso dell’Housatonic con i Mattabisec. La tribù era ormai divisa e i pochi Pocuntuk che rimasero nelle loro terre, negli anni successivi videro sorgere diversi villaggi inglesi; i Mohawk, che avevano preparato il terreno all’avanzata inglese, si limitarono a mantenere i loro tributi sugli indiani che ancora vivevano nella regione, mantenendo buoni rapporti con gli Inglesi. Un destino simile fu quello dei Pennaccok, che avevano sempre cercato di mantenere la pace con gli Inglesi sotto la guida del loro capo Passaconaway. I primi Inglesi si erano insediati sulle loro terre già negli anni ’20 del ‘600, ma dal 1638 la presenza si fece più stabile e continua. Un incidente accadde all’inizio degli anni ’40, quando alcuni Pennacook entrarono in possesso di armi da fuoco, quasi certamente attraverso il commercio illegale con i coloni, e una inchiesta per capire chi aveva venduto armi non diede alcun esito; il risultato fu che a Boston si convinsero che i Pennacook avevano ottenuto armi dai Francesi, attraverso i vicini Abnaki e Sokoki. Per punire i Pennacook cercarono di arrestare il capo Passaconaway, che riuscì a fuggire, e presero quindi in ostaggio suo figlio Wannacelet, rilasciato solo nel 1644. La questione della diffidenza inglese verso i Pennacook per timore di rapporti con i Francesi, continuò a caratterizzare la situazione. All’inizio degli anni ’50, quando i Mohawk e gli altri Iroquois iniziarono a colpire le tribù del New England, emissari francesi effettivamente visitarono la regione, per promuovere e sostenere una alleanza di Pocuntuk, Mahican, Sokoki, Abnaki e anche i Pennacook vi aderirono, ottenendo armi e sostegno. Ciò però non impedì loro di continuare a evitare guai con gli Inglesi, accettando di vendere loro terra nel 1652, 1655, 1656, fin quando nel 1669 Passaconaway si ridusse ad- L’avanzata dei coloni nel New England, intorno al 1670
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dirittura a chiedere agli Inglesi un po’ di terra garantita per la sua gente. Molti Pennacook avevano anche accettato di farsi cristiani, dopo la predicazione tra di loro del missionario John Elliot. Gli Inglesi comunque non si fidavano dei Pennacook, per i loro rapporti con tribù alleate dei Francesi, e soprattutto facevano affari con i Mohawk, che attaccavano i Pennacook. Nel 1669 il capo Passaconaway moriva, e a lui succedeva suo figlio Wanacelet, che tentò di continuare la politica del padre; ciò che si preparava comunque avrebbe reso i suoi sforzi inutili. Abnaki e Sokoki (anche noti come Abnaki Occidentali), vivevano più lontani dalle colonie del New England, e salvo alcuni gruppi sulla costa meridionale del Maine, ebbero pochi scambi diretti con gli Inglesi, e quei pochi si limitavano ad un po’ di commercio. Le terre da loro abitate si stendevano tra le colonie francesi di Acadia e della valle del San Lorenzo, e il New England. Fu in questi anni che la loro collocazione nello scenario dei conflitti coloniali fu decisa: se gli Inglesi erano interessati al commercio e all’alleanza con John Elliot, missionario fra gli indiani del i nemici Iroquois, Abnaki e Sokoki non potevano che unirsi ai loro New England, che imparò l’Algonquian e vicini settentrionali, Micmac, Algonquin e Montagnais, nell’alle- scrisse sermoni nella lingua degli indiani anza con i Francesi. Nel secolo successivo avrebbero rappresentato una minaccia continua sulla frontiera del New England. Divise, sottomesse, con una popolazione in costante declino per l’alcool e le malattie, nel mezzo secolo successivo all’arrivo dei Padri Pellegrini con la Mayflower, le tribù indiane del New England stavano progressivamente divenendo straniere a casa loro, costrette a mendicare un po’ di terra in cui poter vivere, mentre tutt’intorno a loro sorgevano villaggi e fattorie dell’uomo bianco. E’ difficile immaginare che la resa alle richieste di terra, la rinuncia alla loro religione e il progressivo adattamento al mondo dei bianchi, potesse in qualche modo preservarle dalla totale distruzione. Questo era forse ciò che speravano i “riformatori” come Roger Williams e i missionari come John Elliot, ma lungo una simile pacifica strada le insidie erano troppe, e presto la “questione indiana” nel New England, avrebbe trovato soluzione solo in un bagno di sangue.
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I MERCANTI OLANDESI Dai wampum a Wall Street
Il 1609 fu un anno importate per gli abitanti dei Paesi Bassi, una delle regioni più ricche e dinamiche d’Europa, dove il commercio fioriva insieme a nuove idee di libertà e tolleranza. Quell’anno, dopo quaranta lunghi anni di conflitto con gli Asburgo di Spagna, a cui la regione era formalmente sottoposta, finalmente la maggiore potenza militare dell’epoca era stata costretta a firmare una tregua di dodici anni, accettando di fatto l’indipendenza di quelle terre, costituitesi nel 1581 in Repubblica delle 7 Province Unite. Quello stesso anno un navigatore inglese di nome Henry Hudson, che i mercanti olandesi avevano inviato a cercare un passaggio per le Indie Orientali, viaggiando a nord-est, oltre la Scandinavia e la Russia, tornò portando notizie di una terra ricchissima e bella, a ovest oltre l’Atlantico, una terra in cui fare un grandi profitti acquistando pelli pregiate a poco prezzo dagli indiani. L’Olanda era stata uno dei centri più attivi del commercio e della manifattura europea fin dal medioevo, dove si era sviluppata una borghesia mercantile, che aveva prodotto le proprie autonome istituzioni cittadine; non era però giunta al punto di costituirsi come entità politica indipendente, ed era rimasta come parte del Sacro Romano Impero, per poi passare sotto i re di Spagna, quando questi avevano assunto il titolo di imperatori. La ricca provincia imperiale aveva mantenuto ampia autonomia anche sotto gli Asburgo, ma la situazione si modificò quando gli Olandesi in gran parte aderirono alla Riforma Luterana, e vennero a conflitto con Filippo II d’Asburgo, cattolico fervente e in prima linea nella lotta contro gli eretici. Fu così che nel 1581 gli Olandesi decisero di prendere nelle proprie mani il loro destino, e dopo aver cercato un re, e averne trovato uno che non era di loro gusto, decisero di costituirsi in repubblica, eleggendo presidente Guglielmo d’Orange, un nobile che era stato l’eroe della resistenza contro gli Spagnoli. Poi erano stati anni di guerra per l’indipendenza, ma mentre sulla terraferma continuavano le battaglie, i ricchi mercanti olandesi investivano le loro risorse nella costruzione di una flotta mercantile e militare, tale da permettere loro tanto di colpire gli interessi spagnoli sul mare e nelle lon- I mercanti, la nuova classe dirigente dei Paesi Bassi
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tane colonie, quanto di prendersi il proprio spazio nella competizione fra le grandi potenze europee per il commercio e il dominio delle Indie Orientali. In quel 1609 la lunga tregua finalmente imposta alla Spagna apriva un periodo di pace, e le notizie riportate da Hudson, assolutamente impreviste, essendo inizialmente egli partito in direzione opposta rispetto all’America, crearono le condizioni perché anche gli Olandesi si unissero a Spagna, Portogallo, Inghilterra e Francia nella corsa al dominio del Nuovo Mondo. Gli Olandesi erano gli ultimi arrivati nella corsa al nuovo continente, le cui terre note erano ormai quasi tutte occupate, o quanto meno pretese, dai monarchi d’Europa: gli Spagnoli erano padroni del Messico e occupavano la Florida, vantando pretese su tutte le regioni costiere comprese fra i due domini, gli Inglesi erano presenti a nord della Florida, in Virginia, ed avevano già tentato avventure più a nord, lungo le coste del Maine e a Cape Cod, mentre i Francesi operavano già da qualche anno ancora più a nord, tra la Nova Scotia e la foce del San Lorenzo. Rimaneva solo un tratto di costa, tra la baia di Chesapeake e Cape Cod, la zona che quando nel 1607 il re d’Inghilterra aveva diviso le competenze coloniali americane tra le compagnie commerciali gemelle di Plymouth e di Londra, non era stata assegnata in esclusiva a nessuna delle due. Quelle erano le terre esplorate da Henry Hudson, sulle quali nessuno ancora aveva posto la sua bandiera. Gli indiani non avevano bisogno di piantare bandiere per considerare quella terra la loro, ci vivevano da secoli, se non da millenni, ma da qualche anno la loro vita era turbata da notizie inquietanti che giungevano da nord e da sud, su genti sconosciute che venivano dal mare con grandi vascelli, e portavano asce, coltelli e armature di un materiale più duro e resistente della pietra e bastoni in grado di evocare il potere del tuono. A sud alcuni di loro solo l’anno prima si erano stabiliti in un villaggio, nelle terre dei Powhatan, e altri avevano fatto lo stesso a nord, tra i Micmac, i Montagnais, gli Abnaki. Anche lungo le loro coste s’erano visti occasionalmente i grandi vascelli, la prima volta quasi un secolo prima, nel 1524, quando Giovanni da Verrazzano aveva risalito il corso del fiume, che poi sarà conosciuto come Hudson; altri erano venuti negli anni successivi e spesso avevano rapito gli indiani, caricati a forza sulle loro navi e mai più tornati. L’anno prima del viaggio di Henry Hudson, un uomo bianco di nome John Smith, aveva lasciato il suo villaggio appena fondato nelle terre dei Powhatan, per esplorare la regione, e si era spinto a nord fino alle terre dei Susquehannock, rimanendo impressionato per l’altezza e la prestanza fisica dei guerrieri di questo potente popolo. I Susquehannock erano a quel tempo una forte confederazione di almeno venti grandi villaggi, circondati da palizzate, lungo il corso del fiume Susquehanna e dei suoi affluenti, che esercitava influenza e aveva l’alleanza di altre piccole tribù della regione, anch’esse di lingua Iroquaian. I Susquehannock erano un popolo di agricoltori sedentari, ma non erano certo pacifici contadini, e le loro spedizioni di guerra erano una minaccia costante per i vicini di lingua Algonquian, abitualmente meno coesi e meno aggressivi: a sud i Piscataway, i Nanticoke e i Powhatan, questi ultimi riunitisi in confederazione anche per difendersi dai loro attacchi; altre tribù di lingua Algonquian vivevano a nord dei Susquehannock, le tre tribù alleate dei Lenape (Unaimi, Unalachtigo, Munsee, più tardi conosciute come Delaware), tra i fiumi Hudson e Delaware, i Metoac da cui giungevano i pregiati wampum, sull’isola di Long Island, i Wappinger, oltre il basso corso dell’Hudson, i Mahican sull’alto corso dello stesso fiume, e tutte temevano i Susquehannock , da cui si difendevano solo grazie alla forza dei numeri, dato che i Susquehannock, benchè coesi e bellicosi, non potevano da soli dominare tutte le piccole tribù che li circondavano. Anche questi Algonquian erano agricoltori che vivevano in villaggi stabili, ma abitualmente non li circondavano di palizzate e stagionalmente li abbandonavano per recarsi a pescare lungo le coste, o magari durante i duri mesi invernali, quando il cibo scarseggiava e le famiglie si disperdevano per cacciare. Più a ovest, sulle propaggini settentrionali dei monti Appalache e verso i laghi Erie e Ontario, vivevano genti simili ai Susquahannock, anch’essi di lingua Iroquaian, gli Honiasont, gli Erie, i Wenro e cinque tribù (Seneca, Cayuga, Onondaga, Oneida e Mohawk) di recente riunitesi in una alleanza, una Lega, che non temeva i Susquehannock Un giovane indiano Munsee, in un disegno e ne contrastavano l’egemonia. di un colono olandese risalente al 1645 Tutte queste tribù non erano state coinvolte da quanto accaduto
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lungo le coste del Nord America, da Terranova alla Florida, dove a partire dai primi decenni del ‘500, merci europee e distruttive malattie epidemiche, si erano diffuse in egual misura, portando all’aumento della conflittualità tribale la prima, e alla devastazione demografica le seconde. La valle del fiume Hudson era invece attraversata da attivi scambi, che avevano al centro i wampum prodotti dalle popolazioni della costa, i Metoac in particolare; i wampum di tribù in tribù giungevano fino ai Gradi Laghi, mentre attraverso la stessa via, dall’interno e dai Grandi Laghi, altre merci raggiungevano la costa, in particolare il prezioso rame nativo usato per fabbricare monili e ornamenti. La valle dell’Hudson, come quella del San Lorenzo, era una grande arteria di comunicazione verso l’interno, ma a differenza di quella, essa non era spopolata e contesa da tribù in guerra, ma fittamente popolata da un gran numero di tribù, culturalmente affini e tendenzialmente pacifiche. Queste genti, che già avevano costituito una estesa rete di traffici, si preparavano ad incontrare i più intraprendenti e pratici tra i mercanti europei, uomini che non erano interessati alla conquista di un impero, a insediarsi su nuove terre per colonizzarle, ne tanto meno a portarvi la fede nel “vero Dio”, ma solo a fare scambi commerciali, comprando a poco nelle terre del Nuovo Mondo, per vendere con profitto in Europa. Come i Francesi, sarebbero divenuti i partners commerciali degli indiani, ma a differenza dei Francesi, che riuscirono a costruire alleanze durature con molte tribù, l’iniziativa coloniale olandese, fu costellata di guerre, inutili crudeltà e repentini cambi di alleanza nel rapporto con le diverse tribù. Forse la ragione di ciò va ricercata nella natura stessa della colonizzazione olandese, più legata all’immediato interesse commerciale, che a una visione politico-strategica generale; a conferma di ciò c’è il fatto che per circa 30 anni, le elites commerciali olandesi si mostrarono tendenzialmente contrarie a favorire una vera e propria emigrazione nel nuovo continente, considerato per lungo tempo solo una base commerciale. Malgrado una ridotta presenza di coloni comunque, lo sviluppo dei commerci imposto dagli Olandesi con grande dinamismo, in pochi anni produsse tali e tanti sconquassi, da determinare conseguenze fino nelle zone più remote del continente. Questa era cinque secoli fa, la situazione dell’area che oggi è il cuore dell’impero americano, dalla capitale Washington, sul margine meridionale del territorio dei Susquehannock, alla più rappresentativa delle città americane, New York, nel punto di contatto tra le terre dei Lenape, dei Wappinger e dei Metoac. Ed è curioso ricordare La regione interessata dalla colonizzazione olandese che la via più famosa del mondo, “Wall Street”, prende questo nome proprio in quell’epoca lontana, quando dove oggi sorge la borsa di New York, un muro fu costruito dai coloni olandesi, per difendersi dalla furia degli indiani. Che quel luogo che doveva costituire la difesa della capitale del commercio olandese in America, sia oggi il simbolo stesso del “mercato” nel mondo è certamente una singolare coincidenza.
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Gli Olandesi nella valle dell’Hudson La ricerca di una via per le Indie Orientali che evitasse la circumnavigazione dell’Africa, non guardava solo verso l’Atlantico, alla ricerca del Passaggio a Nord-Ovest, ma anche a nord-est dell’Europa, oltre la Scandinavia e la Russia, la cui estensione a est e a nord era allora in larga misura ignota; la speranza era che una volta superate le fredde latitudini della Norvegia, una via marittima si aprisse in direzione sud verso la Cina e le Indie. A puntare su questa possibilità erano specialmente quegli ambienti in rapporto commerciale con la Russia, dalle cui immense foreste prima della scoperta dell’America, giungevano gran parte delle pelli pregiate; particolarmente interessata era la Muscovy Company di Londra, che aveva il monopolio del commercio con la Russia e già nella seconda metà del ‘500 aveva finanziato esplorazioni lungo le coste settentrionali della Siberia. Proprio per conto della Muscovy Company nel 1607 e 1608, il navigatore Henry Hudson aveva attraversato i mari a nord della Scandinavia, tra la Groellandia a ovest e la Novaya Zemlya a est, ma sempre i suoi tentativi si era arenati sulla banchisa ghiacciata, che neanche le temperature estive scioglievano. Nel 1609 mercanti Olandesi, concorrenti degli Inglesi nel commercio con la Russia, incaricarono Hudson di un altro viaggio alla ricerca del Passaggio a Nord-Est, e ancora una volta la nave di Hudson fu bloccata dai ghiacci poco a est di Capo Nord. Questa volta però Hudson invece di far ritorno alla base, di propria iniziativa volse la prua a ovest verso l’Atlantico, per l’ennesima ricerca del Passaggio a Nord-Ovest. A quell’epoca gran parte della costa Atlantica era stata esplorata e più di un tentativo di cercare una via oltre Terranova era fallito, sempre a causa della calotta polare artica, che a est come a ovest, bloccava la naviga- Il navigatore Henry Hudson, uno dei protagonisti zione. Giunto all’inizio di luglio del 1609 a Terranova, della ricerca del Passaggio a Nord-Ovest Hudson invece di continuare a navigare in direzione nord-ovest, decise di piegare a sud, nella convinzione che se un canale per il Pacifico c’era, doveva trovarsi nel tratto meno noto della costa, a sud della frequentata zona di pesca di Terranova, a nord delle regioni occupate dagli Spagnoli. Seguendo questa ipotesi la sua nave si ancorò alla metà di luglio sulle coste della Nova Scotia, presso l’attuale località di Le Have, dove gli abitanti del vicino villaggio Micmac, li accolsero cordialmente sperando di commerciare come erano usi fare con i Francesi che frequentavano la regione; Hudson e i suoi uomini rifiutarono ogni rapporto, stando alla fonda per dieci giorni nella località, poi prima di partire l’intera ciurma scese a terra con un cannone, massacrò gli indiani e portò vie le pelli che loro volevano scambiare. Dopo questo atto esemplare Hudson continuò verso sud, passando per Cape Cod e navigando fin quasi all’imbocco della baia di Chesapeake, in Virginia, dove gli Inglesi avevano da poco fondato Jamestown, poi riprese verso nord, sempre alla ricerca di un canale che si aprisse lungo la costa. Dopo aver esplorato la baia di Delaware, il 3 settembre la nave raggiunse la foce del fiume che oggi porta il nome del navigatore, nella località dove sorge New York, e Hudson si convinse che il grande fiume poteva essere la via che cercava verso l’Oriente. Prima di iniziare la risalita del fiume, gli uomini di Hudson ebbero i loro primi contatti con gli indiani, e non furono buoni. I Lenape, i Wappinger e i Metoac che abitavano la regione, avevano già avuto qualche esperienza con le navi di passaggio, avevano subito rapimenti e uccisioni, e quando la nave era a Sandy Hook, sulle coste del New Jersey un gruppo di Navasink (Unaimi-Lenape), lanciò frecce contro i marinai, senza fare danni. Tre giorni dopo, quando Hudson aveva già iniziato a risalire il fiume ed era nella zona di Manhattan, una delle barche inviate in esplora-
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zione si perdette nella nebbia, e quando finalmente la nebbia si levò, dalla barca gli uomini videro avvicinarsi alcune canoe di indiani, Wappinger probabilmente; i marinai presi dal panico, spararono per primi e uno degli uomini della scialuppa, John Colman, fu trafitto a morte dalle frecce e altri due feriti, poi gli indiani scomparirono e i superstiti poterono tornare alla nave. Dopo questa accoglienza Hudson riuscì ad organizzare un incontro con un capo Wappinger, offrendogli regali, ma il clima rimase teso. Il viaggio proseguì risalendo il fiume, e trovando una sempre migliore accoglienza dalle tribù dell’interno, che non avevano mai avuto contatti con i bianchi e si mostravano fiduciose, ammirate e desiderose di commerciare; i Munsee all’arrivo della nave spezzarono archi e frecce in segno di pace. Arrivati ai villaggi dei Mahican il livello dell’acqua non permetteva un’ulteriore avanzata, e dopo qualche giorno di sosta, impegnati a scambiare le poche merci di cui gli Olandesi disponevano con pregiate pelli di castoro, il 23 settembre Hudson iniziò a discendere il fiume per attraversare di nuovo l’Atlantico. Lungo la via ci furono ancora incidenti con gli indiani: un Munsee sorpreso a rubare e inseguito a terra, fu l’occasione per una sparatoria nel corso della quale un indiano rimase ucciso; quando poi la nave giunse alla foce, canoe di guerrieri Wappinger la inseguirono e molestarono, finchè non raggiunse il mare. In ottobre dopo sette mesi di navigazione egli era di nuovo in Europa, e contro ogni aspettativa, essendo partito per tutt’altra direzione, egli portava non solo notizie di possibili commerci in America, ma un carico di pelli pregiate comprate al costo di un’ascia o di un coltello. Henry Hudson non tornò più lungo il fiume che porta il suo nome; nel 1610, sotto la bandiera inglese, era di nuovo in viaggio alla ricerca del Passaggio a Nord-Ovest, e questa volta per spingersi fin dove mai nessuno era giunto: superata Terranova, costeggiò il Labrador, fino a raggiungere l’immensa baia che porta il suo nome, e qui finalmente potè iniziare a navigare verso sud, convinto di aver finalmente trovato la via per il Pacifico. Giunse l’inverno e i ghiacci ricoprirono la baia, costringendo la nave a interrompere le esplorazioni, poi quando finalmente i ghiacci iniziarono a sciogliersi, e la navigazione poteva riprendere il suo equipaggio stanco di privazioni e di stenti, si ammutinò e fece ritorno in Inghilterra. Con pochi fedeli, una scialuppa e qualche provvista, Henry Hudson finì abbandonato in un luogo ignoto, lungo la costa orientale di quel mare interno che fu il primo Europeo a visitare. Morì certamente sicuro di aver trovato il leggendario Passaggio a Nord-Ovest, e la morte gli risparmiò l’ultima delusione: se avesse continuato a navigare lungo la costa, avrebbe scoperto che non c’era altra via che il nord, fin quando ancora una volta il ghiaccio l’avrebbe bloccato. Non c’era alcun canale ma solo un’immensa baia, con l’unica apertura rivolta verso i ghiacci polari. Hudson regalò agli Olandesi i possedimenti americani che essi non s’attendevano, non avendo concepito alcun progetto di colonizzazione o conquista e nemmeno inviato spedizioni esplorative e commerciali nel Nuovo Mondo. In ogni caso il carico di pelli parlava chiaro e l’interesse dei pratici mercanti olandesi, si tradusse nell’invio di una serie di missioni esplorative, che tra il 1610 e il 1614 visitarono le coste tra gli attuali Massachusset e Maryland, commerciando con gli indiani. Adriaen Block fece diversi viaggi, visitò le coste del Connecticut e del Rhode Island, risalì i fiumi Hausatonic e Connecticut fin dove anni dopo gli Olandesi avrebbero costruito Ft.Hoop, e delle regioni visitate disegnò anche una carta geografica. Le navi olandesi si fermavano solo per i mesi estivi, commerciavano con gli indiani, poi ripartivano, ma un uomo giunto come interprete al seguito di un mercante, fu il primo abitante non indiano di New York. Si chiamava Juan Rodriguez, era nato ai Caraibi, di padre portoghese e madre africana, e nell’inverno 1613-14, sposò una donna Juan Rodriguez, il primo residente non indiano di Manhattan, in un acquerello indiana, e si stabilì sull’isola di dell’illustratore afroamericano contemporaneo Charles Lilly
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Manhattan, in una piccola stazione commerciale abbandonata, con un piccolo tesoro di 80 asce, pochi coltelli, una spada e un moschetto. Non ci sono notizie della sua vita, ma uno o due anni dopo la sua attività fu oggetto di denuncia proprio da Block, per l’eccessivo prezzo che grazie a lui gli indiani riuscivano a spuntare per le proprie pelli. Un caraibico, metà latino, metà africano, sposato ad un indiana, giunto su una nave olandese, sulla terra dove sorse una delle prime e più grandi metropoli multietniche, è un’altra curiosa coincidenza della storia di New York. L’attività commerciale olandese, oltre agli occasionali incontri con le tribù costiere incontrate durante le esplorazioni, aveva il suo centro tra i Mahican dell’alta valle dell’Hudson che avevano amichevolmente accolto la prima spedizione; le navi risalivano il fiume, evitando contatti con le tribù del basso corso sempre tendenzialmente ostili, fino alla terra dei Mahican, una alleanza di cinque tribù, che raccoglieva una quarantina di villaggi, tutti fortificati a causa della ostilità con i vicini Mohawk e le altre tribù della Lega Iroquois. Era nell’interno il territorio più ricco di castori, la pelle più pregiata e apprezzata, e i Mahican erano la tribù che controllava l’accesso alle regioni dell’interno, per cui nell’estate del 1614 il capitano e mercante Hendrick Christiaensen, decise di costruire Ft.Nassau la prima stazione commerciale olandese, a Castle Island, un isola lungo il corso dell’Hudson, nei pressi dell’attuale Albany, nel cuore del territorio dei Mahican. Secondo alcune fonti sul luogo scelto vi erano le rovine di una stazione commerciale francese, forse risalente addirittura ai tempi di Cartier, testimonianza però che non concorda con quanto ci è noto sulla presenza Francese nell’area; Ft.Nassau non era solo una stazione commerciale, ma un vero e proprio avamposto militare, difeso da una piccola guarnigione di dodici uomini. Durante l’inverno gli Olandesi, ansiosi di ampliare i loro commerci, si trovarono coinvolti nelle relazioni tra le tribù della regione, vennero a contatto con i vicini Mohawk, riuscendo anche a mediare una fragile tregua tra loro e i Mahican, che permisero ai Mohawk di passare sulle loro terre, pagando un pedaggio, per poter commerciare a Ft.Nassau. Intuendo l’importanza dei rapporti con i Mohawk, attraverso cui si raggiungevano le altre tribù della Lega, gli Olandesi decisero di suggellare le buone relazioni, inviando tre loro uomini insieme con una spedizione di guerra Iroquois, contro i Susquehannock: i tre Olandesi furono presi prigionieri e riscattati qualche mese dopo da un altro mercante, Cornelius Hendrickson, impegnato a esplorare la regione del fiume Delaware. I Mohawk comunque si avvantaggiarono delle armi ottenute, sconfiggendo i Munsee e obbligandoli a versare un tributo in pelli e wampum. La vita di Ft.Nassau fu piuttosto precaria dato che già nel 1617 una inondazione distrusse la struttura; egualmente precaria era la pace tra Mohawk e Mahican: i primi mal sopportavano di dover pagare un tributo per commerciare a Ft.Nassau, i secondi erano preoccupati per la crescita di potere e aggressività dei loro vicini e atavici nemici; in quello stesso 1617 le due tribù riprendevano le ostilità. Nel 1618, dopo aver ricostruito Ft.Nassau, gli Olandesi riuscirono a mediare una nuova pace tra le due tribù, che resse fino al 1624; Ft. Nassau invece, pochi mesi dopo essere stato ricostruito, fu ancora una volta distrutto da una inondazione e definitivamente abbandonato. Gli Olandesi comunque continuarono a commerciare nella regione, estendendo i loro traffici dalla valle del Connecticut a nord, al fiume Delaware a sud, commerciando con i Lenape, i Mahican, i Mohawk, i Mattabisec, i Pequot, fino ai lontani Narraganset. Solo con le tribù del basso Hudson, i Wappinger in particolare, i rapporti rimasero ostili, come testimoniato dalla morte del capitano Christiaensen, ucciso nel 1619 con la sua ciurma mentre discendeva il fiume. Nel 1621 fu fondata ad Amsterdam la Compagnia delle Indie Occidentali, che da allora ebbe il monopolio su tutte le attività commerciali e sulla colonizzazione della Nuova Olanda, come Ft.Nassau in un quadro del pittore contemportaneo Len Tantillo furono chiamati i possedimenti
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americani; due anni dopo veniva stabilito il posto commerciale di Ft.Hoop sul fiume Connecticut, nei pressi dell’attuale Hartford. I mercanti di Ft.Hoop furono anch’essi coinvolti nelle rivalità tribali, scontrandosi con i Pequot, che avevano imposto il loro monopolio sul commercio alle altre tribù, e dopo che i Pequot ebbero lanciato un attacco agli indiani venuti a commerciare al forte, e poi distrutto lo stesso forte, gli Olandesi si adattarono a commerciare attraverso l’intermediazione esclusiva dei Pequot. A differenza di altri Europei, gli Olandesi più che a dominare e sottomettere gli indiani, erano interessati ai loro commerci, e piuttosto che infilarsi una guerra indiana dagli esiti imprevisti, preferirono subire lo scacco imposto dai Pequot. Nel frattempo gli Inglesi avevano fondato la colonia di Plymouth, poco a nord della zona pretesa dagli Olandesi, che di fronte al rischio perdere i loro diritti, si decisero ad inviare un piccolo gruppo di coloni, per fondarvi insediamenti permanenti. Nell’estate del 1624, circa un centinaio di coloni raggiunsero la foce dell’Hudson, per conto della Compagnia delle Indie Occidentali, ma invece di rimanere unite e fondare un villaggio, come era prassi, i coloni furono divisi in piccoli gruppi e inviati nelle zone interessate dal commercio, per garantire, con la loro presenza, le pretese olandesi. Un piccolo gruppo fu inviato a sud, sul fiume Delaware, dove fu costruita la stazione commerciale di Ft.Wilhelmus nel 1625, altri a nord, alla foce del Connecticut, una trentina ritornarono ai villagi Mahican sull’Hudson, dove costruirono Ft.Orange, nei pressi del vecchio Ft.Nassau, mentre un altro piccolo gruppo rimase alla foce dell’Hudson, dove nel 1625 fu costruito Ft.Nieuw Amsterdam, embrione originario della futura New York. Nasceva così la Nuova Olanda, che completava l’occupazione europea di gran parte della costa dell’Atlantico, da Terranova alla Florida; era passato mezzo secolo da quando Pedro Menendez de Avila aveva preso possesso della Florida in nome della corona di Spagna, e ora tutte le principali potenze europee, avevano stabilito la loro testa di ponte sul nuovo continente. Presto lo scontro tra questo potenze sarebbe esploso, scatenando un secolo di guerre ai confini del mondo conosciuto, e gli Olandesi sarebbero stati i primi a dover rinunciare alle loro pretese, ma prima che ciò accadesse, anche loro avrebbero dato un contributo al massacro degli indiani: e non fu dei meno rilevanti.
Nieuw Amsterdam
Come i Francesi, gli Olandesi più che a una vera e propria colonizzazione dei loro possedimenti americani, e quindi al possesso della terra, erano interessati alle pregiate pellicce e a stabilire stazioni commerciali nei luoghi strategici, in cui esse potevano essere scambiate vendendo agli indiani manufatti europei. A differenza però dei Francesi, che sotto la guida di Champlain seguirono una coerente politica di partnerariato commerciale e alleanza politico-militare con alcune tribù, anche scontando l’ostilità di altre, riuscendo però così ad ottenere una fedeltà da parte degli indiani che sarebbe durata oltre un secolo e mezzo, gli Olandesi si mossero in modo contraddittorio, più attenti all’utile immediato, che non ad una strategia di medio periodo. Questa assenza di una organica politica di alleanze con le tribù indiane, si traduceva spesso in manifeste debolezze, quando la necessità di non interrom- New Amsterdam, intorno al 1630 pere i commerci li obbligava a compromessi che ne ledevano l’autorevolezza, Già nel 1623 poco dopo l’apertura della stazione commerciale di Ft.Hoop, sul Connecticut, tali limiti furono palesi. All’inizio il mercante olandese del forte, si oppose alla pretesa dei Pequot di imporre il loro monopolio sul commercio alle altre tribù, giungendo a prendere in ostaggio un indiano della tribù, e uccidendolo, dato che i Pequot per la sua liberazione, non pagarono il riscatto richiesto in pelli, ma in wampum; quando i Pequot infuriati attaccarono e bruciarono la stazione commerciale, gli Olandesi pre-
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ferirono non reagire, inviarono un nuovo commerciante più disponibile e accettarono di riconoscere ai Pequot l’esclusiva dell’intermediazione con le altre tribù. L’anno successivo un altro grave errore fu commesso nell’alta valle dell’Hudson, dove da anni gli Olandesi cercavano di evitare che i loro commerci fossero danneggiati dall’ostilità tra i Mahican e i Mohawk, Ft.Orange in un quadro del pittore contemportaneo Len Tantillo atavici nemici, mediando periodicamente difficili tregue tra le due tribù. Nel 1624, dopo quindici anni di intensa predazione, tanto il territorio dei Mahican, quanto quello dei Mohawk, iniziavano a mostrare un calo della selvaggina disponibile; quello stesso anno gli Olandesi erano tornati nella regione per stabilirvi un piccolo insediamento di una trentina di famiglie e il nuovo Ft.Orange; per garantirsi un buon afflusso di pelli dalle più ricche regioni del nord, i mercanti convinsero i Mahican a fare da intermediari con le tribù Algonquian della valle del San Lorenzo, sperando di fare concorrenza ai Francesi che operavano con le tribù di quella regione. I Mahican, il cui territorio di caccia era quello più impoverito, e che mal accettavano la pace con i Mohawk, a cui erano stati obbligati, ovviamente accolsero la proposta, ma i Mohawk vedevano le cose diversamente: da decenni essi combattevano Algonquin e Montagnais per il controllo della valle del San Lorenzo, e l’ipotesi che i loro nemici potessero essere riforniti di armi dai loro stessi partner commerciali, non era accettabile. Quello stesso anno i Mohawk, con il sostegno della Lega Iroquois, iniziarono una nuova guerra contro i Mahican, che fu il primo di una serie di distruttivi conflitti tribali, che si protrassero per 40 anni, portando alla distruzione di intere tribù, all’emigrazione di molte altre, e infine all’affermazione della Lega Iroquois come la principale potenza regionale, temuta dai Francesi, rispettata dagli Inglesi. Fallito il tentativo di mediare un’ennesima tregua tra Mahican e Mohawk, gli Olandesi non ebbero esitazioni a schierarsi con i primi, con cui da anni erano in rapporto, e nel cui territorio era Ft.Orange. Nel 1626 il comandante del forte, Krieckbeck, insieme a sei soldati, si unì ai Mahican in una spedizione di guerra, ma caduti in un agguato a poco più di un miglio dal forte, lui e tre dei suoi uomini furono uccisi, e la loro morte fu celebrata dai Mohawk con un banchetto, la cui pietanza principale erano i cadaveri degli Olandesi. Come era già accaduto per i Pequot, di fronte alla brutale reazione indiana, il governatore di Nieuw Amsterdam preferì non reagire, ed evacuati gli Olandesi da Ft.Orange, proclamò la neutralità nel conflitto, lasciando i fedeli Mahican a vedersela con i terribili nemici. La guerra tra Mohawk e Mahican, nel territorio che era il cuore degli affari olandesi, ebbe conseguenze in tutta la regione: dopo Ft.Orange, Ft.Wilhelmus e il piccolo insediamento alla foce del Connecticut furono anch’essi evacuati, e tutti i coloni si riunirono a Nieuw Amsterdam, dove nel 1626 il nuovo governatore Peter Minuit aveva acquistato l’isola di Manhattan a poco prezzo dalla locale banda dei Metoac; la presenza olandese oltre che a Nieuw Amsterdam, rimaneva solo nella stazione commerciale di Ft.Hoop sul Connecticut, garantita dagli alleati Pequot. Il conflitto fra Mahican e Mohawk e la forzata neutralità olandese, indebolirono il commercio, che si ridusse alle regioni meno ricche di castori, lungo il Connecticut, sul basso corso dell’Hudson, e sul basso corso del Delaware, dove nel 1627 fu costruito un altro Ft.Nassau. I rapporti con le tribù indiane più vicine si erano un po’ normalizzati, per la necessità che ogni tribù aveva di commerciare, oltre che per il fatto che poco più di un centinaio di coloni, tutti riuniti a Nieuw Amsterdam, non rappresentavano certo una minaccia. I Metoac di Long Island erano una tribù pacifica e probabilmente non erano nemmeno una vera e propria tribù, quanto un insieme di comunità che condividevano la stessa isola, ma parlavano due dialetti diversi, i gruppi occidentali più affini ai Lenape e ai Wappinger, quelli orientali ai Narraganset e ai Pequot. La loro principale ricchezza erano i pregiati wampum da loro fabbricati, e
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proprio per ottenere il controllo dei wampum, gli Olandesi offrivano alle bande occidentali più vicine le loro merci, scambiando poi i wampum con pregiate pelli; i Pequot invece dopo aver attaccato le bande orientali dei Metoac, imposero loro un tributo da pagare in pregiati wampum. Le altre tribù con cui gli Olandesi mantenevano rapporti erano i Lenape (Munsee, Unaimi, Unalachtigo), i cui territori di caccia non erano i più ricchi, e che si trovavano costantemente sotto la minaccia delle più Peter Minuit acquista l’isola di Manhattan (cartolina celebrativa dei primi del ‘900) aggressive e unite tribù Iroquaian, i Susquehannock e la Lega Iroquois, in lotta fra loro, ma ognuna con pretese di dominio sulle tribù Algonquian. Più difficili erano i rapporti con i Wappinger, con cui vi era ostilità fin dai tempi di Hudson; anch’essi aprirono relazioni commerciali con gli Olandesi, ma nel 1626 un incidente rinfocolò le antiche tensioni: un capo dei Wecquasgeak, una banda Wappinger che viveva nelle vicinanze di Nieuw Amsterdam, in visita nella città, fu ucciso e derubato, mentre suo nipote riuscì a fuggire. La cosa sul momento non ebbe conseguenze, ma il giovane nipote del capo non si rassegnò e continuò per anni a meditare vendetta. A nord dei Wappinger, i Mattabisec erano sottoposti all’autorità dei Pequot, che raccoglievano pellicce anche dalle tribù dell’interno, mentre lungo la costa i mercanti olandesi si spingevano fino alle terre dei Narraganset; nel 1627 da Nieuw Amsterdam alcuni rappresentanti Olandesi fecero visita ai coloni di Plymouth, per garantirsi da ogni ingerenza inglese nel commercio nella regione: il successo dell’iniziativa diplomatica fu comunque di breve durata. In generale gli Olandesi erano scarsamente interessati alla terra, privilegiando il commercio, ma quando l’esigenza di piccole cessioni di territorio si poneva, la differenza tra la cultura mercantile degli Europei e quella comunitaria degli indiani, dava luogo a incomprensioni ed equivoci, che spesso avevano conseguenze drammatiche. Gli Olandesi non contestavano la proprietà della terra agli indiani, e nella maggior parte dei casi, essi la ottenevano pagando, ovviamente il prezzo più basso possibile; poi dopo aver pagato, consideravano la terra loro esclusiva proprietà. Agli indiani il concetto di vendita della terra era incomprensibile: gli indiani non possedevano la terra, la usavano, ed erano disposti a condividerla, con chiunque si mostrasse amico o alleato; quindi il fatto di ricevere merci dagli Olandesi, dal loro punto di vista, non equivaleva a rinunciare all’uso della terra, e quello che per gli Olandesi era un “prezzo” da pagare, per gli indiani era un dono, con cui si mostrava la propria buona disposizione, e si otteneva ospitalità, in una terra straniera. Gli indiani usavano una forma di relazione “civile” tra gli umani, che mal si adattava alla barbarie del capitalismo mercantile. Ma questo non era l’unico equivoco: dato che gli indiani non “possedevano” la terra, non si curavano di avere diritti di proprietà; accadeva così che gli Olandesi pagassero per acquistare della terra, il cui uso era rivendicato da altre comunità tribali, ignare della transazione… le quali ovviamente non erano disposte a garantire nessun uso esclusivo agli Olandesi. L’isola di Manhattan acquistata a poco prezzo da Peter Minuit, era al confine tra le terre dei Wappinger, dei Metoac e degli Unaimi, che non si erano mai curate di sapere chi ne fosse il proprietario. Nei primi anni della vita di New Amsterdam la presenza dei coloni era comunque talmente limitata e circoscritta, che anche i piccoli focolai di tensione non produssero conseguenze; l’emigrazione dall’Olanda era infatti quasi nulla. L’Olanda all’epoca era una terra ricca, che da poco aveva raggiunto l’indipendenza, i cui abitanti non erano disposti a tentare la fortuna in una terra ai confini del mondo, lavorando poi alle dipendenze della Compagnia delle Indie Occidentali, che imponeva le sue condizioni. A differenza di quanto accadeva in Inghilterra, che usciva da una lunga crisi economica durata fin quasi alla fine del ‘500, che veniva superata attraverso radicali trasformazioni economiche e sociali e drammatici scontri politici, il cui prodotto di risulta era una quantità di individui sradicati dal vecchio modello
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sociale, e pronti anche a sfidare l’ignoto per cercare un futuro, nell’opulenta Olanda, mancava la carne da macello da mandare sulla Frontiera. I primi coloni giunti nel 1624 erano in gran parte Valloni, oltre a un certo numero di schiavi africani, che assunsero poi la condizione di “semi-liberi”; anche quando l’emigrazione crescerà negli anni successivi la maggior quota sarà di Valloni, Ugonotti francesi, Tedeschi, Scandinavi, oltre a Inglesi, provenienti dalle colonie del New England, che gli Olandesi a corto di coloni, accoglievano. La guerra tra i Mohawk e i Mahican si concluse nel 1628, con la vittoria dei primi; i Mahican dovettero accettare un ruolo di alleati subalterni, mentre i Mohawk divenivano i referenti commerciali degli Olandesi, e il fiume Mohawk affluente dell’Hudson, dove erano i loro villaggi, diveniva la via per i traffici con il lago Ontario e le altre tribù della Lega. Ristabilita la pace, i mercanti olandesi tornarono a Ft.Orange, poi l’anno successivo la Compagnia delle Indie Occidentali, per cercare di dare impulso alla colonizzazione, stabilì delle “licenze di patronaggio”, con le quali si garantiva il diritto ad acquistare terra dagli indiani, e stabilire una sorta di dominio feudale sulle terre acquistate, in cambio dell’impegno a garantire il trasferimento di Presenza olandese in America e incidenti con gli indiani un certo numero di famiglie di emigranti. In conseguenza di tale iniziativa nel 1630 Killaen van Rensselaer iniziava la colonizzazione della zona intorno a Ft.Orange, dove sarebbe stato fondato il villaggio di Beverwyck, mentre altri mercanti ottennero licenze alla confluenza del fiume Hudson e lungo le coste del New Jersey che nel corso degli anni ’30 videro nascere altri piccoli insediamenti e fattorie. Le terre per le nuove colonie ovviamente erano state acquistate dagli Olandesi, ma per le ragioni già spiegate, l’acquisto a poco prezzo non garantiva dai rischi di conflitti; spesso tali conflitti nascevano da questioni banali, come la presenza del bestiame dei bianchi, che andava a pascolare nei campi degli indiani, e che gli indiani consideravano normale uccidere per poi cibarsene. Almeno in un caso questi incidenti ebbero conseguenze tragiche: una delle licenze di patronaggio era stata assegnata per la fondazione di una colonia sulla costa della baia di Delaware, e nel 1631 una trentina di Olandesi si stabilirono sulla terra acquistata dai locali indiani Unalachtigo e vi costruirono Ft.Swaaneandael; la colonia ebbe però breve vita perché nel 1636 in seguito ad una lite per un banale incidente, un capo locale fu assassinato, e gli indiani in risposta, massacrarono l’intera comunità, dopo essersi presentati al forte facendo mostra di propositi pacifici. L’anno successivo altri coloni che dovevano stabilirsi a Ft. Swaanendael, rinunciarono e si recarono a Nieuw Amsterdam. Malgrado le iniziative delle Compagnia Occidentale delle Indie, l’afflusso di coloni nella Nuova Olanda rimaneva insufficiente; mentre in New Engrand e in Virginia i coloni inglesi alla metà del ‘600 erano ormai molte migliaia, nella Nuova Olanda essi erano poche centinaia: troppo pochi per garantire le pretese su un territorio che si estendeva dalla valle del Connecticut a quella del Delaware. Anche i Francesi non erano in grande numero, ma le loro colonie non erano a immediato contatto con quelle inglesi, e potevano contare su una cintura di fedeli alleati indiani, che gli Olandesi non ebbero mai. Nel 1635 dalla Virginia un gruppo di Inglesi raggiunse la valle del Delaware e occupò per breve tempo Ft.Nassau, prima che il governatore di Nieuw Amsterdam Wouter van Twiller riuscisse a scacciarli. L’anno successivo gli Inglesi del New England iniziavano la guerra contro i Pequot, con cui gli Olandesi commer-
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ciavano, ma a cui non diedero alcun sostegno; il risultato fu che dopo la loro sconfitta, tutta la valle e le zone costiere del Connecticut, entrarono a far parte del New England, senza che gli Olandesi facessero alcuna opposizione. Nel 1638 poi, guidati dall’ex governatore di Nieuw Amsterdam Peter Minuit, i rappresentanti di un’altra potenza europea, la Svezia, giunsero ad accampare diritti in America, ponendo le loro basi alla foce del fiume Delaware, e aprendo subito rapporti con i Susquehannock della regione; questa volta la provocazione era veramente grande, ma gli Olandesi non poterono nemmeno tentare di contrastare i nuovi arrivati. Poche settimane dopo, giungeva il nuovo governatore Willem Kieft, e con lui sarebbe esplosa una crisi nei rapporti con gli indiani, tale da mettere a rischio la stessa esistenza di Nieuw Amsterdam.
La “politica indiana” del governatore Kieft
Minacciati dall’espansionismo dei concorrenti inglesi e svedesi, poco attrattivi per gli emigranti, i possedimenti olandesi in Nord America erano anche considerati troppo costosi dai mercanti di Amsterdam, a causa delle spese necessarie per garantirne la difesa e i regali con cui si cercava di mantenere la buona disposizione dei capi tribali. Comunque se la colonia era in difficoltà, proprio i mercanti che governavano la Compagnia delle Indie Occidentali, rischiarono di distruggerla definitivamente, inviando come nuovo governatore l’uomo giusto per la catastrofe. Si chiamava Willem Kieft, non era mai stato in America, non sapeva nulla di indiani, e aveva ottenuto l’incarico per appoggi famigliari e clientelari: la sua missione era quella di ridurre i costi dell’amministrazione e della difesa coloniale. Giunto a Nieuw Amsterdan nella primavera del 1638, il nuovo governatore penso bene di affrontare il risanamento di bilancio della colonia nel modo più semplice: imporre un tributo, in pelli, wampum o mais, a tutte le vicine tribù. Ovviamente nessuno dei capi delle tante comunità Wappinger, Unaimi e Metoac che vivevano nelle vicinanze degnò nemmeno di risposta tale decisione, ma la cosa cambiò radicalmente la disposizione degli indiani, che nei quindici anni precedenti, malgrado occasionali tensioni, nel complesso erano stati amichevoli. La richiesta di tributi non si applicava comunque ai Mohawk e ai Mahican, i principali fornitori di pelli a cui non fu chiesto nulla; al contrario questi importanti e temuti partners commerciali andavano trattati con grande attenzione, visto il rischio che essi potessero rivolgersi ai concorrenti inglesi. Questi infatti commerciavano nella valle del Connecticut, avendo sostituito gli Olandesi dopo la Guerra dei Pequot, e se i Mahican si erano ingraziati gli Inglesi uccidendo il capo dei Pequot Sassacus, erano stati i Mohawk a inviarne la testa a Boston, come dono e auspicio per amichevoli e proficui rapporti. Gli Inglesi colsero l’occasione e a partire dal 1640, per acquisire nuovi clienti, ruppero il patto tacito che almeno formalmente era rispettato da tutti i mercanti europei, circa il divieto di vendita di armi da fuoco agli indiani; asce, coltelli, punte di freccia erano le uniche armi che potevano essere vendute, e se un po’ di commercio illegali di armi da fuoco c’era sempre stato, esso non bastava ad armare una intera tribù. Di fronte al rischio di perdere i loro fornitori di pelli e alla crisi dei commerci, il governatore Kieft non cercò in alcun modo di fermare l’iniziativa inglese, ma avvallò la prassi dei mercanti di Ft.Orange, che iniziarono anch’essi a vendere armi da fuoco agli indiani, in quantità sempre maggiori. Il gran numero di armi da fuoco, a cui abitualmente si univa l’alcool, fece esplodere le tensioni tribali e la competizione sui territori di caccia: le conseguenze furono disastrose in tutta la vasta regione dei Grandi Laghi, ma anche nella valle dell’Hudson, la situazione si fece più tesa. Le tribù della basse valle dell’Hudson erano marginali nel grande affare del commercio delle pellicce, ma nel loro territorio si producevano e circolavano un gran numero di wampum, all’epoca usati come monete corrente, anche per acquistare armi: i Munsee e i Wappinger si trovarono così a subire le pressioni dei Mohawk e dei Mahican che chiedevano loro i wampum, e senza neanche poter acquistare armi da fuoco con cui difendersi, dato che gli Olandesi di Nieuw Amsterdam non le vendevano agli indiani loro vicini. In questa difficile situazione l’imposizione di un tributo da parte del governatore di Nieuw Amsterdam, era una ulteriore minaccia che schiacciava le tribù tra l’aggressività dei vicini settentrionali e le pretese dei bianchi. A complicare ulteriormente la situazione, sempre nel 1640 la Compagnia delle Indie Occidentali, rinunciava al proprio monopolio sulla colonia, aprendo la possibilità di nuove iniziative economiche e l’arrivo di nuovi emigranti; Kieft si trovava così nelle migliori condizioni per approfittare di questo nuovo corso, ma purtroppo per lui non godeva dell’appoggio dei coloni. La politica indiana di Kieft era il contrario di quella fino ad allora attuata, basata sulla convivenza e il commercio, che aveva permesso
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Willem Kieft (a sinistra) governatore di New Amsterdam e David Pietersz de Vries (a destra), presidente del consiglio della colonia. I due avevano idee diametralmente opposte rispetto alla politica nei confronti degli indiani.
15 anni di pace; in più Kieft, non avendo ottenuto alcun risultato con la sua richiesta di un tributo, cercava un’occasione per aprire il conflitto: per ottenere il tributo richiesto, nel 1639 Kieft aveva inviato una nave armata nel villaggio dei Tappan (Unaimi) e questi furono obbligati a pagare, ma l’anno successivo , una altra nave veniva attaccata dai Raritan, un altro gruppo Unaimi. La maggior parte dei coloni la vedeva diversamente da Kieft: Nieuw Amsterdam a quel tempo non era come Jamestown o Boston, dove ogni anno arrivavano centinaia di emigranti, ansiosi di prendersi il loro spazio, i coloni di Nieuw Amsterdam erano pochi, non più di 800 e gli Olandesi erano appena la metà, più o meno tutti coinvolti nel commercio indiano, e la terra di cui necessitavano riuscivano ad ottenerla a poco prezzo; questo spiega il lento decorso di questa guerra, anticipata da tre gravi incidenti, ognuno dei quali poteva bastare a suscitare una vera e propria sollevazione. Nel 1640 il furto di alcuni maiali dalla fattoria di David de Vries, un cittadino autorevole della colonia, fu addebitato ai Raritan, che furono attaccati dai soldati nel loro villaggio di Staten Island, avendo diverse vittime; i Raritan replicarono immediatamente attaccando la fattoria di de Vries, dove uccisero quattro lavoranti. De Vries era comunque uno dei più convinti oppositori della guerra agli indiani, e forse anche per questo gli Olandesi non reagirono militarmente; tra l’altro c’era il forte sospetto che il furto fosse stato commesso da altri coloni. Kieft decise comunque di dichiarare una guerra di sterminio contro i Raritan, che si risolse in una taglia per ogni testa di Raritan che gli fosse stata portata. Ne giunse una sola, portata da alcuni guerrieri Metoac, che tempo prima avevano avuti una disputa con i Raritan. Questa vicenda è ricordata come “Guerra dei maiali”. Nell’agosto dell’anno successivo, un guerriero Wecquasgeack decise di riparare un vecchio debito di sangue; si trattava del nipote di un sachem ucciso a Nieuw Amsterdam 15 anni prima, poco dopo la fondazione della città. Sfuggito agli assassini di suo zio, dopo quindici anni decise di vendicarsi, uccidendo un colono di origine svizzera. Malgrado la pronta iniziativa degli anziani Wecquasgeak, che cercarono di evitare il conflitto, Kieft nel marzo del 1642 inviò un contingente armato al villaggio indiano, che però non riuscì a trovare nessuno; i Wecquasgeak erano fuggiti a nord, verso il territorio dei Munsee, mentre il colpevole dell’omicidio aveva abbandonato la tribù e fatto perdere le sue tracce. Anche questa volta la guerra era stata evitata per poco, certamente per la volontà degli indiani, ma anche per quella di gran parte dei coloni. Poco tempo dopo un altro incidente coinvolse gli Hackensack, un altro gruppo Unaimi, quando il figlio di un capo fu prima indotto ad ubriacarsi, poi derubato del suo ricco mantello di pelliccia: l’indiano reagì uccidendo uno dei ladri, e ancora una volta Kieft colse l’occasione per dichiarare la decisione di sterminare gli Hackensack. Dal canto loro gli anziani della tribù si mostrarono subito pronti a risarcire
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i parenti della vittima con pelli e wampum, ma nessuno osava recarsi a Nieuw Amsterdam, per timore di essere preso in ostaggio dal governatore. Anche gli Hackensack si spostarono a nord, trovando ospitalità tra i Tankiteke, un gruppo Wappinger, il cui capo Pacham, a quell’epoca godeva di grande autorità fra le tribù del basso Hudson. Neanche questa volta le due comunità giunsero alla guerra aperta, e la volontà di Kieft di arrivare al conflitto era ancora una volta frustrata: i suoi concittadini rimanevano contrari a prendere le armi, gli indiani piuttosto che rispondere agli abusi con attacchi indiscriminati, preferivano prendere il largo e divenire irreperibili. Comunque a offrire a Kieft ulteriori motivi di sospetto giunse nell’estate del 1642, il capo dei Narraganset Miantonomo, che visitò, con un seguito di un centinaio di guerrieri, i villaggi Metoac, Wappinger e Mattabisec, nel tentativo di costruire un’alleanza contro i Mohegan, che sostenuti dagli Inglesi, dominavano tutte le tribù della regione. Kieft si convinse che la visita di Miantonomo avesse altri scopi, e che una sollevazione generale degli indiani, contro Inglesi e Olandesi, fosse in preparazione. Sempre più convinto della necessità di colpire gli indiani, dando un esempio a tutte le tribù e imponendo loro di adattarsi al dominio olandese, Kieft pensò di coinvolgere i coloni nel governo coloniale per indurli ad appoggiarlo, costituendo un consiglio della colonia, con dodici dei suoi più eminenti cittadini, a capo dei quali vi era David de Vries; i membri del consiglio però continuarono a mostrarsi ostili alla politica indiana del governatore. La guerra voluta e perseguita da Kieft, a tre anni dal suo insediamento non era ancora cominciata.
La Guerra di Kieft Per tre anni il governatore Kieft aveva tentato in tutti i modi di giungere ad un conflitto con gli indiani, dare ad essi una punizione esemplare, porli sotto il suo dominio, e ovviamente, acquistare quel prestigio che non aveva ne presso gli abitanti di Nieuw Amsterdam, ne tra gli uomini d’affari che l’avevano inviato in America a rimettere le cose in ordine e tagliare un po’ di spese. Poi l’occasione giunse, e non per un ennesimo incidente tra bianchi e indiani, ma a causa delle rivalità e dei conflitti tribali che spesso produssero tra gli indiani più drammi, che non il diretto confronto con i bianchi. I Wecquasgeack erano certo la tribù più invisa a Kieft, che contro di loro nel marzo del 1642 aveva inviato una spedizione, per punirli dell’assassinio di un colono; gli indiani erano sfuggiti alla punizione spostandosi a nord, dove ancora erano nell’inverno 1642-43. All’inizio di febbraio del 1643, nel loro villaggio da qualche parte a sud di Ft.Orange, giunse in visita una minacciosa delegazione di guerrieri Mahican, con la richiesta di un alto tributo in wampum, per concedere loro il diritto di fermarsi su quelle terre; la discussione degenerò in uno scontro violento, nel quale i Wecquasgeack ebbero 17 vittime e molte donne e bambini furono rapiti. Dopo quanto era accaduto la tribù decise di tornare a sud, discendendo l’Hudson e all’inizio del 1643, i rifugiati erano di nuovo nelle vicinanze di Nieuw Amsterdam, avendo trovato ospitalità nei villaggi degli Hackensack a Pavonia e dei Tappan a Corlear’s Hook. Il ritorno di una tribù considerata ostile, il fatto che fosse ospite di altre due tribù indiane, i timori che il viaggio di Miantonomo aveva suscitato qualche mese prima, tutto convinse Kieft che la rivolta indiana era imminente e che il tempo della guerra era venuto. Convocato il consiglio della colonia, ancora una volta si trovò in minoranza, quindi con un colpo di mano impose lo scioglimento del consiglio, vietò ai suoi membri di riunirsi, e decise l’attacco ai due accampamenti. La notte del 23 febbraio 1643 due contingenti di uomini armati guidati da Maryn Andriansen e da un sottufficiale di nome Rodolf giunsero a Corlear’s Hook e a Pavonia prendendo di sorpresa gli indiani: l’ordine era uccidere tutti gli indiani maschi, prendere prigionieri donne e bambini. A Corlears’s Hook l’ordine fu rispettato e i morti furono 31 e i prigionieri 30; a Pavonia le cose andarono diversamente, il massacro fu indiscriminato, in totale ottanta morti e nessun prigioniero, donne e bambini furono uccisi, torturati, mutilati e i loro resti portati a Nieuw Amsterdam come trofeo. Gli indiani erano così sicuri di non dover temere attacchi dagli Olandesi, che molti di quelli che fuggirono cercarono di raggiungere Ft.Amsterdam, trovandovi la morte. David de Vries lasciò un inorridito racconto del massacro, dopo aver abbandonato la colonia, disgustato da quanto fatto dai suoi connazionali. Finalmente Kieft aveva avuto la sua guerra e il primo risultato fu la fuga dei coloni che temendo la reazione indiana, abbandonarono le fattorie per trovare rifugio a Nieuw Amsterdam, che si ritrovò di fatto sotto assedio, con gli abitanti a rischio anche solo per raccogliere un po’ di legna. Gli indiani comunque non stavano preparando alcuna rivolta e non furono in grado di organizzare una reazione coordinata. Kieft probabilmente si sentiva sicuro di aver intimorito i nemici, e continuò sulla stessa strada: tre indiani Canarsee, un altro gruppo Unaimi, furono giustiziati a Nieuw Amsterdam, poi un reparto armato fu
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inviato a razziare grano dai villaggi dei Metoac, in preparazione del lungo assedio che si attendeva. Verso la fine della primavera, De Vries riuscì ad organizzare un incontro con diciotto capi Metoac, che sembravano propensi a cercare un accordo, anche se chiamavano Kieft “ladro di mais”; tramite loro, messaggeri di pace furono inviati agli Hackensack e ai Tappan. L’iniziativa comunque non ebbe seguito, e invece durante l’estate le diverse tribù del basso Hudson si coalizzarono, quando anche Pacham, il capo dei Tankiteke, decise di rompere la pace con gli Olandesi: tutte le comunità Unaimi e Wappinger, i gruppi occidentali dei Metoac, fino ai Munsee della media valle dell’Hudson, e anche qualche gruppo dei Il massacro di Pavonia Mattabisec, oltre una ventina di bande, con un potenziale di più di 1.500 guerrieri, che alla fine dell’estate del 1643 colpirono in contemporanea ogni possibile obbiettivo, dalla costa del Connecticut alla media valle dell’Hudson. Il segnale di inizio delle ostilità fu l’attacco ad un vascello sull’Hudson, nei pressi di Poughpeeksie, ma l’azione più grave fu il massacro nel Connecticut ad opera dei Sivanoy, di diciotto persone, tutta la famiglia e i servitori di Anne Hutchinson, una nota dissidente religiosa che era stata in Rhode Island con Roger Williams e da poco si era trasferita nei pressi di New Amsterdam: abituata ad avere cordiali rapporti con gli indiani Narraganset, non si rese conto del pericolo che stava correndo con la sua piccola comunità. Altri attacchi fecero u numero minore di vittime, ma all’inizio dell’autunno tutti gli insediamenti olandesi al di fuori di Nieuw Amsterdam, erano stati distrutti o evacuati. Fu probabilmente in questo periodo che a Neuw Amsterdam fu costruito il “muro” (più probabilmente una palizzata), da cui Wall Street prese poi il suo nome. La situazione per Kieft si stava facendo difficile: con poco più di 200 soldati, senza il sostegno dei coloni, alcuni dei quali, compreso David de Vries, preferirono ritornare in Europa, i commerci ovviamente interrotti, la sua mossa fu quella di cercare il sostegno di alleati, tanto gli Inglesi, quanto i Mohawk e i Mahican. I primi guardavano con grande preoccupazione a quanto stava accadendo, non solo perché tra le vittime vi erano anche degli Inglesi, ma anche perché una vittoria degli indiani, avrebbe minato il prestigio di tutti i bianchi, e incoraggiato altre tribù a sollevarsi. Gli Inglesi decisero così di rispondere positivamente alla richiesta di aiuto dei loro concorrenti, ma non persero l’occasione per fare un buon affare, facendosi pagare una forte somma per l’arruolamento di oltre un centinaio di soldati e scout Mohegan, sotto la guida del capitano Underhill, veterano della guerra contro i Pequot. I Mahican e i Mohawk riconfermarono la loro amicizia con gli Olandesi, e pur senza intervenire direttamente nella guerra, esercitarono la loro minacciosa pressione sulle tribù ribelli. Con l’arrivo di Underhill e dei rinforzi inglesi, all’inizio del 1644, i bianchi ripresero l’iniziativa con una spedi- Il massacro di Anne Hutchinson e della sua famiglia
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zione contro i Raritan a Staten Island, poi contro i Wecquasgeak, quindi contro i Sivanoy sulle coste del Connecticut, tutte azioni che però ottennero scarsi risultati, uccidendo pochi guerrieri, anche se portarono alla distruzione delle scorte alimentari degli indiani. In febbraio poi a Long Island fu attaccato un villaggio in cui erano riuniti indiani delle tribù Canarsee, Massapeaqua e Merric, centoventi dei quali, compresi donne e bambini, furono uccisi; atrocità furono perpetrate nei confronti dei prigionieri, sette dei quali furono giustiziati. Il colpo grosso comunque giunse in marzo, quando Underhill fu informato di un grande villaggio nella località di Pound Ridge nel Connecticut dove erano riuniti i Sivanoy, Tankiteke e Wecquasgeak, forse un migliaio di indiani. La sera precedente all’attacco gli indiani avevano fatto festa, e Underhill non ebbe difficoltà ad usare la stessa tecnica usata nel massacro dei Pequot sul fiume Thames, qualche anno prima: circondare il villaggio e poi dargli fuoco, quando gli indiani erano ancora nel sonno. Anche questa volta il risultato fu terribile, dalle 500 alle 700 vittime fra gli indiani, quasi nessuna perdita per gli Anglo-Olandesi. Underhill non trovava nessuna Il teatro della Guerra di Kieft contraddizione tra la sua zelante fede cristiana e simili azioni, perché a suo dire, la Bibbia imponeva che le donne e i bambini, seguissero il destino del loro marito e padre, la morte. Come in altri conflitti indiani si riproponeva la medesima dinamica: le azioni dei guerrieri distruggevano fattorie e piccoli insediamenti, ma non riuscivano a colpire i principali centri, difesi da fortificazioni, mentre gli Europei quando riuscivano a trovare un villaggio indiano, massacravano gli indiani in gran numero e ne distruggevano campi e scorte alimentari, riducendoli alla fame; gli indiani a quel punto spostavano i loro villaggi, accettando di fatto la perdita territoriale, e continuavano con la loro guerriglia contro i tentativi dei bianchi di insediarsi sulle terre da cui erano stati cacciati. Senza più azioni eclatanti da nessuna delle due parti, la guerra si protrasse così per un altro anno, rendendo difficile ai coloni riprendere le loro attività e i loro commerci, poi nell’aprile del 1645 i capi dei Sitsink, Wecquasgeack, Nochpeem e Wappinger, si presentarono a Nieuw Amsterdam per cercare la pace; il 31 agosto un trattato veniva firmato da tutte le tribù, per la cessazione delle ostilità. Determinanti, per indurre le tribù a cessare la guerra, l’intervento dei Mahican e dei Mohawk: minacciando il loro intervento a fianco degli Olandesi, indussero gli ostili a trattare, mentre grazie al rapporto con gli Olandesi, potevano indurli a evitare punizioni per i ribelli. Alla fine della guerra le tribù indiane coinvolte avevano avuto oltre 1.600 morti, mentre il numero degli Europei uccisi, sicuramente molto minore, non è definito. Kieft che aveva voluto la guerra, non era riuscito ad ottenere il tributo che era stato all’inizio del clima di tensione, era stato costretto a chiedere, e pagare, il sostegno inglese, continuava ad essere inviso agli abitanti di Neuw Amsterdam, che inviarono più lettere in Olanda, per chiederne la deLa “pipa della pace” a New Amsterdam, alla fine della guerra stituzione. Alla fine l’avranno vinta e
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nel 1647, Kieft sarà richiamato in Europa per render conto del suo operato, cosa che non avverrà, perché morì nel naufragio della nave che lo riportava in Olanda. I Mohawk e i Mahican, che avevano creato lì’incidente che dette inizio al conflitto, che avevano evitato di farsi coinvolgere in qualsiasi modo, ma la cui pressione diplomatica era stata determinante per la fine della guerra, si trovarono così ad essere i veri vincitori: avevano imposto (loro si) quel tributo alle tribù del basso Hudson che da tempo chiedevano, mentre si erano proposti agli Olandesi come garanti della pace e vedevano riconosciuto il loro ruolo di ago della bilancia di ogni conflitto. Negli anni successivi molti Wappinger furono più o meno forzosamente assimilati dai Mahican, i Metoac furono posti ai margini dall’arrivo a Long Island di un gran numero di coloni, mentre per gli Unaimi e i Munsee la guerra di Kieft, fu solo il primo di due secoli di conflitti che segnarono le tribù Lenape (o Delaware) dalle coste dell’Atlantico, alle praterie dei bisonti.
La parentesi svedese e la Guerra dell’Albero delle Pesche
Mentre gli Olandesi combattevano la guerra che il loro governatore Kieft aveva pervicacemente voluto, a sud della valle dell’Hudson, lungo il corso del fiume Delaware, ancora un’altra potenza europea cercava di prendersi la sua fetta del continente. Gli Svedesi, che nei secoli successivi si terranno fuori dalle dispute coloniali, nella prima metà del ‘600, sotto la guida della dinastia Vasa, erano divenuti una delle principali potenze europee, impegnata nei conflitti politico-religiosi del tempo, e non meno in quelli commerciali con le potenze concorrenti del nord Europa. Gli Svedesi pur non avendo preso parte ai grandi viaggi di scoperta che nel corso del ‘500 avevano fatto da volano all’espansione coloniale, a partire dal 1610 avevano inviato sulle coste americane alcune spedizioni commerciali, e quando l’occasione si presentò, tentarono anche loro l’avventura americana. L’occasione giunse nel 1636 nella persona di Peter Minuit, l’olandese che era stato primo governatore di Nieuw Amsterdam dal 1626 al 1631, e il cui incarico era stato revocata dalla Compagnia delle Indie Occidentali, per ragioni poco chiare. Minuit comunque non riteneva chiusa la sua esperienza americana, e cinque anni dopo, grazie all’intermediazione di un mercante olandese in relazione con il governo svedese, ottenne l’incarico di fondare una nuova colonia alla foce del fiume Delaware, in un territorio rivendicato dall’Olanda. Alla fine di marzo del 1638, Minuit alla guida di un gruppo di coloni, raggiunse la foce del fiume Delaware, dove costruì Ft.Christina, in onore della regina di Svezia, avendo l’accortezza di edificare la struttura sulla riva occidentale, formalmente fuori dalle rivendicazioni olandesi. Dopo la costruzione del forte, Minuit convocò un consiglio dei capi tribali della regione, per contrattare l’acquisto di terra e stabilire rapporti commerciali. Gli indiani che vivevano sul fiume Delaware, erano gli Unalachtigo, la suddivisione meridionale dei Lenape, affini ai Munsee e agli Unaimo della valle dell’Hudson, e come questi divisi in un gran numero di comunità; come i Munsee e gli Unaimo che dovevano Peter Minuit, l’olandese fondatore della Nuova Svezia spesso subire le pressioni e le ostilità dei Mohawk e delle altre tribù della Lega Iroquois, cosi gli Unalachtigo erano sottoposti all’autorità dei Susquehannock, che occupavano una ventina di villaggi fortificati a sud, lungo il fiume omonimo. Al consiglio convocato da Minuit, giunsero così anche capi Susquehannock, senza la cui approvazione gli Unalachtigo non avrebbero potuto prendere alcuna decisione. I Susquehannock avevano avuto per alcuni anni rapporti con William Clairborne, un commerciante virginiano che nel 1631 aveva fondato una stazione commerciale sull’isola di Kent, nel nord della baia di Chesapeake, ma nel 1635 i nuovi coloni del Maryland, avevano cacciato con la forza Clairborne. Da allora i Susquehannock erano in guerra con gli Inglesi del Maryland a sud; difficili erano anche i rapporti con gli Olandesi, che privilegiavano i commerci con gli Iroquois nemici dei Susquehannock, e avevano solo una limitata presenza sul fiume Delaware, dove
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era Ft.Nassau costruito nel 1627, in una posizione poco comoda per il commercio e occupato solo a intermittenza. Nel 1633 era stato costruito Ft.Beeversrede, a poca distanza da Ft.Nassau, ma sulla sponda occidentale del fiume Delaware, in una posizione migliore per il commercio, e attraverso gli Unalachtigo a loro sottoposti, i Susquehannock, potevano accedere a merci e armi europee; altre merci europee raggiungevano i Susquehannock attraverso i loro alleati Erie, Huron, Neutrals, tutte tribù in contatto con i Francesi della valle del San Lorenzo. Stanziati nell’interno, in una zona al confine tra le aree di influenza inglese e olandese, lontani da stazioni commerciali e insediamenti dei bianchi, i Susquehannock rischiavano di rimanere esclusi dal grande affare del commercio delle pelli, e ovviarono a questo rischio cercando di trattare in contemporanea con mercanti europei di tutte le nazionalità, senza legarsi ad una in particolare. I Francesi, che fin dai tempi del viaggio di Etienne Brulè ai villaggi Susquehannock, erano quelli più interessati ad avere rapporti con loro, dato che avevano un nemico in comune, la Lega Iroquois, ma erano anche i più lontani; con gli Inglesi del Maryland, che erano i più vicini, i rapporti s’erano guastati dopo la chiusura della stazione commerciale di William Clairborne; con gli Olandesi c’erano commerci, ma nessuna alleanza, dato che essi avevano stretti rapporti con gli Iroquois. Quando poi nel 1636 gli Unalachtigo misero fine al tentativo di fondare una colonia olandese nella regione, con il massacro di Ft.Svaaendael, gli Olandesi ridussero ulteriormente Un guerriero Susquehannock, secondo la dei loro interessi nella regione. In questa situazione i Susquehanscrizione che ne fece John Smith, il primo ad nock non ebbero quindi problemi ad accogliere gli Svedesi, così incontrarli nel 1608 da poter avere una propria fonte di rifornimenti autonoma, e negli anni successivi questi stabilirono varie stazioni commerciali e presidi militari lungo il fiume Delaware, approfittando del fatto che gli Olandesi erano impegnati a combattere gli indiani sul basso Hudson. Come anche gli Iroquois, i Susquehannock non desideravano che i bianchi si stabilissero sulle loro terre, ma garantirono agli Svedesi di potersi stabilire sulle terre dei sottoposti Unalachtigo. Quando poi a partire dagli anni ’40, Inglesi e Olandesi cominciarono a rifornire di armi da fuoco gli Iroquois, gli Svedesi fecero altrettanto con i Susquehannock, che nel 1644 avevano fatto la pace con i coloni del Maryland e che continuavano a commerciare con tutti i mercanti delle regioni limitrofe; fu così che all’epoca i Susquehannock divennero la tribù meglio armata della regione, unica nella storia delle guerre indiane a dotarsi di un cannone, per la difesa di uno dei propri principali villaggi. In tal modo questa tribù riuscì a sostenere per quasi trent’anni lo scontro con la Lega Iroquois, che in quello stesso periodo stava letteralmente travolgendo le altre tribù della regione. Per garantirsi un costante rifornimento di armi e merci, i Susquehannock esaurirono presto le popolazioni di castoro e di altri animali dalla pelle pregiata dal loro territorio, ed è probabile che essi raccogliessero pellicce dalle tribù a ovest dei monti Appalache, dove i territori di caccia erano ricchissimi e ignoti ai bianchi; alla storica rivalità con gli Iroquois si univa quindi anche lo scontro per il controllo di queste regioni. Gli Unalachtigo erano solo una delle tribù dominate dai Susquehannock, a ovest c’erano i quasi sconosciuti Honiasont, noti come Black Minqua, per differenziarli dai Susquehannock, conosciuti come White Minqua (Minqua, Mingo, Mingwe erano il nome generico degli Iroquaian, nelle lingua Algonquian), probabilmente anche gli Algonquian Shawnee erano sotto la loro influenza, oltre ad alcune tribù minori ormai estinte; un gran numero di profughi delle tribù Erie, Neutrals, Tionontati e Huron, in fuga dagli Iroquois, furono adottati dalla tribù a partire dagli anni ‘40. Ormai dimenticati, i Susquehannock erano a quel tempo una delle più potenti tribù della costa dell’Atlantico. Con il sostegno di questi potenti alleati indiani, gli insediamenti svedesi crebbero abbastanza velocemente, malgrado la morte di Peter Minuit poco dopo la fondazione di Ft.Christina, mentre ritornava in Europa per preparare un nuovo invio di coloni e rifornimenti. La popolazione della colonia era mista, oltre agli Svedesi c’erano Finlandesi, Polacchi, qualche Tedesco e anche Olandesi, e crebbe senza conflitti
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per quasi dieci anni, fino al 1647, quando con l’arrivo del nuovo governatore di Nieuw Amsterdam, Peter Stuyvesant, gli Olandesi cercarono di ristabilire il controllo della regione: quell’anno a pochissima distanza da Ft.Beeversrede, gli Svedesi costruirono Ft. Nya Korsholm e tra le due comunità ci furono diversi incidenti, al punto che nel La Nuova Svezia e il territorio dei Susquehannock alla metà del ‘600 1651, sia Ft.Beeversrede che Ft.Nassau, furono chiusi, e la presenza olandese si concentrò nel nuovo Ft.Casimir, a valle del principale avamposto svedese di Ft.Christina, in modo da poter ostacolare convogli e comunicazioni. Nel 1654 gli Svedesi occuparono Ft.Casimir, rinominandolo Ft.Trefaldingher (Ft.Trinità), ma nell’estate dell’anno successivo Peter Stuyvesant, con un esercito di molte centinaia di uomini approdò alla foce del fiume Delaware, e riprese il controllo della regione; gli Svedesi fecero una limitata resistenza, ma a quel tempo il regno di Svezia era attraversato da gravi conflitti, con la fine della dinastia Vasa e l’abdicazione della regina Christina, e dall’Europa nessun aiuto giunse alla colonia. La breve esperienza svedese nella competizione fra potenze coloniali si chiudeva, e nessuno si curò della perdita della piccola colonia: nessuno, tranne i Susquehannock. Il 15 settembre del 1655, mentre i soldati Olandesi erano ancora impegnati sul fiume Delaware contro gli Svedesi, oltre 600 guerrieri Susquehannock, Unalachtigo e forse di altre tribù alleate, lanciarono un distruttivo raid contro le colonie olandesi alla foce dell’Hudson, distruggendo Pavonia e tutte le piccole fattorie sulla sponda occidentale del fiume, e obbligando i coloni a cercare rifugio a Nieuw Amsterdam. Alla fine il bilancio fu di oltre un centinaio di morti, e di 150 prigionieri. I coloni non misero in relazione l’attacco subito, con la guerra che avevano condotto contro gli Svedesi, alleati dei Susquehannock, e ritennero che la violenza degli indiani fosse conseguenza dell’assassinio di una giovane squaw da parte di un colono, che l’aveva sorpresa a rubare pesche da un suo albero; il breve conflitto prese così il nome di “Guerra dell’albero delle pesche”, e le ragioni vere che l’avevano causata furono rimosse. In realtà gli Unaimi che vivevano nelle vicinanze di Nieuw Amsterdam, a cui la squaw apparteneva, dopo le guerre degli anni precedenti, non sarebbero state in grado di organizzare in breve tempo un così distruttivo attacco, anche se quasi certamente anch’essi si unirono alle violenze quando queste iniziarono. Ricevuto la notizia Peter Stuyvesant fece presto ritorno a Nieuw Amsterdam con la sua armata, ma piuttosto che tentare di punire gli indiani, che avevano in mano 150 ostaggi, preferì pagare un forte riscatto, in fucili, polvere da sparo e merci varie, per ottenere la loro liberazione. Paghi di aver imposto rispetto agli Olandesi, i Susquehannock si ritirarono con un ricco bottino, e cessarono ogni ostilità. La necessità di commerciare imponeva di mantenere relazioni pacifiche con gli Olandesi, i quali dal canto loro erano interessati solo ad ottenere pregiate pelli, più che a imporre il loro dominio sulle tribù indiane. Per i Susquehannock comunque la fine dell’attività svedese nella regione, significò una riduzione del flusso di armi e merci europee, e questo alla lunga avrebbe avuto per loro conseguenze gravi.
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Le Guerre Esopus e la fine della Nuova Olanda La colonizzazione olandese in Nord America, iniziata con la fondazione di Ft.Nassau sul fiume Hudson nel 1614, per oltre trent’anni fu caratterizzata da un numero di emigranti piuttosto limitato, almeno se paragonato con quanto accadeva nelle colonie inglesi, dove ogni anno giungevano dall’Europa centinaia di nuovi coloni. Tra le ragioni di questo limitato flusso migratorio, c’erano sia le diverse condizioni economiche dell’Olanda rispetto all’Inghilterra, sia il monopolio imposto dalla Compagnia delle Indie Occidentali fino al 1640. In Olanda, a differenza che in Inghilterra, mancava quell’esercito di disperati che la fine dell’uso comune delle terre (enclosure), obbligava a cercare fortuna nelle città o oltre mare; l’Olanda era poi un paese tollerante in materia religiosa, mentre in Inghilterra le dispute e i conflitti religiosi, spingevano minoranze e dissidenti ad espatriare; infine il monopolio della Compagnia delle Indie Occidentali, rendeva poco attraente l’emigrazione, perché limitava l’indipendenza e la libera iniziativa degli emigranti. Per queste ragioni le colonie Olandesi ebbero per molti anni problemi di popolamento, e furono spesso meta di non Olandesi, Valloni, Ugonotti francesi, Tedeschi cc… Quando poi nel 1640 la Compagnia rinunciò al suo monopolio, l’emigrazione fu fermata dalla sanguinosa guerra voluta dal governatore Kieft, durante la quale molti coloni tornarono in Europa. Si dovette attendere la pace e la normalizzazione della colonia con l’arrivo del nuovo governatore Peter Stuyvesant nel 1647, perché la Nuova Olanda iniziasse ad esercitare attrattiva per gli emigranti europei, che a partire dal 1650 iniziarono a crescere esponenzialmente, estendendo gli insediamenti oltre le regioni fino ad allora occupate, dal basso corso dell’Hudson, a monte lungo il fiume, fino alle terre dei Lenape Munsee; tra il 1648 e il 1660 il numero di coloni della Nuova Olanda, passò da meno di 2.000 a più di 10.000 e ancora una volta il confronto demografico tra bianchi e indiani, spostò i rapporti di forza a favore dei primi . Questi nuovi coloni non erano tanto interessati ai commerci con gli indiani, saldamente in mano ai mercanti che operavano a Ft.Orange, in contatto con Mahican e Mohawk, ma semplicemente cercavano una terra su cui vivere, costruire fattorie e villaggi, dissodare e coltivare il terreno. I Munsee da decenni erano abituata a commerciare con gli Olandesi che navigavano sul fiume per raggiungere Ft.Orange e le terre dei Mahican e dei Mohawk, ma non avevano mai dovuto confrontarsi con dei bianchi, il cui primo interesse non erano le pelli pregiate e i commerci; il primo incontro con gli Olandesi nel 1614, non era stato cordiale, e i Munsee avevano distrutto una stazione commerciale sul loro territorio, poi i rapporti si erano mantenuti tesi, dato che gli Olandesi commerciavano con i Mohawk nemici dei Munsee, ma le tensioni non erano esplose in veri e propri conflitti, per il comune interesse a non interrompere gli scambi commerciali. I Munsee avevano poi appoggiato i loro parenti Unaimi, durante la guerra di Kieft, che però non aveva coinvolto il loro territorio. Si trattava di una situazione ambigua in cui la reciproca necessità di pelli e merci europee, obbligava le parti a mantenere relazioni, complicata poi dalla spregiudicata azione dei mercanti olandesi, che operavano nelle rivalità tribali, sostenendo principalmente Mahican e Mohawk, ma non rinunciando, quando ne vedevano l’utilità a commerciare anche con i Susquehannock e le diverse tribù Lenape, loro nemiche. In questa situazione precaria, caratterizzata dalla reciproca diffidenza, l’aumento dell’emigrazione non poteva che portare all’esplodere di nuovi conflitti. Questi nuovi emigranti giunti da poco, temevano gli indiani, diffidavano di loro, e il ricordo e i racconti della guerra avvenuta una decina di anni prima, tenevano vivi timore e sospetto. Per questi coloni nel 1651 Stuyvesant aveva ottenuto dai Susquehannock delle terre nella Esopus Valley, tra i monti Catskill e il fiume Hudson, terre che però erano abitate dai Munsee; i Susquehannock , così come gli Iroquois loro nemici, vantavano pretese sui Munsee, i quali erano obbligati a sostenerli nelle loro guerre tribali, e si trovavano così sotto la duplice minaccia dei più bellicosi vicini di lingua Iroquaian e dei coloni olandesi. Impegnati a combattere i Mohawk al fianco dei Susquehannock, i Munsee non poterono opporsi ai coloni che si insediavano sulle loro terre, e che nel 1652 avevano fondato il villaggio di Wiltwijck; quando però nel 1656 Iroquois e Susquehannock si accordarono per una tregua, i Munsee lanciarono alcuni attacchi contro i coloni, facendo alcune vittime. Non si trattava di una vera e propria guerra, quanto della reazione spontanea di chi vedeva la propria terra occupata da gente ostile e nemica, e quando nel 1657 Peter Stuyvesant venne nella regione, i capi Munsee cercarono di trovare con lui un accordo. Stuyvesant comunque reagì duramente, pretese altra terra, e lasciò nel villaggio una guarnigione di 50 uomini nel nuovo avamposto di Ft.Esopus. La tensione era destinata ad esplodere, dato che le due comunità erano troppo diverse per poter convivere, e l’incidente che dette iniziò alle ostilità ne fu una prova. Nel settembre del 1659 un gruppo di
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Munsee aveva accettato di lavorare nel campo di un colono, per la raccolta del mais; completato il lavoro e ottenuta la propria paga, gli indiani decisero di spenderla in alcool, si ubriacarono e uno di loro sparò un colpo di fucile, che non ferì nessuno, ne provocò alcun danno. Un solo colpo d’arma da fuoco, sparato a vuoto da un ubriaco fu comunque sufficiente a gettare nel panico e a scatenare la rabbia di soldati e coloni, che aggredirono gli indiani uccidendoli quasi tutti. Due giorni dopo, il 22 settembre, i superstiti dell’aggressione tornavano con un gran numero di guerrieri, attaccaIl massacro degli indiani ubriachi che scatenò la 1° Guerra Esopus vano il villaggio, uccidevano o facevano prigionieri i coloni, distruggevano i campi e ammazzavano il bestiame. Per i coloni superstiti rimaneva solo la sicurezza della palizzata di Ft.Esopus, dove vissero in assedio per tre settimane, prima che da Neuw Amsterdam giungesse aiuto. In quel periodo il governatore Stuyvesant era impegnato a sedare a una rivolta dei Metoac di Long Island, che avevano ucciso due Olandesi e preso decine di prigionieri. I Metoac si erano decisi alla ribellione, dopo che i Wappinger li avevano attaccati, su ordine dei Mahican, perché il tributo richiesto in wampum non era stato consegnato. Si trattava ancora delle conseguenze della guerra di Kieft, alla fine della quale i Mahican avevano sottomesso i Wappinger, costringendoli a fare da esattori dei tributi imposti ai Metoac; la breve rivolta dei Metoac, mirava più che altro a ottenere dagli Olandesi un intervento che li proteggesse, e si concluse con l’intervento di Stuyvesant per fermare i Wappinger, e il pagamento in merci di un riscatto per i prigionieri. Risolti i problemi a Long Island, Stuyvesant con 200 soldati raggiunse Ft.Esopus liberandolo dall’assedio; gli indiani si ritirarono sui monti vicini e continuarono a lanciare raids. Stuyvesant tornò quindi a Nieuw Amsterdam, per concordare con la madrepatria la reazione all’attacco indiano, lasciando il suo ufficiale Ensign Dirke Smith, al comando della guarnigione di Ft.Esopus. A primavera Stuyvesant era pronto a lanciare la controffensiva, e il suo primo atto fu quello di concludere un trattato con le diverse bande Wappinger e Metoac, per garantirsi dai rischi di una estensione della guerra e isolare i Munsee; nel frattempo il suo ufficiale si mise in campagna per cercare e distruggere i villaggi Munsee. In marzo un accampamento sul fiume Wallkill, un affluente dell’Hudson, fu raso al suolo, poi in aprile ci fu un’altra battaglie in cui decine di Munsee furono presi prigionieri e venduti come schiavi, mentre in maggio un’altra spedizione ebbe come solo risultato l’assassinio a sangue freddo di un vecchio sachem, che non ce l’aveva fatta a fuggire con la sua gente. Questi successi limitati non avrebbero concluso la guerra, dato che il grosso degli indiani rimaneva imprendibile, nella sconosciuta roccaforte dei monti Catskill. Ancora una volta a risolvere i problemi furono i Mohawk e i Mahican, che minacciarono di guerra i Munsee, gli stessi Susquehannock che cercarono di intercedere presso gli Olandesi e infine un capo Hackensack che visitò Nieuw Amsterdam per tentare una mediazione: nell’estate del 1660 Munsee e Olandesi si incontrarono finalmente per stabilire una precaria pace, basata sulla ulteriore cessione di terra da parte dei Munsee. La prima Guerra degli Esopus si era conclusa, ma i Munsee non erano stati sconfitti dai bianchi e la loro voglia di rivalsa, aspettava solo un occasione. Le condizioni per la ripresa della guerra si presentarono tre anni dopo, quando i Mahican si ribellarono all’alleanza subalterna ai Mohawk e tentarono di stabilire rapporti con le tribù Algonquian nemiche degli Iroquois. In quello stesso periodo gli Olandesi avevano invitato i Munsee a discutere una nuova cessione di terra, e gli indiani, sicuri di non dover subire la minaccia di Mohawk e Mahican, impegnati a combattersi fra di loro, accettarono di incontrare i bianchi, richiedendo che l’incontro avvenisse senza armi e che le porte del villaggio di Wiltwijck rimanessero aperte. Gli Olandesi accettarono le condizioni e il 7 giugno del 1663 centinaia di indiani si presentarono al villaggio, mostrando di voler vendere carne e pelli; in breve gli indiani presero possesso del villaggio, fin quando non giunse notizia che il vicino insediamento di Nieuw Dorp era stato attaccato e distrutto dai Munsee. A quel punto gli indiani si lanciarono anche contro gli abitanti di Wiltwijck, uccidendone 25, prendendo 43 prigionieri e dando fuoco
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a gran parte delle case, prima che coloni e soldati potessero organizzare una reazione e indurli a ritirarsi. La guerra era ripresa e il 16 giugno lungo il torrente Rondout , un piccolo convoglio che portava munizioni a Ft.Esopus fu attaccato, ma gli indiani furono respinti. Nelle settimane successive la reazione degli Olandesi fu inefficace e gli unici indiani che riuscirono a trovare fu un gruppo di mercati Wappinger, arrestati, ma che si mostrarono estranei alle violenze e anzi diedero indicazioni su come trovare i villaggi degli ostili. Grazie a queste indicazioni nel mese di luglio fu attaccato e distrutto il villaggio di Shawangunk, poi per tutta l’estate diverse spedizioni cercarono gli indiani senza riuscire a trovarli, ma bruciando i loro campi per ridurli alla fame. In settembre i Munsee attaccarono e distrussero l’insediamento isolato di Nieuw Fort, presso l’attuale Shandaken, poi finalmente in ottobre una colonna guidata dal capitano Martin Criegier, riuscì a individuare il nuovo villaggio dei Munsee, dove sotto la guida del capo Papequanehen, si erano riuniti gli indiani fuggitivi. Malgrado la palizzata difensiva, gli Olandesi riuscirono a prendere di sorpresa gli indiani, una ventina dei quali furono uccisi, tra cui il capo; furono Il teatro delle Guerre Esopus liberati anche oltre venti prigionieri bianchi, che inutilmente nei mesi precedenti si era cercato di riscattare e i Munsee subirono un duro colpo. I superstiti comunque ancora si nascondevano fra le montagne e nei mesi successivi toccò ai Mohawk e ai Seneca, chiamati dagli Olandesi, continuare la guerra contro i ribelli Munsee, che avevano cercato rifugio nella regione di Minisink, lungo l’alto corso del fiume Delaware: alcuni villaggi furono distrutti e centinaia di Munsee uccisi, fin quando a maggio del 1664 essi furono obbligati a chiedere la pace e a rinunciare ad ogni pretesa sulle loro terre. La vittoria contro i Munsee fu l’ultimo atto del governatore Peter Stuijvesant, che nel mese di settembre si trovò a dover contrastare una flotta inglese davanti a Nieuw Amsterdam: la costante rivalità commerciale tra Inghilterra e Olanda era esplosa in un nuovo conflitto, combattuto sui mari e nelle colonie. Gli Inglesi posero condizioni per la resa non troppo gravose, garantendo la vita e la sicurezza dei coloni, le loro proprietà e la possibilità di continuare con i loro affari, e Stuiyvesant, preso atto che i coloni non erano intenzionati a combattere, con il pragmatismo che aveva caratterizzato tutta la politica olandese in Nord America, decise per la resa, senza fare resistenza. La dominazione olandese si concludeva così in modo incruento, e per gli indiani della regione arrivava il momento del confronto con nuovi dominatori, più duri e determinati degli Olandesi. L’esperienza coloniale olandese era durata meno di cinquant’anni e benchè per buona parte di questo periodo i coloni fossero stati in numero estremamente ridotto, e malgrado il loro interesse, più verso il commercio con gli indiani, che non all’occupazione delle terre, durante questo periodo v’erano stati più conflitti che non nelle vicine terre del New England. Le tribù che vivevano nelle vicinanze degli insediamenti, erano quelle che avevano subito i maggiori disastri: i Metoac e i Wappinger scomparirono di fatto dalla storia, i primi vivendo ai margini degli insediamenti dei bianchi a Long Island, i secondi che divennero progressivamente parte dei Mahican seguendone le sorti; i Lenape furono costretti ad abbandonare la valle dell’Hudson e a riunirsi lungo il corso del fiume Delaware, gli Unaimi e gli Unalachtigo sul basso corso del fiume uniti e mescolati, i Munsee più a monte. Periodiche epidemie e la diffusione dell’alcool, continuarono a colpire i superstiti, ma i Lenape, più famosi con il nome di Delaware, riusciranno ancora a sopravvivere, vivendo da protagonisti ancora più di un secolo di guerre indiane. Per i Mahican, e soprattutto i Mohawk e la Lega Iroquois, nulla cambiava: i nuovi padroni inglesi confermarono e rafforzarono l’alleanza politica e le relazioni commerciali, facendone il cardine della politica indiana nelle colonie settentrionali. Gli Inglesi avevano eliminato la concorrenza olandese, ma per sconfiggere i rivali francesi, c’era bisogno degli indiani e la Lega Iroquois era il più potente tra gli alleati.
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LA 1° GUERRA DEL CASTORO Il mondo neolitico e le leggi di mercato
Le Guerre del Castoro, e la prima in particolare, furono probabilmente uno dei primi eventi della storia mondiale, in cui fu possibile verificare come le dinamiche di mercato siano in grado di esercitare la propria capacità distruttiva a livello globale, ben al di la, non solo della volontà degli attori e dei protagonisti di tali dinamiche, ma addirittura della loro stessa possibilità di esserne a conoscenza. Mentre le compagnie commerciali che gestivano il traffico delle pellicce tra l’America e l’Europa dai loro uffici di Londra, Amsterdam, Parigi, conteggiavano i profitti e le perdite, a migliaia di chilometri di distanza, in terre ignote e mai visitate dall’uomo bianco, migliaia di uomini, ignari di quanto stava loro accadendo e della lotta di interessi in cui essi erano solo pedine, si combattevano con ferocia; interi popoli venivano massacrati, civiltà scomparivano dopo secoli di storia, migrazioni di massa attraversavano mezzo continente. Così mentre l’Europa veniva flagellata dalla terribile Guerra dei Trent’Anni, a migliaia di chilometri di distanza un altro immenso conflitto si combatteva, in larga misura ignoto a coloro che ne erano stati la causa. La piccola iniziativa di un agente commerciale di Boston o di Ft.Orange, compiuta per soddisfare l’interesse dei suoi superiori d’oltremare, produceva reazioni a catena che si estendevano in una immensa regione, compresa dalle coste dell’Atlantico alle sorgenti del Mississipi, dalle sponde dei Grandi Laghi a quelle del Golfo del Messico, coinvolgendo, stravolgendo e spesso distruggendo la vita di popoli che ancora non avevano alcuna conoscenza dell’uomo bianco, e della sua passione illimitata e senza scrupoli, per quell’oggetto inutile, senza alcun valore d’uso, che è il denaro: un feticcio, una divinità, l’astratta rappresentazione di ogni possibile bene. Gli indiani, che non conoscevano il denaro, furono però coinvolti nel meccanismo infernale che la sua circolazione e concentrazione produ- Il castoro, il laborioso roditore la cui pelle fu per tre secoli una delle principali ceva, in quanto forza lavoro a basso ragioni per l’avanzata a ovest, oltre che la causa di sanguinosi conflitti che costo per l’approvvigionamento di coinvolsero potenze coloniali e tribù indiane
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una merce, che garantiva saggi di profitto elevatissimi, trasformando in denaro una risorsa naturale, la selvaggina e la sua pregiata pelle, che per millenni nel Nuovo Mondo, non era mai stata oggetto di sfruttamento intensivo. Se la guerra per il controllo delle spezie nelle Indie Orientali fu la prima manifestazione dell’imperialismo colonialista, con la concorrenza tra le principali potenze europee per il controllo delle zone di provenienza di tale pregiata merce, lo scontro per il mercato delle pelli, e delle pelli di castoro in particolare, anticipa i caratteri della moderna globalizzazione, per la sua capacitò pervasiva di condizionare, economicamente, socialmente e politicamente, aree del globo lontane, senza nemmeno la necessità di interventi militari diretti, dominio politico esplicito, o altre forme caratteristiche del dominio coloniale. Il semplice imporsi della cruda legge della domanda e della offerta, il semplice affermarsi di quella accezione particolare del termine “valore” che in tale legge ha fondamento, fu sufficiente ad omologare culture e stili di vita alieni, al principio unico del mercato, incatenando i destini del gentiluomo londinese in cerca di investimenti sicuri e garantiti, a quelli dell’ignaro cacciatore neolitico delle sorgenti del Mississipi, ancora stupefatto davanti alla meraviglia di una lama di metallo. La pelle di castoro diventa merce, impacchettata e pronta A differenza di quanto accadeva nelle Indie Orientali, per i mercati dell’est dove il nascente capitalismo europeo si imponeva su modelli economici, politici e sociali diversi, ma che già avevano un loro tessuto di relazioni economiche e commerciali, di cui i mercanti Arabi o Indiani erano da secoli protagonisti, il Nuovo Mondo era terra vergine per il commercio. Ciò non significa che in America del Nord, prima dell’arrivo degli Europei non avvenissero scambi; al contrario, proprio una fitta rete di scambi che collegava le lontane Rocky Mountains fino alle Foreste Orientali, aveva caratterizzato la grande cultura preistorica di Hopewell, diffusa nella metà orientale del continente per quasi un millennio, dal I sec. a.C. al VIII sec. d.C.; anche successivamente, con l’emergere della culture del Mississipi, tra il IX e il XVI secolo, un gran numero di prodotti circolava nella stessa vasta regione: ma tali scambi molto probabilmente, non si basavano sui criteri che da sempre hanno regolato il commercio nel Vecchio Mondo. Il commercio, così come si è sviluppato nel Vecchio Mondo, a partire dalle prime forme di baratto, ha come suo elemento fondativo e costituente, il principio della equivalenza dei prodotti scambiati, della loro parità di valore, una parità di valore che è definita sulla base della necessità che ognuno dei due soggetti dello scambio ha, del bene dell’altro. E’ la legge della domanda e dell’offerta, che ancor prima della nascita del denaro, si basava sulla relazione tra due necessità: io ho necessità di ciò che tu hai e produco una domanda, tu hai necessità di ciò che io ho e quindi posso fare un’offerta. In questo rapporto tra due necessità, lo svelamento della necessità dell’altro, riduce di fatto il condizionamento imposto dalla propria necessità: così ognuna delle due parti tende a nascondere l’urgenza della propria domanda, quanto il desiderio della propria offerta, per ridurre il valore del bene che chiede e aumentare il valore del bene che offre. Ovviamente questa modalità di scambio, ha le sue principali ragioni, nel confronto fra modelli di sussistenza e produzione diversi, in cui ognuna delle parti produce eccedenze diverse, il cui unico utilizzo possibile è lo scambio. Questa dinamica obbiettivamente e tendenzialmente conflittuale, perché non basata sul reciproco riconoscimento di valore, è stata la base della crescita del commercio in Occidente, fin dall’antichità, e ha prodotto, ad un determinato livello di sviluppo dei rapporti di produzione, la necessità di un bene, il cui valore fosse riconosciuto da entrambi i soggetti dello scambio, il denaro, che diviene la forma astratta di ogni bene, e la base di una comune relazione di scambio. Con l’invenzione di un bene astratto, che è la rappresentazione di ogni possibile bene, e il cui valore non è nell’uso, ma nello scambio, si pongono le condizioni per le prime forme di accumulazione e concentrazione della ricchezza, che va oltre la primitiva tesaurizzazione, perché legata alla circolazione,
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che è il luogo in cui il valore si riconosce. Nasce anche una figura specializzata, quella del mercante, che svolge un ruolo specifico nella divisione del lavoro, e nascono culture interamente basate sul commercio, come fu quella dei Fenici. Questa in estrema sintesi la base delle dinamiche commerciali nel Vecchio Mondo. E’ probabile che nel Nuovo Mondo, le dinamiche dello scambio abbiano preso altre vie, o comunque si siano fermate ad un livello precedente: quello del “dono” e del “tributo”. Da quanto risulta il modello economico-sociale Hopewell, che rimase costituente e fondativo della cultura dei popoli delle Foreste Orientali, almeno fino all’epoca del contatto, sviluppò una vasta rete di scambi, in un contesto sostanzialmente pacifico. In sostanza non risulta che comunità e popoli fossero in competizione per beni e ricchezze, che pure circolavano ampiamente. Ciò può far ipotizzare che la relazione di scambio non fosse basata sul principio La richiesta di pelli di castoro giunse all’apice nei primi tendenzialmente conflittuale della domanda e dell’ofdecenni dell’800, quando il cappello in pelle di castoro ferta, ma su quello del “dono”, in cui lo scambio di divenne parte irrinunciabile dell’immagine di ogni beni non deriva tanto dalla reciproca necessità, quanto gentiluomo alla moda invece dal ruolo di autorevolezza e preminenza che l’atto del donare produce per chi lo compie. Questa modalità di scambio, in cui la competizione si esprime attraverso la ricchezza dei propri doni, una competizione praticata in occasioni cerimoniali o nello scambio matrimoniale, era ancora diffusa fra molti popoli nativi in epoca storica, giungendo alle forme estreme della cerimonia del “potlach” dei popoli della costa settentrionale del Pacifico, e ancora sopravviveva fino a tempi recenti, anche nelle società rurali europee. Ovviamente tale modalità di scambio prevede società con modello di sussistenza tendenzialmente simili, che non scambiano beni di prima necessità, ma principalmente beni di valore simbolico, estetico o comunque voluttuario: materiali rari, manufatti artigianali o addirittura artistici, oggetti esotici, e questi beni effettivamente erano i principali oggetti di scambio nella società Hopewell, il cui modello di sussistenza era sostanzialmente condiviso, così come la produzione di beni di prima necessità, che quasi certamente ognuno produceva per se e non erano oggetti di scambio. E’ invece più probabile che forme simili al commercio si siano prodotte nelle zone di contatto tra culture diverse, nomadi e agricoltori in particolare, dove le diverse comunità scambiavano eccedenze diverse, ma si trattava di un fenomeno marginale e di frontiera, che non diede mai vita ad una specifica figura di mercante. Questo semplice e pacifico modello culturale si esaurì nei suoi livelli più complessi intorno al VIII secolo, continuando però a sopravvivere in quella che gli archeologi definiscono Cultura delle Foreste (Woodland Culture), fino al tempo del contatto con i bianchi. Al di sopra di esso comunque emerse a partire dal IX secolo, un modello culturale, noto come “Mississipi”, che rispetto al precedente si caratterizzava per un forte carattere teocratico e gerarchico, oltre che per una accentuata propensione bellica. E’ certo che le diverse comunità erano tra loro in relazione gerarchica, con al vertice centri rituali, che raccoglievano tributi, sia in beni di prima necessità che in beni voluttuari, e attraverso questa modalità, una circolazione di beni si produceva. Si trattava di una forma di scambio ineguale, in cui un soggetto forte offriva la propria protezione (dal mondo sovrannaturale, da nemici esterni, o più semplicemente da se stesso, in una sorta di racket ante litteram), ottenendo ciò che chiedeva, ma anch’esso non si basava sulla legge della domanda e della offerta, quanto su quella ben più elementare della violenza e della paura. L’esistenza di elites in grado di imporre tributi, e quindi di accumulare beni ed eccedenze, avrebbe forse portato alla nascita di figure di mercanti, in grado di rifornire tali elites di beni di lusso e voluttuari, come accadde nell’impero Azteco con i “potchteca”, che compivano lunghe spedizioni commerciali, ma prima che tale processo si sviluppasse, le società Mississipi scomparvero. I nativi americani quindi, conoscevano il valore di un dono, che da prestigio e autorevolezza in chi lo fa, sapevano cosa significa pagare un tributo, che un soggetto più forte poteva imporre, ma non avevano alcuna esperienza del concetto di prezzo, che deriva dal rapporto tra domanda e offerta: è possibile che se avessero saputo fin dall’inizio contrattare sul prezzo, forse molte cose sarebbero state diverse. Essi
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invece conoscevano la necessità della propria domanda, ma forse non erano in grado di valutare adeguatamente quella dei mercanti europei; davano un grande valore all’offerta dei mercanti europei, ma non valutavano abbastanza, quanto loro potevano offrire. Se sui mercati delle Indie Orientali il prezzo di una merce andava contrattato con mercanti esperti, in America qualche piccolo dono di alcool e tabacco, fu per molto tempo la garanzia di un prezzo stabilito da una parte e dall’altra accettato. Il modello commerciale europeo entrò con la violenza di un ariete nel mondo degli indiani, imponendo le sue leggi e uniformando alle sue necessità le società indiane e le relazioni che esse intrattenevano. In breve tempo la cultura originaria degli indiani sarebbe stata profondamente modificata, e l’indiano storico, quello conosciuto dai romanzi e dai film Una colonia di castori presso le Cascate del Niagara in una stampa del XVII d’avventura, fu in larga misura il secolo; al tempo in cui la stampa fu prodotta, il castore era ormai quasi prodotto di tale trasformazione. Il na- estinto nella regione per caccia esasperata a cui fu sottoposto scente capitalismo europeo, che in Asia e in Africa si preparava a imporre il suo dominio su popoli e culture di storia millenaria e cultura complessa, con cui però aveva almeno un comune retroterra, nel Nuovo Mondo, vergine ad ogni commercio, penetrava con la violenza di uno stupratore, lasciando il suo seme tanto fecondo quanto velenoso, per generare il suo frutto più moderno e libero dai retaggi del passato: il capitalismo americano. Di questo stupro, il dramma delle Guerre del Castoro, fu il primo segno sanguinoso lasciato per oltre settant’anni su mezzo continente. Narrare la storia di questo conflitto è cosa difficile per almeno tre ragioni: la sua grande estensione, dato che esso si svolse in un’area vastissima, corrispondente a gran parte degli attuali Stati Uniti orientali e alle regioni limitrofe del Canada; la sua durata, dato che esso fra alterne vicende, si protrasse almeno dalla metà degli anni ’20 del ‘600, fino al 1701; la mancanza di informazioni, dato che una parte significativa dei conflitti si svolse in terre ignote all’uomo bianco, tra popoli che scomparvero prima ancora di entrare in contatto con gli Europei. Esso fu comunque un immenso conflitto tribale, in cui gli Europei che l’avevano causato, parteciparono solo marginalmente, e si produsse seguendo i crinali di contrasti e rivalità, che spesso avevano radici lontane, fin dall’epoca precedente all’arrivo dei bianchi; il racconto deve quindi partire da quel tempo.
La crisi della “Little Ice Age”
Le regioni interessate dalla 1° Guerra del Castoro, prima dell’arrivo dell’uomo bianco, non erano un eden di pace e fratellanza, ma al contrario erano già attraversate da conflitti che dividevano le tribù principalmente lungo il crinale delle differenze etniche e linguistiche, ma che in periodi di crisi, potevano prodursi anche fra popoli affini, linguisticamente e culturalmente. La vasta regione compresa tra i Grandi Laghi e la valle dell’Ohio, che fu il principale teatro della 1° Guerra del Castoro, era abitata prima del contatto da diversi gruppi di popolazioni culturalmente affini, che parlavano lingue appartenenti a tre famiglie diverse, Algonquian, Iroquaian e Siouan; tutti questi popoli erano in misura diversa partecipi di un modello culturale genericamente noto come “Cultura delle Foreste Orientali”, che costituiva la base comune sulla quale si produssero specifiche e a volte notevolmente complesse differenziazioni. Certamente la più complessa e caratteristica di queste differenziazioni era la cosiddetta “cultura del
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Mississipi”, che sorta intorno al IX secolo, ebbe il suo centro nella valle del Mississipi ma si estese fino alla valle del fiume Ohio e in tutta la regione a est e a ovest del basso corso grande fiume, coinvolgendo popoli linguisticamente diversi, Siouan, Muskogean, Caddoan ecc… Si trattava di un modello culturale basato sull’agricoltura e caratterizzato da una rigida stratificazione e gerarchia sociale al cui vertice era posta una casta sacerdotale, seguita dai guerrieri e quindi dai semplici contadini. Simbolo di questo sistema di potere erano le grandi piramidi di terra al cui vertice erano posti i templi e le abitazioni dei sacerdoti, e intorno alle quali nascevano grandi centri cerimoniali che dominavano le comunità vicine; il più grande di tali centri, quello di Cahokia nel sud dell’Illinois, probabilmente era abitato da 15.000 individui e la piramide di terra che lo sovrastava era più alta di quella di Cheope. Gli abitanti di Cahokia erano quasi certamente di lingua Siouan, anche se la loro fine misteriosa non ha permesso a storici e archeologi di giungere a certezze condivise; erano invece sicuramente Siouan altri popoli di cultura Mississipi che vivevano lungo la bassa valle dell’Ohio, antenati di tribù che compariranno nella storia solo secoli dopo, quando si erano già trasferiti a ovest: i Quapaw, gli Osage, i Kansa, gli Omaha. A nord e a est dei popoli di cultura Mississipi, vivevano altri gruppi Siouan, la cui cultura era influenzata dai popoli del Mississipi, ma il cui stile di vita era più semplice, meno gerarchizzati, senza un compiuto impianto teocratico, e che non costruivano piramidi di terra: a nord, tra il lago Michigan e l’alto corso del Mississipi gli Oneota, antenati dei Winnebago, degli Ioway, degli Oto, dei Missouri; a est lungo l’alta valle dell’Ohio vivevano le genti di Ft.Ancient e Monongahela, che si trasferirono sul basso Mississipi e saranno poi conosciute come Ofo (Mosopolea) e Biloxi; ancora più a est, nelle valli dei monti Appalachee, altre tribù meno conosciute e di cultura più semplice, i Monacan, i Manahoac, i Tutelo ecc…, che all’inizio del ‘600 ebbero qualche contatto con gli Inglesi della Virginia, prima di scomparire. Tutti questi popoli prima ancora dell’emergere della cultura Mississipi erano stati i protagonisti e i promotori della cultura Hopewell, che tra il I sec.a.C e il VII sec.d.C si diffuse in tutte le Foreste Orientali, fino alle regioni marginali delle Grandi Pianure. A nord-est di questa ampia regione occupata da popoli Siouan, intorno ai laghi Erie e Ontario, lungo il corso del fiume Susquehanna, e a nord fino alla valle del San Lorenzo, vivevano invece popoli di lingua Iroquaian, che erano giunti nella regione a partire dall’VIII secolo, provenendo dalla valle dell’Ohio, dove forse erano stati gli artefici della prima cultura agricola delle Foreste Orientali, quella di Adena tra il V sec.a.C e il I sec.d.C. Forse spinti a nord proprio dai Siouan, questi Iroquaian avevano portato a nord la cultura del mais e un modello sociale strutturato, una accentuata propensione bellica, l’uso di costruire villaggi fortificati costituiti da molte lunghe case plurifamigliari, e abitati da una popolazione numerosa che poteva anche superare il migliaio di individui. Organizzati in clan matrilineari e confederazioni di villaggi, gli Iroquaian non ebbero problemi a imporse sulle piccole e divise comunità di Algonquian che abitavano la regione e che all’epoca praticavano ancora poco l’agricoltura. E’ comunque probabile che almeno in una prima fase i rapporti tra Iroquaian e gli Algonquian che li circondavano non fossero di guerra, e che i due diversi popoli scambiassero le rispettive eccedenze di prodotti agricoli e selvaggina. Gli Iroquaian saranno i protagonisti della 1° Guerra del Castoro e tra di loro nascerà la Lega Iroquois, che alla fine dei conflitti emerse come una vera e propria potenza regionale, temuta e rispettata tanto dalle altre tribù indiane, quanto dai Francesi e dagli Inglesi. Vi era infine un gran numero di popolazioni di lingua Algonquian, che occupavano la penisola del Michigan, le regioni della costa Atlantica e le vaste foreste a nord dei Grandi Laghi. Benchè numerosi essi erano poco coesi, organizzati in piccole bande e comunità, occupavano la regione da millenni e solo in tempi recenti i gruppi che vivevano più a sud, avevano acquisito l’agricoltura e uno stile di vita semisedentario, mentre le tribù che vivevano più a nord continuavano con l’antico stile di vita nomade, basato sulla caccia, la pesca e la raccolta. La loro semplice organizzazione sociale, fondata su clan famigliari totemici aveva subito l’influenza dei vicini popoli di più antica tradizione agricola e alcune tribù come i Lenape, avevano da essi mutuato l’impianto matrilineare, che spesso si accompagna all’agricoltura, mentre la maggior parte manteneva il tipico modello patrilineare dei cacciatori nomadi. Tutti questi popoli furono investiti a partire dall’inizio del XIV secolo, da una crisi prodotta da un repentino cambiamento climatico, noto come “Little Ice Age” (Piccola Età del Ghiaccio), che portò ad un irrigidimento delle temperature, causando gravi problemi alla monocoltura del mais. Le conseguenze di tale crisi furono proporzionali al livello di specializzazione e rigidità dei diversi modelli economicosociali, e a pagare il prezzo più alto furono i popoli del Mississipi e della valle dell’Ohio. Nel corso del XIV e XV secolo tutti i grandi centri cerimoniali furono abbandonati e se le genti di Cahokia scomparirono, lasciando dietro di se il mistero, nella bassa valle dell’Ohio nuove comunità furono costruite con una sostanziale continuità nel modello di sussistenza e nelle tecniche, ma senza più le grandi piramidi
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La regione dei Grandi Laghi all’inizio della Little Ice Age
di terra che simboleggiavano il potere delle gerarchie sacerdotali; è probabile che proprio tali gerarchie, che fondavano il loro potere sulla intermediazione con il mondo sovrannaturale, siano state considerate responsabili di cattivi raccolti e carestie e che ciò possa aver provocato una crisi sociale, e la fine di un modello di civiltà. Le culture Mississipi continuarono a vivere nelle regioni più meridionali, dove il cambiamento climatico non determinò una crisi agricola, e alla metà del ‘500, quando gli Spagnoli visitarono quelle terre, esse erano ancora vitali e forti. Le società meno rigide socialmente e con un modello di sussistenza meno specializzato e dipendente dalla monocoltura del mais, soffrirono meno la crisi agricola, potendo meglio integrare le loro necessità con la caccia, la pesca e la raccolta, ma è possibile che anch’esse abbiano pagato il prezzo di una maggiore conflittualità tribale, sia per la concorrenza tra gruppi affini, sia per la pressione da nord delle genti Algonquin, spinte a sud dalla rigidità del clima e pronte ad approfittare dell’indebolimento dei loro vicini meridionali. Sappiamo che nel corso del XVI secolo gli Illinois avevano raggiunto la media valle del Mississipi, laddove un tempo era sorta Cahokia, e all’inizio del ‘600 erano da tempo in guerra con i Siouan Winnebago di cultura Oneota; quasi certamente in questo stesso periodo gli Shawnee, il cui nome significa “i meridionali”, raggiunsero l’alta valle dell’Ohio, mentre nelle tradizioni dei Mohawk si narra del conflitto con gli Adirondack, nome generico per indicare gli Algonquian, che in un’epoca imprecisata a cavallo fra il XIV e il XV secolo vessavano e dominavano le tribù che avrebbero costituito la Lega. Sappiamo poi dalle più antiche tradizioni della Lega Iroquois, che questo periodo compreso tra la metà del XIV e quella del XVI secolo, fu un momento buio della storia dei popoli Iroquaian, un tempo in cui i cattivi raccolti, le carestie e le feroci guerre tribali, trasformarono l’uso della antropofagia rituale, da evento cerimoniale a pratica diffusa per sfuggire alla fame. E’ nell’orrore per queste pratiche e questi tempi crudeli, che inizia la predicazione di pace di un profeta degli Huron, Deganawida, il cui messaggio di cooperazione e fratellanza non trovò però orecchie tra la sua gente; fu invece un capo dei Mohawk o degli Onondaga, Hiawatha, che riuscì a trasformare la predicazione di Deganawida, in concreto progetto politico, unificando le tribù Mohawk, Onondaga, Oneida, Cayuga e Seneca, che vivevano a sud del lago Ontario, in una unica confederazione, la Lega Iroquois. E lecito ipotizzare che il modello della Lega Iroquois non fosse una novità tra le genti Iroquaian, e che gli Huron, i Susquehanna, gli Erie, già fossero organizzati in confederazioni unitarie; il territorio che tali popoli occupavano in tempi storici era sostanzialmente equivalente a quello occupato da tutte e cinque le tribù della Lega, ognuna delle quali quindi aveva una popolazione minore e un territorio più piccolo rispetto alle confederazioni tribali vicine. Divise, le piccole tribù che avrebbero formato la Lega, furono probabilmente vittime degli attacchi dei vicini, e proprio per questo esse poterono essere più sensibili al messaggio di unità e cooperazione lanciato da Deganawida e ripreso da Hiawatha; comunque il valore della pace veniva praticato solo all’interno della confederazione, e se la Lega Iroquois sicuramente riuscì a difendersi dai vicini di lingua Iroquaian e a imporre loro rispetto, sappiamo con certezza che essa iniziò subito una politica aggressiva contro i popoli vicini. I primi a subirne le conseguenze furono gli Adirondack, gli Algonquian del New
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Le tribù coinvolte nella 1° Guerra del Castoro all’inizio del ‘600
England, i Mahican che erano i più vicini, ma probabilmente anche i Pequot, che in questo stesso periodo abbandonarono le loro terre per spostarsi verso la costa. La Lega scatenò la sua ostilità anche contro gli Iroquaian del San Lorenzo, scomparsi prima della fine del ‘500, sia a causa delle malattie introdotte da Jacques Cartier, sia per la guerra condotta dai Mohawk. Era prassi tra i popoli Iroquaian che i prigionieri presi tra le tribù affini, se non erano subito uccisi, torturati e mangiati, fossero adottati, per sostituire i guerrieri persi in guerra, o nel caso di donne e bambini, per rafforzare i diversi gruppi famigliari; è quindi probabile che molti Iroquaian del San Lorenzo possano essere stati adottati tra i Mohawk, e questo spiegherebbe la forza e il protagonismo di questa tribù nei decenni successivi. Altri Iroquaian del San Lorenzo potrebbero aver cercato rifugio tra gli Huron, offrendo un’ulteriore ragione di ostilità quande le due tribù si sarebbero scontrate nella 1° Guerra del Castoro. Questo in estrema sintesi era il quadro delle relazioni tribali nell’area che fu più tardi investita dal traffico di pellicce e dalla 1° Guerra del Castoro, un quadro segnato da profonda instabilità, causato da una crisi economica e ambientale molto grave, che aveva aumentato la conflittualità tribale. Pure tale conflittualità si produceva secondo i modi e le forme di una società del neolitico, in cui per quanto le passioni fossero esasperate e la crudeltà fosse parte ordinaria della vita quotidiana, mancavano le ragioni e gli strumenti, per una guerra autenticamente distruttiva. Le guerre tribali, condotte con archi e frecce o mazze e lance, potevano occasionalmente produrre autentici massacri, quando una delle due parti era nelle condizioni di soverchiare l’altra, ma abitualmente si esaurivano in una serie di scaramucce e agguati, condotte nelle zone di contatto tra i diversi territori di caccia tribali; una guerra il cui scopo era più che altro quello di tenere a distanza i nemici. Anche quando una tribù giungeva a scacciarne un’altra dalla propria terra, ciò avveniva con una pressione di anni, in cui la tribù perdente progressivamente non aveva più i numeri e la forza non solo per difendere, ma neanche per usare il proprio territorio. Mancava nelle guerre indiane quel principio di “occupazione del territorio”, che nelle guerre tra gli stati è fondamentale; gli indiani non conoscendo il principio della proprietà della terra, non combattevano per “occupare la terra”, se non nel caso che effettivamente fossero nella necessità di abbandonare le loro sedi, per cercarne altre. L’idea della conquista territoriale come valore in se, non apparteneva agli indiani, e l’esito di un conflitto vittorioso era il più delle volte l’imposizione di un tributo in cibo o altri beni agli sconfitti. Il territorio aveva valore nella misura in cui era usato, abitato, vissuto e non come accade nelle società più complesse, per le risorse di cui dispone e per cui può essere sfruttato. Le guerre tribali, per quanto feroci potevano essere, mancavano di quella calcolata determinazione che
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è frutto solo della volontà di profitto, e che è caratteristica delle società con economie più complesse. Quando il commercio delle pelli offrì nuove e più profonde ragioni ai conflitti tribali, quando la conquista di un territorio di caccia non fu più finalizzato al sostentamento della propria comunità, ma alla possibilità di accumulare beni e ricchezze fino ad allora ignoti, allora le guerre tribali divennero veramente distruttive. Poi arrivarono anche i fucili…
Guerra e commercio nell’economia tribale
Con l’espressione “Guerre del Castoro” si definisce un lungo periodo di guerre tribali per il controllo dei territori di caccia, caratterizzato dalla volontà espansionistica della Lega Iroquois, che di fatto si scontrò con tutte le tribù della vasta regione dei Grandi Laghi, uscendone alla fine come una vera e propria potenza regionale, capace di dominare le vicine tribù indiane, e trattare alla pari con i rappresentanti delle potenze coloniali europee. Si trattò di un conflitto indotto dalla nascita e dalla crescita del commercio di pellicce con gli Europei, che coinvolse i nativi spingendoli a cercare di ottenere quantitativi sempre maggiori di pelli pregiate, da scambiare con i bianchi per ottenere beni e merci fino ad allora ignoti. Va però considerato che in realtà il meccanismo infernale della competizione militare per il controllo dei territori di caccia, iniziò almeno trent’anni prima, sul finire del ‘500, ancor prima che una vera e propria attività commerciale europea si producesse. A quel tempo le coste del Labrador e della Nova Scotia erano frequentate quasi esclusivamente da flottiglie di pescatori di baccalà, che facevano piccoli scambi con gli indiani, spesso con la sola disponibilità dei beni che facevano parte dell’ordinario equipaggiamento di un peschereccio; pure bastò che una limitata quantità di beni di fabbricazione europea giungessero nelle disponibilità dei nativi, perché essi si trovassero immediatamente nella condizioni di dipendere da tali beni, e di fare di tutto pur di ottenerli. Di fatto l’introduzione fra i nativi di armi e utensili di metallo e di una quantità di oggetti prodotti da una manifattura ampiamente sviluppata, che già si avviava verso la produzione industriale, fu un autentico trauma economico e sociale, con ricadute oltre che nei rapporti tra le diverse comunità tribali, all’interno di ognuno di esse, modificandone l’economia, l’organizzazione sociale, l’elementare divisione del lavoro fra uomini e donne. Per valutare l’entità di tale trauma è necessario comprendere come il passaggio dal neolitico alla civiltà dei metalli, che nel Vecchio Mondo si produsse nel corso di alcuni millenni, nel Nuovo Mondo avvenne nel giro di pochi anni, o al più di pochi decenni. Un processo di cambiamento della vita materiale, che nel Vecchio Mondo si era realizzato accompagnando l’evolversi delle società, delle tecniche artigianali, delle strutture sociali, della crescita delle conoscenze, un processo a cui diversi popoli e comunità avevano contribuito, passando dalle prime manipolazione di stagno e rame reperito a livello del suolo, al sorgere delle prime attività minerarie, alla nascita della metallurgia con la fusione in bronzo, fino all’età del ferro. Mentre l’uomo imparava ad usare i metalli, acquisiva l’allevamento, nuove tecniche agricole, conosceva la nascita delle società urbane e dello stato. Di fatto la semplice acquisizione di una lama di metallo, fu l’elemento centrale che interagì con una quantità di altri cambiamenti, in un contesto di relazioni che si estendevano nel tempo e nello spazio, dando luogo ad uno sviluppo della civiltà che non poteva essere limitato, ne tanto meno posto sotto il controllo di alcuno. Ciò che accadde nel Nuovo Mondo fu esattamente il contrario: all’improvviso, utensili, armi, oggetti di uso quotidiano, di materiale ignoto, costruiti con tecniche incomprensibili, giungevano da un mondo sconosciuto al di là del mare, e il loro possesso oltre a migliorare la qualità della vita, dava la possibilità di dominare. E a differenza di quanto accadde nel Vecchio Mondo, dove la circolazione di nuovi beni, si diffondeva insieme alle conoscenze sulle tecniche di produzione di tali beni e alla contestuale diffusione di professionalità in grado di dominare tali tecniche, in America la circolazione di beni, che iniziò subito a crescere, non si accompagnò ad alcuna conoscenza sulle tecniche per la loro produzione, che rimaneva in Europa; se si esclude l’attività dei missionari spagnoli, in Messico e California, che tentarono di introdurre tecniche di produzione europee fra gli indiani, nel resto del continente la produzione di una semplice (e indispensabile) lama di metallo, rimase un mistero, una sorta di miracolo, un privilegio (più raramente un dono), che l’uomo bianco portava con se, sulle sue grandi canoe, da un luogo ignoto e lontano al di la della “grande acqua”. Per ottenere questo bene meraviglioso e indispensabile, non c’erano che due modi: sottrarlo all’uomo bianco, rubando o uccidendolo, o dare all’uomo bianco ciò che desiderava in cambio. E, se l’uomo bianco scompariva, con lui scomparivano le sue ricchezze. Nelle colonie spagnole del Messico e del Nuevo Mexico, ciò che desiderava l’uomo bianco dall’indiano,
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erano il suo corpo per lavorare e la sua anima per il suo dio: in cambio offriva poco, e molti piuttosto che attendere la sua elemosina, preferirono darsi alla razzia e alla guerra, che era l’altro modo per impossessarsi dei beni dei bianchi. Francesi, Olandesi e Inglesi non chiedevano ne il corpo ne l’anima per un coltello o un’ascia, si accontentavano di pelli d’animale, e per quanto il Una famiglia Cree con il suo carico di pelli e la caratteristica canoa di corteccia loro prezzo fosse alto, c’erano animali in abbondanza e gli indiani sapevano come cacciarli. Sembrava un buono scambio. Nel giro di un tempo estremamente breve questo “buono scambio”, divenne uno dei fondamenti dell’economia tribale, dato che attraverso di esso era possibile ottenere quasi tutto ciò che serviva alla vita quotidiana. Coltelli, punte di freccia e asce di metallo, erano certo gli oggetti che più necessitavano agli uomini, che li utilizzavano per le loro principali attività, la caccia e la guerra; anche l’artigianato necessitava di utensili di ferro, per una pipa o la preparazione di frecce, la costruzione di una canoa, per non parlare degli ami da pesca, la cui fabbricazione in osso era un lavoro complesso, che non garantiva comunque la stessa efficacia. Per le donne fu un’autentica rivoluzione la scoperta di pentole e padelle di metallo, che non si rompevano come quelle di terracotta durante gli spostamenti, ed erano molto meno pesanti; c’erano poi una quantità di piccoli oggetti di uso quotidiano, dagli aghi ai pettini; e infine i tessuti, abiti e coperte, dai coloro sgargianti dai vivaci motivi. Ovviamente non spettava alle donne trattare con i mercanti, ma certamente capi e guerrieri dovevano sapere che al loro ritorno dal posto commerciale, c’era una squaw che attendeva e che aveva fatto la sua lista della spesa. Abitualmente gli indiani non rinunciavano ad i loro tradizionali abiti in pelle, ma le coperte di lana multicolori, i tessuti stampati in varie fantasie, erano apprezzati tanto dagli uomini quanto dalle donne; c’era poi la vastissima scelta di ornamenti, perline colorate, gorgiere di metallo, orecchini e bracciali. I mercanti bianchi poi non impiegarono molto tempo a comprendere ciò che più gli indiani apprezzavano, avviando una produzione mirata: il tabacco, che tutte le tribù usavano, ma non sempre erano in grado di produrre in quantità e qualità adeguate, le tinture per il viso e il corpo, le pregiate fasce di wampum per le occasioni cerimoniali. Poi c’era l’alcool, che l’indiano all’inizio usava come una sostanza per facilitare le visioni, i sogni e il contatto con il sovrannaturale, ma che in breve lo riduceva ad una condizione di totale dipendenza. Quando poi iniziò la vendita di armi da fuoco, palle e polvere da sparo, in Europa ci furono addirittura fabbriche specializzate per la costruzione di fucili di bassa qualità, da usare proprio nel commercio indiano. Nel giro di pochi anni, l’indiano passò dal mondo del neolitico, in cui anche il più semplice oggetto di uso quotidiano, una lama di pietra o un amo d’osso, richiedeva un paziente lavoro e una esperta manualità, e una volta ottenuto andava conservato con attenzione, ad una sorta di moderno supermarket, la baracca di legno del posto commerciale, dove ogni bene era a portata di mano in grande quantità, disponibile per chiunque avesse pelli da offrire. Piuttosto che dedicarsi al tranquillo, ma forse un po’ noioso lavoro di ore, per avere un pugno di punte di freccia in pietra, una avventurosa spedizione di caccia garantiva quante punte di freccia in ferro si potevano desiderare e ogni altro bene. Fu così che progressivamente una serie di attività artigiane che competevano all’uomo furono tralasciate, in favore della caccia, attraverso cui ogni bene era disponibile. La pelle pregiata, trascendendo il suo semplice valore d’uso, diviene così un valore di scambio, sorta di denaro, che può trasformarsi in ogni merce; e per ottenere questa sorta di “denaro”, non c’era da far altro che andare nella foresta e cacciare, un’attività che nelle società agricole l’indiano aveva sempre svolto come attività integrativa, che invece diviene centrale, mentre tra i popoli non agricoli, la caccia tradizionale per la sussistenza, si trasforma in attività quasi industriale. Praticamente ad esclusione del cibo, ogni altra esigenza può trovare risposta dal mercante bianco ed essere soddisfatta con le pelli: se
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il lavoro delle donne nei campi è necessario per sopravvivere, è l’attività dell’uomo, la caccia, quella che garantisce la ricchezza, una vita comoda, i piaceri voluttuari, e ogni altra cosa possa essere desiderata. L’affermarsi della figura maschile del cacciatore, può aver avuto effetti particolarmente significativi nelle società agricole indiane, organizzate su clan matrilineari, dove le donne avevano sempre svolto un ruolo importante, come tra gli Iroquaian e le tribù della Lega in particolare. Nella struttura sociale degli Iroquois, competeva alle donne anziane dei vari clan indicare i membri maschili della proSet di merci per il commercio con gli indiani pria famiglia che partecipavano ai consigli tribali e potevano divenire leader della comunità; si trattava di un delicato equilibrio di potere, in cui le donne solitamente sceglievano uomini che davano fiducia per la loro forza e saggezza, piuttosto che preoccupare per la loro temerarietà e ambizione. Ovviamente questo schema dava i suoi migliori frutti in una società agricola senza mire espansionistiche, piuttosto che in una società la cui sopravvivenza era legata all’espansione territoriale: e la novità indotta dal commercio di pelli, era proprio la necessità di espansione territoriale. La pelliccia poteva trasformarsi in ogni merce, come fosse denaro, e tra tutte le pellicce la più pregiata era quella di castoro; ma se un castoro poteva trasformarsi in ogni genere di merci, nessuna merce poteva trasformarsi in un castoro; e per quanto i castori fossero abbondanti in Nord America, se in ogni territorio la popolazione di castori doveva sostenere gran parte delle necessità di consumo delle comunità umane residenti, allora il risultato possibile era uno solo: la scomparsa dei castori. Il passo successivo era la necessità di ottenere le pelli di castoro da un territorio non ancora sfruttato, e quindi l’estensione dei propri territori di caccia a danno dei vicini. Il cacciatore deve saper essere anche guerriero, perché di fatto è la guerra che permette la caccia: la guerra diviene quindi il fondamento dell’economia tribale. Quanto l’immagine mitizzata del guerriero indiano, sia il prodotto anche di questa trasformazione indotta dal commercio con i bianchi è cosa su cui è difficile fare ipotesi. La guerra stessa si modifica e dalla tradizionale guerra indiana, fatta per lo più da scaramucce e finalizzato sostanzialmente a tenere a distanza l’avversario, si passa ad una guerra il cui obbiettivo è la conquista del territorio; e non la conquista del territorio per stabilirvi la propria comunità, ma solo per sfruttarne le risorse. La guerra moderna esplode nel neolitico. Tutto questo processo si realizzò nel giro di trent’anni nella regione tra il Maine e la Nova Scotia, durante la Guerra dei Tarrantine, uno dei nomi usati per la tribù dei Micmac. I Micmac che erano un popolo principalmente dedito alla pesca, sono stati i primi a commerciare con continuità con gli Europei, prima
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i pescatori che frequentavano le loro coste, poi i mercanti francesi di Port Royal; ridotta l’attività di pesca, essi iniziarono a dedicarsi principalmente alla caccia di castori e altri animali da pelliccia, fin quando nel giro di pochi decenni, il loro territorio non fu più in grado di garantire i quantitativi di pelli richiesti dai mercanti. All’inizio la soluzione venne trovata in parte, utilizzando a proprio vantaggio le relazioni commerciali che erano state costruito negli anni; i vicini e alleati Malecite, che vivevano nei territori dell’interno, non avevano contatti diretti con i mercanti francesi, e se volevano anch’essi ottenere le merci dell’uomo bianco, dovevano avvalersi dell’intermediazione dei Micmac. Poi quando anche le terre dei Malecite cominciarono a non bastare più, il tentativo fu quello di estendere la propria intermediazione ad altre tribù vicine. I Penobscot loro vicini meridionali, erano però anch’essi un popolo costiero, che nel frattempo aveva anch’esso iniziato a commerciare con i Francesi, senza necessità di alcuna intermediazione. I Micmac però da tempo si erano dotati di armi di metallo, asce e coltelli, e poterono far valere la loro superiorità, per cercare di prendersi con la forza le pelli di cui necessitavano, sia cacciando nelle terre dei nemici, sia razziando i loro villaggi e rubando le pelli da essi cacciate. La Guerra Tarrantine che oppose Micmac e Malecite, ai Penobscot, agli Abnaki, fino alle tribù del New England, iniziata nei primi anni del ‘600, si protrasse distruttiva fino al 1620, finendo solo a causa di tre devastanti epidemia, che provocarono un numero di vittime elevatissimo su entrambi i fronti. Alla fine i mercanti francesi, che avevano commerciato con entrambe le parti, riescirono a mediare una pace che garantiva la sicurezza dei traffici. Nel frattempo comunque in tutta la regione i castori e le altre prede pregiate erano ridotte al minimo, e i mercanti spostarono la loro attenzione su terre più ricche. La valle del San Lorenzo, il fiume che è una comoda via verso le immense regioni inesplorate del continente, diventò il cuore del commercio delle pellicce. Con il ridursi della domanda di pelli da parte dei mercanti, i cui interessi si erano spostati, anche le ragioni del conflitto vennero meno. La Guerra Tarrantine, la prima guerra commerciale del Nord America, finisce e dopo questa prova generale, il dramma può prodursi su scala ben più vasta.
La I Guerra del Castoro ha inizio
Samuel de Champlain, che aveva riportato i Francesi sul San Lorenzo dopo la sfortunata avventura di Jacques Cartier, aveva trovato i patners commerciali ideali nelle tribù degli Algonquin e dei Montagnais: si trattava di tribù nomadi di esperti cacciatori, per i quali era normale spostarsi dalle stazioni commerciali lungo il fiume, alle ignote foreste settentrionali, dove laghi, fiumi e acquitrini ospitavano castori in immensa quantità. Il problema era che la valle del San Lorenzo era però terra contesa, che i Montagnais e gli Algonquin visitavano, ma in cui dovevano sempre temere gli attacchi dei loro rivali meridionali, i Mohawk; Champlain non ebbe esitazioni e si schierò con i suoi fornitori di pelli, unendosi ad Algonquin e Montagnais per sconfiggere i Mohawk in due battaglie nel 1608 e nel 1609, e soprattutto rifornendo i suoi alleati con asce, coltelli e punte di freccia di metallo. In breve il conflitto che da anni contrapponeva Mohawk e Algonquin volse a favore dei secondi e per qualche anno gli Algonquin che vivevano nella vallata del fiume Ottawa svolsero un ruolo preminente nel commercio; i Montagnais infatti che avevano accesso ai ricchi territori di caccia del nord, potevano garantire carichi di pelli solo in rapporto alla Gli indiani Algonquian del Canada, con i loro teritori cosparsi di laghi e loro diretta possibilità di cacciare, acquitrini, furono per quasi tre secoli i maggiori fornitori di pellicce pregiate
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dato che le terre del nord erano scarsamente popolate e quindi vi era una limitata disponibilità di forza lavoro da impiegare; al contrario gli Algonquin, attraverso la valle del fiume Ottawa, erano in rapporto con un gran numero di tribù, da cui potevano raccogliere grandi quantitativi di pelli. Il ruolo preminente in questa intermediazione era svolto dai Kichesperini, un gruppo Algonquin che in tempi recenti aveva iniziato a dedicarsi all’agricoltura e che viveva in un villaggio stabile a Morris Island, un’isola lungo il corso del fiume Ottawa, ove passavano le canoe cariche di pelli. L’intermediazione esclusiva degli Algonquin durò comunque poco, perché intorno al 1615, grazie all’iniziativa di Etienne Brulè, i Francesi erano entrati in contatto con gli Huron, una tribù di agricoltori sedentari, il cui territorio era ancora ricco di castori e che erano in posizione più favorevole per commerciare con le tribù dell’ovest. Gli Algonquin pur essendo alleati degli Huron, all’inizio tentarono di ostacolare il rapporto diretto tra questi e i Francesi, ma alla fine si dovettero adattare, anche perché nel frattempo i nemici Mohawk stavano tornando a farsi pericolosi. A partire dal 1614 infatti anche i Mohawk avevano trovato modo di rifornirsi di armi di metallo, grazie ai mercanti olandesi che avevano iniziato ad operare sul fiume Hudson; pur di ottenere le preziose armi essi avevano dovuto venire a patti con i nemici storici Mahican, e dopo l’ennesimo conflitto, tra il 1617 e il 1618, con la mediazione olandese, avevano accettato di pagare un pedaggio ai Mahican per recarsi al posto commerciale olandese di Ft.Nassau, che era sul loro territorio. Riforniti di armi di metallo, essi erano di nuovo in grado di riprendere la guerra per il controllo della valle del San Lorenzo, disturbando i convogli di pelli che discendevano i fiumi Ottawa e San Lorenzo per recarsi a Quebec. Contro di loro Huron, Algonquin e Francesi nel 1615 avevano lanciato una spedizione, per colpirli nel cuore del loro territorio, ma l’attacco ad un villaggio Oneida era fallito e lo stesso Champlain era rimasto ferito. Sempre per isolare la Lega Iroquois, quello stesso anno Etienne Brulè si era recato fino ai lontani Susquehannock, mentre attraverso gli Huron relazioni commerciali e alleanze si estendevano ai Tionontati, ai Neutrali, agli Erie. All’inizio degli anni ’20 del ‘600 gli Huron si trovavano al centro di una rete di alleanze, che dal territori del Saguenay, sul basso corso del San Lorenzo, abitato dai Montagnais, attraverso la valle dell’Ottawa, dove vivevano gli Algonquin, si estendeva fino a sud del lago Erie e raggiungeva la valle del Susquehanna, coinvolgendo tutte le tribù Iroquaian, avvolgendo come una cintura le terre abitate dalla Lega, e bloccando l’espansione commerciale olandese verso i grandi territori di caccia dell’ovest. Non abbiamo informazioni su cosa invece accadeva all’esterno di questa cintura, nelle terre inesplorate; non è chiaro per esempio se le tribù in contatto con i Francesi si limitassero, in questa prima fase, a raccogliere le pelli dalle tribù più lontane, o si spingessero direttamente nei loro territori di caccia, producendo conflitti. E’ probabile che in questa prima fase, il territorio degli Huron, degli Algonquin e delle altre tribù in contatto con i Francesi, non fossero ancora impoveriti, e che il coinvolgimento delle tribù più occidentali sia stato pacifico. Questo è quanto accadde sicuramente a nord, lungo la sponda settentrionale del lago Huron, dove vivevano gli Ottawa, in rapporti pacifici con Huron e Algonquin, e a loro volta parte di un’alleanza con Il commercio di pellicce francese e olandese alla metà degli anni ‘20 del ‘600. In caratteri gli Ojibway e i Pota- maiuscoli sono indicate le tribù che svolgevano un ruolo di intermediazione commerciale
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watomi. Più a sud è possibile che ostilità fra genti Iroquaian e Algonquian fossero preesistenti, e che si siano accentuate in conseguenza del commercio; e anche legittimo credere che le prime armi di metallo, che cominciavano a filtrare fin nelle regioni più lontane, abbiano accelerato la pressione degli Algonquian verso i popoli Siouan della valle dell’Ohio, che in un periodo imprecisato, ma prima della fine del ‘600, avevano abbandonato la regione. Tra di loro le tribù Iroquaian (a esclusione della Lega), commerciavano pacificamente e un flusso di merci francesi, dagli Huron, passava ai vicini Tionontati, fino a raggiungere i Neutrals, gli Erie, e i lontani Susquehannock. Questi ultimi commerciavano anche un po’ con gli Olandesi sul fiume Delaware, e per garantirsi l’accesso ai posti commerciali, attaccavano i vicini Lenape, stanziati lungo il fiume. Riforniti di armi poi attaccavano i loro vicini meridionali, i Piscataway e altri Algonquian della Virginia a sud, oltre e tener vivo il conflitto con i Mohawk, gli Oneida e le altre tribù della Lega. In questa prima fase, con le tribù ancora in grado di trovare prede sui propri territori di caccia, la guerre tribali tradizionali si rinfocolavano, ma i conflitti direttamente prodotti dal commercio ancora non erano iniziati. In questa situazione chi scontava la condizione più difficile era la Lega Iroquois, isolata dai vasti territori di caccia occidentali dalle tribù filo-francesi, costretta a pagare un umiliante pedaggio ai Mahican per poter commerciare con gli Olandesi, e con i propri territori di caccia in via di progressivo impoverimento; con il grande lago Ontario a dividerli dai territori di caccia dell’ovest e a nord la valle del San Lorenzo controllata da Huron e Algonquian, la loro unica possibilità di espansione era a sud, verso i Munsee e i Susquehannock, con cui la guerra era continua. Nel 1622, forse per uscire da tale isolamento e tentare di aprire relazioni con i Francesi, i Mohawk stabilirono una precaria tregua con gli Algonquin, ma questi non aprirono il loro blocco commerciale e tanto meno permisero ai Mohawk di cacciare sulle loro terre. I Mahican dal canto loro oltre a farsi pagare un pedaggio dai Mohawk, raccoglievano le pelli dei vicini Sokoki, Pennacook e Pokuntuk, gestendo in monopolio il traffico con gli Olandesi nell’alta valle dell’Hudson, e lo stesso facevano i Pequot nella valle del Connecticut. Il grande giro d’affari comunque era quello gestito dai Francesi a dagli Huron e ad esso guardavano i mercanti olandesi e i loro alleati Mahican; nel 1624 dopo l’abbandono di Ft.Nassau, gli Olandesi avevano costruito il nuovo Ft.Orange, vicino alla prima stazione commerciale, ma sulla sponda orientale dell’Hudson e più facilmente raggiungibile dai Mohawk, che ora potevano evitare di attraversare la terra dei Mahican per commerciare, e quindi risparmiarsi l’odioso pedaggio. Essi potevano ora rompere l’umiliante accordo con i Mahican e con gli Olandesi, ma se anche non avessero voluto farlo, furono proprio questi a metterli nelle condizioni di decidere. Nella speranza di allargare i loro commerci a nord, gli Olandesi convinsero i Mahican a cercare di aprire relazioni con gli Algonquin, una parte dei quali forse non aveva accettato il ruolo di secondo piano che era toccato loro con l’accordo diretto tra Huron e Francesi. Una vasta zona di commercio, che dalla alta valle dell’Hudson poteva estendersi fino al San Lorenzo, coinvolgendo oltre ai Mahican, i Sokoki, i Pokuntuk, i Pennacook, gli Abnaki fino agli Algonquin e forse i Montagnais, poteva divenire una spina nel fianco al dominio commerciale francese, e questo era l’obbiettivo dei commercianti olandesi e dei Mahican loro intermediari; per i Mohawk e gli altri Iroquois ciò avrebbe significato la condanna alla marginalità, mentre tutti i loro avversari si sarebbero rafforzati. Fu a questo punto che i Mohawk decisero di uscire dal cul de sac in cui rischiavano di finire e dichiararono guerra ai Mahican e ai loro alleati. Nella guerra che contrapponeva i loro principali alleati, gli Olandesi all’inizio si schierarono al fianco dei Mahican, ma dopo che alcuni di loro furono uccisi presso Ft.Orange nel 1626, mentre si preparavano a unirsi ai guerrieri Mahican, decisero prudentemente per la neutralità, evacuarono i coloni dalla regione, e continuarono a fare affari rifornendo equamente entrambi i contendenti. La guerra iniziata nel 1624 si concluse nel 1628, quando i Mahican furono obbligati a chiedere la pace; l’anno successivo, i Munsee che approfittando dell’inizio delle ostilità avevano rifiutato di pagare tributi e si erano ribellati ai Mohawk, furono anch’essi obbligati a fare atto di sottomissione. Rimanevano gli alleati dei Mahican, contro cui i Mohawk continuarono per un po’ gli attacchi, prima che la loro politica espansionistica si rivolgesse ad altre opportunità che stavano maturando. La vittoria dei Mohawk contro i Mahican, può essere considerato il vero inizio delle Guerre del Castoro, perché a partire da tale evento si producono i principali fattori che caratterizzeranno gli sviluppi successivi. Il primo di tali fattori fu certamente l’imporsi dei Mohawk come l’unico referente delle politiche commerciali olandesi: i Mohawk raccoglievano le pelli dalle altre tribù Iroquois che vivevano a sudovest, lungo le sponde del lago Ontario, poi attraverso il fiume che portava il loro nome, un affluente dell’Hudson che sfociava presso Ft.Orange, le pelli arrivavano agli Olandesi; altre pelli venivano raccolte come tributo dei Mahican e dei Munsee e altre ancora erano frutto di razzie presso le tribù nemiche. I
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Mohawk venivano quindi a svolgere un ruolo preminente all’interno della Lega, ma evidentemente essi non usarono di tale ruolo in modo tale da suscitare risentimenti o gelosia. Il patto fra le tribù della Lega, fondato sulla pace e la cooperazione fra le cinque tribù, nel rispetto dell’autonomia interna, e senza vincoli rispetto alla Il wampum che rappresenta l’unità della cinque tribù della Lega Iroquois scelte di “politica estera”, non fu indebolito dall’emergere dei Mohawk, ma anzi tutte le tribù della Lega ottennero vantaggi materiali. Per gli Olandesi ciò significava che essi dovevano rinunciare ad autonome politiche di espansione commerciale e limitarsi a sostenere quanto deciso dalla Lega; l’ipotesi di una concorrenza olandese ai francesi sottraendo loro l’amicizia delle tribù alleate, non si ripropose più. Il flusso delle pelli doveva passare attraverso i territori Iroquois, e nessun tentativo di penetrazione commerciale nella valle del San Lorenzo fu più tentato. Per gli Olandesi ciò significava che essi dovevano dipendere dallo sfruttamento dei territori di caccia già impoveriti degli Iroquois, o in alternativa, sostenere militarmente, tutte le iniziative della Lega per estendere i propri territori di caccia. Di fatto le politiche commerciali olandesi, erano vincolate agli interessi degli Iroquois, e dei Mohawk in particolare. Quanto accadeva nelle zone sotto l’influenza francese, dove i mercanti stabilivano le loro relazioni con le tribù indiane in rapporto alle proprie convenienze, sulla base della ricchezza dei loro territori di caccia o della loro posizione lungo le vie commerciali, non sarebbe accaduto alla Lega. Il loro ruolo di intermediazione commerciale, non sarebbe dipeso da fattori contingenti e transitori; se i mercanti volevano le pelli, erano obbligati a sostenere la Lega nella espansione dei suoi territori di caccia. Il principio era semplice: non si fanno affari senza la Lega. In cambio di ciò la Lega offriva, oltre ad un rifornimento certo di pelli, un alleato forte e affidabile, in grado di controllare le tribù indiane vicine e sottomesse, intervenendo, secondo la propria volontà, per risolvere conflitti, eventualmente sedare ribellioni, ma anche per tutelare diritti, facendosi carico della pace e della sicurezza dei commerci. Di questa sua capacità avrebbe dato prova negli anni successivi, quando l’intervento dei Mohawk fu centrale per concludere le guerre tra coloni olandesi e indiani della valle dell’Hudson. Questa modalità di relazione tra tribù indiane e bianchi, in cui la Lega assumeva la titolarità degli interessi di tutte le tribù, e le rappresentava davanti ai bianchi, decenni dopo sarà formalizzata con la nascita del Convenant Chain, una sorta di alleanza ineguale, dove solo le tribù della Lega avevano diritto di parola e decisione, mentre le tribù sottomesse accettavano di essere da essa rappresentate. I Mahican e i Munsee sconfitti furono le prime tribù ad essere inserite in questo meccanismo, anche se negli anni successivi ancora tentarono di ribellarsi e riprendersi la propria libertà. Il primo atto che avrebbe portato la Lega Iroquois ad emergere come grande potenza regionale era compiuto, ma già i Mohawk guardavano ad altri obbiettivi. Nel marzo del 1629, nel corso di un conflitto tra Francia e Inghilterra, l’avventuriero scozzese David Kirke con una piccola flotta, aveva risalito il fiume San Lorenzo, attaccato Quebec e costretto i Francesi ad evacuare la città; Algonquin e Huron, gli atavici nemici, avevano perso il loro alleato, il loro commercio era bloccato e non potevano più rifornirsi di armi. La Guerra del Castoro ritornava nella valle del San Lorenzo.
Guerre, commerci e esplorazioni nella regione dei Grandi Laghi All’inizio degli anni ’30 del ‘600, dopo un ventennio di caccia intensiva, in tutti i territori occupati dalle tribù più direttamente coinvolte nel commercio, la selvaggina e i castori in particolare, iniziavano a scarseggiare; in questo quadro che già di per se preparava le condizioni per l’esplodere della guerra, altri
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eventi contribuirono all’instabilità della regione, prima di tutto una serie di devastanti epidemie che a partire dal 1631 colpirono tutta la regione, dalla costa del Maine al New England, fino ai Grandi Laghi, e non sappiamo con quale estensione nelle sconosciute regione dell’ovest; in aggiunta, dopo la fondazione di Boston, nuovi competitori, i mercanti inglesi, si inserirono nella guerra per il controllo del commercio di pellicce; infine l’espansionismo della Lega, i cui guerrieri dopo la vittoria contro i Mahican, erano ora adeguatamente riforniti di armi di metallo e potevano riprendere la loro storica guerra per il controllo della valle del San Lorenzo. Scarsità negli approvigionamenti di merci, malattie e miseria, inasprimento della competizione economic e armi, tutto era pronto per la guerra: poi giunse anche l’occasione. Nell’estate del 1629, i Mohawk, fino a quel momento impegnati nella guerra contro i Sokoki, i Pokuntuk e altri alleati dei Mahican, che non si erano ancora sottomessi, vennero a conoscenza dell’abbandono di Quebec da parte dei Francesi, e senza alcuna esitazione colsero l’occasione per attaccare e sconfiggere gli Algonquin e i Montagnais, che frequentavano il San Lorenzo, nelle vicinanze di Trois Riviere. Dopo questi vittoriosi attacchi, l’alta valle del San Lorenzo non fu più una zona vietata agli Iroquois, e gli Algonquin e i loro alleati Huron e Montagnais si ritirarono dalla regione; d’altra parte con la cacciata dei Francesi, i commerci erano stati interrotti, i convogli di pelli non passavano più lungo le vie del fiume Ottawa e del San Lorenzo, e quindi gli indiani filofrancesi avevano minori ragioni per stabilirsi o visitare la regione. Gli attacchi degli Iroquois non coinvolsero comunque gli Huron, ai quali nel 1632 essi inviarono invece una formale Prima che le asce di metallo e le armi da fuoco lrenrichiesta di poter cacciare sui loro territori, o quanto meno dessero inutili, i guerrieri delle tribù Iroquaian di attraversarli per poter cacciare più a ovest. E’ probabile facevano uso di leggere armature di assicelle di legno che il rifiuto degli Huron fosse atteso, ma è un fatto che la Lega abbia fatto tale richiesta, che mostra come la volontà espansionistica, seguisse una visione politica: mentre con le tribù Algonquian la scelta fu quella dell’attacco a freddo, improvviso e approfittando dell’assenza dei Francesi, con gli Huron fu tentata una via diplomatica; malgrado i conflitti atavici che opponevano la Lega agli Huron, questa ribadì in altre occasioni la possibilità di una soluzione diplomatica, prima di giungere alla resa dei conti definitiva. Va anche rilevato che gli Huron, pur essendo isolati dai commerci, non solo non accolsero la proposta della Lega, ma nemmeno tentarono di aprire attraverso di essa una qualche relazione con gli Olandesi, che in quegli anni erano gli unici a gestire il commercio di pelli: la presenza di Francesi che erano rimasti a vivere presso di loro mentre gli Inglesi occupavano Quebec, potrebbe aver avuto un ruolo in questa scelta. Nessun tentativo di accordo fu invece fatto con i Susquehannock, che a partire dal 1631 avevano trovato una nuova opportunità di rifornirsi di merci europee, quando l’inglese William Clairborne aveva aperto una stazione commerciale sull’isola di Kent, nel nord della Chesapeake Bay; se essi avevano subito qualche danno dalla momentanea fine del commercio francese, il contatto con gli Inglesi permetteva loro di mantenersi ben forniti di armi e di avere uno sbocco per le loro pellicce. I Susquehannock infatti avevano possibilità di raccogliere pellicce dalle terre vergini dell’ovest, dai loro vicini e alleati Honniasont, fino alle tribù che vivevano oltre gli Appalachee e nell’alta valle dell’Ohio. Non ci sono informazioni su come abbia influito in queste regioni il commercio di pellicce, in particolare fra due popoli che ci vivevano, i Mosopolea e i Capitanesses, entrambi di lingua Siouan; i Mosopolea sono ricordati in una mappa francese con una serie di villaggi lungo l’alto corso dell’Ohio, ancora intorno al 1660, mentre dei Capitanesses c’è una sola citazione in un documento olandese della metà del ‘600, che pone le loro terre, nella regione
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del fiume Monongahela, uno dei due rami che danno vita al fiume Ohio. Dei Mosopolea sappiamo che essi corrispondono agli Ofo, una tribù Siouan che compare all’inizio del ‘700 sul basso corso del Mississipi, mentre i Capitanesses potrebbero coincidere con i Biloxi (che chiamavano se stessi Taneksa), un altro popolo Siouan, emigrato sulle coste dell’Alabama all’inizio del ‘700. E’ certo che questi due popoli abbianiìo lasciato le loro sedi in epoca successiva, a causa dell’espansionismo Iroquois, ma non sappiamo se essi dovettero soffrire anchegli attacchi dei Susquehannock. Se non conosciamo quali rapporti avevano i Susquehannock con questi loro vicini occidentali, è certo che la loro ostilità con i Lenape lungo il fiume Delaware fu ulteriormente accentuata, anche al fine di impedire che i Lenape approfittassero della loro vicinanza agli insediamenti olandesi, per monopolizzare il commercio. Ad approfittare della momentanea assenza dei Francesi, non furono comunque solo i Mohawk e la Lega, ma anche gli Inglesi che pur essendo nella regione dal 1622 con la colonia di Plymouth, erano rimasti abbastanza estranei alla competizione commerciale. Le cose cambiarono con la fondazione di Boston nel 1629, da cui i mercanti inglesi iniziarono ad estendere la loro attività, sia entrando in competizione con gli Olandesi, sia cercando di occupare gli spazi lasciati dai Francesi; nel 1632 commercianti inglesi aprirono una stazione commerciale sulla costa del Maine a nord di Pentagouet, che i Francesi avevano dovuto lasciare, ma l’iniziativa fu di breve durata perché appena tornati a Quebec, i Francesi distrussero la stazione e ristabilirono Ft.Pentagouet. Da allora e per i decenni successivi, i Francesi non operarono più a sud di Pentagouet, mentre gli Inglesi non superarono le coste meridionali del Maine. Questa spartizione ebbe conseguenze per gli Abnaki, il cui territorio era a metà tra le opposte rivendicazioni; gli Abnaki occupavano un territorio vasto e le singole bande erano piuttosto autonome, avendo avuto da sempre rapporti con i Francesi a nord, fin dalla fondazione di Port Royal nel 1604, tanto con gli Inglesi a sud, dato che il capo Samoset, lo stesso che aveva dato il benvenuto ai Padri Pellegrini, nel 1625 aveva permesso agli Inglesi di stabilire una piccola la stazione commerciale nella località di Pemaquid. Intorno al 1630, con i Francesi assenti, la stazione commerciale di Pemaquid, divenne il principale riferimento commerciale per gli Abnaki, anche se gli Inglesi continuavano a diffidare di loro, per i precedenti rapporti con i rivali e nemici francesi. Oltre che sulle coste del Maine, l’affermazione più significativa per gli Inglesi fu nella valle del Connecticut, dove dopo la vittoria contro i Pequot nel 1637, essi si sostituirono agli Olandesi nel monopolio del commercio; la regione comunque non era più in grado di garantire quantitativi di pellicce veramente ricchi, ma dalla valle del Connecticut essi potevano guardare alle terre dell’ovest, la cui via era controllata dai Mohawk; la testa del capo dei Pequot Sassacus, assassinato dai Mahican, per ordine dei Mohawk, fu il regalo con cui la Lega mostrava il suo interesse per i nuovi possibili partner commerciali. L’assenza dei Francesi fu di breve durata e nel 1633 essi erano di nuovo a Quebec, pronti a riprendere il commercio di pellicce; la situazione con cui dovevano confrontarsi però si era nel frattempo fatta difficile. Spedizioni di guerrieri Mohawk e Oneida ormai cacciavano nell’alta valle del San Lorenzo, mentre gli alleati Algonquian e Huron si erano ritirati; proprio nel 1633 alcuni di questi gruppi di cacciatori e guerrieri Iroquois attaccarono alcuni insediamenti francesi, provocando tre morti. Si trattava comunque di iniziative isolate e fuori controllo, perché i Mohawk, sempre in guerra con Algonquin e Montagnais, ancora non avevano deciso cosa fare con i Francesi; questi da parte loro non avevano dubbi e ripresero i loro rapporti con Huron e Algonquin, in- Una scena del film “Black Robe” (Manto Nero), che con grande realismo narra il viaggio di un viando presso di giovane missionario insieme ad una famiglia Algonquin, fino ad un villagio Huron
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loro anche missionari gesuiti. Almeno dagli anni ’20 missionari francescani e gesuiti avevano visitato periodicamente le tribù ma nel 1634 la prima missione vera e propria fu stabilita presso gli Huron e altre seguirono negli anni successivi. I missionari erano solitamente ben accolti dagli indiani, anche se spesso il successo nelle conversioni era scarso, a volte per ragioni che poco avevano a che vedere con le questioni religiose, ma proprio per il ruolo politico ed economico, che comunque i missionari avevano: così per esempio gli Huron diffusero tra i loro vicini Tionontati la diffidenza verso i gesuiti, accusandoli di diffondere malattie, per timore che i Tionontati, grazie ai gesuiti, potessero avere accesso diretto ai commercianti francesi; tra i Kichesperini (Algonquin), il potente capo Tessouat, detto “le borgne” (l’orbo), per l’occhio che aveva perso, ostacolò l’attività missionaria, temendo che potesse dividere la tribù e ridurre la sua autorità. I gesuiti comunque continuarono ad operare, accompagnando l’espansione commerciale francese, e la loro azione fu comunque importantissima nelle relazioni franco-indiane: nel loro lavoro si documentavano sugli usi degli indiani, ne studiavano la lingua e ogni anno una precisa relazione veniva inviata alle gerarchie dell’ordine in patria. E’ probabile che proprio l’inizio della loro attività abbia indotto il capo Tessouat a cercare di aprire nel 1634 relazioni con gli Olandesi, che non si preoccupavano dell’anima dei loro clienti; a tale scopo una tregua fu stabilita con i Mohawk, ma non durò che pochi mesi, fin quando il capo Algonquian Oumassasikweie, fu ucciso proprio dai Mohawk, lungo la via per Ft.Orange. I missionari compivano il loro lungo viaggio per recarsi fra gli indiani, ma non era egualmente facile indurre gli indiani a compiere il viaggio al contrario per portare le loro pelli: nei territori di caccia i castori si riducevano progressivamente, il timore degli attacchi dei Mohawk era forte, e in più una nuova epidemia iniziata nel 1634 si stava allargando a tutta la regione, creando un’ulteriore ostacolo alla ripresa dei commerci. Nella primavera di quello stesso anno un convoglio di sette canoe cariche di pelli che gli Algonquin stavano portando a Quebec, probabilmente uno dei primi dopo il ritorno dei Francesi, fu attaccato dai Mohawk, che uccisero diversi guerrieri e si appropriarono del carico; all’inizio di luglio toccò agli Huron, che si scontrarono con 500 guerrieri contro una forza di Iroquois di varie tribù che si erano spinti a nord del lago Ontario, e furono da essi sconfitti. Dopo questa vittoria, l’anno successivo spedizioni di cacciatori e guerrieri Seneca e di altre tribù Iroquois, lanciarono frequenti incursioni in territorio Huron. A due anni dal loro ritorno i Francesi non avevano ancora ripreso il controllo della situazione, e gli Iroquois, che evitavano di giungere ad una guerra aperta, erano però in grado di bloccare i loro commerci, attaccando le loro tribù alleate. In quello stesso 1635 moriva Samuel Champlain, dopo una lunga malattia che l’aveva paralizzato e la colonia si trovò a dover fare scelte difficili senza la sua guida esperta. Fu a questo punto che i mercanti di Quebec, in accordo con i gesuiti, presero una decisione che avrebbe avuto conseguenze drammatiche: fornire fucili ai loro alleati indiani. I fucili e le armi da fuoco erano una merce vietata agli indiani, che solo occasionalmente e illegalmente veniva venduta da commercianti senza scrupoli o da singoli coloni non autorizzati; il fucile era l’arma che dava ai bianchi la superiorità, e il timore che gli indiani potessero rivolgerla contro i loro stessi fornitori era troppo forte. Proprio per evitare o quanto meno ridurre tale rischio, i Francesi decisero che solo agli indiani convertiti, che erano sotto il diretto controllo dei missionari, potevano essere vendute armi da fuoco; i gesuiti pragmaticamente colsero l’occasione, e in breve tempo le conversioni crebbero tanto tra gli Algonquin che tra gli Huron. La scelta ebbe comunque conseguenze pesanti all’interno delle tribù, dove rivalità e gelosie tra convertiti e non crebbero, proprio in un momento in cui le comunità avrebbero dovuto essere unite davanti agli aggressivi Iroquois: i missionari per esempio impedivano ai loro seguaci di partecipare ai riti tradizionali, anche a quelli che preparavano le spedizioni di guerra, e ciò ovviamente produceva risentimenti e diffidenza; al capo dei Kichesperini Tessouat, sempre ostile ai missionari, non furono dati fucili, e una parte della sua tribù lo abbandonò, per farsi cristiana e vivere vicino a Quebec; per questi Algonquin fu stabilita nel 1637 la missione di Sillery. Che la diffusione del messaggio del Vangelo, andasse di pari passo a quella del fucile, rende chiaro quanto fosse profonda la relazione tra l’attività dei gesuiti e le politiche coloniali dei Francesi. Questa prima limitata diffusione delle armi da fuoco, non mise gli Algonquin e gli Huron nelle condizione di sconfiggere i Mohawk, ma certo diede loro la possibilità di rispondere agli attacchi dei loro avversari; il fatto poi che ora c’era anche la possibilità di ottenere fucili dai Francesi, e la necessità di rifornirsi di piombo e polvere da sparo, diede una ulteriore motivazione al commercio e quindi la guerra. Non è possibile conoscere i tanti scontri, le scaramucce o le vere e proprie battaglie che si svolsero nelle inesplorate foreste della valle del San Lorenzo, ma alcune notizie danno il senso di come la guerra pro-
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cedeva. Nel giugno del 1636, una spedizione di guerrieri Iroquois, assassinò undici guerrieri Algonquin nel sonno; due mesi dopo una spedizione di guerra colpiva i Mohawk presso il lago Iroquois (probabilmente il lago Champlain), facendo una trentina di vittime; nell’aprile dell’anno successivo una spedizione di Algonquin e Montagnais era costretta a ritornare senza alcuna vittoria, ricacciata dai Mohawk, ma due mesi dopo gli Algonquin poterono festeggiare per il massacro di una piccola spedizione di guerra nemica; in luglio una piccola battaglia navale si combattè sul lago Ontario all’imbocco del San Lorenzo, e le canoe Algonquin, più leggere e maneggevoli ebbero la meglio sulle piroghe Iroquois, ricavate scavando tronchi d’albero; in agosto comunque gli Iroquois assegnarono un duro colpo agli Huron, quando 500 guerrieri tesero un agguato ad un convoglio carico di pelli sul San Lorenzo; poi prima della fine dell’anno la spedizione di guerra del capo Oneida Ononkwaya fu annientata dagli Huron e Algonquin tre volte superiori. I fucili avevano ridato forza agli alleati dei Francesi, la guerra non era vinta, ma i rapporti di forza si erano riequilibrati: e infine, cosa determinante per i Francesi, il flusso di pelli verso Quebec era ripreso. Ma per rifornire di pelli i mercanti francesi gli ormai sfruttati territori di caccia delle tribù più vicine non bastavano più: c’era necessità di trovare i castori a ovest, e le terre dell’ovest ne erano ancora ricchissime. Comunque prima ancora che la concretezza del commercio attirasse l’attenzione all’ovest, fu un’antica illusione a spingere un uomo bianco più a ovest di ogni altro. Jean Nicolet era un corrieur des bois, amico di Champlain e di Etienne Brulè, e come questi era vissuto presso gli Algonquin e gli Huron imparandone la lingua; nel 1620 era stato inviato a vivere sul lago Nipissing, presso la tribù omonima, dove si sposò ed ebbe una figlia che inviò in Francia per essere educata. Presso i Nipissing Nicolet visse fino al 1629, avendo stretti rapporti con gli Ottawa, la più occidentale delle tribù alleate della Francia, e da essi venne a conoscenza di un potente popolo, i Winnebago, una espressione che nella lingua Algonquin è offensiva e significa “popolo delle acque puzzolenti”, che però egli tradusse come “popolo della grande acqua”. Gli Ho-Chunk, il vero nome dei Winnebago, che significa “popolo della grande voce”, perché ritenevano di parlare la lingua originaria fra tutte le tribù Siouan, ebbero lo stesso destino che spettò a molte altre tribù indiane, di passare alla storia con i nomi offensivi dati loro dai nemici. Comunque quel loro nome male interpretato convinse Nicolet che i Winnebago vivevano sulle sponde del leggendario Mare Occidentale e quindi sulla via sempre agognata per la Cina. Nel 1629, quando i Francesi abbandonarono Quebec, Nicolet come Brulè visse tra gli Huron, senza però collaborare con gli Inglesi; quando poi nel 1633 Champlain fece ritorno a Quebec, Nicolet gli sottopose il suo progetto per l’ennesima ricerca della via per la Cina, e nel 1634 partì dalle terre degli Ottawa. Superati gli stretti di Salt St.Marie, già visitati da Brulè, Nicolet raggiunse Green Bay sulla sponda occidentale del lago Michigan dove fu accolto dagli Ho-Chunk. Questo popolo di lingua Siouan era all’epoca la più potente tribù di cultura Oneota, viveva in villaggi cinti da palizzate, praticando l’agricoltura ed era in rapporti ostili con i vicini di lingua Algonquian, gli Ojibway, i Potawatomi, gli Ottawa, nomadi cacciatori e pescatori. Secondo la tradizione Nicolet era così convinto di trovarsi sulla via della Cina che si presentò a Green Bay con un abito che voleva ricordare gli usi orientali, ma per sicurezza aveva con se due pistole in mano. Il suo modo di presentarsi fece effetto, e si guadagnò il nome di “Uomo che tiene il Tuono in ogni mano”, fu così accoltò pacificamente e tentò di promuo- L’arrivo di Jean Nicolet a Green Bay
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vere una tregua, che resse per poco tempo, tra Ho-Chunk e Ottawa. Dopo una breve sosta riprese il suo viaggio a ovest e accompagnato da guerrieri Ho-Chunk, discese il fiume Fox, fermandosi prima di raggiungere le sponde del Mississipi. Tornato indietro con la convinzione di aver trovato la via per la Cina non fece più ritorno nella regione e dovettero passare molti anni prima che un altro bianco si spingesse così a ovest. La ripresa del commercio dopo il ritorno dei Francesi, comunque aveva rinnovato la richiesta di pellicce e i territori già sfruttati a est del lago Huron non erano più sufficienti; a ovest i castori erano ancora abbondanti e ora gli alleati dei Francesi non avevano solo abbondanza di armi di metallo, ma anche qualche fucile, e con un fucile non c’era necessità di faticose trattative per ottenere le pelli dalle tribù dell’ovest. Anche un solo guerriero armato di fucile poteva fare la differenza nello scontro con nemici che non avevano mai conosciuto le armi da fuoco, e che potevano fuggire solo a sentirne il boato. Prima della fine degli anni ’30 la guerra aveva così raggiunto le terre a ovest del lago Huron e quelle a sud del lago Erie, coinvolgendo tribù sconosciute, che mai avevano avuto rapporti con i bianchi. Poco dopo il 1635 una sanguinosa battaglia avvenne tra gli Erie e i Fox (Meskwakie), a sud del lago Erie: i Fox ebbero la meglio e gli Erie dovettero rinunciare al loro tentativo di insediarsi, o forse solo di cacciare, nelle terre dell’ovest. I Tionontati e i Neutrals erano quelli che avevano maggiori difficoltà, dato che nelle loro terre tra i laghi Erie e Huron, i castori erano ormai quasi scomparsi, ma grazie alle armi di metallo che ormai erano d’uso comune e forse a qualche fucile, essi iniziarono a cacciare nella penisola del Michigan, terra vergine abitata da tribù che non avevano avuto alcun contatto con i bianchi, i Sauk, i Fox, i Kikapoo, i Mascoute, i Miami, e i Potawatomi. Gli Ottawa in rapporti commerciali con i Francesi, attraverso Huron e Algonquian, ruppero l’alleanza tradizionale con i Potawatomi e si unirono ai Neutrals e ai Tionontati, nelle spedizioni di guerra e caccia in tutta la penisola. Lo scontro che avvenne in questa regione è quasi totalmente ignoto, ma dovette essere terribile, se nel giro di pochi anni le tribù autoctone decisero di lasciare la regione e spostarsi a ovest del lago Michigan. La guerra per il castoro si estendeva velocemente, come una serie di conflitti tribali, che dal fiume Hudson, alla valle del San Lorenzo, raggiungeva le insplorate terre del Michigan. Per il momento comunque gli Iroquois, che ne sarebbero stati i principali protagonisti, erano stati fermati: pochi fucili avevano fatto la differenza, così come trent'anni prima le lame di metallo che i Francesi vendevano ai loro alleati. Gli Iroquois avevano necessità di fucili, e non tarderanno a trovarli; solo allora la potenza della Lega si sarebbe completamente dispiegata.
Il confronto con i Francesi Le prime forniture di armi da fuoco dei Francesi ai loro alleati, pochi fucili e solo per gli indiani cristiani, erano state sufficienti a fermare l’offensiva Iroquois e a riportare il conflitto per la valle del San Lorenzo contro Huron e Algonquin allo stallo. A sud-ovest degli Iroquois, i Susquehannock continuavano a costituire una barriera e a partire dal 1638 avevano trovato nuovi fornitori di asce e coltelli negli Svedesi che si erano insediati sul fiume Delaware; essi avevano soggiogato le tribù Lenape degli Unaimi e degli Unalachtigo e pressavano i Munsee, anche offrendo loro armi, perché si ribellassero ai Mohawk; è anche probabile che gli Svedesi, ultimi arrivati nel commercio, abbiano iniziato a fornire i Susquehannock di fucili, per fare concorrenza agli Olandesi. A est, a parte i Mahican, che ancora erano vincolati all’alleanza subalterna imposta loro dalla Lega, i Sokoki, i Pennacook e i più lontani Abnaki erano nemici tradizionali. La Lega era circondata ovunque da nemici e nel frattempo le pelli di castoro diventavano sempre più scarse sulle loro terre; e senza castori non c’erano ne commercio, ne armi con cui difendersi dai nemici. Ovviamente l’ennesima epidemia aveva colpito anche le tribù della Lega, e in poco tempo si sarebbe estesa anche tra le tribù che vivevano nelle terre a nord del lago Ontario. La Lega aveva necessità di fucili e se gli Olandesi erano restii a venderli, per timore che i loro già potenti
Fucile di produzione olandese, fabbricato intorno al 1630, in uso nelle colonia americane
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alleati potessero giungere a usarli anche contro di loro, c’erano altri mercanti a cui ci si poteva rivolgere; gli Inglesi di Boston, che nel 1636, dopo la guerra contro i Pequot avevano preso il controllo del commercio nella valle del Connecticut erano ansiosi di allargare il loro giro di affari, e i Mohawk si erano presentati come amici, facendo uccidere il capo dei Pequot Sassacus che cercava rifugio tra i Mahican, e inviando la testa agli Inglesi. Alla fine degli anni ’30 i Mohawk iniziarono ad estendere il giro dei loro fornitori anche agli Inglesi, i quali non si fecero alcuno scrupolo a vendere fucili, pur di sottrarre clienti agli Olandesi. Se i carichi di pelli erano ancora limitati, gli Inglesi sapevano che i fucili da loro venduti, erano un buon investimento e presto li avrebbero fatti crescere; a quel punto anche ai mercanti di Ft.Orange non rimase che adeguarsi e vendere anche loro fucili agli Iroquois. Gli Svedesi ovviamente non furono da meno e in breve un gran quantitativo di armi da fuoco iniziò a circolare nella regione, tra le tribù in lotta fra di loro; i fucili olandesi erano poi quelli di migliore qualità e in pochi mesi gli Iroquois furono nelle condizioni di riprendere le ostilità. La prima vittima fu la piccola tribù Iroquaian dei Wenro, che forse anni prima era già stata sconfitta dai Seneca; il territorio dei Wenro non era vasto e probabilmente nemmeno molto ricco di castori, ma essi occupavano una zona strategica, tra i laghi Ontario ed Erie, presso le cascate del Niagara, lungo la via di terra che dava accesso ai territori di caccia degli Huron, dei Neutrals, dei Tionontati, tutte tribù in rapporto con i francesi. Anche per questa ragione i Wenro potevano contare sull’alleanza dei Neutrals, una tribù che si era guadagnata questo nome, proprio perché aveva evitato di farsi coinvolgere nel conflitto tra Huron e Iroquois; anche gli Erie avevano fino ad allora protetto la piccola tribù dei Wenro, ma quando alla fine del 1638 i guerrieri Iroquois si scatenarono contro di loro, nessun alleato giunse a sostenerli. Con i guerrieri della Lega ben armati di fucili, la guerra contro i Wenro fu questione di pochi mesi, e prima della fine del 1639 la tribù era di fatto scomparsa e i superstiti fuggiti a ovest, cercando rifugio tra i Tionontati e gli Huron; solo un villaggio riuscì a resistere sino al 1643, dopo d’allora dei Wenro non si hanno più notizie. La vittoria contro i Wenro era una evidente minaccia, che avrebbe dovuto mettere sull’avviso i nemici degli Iroquois, i Neutrals e i Tionontati soprattutto, ma in quegli stessi anni le due tribù erano impegnate aovest, dove portavano i loro attacchi alle tribù del Michigan per rifornirsi di pelli, così la Lega potè continuare la sua politica aggressiva senza alcna limitazione. Chiusa a pratica con i Wenro e controllato l’accesso alle terre a nord dei laghi Erie e Ontario, la Lega e i Mohawk in particolare, ritornarono al loro antico obbiettivo, riprendendo le ostilità a nord, verso la valle del San Lorenzo, questa volta senza dover temere la supremazia dei Francesi e dei loro alleati armati di fucili. Nel 1640 i primi a subire l’aggressione furono i Weskarin, uno dei più meridionali tra i gruppi Algonquin, che per sfuggire ai nemici abbandonarono la regione, cercando rifugio presso i Kichesperini sul fiume Ottawa, o a Quebec tra i Francesi; nel febbraio di quello stesso anno durante un attacco portato agli Huron, alcuni Francesi furono catturati, e non vennero uccisi, nella speranza che potessero tornare utile in una eventuale trattativa. Anche alcuni contatti avviati da missionari francesi per operare tra i Mohawk, non trovarono una immediata opposizione. I Mohawk e gli Iroquois in tutti quegli anni avevano evitato di giungere al confronto diretto con i Francesi, forse proprio per la superiorità dei loro fucili, e anche ora che tale superiorità non c’era più, i capi Iroquois si mossero con diplomazia. Il 5 giugno del 1641, una delegazione Mohawk, portando con se i prigionieri presi l’anno prima si recò a Trois Riviere, un insediamento francese a sud di Quebec sorto nel 1634, intenzionata ad avanzare una proposta ai Francesi: rinunciare all’alleanza con i loro nemici, e aprire a loro i territori di caccia dell’ovest, divenendo partners commerciali e rifornendoli di armi da fuoco. Non è chiaro se i Francesi abbiano almeno valutato l’ipotesi, ma certamente i tradizionali rapporti con Algonquin e Huron non potevano essere abbandonati per sostituirli con una alleanza con una tribù da decenni ostile, che veniva ad imporre le sue condizioni. Le trattative tra Francesi e Iroquois finirono in modo inequivocabile, con uno scambio di colpi d’arma da fuoco tra la nave su cui era il nuovo governatore francese Charles Huahult de Montmagny e i Mohawk schierati lungo la sponda del San Lorenzo. I Mohawk si ritirarono senza fare troppi danni, ma insieme ai loro alleati Oneida, durante l’estate e per tutto l’autunno del 1641 colpirono gli Algonquin e i Montagnais, lungo tutto la valle del San Lorenzo, fin quasi alla foce del fiume, nella zona di Tadoussac, che da tempo era ritenuta una località sicura. Nello stesso periodo a sud Onondaga, Oneida e Cayuga riprendevano gli attacchi contro gli Huron interrotti, durante la guerra contro i Wenro e a causa di una epidemia che nel 1639 aveva falcidiato le tribù della regione. La Lega aveva proposto ai Francesi una soluzione e loro l’avevano rifiutata: l’alternativa era la guerra. Dopo aver sconfitto i Mahican, distrutto i Wenro, tenuto sotto una costante pressione Algonquin e
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Huron, la Lega iniziava un conflitto diretto contro una potenza coloniale, e non lo faceva per difendere le sue terre dai coloni, come era accaduto e sarebbe continuato ad accadere per secoli in tutto il Nord America, ma per imporre ad una potenza coloniale, le sue strategie politiche e commerciali. I Mohawk e la Lega comunque, dopo la scaramuccia nei pressi di Trois Riviere non portarono attacchi diretti agli insediamenti francesi, e addirittura all’inizio del 1642 i gesuiti poterono stabilire la missione di St.Marie nel territorio dei Mohawk. Dal canto loro i Francesi si preparavano alla guerra, anche chiedendo sostegno in patria, da cui però giunsero soltanto 40 soldati. Con questo piccolo rinforzo Montmagny decise la costruzione di Ft.Richelieu, lungo il fiume che collegava il lago Champlain al San Lorenzo, che era la via lungo la quale viaggiavano le spedizioni di guerra Iroquois; l’altra iniziativa per proteggere i commerci fu fondazione di Montreal,un nuovo insediamento, Montreal, più a sud di Trois Rivere, alla confluenza tra l’Ottawa e il San Lorenzo, lungo la via dei convogli di pellicce che venivano dall’ovest, per accorciare il viaggio di tali convogli. Ma mentre i Francesi si preparavano per riprendere il controllo della situazione, si consumava la sconfitta dei loro alleati Algonquin, che nella primavera del 1642 subirono una serie di attacchi, che obbligarono i Weskarin, Una statuia a ricordo del capo degli Algonquin Tesin prima fila nella guerra ai Mohawk, a ritirarsi dalla souat; benchè i capi che portarono questo nome fosvalle del San Lorenzo, mentre un attacco raggiunse adsero due, sia nella tradizione indiana che in quella dirittura il villaggio dei Kichesperini a Morris Island, francese, c’è un solo Tessouat molto a ovest lungo il fiume Ottawa. Di fronte ai Mohawk e ai loro alleati, ben riforniti di fucili da Olandesi e Inglesi, gli Algonquin dovevano difendersi con le poche armi da fuoco che i Francesi fornivano ai soli indiani cristiani, fucili che oltretutto non avevano la stessa qualità di quelli olandesi. A questa debolezza sul piano degli armamenti, vanno aggiunte le rivalità e le gelosie che attraversavano la tribù, tra cristiani e pagani, tutti obbligati all’alleanza con i Francesi, ma da loro diversamente trattati. Il capo Tessouat che aveva ostacolato i missionari, era morto nel 1636 combattendo i Mohawk, ma i Kichesperini, con un rito che simboleggiava il suo ritorno in vita, avevano scelto un nuovo capo dandogli lo stesso nome, probabilmente proprio per rimarcare la volontà di non accettare il cristianesimo; dopo l’attacco subito nel villaggio di Morris Island però, il nuovo Tessouat (anch’egli orbo da un occhio) dovette rassegnarsi, e per proteggere la sua gente e ottenere fucili, nell’aprile del 1643 accettò il cristianesimo e si trasferì nelle vicinanze di Montreal, fondata l’anno prima. In quello stesso periodo si faceva un nome nella guerra contro i Mohawk, un guerriero cristiano, Simon Piskaret, che si mise in mostra per il coraggio e la determinazione contro i nemici. Piskaret comunque era un guerriero e non un capo in grado di unire la tribù, e gli Algonquin alla fine del 1642 furono costretti a lasciare anche la valle dell’Ottawa e cercare rifugio, chi tra gli Huron, chi tra i Francesi. Fu così che quando nel maggio del 1642 la nuova stazione commerciale di Montreal fu fondata, l’insediamento che doveva essere una tappa sicura per i convogli di pellicce e una protezione per gli Algonquin della regione, si trovò ad essere invece un avamposto di prima linea, di fronte agli attacchi degli Iroquois. Ft. Richelieu, la cui costruzione fu iniziata il 13 agosto dello stesso anno, fu attaccato una settimana dopo, e la piccola guarnigione di una dozzina di soldati, insieme a pochi guerrieri Algonquin, pur non essendo spazzata via, resistette rimanendo sostanzialmente assediata, al punto di non poter nemmeno continuare i lavori di costruzione del forte. I Francesi ebbero però una tregua durante l’estate del 1642, perché gli Iroquois furono principalmente impegnati contro gli Huron: nel mese di luglio il grande villaggio degli Arendoronon, una suddivisione Huron, fu attaccato dai guerrieri Iroquois e finì abbandonato e bruciato, mentre i suoi abitanti si davano alla fuga; pochi giorni dopo un grosso gruppo di guerra Huron, postosi alla ricerca degli assalitori, si
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trovò di fronte un piccolo gruppo di guerrieri Iroquois che però erano armati di fucili, e non ebbero difficoltà a sconfiggerli. Il 2 di agosto era la volta di un convoglio di pellicce che gli Huron stavano portando a Montreal, che fu attaccato a Chaudiere Falls, sul fiume Ottawa: le pelli degli Huron finirono a Ft.Orange, per pagare i fucili olandesi dei Mohawk e con loro anche il missionario padre Joguet, che viaggiava con gli Huron. Una settimana dopo una spedizione di guerra Algonquin faceva ritorno a Montreal vittoriosa in un piccolo scontro con i Mohawk, ma se i guerrieri potevano soddisfare il loro orgoglio, il quadro della situazione diveniva sempre più grave per i Francesi e i loro alleati, che oltretutto si stavano anche dividendo fra loro. Durante il 1642, mentre i Montagnais si erano ritirati a est di Quebec, per timore degli Iroquois e dei loro fucili, i Francesi avevano invece rinsaldato i loro rapporti con i Sokoki e i Pennacook, i cui già precari rapporti con i mercanti inglesi si erano guastati quando questi avevano iniziato a rifornire i nemici Iroquois; i Montagnais però temendo di essere non più i favoriti dei mercanti di Quebec, ostacolavano i Sokoki che si recavano a commerciare: il risultato fu che Sokoki e Pennacook, attraverso i Mahican, si incontrarono con i Mohawk per allearsi a loro contro i Montagnais, alleati della Francia. L’anno si concludeva nel peggiore dei modi, e gli Iroquois, a parte l’attacco a Ft.Richelieu, ancora non avevano sferrato l’offensiva diretta contro i Francesi. Con l’inverno le ostilità si ridussero, ma a primavera una spedizione di guerra Algonquin guidata da Piskaret fu massacrata dagli Iroquois e lo stesso Piskaret dato per morto; tornò alla fine da solo, portando con se lo scalpo di un nemico ucciso. In maggio comunque le spedizioni di guerra Iroquois presidiavano il San Lorenzo bloccando il passaggio dei convogli che avrebbero dovuto portare le pellicce a Montreal. Poi il 6 di giugno una quarantina di guerrieri Mohawk attaccarono direttamente Montreal, uccidendo tre coloni francesi e prendendone tre prigionieri, che furono poi bruciati vivi. Nei giorni successivi i Mohawk continuarono a vagare nei dintorni dell’insediamento, uccidendo i coloni isolati e stringendolo d’assedio per tutta l’estate; in agosto nei pressi di Ft.Richelieu toccò ad un gruppo di cacciatori Algonquin di subire l’attacco degli Iroquois. Gli Iroquois erano ormai padroni della situazione, il commercio francese bloccato, dato che gli indiani non osavano più viaggiare fino a Montreal, la nuova stazione commerciale sotto assedio, e quanto a Ft.Richelieu, non era stato nemmeno possibile completarne la costruzione; unica notizia positiva, la fuga, grazie all’aiuto dei mercanti olandesi, del gesuita padre Joguet nel settembre del 1643. L’anno successivo l’offensiva degli Iroquois si fece ancora più stringente e a primavera una decina di spedizioni di guerra furono inviate sul San Lorenzo e sul fiume Ottawa a bloccare l’arrivo dei carichi di pellicce: il risultato fu che tre convogli di canoe in viaggio per Montreal subirono attacchi, il carico di pellicce si trasformò in bottino di guerra e gli alleati della Francia rinunciarono al commercio. Ma il blocco commerciale non esauriva l’attività degli Iroquois, che in marzo si scontrarono in campo aperto con una forza di guerrieri Huron, sconfiggendoli. L’assedio a Ft.Richelieu e a Montreal continuava e il piccolo villaggio fu attaccata due volte sempre nel mese di marzo: dopo un primo attacco il 16 di quel mese, il 30, allertati dai loro cani che avevano sentito la presenza degli indiani, trenta uomini armati si spinsero nei boschi intorno a Montreal, dove erano attesi da oltre duecento guerrieri Mohawk: caduti nell’agguato i Francesi dovettero ritirarsi in fretta con gravi perdite. Nel frattempo anche la missione stabilita due anni prima dai gesuiti tra i Mohawk veniva distrutta. Il mese dopo un gruppo di gesuiti in viaggio con un gruppo di Huron cristiani erano presi prigionieri, poi in estate l’ennesima battaglia con gli Huron che subivano un’altra sconfitta. E’ impossibile ovviamente ricostruire tutti i momenti di una guerra che era fatta principalmente da azioni condotte da piccoli gruppi di guerra, attacchi condotti contro coloni e viaggiatori isolati, scontri tra indiani, di cui i bianchi spesso non erano nemmeno a conoscenza, ma alcuni elementi rendono chiaro che i Francesi e i loro alleati erano ormai in condizioni estremamente difficili: il commercio di pelli, che era la prima ragione della presenza francese era bloccato, Montreal costantemente a rischio di attacchi (negli anni tra il 1642 e il 1655, oltre la metà dei decessi dei coloni, fu dovuto agli attacchi degli Iroquois), Ft.Richelieu che doveva bloccare il passaggio delle spedizioni di guerra dal lago Champlain era costruito solo per metà e isolato, gli Algonquin erano fuggiti dalle loro terre, e nemmeno a Quebec c’era la sicurezza di essere al sicuro dagli attacchi indiani: all’inizio del 1645 un gruppo di guerra composto da Mahican, Mohawk e Sokoki, si spinse fino a Sillery, un sobborgo di Quebec dove vivevano indiani cristiani riuniti intorno a una missione, e l’attacco inatteso provocò molte vittime. Nella primavera del 1645, con il commercio ancora bloccato, il governatore Montmagny si convinse della necessità di venire a patti con la Lega, e liberò alcuni prigionieri Mohawk perché informassero i propri capi della sua volontà di trattare. I capi Mohawk e delle altre tribù della Lega, che non avevano
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mai veramente voluto la guerra con i Francesi, nell’estate dello stesso anno erano pronti a raccogliere i frutti della propria vittoria. In luglio il capo Kiotsaeton con il suo seguito, si presentò a Trois Riviere e pose le sue condizioni per la pace: i Francesi avrebbero dovuto cessare di sostenere le tribù nemiche della Lega, e avrebbero ottenuto la sicurezza dei propri villaggi e dei propri traffici. Era un accordo infame, un vero e proprio tradimento degli alleati indiani che avevano combattuto anche in difesa degli interessi francesi, e in più un simile accordo negava ogni autonomia alle politiche commerciali francesi, che come già era accaduto agli Olandesi, erano obbligati a mantenere rapporti solo con la Lega; alla fine però le pressioni dei gesuiti, che riusci- L’espansione dei territori di caccia controllati dalla Lega Iroquois rono ad ottenere la fine degli attacchi alle missioni e alle comunità di indiani cristiani, furono determinanti. Gli Algonquin, con cui i Mohawk non avevano voluto incontrarsi a Trois Riviere, furono tenuti all’oscuro dei termini del trattato, e il capo Tessouat, ormai battezzato, fu convinto a firmare un accordo di pace, che significava la condanna per gli indiani pagani. I gesuiti, che avevano spinto per la fine della guerra, ottennero il permesso di inviare padre Joguet e altri missionari tra i Mohawk. La Lega aveva vinto la sua guerra, il cui obbiettivo non era mai stato la cacciata dei Francesi, ma la loro subordinazione alle politiche espansive degli Iroquois e la loro neutralità nelle guerre da loro condotte contro tutte le altre tribù per il controllo dei territori di caccia; con la possibilità di commerciare anche con i Francesi, la Lega mirava a non dover dipendere da nessuna potenza europea per rifornirsi di armi e merci, ma di poter gestire da una posizione di forza i rapporti con tutte loro. E tale ambizioso progetto sembrava realizzarsi. L’anno successivo i convogli di pelli tornarono a discendere l’Ottawa e il San Lorenzo per raggiungere Montreal, ma contestualmente ripresero gli attacchi contro gli Algonquin. Nell’agosto del 1646 una spedizione di guerra degli Oneida colpì i Kichesperini, che ignari che la guerra contro di loro non era finita, non si aspettavano l’attacco, e lo stesso Tessouat scampò per poco alla morte; sulla via del ritorno, mentre portavano con se i prigionieri rapiti, gli Oneida furono però attacati e sconfitti da un gruppo di guerra dei Weskarin. Sempre nello stesso anno, Sokoki, Mahican e Mohawk colpirono i Montagnais, molti dei quali erano battezzati. In ottobre padre Jogues, finì ucciso nella sua missione e a questo punto anche fra i gesuiti fu chiaro, che non solo gli Iroquois non facevano distinzioni tra indiani battezzati e pagani, ma che con loro la diplomazia dei preti non funzionava. Per ridurre la pressione nei confronti delle colonie e degli indiani cristiani, nel 1646 i Francesi tentarono almeno di mediare una pace tra i Montagnais e i Sokoki, tribù che un tempo erano state loro alleate; la guerra con i Sokoki poi rendeva difficili i commerci con gli indiani del Maine, e nella condizione di difficoltà in cui i Francesi versavano, anche le poche pellicce che questi potevano raccogliere erano necessarie. A tale scopo alcuni gesuiti visitarono i Penobscot e gli Abnaki, che da un lato commerciavano con i Montagnais, dall’altro erano in rapporti di amicizia con i Sokoki; l’operazione andò a buon fine, dato che Sokoki e Mohawk, nemici tradizionali, mal si sopportavano reciprocamente. I Sokoki abbandona-
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rono l’alleanza con i Mohawk e entrarono nella sfera di influenza francese, ma la reazione della Lega non si fece attendere e nel 1647 gli Iroquois portarono i loro attacchi fin nelle terre degli Ossipee e dei Pequawket, due delle tribù Abnaki che vivevano più vicine. A chiudere definitivamente ogni equivoco circa l’utilità del tradimento compiuto da Francesi e gesuiti, una grande spedizione di guerra dei Mohawk attaccò il villaggio dei Kichesperini cristiani presso Trois Riviere il 6 marzo del 1647, Mercoledì delle Ceneri; fu un massacro con un gran numero di vittime e un centinaio di prigionieri: nella battaglia aveva trovato la morte anche Piskaret. Dopo il massacro del Mercoledì delle Ceneri il trattato di pace del 1645 aveva perso di senso: i Mohawk e gli altri Iroquois avevano si rispettato l’impegno a non combattere i Francesi, ma avevano continuato la guerra contro i loro alleati indiani, senza curarsi che fossero cristiani o pagani; e i Francesi, senza alleati indiani vedevano languire i loro commerci e si trovavano ad essere di fatto ostaggio della Lega. La guerra avrebbe potuto riprendere, ma i Francesi non erano in condizione di reagire: poco numerosi, dipendevano dai loro più fedeli alleati, gli Algonquin, che erano fuggiti a ovest, verso le sorgenti dell’Ottawa, mentre altri, battezzati, vivevano a ridosso degli insediamenti francesi, pochi, indeboliti da anni di guerra, e senza fiducia in un alleato che li aveva traditi; gli Huron già faticavano a difendere i loro villaggi, e nel 1647 non osarono nemmeno portare i le pelli a Montreal. Altri alleati, i Micmac, i Montagnais, i Nipissing erano troppo lontani per poter garantire un sostegno concreto e continuo; quanto agli Abnaki, ai Sokoki, ai Penobscot, la loro alleanza era recente e non mancava in queste tribù chi continuava a trattare con gli Inglesi. I Francesi non erano nelle condizioni di combattere contro la Lega, e a simboleggiare tale condizione, giunse nel febbraio del 1647 l’abbandono di Ft.Richelieu, che avrebbe dovuto fermare gli Iroquois: i Francesi non erano riusciti nemmeno a completarne la costruzione. Per loro fortuna la Lega aveva progetti ben più ambiziosi, che non occuparsi di loro.
La guerra all’ovest Gran parte delle notizie sulla I Guerra del Castoro ci giungono dai resoconti dei mercanti e missionari francesi che erano in rapporto con le tribù impegnate a difendersi dagli attacchi della Lega, nelle regioni tra il San Lorenzo e il lago Ontario; scarse sono invece le notizie su quanto accadde più a ovest, in particolare nella penisola del Michigan, dove è certo che le guerre tribali per il controllo dei territori di caccia divamparono con grande violenza durante gli anni ’40 del ‘600. In quelle terre non arrivavano i mercanti francesi e non c’erano rapporti diretti fra bianchi e indiani, salvo la presenza di pochi missionari gesuiti, che in quel periodo visitarono la zona di Sault Saint Marie, tra il lago Superiore e l’Huron; comunque malgrado la scarsità di informazioni, è certo che le conseguenze della competizione commerciale all’est, giunsero a sconvolgere anche le terre dell’ovest, ridefinendo le relazioni tra le diverse tribù indiane e determinando migrazioni e conflitti. Una prima dettagliata notizia su quanto accadeva in quelle terre lontane, viene dai gesuiti che operavano presso gli Huron, che nel 1641 vennero a conoscenza di una grande battaglia combattuta pochi mesi prima dai guerrieri della tribù Neutral e dagli Ottawa, contro gli “Assistagueronon”, un nome che significa “Popolo del Fuoco”, da qualche parte nel sud-ovest della penisola del Michigan, presso la sponda orientale del lago omonimo. Secondo i racconti raccolti dai gesuiti, una spedizione di oltre 2.000 guerrieri (ma forse la cifra è esagerata), attaccò un grande villaggio e dopo giorni di furiosa battaglia prese circa 800 prigionieri, per lo più donne e bambini da adottare, una settantina di guerrieri furono bruciati sul posto, gli anziani abbandonati a morire di fame nei boschi. Con il nome di “Nazione del Fuoco”, venivano indicate in generale le tribù del Michigan, ma nel caso specifico potrebbe trattarsi della tribù Algonquian dei Mascoute, che viveva a est del lago Michigan nella regione indicata dai gesuiti, e che nel secolo successivo appare occasionalmente nelle cronache. La strage di cui furono vittime potrebbe aver determinato la quasi totale scomparsa dei Mascoute, successivamente citata solo in relazione ai Potawatomi loro vicini, al punto che secondo alcune studiosi il nome Mascoute indica solo una banda di questa tribù. Pur mancando altre narrazioni dettagliate come quella riguardante i Mascoute, è certo che quasi tutte le tribù del Michigan in quegli anni furono costrette ad abbandonare i loro territori, a causa dell’aggressività delle tribù che vivevano a est, che ormai abbondantemente rifornite di armi di metallo e quasi certamente anche di qualche fucile, inviavano spedizioni di caccia e di guerra nelle loro terre. E’ probabile che i principali protagonisti di queste aggressioni, fossero le tribù che commerciavano con gli Huron e li rifornivano di pelli da portare ai mercanti francesi, i Neutrals, i Tionontati, gli Ottawa, i Nipissing, i cui territori di caccia erano da anni sottoposti ad una pesante pressione venatoria e iniziavano a non
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bastare più. E’ anche probabile che rivalità e contrasti tra i popoli Algonquian del Michigan e quelli Iroquois tra i laghi Huron, Ontario e Erie, fossero preesistenti, e che il commercio e la disponibilità di armi più efficaci, abbia trasformato l’ostilità latente in conflitto distruttivo. Le conseguenze dei conflitti nella penisola del Michigan giunsero ancora più a ovest, nelle terre tra i laghi Michigan e Superiore, una regione abitata dagli Ho-Chunk o Winnebago un popolo Conflitti e migrazioni nelle regioni occidentali negli anni ‘40 del ‘600 Siouan erede della cultura Oneota, che si trovò a misurarsi con l’arrivo dei profughi fuggitivi del Michigan. Intorno alla metà degli anni ’40 i Winnebago dovettero cacciare dalla zona di Green Bay, i Potawatomi in fuga, che poi trovarono rifugio nei pressi di Salt Saint Marie; qualche tempo dopo toccò ai Sauk, costretti a lasciare Saginaw Bay, sulla costa occidentale del lago Huron, per spostarsi a ovest del lago Michigan, superando lo stretto di Mackinack e spingendosi a ovest fin sul fiume Wisconsin. La pressione dei migranti stringeva i Winnebago anche da sud, quando i Fox o Meskwakie, in fuga dalle loro terre nel sud-est del Michigan, dopo aver attraversato armi alla mano, le terre degli Illinois, nemici dei Winnebago, si stanziarono tra il fiume Wisconsin e il lago Winnebago; i Winnebago tentarono di cacciarli come avevano fatto con i Potawatomi pochi anni prima, ma una loro spedizione di guerra fu colpita da una bufera mentre attraversava il lago Winnebago, e le canoe fecero naufragio lasciando nelle fredde acque centinaia di guerrieri annegati. I Winnebago non erano i soli a subire la pressione delle tribù in fuga: a sud dei Winnebago, nelle terre che un tempo erano state dominio del popolo di Cahokia, vivevano gli Illinois, una potente confederazione di tribù Algonquian, che migrata in tempi recenti da nord, aveva assunto uno stile di vita sedentario e agricolo. Nel corso del loro spostamento, probabilmente nel XV secolo, gli Illinois si erano scontrati con le tribù Siouan che vivevano a sud e a ovest, e all’inizio del ‘600 erano in guerra con i vicine settentrionali Winnebago; con l’arrivo dei Fox, che i Winnebago non erano riusciti a cacciare, gli Illinois cercarono di trovare un’intesa con i loro antichi nemici, preoccupati per le notizie che venivano da est, dove le guerre infuriavano a da cui giungevano tribù in fuga, in possesso di armi di metallo a loro ancora sconosciute. Oltre ai Fox vi erano i superstiti Mascoute, i Kikapoo che iniziavano anch’essi a spostarsi, mentre i vicini e affini Miami, erano nemici tradizionali: tutte queste tribù, certamente ottennero armi di metallo prima degli Illinois e potevano essere vicini molto scomodi. Di fronte al pericolo rappresentato da questi popoli in fuga, gli Illinois decisero di assumere l’iniziativa e secondo la tradizione una loro grande delegazione si recò in visita presso il principale villaggio dei Winnebago, per concordare un’alleanza contro i nuovi arrivati, portando con se doni e grandi quantitativi di provviste. I Winnebago, ancora in lutto per i guerrieri annegati l’anno prima, li accolsero con una grande festa; i rancori per i lunghi anni di guerra comunque non erano placati, e almeno una fazione nella tribù rimaneva ostile agli Illinois, e alla fine riuscì a trasformare la festa in una strage. Durante i
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festeggiamenti le corde degli archi dei guerrieri Illinois furono tagliate, e i Winnebago non ebbero difficoltà a massacrare l’intera delegazione: la festa in onore dei nuovi alleati, si trasformò in cerimonia per celebrare i guerrieri morti negli anni passati, con i corpi straziati dei nemici Illinois. Gli Illinois seppero di quanto accaduto solo mesi dopo, dato che nessun superstite potè far ritorno al sud, ma l’anno successivo giunse la loro reazione: alla fine dell’estate una grande spedizione di guerra raggiunse la terra dei Winnebago, scoprendo però che essi, timorosi dell’attesa vendetta, si erano radunati in un grande villaggio su un’isola del lago Winnebago, dove era difficile condurre un attacco. Gli Illinois allora attesero che giungesse l’inverno per attraversare il lago ghiacciato, ma neanche questo bastò, dato che quando vi giunsero, trovarono il villaggio abbandonato: i Winnebago erano fuggiti, o forse avevano deciso di condurre una caccia invernale, ma gli Illinois si posero al loro inseguimento e dopo sei giorni riuscirono a raggiungerli, attaccarli e sconfiggerli duramente. Dopo questa sconfitta la potenza dei Winnebago era ormai distrutta ed essi nulla poterono contro le tribù che si stanziavano sulle loro terre, adattandosi a vivere in una piccola zona nella sola regione di Green Bay. Nel conflitto che aveva opposto Illinois e Winnebago i vincitori reali erano stati i Fox, che erano ormai saldamente insediati su una terra in cui, salvo brevi periodi, continueranno a vivere per quasi due secoli; come nelle terre originarie del Michigan, loro vicini settentrionali erano i Sauk con cui avevano una salda e duratura alleanza. Alla metà del ‘600 tutto il Michigan, ad esclusione delle zone più sud-occidentali, era quasi spopolato, abbandonato dalle tribù residenti e trasformato in un immenso territorio di caccia per le tribù alleate della Francia, mentre le terre a ovest del lago Michigan si trasformavano in un immenso campo profughi per tribù in fuga, divise fra loro da antichi rancori e dalla concorrenza per l’occupazione delle terre adatte all’agricoltura e dei territori di caccia. La competizione per i territori di caccia comunque non si limitava solo alla penisola del Michigan e quasi certamente anche all’alta valle dell’Ohio, dove vivevano tribù Siouan oggi quasi estinte, fu certamente teatro di conflitti. Non ci sono notizie certe ma sappiamo che i Susquehannock, armati di fucili da Svedesi e Olandesi, erano tradizionalmente in rapporti ostili con le tribù Siouan della Virginia che vivevano a sud, e probabilmente tale ostilità si estendeva anche alle tribù Siouan più occidentali. Anche i Susquehannock e i loro alleati Lenape, per ottenere armi dovevano pagarle con pelli, e anche i loro territori, sottoposti a decenni di sfruttamento, potevano non essere sufficienti. Tutta la regione all’esterno dei territori direttamente interessati dall’attività dei mercanti bianchi, si trasformava in un campo di battaglia, ove era sempre più difficile vivere in villaggi sicuri, seminare i campi e attendere i raccolti, dedicarsi alla caccia senza il timore di incontrare nemici. Iniziava un processo di progressivo spopolamento che negli anni a venire avrebbe subito una ulteriore drammatica accelerazione. Sarebbe toccato alla Lega Iroquois trasformare il caotico confronto di tribù ostili, in un vero proprio progetto di dominio territoriale; ma alla fine degli anni ’40 la Lega ancora doveva chiudere la partita con i nemici tradizionali, gli Huron che rimanevano il principale ostacolo per la loro espansione a ovest.
Il trionfo della Lega Iroquois Non ci sono decreti regi, atti diplomatici o resoconti parlamentari, che documentino in che modo i capi e i consigli tribali della Lega Iroquois e di ognuna delle tribù che ne faceva parte, presero le loro decisioni, produssero le loro azioni, pianificarono la loro strategia, ma ricostruendo la serie degli avvenimenti sembra evidente che il progetto espansionistico della Lega, andava ben al di la del semplice conflitto tribale per il controllo dei territori di caccia, e seguiva una logica ben precisa. L’umiliante trattato del 1645 con cui i Francesi erano stati indotti a tradire i loro alleati indiani, aveva permesso alla Lega al tempo stesso di sconfiggere gli atavici Il consiglio della Lega Iroquois in una stampa del XVII secolo
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nemici Algonquin e di mettere i Francesi in condizioni di non poter più contare sui loro principali alleati; la guerra per il controllo dell’alta valle del San Lorenzo era momentaneamente vinta, e la Lega poteva ora volgere il suo sguardo verso gli Huron, la tribù attraverso la quale passava la maggior quantità di pelli di castoro, che raccolte dai cacciatori indiani all’ovest, dovevano giungere ai mercanti europei all’est. Ma prima ancora di sferrare il loro attacco decisivo, nella primavera del 1647 i capi della Lega tentarono ancora la via diplomatica, cercando di trovare un accordo con gli Huron che permettesse loro di accedere ai territori di caccia dell’ovest. La guerra tra Huron e Lega Iroquois andava avanti almeno da decenni, e l’iniziativa diplomatica della Lega era ovviamente destinata al fallimento, eppure a differenza di quanto era accaduto con gli Algonquin, che erano stati esclusi da qualsiasi trattativa di pace, la proposta fu fatta, e ciò può forse spiegarsi con l’ipotesi, che la Lega non escludesse di poter includere, in forma subalterna, gli Huron nel loro progetto politico, contando sulla sostanziale affinità linguistica e culturale dei loro vicini e rivali: quanto poi accadde negli anni a venire, conferma questa ipotesi. La proposta di accordo della Lega fu ovviamente rifiutata dagli Huron e il conflitto riprese, prima impedendo agli Huron di portare i loro carichi di pelli a Montreal, poi nell’estate del 1647 con l’attacco e la distruzione del villaggio degli Aranderonon. Un breve conflitto fu anche acceso dall’accusa avanzata dai Seneca ai Neutral, di offrire rifugio ai guerrieri Huron: gli Iroquois attaccarono e distrussero un villaggio Neutral, ma il conflitto fu di breve durata e per il momento la Lega rispettò la neutralità da cui questa tribù aveva preso nome, per continuare a concentrarsi contro gli Huron. Questi all’inizio dell’estate erano riusciti a catturare un importante capo degli Onondaga, che liberarono e utilizzarono per tentare di aprire una trattativa con gli Iroquois, riuscendo almeno in parte a incrinare la loro unità. I capi degli Onondaga, degli Oneida e dei Cayuga, in agosto sospesero le ostilità e mostrarono una certa disponibilità a discutere di pace; le regole della Lega non impedivano che una tribù trattasse separatamente la pace, dato che ogni tribù decideva autonomamente la sua “politica estera”, con il solo obbligo di non combattere le altre tribù della Lega. I Mohawk e i Seneca, le tribù più numerose, non erano però intenzionate a cessare le ostilità, ma non potendo imporre nulla alle altre tribù, risolsero il problema facendo ciò che le regole della Lega permettevano loro; piuttosto che lunghe discussioni interne per convincere i loro alleati alla guerra, Mohawk e Seneca semplicemente massacrarono la delegazione Huron invitata per i colloqui di pace: se Cayuga, Oneida e Onondaga avevano il diritto di discutere di pace, nessuno poteva impedire ad altri di fare la guerra. Con questa brutale ma efficace diplomazia, la guerra riprese e tutta le tribù della Lega si trovarono di nuovo unite a combatterla. Dall’inizio del 1648 i Seneca e i Mohawk concentrarono la loro azione sul villaggio Huron di Saint Ignace, che venne saccheggiato durante l’inverno; in primavera nella stessa regione i Seneca sorpresero un accampamento di cacciatori e ne fecero strage, quindi fu la volta dei Mohawk, che attaccarono un gruppo di Huron di ritorno da una cerimonia funeraria e ne catturano decine: alla fine della primavera gli abitanti di St.Ignace abbandonarono la regione e si spostarono a nord. Isolati dai Francesi e impossibilitati a rifornirsi di armi da fuoco, ma anche di semplici coltelli e asce di metallo, nella primavera del 1648, gli Huron decisero di forzare il blocco che gli Iroquois avevano posto sul San Lorenzo, riuscendovi con una spedizione di oltre 250 guerrieri a protezione delle canoe cariche di pelli; quello stesso anno anche gli Algonquin riuscirono a raggiungere i posti commerciali francesi. In luglio comunque gli Iroquois riprendevano gli attacchi e distruggevano il villaggio di Saint Joseph, dove anche il missionario fu ucciso, più un altro insediamento minore nelle vicinanze; intanto i guerrieri Huron che avevano scortato il convoglio di pelli, durante l’estate si unirono ai Francesi e agli Algonquin, vincendo una battaglia contro gli Iroquois nei pressi di Trois Riviere. In settembre, il ritorno dalla valle del San Lorenzo dei guerrieri che avevano forzato il blocco, accompagnati da una ventina di Francesi e di nuovo riforniti di armi, diede una boccata d’aria agli Huron, ma ormai il crescendo di violenze stava giungendo al suo epilogo e durante l’inverno i guerrieri della Lega non tornarono ai loro villaggi, ma svernarono cacciando sulle terre degli Huron: poi in primavera l’attacco giunse coordinato e incontenibile. All’alba del 16 marzo 1649, un esercito di 1.500 Iroquois attaccò il villaggio di St.Ignace sorprendendo nel sonno gli occupanti, poi dopo averlo distrutto si diresse verso il vicino villaggio di St Joseph, i cui abitanti pur opponendo una maggior resistenza, furono alla fine tutti uccisi o catturati; insieme a loro furono assassinati due missionari, tra cui padre Brebeuf, che da oltre vent’anni viveva fra gli indiani. Il giorno successivo una spedizione di soccorso giunta dai villaggi vicini mise in fuga l’avanguardia degli Iroquois, ma raggiunta dal grosso dei nemici fu a sua volta sconfitta, dopo aver comunque provocato gravi perdite ai nemici. Nei giorni successivi anche i villaggi di St.Luis e St. Mathieu fecero la stessa
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fine, e la resistenza degli Huron fu spezzata. Carichi di bottino e con un gran numero di prigionieri, gli Iroquois presero la via dei loro villaggi, dove la vittoria fu festeggiata con le consuete crudeli torture rituali nei confronti dei prigionieri; in maggio i guerrieri della Lega erano di nuovo nella terra degli Huron per completare il lavoro, con l’attacco al villaggio fortificato di St. Marie, evacuato e fatto bruciare dagli stessi missionari. Alla fine della primavera gli Huron erano in ginocchio e timorosi del riprendere degli attacchi Iroquois durante l’estate, abbandonarono gli ultimi villaggi, disperdendosi tra le foreste o cercando rifugio fra le tribù vicine. Durante il mese di agosto i missionari raccolsero un gran numero di Huron cristiani sull’isola Saint Joseph, nella Georgian Bay del lago Huron (da allora conosciuta come Christian island) e lì costruirono un villaggio for- Il martirio dei padri gesuiti Brebeuf e Lalemant tificato, preparandosi a passare un terribile inverno di fame e freddo; gli Attignawantan e altri Huron cercarono rifugio fra gli alleati Tionontati, ma nel mese di dicembre del 1649 gli Iroquois attaccarono St.Jean, il principale villaggio della tribù, uccidendone i missionari, facendo strage degli abitanti, continuando poi la loro offensiva fino alla totale sconfitta dei Tionontati, gran parte dei quali venne forzosamente adottato. Gli Huron e i Tionontati che non furono catturati, cercarono in parte rifugio presso i Neutrali, in parte raggiunsero gli stretti di Mackinack, all’altra estremità del lago Huron, sperando così di trovare scampo alla furia degli Iroquois. Ormai vittoriosi i guerrieri della Lega nel 1649 lanciarono anche due spedizioni di guerra contro Trois Riviere, una vittoriosa che tornò con quattordici prigionieri, l’altra meno fortunata in cui morirono sette guerrieri; nemmeno il lontano territorio dei Nipissing era al sicuro dai guerrieri della Lega e un loro villaggio venne distrutto in quello stesso anno. La Lega aveva ormai distrutto i suoi storici rivali, ma a quel punto l’obbiettivo si trasformò nella caccia senza tregua ai profughi superstiti, con l’evidente volontà di distruggere totalmente i loro nemici. Nel marzo del 1650, gli Huron che avevano trovato rifugio nel villaggio fortificato di Christian Island, dopo un inverno di fame erano usciti per pescare approfittando del disgelo, ma furono attaccati e massacrati da un gruppo di guerra Iroquois; da Christian Island gli Huron si divisero e un gruppo di circa 300 seguì i missionari per stabilirsi presso Quebec, mentre gli altri fuggirono a ovest verso il lago Michigan. Nel corso dell’anno gli attacchi Iroquois indussero gli Huron e i Tionontati fuggiti nella zona di Mackinack, a spostarsi anch’essi a ovest del lago Michigan, presso Green Bay, insieme agli alleati Ottawa; qui si unirono ai fuggitivi di Chistian Island, venendo conosciuti con il nome di Wyandot, mentre il termine Huron continuò ad essere usato per il piccolo gruppo che viveva a Lorette vicino a Quebec (Huron di Lorette). Ottawa e Wyandot rimasero per breve tempo a Green Bay, facendo poi ritorno a Mackinack, nella speranza di poter riprendere da li il commercio con i Francesi. Mentre la guerra continuava a ovest contro gli ultimi superstiti delle due tribù, a est pressioni venivano esercitate verso i Neutral, perché consegnassero gli Huron e i Tionontati che avevano cercato rifugio presso di loro. Di fronte al dilagare dei guerrieri della Lega, solo gli Algonquin continuavano a cercare di opporsi, ma con poca fortuna: due spedizioni di guerra , la prima dall’alto corso dell’Ottawa dove la tribù aveva cercato rifugio, venne intercettata e sconfitta ancor prima di raggiungere il San Lorenzo, la seconda guidata da un guerriero cristiano e partita da Trois Riviere, si affidò ad un guerriero Huron che li tradì e invece di portarli ad un villaggio sguarnito, li portò allo scontro con una forza di guerrieri Iroquois superiore. Il rifiuto di consegnare i profughi Huron e Tionontati, portò nel 1650 alla guerra anche con i Neutral, che ormai isolati dal commercio con i Francesi, dipendevano per i rifornimenti di lame di metallo e fucili, solo dai Susquehannock in contatto con gli Svedesi a sud; nel 1651 comunque anche i Susquehannock subirono la ripresa dell’offensiva dei Mohawk e degli Oneida, non potendo più in alcun modo supportare i Neutrals, il cui principale villaggio di Kinuka fu attaccato e distrutto quello stesso anno.
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Anche i Neutral, come gli Huron e i Tionontati furono in gran numero presi prigionieri e adottati dalle tribù della Lega, ma almeno un migliaio, forse duemila, presero la via del sud, cercando scampo fra gli Erie, dove furono accolti, seppur mal tollerati, divenendo la ragione di un nuovo conflitto tribale. Benchè i Francesi non avessero dato alcun concreto aiuto agli Huron e alle altre tribù alleate, anche contro di loro la Lega riprese le ostilità, e a partire dall’estate del 1650 I territori sotto il controllo della Lega Iroquois alla metà del ‘600 gli attacchi contro Montreal furono una costante minaccia; il 23 giugno di quell’anno due coloni furono uccisi nelle vicinanze della città, poi l’anno successivo, tra maggio ed agosto la città fu attaccata ancora quattro volte. Il 6 maggio fu attaccato l’Hotel de Dieu, il primo ospedale in Nord America, e un colono rimase ucciso, il mese successivo la città fu attaccata da una spedizione di 50 guerrieri, poi in luglio gli Iroquois si presentarono in più di 200, quindi in agosto un altro colono fu ucciso in un agguato. Con l’inverno l’attività bellica si ridusse, ma il 26 maggio del 1652 ancora una spedizione di una cinquantina di guerrieri razziò le vicinanze di Montreal uccidendo un colono, poi il 19 agosto il comandante di Ft.Trois Riviere Guilleume Guillemot, guidò una squadra di ventidue uomini fuori dal forte, cadendo in un agguato in cui tutti i francesi furono uccisi o catturati; gli attacchi proseguirono nei dintorni di Montreal durante i mesi di settembre e ottobre. A fronte della aggressività scatenata contro le tribù nemiche, l’impegno della Lega contro i Francesi fu tutto sommato limitato, ma va considerato che le perdite che infliggevano ai Francesi colpivano una comunità molto piccola, poche centinaia di individui, rendevano la vita quotidiana quasi impossibile fuori dalle palizzate e dalle mura di protezione, e soprattutto il blocco commerciale, interrotto solo nel 1648, poteva mettere a terra la colonia, che viveva in funzione del commercio delle pellicce. All’inizio del 1652 la Lega Iroquois era ormai padrona del campo: Huron, Tionontati e Ottawa costretti a cercare rifugio a ovest, quanto rimaneva dei Neutral, rifugiata a sud tra gli Erie, gli Algonquin ritiratisi alle sorgenti dell’Ottawa, così come i Nipissing che abbandonarono il loro territorio per ritirarsi a ovest sotto la protezione degli Ojibway, mentre i Francesi erano praticamente sotto assedio a Montreal e Trois Riviere, insieme agli Huron e gli Algonquin cristiani che avevano cercato la loro protezione. Tutta la regione compresa tra i laghi Huron, Ontario ed Erie era direttamente sotto il controllo della Lega, mentre la penisola del Michigan a ovest e le terre tra i fiumi Ottawa e San Lorenzo a nord erano ormai spopolate e costituivano un immenso territorio di caccia, in cui solo i guerrieri della Lega potevano spingersi senza timore.
L’emergere della Lega Iroquois come potenza continentale Grazie alla disponibilità senza limiti di armi da fuoco di buona qualità e alla sua coesione politica, la Lega aveva vinto contro nemici molto più numerosi, ma il prezzo che aveva dovuto pagare era stato pesante; dopo le gravi perdite subite per le epidemie che avevano colpito la regione dalla metà degli anni ’30, le perdite in guerra avevano ridotto la popolazione in modo drammatico; in tale situazione la pratica tradizionale dell’adozione dei prigionieri di guerra divenne la chiave per affrontare la crisi demografica che le tribù stavano vivendo. L’adozione dei prigionieri era una pratica tribale che serviva a rimpiazzare la perdita di pochi guerrieri, o ad aumentare il numero dei bambini e delle gravidanze, per rafforzare gruppi famigliari indeboliti; in quegli anni però tale pratica si estese a migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini delle tribù sconfitte, che specialmente tra i Seneca e i Mohawk, giunsero a rappresentare forse più della metà della popolazione tribale. Non possiamo nemmeno escludere che l’ado-
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zione forzata, fosse una delle ragioni della guerra, insieme al controllo dei territori di caccia, e ciò spiegherebbe la particolare determinazione nel combattere proprio contro popoli più affini linguisticamente e culturalmente, per i cui membri l’inserimento nella nuova tribù era più semplice. C’è da chiedersi come sia stato possibile che i superstiti di cruenti massacri, che spesso avevano visto i loro parenti e congiunti trucidati o crudelmente torturati, abbiano potuto in massa accettare di unirsi ai loro persecutori, e probabilmente la sola paura di una fine peggiore non spiega tutto; nelle società degli Huron e delle altre tribù sconfitte, nel giro di meno di un ventennio era accaduto di tutto: devastanti epidemie, una nuova religione, mai compresa e mal digerita, una nuova economia e nuove abitudini, e infine la guerra a distruggere quel poco che rimaneva di comunità e identità tribali già in profonda crisi. Che in un quadro simile in tanti abbiano accettato di rinunciare alla propria identità, o almeno abbiano provato a farlo, per poter vivere una nuova vita dalla parte dei vincitori, non è inspiegabile; ancor più spiegabile quando tale scelta non avveniva in solitudine, ma magari era condivisa con quanto restava della propria famiglia. Fu così che la Lega non solo si trovò in possesso di immensi territori di caccia, ma grazie a questi prigionieri adottati, potè continuare ad avere i guerrieri per difendere ed ampliare le sue conquiste. Questi Iroquois adottivi, parlavano una lingua simile, avevano un comune stile di vita, condividevano molte credenze e in parte lo stesso sistema di clan, e quindi non ebbero difficoltà all’inserimento, ma certamente è difficile credere che all’atto del loro ingresso nella tribù, essi godessero degli stessi diritti e dello stesso prestigio di coloro che li avevano adottati con il diritto dei vincitori. Raffrontando l’elenco dei clan delle tribù Iroquois a quello dei capi che costituivano il consiglio, è possibile verificare che alcuni clan avevano una rappresentanza maggiore, mentre forse qualcuno ne era totalmente privo, rendendo legittimo ritenere che l’ingresso di interi clan di nemici adottati, non abbia previsto una loro conseguente rappresentanza nelle istituzioni della Lega. Ma le adozioni in massa, che si ripeterono, negli anni successivi nei confronti degli Erie e dei Susquehannock, non potevano non avere un impatto anche all’interno della Lega. La prima conseguenza del trovarsi così tanti ex nemici tra le proprie fila, se non addirittura nelle stesse proprie famiglie, era il rischio di tradimenti e ribellioni, di un rancore nascosto ma pronto ad esplodere alla prima occasione, da parte di quanti potevano sperare che la sconfitta fosse solo temporanea. Per questo la Lega era nella necessità di eliminare totalmente le tribù sconfitte, perché fosse chiaro anche ai prigionieri adottati, che non c’era da coltivare illusorie speranze; solo contro le altre tribù di lingua Iroquaian più affini linguisticamente e culturalmente, la guerra fu condotta in modo pianificato e determinato, inseguendo i nemici anche quando fuggivano in terre remote, offrendo loro solo due possibilità: o la resa e l’adozione o la morte, in battaglia o tra atroci torture. La guerra era poi un banco di prova in cui si misurava la fedeltà degli adottati, che spesso dovevano combattere contro i loro stessi parenti; non furono rari i casi in cui questi Iroquois adottati, riuscirono a convincere guerrieri della loro tribù d’origine ad arrendersi, e ad unirsi a loro. Il protrarsi della guerra nel tempo e nello spazio, fu quindi una delle conseguenze del fenomeno delle adozioni di massa. Una seconda conseguenza dell’inserimento di così tanto ex nemici fra le loro fila, fu la necessità di fare i conti con il cristianesimo, che molti Huron e Tionontati avevano adottato come religione; i capi della Lega, con pragmatismo e tolleranza, non impedirono ai nuovi arrivati di praticare la loro religione, e negli anni successivi, quando il conflitto con i Francesi si allentò, missionari gesuiti presero a frequentare le tribù della Lega per assistere i gli indiani battezzati. E’ probabile che i capi della Lega, che non avevano mai escluso di poter gestire, alle proprie condizioni, il rapporto con i mercanti di Quebec, abbiano considerato missionari e indiani battezzati, come una opportunità per mantenere relazioni con i Francesi. Tra gli Iroquois “puri” comunque il cristianesimo non fece mai molti adepti, anche per l’opposizione delle potenti societa shamaniche, che erano state in grado di trasformare la frustrazione per le malattie che avevano flagellato la tribù, in aggressività da indirizzare verso i nemici. Anche il cristianesimo comunque fu uno degli elementi che portò nel corso degli anni al prodursi, all’interno della Lega, di entità autonome, composte da discendenti degli indiani adottati, che progressivamente differenziarono le loro politiche da quelle delle altre tribù della Lega, pur rispettando il vincolo di pace che era alla base della confederazione. Fu questo il caso dei Caughnawaga, una parte di Mohawk cattolici, discendenti da prigionieri adottati, che costruì i suoi villaggi sull’alto San Lorenzo e riprese l’alleanza con i Francesi; pur evitando di combattere contro altri Iroquois, i Caughnawaga si schierarono al fianco dei Francesi nelle guerre coloniali, portando il terrore tra gli Inglesi, alleati della Lega. Più a sud un gran numero discendenti di Erie e Neutral adottati dai Seneca, colonizzarono l’alta valle dell’Ohio, divenendo noti come Mingo, il nome dato dalle tribù Algonquian genericamente a tutti gli Iro-
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quaian; nel corso del secolo successivo i Mingo si resero sempre più autonomi dalla Lega, conducendo la resistenza ai bianchi, al fianco delle tribù della regione, gli Shawnee, i Lenape e perfino i Wyandot nemici della Lega. All’apice della sua potenza, nei primi decenni Il wampum che simboleggia il rapporto tra la Lega e i bianchi inglesi e olandesi: le due del ‘700, la Lega Iro- strisce parallele simboleggiano due canoe che discendono lo stesso fiume, affiancate ma quois era una struttura ognuna libera e autonoma. Agli Olandesi che si proposero un rapporto tra “padri e figli”, i con vari livelli di inte- capi Iroquois risposero che non avevano bisogno di padri ma avrebbero accettato i fratelli grazione interna. Le tribù originaria della Lega, Mohawk, Oneida, Onondaga, Seneca e Cayuga, che continuavano a vivere a sud del lago Ontario nei territori tradizionali, a cui più tardi si aggiunsero i Tuscarora, una tribù Iroquaian scacciata dalla Carolina e accolta nell’alleanza; queste tribù esprimevano il consiglio della Lega, le cui riunioni si tenevano abitualmente nel territorio degli Onondaga, e che era il luogo in cui si prendevano decisioni, si concordavano strategie, si risolvevano tensioni. Due vasti raggruppamenti di comunità Iroquaian, i Caughnawaga a nord e i Mingo a sud, formalmente parte dei Mohawk e dei Seneca, e quindi interne alla Lega, ma che per ragioni di distanza, di differenza religiosa e d’altra natura, si trovarono ai margini delle scelte politiche della Lega, operando con ampia autonomia. Infine una quantità di tribù (o spesso di residui di tribù), etnicamente e linguisticamente diverse dagli Iroquaian, che alla Lega erano soggette, dipendevano dalle sue decisioni e dalla sua protezione, senza alcun diritto a partecipare ai consigli della Lega, ne tantomeno a decidere alcunchè autonomamente. Questa complessa struttura politica su base tribale, che sarebbe giunta a dominare l’intera regione corrispondente agli attuali stati di New York, Pensylvania, Ohio, Indiana, Illinois, Michigan e il sud della provincia canadese dell’Ontario, le cui spedizioni di guerra portavano il terrore a sud, fino alla Carolina e al Tennessee, a ovest fin oltre il Mississipi nelle pianure dei bisonti, inizia a prodursi dopo la vittoria contro gli Huron, e ha una definizione formale a partire dal 1670, quando gli Inglesi riconobbero il “Convenant Chain” come una alleanza tribale indiana guidata dalla Lega, che assunse la rappresentanza di tutti gli indiani, e giunse all’apice della sua forza nei primi decenni del ‘700 quando un gran numero di profughi e superstiti di tribù Siouan e Algonquian, trovarono rifugio nelle terre rivendicate da Lega, e si posero sotto la sua protezione. La Lega divenne quindi una confederazione tribale interetnica, ma con un principio gerarchico fortemente legato all’etnia, e questa era ovviamente una contraddizione che alla lunga avrebbe prodotto le sue conseguenze. Questi elementi, che alla lunga avrebbero contribuito alla dissoluzione della Lega Iroquois come entità politica, erano ancora di la da venire intorno al 1650, quando il trionfo contro gli Huron, apriva alla Lega gli immensi territori di caccia dell’ovest, dalla penisola del Michigan alle sorgenti del Mississipi, ma mentre le spedizioni di guerra Iroquois iniziavano a raggiungere quelle lontane terre, i capi della Lega non rinunciavano a combattere i loro nemici tradizionali a est, i Susquehannock e le tribù Algonquian.
La guerra all’est Le operazioni militari della Lega contro gli Huron e le altre tribù dell’ovest, avevano impegnato ogni risorsa disponibile, ma a est i tanti nemici della Lega potevano ancora rappresentare una minaccia, in grado di colpire fin nel cuore dei territori tribali. C’erano gli antichi nemici Susquehannock, che non solo impedivano l’espansione verso i territori di caccia del sud, verso l’alta valle dell’Ohio, ma che continuavano a contendere il controllo sulle diverse tribù Lenape, i Munsee e gli Unaimi dei fiumi Hudson e Delaware (gli Unalachtigo erano nel frattempo scomparsi e i superstiti uniti agli Unaimi), rifornendoli di armi svedesi e arruolandoli tra le loro fila, contro la Lega. Il prestigio della Lega come potenza regionale non poteva tollerare che ai margini del loro territorio ci fossero popoli ostili, che potevano rifornirsi di pelli nelle terre vergini dell’ovest, e ottenere armi con cui opporsi alla sua potenza. C’erano poi le
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tribù Algonquian del New England e gli Abnaki più a est, nemici atavici, che sempre più si legavano agli interessi francesi. C’erano infine gli Erie, un popolo affine, con cui gli Iroquois avevano evitato fino ad allora di giungere a conflitto, ma che ora si erano prestati ad offrire rifugio ai Neutral e altri profughi fuggiti davanti ai guerrieri della Lega; centinaia di guerrieri ostili, in fuga con le loro famiglie, che certamente avrebbero fomentato gli Erie alla guerra e tenuta viva la speranza di riscossa tra i tanti prigionieri adottati: un pericolo inaccettabile. Mentre i Seneca, i Cayuga e gli Onondaga erano ancora impegnati a punire e distruggere i Neutral che avevano offerto rifugio agli Huron e i Tionontati, Guerrieri Iroquois armati di fucile, in una bella ricostruzione di fantasia già dal 1651 i Mohawk e gli Oneida ripresero il loro tradizionale conflitto con i Susquehannock. I Susquehannock però erano ben armati dagli Svedesi, e in quello stesso periodo si trovavano al centro di una rete di relazioni di scambio che li legava a tutte le tribù vicine, dai Lenape a est, fino agli Erie, agli Honiasont, agli Shawnee a ovest, ed è probabile che si fossero imposti anche alle tribù Siouan che vivevano più a sud, raccogliendo da loro tributi in pelli pregiate, con la forza dei loro fucili. Essi erano però in difficoltà per l’ostilità che li contrapponeva a sud ai coloni inglesi del Maryland, obbligandoli a combattere su due fronti; in quella regione infatti era stata fondata una nuova colonia, i cui membri avuvano scacciato il mercante William Clairborne e chiuso la sua stazione sull’isola di Kent, frequentata dai Susquehannock, e avevano stabilito rapporti con i Piscataway loro nemici. Anche per uscire da questa morsa, i capi Susquehannock tentarono di ottenere l’appoggio degli Olandesi, offrendo loro terre sul fiume Delaware, ma questi preferirono continuare nella loro neutralità, che di fatto era un sostegno totale alla Lega, che rifornivano di armi. Malgrado questa difficoltà i Susquehannock resistettero fino al 1655, arretrando lentamente davanti ai nemici Mohawk e Oneida, fin quando nel settembre di quell’anno, l’intervento de governatore olandese Peter Stuyvesant pose fine alla colonia svedese, privando la tribù dei loro unici fornitori di armi. L’anno successivo i Susquehannock chiedevano una tregua ai Mohawk e agli Oneida, che accettarono di concederla rinunciando ad assestare il colpo definitivo; in realtà dal 1654 tutte le tribù della regione erano state colpite dall’ennesima epidemia, e nessuno era in condizione di continuare la guerra; in più i Mohawk e gli Oneida dovevano difendersi dalle tribù Algonquian sostenute dalla Francia. La resa dei conti con i Susquehannock era stata rimandata, ma le cose andarono diversamente con gli Erie, con cui le prime tensioni si erano prodotte subito dopo la sconfitta dei Neutral, che da loro erano stati accolti, seppur in una posizione subalterna. Gli Onondaga, i Seneca e i Cayuga, le tribù più prossime agli Erie tentarono di ottenere la consegna dei rifugiati, ma gli Erie non solo si rifiutarono, ma lanciarono anche un raid contro un villaggio Seneca, uccidendo un loro capo. Gli Iroquois comunque evitarono di scatenare subito le ostilità, come avevano fatto con i Neutral e invece nel 1653 tentarono di risolvere la controversia in modo diplomatico, invitando una delegazione di capi Erie a discutere. Le cose comunque volsero subito al peggio, quando nel corso di una accesa discussione un guerriero Erie uccise un guerriero Onondaga: nessuno dei trenta membri della delegazione Erie fece ritorno al proprio villaggio. La guerra era a quel punto inevitabile, ma i capi delle tre tribù, che dovevano certo aver rispetto dei loro avversari, prima di iniziare le ostilità, ritennero opportuno tutelarsi da altri possibili nemici, siglando quello stesso anno un accordo con i Francesi a Trois Riviere. I Francesi non attendevano altro e pur di liberarsi dall’assedio in cui di fatto vivevano gli abitanti di Montreal, non esitarono a firmare un trattato di pace che tra le altre clausole, imponeva loro di non recarsi nelle terre dell’ovest, per commerciare con i loro alleati Wyandot e Ottawa, che vi avevano trovato rifugio. Dopo questa precauzione, i guerrieri Onondaga, Cayuga e Seneca, iniziarono la guerra colpendo alcuni villaggi Erie. Non si conoscono i particolari questo conflitto che si svolse lontano da testimoni europei, ma quasi certamente gli Erie furono un avversario ostico, che pur non essendo riforniti di armi da fuoco e non po-
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tendo contare nemmeno su rifornimenti o sostegno da parte dei Susquehannock, anch’essi sotto attacco dei Mohawk e degli Oneida, essi resistettero almeno fino al 1656, quando un attacco definitivo degli Iroquois li costrinse alla resa o alla fuga. Come era accaduto ad altre tribù Iroquaian, a migliaia gli Erie e i profughi che si erano uniti a loro, furono forzosamente adottati, altri probabilmente trovarono sostegno presso gli Honiasont, una piccola tribù ormai scomparsa, che però nel 1662 era in grado di inviare 800 guerrieri in aiuto dei Susquehannock, e un cui villaggio resisteva fino al 1680 ai guerrieri Iroquois. Gli Erie dovevano essere stati comunque un popolo temibile e numeroso, se come ritengono molti studiosi, dopo la sconfitta subita e dopo le tante adozioni forzate, c’era ancora un gran numero di essi in grado di traferirsi fino al confine della colonia inglese delle Virginia, dove in quello stesso 1656, con il nome di Ricahecrian, essi sconfissero sonoramente gli Inglesi e i loro alleati Pamunkey, prima di spostarsi ancora più a sud, fino alle sorgenti del fiume Savannah, in South Carlolina, dove con il nome di Westo per diversi anni furono temuti tanto dagli indiani locali, quanto dai coloni europei. Sconfitti gli Erie, i guerrieri Seneca, Cayuga e Onondaga, si trovarono a diretto confronto con i Suesquehannock, che avevano ottenuto una tregua dai Mohawk e dagli Oneida, ma continuarono a subire gli attacchi dei guerrieri delle altre tribù Iroquois. Pur in assenza di rifornimenti di armi e munizioni, i Susquehannock, quasi certamente insieme agli Honiasont, continuarono a contrastare l’avanzata Iroquois verso sud, sopportando nel 1661 l’ennesima epidemia, ma riuscendo in quello stesso anno a raggiungere un accordo con gli Inglesi del Maryland, con cui iniziarono a commerciare e da cui ottenevano le armi per difendersi dagli Iroquois; grazie alle armi inglesi, nel 1663 una potente offensiva Iroquois fu fermata dai Susquehannock e dagli Honiasont, le uniche tribù di lingua Iroquaian, non ancora assoggettate alla Lega. Si giunse così alla situazione in cui i mercanti inglesi del New England commerciavano con la Lega, mentre i loro compatrioti del Maryland ottenevano pelli dai Susquehannock, e sia gli uni che gli altri vendevano armi ai loro alleati; per i coloni del Maryland l’alleanza con i Susquehannock significava una difesa dai guerrieri Iroquois, le cui incursioni a sud, colpivano indiscriminatamente bianchi e indiani, senza curarsi del fatto che i bianchi parlavano la stessa lingua dei loro fornitori di armi. L’accordo tra Inglesi e Susquehannock, significò la fine per la tribù dei Piscataway, che avevano sperato nella protezione inglese, e i cui territori invece furono ceduti ai Susquehannock, perché formassero una barriera protettiva degli insediamenti inglesi. L’espansione a sud della Lega aveva trovato un formidabile ostacolo nei Susquehannock, nella zona a est dei monti Appalachi, ma a ovest della catena montuosa, sconfitti gli Erie, gli Iroquois avevano davanti a loro l’immensa valle dell’Ohio, un territorio di caccia ricchissimo e solo marginalmente sfruttato, ma anche una terra generosa, adatta all’agricoltura, che era stata la sede delle più antiche culture indiane della preistoria. Quale fu l’impatto dell’avanzata degli Iroquois sui tanti popoli che vivevano nella regione è argomento complesso su cui mancano testimonianze dirette, ma è certo che negli anni successivi alla sconfitta degli Erie, tutte le tribù Siouan che vivevano alle pendici dei monti Appalache, tra gli attuali stati di Ohio e Virginia, subirono le incurisioni dei guerrieri della Lega, e in particolare le tribù che vivevano a ovest dei monti, scomparirono, come i Moneton o furono costrette a fuggire lontano, come i Mosopolea (Ofo) e i Capitanesses (Biloxi). L’altro teatro di guerra che teneva impegnate le tribù della Lega era quello settentrionale, dalla valle del San Lorenzo alla costa Atlantica, dove il rapporto tra i Francesi e i tradizionali nemici Algonquian si rafforzava in rapporto alla crescita dell’aggressività degli Iroquois. Nel 1652 un capo Montagnais accompagnato da un gesuita, fu inviato dai Francesi a visitare gli Abnaki, i Sokoki, i Pennacook, i Pokuntuk, i Mahican, per indurli a riunirsi in una alleanza contro la Lega, e i due emissari tentarono anche un contatto con i coloni del New England, dato che i guerrieri Iroquois non si facevano scrupolo di attaccare nemmeno le tribù da loro sottomesse; gli Inglesi ovviamente nemmeno discussero la proposta, dato che un’alleanza di tribù indiane, armate dai Francesi, proprio sul loro confine era l’ultima cosa che potevano desiderare. All’alleanza si unirono invece i Mahican, rompendo il rapporto di subordinazione alla Lega a cui erano stati obbligati dopo la sconfitta del 1628; dall’alta valle dell’Hudson, fino alla costa Atlantica, l’alleanza delle tribù Algonquian poteva essere un ostacolo tanto per la Lega, quanto per gli Inglesi, oltre che un bastione difensivo e un interessante partner commerciale per i Francesi. Con il commercio nelle terre dell’ovest bloccato dagli Iroquois, i Francesi puntavano su queste tribù, le cui forniture erano certo minori, ma meno rischiose; quando poi firmarono l’accordo con gli Onondaga, i Cayuga e i Seneca, che li impegnava a non inviare mercanti nelle terre dell’ovest, il commercio con le tribù vicine divenne la principale risorsa della colonia. Dal canto loro le tribù Algonquian, fino ad allora abbastanza trascurate dai mercanti francesi e spesso obbligati ad un difficile rapporto con quelli Inglesi, si mostrarono subito
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disponibili, dato che ormai i mercanti inglesi erano sempre più coinvolti nel rapporto con i loro nemici tradizionali della Lega. Il progetto fu però indebolito nel 1654 dalla conquista di Port Royal, in Acadia, da parte degli Inglesi, che interrompendo un canale per le merci francesi, obbligava Abnaki, Penobscot a mantenere le difficili relazioni con gli Inglesi. I Mohawk e gli Oneida erano le tribù a più diretto contatto con le tribù dell’alleanza filo-francese, e in più essi non avevano aderito al trattato del 1653, con cui Onondaga, Cayuga e Seneca avevano rinunciato ad attaccare gli avamposti francesi; per i Mohawk, tale trattato era una minaccia, perché metteva a rischio la loro preminenza nella Lega, in favore degli Onondaga. Mentre le trattative di pace erano in corso, un capo Mohawk di nome Canaqueese, un meticcio Mohawk-Olandese, che i gesuiti chiamavano “Flemish Bastard” (Bastardo Fiammingo), si recò a Quebec per convincere i Francesi a trattare con la sua tribù: il suo discorso, presentando la Lega come una “grande casa”, invitava i Francesi ad entrare dalla porta, i Mohawk, e non cercare di passare dal tetto, gli Onondaga. I Francesi probabilmente puntarono a creare frizioni interne alla Lega, e non seguirono il consiglio, e la guerra tra Mohawk e Francesi e loro alleati continuò; nel 1653 attacchi furono condotti contro i Sokoki, a est del lago Champlain, mentre continuava la pressione nei confronti di Montreal, dove coloni furono uccisi dai Mohawk il 20 luglio del 1653 e il 12 ottobre del 1654. Ancora nel 1654 i Mohawk catturarono un gesuita in viaggio per raggiungere gli Onondaga, ma alla fine furono costretti a rilasciarlo per evitare tensioni nella Lega. Citare tutti le aggressioni, gli agguati e gli attacchi di questa continua guerriglia è ovviamente impossibile. A quell’epoca comunque Mohawk e Oneida erano principalmente impegnati con i Susquehannock a sud, e le ostilità a nord furono di bassa intensità. Solo dopo la tregua con i Susquehannock del 1655, Mohawk e Oneida ripresero l’iniziativa contro i loro nemici a nord, e il 25 ottobre del 1656 una spedizione di guerra Oneida uccise tre Francesi nelle vicinanze di Montreal; la risposta francese fu l’arresto di una dozzina di cacciatori Mohawk e Onondaga, e l’ordine d’arresto per tutti gli Iroquois presenti nella Nouvelle France. Il provvedimento ebbe come unica conseguenza di esacerbare i rapporti anche con le tribù Iroquois non ostili, e gli incidenti continuarono l’anno successivo; i guerrieri Mohawk si spinsero fin nelle vicinanze di Quebec, dove ancora il 25 ottobre, uccisero tre coloni. Poi nel 1658 gli Onondaga uccisero il gesuita inviato presso di loro quattro anni prima, e il trattato del 1653 perse ogni valore anche sul piano formale. Durante questi anni la conflittualità con i Mahican, i Sokoki e le altre tribù Algonquian era cresciuta, ma l’alleanza filo-francese, non era stata in grado di compiere alcuna azione significativa: non adeguatamente riforniti dai Francesi, dopo la perdita di Port Royal, con gli Inglesi contrari ad uno scontro con la Lega, l’alleanza ebbe un carattere principalmente difensivo. Queste tribù Algonquian continuavano a essere in una condizione difficile, sotto la pressione aggressiva della Lega, con gli Inglesi che premevano dalla costa sulle loro terre, potevano avere nei Francesi un alleato naturale, ma questi non erano in grado di supportarli adeguatamente, ed essi erano costretti, per ragioni commerciali a mantenere un difficile rapporto con gli Inglesi, alleati dei nemici Iroquois. In questa condizione, nel 1658 i Mahican decisero di accettare le sollecitazioni dei mercanti olandesi, spinti dai Mohawk, e lasciare l’alleanza con i Sokoki e le altre tribù Algonquian, per schierarsi di nuovo al fianco degli Iroquois. Con questo successo diplomatico i Mohawk avevano eliminato il pericolo maggiore, i Mahican, che vivevano a poca distanza da loro, e come loro erano ben riforniti di armi olandesi; quindi dal 1660 portarono la loro offensiva, alle altre tribù nemiche e contro i Francesi, con cui ormai erano di nuovo in guerra anche le altre tribù della Lega. Nella primavera del 1660 a Montreal giunsero notizie che i guerrieri Iroquois presidiavano il corso del fiume Ottawa per intercettare i convogli di pelli, e si stavano radunando per attaccare l’insediamento; di fronte alla minaccia, il giovane Adam Dollard des Ormeaux, ottenne dal governatore Maisonneuve l’autorizzazione ad uscire con sedici fucilieri e quattro guerrieri Algonquin, per tentare di colpire gli Iroquois prima che potessere concentrarsi. Con questa piccola forza Dollard risalì il fiume Ottawa per una settimana, fino a raggiungere il 1 maggiole rapide di Long Sault una località reputata adatta per un agguato; poco dopo il loro arrivo, ad essi si aggiunsero una quarantina di guerrieri Huron provenienti da Lorette, nei pressi di Quebec, e tutti insieme si mi sero al lavoro per fortificare la posizione con una palizzata di tronchi. Prima che le fortificazioni fossero completate, circa 200 Iroquois a bordo di canoe furono avvistati e la prima delle canoe venne presa in un agguato e cinque guerrieri furono uccisi o feriti; gli altri Iroquois a quel punto raggiunsero la fortificazione lanciando un attacco che fu respinto. Viste le perdite subite, gli Iroquois tentarono di aprire trattative, ma Dollard sospettando un tranello, rifiutò ogni contatto; gli Iroquois a quel punto bruciarono le canoe dei Francesi, poi nel secondo attacco persero anche il loro capo,
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un Seneca: la testa del capo Seneca, fu issata sulla palizzata dai Francesi. Di fronte a tale oltraggio, gli Iroquois lanciarono un terzo inutile e sanguinoso attacco, poi vista l’inutilità dei loro sforzi, decisero di pianificare il successivo attacco con la certezza di chiudere la partita. Una canoa fu inviata lungo il fiume per richiamare una grossa spedizione di guerra che si stava dirigendo a Montreal, poi costruirono dei ripari di legno per proteggere l’avanzata verso la palizzata, poi gli Huron adottati che combattevano fra gli Iroquois, gridarono agli Huron che combattevano con i Francesi, di arrendersi, promettendo loro la salvezza; tutti i quaranta Huron, a parte il capo, disertarono, venendo uccisi subito dagli Iroquois, salvo cinque che furono tenuti in vita, perchè tornassero a Montreal, per testimoniare del massacro. Il 5 maggio gli Iroquois lanciarono il quarto attacco, contro i pochi difensori superstiti, ormai a corto di cibo e di acqua; fu a quel punto che avvenne l’episodio che lanciò nella leggenda, questo episodio della guerra sulla frontiera: Dollard, di fronte alla torma di guerrieri ormai alla palizzata, raccolse un barile di polvere Adam Dollard des Ormeaux alla battaglia di Long Sault per usarlo come una bomba, ma forse ferito, non riuscì a lanciarla oltre la palizzata e rimase ucciso dall’esplosione, insieme a quasi tutti i difensori; dei cinque superstiti feriti, quattro furono uccisi subito, e il quinto preso prigioniero e poi torturato a morte. L’assedio era durato cinque giorni e si era concluso in un massacro. La battaglia di Long Sault ebbe grande eco, sia per l’azione disperata di Dollard, sia perchè i gesuiti la resero nota dandogli una grande eco, ma la guerra di frontiera era uno stilicidio di azioni sanguinose che è anche difficile documentare. Il 24 marzo del 1661 una battaglia si svolse nei pressi di Montreal, dove vi furono diverse vittime da ambo le parti e alcuni Francesi furono presi prigionieri; il 22 giugno fu la volta di Trois Riviere, dove nel corso dell’attacco Iroquois fu ucciso il Gran Siniscalco, Jean de Lauzon; poi il 29 agosto in un altro attacco a Montreal, un padre sulpiciano fu ucciso, decapitato e la sua testa portata via come trofeo; il 6 febbraio 1662 il sergente maggiore Lambert Closse, uno dei più esperti combattenti contro gli Iroquois, fu ucciso nei pressi di Montreal, mentre era uscito per portare aiuto ad alcuni coloni. Closse era particolarmente noto per la vicenda del suo matrimonio, avendo egli sposato una giovane, unica superstite della sua famiglia massacrata dagli Onondaga, che era stata liberata in uno scambio di prigionieri, dopo una vittoria di cui lo stesso Closse era stato protagonista. Di fatto l’assedio a Montreal e Trois Riviere non era mai stato tolto, e nemmeno il cordone protettivo dell’alleanza filo-francese, bastava a fermare i guerrieri Iroquois. Tale cordone protettivo fu fu duramente messo alla prova quando i guerrieri della Lega decisero di riprendere l’iniziativa, inviando spedizioni di guerra contro i Sokoki e i loro alleati Abnaki, raggiungendo nel 1662 persino i lontani Penobscot. Quello stesso anno però i Mohawk vennero a conoscenza di un nuovo tentativo dei Mahican di ribellarsi, e il loro principale villaggio fu distrutto e la tribù cacciata dall’alta valle dell’Hudson e spinta a sud, sul fiume Housatonic, a cercare ospitalità e rifugio nelle colonie inglesi. Nel 1663 toccò ai Pocuntuk cercare la pace, chiedendo agli Olan- Monumento a Lambert Closse
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desi di fare da mediatori; l’iniziativa non ebbe alcun risultato, e l’anno successivo una grande spedizione di guerra di Mohawk e Seneca, attaccò il loro più grande villaggio sul fiume Connecticut, nei pressi dell’attuale Deerfield. I Pocuntuk riuscirono a ricacciare i nemici, causando loro gravi perdite, ma erano ormai anch’essi al limite e ancora una volta tentarono la soluzione diplomatica; dopo la sanguinosa sconfitta anche i Mohawk, si mostrarono disponibili, e nel L’offensiva della Lega Iroquois lungo i confini orientali giugno del 1664 inviarono una loro delegazione per trattare la pace. Gli alleati Sokoki e Mahican però non erano d’accordo, e teso un agguato alla delegazione Mohawk, la massacrarono; i Pocuntuk a quel punto si dissolsero, alcuni fuggendo a sud, nelle colonie inglesi, altri a est e a nord, per continuare la guerra al fianco dei Pennacook e dei Sokoki, mentre altri ancora rimasero sulle loro terre, arrendendosi ai Mohawk. La guerra stava comunque giungendo ad un punto di svolta, dato che nel 1664 gli Inglesi occuparono Neuw Amsterdam, rinominata New York, ponendo fine alla colonia olandese; fino a quel momento gli Inglesi avevano fatto i loro guadagni, trafficando in pelli con tutte le tribù con cui erano in contatto, vendendo armi a chi aveva da pagare, non potendo sostituirsi agli Olandesi nel rapporto privilegiato con la Lega, e diffidando delle tribù Algonquian per i loro rapporti con i Francesi. Dopo la presa di Neuw Amsterdam essi poterono definitivamente sostituirsi agli Olandesi, nel commercio con gli Iroquois e molti di loro si trasferirono a Ft.Orange, rinominata Albany, abbandonando ogni commercio con gli Algonquin, salvo che lungo la costa meridionale del Maine. Rinunciando al commercio con gli Algonquian essi perdevano poco in termini di pelli pregiate, ed evitavano di rifornire e armare tribù troppo vicine alla colonia e poco affidabili. Il confuso quadro delle Guerre del Castoro si andava ormai semplificando, con lo schierarsi delle tribù sulla base dei rapporti commerciali con le uniche due potenze europee in grado di fornire armi e merci: la Lega con gli Inglesi, le altre tribù sempre più spinte nelle braccia dei Francesi. I Mahican, che erano stati cacciati nella colonia inglese del Massacchusset, furono costretti a fare la pace con i Mohawk, divenendone fedeli e subordinati, seppur rispettati, alleati. Il destino peggiore fu quello dei Pennacook, i più lontani dai Francesi e i più vicini agli Inglesi, a cui avevano fatto ampie concessioni di terra, e che ora venivano definitivamente abbandonati, alla mercè della Lega. Sokoki, Penobscot e gran parte degli Abnaki, si preparavano a divenire i più pericolosi alleati della Francia. Se la guerra tribale si andava polarizzando intorno ai rispettivi partners commerciali, questi, dopo l’uscita di scena degli Olandesi, giungevano ad un confronto diretto, nell’ambito di una competizione, che avrebbe portato alla nascita di due imperi coloniali. La fine della colonia olandese, suscitò una qualche attenzione a Parigi, dove il governo del re iniziò a preoccuparsi dell’espansione inglese, decidendo che era il caso di porre sotto il proprio diretto controllo le vicende della Nouvelle France, investendo anche quelle risorse che fino ad allora erano mancate. Il pugno di coloni francesi sul San Lorenzo, avrebbero finalmente ottenuto un sostegno, tanto più necessario ora, che il commercio e le devastanti guerre tribali, si erano estese fin nelle regioni ignote nell’interno del continente, aprendo nuovi orizzonti di
guadagno e di conflitto.
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Terra di profughi La miccia che aveva innescato i conflitti intertribali per il controllo dei territori di caccia al castoro e ad altri animali dalla pregiata pelliccia, era stata accesa nelle stazioni commerciali francesi, inglesi e olandesi a est dei Grandi Laghi, ma in poco più di vent’anni l’incendio si era esteso per centinaia e centinaia di chilometri, coinvolgendo tribù e comunità che mai avevano avuto rapporti con l’uomo bianco, ma già pagavano un alto prezzo in vite umane, per la diffusione delle sue armi e delle sue malattie, e soprattutto per la sua sete di profitto. Erano state prima le tribù in rapporto con i commercianti francesi, gli Huron, gli Ottawa, i Neutral, i Tionontati, che già negli anni ’30 del ‘600, e poi nel successivo decennio, fornite di armi di metallo e di qualche fucile, si erano riversate sui loro vicini occidentali e li avevano travolti, cacciandoli dalle loro terre, costringendoli a fuggire a ovest, appropriandosi dei loro ricchi territori di caccia; i Sauk, i Fox, i Mascoute, i Potawatomi, avevano abbandonato le foreste del Michigan, lasciandole quasi deserte a disposizione delle spedizioni di caccia che rifornivano i mercanti francesi sul San Lorenzo. Poi era stata volta dei guerrieri della Lega Iroquois, ben forniti di fucili inglesi e olandesi, che negli anni intorno al 1650, avevano spazzato via le tribù filo-francesi, annullandole come autonome entità, e costringendo i pochi fuggiaschi a spostarsi anch’essi a ovest, lungo lo stesso triste cammino che essi stessi avevano imposto pochi anni prima ai loro vicini; da quanto rimaneva delle tribù degli Huron e dei Tionontati, nacque la tribù dei Wyandot, i Neutrali scomparirono per sempre, mentre gli Ottawa furono anch’essi obbligati a spostarsi a ovest nella regione degli stretti di Mackinac. Il vasto territorio che si estendeva dalla sponda orientale del lago Michigan, fino a quelle occidentali dei laghi Erie e Ontario, fu così del tutto spopolato, e solo le spedizioni di caccia e di guerra Iroquois lo attraversavano, colpendo senza pietà chi ancora vi indugiava. Nel giro di meno di vent’anni, migliaia di profughi presero la via dell’ovest per sfuggire alla guerra, tutti cercando rifugio nella regione a ovest del lago Michigan, sulle terre dove un tempo vivevano i ricchi popoli di cultura Oneota, i cui discendenti, la tribù dei Winnebago, si trovarono a dover cedere gran parte delle loro terre, per ritirarsi in una piccola area intorno alla Green Bay. L’impatto ambientale di questa fuga di massa fu devastante, e nel giro di pochi anni le risorse venatorie furono ridotte al lumicino, i pochi terreni adatti all’agricoltura sottoposti ad uno sfruttamento eccessivo, e la fame fece la sua comparsa nei villaggi, mietendo il suo raccolto di morte durante i duri e freddi inverni. Ma la carestia era solo uno dei mali che colpiva i rifugiati, dato che spesso nel loro viaggio essi portavano con se i bacilli e le infezioni che già avevano decimato gli indiani all’est, e che ora trovavano terreno fertili fra le popolazioni ammassate in un territorio limitato e debilitate dalla fame. Fame, malattie e infine la guerra a completare la triade di uno scenario apocalittico, dato che ogni comunità e ogni tribù, portava con se il rancore e il desiderio di vendetta per le guerre passate, quelle antiche, già dai tempi prima dell’arrivo dei bianchi, quelle più recenti, determinate dalla competizione per le pelli di castoro. I Winnebago, di lingua Siouan, già da Villaggio Potawatomi
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tempo dovevano vedersela con gli Illinois che avevano occupato le terre a sud, poi avevano perso centinaia di guerrieri in una fallita campagna contro i rifugiati Fox che si erano insediati sulle loro terre, e infine avevano dovuto subire la vendetta degli Illinois, dopo aver massacrato i loro emissari di pace; ora ridotti a poche centinaia di guerrieri nulla potevano contro la torma di profughi che giungeva da ovest. I Menominee, insieme ai loro alleati Noquet, erano di lingua Algonquian e vivevano a nord dei Winnebago, su terre poco adatte all’agricoltura, ma ricche di riso selvatico che cresceva spontaneamente tra laghi e paludi; da tempo dovevano vedersela con le numerose bande Ojibway, che dalle terre a nord del lago Superiore lentamente si spingevano a sud: l’arrivo dei profughi fece presto esplodere le tensioni, trasformandole in guerra aperta. Le prime tribù a spostarsi a ovest del lago Michigan erano state i Fox e i Mascoute, che si erano inserite tra gli Illinois e i Winnebago, combattendo contro entrambi; i Sauk la cui fuga aveva preso la via del nord, attraverso Mackinack, si erano poi uniti ai Fox, rinsaldando una antica alleanza e ora le tre tribù occupavano una striscia di territorio che dalla costa sud-occidentale del lago Michigan, giungeva quasi al Mississipi; oltre il grande fiume vivevano i Dakota, stanziati al margine delle praterie dei bisonti, numerosi e temuti. I Dakota il cui nome significa “gli alleati”, erano una confederazione di tribù di lingua Siouan, “I 7 fuochi”, divise in tre raggruppamenti dialettali, i Santee (Mdkwanton, Sisseton, Whapeton, Whapekute), gli Yankton (Yankton e Yanktonay) e i meno numerosi Teton, che nei due secoli successivi si sarebbero quasi tutte trasferite nelle Grandi Pianure, acquisendo il cavallo e divenendo nomadi cacciatori di bisonti: sarebbero passati alla storia come Sioux; a quel tempo cacciavano, pescavano, raccoglievano riso selvatico e praticavano un po’ d’agricoltura, lungo l’alto corso del Mississipi. Anche i Dakota guardavano con preoccupazione all’arrivo dei profughi e presto, con il loro coinvolgimento, la Guerra del Castoro avrebbe lambito le inesplorate Grandi Pianure settentrionali. Gli Illinois, che vivevano nello stato che prende nome da loro, avevano difeso le loro terre dai rifugiati, ma nel 1655 furono accusati dai Seneca di aver dato ospitalità a fuggitivi Huron e fu loro intimato di consegnarli con la minaccia della guerra; gli Illinois non consegnarono alcun rifugiato, anche perché forse nemmeno ne ospitavano, e l’anno successivo i guerrieri Iroquois distrussero un loro grande villaggio, senza peraltro trovare gli Huron che cercavano. Sulla via del ritorno comunque si scontrarono con i guerrieri Illinois che erano accorsi da altri villaggi e malgrado i loro fucili, furono sconfitti. La Lega però non poteva essere vinta con una battaglia e negli anni successivi, gli attacchi di guerrieri armati di fucili, indussero gli Illinois ad abbandonare progressivamente la regione, spostando i loro villaggi a ovest del Mississipi. La sponda occidentale del Mississipi era da tempo abitata da comunità Illinois, ma quando tutta la tribù vi si spostò, la tradizionale ostilità con la tribù Siouan degli Ioway si intensificò, così come la guerra con i Fox, anch’essi giunti presso il Mississipi. Gli Illinois comunque rimasero a ovest del Mississipi, fino alla fine della prima Guerra del Castoro, nel 1667. I Potawatomi, anch’essi fuggiti dal Michigan, si erano fermati nella zona di Mackinack, e qui erano stati raggiunti da coloro che li avevano scacciati, gli Ottawa, e dai superstiti Huron e Tionontati, i Wyandot. Con l’arrivo dei Wyandot però la regione non era più sicura, dato che già nel 1652 una spedizione di guerra Iroquois con i suoi temibili fucili, raggiunse gli stretti di Mackinack, determinata a farla finita con loro: ucciderli tutti o obbligarli ad essere adottati tra i vincitori. Di fronte alla terribile minaccia Potawatomi, Ottawa e Wyandot furono obbligati a fare fronte comune, riunendosi in un villaggio fortificato chiamato Mitchigami; l’anno successivo ancora una volta i guerrieri della Lega si presentarono, ma dopo un lungo assedio al villaggio, furono costretti a rinunciare. Sulla via del ritorno gli Iroquois attaccarono una banda di Ojibway a nord del lago Huron, ma furono poi raggiunti dai Mississauga, un’altra numerosa banda Ojibway, che ne uccise oltre la metà. Questo fu probabilmente il primo scontro diretto tra Ojibway e Iroquois, e la Lega si trovò a misurarsi con la più numerosa tra le tribù dei Grandi Laghi, un popolo di cacciatori e pescatori nomadi, diviso in una infinità di bande, e senza la coesione politica degli Iroquois, ma che quando era impegnato in una guerra era in grado di unirsi contro il comune nemico. Lo scacco subito dagli Iroquois al villaggio di Mitchigami e poi contro gli Ojibway, non pose però fine ai loro raids, che continuarono negli anni successivi, in particolare contro i Wyandot. Dal canto loro i Wyandot, insieme agli alleati Ottawa e sostenuti dai potenti Ojibway, a partire dal 1653 avevano ripreso la loro attività di intermediari commerciali con i Francesi, raccogliendo pellicce da tutta la regione a ovest del lago Michigan; da Mackinack convogli di pellicce scortati dai guerrieri, partivano annualmente per compiere il viaggio lungo il fiume Ottawa fino a Montreal, non sempre con successo. Il conflitto per forzare il blocco commerciale imposto dalla Lega, ovviamente offriva un’altra ragione alla determinazione degli Iroquois contro i Wyandot. L’ostinata persecuzione dei Wyandot, era forse il principale ma certo non l’unico degli obbiettivi della
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guerra totale in cui la Lega era impegnata, e benchè occupati a combattere a est contro gli Erie, i Susquehannock e le tribù Algonquian, alla metà degli anni ’50, la Lega completava anche la cacciata degli indiani dalla penisola del Michigan, obbligando a spostarsi a ovest anche i Kikapoo e i Miami: per sfuggire agli attacchi le due tribù giunsero fin quasi al corso del Mississipi, insieme ai Mascoute, che dopo a aver trovato rifugio a sud-ovest del lago Michigan, preferirono allontanarsi ulteriormente dai terribili Iroquois. Anche la situazione degli Ottawa, dei Wyandot e dei Potawatomi a Mackinack si faceva sempre più precaria, e benchè Ottawa e Wyandot, a cui si erano sicuramente uniti anche guerrieri Ojibway, avessero ripreso in qualche modo il commercio con i Francesi, gli attacchi Iroquois erano una minaccia costante; sappiamo che nel 1655 una sessantina di guerrieri Oneida, guidati dal capo Atodachan, furono sconfitti ancora una volta dagli Ojibway, ma il 25 ottobre dell’anno successivo il principale villaggio dei Wyandot fu attaccato e distrutto: la tribù fu costretta ad abbandonare la regione di Mackinack e a fuggire ancora più a ovest, fino al lago Pepin, quasi alle sorgenti del Mississipi; una parte dei Wyandot comunque era stanca di questa persecuzione e nel 1657 nel corso di un incontro con capi Onondaga e Mohawk, decise di accettare l’adozione e unirsi alla Lega. Dopo l’attacco ai Wyandot e la loro fuga, anche Ottawa e Potawatomi si spostarono, i primi trovando rifugio tra gli Ojibway a Chemaquegon, sulla sponda meridionale del lago Superiore, i secondi fuggendo a sud, a Green Bay, prendendo le migliori terre agricole dei Winnebago, che non poterono opporsi. La fuga a ovest dei Wyandot non placò la lega, che l’anno successivo, non potendo più trovare gli irriducibili avversari, inviò i suoi guerrieri a colpire indiscriminatamente le tribù a ovest del lago Michigan, colpevoli di rifornire di pelli pregiate, Ottawa e Wyandot. Lo scontro più importante fu tra i Fox e gli Onondaga, ma tutte le tribù della regione già provate dalla fame, conobbero il terrore portato dai guerrieri Iroquois e dai loro fucili. Alla fine degli anni ’50 tutta la regione compresa tra il lago Michigan, il lago Superiore e il Mississipi era un territorio di rifugiati, in cui le diverse tribù si mescolavano e confliggevano, spinte dalla necessità di condividere o di competere per le ormai scarse risorse del territorio: i pochi terreni adatti all’agricoltura, le principali stazioni di pesca, la selvaggina per l’alimentazione e le pelli da poter scambiare per ottenere quelle poche merci europee di cui non potevano fare a meno, e che giungevano con il contagocce. Tutti sottoposti alle periodiche incursioni dei guerrieri Iroquois, divisi da faide e microconflitti, i rifugiati dovevano anche vedersela con vicini scomodi. Nel 1660 i Menominee per garantirsi il cibo con la principale risorsa che offriva la loro terra, il pesce, costruirono barriere lungo il corso dei fiumi che attraversavano il loro territorio, impedendo la risalita degli storioni nelle terre abitate dagli Ojibway; gli Ojibway attaccarono i villaggi Menominee, i quali chiesero il sostegno delle tribù loro vicine, i Potawatomi, i Winnebago, i Sauk: iniziò così la “Guerra degli Storioni”, che si protrasse per anni. Quando i Wyandot fuggirono al lago Pepin, lungo il Mississipi e si diedero a raccogliere pellicce di castoro per il commercio con i Francesi, i Dakota che fino a quel momento erano La regione del Grandi Laghi alla metà del ‘600
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stati estranei ad ogni commercio, compresero che quelle pelli erano preziose e non potevano essere una risorsa per gli stranieri, che grazie ad esse ottenevano armi di metallo e fucili a loro ignoti. I Wyandot furono scacciati dal lago Pepin e costretti a chiedere ospitalità agli Ottawa a Chequamegon, sul lago Superiore. Poi toccò ai Fox, che si erano stanziati presso la sponda orientale del Mississipi, con cui i Dakota iniziarono un conflitto che si protrasse fino ai primi decenni dell’800. La possibilità che in qualche modo i Dakota potessero ottenere armi e merci europee, era fortemente osteggiata dagli Ojibway, da sempre in conflitto con loro, un conflitto che si fece più aspro con le armi europee, e fu una delle cause del trasferimento nelle Grandi Pianure dei Dakota; Ojibway e Dakota, continuarono comunque a combattersi ancora per più di due secoli, fino alla seconda metà dell’800. Comunque almeno la piaga degli attacchi Iroquois ai rifugiati ebbe una pausa nel 1662, dopo una sanguinosa battaglia in cui guerrieri Ojibway, Nipissing, Wyandot e Ottawa, massacrarono una intera spedizione di guerra Iroquois presso Sault.St.Marie: la località, ancora oggi nota come Iroquois Point, fu per anni indicata dagli indiani come “luogo delle ossa”. Ancora nel 1665 i Seneca portarono un devastante attacco ad un villaggio dei Fox, facendo una settantina di vittime e portando via trenta prigionieri, ma in quel periodo l’inarrestabile espansionismo della Lega, già si indirizzava in altre direzioni. Alla metà degli anni ’60 del ‘600, poco prima della fine della 1° Guerra del Castoro, l’intera geografia etnica della vasta regione dei Grandi Laghi, era stata ridefinita: grandi regioni totalmente spopolate, intere tribù trasferite, ammassate e mescolate, un impressionante calo demografico dovuto alla guerra, alle malattie e alla fame, tensioni e conflitti che sarebbero poi continuati per anni e addirittura per secoli. E tutto ciò era iniziato per l’attività di un pugno di mercanti bianchi, dietro i quali operavano gli interessi commerciali che avevano le loro sedi oltre l’oceano. Per gli indiani questo traumatico stravolgimento era l’inizio di una intera epoca in cui la guerra sarebbe divenuta la principale attività tribale e il guerriero la figura di maggior prestigio. Dopo d’allora tutte le tribù coinvolte in questa vicenda, avrebbero continuato a spostarsi da una regione all’altra, spinte dagli interessi del commercio o della guerra, fino a quando non saranno definitivamente cacciate all’ovest; la terribile Guerra del Castoro, portava gli interessi europei nel cuore del Nuovo Mondo in terre lontane e sconosciute, e sulla base di tale interesse ridefiniva le culture indiane, sconvolgeva l’economia tradizionale, imponendo nelle società tribali, una preminenza dell’attività bellica, che probabilmente non era mai stata così forte. Se l’epopea romantica dell’irriducibile guerriero indiano è divenuta il simbolo di un popolo, c’è da chiedersi quale sia stato il prezzo da pagare per tale simbolo.
La valle dell’Ohio e la scomparsa delle tribù Siouan Le frammentarie notizie raccolte da pochi mercanti e missionari che visitarono le terre a ovest del lago Michigan, o che giungevano agli avamposti francesi con i convogli di pellicce che riuscivano a forzare il blocco Iroquois sul fiume Ottawa, hanno permesso di ricostruire sommariamente le condizioni in cui si trovarono molte tribù indiane travolte dalle guerre tribali e dall’espansionismo della Lega, conseguenti all’introduzione del commercio. Ma le terre a ovest del lago Michigan non furono l’unica regione a subire cambiamenti traumatici in quegli anni, e qualcosa di egualmente se non ancora più drammatico, dovette accadere a sud della regione dei Grandi Laghi, nella grande vallata dell’Ohio, il fiume che dopo aver raccolto le acque del Monongahela e dell’Allegheni, due affluenti che scorrono da sud e da nord nella regione compresa tra i monti Appalachee e il lago Erie, discende in direzione sud-ovest attraverso le grandi foreste dell’est, fino a confluire nel fiume Mississipi quasi al centro del continente. La valle del fiume Ohio, dove nacquero le prime culture agricole delle Foreste Orientali di Adena e di Hopewell, era abitata fino ai primi decenni del ‘600 da popoli di lingua Siouan, artefici della cultura Mississipi, o di culture periferiche da questa influenzate, come quella di Ft.Ancient, o di Monongahela. A partire dal XIV secolo, in conseguenza di una crisi climatica e della scarsità dei raccolti, molti dei principali centri cerimoniali erano stati abbandonati e in generale la complessa struttura gerarchica delle società Mississipi era decaduta, per essere sostituita modelli sociali più semplici ed egualitari. Comunque la decadenza culturale e la probabile crisi demografica, non portarono ad un generale abbandono del territorio, anche se certamente molte comunità abbandonarono le aree più settentrionali, lasciando spazio all’avanzare dei popoli Algonquian dalle terre dei Grandi Laghi, gli Illinois e gli Shawnee in particolare. Nei primi decenni del ‘600 quindi la valle dell’Ohio era ancora una regione abitata, ma solo pochi decenni dopo, quando i primi mercanti e missionari francesi la visitarono, essa era quasi totalmente spopolata, un immenso e ricco territorio di caccia per la Lega Iroquois che ne vantava il possesso. Cosa
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accadde in questi pochi decenni, più che essere ricostruito può essere solo immaginato, dato le che tribù che vivevano in queste regioni non ebbero a quel tempo alcun contatto con i bianchi, alcune scomparirono dalla storia al tempo dei primissimi contatti, altre forse anche prima, lasciandoci spesso solo un nome e scarse indicazioni sulla loro collocazione geografica. Da questi pochissimi elementi e dalle tradizioni tribali di alcune delle tribù sopravvissute, possiamo quindi tentare di fare ipotesi su quanto sia accaduto in questa regione, in quegli anni oscuri. Un dato certo riguarda la regione del basso e medio corso del fiume Ohio, che certamente fino ai primi decenni del ‘600 era abitata da un certo numero di popolazioni di lingua Siouan, che più tardi saranno incontrate dagli Europei nelle regioni a ovest del Mississipi, dove vivevano di agricoltura e di caccia al bisonte. Si tratta delle tribù degli Osage, degli Omaha, dei Kansa e dei Quapaw, tutte parlanti lingue della suddivisione Dhegiha della famiglia linguistica Siouan, che certamente erano state parte del complesso culturale dei “popoli del Mississipi”. Le tradizioni tribali Osage ricordano la loro provenienza dalle terre del fiume Ohio, mentre ancora in tempi più recenti le tribù Algonquian chiamavano il fiume Wabash nell’Illinois, “fiume degli Akansa”, che ricorda sia il nome della tribù dei Kansa, sia Arkansas uno dei nomi con cui furono noti i Quapaw. In un epoca indefinita, ma certamente successiva agli anni ’30 del ‘600, questi popoli abbandonarono la regione discendendo il fiume Ohio fino al Mississipi e poi spostandosi a sud e a ovest; i Quapaw raggiunsero il basso corso del fiume Arkansas, che da loro prese nome, gli Osage si fermarono più a nord, nelle terre tra l’Arkansas e il Missouri, i Kansa e gli Omaha risalirono il corso del Missouri, stanziandosi rispettivamente nelle regioni orientali degli attuali stati del Kansas e del Nebraska. Fu in queste terre che essi ebbero i loro primi contatti con mercanti ed esploratori francesi alla fine del ‘600, ma almeno una di queste tribù, gli Osage, continuò a mantenere sporadici contatti con le terre orientali, ancora nel corso del ‘700, almeno per ragioni di commercio con i Francesi. Nel corso della loro migrazione questi popoli si scontrarono con le tribù Caddoan e Tunican del basso Mississipi, contribuendo alla decadenza del complesso culturale dei “popoli del Mississipi”, anche in quest’area; a ovest le tribù Siouan si scontrarono con altre tribù Caddoan, antenate dei dei Wichita, le stesse genti incontrate da Coronado e da Onate nelle terre del Kansas, abbandonate proprio all’arrivo dei Siouan per spostarsi a sud verso il Red River e il Texas. Mancano prove certe per affermare che questa migrazione di popoli Siouan sia stata indotta dall’estendersi dei conflitti e delle malattie epidemiche che sconvolsero le regioni a est e a nord, durante la 1° Guerra del Castoro, ma questa rimane l’opzione più credibile, anche tenendo conto che questi popoli vivevano una condizione di decadenza culturale e probabilmente di crisi economica, almeno dalla fine del XIV secolo. L’equilibrio con i popoli Algonquian che da secoli premevano da nord, potrebbe essere saltato con l’arrivo delle prime armi di metallo, accompagnate dalla diffusione di malattie sconosciute, già a partire dagli anni ’30 del ‘600, o forse furono le spedizioni di guerra degli Iroquois, che giungevano da est, e che dopo aver distrutto gli Erie nel 1656, potevano sciamare liberamente verso i ricchi territori di caccia dell’Ohio con i loro temibili fucili. Forse la migrazione fu un evento protrattosi nel tempo, con lo spostamento in tempi diversi e in luoghi diversi, di gruppi di comunità, come potrebbe confermare l’esistenza alla fine del ‘600 di quattro diverse entità tribali. Sappiamo comunque con certezza che nella seconda metà degli anni ’50 del ‘600, gli Illinois, vicini settentrionali di questi Siouan, furono anch’essi obbligati a spostarsi a ovest per sfuggire agli Iroquois. L’abbandono di queste terre da parte dei Siouan, eredi degli antichi costruttori di mounds, i grandi tumuli di terra usati per le sepolture e le cerimonie, fu una delle ragioni che rese per lungo tempo misteriose queste strutture, dato che al tempo in cui bianchi le scoprirono, gli indiani residenti nella regione poco o nulla ne sapevano. La migrazione a ovest del Mississipi di queste tribù, fu la prima di una serie di trasferimenti, che nel giro di pochi decenni avrebbero portato le Grandi Pianure a divenire il luogo di incontro e relazione tra tribù diverse, da cui sarebbe nata la cultura del cavallo e del bisonte. Ancora più misteriosa è la situazione risalendo il corso del fiume Ohio verso le sorgenti. Da una mappa e da scarse notizie francesi, sappiamo che diversi villaggi di un popolo chiamato Mosopolea, erano presenti lungo l’alto corso del fiume Ohio, ancora dopo la metà del ‘600, prima di essere distrutti e abbandonati, in un’epoca imprecisata, ma sicuramente anteriore al 1680. La regione in cui vengono indicati i villaggi è la stessa in cui sono stati trovati i resti archeologici della cultura di Ft.Ancient, ed quindi quasi certo che tale cultura fosse ascrivibile agli antichi Mosopolea. E’ certo che i Mosopolea, corrispondono agli Ofo, un popolo di lingua Siouan incontrato all’inizio del ‘700 dai Francesi in Louisiana, sul basso Mississipi, e quindi anche in questo caso una migrazione si svolse nell’arco di pochi decenni, lungo il corso del fiume Ohio e poi del Mississipi. Analoga alla vicenda degli Ofo o Mosopolea, potrebbe essere quella di un altro popolo di lingua Siouan, i Biloxi, che solo all’inizio del ‘700 furono incontrati dai Francesi sulle coste del Golfo del Messico, in Alabama, una regione abitata da popoli di lingua Muskogean;
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i Francesi seppero che i Biloxi erano giunti di recente da nord, e ancora intorno al 1730, una mappa francese indicava un loro villaggio nell’interno, lungo il corso del fiume Alabama, in una località in cui essi erano passati durante la loro migrazione. I Biloxi, chiamavano se stessi Taneksa, un nome che ricorda quello dei Capitanesse, citati in una mappa olandese della metà del ‘600, e di cui poi non v’è più alcuna menzione; i Capitanesse erano posti dagli Olandesi a ovest del fiume Susquehanna, forse proprio sul fiume Monongahela, sede dell’omonima cultura precolombiana, che scompare in un’epoca imprecisata dopo il 1630. E’ quindi possibile che i Biloxi dell’Alabama siano stati gli artefici della cultura Monongahela, che in conseguenza dei conflitti e dei traumi prodotti dalla 1° Guerra del Castoro, abbiano cercato rifugio a sud, seguendo le pendici occidentali dei monti Appalachee, fino a raggiungere le coste del Golfo del Messico. Mosopolea e Capitanesse, erano stanziati immediatamente a sud degli Erie e a est dei Susquehannock, e certamente attraverso gli scambi con queste due tribù, ebbero contatti indiretti con gli Europei , ottenendo le prime merci e con esse forse le malattie dell’uomo bianco; non sappiamo quali fossero i rapporti tra queste tribù di lingua Siouan e i loro vicini Iroquaian, ma non risulta che ne gli Erie, ne i Susquehannock fossero impegnate in conflitti con sconosciute tribù occidentali, anche se non possiamo escludere che forti delle loro armi di metallo, abbiano imposto ai vicini tributi in pelli, da poter scambiare con i bianchi. E’ certo comunque che dopo la sconfitta degli Erie, le bande guerriere Iroquois ebbero la via aperta verso il sud, e a queste due tribù non rimase che fuggire, quanto più lontano possibile dai feroci nemici. Altri popoli di lingua Siouan vivevano su entrambi i versanti dei monti Appalachee, divisi in una quantità di tribù semisconosciute, quasi tutte estinte prima della metà del ‘700. Le scarse notizie su questi popoli derivano dai loro contatti con i coloni inglesi della Virginia, del Maryland, della Carolina, che ebbero rapporti con le tribù che vivevano sul versante orientale della catena montuosa, mentre quasi nulla sappiamo dei popoli che vivevano a ovest dei monti, verso la valle dell’Ohio; tra questi popoli quelli di cui abbiamo qualche notizia sono i Moneton e i Tutelo, i cui villaggi agricoli erano nella regione dei fiumi Kanawha e Big Sandy, due affluenti meridionali dell’Ohio, nell’odierna West Virginia. Prima del 1670 sappiamo che i Tutelo si spostarno a est dei monti Appalachee per sfuggire agli attacchi degli Iroquois, unendosi ad altre tribù Siouan locali, con cui continuarono a combattere una lunga guerra difensiva, fino alla definitiva sconfitta prima del 1740. Dei Moneton, l’ultima notizia è del 1672, quando un loro villaggio fu visitato da due mercanti inglesi, poi di essi non si ha più notizia; quasi certamente gli ultimi superstiti fuggirono anch’essi a est, per unirsi ai Tutelo. Di fatto prima del 1680 tutti i popoli Siouan che avevano abitato almeno dal I millennio a.C. la valle dell’Ohio, dal Mississipi ai monti Appalachee, edificando le più ricche civiltà preistoriche del Nord America, furono cacciati dalla regione e di esse di fatto si perdette anche il ricordo. E’ difficile ipotizzare quali altri eventi, oltre alle guerre tribali e alle malattie, possono aver indotto queste genti a compiere una lunga migrazione, forse dovendo anche combattere lungo il percorso, fino a terre lontane, con un diverso clima, un diverso ambiente e diverse risorse, in cui dover riorganizzare il loro modello di sussistenza e la loro cultura: se le ragioni siano state le guerre e le epidemie, si trattò certo di guerre feroci ed epidemie distruttive. La vicenda delle tribù Siouan è certo quella che più illumina l’impatto della 1° Guerra del Castoro nella valle dell’Ohio, ma anche altre tribù subirono in termini drammatici l’espansionismo della Lega, alcune di esse scomparendo definitivamente; questo fu il caso degli Honniasont, anche noti come Mingo Neri, una tribù misteriosa, che si pensa fossero di lingua Iroquaian, ma che alcuni studiosi assimilano ai Nayassan, una tribù Siouan della Virginia. Gli Honniasont vivevano però più a nord, ed erano in relazione con gli Erie e i Susquehannock; una parte di Erie si rifugiò presso di loro dopo la sconfitta subita, e sapiamo che i Susquehannock nel 1662 attendevano un grosso contingente di guerrieri Honniasont, per difendersi dagli Iroquois; il termine Mingo (Minqua, Mingwe) viene poi dalla lingua Algonquian e definisce genericamente tutti i popoli di lingua Iroquaian. Dopo la citazione del loro nome nel 1662 non si hanno più notizie di loro, e probabilmente essi furono sconfitti e adottati nella Lega, come era già accaduto ad altre tribù Iroquaian; pare comunque che un villaggio misto di Erie e Honniasont, sia rimasto autonomo fino al 1680, prima di arrendersi e sottomettersi. Un'altra tribù che fu scompaginata dagli attacchi della Lega, furono gli Shawnee, che in seguito e per oltre un secolo, saranno il cuore della resistenza indiana a est del Mississipi; il loro nome nella ligua Algonquian significa “i meridionali”, ed essi vivevano a sud-ovest del lago Erie e a nord dei Mosopolea. Intorno al 1665 anche gli Shawnee furono costretti ad abbandonare il territorio e a fuggire in diverse direzioni. Una parte della tribù cerco rifugio a est su un affluente del fiume Susquehanna, dove i Susque-
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hannock non furono in grado di cacciarli e dove si allearono ai Lenape; un altro gruppo prese la via dell’ovest, venendo accolto nelle vicinanze dei Miami, a sudovest del lago Michigan; altri due gruppi presero la via del sud e furono accolti dai Cherokee, che preoccupati dall’avanzare degli Iroquois, offrirono loro terre in cambio di alleanza La regione del Grandi Laghi e la valle deell’Ohio alla fine della 1° Guerra del Castoro militare contro le tribù con cui erano da tempo in guerra: un gruppo di Shawnee si fermò a ovest del territorio Cherokee, sul fiume Cumberland, per fare da cuscinetto difensivo contro i Chickasaw, l’altro ottenne terre sull’alto corso del fiume Savannah, in South Carolina, per svolgere la stessa funzione contro i Catawba. Gli Shawnee comunque non rinunceranno mai alle loro terre, continuando a visitarle con piccole spedizioni di caccia e di guerra, fin quando non riuscirono a tornarvi, più di mezzo secolo dopo. Prima del 1670, come era già accaduto nelle terre tra i laghi Erie, Ontario e Huron e nella penisola del Michigan, tutta la regione a nord del fiume Ohio era spopolata, mentre le terre a sud erano insanguinate dalla guerriglia che opponeva gli Iroquois ai Cherokee. Le spedizione di guerra Iroquois ovviamente non si fermavano nemmeno davanti ai monti Appalachee, che venivano attraversati per colpire le tribù Siouan e in particolare i Catawba, senza ovviamente farsi scrupolo di uccidere e depredare anche i coloni inglesi. La Lega Iroquois era giunta a dominare un territorio immenso, grande quasi quanto l’Europa occidentale, anche se il suo dominio si sostanziava nel controllo di una terra spopolata, usata solo per rifornirsi delle pregiate pellicce richieste dai mercanti bianchi. Nel giro di pochi decenni, comunque tale dominio diverrà solo formale, e progressivamente, le tribù fuggitive tornarono a ripopolare l’area, con o senza il consenso della Lega, mentre le potenze europee, con l’avanzare del commercio, intervenivano direttamente per imporre il proprio dominio. Nei due secoli successivi, la valle dell’Ohio sarà il teatro di una guerra permanente, tra tribù indiane, potenze coloniali e infine i liberi coloni americani, gli ultimi arrivati ed i più pericolosi, perché a differenza dei mercanti Inglesi, Olandesi e Francesi, loro non volevano controllare il commercio indiano, ma volevano la terra, solo la terra, libera dagli indiani. Nel giro di poco più di mezzo secolo, la forza dell’economia mercantile imposta dall’uomo bianco, era giunta fino al centro del continente americano, producendo guerre e migrazioni di massa, crisi demografiche e stravolgimenti culturali, che le tribù indiane subivano ignare dei potenti interessi che le causavano, esattamente come ignari erano i mercanti europei che ad Amsterdam, a Londra o a Parigi, calcolavano i lauti profitti che le morbide pelli di castoro procuravano. Così quando ancora la presenza degli Europei si esauriva in pochi grappoli di coloni lungo la costa dell’Atlantico, per i nativi del Nuovo Mondo, la fine era già iniziata.
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Il commercio all’ovest: Medart Chouart de Groselieres e Pierre Esprit Radisson La 1° Guerra del Castoro fu una immensa guerra commerciale, per il controllo tanto della materia prima, le pelli pregiate, quanto del traffico, delle vie commerciali e delle intermediazioni; per questa ragione, se da un lato essa produceva morte, distruzione e addirittura il totale spopolamento di intere regioni, contestualmente essa rafforzava le ragioni del commercio, da cui la guerra traeva alimento, secondo un meccanismo che poi il nascente capitalismo imporrà a livello globale: la distruzione di risorse, umane e ambientali, che fa da volano allo sviluppo delle attività economiche legate alla guerra e alla conseguente crescita e concentrazione delle ricchezze. La fornitura di armi e munizioni, necessarie a difendersi quanto ad attaccare, il rifornimento di merci che sostituiscono le produzioni artigianali locali, ridotte al minimo dalla devastazione economica della guerra, la diffusione di “droghe” come l’alcool, merce ad alto valore aggiunto, che sempre si affermano in contesti devastati dalla guerra e frustrati dalla povertà e dalla distruzione dei legami sociali, sono tutti elementi della guerra economica moderna, che nella 1° Guerra del Castoro trovarono una delle prime applicazioni. Alla luce di questa premessa, non c’è quindi da stupirsi che malgrado le terribili condizioni in cui versava tutta la regione, con territori spopolati, aree densamente abitate da profughi in fuga, vie commerciali insanguinate da continui conflitti, l’attività commerciale in quegli anni fece un ulteriore balzo in avanti, fino a raggiungere le zone più interne del continente. In un epoca e in luogo in cui ogni comunicazione era lenta e difficile, e in cui i bianchi attivi nel commercio erano un numero tutto sommato limitato, il mezzo secolo successivo alla costruzione della stazione commerciale olandese di Ft.Nassau, fu sufficiente a permettere agli interessi commerciali di raggiungere il centro del Nord America, le regioni alle sorgenti del Mississipi e le lontane praterie settentrionali. Ancora una volta artefici di questo balzo dei commerci furono i Francesi, anche se poi, come in altre occasioni, non saranno loro a goderne i frutti. Con il trattato del 1653 firmato con parte delle tribù della Lega, i Seneca, gli Onondaga e i Cayuga, i mercanti di Quebec e di Montreal, si impegnavano a non compiere più viaggi all’ovest, per rifornire le tribù alleate sconfitte e in fuga; quelle stesse tribù che nella loro fuga a ovest del Michigan, avevano raggiunto terre vergini, ancora non sfruttate dalla caccia intensiva e che quindi disponevano di grandi quantità di pelli; c’erano poi i grandi territori a nord del lago Superiore, la terra degli Ojibway e dei Cree, dove la presenza di castori, non era nemmeno messa a rischio dall’eccessiva pressione umana, come avveniva nelle terre dove i rifugiati si erano concentrati. Fu sulla base di tali favorevoli condizioni, che già dal 1653 gli Ottawa e i Wyandot, sostenuti dagli Ojibway, dai Nipissing, dagli Algonquin, riorganizzarono il commercio, cercando di inviare i convogli di pellicce a Montreal, malgrado il blocco imposto dagli Iroquois; alcuni Wyandot che nel 1653 erano riusciti a raggiungere gli avamposti commerciali francesi, portarono informazioni circa i grandi quantitativi di pelli che si potevano ottenere dalle terre a nord del lago Superiore, verso una grande “acqua salata” (la Baia di Hudson) nelle terre dei Cree, e promisero che l’anno successivo sarebbero giunti con un convoglio di pelli. L’anno successivo le pelli arrivarono sul San Lorenzo, suscitando l’entusiasmo e la speranza dei Francesi dopo anni di blocco dei commerci, in cui si era addirittura parlato di abbandonare la colonia; tra i più interessati vi era Medard Chouart de Groselieres, un mercante di Trois Riviere, che insieme ad un altro compagno, si unì nell’agosto del 1654 ai Wyandot, accompagnandoli nel viaggio di ritorno, malgrado il divieto formale imposto dal trattato con la Lega firmato l’anno prima. Nel suo viaggio insieme ai Wyandot, Groselieres risalì il fiume Ottawa fino al lago Nipissing, poi invece di continuare ad ovest verso Salt St.Marie, il convoglio piegò a sud attraverso il lago Huron, fino alla sua estremità meridionale, attraverso le terre che erano state degli Huron e ora erano deserte, poi giunto al lago St.Claire, i Wyandot presero la via di terra attraverso la penisola del Michigan, anch’essa spopolata, fino ad attraversare il lago omonimo giungendo a sud di Green Bay. Qui i Francesi si trattennero a lungo, facendo scambi commerciali con i Potawatomi, i Fox, i Dakota, i Winnebago, e da tutti avendo conferma della ricchezza delle terre a nord, verso la “grande acqua salata”, dove i castori abbondavano. Con un ricco carico di pelli Groselieres e il suo compagno presero infine la via del fiume Ottawa per tornare a Montreal nell’agosto del 1656, due anni dopo la partenza. Il viaggio di Groselieres era stata una iniziativa non autorizzata, e nei due anni successivi nessun altro Francese visitò le terre dell’ovest: le pellicce continuavano a raggiungere le stazioni commerciali francesi solo quando i Wyandot e gli Ottawa riuscivano a violare il blocco della Lega. Nel 1658 la precaria tregua tra Francesi e parte della Lega si concluse con l’uccisione di un missionario che operava tra gli Onondaga, e i Francesi non furono più vincolati ad alcuna limitazione nel commercio a ovest: nell’estate dell’anno successivo, Groselieres otteneva dal governatore di Montreal l’autorizzazione ad un viaggio
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commerciale di un anno nelle terre dell’ovest. Ad accompagnarlo questa volta c’era il suo giovane cognato Pierre Esprit Radisson, un giovane cresciuto sulla frontiera, rapito nel 1652, appena quindicenne dai Mohawk che avevano ucciso i suoi compagni nei pressi di Trois Riviere; i Mohawk si apprestavano ad adottare il giovane Radisson, ma dopo breve tempo egli ebbe contatti con dei guerrieri Algonquin con cui tentò la fuga. I Mohawk comunque si misero all’inseguimento dei fuggitivi e li uccisero tutti, salvo Radisson, che grazie alla protezione dei parenti acquisiti, ebbe salva la vita e se la cavò con torture relativamente blande: gli furono strappate le unghie, mentre era obbligato a cantare. Radisson ricorderà poi, che egli doveva mostrarsi coraggioso, per aver salva la vita, ma non troppo, perché cibarsi del cuore di un guerriero coraggioso era pratica diffusa tra gli Iroquois. Con i Mohawk, Radisson partecipò a una spedizione di guerra contro i Wyandot, vide le atroci torture praticate Pierre Esprit Radisson contro i prigionieri, poi nell’ottobre del 1653 si unì ai guerrieri che portavano le pelli agli Olandesi di Ft.Orange. Qui un mercante si offrì di pagare un riscatto per liberarlo, ma lui si rifiutò, forse per timore della reazione della sua famiglia adottiva; poi tornato al villaggio, da solo fuggì per tornare a Ft.Orange, dove gli Olandesi lo fecero scomparire, inviandolo nella madrepatria. Comunque l’anno dopo Radisson era di nuovo in Canada, dove faceva da guida e interprete ai gesuiti che operavano tra gli Iroquois, fin quando nel 1658 i missionari non furono costretti a rinunciare al loro lavoro, dopo l’assassinio di un confratello. Quando Radisson si unì al suo più anziano cognato, per il viaggio verso l’ovest, forse non era nemmeno ventenne, ma aveva imparato sugli indiani ciò che c’era da sapere. Groselieres e Radisson partirono nell’estate del 1659, accompagnando i guerrieri Ottawa e Wyandot che tornavano ai loro villaggi dopo aver commerciato a Montreal, e lungo la via del fiume Ottawa ebbero uno scontro con gli Iroquois, poi passata Salt St.Marie, continuarono lungo la sponda meridionale del lago Superiore, fino alla baia di Chequamegon, dove vivevano gli Ottawa e i Wyandot, quindi si spinsero nell’interno per svernare in un villaggio Ojibway, sul lago Courte Oreilles, a est dell’alto corso del Mississipi. A primavera ripresero il viaggio lungo la costa settentrionale del lago Superiore, primi bianchi a spingersi in quelle terre; durante il loro viaggio essi incontrarono anche i Dakota, che gli Ojibway chiamavano Naudowessioux (“piccoli serpenti velenosi”, per differenziarli dagli Iroquois, “grossi serpenti
Un quadro del pittore Frederick Remington che celebra l’impresa di Groselieres e Radisson
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velenosi”), un termine che poi sarà abbreviato in Sioux; gli Ojibway tentarono di impedire che avessero rapporti commerciali con i Dakota, ma questi compresero l’importanza delle merci europee, e il viaggio dei Francesi acuì l’ostilità tra le due tribù. A nord del lago I viaggi all’ovest di Groselieres e Radisson Superiore, nella terra degli Ojibway, Radisson e Groselieres ebbero contatti anche con i Cree, una tribù che viveva ancora più a nord, fin sulle sponde della Baia di Hudson, intuendo così il potenziale commerciale della regione, e l’importanza di aprire stazioni commerciali direttamente sulla costa della grande baia, da dove le pregiate pellicce potevano essere caricate sulle navi e inviate in Europa, senza il lungo e pericoloso viaggio attraverso le terre controllate dagli Iroquois; infine tornarono a Montreal lungo la via del fiume Ottawa nell’estate del 1660, passando vicino alle rovine della fortificazione dove Dollard des Ormeaux era stato massacrato insieme ai suoi uomini pochi mesi prima. Il ritorno di Radisson e Groselieres a Montreal, con il loro convoglio di canoe cariche di pellicce, fu accolto con entusiasmo nella cittadina , ma non dal governatore, che geloso del successo, accusò i due mercanti di essersi trattenuti all’ovest più di quanto la loro autorizzazione prevedeva, e con tale scusa si appropriò del carico di pelli e dei profitti, trattenendo anche i due per qualche tempo in prigione. Quando finalmente vennero liberati, i due si recarono in Francia, sperando inutilmente di ottenere giustizia per vie legali, poi fallito il tentativo, decisero di rivolgersi direttamente agli Inglesi di Boston, sottoponendo loro la proposta di aprire stazioni commerciali direttamente sulle coste della Baia di Hudson. Gli Inglesi si mostrarono subito interessati e dopo un primo viaggio fallito e il coinvolgimento del principe Rupert e della famiglia Reale, nel 1668 fu stabilito Ft. Charles la prima stazione commerciale sulla Baia di James (estremità meridionale della Baia di Hudson), poi nel 1670 fu fondata la Hudson Bay Company, la compagnia commerciale che per due secoli dominò il Canada, e che ancora oggi è una delle grandi istituzioni economiche canadesi. I rapporti tra Radisson e Groselieres e gli Inglesi furono piuttosto difficili, ma è un fatto che la nascita della Hudson Bay Company, uno dei pilastri del dominio inglese in Nord America, è dovuto all’iniziativa di due Francesi, la cui intraprendenza e il cui coraggio era stata premiata in patria solo con l’ingiustizia e il carcere. Al di la delle loro personali vicissitudini, Radisson e Groselieres avevano aperto nuove prospettive al commercio francese, e negli anni successivi attraverso la via del fiume Ottawa il flusso di merci europee e di pellicce riprese abbondante, solo ostacolato dai nemici Iroquois. Pur avendo di fatto sconfitto tutte le tribù vicine ed essendosi appropriati delle loro terre, gli Iroquois non erano comunque riusciti a ottenere il pieno controllo del fiume Ottawa, anche perché i tradizionali nemici Algonquin, che avevano trovato rifugio alle sorgenti del fiume e sul San Lorenzo, continuavano a condurre una ostinata guerriglia di resistenza, con piccoli gruppi armati, riuscendo occasionalmente anche ad ottenere qualche piccolo successo, come l’uccisione del capo degli Onondaga Garistasia nel 1663. Con l’apertura del commercio fino al lago Superiore e oltre il lago Michigan, gli interessi delle poche centinaia di Francesi, ormai andavano ben al di la delle limitate zone costiere in cui a migliaia si insediavano i coloni inglesi. Ma prima che la Francia potesse estendere il suo dominio a gran parte del Nord
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America, il conflitto con la Lega doveva essere risolto: ancora nella primavera del 1664 due convogli di pellicce furono attaccati e depredati lungo il fiume Ottawa, ma fu l’ultima vittoria degli Iroquois prima della fine della 1° Guerra del Castoro.
La spedizione Carignac-Salieres e la fine della guerra All’inizio degli anni ’60 del ‘600 la Lega aveva realizzato il completo controllo militare, politico e commerciale su gran parte della regione dei Grandi Laghi, da cui aveva scacciato tutte le tribù competitrici; unico soggetto in grado di resistere era un pugno di coloni francesi nella valle del San Lorenzo, poco più di un migliaio, distribuiti nei tre principali centri di Quebec, Trois Riviere e Montreal, e in pochi altri insediamenti minori. Nei confronti di questi oppositori la Lega aveva praticato una politica duttile, che andava dall’aperto conflitto, a precari accordi con cui imponeva pesanti limitazioni alle attività commerciali e all’espansione coloniale; comunque nessun tentativo di spazzare via definitivamente le colonie era stato fatto. La guerra contro i Francesi era stata concepita con continue azioni di guerriglia e con il blocco delle attività commerciali, ma a differenza di quanto la Lega aveva fatto con i nemici indiani, il suo potenziale militare non fu mai investito in una azione decisiva per distruggere gli insediamenti francesi. La Lega poteva a quel tempo mettere in campo una forza di molte migliaia di guerrieri provvisti di buone armi da fuoco, e avrebbe anche potuto contare sul supporto dei commercianti anglo-olandesi di Ft.Orange (Albany dal 1665); di fronte a tale forza, i Francesi non avevano che un centinaio di soldati, a cui si aggiungevano i coloni in età per combattere, molti dei quali anche esperti di guerra indiana, ma comunque in totale non più di poche centinaia di armati. Malgrado ciò il colpo di maglio che avrebbe potuto porre fine all’esperienza francese in America, non arrivò e le ragioni per spiegare ciò possono essere varie, di natura sia militare che politica. In generale tra gli indiani la possibilità di mettere insieme eserciti numerosi e per un lungo periodo, era difficile, e ancor più difficile era la determinazione ad impegnare una tale forza per i lunghi assedi a cui certo sarebbero stati obbligati, se avessero tentato di distruggere i principali insediamenti francesi. Ma a fianco a questa ragione militare, che attiene alla concezione della guerra tra gli indiani, certamente vi furono anche ragioni più politiche, legate alle diverse prospettive delle tribù della Lega. I più determinati nell’ostilità contro i Francesi, erano i Mohawk, spesso insieme ai loro vicini Oneida, la tribù che era impegnata in una guerra per il controllo della valle del San Lorenzo, ancor prima che i Francesi vi si stanziassero; in aggiunta i Mohawk erano anche i partners diretti dei commercianti olandesi e inglesi di Albany, che attraverso di loro commerciavano anche con le altre tribù Iroquois. I Mohawk quindi, più di ogni altra tribù della Lega, avevano maggiori ragioni di ostilità nei confronti dei Francesi, e al tempo stesso nessuna necessità di commerciare con loro. Per le altre tribù il conflitto con i Francesi, era in larga misura legato alla loro alleanza con i nemici indiani degli Iroquois, e quindi una volta sconfitte e scacciate le tribù nemiche, non escludevano la possibilità di stabilire, alle loro condizioni, rapporti pacifici anche con i Francesi, ospitando presso di loro mercati e missionari; non va dimenticato infatti, che a differenza dei mercanti olandesi e inglesi che attendevano ad Albany gli indiani per commerciare, i mercanti francesi erano usi visitare, o addirittura vivere presso gli indiani, un’abitudine che rendeva i rapporti molto più semplici e profittevoli. Di fatto le tribù della Lega, avevano una comune politica di espansione a danno delle altre tribù indiane, ma approcci diversi nei confronti dei Francesi e in generale degli Europei: i Mohawk, che sarebbero stati i più legati agli interessi inglesi, sostenendoli in tutti i conflitti coloniali, assunsero per questo un ruolo di leadership all’interno della Lega, senza però poter sempre coinvolgere le altre tribù nelle loro scelte; la Lega era infatti una alleanza di pace fra le cinque tribù, senza vincoli rispetto alle decisioni interne o di “politica estera”. Fu questo che permise alla Nouvelle France di sopravvivere in un conflitto che aveva distrutto intere tribù e spopolato una parte del continente; fu questo che infine permise alla Francia di uscire dal conflitto senza dover scontare una umiliazione. Le condizioni della Nouvelle France all’inizio degli anni ’60 del ‘600, erano comunque a dir poco contraddittorie: da un lato le prospettive di grandi guadagni di un commercio che potenzialmente si estendeva fino alle regioni interne del continente; dall’altra la realtà di una colonia assediata, isolata dai suoi alleati indiani costretti a fuggire all’ovest, ridotta territorialmente dopo che gli Inglesi nel 1654 si erano impossessati dell’Acadia, scarsamente attrattiva per una colonizzazione di massa, dato il clima rigido e la costante ostilità degli indiani, e infine sostanzialmente abbandonata dalla madrepatria, coinvolta nei conflitti europei e sconvolta dalla guerra civile interna.
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Fu in questo quadro che le ipotesi di abbandono della colonia iniziarono ad essere valutate, anche perché nel 1663 la “Compagnia dei 100 associati” che dal 1627 aveva il monopolio del commercio francese, fallì e fu sciolta. Con lo scioglimento della Compagnia dei 100 associati, la corona L’arrivo a Quebec del reggimento Carignac-Salieres di Francia riassunse la piena responsabilità dei possedimenti americani, e il ministro delle finanze Condorcet si convinse della possibilità che il ricco traffico di pellicce potesse rimpolpare le vuote casse statali; sulla base di tale convinzione, nel 1664 fu assunta la decisione di chiudere definitivamente il conflitto con la Lega che impediva i commerci, inviando oltre oceano un forte contingente militare. Il reparto scelto fu il reggimento Carignac-Salieres, composto da soldati professionisti piemontesi, liguri e savoiardi, che di recente i Savoia avevano venduto alla Francia, non potendolo più mantenere: il nome del reggimento viene da Tommaso Francesco di Savoia, principe di Carignano, che ne fu il fondatore e da Henry de Chatelard, marchese di Salieres che lo comandava. Il reggimento originario, i cui ranghi erano ridotti, fu rinforzato con circa 200 mercenari tedeschi, svizzeri e irlandesi, fino a comporre una forza di un migliaia di uomini, che tra l’inizio e la fine dell’estate del 1665 con diverse navi, raggiunsero la Nuova Francia, accolti dall’entusiasmo dei coloni, ma anche dalla preoccupazione dei missionari, visto che i nuovi arrivati non erano certo fedeli timorati di Dio. Il primo impegno dei militari, nell’autunno del 1665 fu quello di costruire una serie di fortini lungo il fiume Richelieu e fino al lago Champlain, sia per bloccare le spedizioni di guerra Iroquois, sia come base per portare gli attacchi nel cuore del territorio della Lega: Ft.St.Louis, Ft.St.Therese, Ft.St.Jean, erano lungo il fiume, Ft.St.Anne sulle sponde del lago Champlain; tutte queste fortificazioni furono abbandonate nel giro di pochi anni, ma Ft.St.Jean e Ft.St.Louis (noto come Ft.Chambly). saranno successivamente ricostruiti durante i conflitti con gli Inglesi del secolo successivo. Con l’arrivo di una tale forza militare, imponente nel contesto delle guerre indiane, che vedevano l’impegno abituale di piccoli contingenti, trattative furono riaperte con la Lega, che nel novembre del 1665 portarono alla pace con i Seneca, gli Onondaga e i Cayuga, che accettavano di ospitare missionari e mercanti; fuori dall’accordo rimanevano i Mohawk e i loro alleati Oneida, e contro di loro iniziarono i preparativi di guerra del governatore Daniel Remy de Courceilles. Nella convinzione di poter colpire i Mohawk quando meno se lo aspettavano, de Courceilles decise di partire per una campagna invernale nel gennaio del 1666, contro il parere del comandante del reggimento, il marchese de Salieres; gli uomini non erano adeguatamente forniti di abiti e scarpe adatti a sopportare il clima e mancavano anche delle necessarie racchette da neve, ma la spe- Fuciliere del reggimento Carignac-Salieres: dizione partì comunque il 30 gennaio, senza nemmeno attendere questo reggimento fu uno dei primi a l’arrivo delle guide indiane. Circa 500 soldati, 200 coloni volontari essere dotato di vere e proprie divise
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e un numero imprecisato di indiani alleati, vagarono per tre settimane nella regione tra il lago Champlain e il fiume Mohawk, perdendo la strada e molti uomini, a causa del freddo e della scarsità di cibo. Alla fine, ridotto ad una banda di disperati, il contingente raggiunse un villaggio Mohawk nelle vicinanze dell’insediamento anglo-olandese di Shenectady, sul fiume Mohawk, e senza preavviso lo attaccò brutalmente uccidendo due indiani e ferendone gravemente altri due, prima che altri Mohawk potessero intervenire nello scon- Bivacco di soldati francesi tro. A decidere però le sorti della battaglia fu il borgomastro di Shenectady, che giunto sul posto, informò i Francesi che si trovavano sul territorio inglese, e che avrebbe fatto intervenire la vicina guarnigione se essi non si fossero subito ritirati. Alla fine, ottenuti rifornimenti di cibo per il viaggio di ritorno, de Courceilles e i suoi soldati furono costretti ad un duro viaggio tra le terre innevate, per rientrare agli avamposti sul fiume Richelieu. La spedizione era costata la morte di circa 400 uomini, quasi tutti morti durante il viaggio per il freddo e la fame. Il grave insuccesso non fermò comunque la guerra e alla fine di settembre del 1666 una nuova spedizione partiva da Ft.St.Anne sul lago Champlain, al comando del marchese Alexandre de Prouville de Tracy. De Tracy partì con soli 120 soldati, più un certo numero di volontari e alleati indiani, con scarsi rifornimenti per viaggiare leggeri, e si muoveva in tre gruppi, con l’obbiettivo di cogliere di sorpresa gli indiani. Ancora una volta il maltempo e la fame crearono gravi problemi ai Francesi, ma questa volta la sorpresa riuscì almeno ad impedire ai Mohawk di organizzare una resistenza, obbligandoli ad abbandonare i villaggi all’arrivo del nemico. I Francesi si impossessarono così di quattro villaggi deserti, dove poterono rifornirsi di cibo e abiti, poi dopo averli distrutti, si diedero a razziare e bruciare i campi degli indiani, prima di fare ritorno sul San Lorenzo, senza aver combattuto alcuna battaglia. Il risultato della spedizione fu comunque considerato un successo, dato che fino ad allora solo Champlain nel 1615 aveva tentato un attacco contro i villaggi Iroquois, ed era stato sconfitto; gli uomini di de Tracy avevano anche elevato una croce nel territorio Mohawk, di cui rivendicavano la conquista, anche se mai tale rivendicazione ebbe seguito. Il reggimento Carignac-Salieres ripartì per l’Europa poco tempo dopo la fine della campagna, ma circa 400 soldati rimasero a rimpinguare l’esigua popolazione della colonia, ottenendo terre, qualche capo di bestiame, e addirittura mogli, le “figlie del re”, inviate oltreoceano da istituti religiosi dove erano accudite le giovani orfane, e a cui lo stesso re aveva messo a disposizione una piccola dote. Per i Mohawk il colpo subito era stato pesante e forse soprattutto inatteso: per la prima volta non erano loro a colpire i nemici, ma avevano subito un attacco che metteva a rischio la sicurezza dei villaggi. L’anno successivo, dopo cinque giorni di trattative, anche i Mohawk e glo Oneida si univano alle altre tribù della Lega in un accordo di pace, nel quale accettavano di ospitare mercanti e missionari, e di inviare in ostaggio alcuni giovani che avrebbero imparato a vivere con i Francesi. Lasciati da soli i Mohawk avevano preferito rinunciare ad uno scontro, in cui dopotutto poco o nulla avevano da guadagnare: ovviamente essi dovettero rinunciare ad ogni rivendicazione sulla valle del San Lorenzo. Con la pace tra i Francesi e la Lega, la 1° Guerra del Castoro si avviava alla conclusione; iniziata per l’ostilità che contrapponeva Iroquois e Francesi fin dal loro primo incontro, il conflitto si era alimentato per gli interessi commerciali delle altre potenze europee, e si era esteso a causa della rete di relazioni e alleanze che i Francesi avevano creato, ma il cuore dello scontro rimaneva il conflitto tra la Lega e i Francesi: con l’accordo tra i due contendenti, ognuno dei quali ormai convinto di non poter ottenere una vittoria definitiva, per quasi un ventennio la pace resse.
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La Lega aveva distrutto o scacciato a ovest tutti i nemici tribali, disponeva di immensi territori di caccia, e poteva commerciare tanto con i tradizionali alleati anglo-olandesi, quanto con i mercanti francesi che visitavano i villaggi; la cacciata dei Francesi non era mai stato un obbiettivo della guerra e l’accordo di pace del 1667, che non implicava alcuna concessione, ne politica, ne territoriale, era di fatto un pareggio nella lunga e sanguinosa partita che aveva sconvolto la regione; dopo l’accordo di pace gli Iroquois si stanziarono stabilmente anche sulle sponde settentrionali del lago Ontario, anche se l’occupazione dell’area non fu di lunga durata e nei decenni successivi i villaggi furono abbandonati per l’avanzare dei nemici Ojibway Mississauga. Dal canto loro i Francesi dovevano rinunciare ad ogni influenza sulle terre a sud della valle del San Lorenzo e nella valle dell’Ohio, ma potevano finalmente garantire la sicurezza della via del fiume Ottawa Le offensive del reggimento Carignac-Salieres del 1666 e dei traffici nelle regioni del nord, il vasto territorio del Canada dove le pellicce abbondavano e gli indiani erano loro alleati. A differenza di precedenti accordi di pace, questa volta la fine delle ostilità non riguardava solo i Francesi, ma anche le tribù loro alleate e questa era la prima necessità per la ripresa dei commerci. Quanto alla rinuncia alla valle dell’Ohio, era solo una momentanea necessità e presto gli intraprendenti Francesi avrebbero iniziato a visitare anche queste terre precluse, ponendo così le condizioni per la II Guerra del Castoro; per il momento comunque c’erano vasti territori in cui fare affari, e per gli affari la pace era necessaria. Nel 1667, alla fine di uno dei tanti conflitti tra le potenze europee, i Francesi poterono anche riprendersi l’Acadia e Ft.Pentagouet, di cui gli Inglesi si erano impossessati nel 1654 con un piccolo esercito di alcune centinaia di uomini; in queste terre essi potevano riprendere i rapporti con i tradizionali alleati Micmac, Malecite, Penobscot, presso i quali in quegli anni iniziò ad operare Jean Vincent d’Abbadie, barone di St.Castine, giunto anche lui con il reggimento Carignac-Salieres, un soldato che sarebbe divenuto protagonista dei successivi conflitti con gli Inglesi, divenendo anche capo della tribù dei Penobscot. La pace del 1667 non pose fine a tutti i confitti tribali e sul confine orientale delle terra della Lega, la guerra continuò senza interruzione almeno fino all’inizio degli anni ‘70. Dopo che alla metà degli anni ’60 i Pocuntuk erano stati sconfitti e cacciati dalle loro terre e costretti a cercare rifugio tra i vicini Nipmuc, Pennacook e Sokoki, gli scambi di raids e scorrerie fra Mohawk e tribù Algonquian del New England continuarono, senza che i Francesi, che erano in pace con i Mohawk, potessero far nulla per fermare gli attacchi ai loro alleati. I Sokoki, i Pennacook, i Mahican, fino agli Abnaki e ai lontani Penobscot, senza escludere neanche i Massacchusset e altri “praying indians”, che vivevano a ridosso e sotto la protezione delle colonie inglesi, tutti erano obbligati a difendersi dai Mohawk e dai loro alleati Oneida. Tra il 1667 e il 1668 i Pennacook erano costretti ad abbandonare le loro terre e spostarsi a nord, per cercare rifugio tra gli Abnaki; ancora nel 1668, una spedizione di guerrieri Sokoki, Mahican e Abnaki, fu massacrata dai Mohawk sulla via del ritorno da una incursione; l’anno successivo un capo Massacchusset tentò di vendicarsi per gli attacchi subiti, ma dopo un’inutile assedio ad un villaggio Iroquois, anche lui e i suoi uomini furono massacrati sulla via del ritorno; prima del 1670 anche i Sokoki erano obbligati a spostarsi a nord e a ovest, e come i Pennacook trovarono ospitalità fra gli Abnaki, rafforzando i loro
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rapporti con i Francesi. Nel 1671 i Mahican, che si erano ritirati sull’alto corso dell’Hausatonic, raccogliendo anche piccole comunità di Mattabisec e Wappinger, furono indotti dagli Inglesi a stipulare una pace con i Mohawk, che di fatto era una resa. I Munsee della valle dell’Hudson che si erano ribellati agli Olandesi nel 1659 e nel 1664, subirono per questo la punizione dei Mohawk e dei Seneca, venendo sottomessi e obbligati a rinunciare alle loro terre. Lontani dalle colonie francesi e senza alcuna supporto dagli Inglesi, ai Mahican e ai Munsee non rimase che divenire i primi membri di quell’alleanza diseguale tra la Lega e le tribù sottomesse, che più tardi sarà nota come Convenant Chain. Dei tanti conflitti tribali di cui la 1° Guerra del Castoro si compone, quello tra Iroquois e Susquehannock era certo il meno determinato dai rapporti tra la Lega e i Francesi; era un conflitto iniziato molto prima dell’arrivo dei bianchi e continuò indipendentemente dal trattato di pace con la Francia. Dopo l’accordo del 1655 i Mohawk e gli Oneida, impegnati a combattere contro le tribù Algonquian a nord, avevano definitivamente rinunciato a combattere i Susquehannock, ma i Seneca, gli Onondaga e i Cayuga continuavano a portare i loro attacchi. I Susquehannock resistevano sostenuti dagli alleati Unaimi e dagli Honiassont, e riforniti dagli Inglesi del Maryland, che temevano le incursioni dei guerrieri della Lega; poi nel 1667 l’ennesima epidemia colpì la tribù che due anni dopo si trovò a non avere più di 300 guerrieri da opporre al nemico. In queste condizioni ai Susquehannock non rimaneva che fare ciò che non avevano mai fatto: inviare una delegazione e chiedere di concordare una pace onorevole; la risposta degli Iroquois fu spietata: tutti i membri della delegazione vennero torturati e quindi uccisi. La guerra continuò fino al 1675, quando i pochi Susquehannock superstiti si rifugiarono a sud, lungo il fiume Potomac, dove il governatore del Maryland aveva permesso loro di stabilirsi in cambio dell’impegno alla difesa contro i raids degli Iroquois. Sulle loro terre abbandonate lungo il fiume Susquehanna, si spostarono gli Unaimi che pressati dall’avanzare dei coloni inglesi nella valle del Delaware, avevano accettato di sottomettersi alla Lega e ottenuto il permesso di stabilirsi in quelle terre; degli Honiassont non si hanno più notizie, ma forse gli ultimi superstiti si unirono ai Susquehannock. Con la definitiva sconfitta dei Susquehannock, la 1° Guerra del Castoro può dirsi effettivamente conclusa e la Lega l’aveva vinta: essa era ormai una potenza indiscussa, in grado di trattare alla pari tanto con i Francesi che con gli Inglesi, dominatrice di un territorio vastissimo e delle vicine tribù, i Mahican e i Lenape (Munsee e Unaimi), che costituirono il fulcro del “Convenant chain”; nel secolo successivo la Lega sarà l’ago della bilancia nei conflitti coloniali, e il commercio nel vasto e spopolato territorio su cui essa esercitava le sue pretese, una delle principali ragioni di tali conflitti.
La geopolitica americana dopo la I Guerra del Castoro
La spedizione del reggimento Carignac-Salieres è l’evento che fa da spartiacque nelle Guerre del Castoro, dato che nell’ultrasecolare conflitto tra Francesi e Iroquois, dopo di essa fu stabilita una pace che resse per ben tredici anni, un periodo incredibilmente lungo, almeno rispetto agli standard dei rapporti fra bianchi e indiani; eppure tale spedizione non si poteva certo dire una vittoria militare: la ritirata di de Courceilles di fronte alla minaccia di intervento della guarnigione inglese, dopo il tentativo di attacco ad un villaggio Mohawk, con l’umiliante sostegno dei suoi stessi avversari, che gli garantivano viveri per il ritorno; la distruzione di quattro villaggi e dei campi abbandonati, compiuta da de Tracy qualche mese dopo; questi erano i risultati e per questi limitati risultati, i Francesi avevano pagato un durissimo prezzo, con la morte di centinaia di soldati di fame e di freddo, durante il duro viaggio in terre selvagge e inesplorate. Comunque per i Mohawk e gli Oneida il piccolo scacco subito era stato sufficiente, e alle altre tribù della Lega, era bastato sapere del contingente militare appena arrivato e della minaccia di invasione, per giungere ad un accordo che ponesse fine al conflitto: evidentemente, dopo decenni di guerra anche la Lega era vicina all’esaurimento. E se le spedizioni di guerra erano parte della ordinaria vita tribale, gli Iroquois avevano nemici indiani a sufficienza e potevano evitarsi un inutile confronto con i Francesi. La Lega aveva vinto e tutte le contraddizioni che avevano portato al conflitto, avevano per il momento, trovato soluzione: gli antichi nemici tribali all’est, i Mahican, i Sokoki e le altre tribù Algonquin del New England, così come i Susquehannock a sud, erano stati sconfitti, sottomessi o scacciati, e una guerra iniziata ancor prima dell’arrivo dei bianchi, era vinta; il monopolio del commercio delle pellicce con gli Olandesi e gli Inglesi era saldamente nelle loro mani, e in più potevano anche commerciare con i Francesi, che dopo anni di guerre cercavano di ottenere la loro amicizia; infine, la principale causa della
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guerra, la necessità di ricchi territori di caccia per sostenere la richiesta di pelli pregiate, era stata risolta e tutto il territorio a sud dei Grandi Laghi e a est del Mississipi, era solo una immensa e spopolata riserva di caccia della Lega. Rispettata e temuta da tutti la Lega si arrogava il diritto di parlare a nome delle tribù sottomesse, i Mahican e i Lenape, a cui presto si sarebbero aggiunti i profughi di altre piccole tribù Algonquian, i Mattabisec, i Metoac, i Wappinger, i Piscataway, i Nanticoke, che davanti all’avanzare dei coloni inglesi, cercavano rifugio nell’interno nelle terre controllate dalla Lega; e se i guerrieri Iroquois volevano ancora dar prova del loro valore e fare un ricco bottino, spedizioni di guerra venivano lanciate per colpire a centinaia di chilometri di distanza, a sud nella terra dei Cherokee, o a est degli Appalachee, contro le tribù Siouan, i Tutelo, i Saponi, i Monacan, fino ai lontani Catawba della Carolina, senza curarsi del fatto che tali tribù vivessero in terre controllate dagli Inglesi. A fronte di questo indiscusso successo la Lega s’era dovuta adattare alla rinuncia a disturbare i traffici francesi a nord, in Canada e ad attaccare gli alleati della Francia a ovest, nelle lontane terre oltre il lago Michigan; ancora nel 1671 i Seneca inviarono i loro guerrieri nella regione di Mackinack, per distruggere la missione di Saint Ignace, dove il gesuita padre Marquette aveva raccolto i Wyandot e gli Ottawa cristiani, ma questo fu l’ultimo tentativo per limitare l’azione dei Francesi e dei loro alleati nelle terre del nord. L’altra concessione che la Lega fece ai Francesi, fu l’accoglienza di missionari gesuiti nei loro villaggi, forse anche per venire incontro alle richieste dei tanti Iroquois adottati, che erano stati convertiti prima che la loro tribù fosse sconfitta e sottomessa; i gesuiti continuarono ad operare per oltre dieci anni tra gli Iroquois, con scarsi risultati, ma facendo leva tra la minoranza cristiana, per costruire una fazione filo-francese. Diversamente le cose andarono tra i Mohawk, dove l’ostilità nei confronti dei gesuiti era tale, da indurli a convincere i Mohawk cattolici ad abbandonare la loro terra, e trasferirsi nelle vicinanze di Montreal, costruendo una comunità autonoma, i Caughnawaga, dal nome del loro villaggio di provenienza, che pur non interrompendo del tutto i rapporti con la Lega, fu sempre schierata al fianco dei Francesi. Con la fine della guerra villaggi Iroquois sorsero lungo la sponda settentrionale del lago Ontario, mentre altre comunità si spostarono a sud, lungo la sponda meridionale del lago Erie, fino a raggiungere l’alto corso del fiume Ohio; si trattava spesso di interi gruppi adottati dalle tribù Huron, Tionontati, Neutrali o Erie, originari di quelle terre, che ora ritornavano ad occupare. L’occupazione a nord del fiume Ontario fu di breve durata, dato che dall’inizio del ‘700 gli Ojibway Misissauga cacciarono gli Iroquois dalla regione, ma la colonizzazione Iroquois a sud, diede vita ad una nuova entità tribale, conosciuta come Mingo, la parola Algonquian che indicava tutti i popoli Iroquaian, formalmente parte dei Seneca, ma che nel corso degli anni avrebbe assunto posizioni autonome dalla Lega. La Lega con la pace del 1667 sostanzialmente stabilizzava i risultati ottenuti con decenni di conflitti e cercava di uscire da una fase in cui ogni risorsa tribale era stata destinata alla guerra e all’espansione territoriale; per i Francesi invece la fine della guerra significava l’apertura di immense prospettive commerciali e di inimmaginabili rivendicazioni territoriali. Cercando di mantenere i rapporti con i loro partners commerciali in fuga, i Francesi si erano spinti nelle regioni dell’interno, dove mai un uomo bianco era arrivato, e lì avevano portato le loro merci e fatto i loro scambi, avuto notizie sulle terre che si estendevano ancora più a ovest e conosciuto terre in cui le pelli abbondavano e la caccia a scopo commerciale ancora non aveva provocato i suo guasti. Ma ogni iniziativa all’ovest era frenata dalla minaccia Iroquois, che non solo ostacolava i traffici, ma minacciava direttamente le basi stesse dei commerci, lungo il San Lorenzo; così le notizie sulle terre dell’ovest, per quanto entusiasmanti, non bastavano a produrre decisioni conseguenti. Oltre i viaggi di Jean Nicolet, e quelli di Radisson e Groselieres, notizie da quelle terre giungevano quasi ogni anno con i convogli di pelli dei Wyandot, degli Ottawa, degli Ojibway, che sfidando l’ostilità della Lega, discendevano il fiume Ottawa per commerciare a Montreal; nel 1665, prima ancora che la pace con gli Iroquois rendesse sicuro il viaggio, un mercante di nome Nicolas Perrot, accompagnò gli indiani nel loro viaggio di ritorno, e dopo aver superato un agguato degli Iroquois, raggiunse Green Bay dove si fermò per l’inverno a commerciare con i Potawatomi, rifornendoli di armi di metallo e guadagnandosi il nome di “uomo del ferro”; Perrot non era un esperto coureur des bois vissuto fra gli indiani come Radisson, ma un giovane istruito e di buona famiglia, che per ragioni economiche si era posto al servizio dei gesuiti e nel 1660 li aveva accompagnati nella Nouvelle France; malgrado ciò in pochi anni egli imparò ciò che c’era da imparare, divenendo poi uno dei protagonisti dell’espansione francese all’ovest, anche per la sua capacità di trattare con gli indiani. Malgrado il successo di Perrot con gli indiani, qualcosa non dovette funzionare e i risultati economici di questo primo viaggio furono deludenti, ma nel luglio del 1667, trovati alcuni soci a Montreal, egli ri-
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tentò l’impresa e insieme a sei altri Francesi e al gesuita Jean-Claude Allouez, rifece il viaggio fino a Green Bay , rimanendo nella regione per due anni; padre Allouez, la cui missione era prendere contatti con le comunità di Ottawa e Wyandot cristiani, da Green Bay continuò a viaggiare via terra fino a raggiungere la baia di Chequamegon, sulla sponda meridionale del lago Superiore. Nei due anni successivi, tanto il mercante che il missionario si resero conto che fare affari o ottenere conversioni non sarebbe stato facile fin quando nella regione non ci fosse stata la pace tra le tribù; molti dei popoli che avevano trovato rifugio nelle terre tra il lago Michigan e il Superiore, erano abituate a vivere di agricoltura e i terreni agricoli scarseggiavano, la caccia per l’alimentazione aveva in breve ridotto la quantità delle grosse prede, e anche le migliori località per la pesca erano contese; la fame quindi colpiva spesso le comunità, così come le malattie: la competizione, alimentata dalla miseria e dalla frustrazione, si trasformava spesso in guerra. Il commercio stesso produceva fazioni e rivalità, sia per il controllo dei territori di caccia, sia per gli interessi delle tribù intermediarie, gli Ottawa e i Wyandot , rispetto a quelle che si limitavano a cacciare le prede; la guerra era quindi condizione endemica tra le diverse comunità, e tutte insieme le tribù della regione, cercavano risorse ancora più a ovest, nelle terre dei Dakota, con cui il conflitto era costante. Le tribù erano poi divise, frammentate e mescolate, in una località in cui c’erano risorse per vivere si ritrovavano comunità e famiglie di lingua diversa, non sempre in rapporti amichevoli, e mancava quindi la possibilità di produrre leadership tribali condivise ed autorevoli. Malgrado questa difficile condizione tanto Perrot che Allouez riuscirono a farsi accettare dagli indiani, operando per ristabilire pacifiche relazioni; i Potawatomi, che a Green Bay erano già stati in rapporti commerciali con Perrot, non vedevano di buon occhio i suoi tentativi di coinvolgere le altre tribù, ma alla fine dovettero accettare di rinunciare ad un ruolo di preminenza. Perrot tornò a Montreal nel 1669, e malgrado i suoi risultati diplomatici, importantissimi per gli interessi francesi, nemmeno questo viaggio lo arricchì. Quello stesso anno un altro gesuita giunse all’ovest, padre Jacques Marquette, che convinse i Wyandot e gli Ottawa a lasciare la baia di Chequamegon, che era nel raggio d’azione delle spedizioni di guerra dei Dakota, per tornare all’est nella regione di Mackinack, considerata ormai sicura, dove egli edificò per loro la missione di Saint Ignace; Marquette era stato ottimista e nel 1671 i Seneca ancora una volta tornarono nella regione e distrussero la missione, ma comunque essa fu ricostruita e gli Ottawa e i Wyandot, lì rimasero. Perrot tornò ancora a ovest nel settembre 1670, scelto come interprete dal rappresentante del governo
Le pretese territoriali francesi e i territori sotto effettivo controllo inglese alla fine della 1° Guerra del Castoro
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francese Talon, per accompagnare il suo emissario Simon-Francois Daumont de Saint Lusson, a prendere formalmente possesso di tutte le terre del lago Superiore, e di quelle a ovest verso il grande fiume che avrebbe dovuto portare al mar della Cina; oltre alle pelli e alla via della Cina, l’obbiettivo era anche quello di trovare le miniere di rame, la cui esistenza era dimostrata dai manufatti indiani in questo materiale, tutti provenienti da questa regione. Questa volta Perrot visitò tutte le tribù intorno al lago Superiore, per convincerle a partecipare ad un grande consiglio di pace da tenersi a Sault Saint Marie; il consiglio si tenne nel giugno del 1671, alla presenza di migliaia di indiani di quattordici diverse tribù, quasi certamente tutte le tribù della regione, ad esclusione forse dei Dakota, e Daumont dopo aver elevato una grande croce, rivendicò al re di Francia tutte le terre ignote dell’ovest. Per gli indiani il preteso dominio del re di Francia era ovviamente una cosa priva di senso, ma è certo che nella condizione di povertà e divisioni in cui si trovavano, l’arrivo di un soggetto forte, in grado di garantire a tutti un ricco commercio e di mediare fra le tribù rivali, fu certo considerata una opportunità positiva, e se come i fatti dimostreranno qualche anno dopo, qualcuno dei presenti era poco convinto, nessuno lo diede a vedere. Il consiglio di Sault St.Marie del 1671 fu il primo momento in cui una grande coalizione di tribù indiane, stabilì formalmente la sua alleanza, non solo commerciale, ma anche politica e militare con la Francia, e il merito di tale successo fu tutto di Nicolas Perrot e della sua abilità diplomatica; dopo questa vicenda egli tornerà a Montreal vivendo abbastanza oscuramente per più di dieci anni, fin quando gravi eventi, non lo richiameranno di nuovo all’ovest. Il consiglio del 1671 non fu un vantaggio solo per i Francesi che si garantivano le migliori condizioni per il commercio nelle terre dell’ovest, ma anche per le tribù indiane che cessavano le guerre interne e non erano più soggetti alle aggressioni di più potenti nemici esterni; l’attacco dei Seneca alla missione di Sain Ignace del 1671, fu l’ultima spedizione di guerra Iroquois nella regione. Al contrario dalla zona di Mackinack, i Wyandot e gli Ottawa, accompagnati dagli Ojibway e dai Potawatomi e sostenuti dai Francesi, iniziarono a infiltrarsi nella penisola del Michigan, rioccupandola prima della fine del secolo. Stessa cosa accadeva più a nord, dove i Nipissing ritornavano ad occupare le sponde del lago omonimo, mentre gli Ojibway Mississauga avanzavano lungo la sponda settentrionale del lago Huron, fino a raggiungere all’inizio del ‘700 il lago Ontario; infine gli Algonquin, non più minacciati dagli Iroquois, ritornarono nelle loro terre lungo il fiume Ottawa. A ovest invece i Fox e gli Ojibway, ormai adeguatamente riforniti di armi di metallo, continuavano a premere verso le terre dei Dakota, combattendo una guerra che sarebbe durata altri due secoli. La pace poi era stata particolarmente utile per i Winnebago, la tribù Siouan originaria della regione, che aveva visto le sue terre invase dai profughi Algonquian e isolata e circondata da popoli ostili, rischiava la distruzione; inseriti nell’alleanza filo-francese, anch’essi poterono evitare di scomparire. La fine della I Guerra del castoro per la prima volta nella storia del Nord America, produceva di fatto una geopolitica del continente, caratterizzata dal formarsi di due blocchi di interessi e da due alleanze, quella dei Francesi e delle tribù loro alleate, per lo più di lingua Algonquian e quella che aveva il suo centro nella Lega Iroquois, ma che poteva contare sul sostegno degli Inglesi. Di fatto la rivalità tra Francia e Inghilterra, che durante la I Guerra del castoro, fu solo un elemento di contesto, in un conflitto di cui furono protagoniste le tribù indiane e la Lega Iroquois in particolare, dopo questa vicenda, diverrà la chiave di lettura di gran parte della storia degli indiani nel secolo successivo, coinvolti in ben quattro conflitti, tra la fine del ‘600 e la seconda metà del ‘700. La Francia, che con un pugno di coloni e soldati e qualche mercante e missionario pronti a spingersi fin oltre il limite delle terre conosciute, vantava il dominio su gran parte del continente, dal Canada orientale fino al corso del Mississipi, ma in questo immenso territorio il suo principale, se non l’unico interesse, erano le pelli di castoro, che alimentavano il commercio che era l’unica attività economica del paese. Il suo dominio si traduceva di fatto nel solo diritto al commercio, portando le loro merci e il loro Dio, fino alle tribù più remote, dove un’ascia o una coperta, erano accolti con meraviglia e pagate a caro prezzo. L’Inghilterra che dominava una stretta striscia di terra tra i monti Appalache e l’Atlantico, dove però i coloni si assiepavano a migliaia, costruivano un tessuto economico ricco e variegato, tra grandi piantagioni, attività artigiane e manifatturiere, liberi coloni con i loro poderi e le loro fattorie, ed un commercio, che seppur meno esteso di quello francese, aveva la sua forza nell’essere parte di un più complesso tessuto economico, in grado di garantire merci di miglior qualità e a prezzo più basso. Il mercante inglese, non aveva bisogno di viaggiare su canoe indiane in terre sconosciute, ma attendeva ad Albany che le pelli arrivassero con i guerrieri della Lega, pagati con buoni fucili e merci in abbondanza. Per questa ragione, la qualità e il prezzo dei prodotti, i Francesi malgrado la pace, non riusciranno mai a inserire la Lega nel loro sistema di relazioni economiche; la Lega che aveva cacciata interi popoli dalle loro terre e
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se ne era appropriata, rimaneva legata agli interessi inglesi. E gli Inglesi, che erano rimasti alla finestra durante il grande dramma della I Guerra del castoro, presto avrebbero presentato il conto per il loro sostegno. Il grande conflitto intertribale prodotto dal commercio dei bianchi, da cui la Lega era emersa vincitrice, poneva le basi per lo scontro diretto tra le potenze europee; uno scontro di cui le tribĂš indiane sarebbero state le pedine.