Storia dei Nativi del Nord America Volume I

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ALL’INIZIO FU DARKWOOD... All’inizio fu Darkwood, la terra di foreste e paludi, dove vivevano tribù guerriere dai nomi musicali e affascinanti: Cayuga, Oneida, Mohawk, Delaware, Wyandot, Winnebago, Kikapoo e tante altre ancora, con i loro villaggi di wigwams indicati sulle semplici ma suggestive mappe disegnate da Gallieno Ferri. Tra i mille possibili “West”, che al tempo della mia infanzia, la fine degli anni ‘60, venivano offerti da una gran varietà di fumetti e pellicole, quello di Darkwood era in qualche modo unico e peculiare poiché ribaltava completamente la prospettiva sulla Frontiera: non più osservata come il luogo più avanzato raggiunto dall’uomo bianco, ma come il punto di partenza per un mondo sconosciuto, abitato da genti misteriose e pittoresche. A quel tempo, gli anni ‘60, il West era una cosa seria, un luogo del mito, forse il più importante, intorno a cui girava l’industria cinematografica e l’editoria, e soprattutto era la principale palestra in cui un bambino o un adolescente poteva dar sfogo alla propria fantasia, allenare l’immaginazione, misurare i propri valori. A quell’epoca era finito il tempo dei miti coloniali che per decenni avevano alimentato la produzione di romanzi, fumetti e film d’avventura, l’Africa misteriosa di Tarzan, si era trasformata in quella ben più cruda e reale, della fame e dei movimenti di liberazione nazionale, il romantico legionario Beau Jest, era passato dai solitari avamposti del Sahara, alle bombe e alle torture della battaglia d’Algeri, mentre nell’oriente lontano, Sandokan e Tremal Naik avevano dovuto lasciare il posto al generale Giap e a Ho-Chi-Min. Il telegiornale, che in quegli anni era ormai in ogni casa, distruggeva con l’attualità ogni residuo romanticismo, e per la produzione d’avventura di tipo classico iniziava una crisi inesorabile. Per fortuna c’era il “West”. A quel tempo, avevo solo nove anni e non sapevo che il “West” rappresentava la trasposizione in forma spettacolare e industriale, della più avanzata ideologia espressa dagli Stati Uniti, quella della Frontiera, una concezione individualistica, progressista, democratica e popolare, prodotta dall’incontro tra le forze più vitali dell’emigrazione europea con le opportunità di un continente ricchissimo e sconosciuto. A quel tempo non sapevo che tutte le belle cose che venivano dall’America (oltre al West c’era Walt Disney, la Coca Cola, Stanlio e Ollio, e soprattutto l’Harley Davidson Electra Glide 1.200, parcheggiata davanti all’officina vicino a casa), erano giunte insieme al Piano Marshall, al Patto Atlantico, e ad altre cose che avrei approfondito meglio negli anni a venire. A quel tempo nemmeno sapevo che questa bellissima idea della Frontiera, aveva un suo limite, consistente nel fatto che non teneva conto che il continente ricchissimo e sconosciuto, era anche abitato, e che ciò fu causa di notevoli drammi. Dato che non sapevo tante cose, a quell’epoca mi limitavo a seguire la mia fantasia nelle corse dei cavalli, a immaginare il Gran Canion, e a cercare di attenermi ad un codice di comportamento di cui anche Blek Macigno sarebbe stato pienamente soddisfatto. Per questo il West era una cosa seria. Il West divenne una cosa ancor più seria il giorno in cui conobbi Darkwood, ed ebbi così la possibilità di guardare il misterioso “territorio indiano”, non più di sfuggita, correndo inseguito dai Comanche, o peg-


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gio legato al palo della tortura, ma dall’interno, ospite di Zagor-te-nay, lo Spirito con la Scure, e del suo amico Cico Felipe Cayetano y Lopez Martinez y Gonzales ecc… nella capanna al centro della palude, oppure visitando il villaggio di Tonka il capo dei Mohawk, vedendo le squaw occupate nel lavoro quotidiano, seguendo i cacciatori impegnati a procacciare il cibo per le loro famiglie, accompagnando Zagor nelle sue periodiche visite ai capi delle tribù di Darkwood. C’era un mondo da scoprire. Il “territorio indiano”, nel cinema e nei fumetti western del tempo, era una terra da conquistare (e in qualche modo violentare) , o un luogo da attraversare (dove l’eroe da prova del suo coraggio e delle sue capacità), ed esisteva in funzione del soggetto esterno che con esso si misurava, sia che si trattasse dell’emigrante in viaggio con il suo “conestoga”, del fuorilegge in fuga, o dello sceriffo che lo inseguiva. Sorta di inquietante parentesi tra una città di frontiera e un forte militare, i luoghi civili dove l’eroe del west ripropone il proprio mondo, i propri valori, e soprattutto le proprie certezze, il “territorio indiano”, con la sua totale alterità, non ha ragion d’essere, se non dal punto di vista dell’uomo bianco, che lo crea, delimitandolo. In questo territorio, l’indiano che lo abitava, viveva perennemente in agguato, implacabilmente concentrato nell’unico fine per cui era stato concepito dall’uomo bianco, e cioè combattere ed essere sconfitto. Al pari delle nevi dell’Alaska e del sole dell’Arizona, del terribile grizzly e del poderoso bisonte, l’indiano era un elemento, seppur il più importante, dell’ambiente ostile in cui l’uomo bianco avanzava, portando civiltà e buoni sentimenti; che avesse una propria esistenza e identità autonoma, non era cosa prevista, ne dalla sceneggiatura ne dalla storia. Così andavano le cose negli anni ‘60. A Darkwood era tutto l’opposto, l’indiano era il protagonista vero, l’uomo bianco un comprimario, spesso un elemento di disturbo, losco trafficante di wkisky, scienziato folle, o addirittura capo di mercenari razzisti e fascisteggianti; lo stesso Zagor, pur essendo un bianco, viveva come un indiano, usava un tomahawk di pietra, portava una colorata casacca con un simbolo indiano ed era a disagio nei saloon e nelle città di frontiera, tra la gente della sua razza. L’idea della Frontiera si ribalta, la terra degli indiani, non più ostile e feroce, è il luogo di una pace bucolica, turbata periodicamente dall’influsso della civiltà dei bianchi, assetati di profitto e privi di scrupoli. Cambia il sistema di valori, i bravi coloni devono stare al loro posto, al margine di Darkwood, senza farsi venire in mente epiche avanzate nelle terre selvagge, che tali devono rimanere; i militari, non a caso appiedati, vivono una vita da tranquilli marmittoni nei forti di frontiera, lasciando a Zagor l’onore e l’onere di vigilare sulla pace e la sicurezza di indiani e coloni. Finalmente non più assillato dal timore dell’indiano in agguato o dal sacro fuoco della conquista, a Darkwood si può essere curiosi degli usi della gente che ci vive, della natura bellissima e incontaminata, si possono fare lunghe camminate incontrando trapper e villaggi indiani, iniziando un bambino al piacere di conoscere, piuttosto che a quello di vincere e dominare. Fu così che a Darkwood conobbi gli indiani. A dieci anni ero alto abbastanza da raggiungere lo scaffale della libreria su cui troneggiavano i pesanti volumi dell’Enciclopedia, la summa del sapere, a cui fino a quel momento avevo avuto accesso solo per seri motivi didattici; non ricordo come accadde che presi la decisione di sottoporre il mondo di Darkwood alla


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Attivisti dell’American Indian Movement, durante l’ssedio della vecchia missione Wounded Knee, occupata nel 1973

terribile verifica dell’Enciclopedia, ma ricordo la delusione che provai quando cercando “Algonchini”, trovai più informazioni su un’era geologica del Nord-America, che su un popolo con la sua cultura e la sua storia. Di fronte al dilemma tra l’incompletezza dell’Enciclopedia e l’irrilevanza del mondo di Darkwood, non ebbi comunque esitazioni; da allora, la ricerca della verità del mondo di Darkwood, divenne qualcosa tra l’hobby e la mania: compilato un primo elenco di nomi tribali, ricavato spulciando la mia collezione di Zagor, Tex e Comandante Mark, cominciai a cercarne notizie sull’Enciclopedia di casa, poi alla biblioteca comunale dove i 45 volumi della Treccani sembravano in grado di darmi ogni risposta. Alle volte la ricerca era totalmente infruttuosa, altre volte in tre righe si chiudeva la pratica di un popolo che io sapevo doveva aver vissuto una storia avventurosa e interessante. Scosso nella mia fiducia nell’Enciclopedia e in generale nella cultura dei libri, risolsi il problema con serenità: se un libro che raccontava la storia e la vita degli indiani d’America ancora non c’era, ebbene l’avrei scritto io. Il primo tentativo di scrivere la Storia di tutte le tribù indiane d’America fu da me compiuto nell’autunno del 1971, a casa di mia zia Giuseppina, approfittando della macchina da scrivere di mio cugino Tonino che studiava ragioneria: con metodo e fiducia iniziai dalla prima voce,“Abnaki”, sapendo che sarei dovuto arrivare a a “Zuni”. Negli anni a venire il West e gli indiani vissero una rinnovata e breve stagione di popolarità: la nuova cinematografia americana, scossa dal dramma della guerra in Vietnam, cominciò a guardare alla conquista del West in termini più critici, mentre comparivano grandi film come “Un uomo chiamato Cavallo”, o “Corvo Rosso non avrai il mio scalpo”, in cui l’indiano e il suo mondo erano i veri protagonisti. Nel campo del fumetto incontravo finalmente la Storia del West di Gino D’Antonio, poi i Protagonisti di Albertarelli, coniugando l’avventura con la conoscenza storica, che era ormai il mio interesse principale. In quel periodo lessi un racconto intitolato “Castoro Zoppo”, che narrava la vita di un guerriero Cheyenne negli anni immediatamente precedenti il contatto con i bianchi: era bellissimo, c’erano solo gli indiani e il loro mondo, non ancora corrotto dalla “civiltà”. Nel 1973 anche il telegiornale, con le sue immagini in bianco e nero, dovette arrendersi all’evidenza: il mondo di Darkwood esisteva, lo testimoniavano quelle decine di indiani assediati a Wounded Knee, pronti a difendersi armi alla mano, contro i nemici di sempre. Intanto io continuavo a cercare notizie, raccoglievo informazioni, compilavo elenchi di nomi tribali e leggevo ogni libro sull’argomento che mi capitava a tiro, anche se non sempre avevo i soldi per acquistarli (alcune opere delle edizioni Cepim, pubblicizzate su Tex e Zagor, rimasero un sogno negato).


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Appena iscritto alle superiori fui coinvolto nel Movimento Studentesco, ma non abbandonai mai l’interesse per le mie ricerche, anzi nel 1976 mi impegnai con molta buona volontà in un primo riordino di tutte le informazioni raccolte. L’anno successivo le piazze di Roma e Bologna videro centinaia di giovani col viso dipinto, con colori di guerra e di festa, e fu bello e terribile; gli indiani erano giunti nella metropoli, ma il loro urlo di guerra fu coperto dagli spari delle P38. Quello stesso anno, sul quotidiano del gruppo extraparlamentare in cui militavo, lessi la recensione di un nuovo fumetto western: era Ken Parker. L’interesse per la storia e la cultura degli indiani d’America orientò la mia scelta universitaria, prematuramente interrotta per motivi economici, verso i corsi di etnologia e antropologia, ma il mancato raggiungimento della laurea consegnò per lungo tempo il progetto del mio Grande Libro sugli Indiani d’America, al cassetto dei sogni dell’infanzia. Comunque nè le vicende della vita, nè gli impegni politici e professionali, mi allontanarono mai del tutto dalla mia grande passione, e pur con lunghe interruzioni, il lavoro di documentazione e raccolta di informazioni continuò negli anni a venire. Finalmente alla soglia dei quarant’anni, approfittando delle opportunità offerte dalle tecniche informatiche e da internet, mi decisi a riprendere il progetto concepito da bambino. Nel frattempo molte cose sono cambiate: il West ha cessato di essere la principale fonte per storie d’avventura e d’evasione, e bambini ed adolescenti si entusiasmano per ben altri soggetti, dal genere Fantasy ai videogiochi più violenti, dalle storie d’azione stracolme di effetti speciali, agli horror più truculenti e improbabili. Tex e Zagor continuano a far vivere la Frontiera, ma ho l’impressione che il loro pubblico sia ormai composto in buona misura da adulti nostalgici e appassionati, piuttosto che da adolescenti in cerca di miti con cui identificarsi. Al cinema ogni tanto compare qualche western di buona qualità, quasi un omaggio dovuto da registi affermati, ad un genere che li ha fatti sognare da bambini. Eppure la Frontiera, e soprattutto la storia degli indiani, è ancora piena di belle storie, vere e ancora da narrare: fatti e personaggi minori o comunque meno noti, che ancora potrebbero riempire le pagine di fumetti e romanzi, e forse anche le sale cinematografiche. Dopo la riabilitazione politica degli indiani, avvenuta nel corso degli anni ‘70, una quantità di pubblicazioni, serie e rigorose, hanno offerto agli appassionati la possibilità di conoscere i momenti più importanti e suggestivi della loro storia, gli aspetti più caratteristici e pittoreschi della loro cultura. Ancora più di recente le mode New Age ci hanno proposto un nuovo modello di indiano, ambientalista ante-litteram, armoniosamente inserito nella natura, tendenzialmente pacifico se non addirittura pacifista, tralasciando la cruda realtà di guerre tribali e massacri di selvaggina, che videro l’indiano come vittima, ma anche complice, nell’infernale meccanismo del commercio introdotto dall’uomo bianco. L’indiano ambientalista di questi ultimi anni, chiude il cerchio aperto dall’indiano massacratore di donne e bambini, e passato attraverso l’indiano eroico combattente per la libertà della propria gente; a nessun popolo è toccato rappresentare i timori e le aspirazioni dei propri dominatori, come all’indiano d’America: non so se questa sia stata una fortuna o una disgrazia. Ciò che è certo è che dell’indiano è già stato detto tutto e anche il suo contrario, ed è quindi giusto chiedersi se c’è necessità di un’altra storia degli indiani d’America. E’ questo un dubbio irrisolto che mi accompagna mentre proseguo il mio lavoro, ma che comunque non mi toglie il piacere di scoprire un episodio nuovo sulla frontiera dell’Ohio alla fine del ‘700, o di ricostruire con un minimo di compiutezza, le vicende di una sperduta tribù della Columbia Britannica. E poi la fedeltà ai sogni dell’infanzia è una garanzia contro il passare del tempo e i suoi inevitabili guasti. L’opera che sottopongo ad eventuali lettori, e il frutto di un lavoro appassionato ma dilettantistico (intendendo la parola nel suo significato letterale: fatto per diletto), e non il frutto del lavoro sul campo di un antropologo o della ricerca sulle fonti di uno storico professionista. Ogni informazione che vi si trova, può essere reperita in una delle centinaia di opere già pubblicata, specialmente negli Stati Uniti, o in uno delle migliaia di siti internet dedicati a storie tribali o a vicende della Frontiera; e proprio alla luce delle nuove opportunità offerte dalla rete, anche il progetto iniziale dell’opera è cambiato. Non si tratta più della “Enciclopedia degli indiani dalla A alla Z”, che desideravo da bambino, che per questo Wikipedia già basta. Oggi la scommessa è obbligatoriamente più ambiziosa, ed è quella di raccogliere la grande mole di fatti, avvenimenti e peronaggi, e legarli in un quadro storico organico, seguendo per la narrazione un filo che forse ancora oggi non è stato adeguatamente indagato, e cioè quello delle relazioni


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economiche che sottendono agli avvenimenti storici. La “scoperta dell’America”, che in Europa rappresentò una immensa spinta propulsiva allo sviluppo della società capitalista, rappresentò anche, in modo peculiare e radicale il più importante caso di quel confronto tra modelli culturali, sociali ed economici diversi, che oggi, dopo la globalizzazione economica, produce drammi immensi e interroga le coscienze e la politica. Ma l’interesse per le ragioni economiche che sottendono ai fatti e agli avvenimenti, sia dal punto di vista dei bianchi conquistatori, sia da quello delle dinamiche interne alle tribù indiane, è utile anche a guardare al mondo dei nativi in una prospettiva meno mitica e mistificante. Il fatto che l’indiano, come ogni essere umano, abbia potuto rimanere vittima della passione verso il consumo e il guadagno, può lederne la sua immagine romantica, ma sicuramente lo rende più umano e storicamente conLeonard Peltier, attivista dell’American Indian Movement, creto. ingiustamente detenuto per l’omicidio di due agenti federali, Ma al di là di queste motivazioni “importanti”, riduante una sparatoria nella riserva Lakota di Pine Ridge mane il fatto che il fine di questo lavoro è lo stesso che mi proposi fin da bambino: dare sostanza e concretezza storica, a quei nomi musicali ed evocativi che riempivano le pagine dei miei fumetti preferiti: i Mohawk di Tonka, gli Ottawa di Teseka nella prima apparizione del dottor Hellingen, o gli Hualpay di una delle prime avventure di Mefisto. Con l’avanzare del lavoro ho dovuto prendere atto che il mio principale interesse era la ricostruzione storica delle vicende tribali, ed ho così ridotto le notizie di carattere etnologico, al necessario per la definizione dell’identità delle diverse tribù protagoniste dei singoli avvenimenti; spero comunque che le sommarie e a volte insufficienti informazioni offerte, possano suscitare ulteriore curiosità nel lettore, stimolandolo ad un maggiore approfondimento attraverso opere più specialistiche. Nell’ambito delle storie tribali un capitolo affascinante è quello della preistoria indiana, cioè dell’epoca precedente il 1492; in particolare, la ricostruzione del rapporto che lega le tribù storiche, con le complesse culture preistoriche della valle del Mississipi e del sud-ovest, è un ambito di indagine ancora non completamente esaurito, e che apre a scenari di grande interesse. La narrazione si esaurisce con la fine delle guerre indiane, il cui ultimo atto può essere considerato il bombardamento aereo degli indiani Yaqui, da parte del governo messicano nel corso degli anni ‘30 del ‘900, ma in realtà i conflitti tra bianchi e indiani continuano ancora oggi, in alcuni casi assumendo anche forme eclatanti. La trattazione delle vicende storiche degli indiani nel corso dell’ultimo mezzo secolo è comunque materia che attiene più alla politica, che non al mondo di avventure da cui questo lavoro ha comunque origine, e quindi esse ne sono escluse. Questa scelta colloca questo lavoro tra i tanti che hanno contribuito a far conoscere l’indiano di un tempo, oscurando di fatto le problematiche dell’indiano di oggi; è un limite di cui mi dolgo, soprattutto al pensiero dei tanti militanti indiani, a partire dall’Ojibway-Lakota Leonard Peltier, che subiscono le conseguenze del loro amore per la propria gente e la propria cultura. Un ringraziamento vorrei farlo a quegli amici che in oltre quarant’anni, mi hanno fatto compagnia in questa passione, che si sono incuriositi per fatti e avvenimenti lontani e spesso marginali, di cui li ho resi edotti in lunghe chiacchierate serali; con loro il territorio indiano di Darkwood tornava a vivere e con esso quell’infanzia in cui il mondo appare ancora intero. Claudio Ursella - settembre 2002


In copertina guerriero Osage, ritratto da George Catlin


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STORIA DEI NATIVI DEL NORD AMERICA

volume I

PRIMA DEL CONTATTO origini, preistoria e civiltà precolombiane



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BARBARI, INFEDELI E SELVAGGI In ogni luogo e in ogni epoca l’incontro tra popoli e culture diverse, lontane, se non addirittura incompatibili, ha suscitato passioni e paure reciproche, che hanno fortemente condizionato la possibilità di uno sguardo curioso e riflessivo sull’altro, riducendo invece l’immagine dell’altro, ad icone fortemente caratterizzate, in cui si condensavano i pregiudizi e i timori più irrazionali, il disprezzo più presuntuoso, l’irrisione più liquidatoria. Come occidentali registriamo che per gli antichi greci, depositari della cultura filosofica e letteraria più avanzata del proprio tempo, l’altro era il barbaro, colui che balbetta e non sa parlare, escluso a priori da quel livello di conoscenza che era invece il vanto e l’orgoglio ellenico; poco contava che quel barbaro fosse un etrusco di Volterra o un fenicio di Cartagine, luoghi in cui ovviamente si parlava almeno quanto ad Atene e Sparta . Al tempo dei romani, che si imposero sulla scena della storia anche e soprattutto per la più efficiente organizzazione militare del tempo, il barbaro, celta, germanico o sarmata, era il guerriero orgoglioso e feroce, la cui sottomissione era vanto per il valore romano; irrilevante era il fatto che i Cimbri e i Teutoni, sconfitti da Caio Mario a Acque Sextiae e Vercelli, così come altre orde barbariche nei secoli a venire, fossero popoli di migranti, con donne, vecchi e bambini al seguito, che più che ad invadere l’impero, pensavano a cercare una terra in cui risiedere. La cultura cristiana del medioevo, che fece della fede la prima fra le virtù, con il semplice concetto di “infedele”, condannò in blocco tutta la cultura islamica, salvo bearsi delle favolose meraviglie dell’oriente lontano, sotto il dominio di un cristiano, seppur eretico, Prete Gianni. Ma è al tempo dei grandi viaggi di scoperta, dalla metà del ‘400 in poi, che la presunzione dell’Occidente viaggiando veloce su caravelle e galeoni, inventa una quantità di immagini sprezzanti con cui ingabbiare l’altro, e dar valore a se: l’orientale, con cui si è obbligati a contrattare il prezzo delle spezie nei bazar delle Indie, è infido e ambiguo, l’africano, che si incatena e si vende sui mercati delle Americhe, è un essere bruto e scimmiesco, e infine l’indigeno americano, l’abitante di un mondo nuovo e totalmente ignoto, di una natura da sottomettere e colonizzare, è il selvaggio per definizione, affascinante, ostile, misterioso e indomabile, come la natura in cui si muove. Dalle cronache dei primi coloni, fino alle mode new age, passando per il mito del buon selvaggio e la letteratura e la cinematografia western, l’indiano appare sempre come un elemento della natura, quasi una sua espressione, e la sua cultura, le sue abitudini, il suo stile di vita, appaiono come il frutto naturale di una propensione innata, magica o demoniaca, delicata e precaria, condannata a scomparire al contatto con l’uomo bianco e alla sua capacità di dominare l’ambiente, piuttosto che armonizzarsi con esso. Una visione romantica e suggestiva, che spiega e giustifica il tentativo di far scomparire i nativi americani dal mondo moderno, ma mal si coniuga con il fatto che pur quasi invisibili, essi vivono nell’America di oggi, la loro popolazione è da un secolo in costante crescita, mentre le culture tradizionali, seppur tra contraddizioni e conflitti, tornano a trovare un loro spazio. In realtà l’indiano non era un figlio mitico della natura selvaggia, ma un semplice essere umana che, come in ogni altro luogo della terra, con l’ambiente produceva e ancora oggi produce, una relazione dialettica, fatta di adattamenti e trasformazioni, tecniche e comportamenti, linguaggi e credenze, in una parola di cultura, anzi di culture. Tante furono infatti le culture che i nativi americani produssero in un ambiente tanto vasto quanto variegato, e certo la narrazione della lunga vicenda storica che i nativi americani vissero, costruendo e organizzando le proprie comunità, in relazione al contesto ambientale americano, al suo mutare in relazione a fattori climatici o d’altra natura, fino ed oltre il drammatico impatto con il mondo dei bianchi, non può che essere d’auspicio per un presente e un futuro in cui essi dovranno dar fondo a tutta la loro capacità, per adattare e rinnovare quel che della loro identità e del loro percorso culturale, rappresenta un patrimonio per ogni essere umano.


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L’UOMO IN AMERICA



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Il mondo nuovo L’espressione “Nuovo Mondo” con cui gli Europei identificarono le Americhe, ha una sua verità più profonda di quella immediatamente evidente ad ogni occidentale; in effetti le Americhe non sono un mondo nuovo solo per gli Europei, che ne vennero a conoscenza alla fine del ‘400, ma per tutta la specie umana, che solo in tempi relativamente recenti conobbe questo immenso continente. Dalle prime varietà di ominidi dell’Africa equatoriale, passando per l’Home Erectus, il Neanderthal, fino all’Homa Sapiens, la vicenda della specie umana si snoda per centinaia di migliaia di anni, in una lenta ma costante evoluzione, a cui si accompagna una parallela diffusione verso ogni angolo dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia; tale processo però non coinvolse in alcun modo il continente americano, dove non sono stati mai trovati reperti che testimonino la presenza di ominidi, o di altre specie “homo”, che non fossero l’homo sapiens; a ciò va aggiunto che in America non vivono, ne risultano mai vissute, le scimmie antropomorfe che sono le nostre parenti più prossime. Per decine di migliaia di anni, mentre la specie umana si evolveva e si diffondeva ovunque, tutto il continente americano fu una terra senza umani, una terra senza cacciatori provvisti di specifiche, ancorchè semplici tecnologie, una terra in cui il dominio del fuoco era ignoto, così come era ignota ogni attività predatoria che non fosse immediatamente connessa alla contingente necessità di cibo del predatore: l’uomo, il predatore al vertice della catena alimentare, era assente. La specie umana, la cui attività predatoria trascende l’impulso immediato alla ricerca di cibo, per divenire elemento fondativo di una cultura sempre più complessa, è l’unica specie di predatore che non è totalmente sottomesso a quelle leggi che regolano l’equilibrio tra le speci, evitando che una di esse cresca al punto di mettere a rischio, prima tutte quelle che la circondano, poi anche se stessa. La più feroce popolazione di leoni, non metterà mai a rischio la sopravvivenza della popolazione di erbivori di cui si nutre, e il rapporto tra i due gruppi sarà sempre necessariamente equilibrato. Solo l’uomo è in grado di mettere in discussione tale equilibrio, e non solo per la maggiore efficacia delle tecniche di caccia, ma anche e soprattutto per la capacità di reinvestire in modo ulteriormente produttivo la quantità di energia che il buon risultato della caccia gli mette a disposizione. Così non si limiterà a mangiare la sua preda e a farla mangiare ai suoi cuccioli, ma ne userà le ossa e i denti per farne armi e utensili, la pelle per coprirsi dal freddo e avvicinarsi di nascosto alla preda, seccherà e conserverà una parte della carne per i tempi di magra, costruirà sull’evento predatorio una narrazione che diverrà memoria ed esperienza collettiva, e userà la caccia stessa come occasione per produrre gruppi coesi e selezionare i leader più forti. Questo rende l’uomo il più efficace, temibile e spietato tra i predatori. In America l’uomo non c’era; per decine di millenni un immenso eden naturale, senza il peccato originale della coscienza è esistito, solo patrimonio di quelle specie animali che per secoli abbiamo pensato create solo per essere poste sotto il nostro dominio. Mentre da centinaia di migliaia di anni in Africa, in Europa e in Asia, la comparsa dell’uomo aveva accompagnato il progressivo declino dei grandi mammiferi della preistoria, l’America era stata risparmiata dall’impatto con il predatore umano, che fu una


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delle cause dell’estinzione di gran parte della megafauna primigenia. Ma l’incanto di questa immensa, primordiale e autentica terra vergine, si ruppe alla fine in un giorno ignoto in una lontananza indefinita, quando per la prima volta una punta di selce scheggiata, trafisse le carni di un bisonte dalle grandi corna; ma perchè ciò potesse accadere, e l’uomo potesse violare l’Eden, varcandone la stretta porta d’accesso, dovettero prodursi condizioni particolari, la cui durata fu relativamente breve. Il luogo più vicino all’America in cui l’uomo preistorico giunse nel corso della sua inarrestabile diffusione, furono le fredde foreste dell’estremo est asiatico, dove l’uomo fece la sua comparsa nel pleistocene superiore tra i 50.000 e i 40.000 anni fa. Oggi le estreme propagini della Siberia sono divise dall’Alaska e dal Nord America, dal braccio di mare detto Stretto di Bering, interrotto dalle isole Diomede, e benchè la traversata da una all’altra di esse sia praticata dalle popolazioni eschimesi, è impossibile immaginare che in epoche preistoriche, orde di cacciatori nomadi continentali, abbiano deciso di affidare al mare i loro destini, inventando di sana pianta le tecniche necessarie ad affrontare un simile viaggio. Il passaggio doveva essere via terra, e non fu possibile fin quando il mare divise i due continenti; ma le condizioni giuste per il passaggio si presentarono in più occasioni, almeno ogni qualvolta l’abbassarsi della temperatura durante una fase glaciale, immagazzinando una imponente quantità d’acqua ghiacciata intorno ai poli, determinò un abbassamente del livello degli oceani e una conseguente emersione di vaste aree costiere. Fu così che l’abbassamento del livello dell’oceano Pacifico, produsse il formarsi di un vasto ponte di terra, coincidente con quella parte del mare di Bering la cui profondità attuale non supera i 50 metri, e che si estendeva a nord e a sud dello stretto omonimo. Tale ponte di terra, denominato dagli studiosi Beringia, potrebbe aver modificato i flussi delle correnti marine, sbarrando il passaggio delle fredde acque dell’Artico a sud, e permettendo alle correnti calde provenienti dal Pacifico meridionale, di estendere le loro influenze mitigatrici più a nord di quanto accada oggi; così, grazie a tali correnti meridionali, la Il ponte di terra della Beringia, tra Asia e America Beringia sarebbe rimasta in gran parte libera dai ghiacci, che pure coprivano zone poste a latitudini più meridionali. Oltre questa sorta di oasi dell’epoca glaciale, gran parte degli attuali Canada e Alaska erano ricoperte da due immense coltri ghiacciate, una sull’area delle Rocky Mountains, l’altra sul cosiddetto Scudo Laurenziano, la vasta regione che si estende intorno alla Baia di Hudson, fino ai Grandi Laghi e oltre; tra queste due immense calotte ghiacciate, è però quasi certo che per periodi di maggiore o minore durata, si aprì un corridoio, che dalle terre emerse della Beringia, attraverso le valli dei fiumi Yukon e Mackenzie, poteva permettere agli invasori umani, di superare le zone ghiacciate e diffondersi per tutto il continente; oltre a questa via, lungo la costa del Pacifico, in una zona di terre emerse più estesa di quella odierna, a causa del più basso livello dei mari, un’altra strada poteva aprirsi in coincidenza del parziale ritiro dei ghiacci, e anche approfittando delle influenze mitigatrici delle correnti oceaniche meridionali. Abbiamo così due possibili vie lungo le quali i primi umani poterono colonizzare il continente americano, una più occidentale, lungo una zona costiera oggi parzialmente sommersa, l’altra posta a est delle Rocky Mountains, nella valle del Mackenzie; a queste due vie, sicuramente va aggiunta una via intermedia, apertasi però solo in epoca tarda, alla fine del Pleistocene, nelle vallate delle Rocky Mountains, dove la calotta glaciale si ritirò in tempi relativamente brevi. Questo fu quasi certamente ciò che accadde, più difficile è determinare con precisione quando ciò effettivamente accadde. L’orizzonte temporale in cui il popolamento dell’America va calato è quello del Pleistocene superiore, in particolare dell’ultima parte del Pleistocene superiore, corrispondente ad un lasso temporale che va da circa 110.000 a 12.000 anni fa. Tale periodo, conosciuto in America come Wisconsin e in Europa come Wurm, vide una immensa estensione dei ghiacci, che dai poli raggiungevano in Europa la Germania, e in Nord America la valle del Missouri e dell’Ohio; questo mondo dominato


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dai ghiacci, fu il teatro della prima epopea umana, quella che portò l’homo sapiens a colonizzare l’intero pianeta, inseguendo le mandrie dei grandi mammiferi, di cui era divenuto l’efficiente predatore. Durante tale lunghissimo periodo comunque, l’espansione dei ghiacci non fu costante, e per periodi più o meno lunghi, e sempre nell’ordine delle migliaia di anni, le temperature crebbero, le calotte ghiacciate si ridussero lungo i limiti meridionali, alle temperature rigide e alle scarse precipitazioni, succedettero fasi di temperature più calde e precipitazioni abbondanti. E’ nell’ambito di tali variazioni del clima, delle precipitazioni e del livello dei mari, che va collocata la vicenda di Beringia, emersa e scomparsa più volte nel corso di 100.000 anni, e delle due vie per il sud, aperte o chiuse dai ghiacci e dall’acqua a più riprese. Diverse sono le ipotesi degli studiosi rispetto ai momenti in cui il ponte di terra di Beringia fu percorribile, così come rispetto all’apertura delle due vie per il sud, e qui di seguito riportiamo uno schema che raccoglie in forma sintetica una delle ipotesi probabili. PERIODO

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Chiusa

Aperto

Le complesse valutazioni dei paleoclimatologi, ci offrono i primi elementi per definire l’epoca in cui ebbe inizio la colonizzazione del continente americano, e a queste valutazioni vanno poi aggiunti gli studi dei paleoantropologi e i ritrovamenti, per quanto scarsi, frutto della ricerca archeologica. Come già accennato l’uomo non fece la sua comparsa in Asia orientale prima di 50.000 anni fa, ma secondo molti studiosi, egli elaborò le tecniche necessarie a sopravvivere a latitudini elevate, immediatamente a ridosso della calotta glaciale che ricopriva gran parte della Siberia, solo in tempi più recenti 30.000, forse 40.000 anni fa. A quest’epoca è probabile che i primi gruppi umani abbiano raggiunto la Beringia, dove certamente essi non si limitarono a transitare, ma risiedettero per lungo tempo in relativo isolamento, anche dal contesto asiatico di provenienza; nell’isolamento delle terre di Beringia, che durò certamente per migliaia di anni, questi primi gruppi umani selezionarono gruppi sanguigni caratteristici e specifici, che rendono omogenea la popolazione dei nativi americani e la differenziano dai popoli di altri continenti. Furono questi primi gruppi umani a colonizzare il continente americano, anche se non sono ancora chiari i tempi e le dinamiche di questa colonizzazione; molti elementi indicano che nel corso di decine di migliaia di anni, una lenta, rada e inconsapevole migrazione, si sia certamente prodotta, ma è solo dalla fine del pleistocene che ci sono chiare evidenze di una vera e propria colonizzazione del nuovo continente. Tracce di una prima migrazione sono state trovate in tutto i Nord e Sud America a partire dal 27.000 a.C.: è fatto risalire a quest’epoca un raschietto fatto con una tibia di cariboù, ritrovato nella regione dello Yukon; poi seguendo le tracce del percorso umano all’interno del continente americano, si giunge nell’Alberta dove i resti di ossa di un bambino, sono fatti risalire ad un epoca poco più recente del raschietto dello Yukon, forse 25.000 anni fa; più o meno dello stesso periodo sono reperti, la cui valutazione è più incerta, ritrovati in California; considerati indiscutibilmente testimonianza della presenza umana, sono i ritrovamenti di Tlapacoya in Messico, ossa animali e reperti litici risalenti a 23.000 anni fa, mentre a 20.000 anni fa risalgono altri reperti, provenienti da una caverna delle Ande settentrionali, e a 15.000 anni fa quelli del sito di Monte Verde in Cile. La certezza della presenza umana prima della fine del pleistocene, è basata su scarsi e spesso discussi ritrovamenti, dispersi in tutto il continente dalle regioni orientali degli Stati Uniti, fino al Messico e al Cile; ciò dovrebbe indurre a ritenere che per diverse migliaia di anni, attraverso le terre di Beringia, e forse lungo il corridoio costiero, secondo alcune teorie aperto in tempi più antichi rispetto al corridoio della valle del Mackenzie, piccoli gruppi umani, separatamente giunsero nel nuovo continente, diffondendosi fino alle estreme regioni meridionali, vivendo in relativo isolamento l’uno dall’altro, e lasciando scarsissime tracce del loro passaggio. Depositi di ossa animali, residui di focolari, pietre rozzamente lavorate e pochi resti di ossa umane dalla discussa datazione, sono stati ritrovati in ogni parte del continente, e se ogni singolo sito scavato può essere oggetto di valutazioni diverse e dispute, è difficile pensare che in tutti i siti gli archeologi abbiano preso degli abbagli. Ciò che comunque accomuna tutti questi siti è la mancanza di quei reperti


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litici che chiaramente testimoniano l’attività umana, quelle punte di pietra che furono il primo utensile che permise agli umani il successo nella caccia, e che in epoca successiva segnano la pista dell’evolversi delle prime comunità umane. Discussa e anche oggetto di accuse di frode fu il ritrovamento delle punte di lancia nella caverna di Sandia Mountain in New Mexico, posizionate in uno strato al di sotto di reperti più recenti e datate all’inizio a circa 20.000 anni fa; le punte di Sandia ricordano nella forma e nella lavorazione simili oggetti prodotti dalla cultura Solutreana, risalente anch’essa a circa 20.000 anni fa, e diffusa nell’Europa occidentale, ma come già detto la loro datazione rimane piuttosto dubbia. Tra i reperti ritrovati a Cactus Hill, un sito della Virginia orientale, risalente a 16-18.000 anni fa, ci sono pietre lavorate che possono ricordare le punte di lancia di Sandia, e quindi le tecniche europee dei Solutreani. Sulla base di questi elementi si è giunti addirittura ad ipotizzare una colonizzazione dall’Europa, attraverso il pack ghiacciato che ricopriva l’oceano Atlantico, ma tale ipotesi presuppone la conoscenza di tecniche analoghe a quelle degli Inuit storici, che è difficile immaginare in epoche così remote. Nel complesso è possibile affermare chè benchè sia certo il ritrovamento di manufatti litici, i primi abitanti del continente non ci hanno lasciato testimonianza diffusa della capacità di fabbricare punte di lancia, come invece è accaduto in Europa, e la mancanza di questi oggetti fa si che molti studiosi definiscano questa fase del popolamento del continente come “Pre-Punte”. D’altra parte è difficile ipotizzare che tali utensili non fossero noti ai primi colonizzatori, essendo essi già in uso in Eurasia e, volendo tentare una spiegazione, ciò potrebbe essere in relazione con una possibile prima penetrazione umana, prevalentemente attraverso la via costiera, piuttoso che non le zone interne del Mackenzie. In questo caso è possibile che il modello economico di sopravvivenza dei primi emigranti nel nuovo continente, privilegiasse le risorse del mare, la raccolta di molluschi in particolare, che garantisce risorse certe e abbondanti, piuttosto che non la caccia ai grandi mammiferi. Un modello di sussistenza simile, avrebbe potuto portare alla perdita della tecnica di costruzione di grandi punte, come quelle usate per la caccia ai grandi mammiferi, e quindi un successivo sviluppo di altre modalità di sopravvivenza, più legate alla piccola selvaggina, alla pesca, alla raccolta. Un tale modello di sussistenza era comunque più precario, offriva minori opportunità allo sviluppo di comunità più numerose, e questo può forse spiegare le ragioni per cui la prima colonizzazione del nuovo continente, fu così lenta e lascia così poche testimonianze. D’altra parte è certo che un tale modello di sussistenza fu certamente presente, nelle regioni a ovest delle Rocky Mountains, anche quando in tutto il Nord America, si affermavano le comunità di cacciatori di grandi mammiferi. L’uomo può quindi essere entrato per la prima volta in America, non come il predatore al seguito delle grandi mandrie, ma con piccoli gruppi marginali, che seppero sopravvivere raccogliendo e utilizzando le risorse che l’ambiente, e il mare principalmente, metteva loro a disposizione, senza produrre alcun impatto ambientale, nel continente vergine in cui avanzava. Anticipare la presenza umana a tempi più remoti, rispetto alla fine del Pleistocene, permette anche di spiegare come il Sud America possa essere stato colonizzato, a meno che non si assuma che anche il popolamento delle estreme regioni meridionali non è antecedente alla fine del Pleistocene, e che nell’arco di pochi secoli o al massimo un millennio, a partire da 14.000 anni fa, tutto il continente possa essere stato raggiunto da bande di cacciatori nomadi i cui spostamenti erano casuali e determinati dalla sola necessità di trovare cibo. Ipotizzare che in pochi millenni, una popolazione di qualche migliaio di individui (o di poche decine di migliaia di individui), abbia potuto colonnizzare totalmente, dall’Alaska alla Terra del Fuoco, l’intero continente, senza peraltro averne, ne la volontà, ne la coscienza, e senza nemmeno conoscere il continente stesso, è poco probabile. Più realistico ipotizzare che il continente americano abbia visto diversi limitati flussi migratori, in epoche diverse e di Reperti litici ritrovati a Cactus Hill, Virginia, e diverso impatto demografico, prima che un significativo pro- risalenti a circa 18.000 anni fa Punta di lancia Sandia ritrovata in una caverna del New Mexico


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cesso di colonizzazione potesse realizzarsi; probabilmente, benchè le condizioni per una migrazione si siano prodotte anche in tempi più antichi, non fu che verso la fine del pleistocene che tale migrazione divenne numericamente significativa, mentre in epoca precedente essa può aver interessato solo pochi e isolati gruppi umani, che pur in grado di diffondersi in tutto il continente fino alle sue propagini meridionali, non furono in numero tale, ne elaborarono tecniche tali, da lasciare dietro di se altro che poche e incerte testimonianze. L’ipotesi di un primi “rivolo” migratorio, seguito a distanza di molto tempo sa un vero e proprio “flusso”, spiegherebbe anche l’assenza di relazioni evidenti tra gli idiomi parlati in Nord America e in Sud America; se i gruppi umani che raggiunsero il Sud America migrarono nel Nuovo Continente separatamente e in tempi molto più remoti, rispetto a quelli che invasero Confronto tra reperti europei e il Nord America, non avrebbe senso cercare tra essi reamericani del tardo pleistocene lazioni linguistiche, che in effetti non risultano esistere. D‘altra parte l’esistenza in Nord America di piccole popolazioni parlanti lingue totalmente isolate e differenti da quelle dei popoli circostanti, potrebbe essere spiegata proprio come permanenza di residui di flussi migratori più antichi. In sintesi è possibile ipotizzare che i primi gruppi umani che giunsero in Beringia poco meno di 40.000 anni fa, si siano poi diffusi nel contente americano a partire da 30-25.000 anni fa, anche se si deve giungere a 13.500 anni fa, prima di trovare testimonianze dell’ampia diffusione della specie umana nel nuovo mondo. Sono infatti di questo periodo le più antiche punte di lancia, dette Clovis, dalla località del Nuovo Mexico dove furono per la prima volta rinvenute, che testimoniano non solo la presenza ma l’evoluzione tecnologica dei primi paleo-indiani. Da queste momento in poi le testimonianze della presenza umana si fanno più ricche e diffuse in tutto il continente, e attestano inequivocabilmente l’avvenuta colonizzazione. Come sia possibile che ad una quasi totale assenza di testimonianze della presenza umana fino al 13.500 anni fa, faccia poi seguito una fase che ha lasciato dietro di se una gran quantità di reperti litici, punte di freccia in particolare, è un fatto che ha portato molti studiosi a non accettare per lungo tempo l’ipotesi di una presenza umana precedente a questo periodo, ma oggi le resistenze a questa possibiltà sono molto ridotte.. La scarsa presenza umana nelle fasi più antiche, e la sua esplosione in epoca successiva a partire da 13.500 anni fa, può forse trovare una spiegazione nelle complesse dinamiche che permisero l’aperture delle vie verso il sud, oltre le calotte artiche canadesi. Così benché già in epoca precedente la via costiera e quella del Mackenzie siano state aperte per periodi più o meno lunghi, è solo circa 15.000 anni fa, che ha inizio il processo di scioglimento delle calotte glaciali, processo molto lento a est, nella vasta zona ricoperta dalla calotta Laurenziana, dove durò almeno 10.000 anni, ma che fu molto più veloce ad ovest, in Lo scioglimento dei ghiacci alla fine del pleistocene


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quella che è chiamata calotta della Cordigliera, dove nel giro di 3-4.000 anni, i ghiacci si ritirarono dalle vallate, rimanendo solo nelle zone d’alta quota. Il progressivo scioglimento della calotta glaciale della Cordigliera, non solo lasciava libero il passaggio attraverso le valli montane dell’ovest, ma liberava definitivamente il corridoio lungo la valle del Mackenzie, aprendo così la via al passaggio dei nuovi colonizzatori, mentre quello lungo la costa del Pacifico, il passaggio più antico e quello che certamente per più lunto tempo era rimasto aperto, iniziò progressivamente a ridursi, per l’aumento del livello dei mari, successivo al progressivo disgelo. I nuovi colonizzatori, non giungevano direttamente dall’Asia, bensì dalla Beringia, il vasto ponte di terra che univa l’Alaska alla Siberia; sicuramente questa regione, libera dai ghiacci e ricca di selvaggina era già da tempo abitata dall’uomo, almeno da 30.000 anni prima, gruppi umani che nel corso del tempo avevano perso i rapporti con le proprie origini asiatiche, e che nel corso degli stessi millenni, avevano alimentato il rivolo migratorio a cui è dovuta la più antica presenza umana in America. E’solo alla fine del pleistocene, in coincidenza con l’inizio del ritiro dei ghiacci, che questi abitanti della Beringia possono dare vita a nuove e più numerose ondate migratorie verso l’America, prendendo possesso del continente, e sovrapponendosi alle disperse e numericamente limitate bande che li avevano preceduti. Possiamo immaginare che a differenza dei primi colonizzatori, queste popolazioni già avessero prodotto un buon livello di specializzazione nella caccia ai grandi mammiferi, e che la colonizzazioone si sia prodotta proprio al seguito delle grandi mandrie di mammiferi, che si spostavano prendendo possesso delle terre liberate dai ghiacci. La disponibilità di queste grandi mandrie di mammiferi, può aver permesso una crescita demografica e quindi un sistema di relazioni tra le diverse bande e gruppi famigliari, tale da determinare un processo di spostamento più coordinato, più simile alla migrazione di un popolo, che al casuale vagare di piccoli gruppi umani isolati. Così mentre in Sud America gli eredi della prima colonizzazione americana continuavano progressivamente ad avanzare e diffondersi nelle terre vergini, al nord un processo relativamente veloce portava in poco tempo l’uomo ad insediarsi definitivamente in tutta la parte del Nord America libera dai ghiacci. E’ da questo momento che possiamo tentare di ricostruire la storia e gli sviluppi culturali degli indiani storici, da questi gruppi di cacciatori nomadi della fine del pleistocene, abitualmente definiti “paleoindiani”; è da quest’epoca che possiamo definire con relativa certezza una sostanziale continuità, antropologica e linguistica, tra i primi colonizzatori del Nord America e gli indiani della storia; è in questo momento che gli indiani fanno la loro comparsa, ma ancor prima di iniziare a seguire le loro vicende, doveroso è soffermarci su chi erano, questi antichi pionieri.

Il primo Americano Come è noto il termine “indiani”, con cui furono denominati gli abitanti del Nuovo Mondo, fu conseguenza dell’equivoco di Cristoforo Colombo, convinto di essere approdato in quell’ottobre del 1492, sulle coste agognate del Catai o di Cipango, i nomi allora in uso per la Cina e il Giappone, le Indie lontane del tempo. D’altra parte quell’equivoco è forse in qualche modo giustificabile, non solo a causa delle conoscenze geografiche del tempo, ma anche e soprattutto per le caratteristiche morfologiche comuni a tutti i nativi americani, che certo in qualche modo ricordano le popolazioni asiatiche. Capelli lisci e corvini, scarsa o assente peluria sul viso e sul corpo, colorito più scuro della pelle e spesso un taglio d’occhi leggermente a mandorla, sono elementi comuni in tutto il continente americano, così come all’est asiatico, dalle Filippine alla Siberia orientale. D’altra parte altri elementi sono assolutamente caratteristici delle popolazioni americane, come un naso prominente e spesso aquilino, meno facilmente riscontrabile tra le popolazioni asiatiche e in particolare fra quelle di tipo mongolico, o la statura che presso alcuni popoli era mediamente più elevata, di quanto non sia riscontrabile tra i popoli asiatici; in realtà le differenze fra nativi americani e popoli mongolici sono abitualmente evidenti, salvo il caso degli abitanti del Canada occidentale e delle regioni artiche, il cui arrivo sul continente fu sicuramente più tardo, e le cui relazioni con l’estremo oriente asiatico più recenti. D’altra parte evidenti sono anche le differenze tra i diversi popoli nativi, differenze che forse furono successive alla colonizzazione del nuovo continente, ma che potrebbero essere già state presenti al tempo in cui i primi gruppi si spinsero in Beringia. D’altra parte a tutte queste differenze, fa da contraltare la sostanziale omogeneità dei gruppi sanguigni riscontrabile fra gli indiani, gruppi sanguigni che in larga parte non coincidono con quelli


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presenti tra le popolazioni asiatiche. Va considerato che l’attuale prevalente diffusione nell’oriente asiatico del tipo mongolico, è sicuramente successivo all’epoca del primo trasferimento di gruppi umani in America, mentre in in tempi più remoti probabilmente diversi tipi umani, con più variazioni intorno a caratteristiche comuni, colonizzarono le regioni asiatiche a partire dalle regioni meridionali, dopo aver migrato dall’Africa occidentale, lungo le coste dell’Oceano Indiano. In questo primo flusso migratorio, non erano certo individuabili i caratteri che oggi distinguono la maggior parte delle popolazioni asiatiche, ed anzi è possibili che tali caratteri non fossero ancora definiti, e che le differenziazioni a noi oggi palesi, tra popoli caucasici, africani, asiatici ecc... non fossero ancora emerse. Considerando che le regioni siberiane sono ancora oggi abitate da popoli di stirpe turca, e che ancora oggi vive nel nord del Giappone e nell’estremo oriente siberiano, la supestite popolazione degli Ainu, gruppi sostanzialmente diversi dal prevalente tipo mongolico, possiamo immaginare che una diversificata varieta di tipi umani in epoche remote abitasse le regioni asiatiche da cui prese le mosse la colonizzazione dell’America; non mancano poi le ragioni per individuare somiglianze tra alcuni popoli nativi americani e le popolazioni del sud-est asiatico, anch’esse parte dello stesso antico flusso migratorio. Da queste popolazioni asiatiche, non necessariamente mongoliche, a più riprese e nel corso di millenni, piccoli gruppi si staccarono per spostarsi sempre più a est, raggiungendo la Beringia, fino a produrre con il tempo e l’isolamento il tipo umano o i tipi umani da cui successivamente evolvettero tutti i differenti tipi di nativi americani. Probabilmente fu la Beringia la patria del primo americano, fu in quella terra che nel corso dei millenni, le caratteristiche comuni a tutti i nativi, a partire dal limitato numero di gruppi sanguigni, si selezionò. L’uomo che giunse in America quindi aveva già caratteristiche specifiche e diverse dai suoi parenti asiatici, e per quanti cambiamenti e variazioni si siano prodotti nel corso delle migrazioni, delle divisioni e dell’isolamento di singoli gruppi, i nativi americani sono riconducibili ad una sostanziale omogeneità, più di quanto accade per i popoli di altri continenti. Una maggiore affinità con il tipo umano mongolico attualmente prevalente in Asia orientale, si riscontra invece tra le popolazioni di lingua Na-Dene del Canada occidentale e soprattutto fra gli Inuit della re-

Tunguso

Ciukci

Hainu

Papua

Tipi umani dell’est asiatico e dell’Oceania

Inuit

Hopi

Lakota

Mohave

Tipi umani del Nord America

gione artica, il cui arrivo in America è sicuramente più recente. Pur mancando riferimenti precisi, si ipotizza che le genti Atapaskan e gli altri gruppi Na-Dene, giunsero in America dopo la fine dell’era glaciale, forse verso l’8.000 a.C., in ogni caso prima della definitiva sommersione della Beringia. Ancora successivo fu l’arrivo degli Inuit, non più di 5.000 anni fa, quando il ponte di terra era ormai sommerso, ma di


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cui essi potevano fare a meno, avendo già i mezzi e le tecnologie, che permettevano la navigazione attraverso piccoli bracci di mare. Gli Inuit, che giunsero a colonizzare tutta la zona settentrionale del continente, fino alle lontane coste di Terranova, sono ancora oggi presenti nell’estremo est siberiano. Ciò che è certo è che il grande numero di variazioni morfologiche, intorno a pochi elementi comuni, è così variamente distribuito e mescolato, da rendere difficile se non impossibili la ricerca di un “primo americano” da cui far discendere un’ordinata successione di popoli di colonizzatori del nuovo continente. In America, come nel vecchio mondo, i millenni hanno visto i diversi popoli migrare e confliggere, fondersi e scomparire, lasciando alla fine un panorama di popolazioni, in cui la maggiore o minore condivisione di determinate caratteristiche morfologiche, è irrilevante in rapporto alla quantità dei fattori culturali condivisi. Così la ricerca di un “primo americano” non può seguire le improbabili piste della “razza”, ne d’altra parte può affidarsi alla ricerca di una cultura primordiale, dato che i popoli con la cultura più “arcaica” non sono necessariamente quelli di più antico stanziamento; le genti di lingua Atapaskan del Canada occidentale e dell’Alaska, sono quelle che, anche per ragioni ambientali, possono forse darci un’immagine più vicina al vero del “primo americano” dell’era glaciale, ma in realtà sono anche quelle la cui immigrazione è sicuramente più recente. In realtà ogni cultura è frutto di un tempo e di un luogo, anche se in ogni cultura c’è almeno un elemento che è scarsamente influenzato dal luogo e solo parzialmente dal tempo: tale elemento è la lingua, che un popolo può portare con se relativamente immutata nel tempo, a prescindere dal luogo, e in buona misura da ogni altro cambiamento di natura economica o sociale. Così il primo e più antico tra gli elementi della cultura umana, la lingua, la capacità di evocare con un suono, un oggetto o un concetto, può passare attraverso i millenni senza modificarsi del tutto, e nella radice di un verbo o di un nome, accendere un pallido lumicino sui millenni più oscuri.

La babele delle lingue Da sempre la lingua è uno degli elementi principali attraverso cui si caratterizza e si definisce un’identità etnica, e nel permanere nel tempo e nello spazio di uno specifico retaggio linguistico, possiamo trovare elementi che ci danno indicazioni sulla storia più antica di un popolo. Ancora oggi la diffusione degli antichi Celti in gran parte d’Europa e fino all’Asia, iniziata oltre due millenni prima di Cristo, è testimoniata dalla comune radice “gal”, che significa forza o coraggio, da cui viene il nome di Galati, antichi abitanti dell’Anatolia, usata poi dai romani per indicare i Galli e successivamente atri popoli celti d’Europa, dai Gaeli d’Irlanda, ai Gallesi della Britannia, fino ai Galleghi della penisola iberica: popoli diversi e lontani, continuano a mantenere nei secoli e nei millenni un comune retaggio linguistico e continuano ad essere conosciuti con un simile nome. Così se in Eurasia possiamo cercare nelle lingue odierne, i segni delle antiche migrazioni indoeuropee dall’Asia centrale, insieme al permanere di retaggi di popolamenti indigeni ancor più antichi, un’analoga operazione può essere tentata nel continente americano, anche se la mancanza di testimonianze storiche rende ogni ipotesi incerta e fumosa. Se i miti omerici, supportati dalle testimonianze archeologiche, ci permettono di far coincidere l’avvento delle civiltà micenee successiva a quelle minoiche, con l’arrivo di nuovi invasori indoeuropei dal nord e dall’est, offrendoci anche l’opportunità di una datazione relativamente certa, molto più difficile è individuare una possibile relazione tra l’emergere della cultura di Adena nelle zone boscose orientali, ed una possibile migrazione di popoli di lingua Iroquaian dalle regioni dell’ovest; e questo per parlare di pochi secoli prima dell’era cristiana, senza spingersi oltre nei millenni. A ciò si deve aggiungere che dal punto di vista linguistico l’America, e il Nord America in particolare, rappresenta una vera e propria babele, in cui non sempre è facile cogliere affinità nel linguaggio tra popoli limitrofi e con una medesima cultura; specialmente in alcune regioni dell’ovest, piccole popolazioni parlano lingue isolate in cui è quasi impossibile cogliere alcun riferimento ad una comune origine con altri gruppi. Tenendo quindi conto di queste difficoltà, la classificazione delle lingue parlate dai nativi del Nord America, può quindi essere uno dei pochi strumenti per iniziare a definire e differenziare, quell’indistinto aggregato di orde di cacciatori che fa la sua comparsa nel Nuovo Continente alla fine del pleistocene, e quindi per tentare di ricostruire le vicende dei popoli storici fino alle loro lontane origini. Il tentativo di fare luce nella storia più antica del continente americano a partire dallo studio delle lingue, è stato fatto da alcuni glottologi, che hanno ipotizzato una costante di variazione linguistica, tale


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da permettere, una volta individuati gli elementi strutturali comuni a più lingue e dialetti, di fare ipotesi sui tempi in cui tali lingue e dialetti si siano separati e differenziati da un ceppo comune. Tale ipotesi di ricerca, nota come “glottocronologia”, non convince comunque la maggior parte degli studiosi, affidandosi a modelli troppo rigidi, astratti e poco verificabili. Comunque a prescindere dalle arditezze della glottocronologia, è certo lecito ritenere che popoli con lingue comuni o simili, abbiano avuto un comune passato in tempi più o meno remoti, e che tale passato comune sia più o meno remoto in rapporto alle variazioni che si sono prodotte nei diversi linguaggi; da questo a definire con certezza delle datazioni, il cammino è comunque lungo. Un’altro elemento da considerare è l’estensione più o meno omogenea o frammentata sul territorio dei diversi gruppi linguistici; è possibile ipotizzare che popoli con lingue evidentemente affini, che occupano in modo omogeneo una regione, vi si siano stanziate in tempi più recenti di popoli con lingue la cui affinità è meno evidente e la cui unità territoriale è stata frammentata. D’altra parte in astratto, è impossibile negare la possibilità che singoli gruppi isolati si siano insediati posteriormente fra popolazioni con una strutturata coesione linguistica e territoriale, cosa che in qualche caso è effettivamente accaduto. A rendere comunque estremamente difficile la ricostruzione di precise relazioni tra affinità linguistica e origine comune di diversi gruppi etnici, è soprattutto la scarsità di riscontri certi: spesso si tratta di studiare un numero limitato di parole, quel poco che rimane di lingue ormai estinte, e non è raro il caso in cui una teoria si basi sulla presunta assonanza di un numero limitato di termini. C’è poi da aggiungere che anche quando un’assonanza di termini è effettiva e reale, essa può non essere conseguenza di una comune origine linguistica, ma piuttosto della diffusione di una parola o di una radice etimologica, tra due o più gruppi di diversa origine, in conseguenza di scambi e contatti. Sulla scorta di queste e altra considerazioni è possibile usare con prudenza il vasto e complesso tema della classifficazione e distribuzione dei gruppi linguistici in Nord America, come il terreno in cui cercare le tracce più remote del popolamento del continente, senza la pretesa di trasformare tali tracce in una pista certa e sicura. Un ultimo elemento di cui tenere conto è di carattere geografico, almeno se è possibile ritenere che in un generale movimento migratorio da nord verso sud, le popolazioni di stanziamento più recente occupino territori posti più a nord di quelle con stanziamento più remoto; ciò è effettivamente vero per gli Inuit e gli Atapaskan, ma più difficilmente verificabile per altri gruppi e popolazioni. Il primo tentativo di porre ordine nella babele di lingue e dialetti parlati in Nord America, fu compiuto nel 1836 e poi ancora nel 1848 da Albert Gallatin, un importante uomo politico americano, con l’interesse per l’etnologia e le lingue dei popoli nativi. Le classificazioni di Gallatin scontavano comunque una non completa conoscenza del continente e delle genti che lo abitavano e per una panoramica completa dei tanti idiomi parlati dai nativi si dovette attendere il 1891, con gli studi dell’antropologo John Wesley Powell, il quale classificò ben 58 gruppi linguistici diversi: alcuni di questi gruppi, comprendevano lingue parlate da decine di tribù in vaste aree del continente, altri comprendevano un singolo idioma, parlato da un piccolo gruppo di poche centinaia di individui; in alcuni casi era possibile individuare relazioni fra più gruppi, in altri le differenze erano maggiori che fra l’italiano e il finlandese. La classificazione di Powell, sostanzialmente corretta, offriva comunque pochi elementi per costruire relazioni fra i diversi gruppi attuali, e quindi per individuare quei riferimenti comuni, sulla base dei quali tentare di illuminare il passato oscuro dei primi abitanti del continente. Da allora molti glottologi e linguisti hanno approfondito gli studi, orientandosi a fatica fra le scarse tracce di lingue estinte o parlate ormai da pochi anziani, alla ricerca di connessioni e relazioni, in grado di condurre i 58 gruppi di Powell, ad un più limitato numero di grandi famiglie linguistiche; tali studi hanno prodotto negli anni alcune certezze, molti dubbi e un numero ancor maggiore di polemiche. Di fatto dopo che per molti decenni la tendenza è stata quella a costruire classificazioni basata sul presupposto di pochi ceppi comuni originari, a cui riferire la grande varietà di lingue e dialetti, operando a volte forzature e costruendo ipotesi su scarsi elementi, da alcuni anni a questa parte, una corrente di studiosi, che punta ad un maggiore rigore nella ricerca delle comunanze linguistica, sta mettendo in discussione le ipotesi del passato. Di fatto ad oggi esistono due correnti di pensiero, una che porta all’estreme conseguenze la ricerca di origini comuni e giunge a postulare una grande famiglia di lingue Amerinde, l’altra che nel contrastare ogni facile generalizzazione, presenta un quadro estremamente frammentario del panorama linguistico del continente americano. In particolare questa seconda corrente di pensiero, ha messo in campo il concetto di “area linguistica”, diverso da quello di “famiglia linguistica”, per indicare quelle aree geografiche in cui elementi linguistici comuni sono il prodotto non di una comune origine, ma di scambi e relazioni tra diversi gruppi umani. La definizione del problema dell’origine delle lingue, può offrire indicazioni circa le modalità con cui


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il continente americano fu popolato, alla luce di diverse ipotesi, così come formulate dal linguista Lyle Campbell, uno dei principali oppositori delle facili aggregazioni di lingue diverse in “grandi famiglie”. Lyle Campbell elenca le seguenti possibilità: a) una singola migrazione di genti parlanti un’unica lingua, che poi si sarebbero differenziate dopo il trasferimento in America; b) un numero limitato di migrazioni di gruppi parlanti lingue diverse; c) molte migrazioni successive di gruppi con lingue diverse; d) un’unica migrazione di popoli parlanti lingue diverse. L’ipotesi “a” è certamente non corretta, dato che è già dimostrato che almeno gli Atapaskan sono giunti separatamente da altri gruppi; l’ipotesi “b” è quella prediletta dai teorici delle “grandi famiglie linguistiche”; le ipotesi “c” e “d”, assumendo che la grande differenziazione linguistica sia precedente all’arrivo in America, pone il problema di cercare le relazioni linguistiche più antiche, addirittura in Asia e in tempi ancor più remoti, cosa ovviamente impossibile. In realtà relazioni tra lingue euroasiatiche e americane, sono certe solo per ciò che riguarda Inuit e Aleutini, e ipotizzabili per gli Atapaskan, entrambi giunti in America in tempi più recenti; d’altra parte la mancanza di relazioni certe tra le lingue parlate in America e in Asia, non implica necessariamente una totale mancanza di rapporti, e potrebbe essere spiegata semplicemente con l’estinzione in Asia, di linguaggi che invece in America sono vissuti fino ai giorni nostri. Non è questo l’ambito in cui approfondire una polemica tra specialisti, preferendo in questa sede limitarci a considerare più probabile l’ipotesi di un primo popolamento avvenuto in tempi remoti, e di cui in Nord America sono rimaste poche o nessuna traccia, ed una più massiccia e più tarda migrazione ad opera di pochi gruppi di lingua diversa, che a più riprese, alla fine del pleistocene, riuscirono a trasferirsi in America. In tal senso la scelta di ipotizzare un certo numero di ceppi originari comuni, intorno a cui costruire l’ipotesi di “grandi famiglie linguistiche”, è certamente più ricca di implicazioni e opportunità, rispetto a quella, forse più rigorosa, che però fotografando un quadro di grande frammentarietà, ne rimanda l’origine all’epoca precedente l’arrivo in America, di fatto rinunciando a tentare di offrire delle ipotesi sul passato remoto dei nativi americani. Accettando quindi l’ipotesi delle “grandi famiglie”, il primo riferimento è la classificazione concepita da Edward Sapir, alla fine degli anni ‘20 del XX sec.; tale classificazione che ha di fatto concepito un modello per una intera scuola di pensiero, era basata sulla individuazione di sei grandi famiglie linguistiche (Na-Dene, Algonquian-Wakash, Hoka-Siouan, Uto-Azteco-Tanoan, Macropenutian, EskimoAleuta), ognuna estesa in vaste porzioni del Nord America; tale approccio rendeva possibile produrre relazioni tra gruppi tribali lontani migliaia di chilometri, e rendeva implicitamente possibili origini comuni tra genti di culture diversissime. Alla fine degli anni ‘50 nuove scoperte nello studio delle lingue degli indiani dell’est degli Stati Uniti, hanno obbligato a riconsiderare le possibilità estreme della classificazione di Sapir, così che anche gli studiosi che si sono mossi nel suo solco hanno dovuto eliminare alcune eccessive generalizzazioni, e rinunciare a fare attrubuzioni certe per alcune lingue isolate. Alla metà degli anni ‘60, una conferenza dei maggiori studiosi delle lingue dei nativi, ha rivisto il modello di Sapir, rinunciando alla definizione in un unico gruppo delle lingue Hoka e Siouan e Algonquian e Wakash, individuando quindi due gruppi il Macrosiouan e il Macroalgonquian, quest’ultimo comprendente anche le lingue parlate a est del basso Mississipi, da Sapir inserite nella famiglia Hoka-Siouan. Usando tale classificazione come bussola per orientarsi in una materia intricata, è possibile individuare alcuni importanti aggregati, i quattro gia proposti da Sapir (Eskimo-Aleuto, Na-Dene, Macropenutian, Uto-Azteco-Tanoan), tre risultanti dalle modifiche assunte alla metà degli anni ‘60 (Macrosiouan, Macroalgonquian, Hoka), più un’area linguistica Mosan, composta da alcuni gruppi linguistici (Wakash, Salish, Chemakuan e forse Kootenay) di cui non è stata individuata una comune origine, ma di cui sono comunque certe le relazioni; a queste grandi aggregazioni vanno aggiunte alcune lingue marginali, che Sapir inseriva in grandi famiglie, ma sui quali oggi la maggior parte degli studiosi sospende il giudizio; una novità più recente è rappresentata dall’attribuzione quasi certa al gruppo delle lingue caraibiche, delle lingue parlate da alcune tribù della Florida meridionale oggi estinte. Importante è constatare che tra tutte le famiglie linguistiche del Nord America, poche sono collegate con lingue e dialetti dell’America Centrale e nessuna ha relazioni con lingue e dialetti del Sud America, a dimostrazione che le genti che colonizzarono il Nord America, lo fecero in tempi e con modalità diverse da quella che occuparono il sud del continente; interessante potrebbe essere invece cercare una relazione tra quelle lingue isolate e non assimilabili alle grandi famiglie linguistiche del Nord America, e le lingue del Sud America, relazione che se trovata, potrebbe individuare i gruppi indiani del Nord America che discendono dai primi colonizzatori che compirono la migrazione prima della fine del pleistocene. Comunque la suddivisione linguistica dei nativi americani in poche grandi famiglie linguistiche, può far immaginare uno scenario della migrazione alla fine del pleistocene, di cui furono protagonisti non


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più di 5 o 6 gruppi umani, ognuno costituito da diverse bande famigliari tra loro collegate dall’idioma comune, che compirono separatamente il cammino e raggiunsero separatamente le regioni oltre la calotta glaciale nell’arco di 1.000-2.000 anni Da una semplice fotografia della diffusione geografica di queste grandi famiglie ed aree linguistiche, appare immediatamente evidente una divisione del Nord America in tre grandi aree, la prima settentrionale, coincidente con le regioni artiche, l’Alaska e il Canada occidentale, fino ai fiumi Saskatchewan e Fraser, sostanzialmente omogenea, dominata dalla presenza di popoli parlanti lingue Eskimo-Aleutine e Na-Dene, giunte in tempi relativamente recenti, la seconda occidentale, comprendente tutta la regione a ovest delle Rocky Mountains e a sud del fiume Fraser, dove sono presenti ben quattro dei grandi aggregati linguistici (Macropenutian, Hoka, Uto-Azteco-Tanoan, Mosan), tra cui quelli con una maggior grado di differenziazione (Hoka, Macropenutian, Mosan), oltre ad un buon numero di gruppi isolati, ed infine una zona orientale, compresa tra l’Atlantico e le Grandi Pianure, dove sono presenti due sole grandi famiglie linguistiche, sostanzialmente omogenee (Macrosiouan e Macroalgonquian), oltre ad alcuni gruppi isolati; la regione delle Grandi Pianure occidentali, ai piedi delle Rocky Mountains, fa da spartiacque tra area orientale e occidentale, e di essa sappiamo che solo in tempi recenti è stata occupata da genti provenienti da altre aree (Atapaskan da nord, Uto-Azteco-Tanoan da ovest, Macroalgonquian e Macrosiouan da est), ma che forse fu, in tempi remoti, la via di una corrente migratoria di genti parlanti lingue Macrosiouan. Guardando a questa situazione è possibile ipotizzare che delle due vie aperte alla fine del pleistocene attraverso cui mosse la colonizzazione del continente americano, quella che passava attraverso le valli montane a ovest delle Rocky Mountain, ha probabilmente visto il passaggio di più orde nomadi, che separatamente si sono spinte verso sud, diffondendosi in tutto l’ovest, fino al limite naturale delle alte vette delle Rocky Mountains; il carattere del territorio, costituito in buona misura da grandi vallate fluviali separate da catene montuose, ha certamentee favorito l’isolamento e la differenziazione linguistica tra i vari gruppi. Più a est, il corridoio Yukon-Mackenzie, è stato probabilmente la porta d’accesso per gli antenati dei popoli parlanti lin- Ipotesi sugli itinerari di popolamento del Nord America gue Macroalgonquian e Macrosiouan, diffusisi in tutta la regione orientale, una regione sostanzialmente pianeggiante, a parte la catena dei monti Allegheni, che ha invece favorito il mantenimento di rapporti e relazioni tra i diversi gruppi e quindi, un comune patrimonio linguistico. Va notato che anche nella regione settentrionale, la divisione geografica delle lingue Na-Dena, riprende le antiche vie d’accesso, con due popoli (Tlingit, Eyak) stanziati lungo la zona costiera, e gli Atapaskan, la cui diffusione segue le valli dello Yukon e del Mackenzie. Un ultima considerazione di ordine generale rispetto al tema del popolamento del continente americano, riguarda la direzione dei movimenti migratori, anche alla luce di alcune”leggi generali”. In base a quanto ci è noto della storia euroasiatica è possibile affermare che talune direttrici migratorie, rimangono costanti per lunghi periodi: il movimento di popoli dalle steppe dell’Asia centrale si è protratto per divesi millenni prima dell’era cristiana, a partire dai popoli di stirpe Indoeuropea, continuando fin nel medio evo, con le orde degli Avari e di genti di stirpe Turca. Analogamente possiamo immaginare che pur nell’ambito di una certa casualità negli spostamenti dei primi gruppi umani giunti in America, la tendenza ad uno spostamento da nord a sud fu certamente prevalente, almeno fino al definitivo ri-


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trarsi dei ghiacci; in effetti tale movimrnto migratorio da nord a sud, ancora coinvolgeva gruppi Atapaskan nel IX secolo dell’era cristiana. Successivamente al ritrarsi dei ghiacci, i fenomeni divengono più complessi, altri fattori intervengono a condizionare i movimenti migratori: così il modificarsi delle condizioni climatiche determina da un lato la possibilitè di colonizzare nuove aree, ma dall’altro altera l’ambiente della megafauna del pleistocene, già sottoposta allo stress della pressione venatoria dei cacciatori umani. E’ l’inizio di un lento ma inevitabile cambiamento, il paradiso del nuovo mondo non è più una terra vergine, la disponibilità di risorse alimentari, garantito dalla caccia inizia a ridursi, obbligando i diversi gruppi umani a nuovi adattamenti; è il momento in cui l’omogeneo flusso migratorio da nord verso sud, prende altre vie e le bande di cacciatori nomadi, forse a quel tempo ancora abbastanza omogenee dal punto di vista linguistico, iniziano a compiere percorsi diversi, alcune si isolano, altre si spostano in nuovi ambienti, ma ancora una volta è possibile avanzare ipotesi sui flussi migratori, a partire dal dato indiscutibile del condizionamento che l’orografia e l’idrografia impone a gruppi nomadi che si spostano a piedi, senza l’ausilio ne di animali ne di tecnilogie. Così le valli fluviali possono divenire le autostrade della preistoria, luoghi in grado di accompagnare le peregrinazioni di comunità umane, offrendo acqua, quindi pascolo, quindi selvaggina, e infine terre coltivabili; laddove queste “autostrade”esistono, i processi migratori tendono a prodursi con una sorta di ordinata successione, come probabilmente avvenne nelle regioni orientali, dove prima la linea della glaciazione, poi le valli fluviali del Missouri e dell’Ohio videro passare gli antenati degli Algonquian, dei Muskogean, dei Siouan, degli Iroquaian. Al contrario dove queste “autostrade” non esistono, come nelle vallate delle Rocky Mountains, o intorno ai laghi che un tempo occupavano il Great Basin, le dinamiche migratorie sono più complesse, frammentate e più difficilmente ricostruibili; ed è in queste zone che anche la debole traccia della lingua si perde in una “babele”, in cui è difficile anche avanzare vaghe ipotesi.

Le lingue, i popoli Assumendo come lecita e non totalmente infondata l’ipotesi fin qui esposta, circa le vie seguite da popoli linguisticamente affini, nel processo di migrazione in Nord America, è possibile accendere una tenue luce sul passato più remoto dei popoli nativi storici, individuando intorno alle principali famiglie linguistiche, i diversi gruppi che alla fine del pleistocene diedero vita al processo di colonizzazione del Nord America. Un passo ulteriore potrebbe essere quello di avanzare altre ipotesi sulla successione con cui questi popoli si sono avvicendati nel corso di questa migrazione. Per avanzare tali ipotesi è possibile affidarsi a tre criteri già precedentemente accennati, quello del maggiore o minore grado di differenziazione all’interno di una stessa grande famiglia linguistica, quello della maggiore o minore unità territoriale, dei gruppi appartenenti ad una stessa grande famiglia linguistica, e quello di un posizionamento geografico più o meno settentrionale. Postulando che un maggior grado di differenziazione linguistica e frammentazione territoriale, siano conseguenza di una più remota divisione di gruppi umani affini, e che un loro posizionamento geografico settentrionale, sia conseguenza di un arrivo più recente, è possibile immaginare una successione di ondate migratorie, senza per questo tentare di definire le date certe con cui questa successione è avvenuta. Seguendo questa ipotesi possiamo passare in esame i diversi grandi aggregati linguistici, a partire da quelli più divisi e frammentati, e il cui riconoscimento è più discusso, prendendo in considerazione in primo luogo l’area di popolamento occidentale.

La famiglia linguistica Hoka Tra le intuizioni più rilevanti e più discusse di Sapir, c’è quella riguardante la costituzione del gruppo linguistico Hoka, che raccoglie gli idiomi parlati da tribù stanziate nelle zone marginali della valle californiana (Palahinihan, Yana, Shasta, Karok, Chimarico, Washo, Pomo, Esselen, Salinan), della bassa valle del fiume Colorado e del sud della Califonia (Yuman), della Baja California settentrionale (Cochimi), del Messico settentrionale (Seri) e centrale (Chontal); pur con alcuni distinguo, riguardante in particolare la lingua dei Seri, l’esistenza di un gruppo linguistico Hoka è ormai considerato un dato acquisito; non condivisa e non provata, è l’appartenenza al gruppo Hoka dei dialetti genericamente definiti Coahuiltecan (Cotoname, Comecrudo ecc.), oggi estinti, ma parlati un tempo in una vasta regione compresa tra il Texas meridionale e le zone settentrionali delle province messicane di Coahuilla, Nueva


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Leon, Tamaulipas; oggi non è nemmeno certo che quest popoli parlasssero lingue affini, ma volendo accettare una loro relazione con le lingue Hoka, tutto l’insieme è stato definito sotto l’unica denominazione di Hokalteco, anche se tale definizione è al momento incerta e discutibile. Le lingue Coahuiltecan, seppur esse possano essere considerate collettivamente, rimangono un mistero, così come la lingua dei Karankawa, che vivevano sulle coste del Texas e che forse ha una relazione con le lingue Coahuiltecan. Considerate un tempo gruppi isolate, le lingue oggi ricondotte al gruppo Hoka, sono fortemente differenziate, e l’individua- Diffusione delle lingue Hokalteche e dei gruppi collegati zione di una comune origine, rimanda ad un epoca molto lontana, certo alcune migliaia di anni prima dell’era cristiana, mentre la distribuzione piuttosto frammentata, può far pensare che in tempi remoti gli antenati dei popoli Hoka, si siano diffusi dalla California fino al Messico centrale e settentrionale, e che successive immigrazioni di altri popoli, li abbiano spinti ai margini di tale regione, isolandoli l’uno dall’altro e favorendo i processi di differenziazione. Per queste e altre considerazioni, molti studiosi ipotizzano che gli Hoka siano gli eredi dei primi gruppi che alla fine del pleistocene, si spinsero in America attraverso la via occidentale, che si snodava dalle sorgenti dello Yukon al bacino del Columbia. Ancor più antica potrebbe essere la presenza di alcuni popoli e lingue, che si è tentato di collegare al al gruppo Hoka (Yuki, Waicuru, Pericu, Chumash), la cui collocazione geografica, particolarmente periferica nel caso dei Waicuri e Pericu, e la cui mancanza di relazioni con altri gruppi, possono indurre l’ipotesi che si tratti di gruppi residui dei più antichi stanziamenti nel continente, precedenti all’arrivo delle genti di lingua Hoka. Nel complesso è possibile ipotizzare che le genti Hoka, e i gruppi ad esso collegati, siano forse i più antichi abitanti della California e delle regioni sud-occidentali, anche se è impossibile datare con precisione l’epoca del loro stanziamento. In epoca storica tutti questio gruppi vivevano in piccole comunità, con un modello di sussistenza basato su caccia pesca e raccolta, forse non troppo diverso da quello dei loro antenati.

La famiglia linguistica Macropenutian Analogamente alla grande famiglia Hoka, anche le lingue Penutian, sono state considerate per lungo tempo come gruppi isolati, anche se ormai è da tutti accertata l’esistenza di un gruppo linguistico Penutian, mancando l’accordo solo sulla sua effettiva estensione. Il primo riconoscimento di una relazione linguistica ha riguardato quattro lingue e relativi dialetti, parlati nella valle della California, nei bacini dei fiumi Sacramento e San Joaquin (Utian, Wintuan, Maiduan. Yokutian); successivamente a questo primo nucleo sono state aggiunte tre lingue parlate lungo le coste dell’Oregon (Yakonan, Siuslaw, Koosan) e le diverse lingue del Plateau (Shahaptian, Cayuse, Molala, Lutuam), diffuse sull’alto corso del Klamat river, nell’angolo nord-orientale della California e nella zone di confine tra gli attuali stati di Washington, Oregon, Idaho; più incerta l’attrbuzione a questa


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grande famiglia del Takelma parlato nell’Oregon meridionale e del Kalapooya, sempre in Oregon nella valle del Willamete, lingue a volte considerate tra loro collegate; c’è poi il Chinook, lungo il basso corso del Columbia e infine il gruppo geograficamente isolato degli Tsimshian, la cui lingua era parlato nel bacino del fiume Skeena, nella British Columbia. Alcuni studiosi avanzano anche l’ipotesi di un collegamento con lo Zuni del New Mexico, ipotesi che però al momento non ha trovato ne riscontri obbiettivi, ne molti sostenitori. Rispetto alle genti parlanti le lingue Macropenutian è abbastanza condivisa l’ipotesi che il gruppo califor- Diffusione delle lingue Macropenutian e dei gruppi collegati niano, considerato il più omogeneo, abbia raggiunto le sue sedi storiche in tempi relativamente recenti, e sicuramente successivi allo stanziamento Hoka, probabilmente intorno al 2.000 a.C. Forse portatori di una più avanzata tecnologia, i popoli Penutian occuparono le terre migliori, le valli fluviali e la baia di San Fancisco, spingendo ai margini gli Hoka e favorendo così il loro successivo isolamento e frazionamento. Se come è probabile i gruppi californiani provenivano da nord, dalle regioni del Columbia e dell’Oregon, questo fu probabilmente il centro di diffusione delle lingue Macropenutian, e in questa regione è possibile ipotizzare uno stanziamento degli antenati delle genti Penutian, in epoca poco successiva all’occupazione della California da parte dei popoli di lingua Hoka. In questa regione i diversi gruppi Penutian dovettero vivere in relativo isolamento, divisi in quattro zone, ognuna economicamente autosufficiente, al punto da non obbligare a grandi spostamenti per la sopravvivenza. La geografia della regione ci indica una zona costiera (Koosan, Siuslaw, Yakonan), la valle del Willamete (Kalapooyan, Takelma), il basso corso del Columbia fino a The Dalles (Chinook), e il corso del Columbia e dei suoi affluenti ad est di questa località (Plateau); va segnalato che queste due ultime aree lungo il fiume Columbia, costituirono per lungo tempo due zone diverse, caratterizzate da diverse opportunità economiche, in particolare dalla risalita o meno dei salmoni in primavera. Tale fenomeno fondamentale per l’economia dei popoli che vivevano lungo il fiume, pare si sia interrotto intorno al 6.000 a.C., quando in seguito ad un abbassamento del livello delle acque, dovuto forse a cambiamenti climatici, nella zona di Celillo falls si produsse un tale dislivello da impedire ai salmoni di risalire il fiume; fu così che nel corso del tempo i popoli a valle, di lingua Chinook, continuarono in uno stile di vita sedentario incentrato sul fiume e la pesca del salmone, mentre a monte, gli antenati dei gruppi del Plateau, furono obbligati a modificare i loro usi verso uno stile di vita seminomade ed una maggiore dipendenza dalla caccia e dalla raccolta. Intorno al 1.260 d.C. una frana permise una riduzione del dislivello, riaprendo la via ai salmoni e offrendo anche agli abitanti dell’interno le ricche risorse della pesca, ma nel frattempo i due gruppi che vivevano lungo il Columbia avevano da tempo cessato di mantenere relazioni, e preso strade diverse, anche nell’evoluzione della lingua. Forse questo stesso apocalittico evento può spiegare la presenza a nord del gruppo Tsimshian, di cui si sa solo che intorno al 1.000 a.C. era giunto nel bacino del fiume Skeena in British Columbia, ma di cui non conosciamo in alcun modo le vicende. Più difficile è spiegare in questo schema l’eventuale appartenenza dello Zuni alla famiglia Macropenutian, a meno di ipotizzare una separazione di questo gruppo in tempi ancor più remoti e un suo lungo e lento cammino verso le terre del New Mexico, dove sicuramente gli Zuni


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risiedevano da tempi antichissimi. Dal punto di vista culturale, i popoli di questo gruppo diedero vita a diversi adattamenti culturali, tanti quanti erano gli ambienti da essi occupati, dalle fertili terre californiane, alle fredde costa della Columbia Britannica, dalla ricca foce del Columbia, alle vallate delle Rocky Mountains, dimostrando una grande capacità di adattamento, e di utilizzo delle risorse disponibili, vegetali selvatici, mammiferi marini o il salmone che risaliva i fiumi, fino al bisonte, che una volta ottenuto il cavallo, alcuni di questi gruppi cacciavano spingendosi fin nelle lontane Grandi Praterie. Così se alcuni gruppi, come quelli della California rimasero ad un livello di cultura e sussistenza piuttosto semplice, altri, come i Chinook e gli Tsimshian, lungo la costa del Pacifico diedero vita a complesse società basate sulla sedentarietà, la pesca e il commercio, mentre altri ancora, come i Cayuse e i Palouse, eccelsero nell’allevamento dei cavalli e assunsero molti elementi culturali caratteristici dei nomadi delle Grandi Pianure, compreso il valore bellico, di cui i Nez-Percè diedero ampia dimostrazione, sotto la guida di capo Giuseppe.

La famiglia linguistica Uto-Azteco-Tanoan A differenza delle grandi famiglie linguistiche Hoka e Macropenutian, la cui esistenza ed estensione è ancora oggetto di discussione da parte di molti studiosi, molto minori sono i dubbi circa le effettive relazioni tra le lingue riconducibili alla grande famiglia Uto-Azteco-Tanoan, diffusa in gran parte dell’ovest del Nord America e del nord del Messico. Già alla metà dell’800 fu riconosciuta la relazione tra le lingue native parlate in una vasta regione, con centro nella zona del Great Basin, ed estesa dalle Rocky Mountains alla California meridonale. All’inizio del ‘900 gli studi di Kroeber, poi quelli di Sapir, dimostrarono incontestabilmente che questo gruppo di lingue, definito Shoshonean, dal nome della principale tribù del gruppo, era chiaramente collegato ad un altro gruppo di lingue e dialetti, parlato in Sonora e nel nord-ovest del Messico, a sua volta collegato alla lingua ampiamente documentata degli Aztechi, i dominatori del Messico centrale, vinti e sottomessi nella drammatica impresa di Luis Cortez. In tempi storici quindi, il gruppo Uto-Azteco era suddiviso in due grandi aree, ognuna rappresentata da molte lingue e dialetti: l’area Shoshonean del nord, con le lingue Hopi (nord dell’Arizona), Tubatulabal (valle del fiume Kern, California meridionale), Numic centrale (dalla Death valley e Owens valley in California, attraverso il Nevada centrale e il sud dell’Idaho, fino alle pianure del Wyoming e con un gruppo distaccato nel Texas), Numic meridionale (dal sud della California fino alle Montagne Rocciose del Colorado), Numic occidentale (dalla zona del lago Tahoe in California e Nevada fino all’Oregon e all’Idaho meridionale), e infine il Takic e il Cupan (Califonia medionale). Il secondo gruppo, meridionale, era diffuso principalmente in Messico con il Tepiman (dal fiume Gila in Arizona verso sud nel Messico nord-occidentale), il Taracahitic (Messico nordoccidentale), il Cora-Azteco (Messico centrale). In tempi storici i due sottogruppi Uto-Aztechi erano geograficamente divisi dagli stanziamenti recenti di genti Atapaskan, ma è molto Diffusione delle lingue Uto-Azteco-Tanoan in epoca storica


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probabile che prima che questi giungessero a sud nel XIV secolo, tutta la regione che si estende dal Grande Bacino, fino al Messico centrale, fosse abitato da genti Uto-Azteche. A queste lingue storicamente documentate vanno probabilmente aggiunte le lingue sconosciute di popoli del Messico settentrionale ormai estinti, e di cui ci sono rimasti solo i nomi (Toboso, Salinero, Lagunero ecc...) e poche e scarne notizie, e che oggi gli studiosi credono appartenere alla famiglia Uto-Azteca Il collegamento alla grande famiglia Uto-Azteca, delle lingue Tanoan e Kiowa, individuato dal Sapir, è oggi sostanzialmente accettato, anche se tale collegamento è certo più remoto. In tempi storici Tanoan e Kiowa, vivevano come gruppi separati, il primo nella alta valle del Rio Grande, il secondo nelle Grandi Pianure meridionali, ognuno con culture completamente diverse e senza alcuna relazione tra loro: i gruppi Tanoan infatti prima di stanziarsi nella valle del Rio Grande, risiedevano nella regione dei Four iCorners (Utah, Colorado, Arizona, New Mexico), mentre i Kiowa prma di migrare nelle pianure meridionali, vivevano molto più a nord, alle sorgenti del Missouri. Al gruppo Tanoan è forse possibile riferire anche alcuni popoli della media valle del Rio Grande e i misteriosi Jumano del Pecos, scomparsi alla metà del ‘700, ma la cui lingua forse era affine a quella dei popoli dell’alto Rio Grande. In generale è possibile affermare che la grande famiglia linguistica Uto-Azteco-Tanoan, rispetto a quelle Hoka e Macropenutian, si presenta come una realtà più uniforme e omogenea, anche dal punto di vista della distribuzione territoriale, cosa che può far ritenere più recente l’inizio del processo di differenziazione da una unità linguistica originaria. Probabilmente gli antenati delle genti Uto-Azteca e Tanoan-Kiowa, giunsero nell’ovest del Nord America in epoca successiva agli Hoka e ai Penutian, quando questi erano già insediati nella valle californiana, regione dalla quale gli Uto-Aztechi sono totalmente assenti. E’ quindi possibile ipotizzare che gruppi umani giunti nel nuovo continente attraverso la Cordigliera e il corridoio occidentale, abbiano poi proseguito verso sud lungo le pendici orientali della Sierra Nevada, stanziandosi in tutta la vasta regione oggi semidesertica del Great Basin, ma che un tempo era occupata dai resti di un gran numero di piccoli bacini, residui dei grandi laghi di epoca glaciale, e in cui quindi acqua e risorse alimentari erano più abbondanti di oggi. Gli antenati dei Kiowa-Tanoan, furono probabilmente l’avanguardia di tale colonizzazione dell’area, ma certamente essi si divisero ad un certo punto, in tempi comunque abbastanza recenti, visto il permanere delle evidenti somiglianze linguistiche. La divisione del gruppo Kiowa-Tanoan, avvenne forse in coincidenza con la crisi delle culture Anasazi nel corso del XV secolo; la cultura Anasazi si sviluppò nella regione dei “four corners”, e i Tanoan ne furono gli artefici.Fino a quell’epoca gli antenati dei Kiowa potrebbero essere stati coinvolti nella coeva cultura Fremont, sviluppatasi a nord di quella Anasazi, poi quando i cambiamenti climatici indussero le genti Tanoan ad abbandonare la regione e a spostarsi nella valle del Rio Grande, gli antenati dei Kiowa potrebbero aver preso la via del nord, e raggiunto la regione delle sorgenti del Missouri e dello Yellowstone, abbandonando l’agricoltura e tornando alla vita nomade. I Tanon sarebbero quindi rimasti agricoltori, divenendo i Pueblo storici, i Kiowa invece, acquisito il cavallo si sarebbero trasformati in cacciatori di bisonti, migrando a sud fino alle praterie del Texas. Gli Uto-Aztechi, la cui venuta nella regione fu probabilmente di poco successiva, vissero nella stessa area a est della Sierra Nevada fino ai tempi storici, ma di lì si irradiarono in tutte le direzioni: verso sud fino al Messico settentrionale e centrale, a ovest raggiungendo le Rocky Mountains e le pianure del Wyoming e dell’alto Missouri, a est nella California meridionale e sulla costa del Pacifico, a nord, fino al bacino del Columbia. Durante la loro espansione, modificarono il loro stile di vita in relazione all’ambiente, dando vita a modelli culturali diversi, dai poveri raccoglitori del Grande Bacino, alle culture agricole del Messico settentrionale, fino ai bellicosi Comanche delle pianure, e agli Aztechi, i guerrieri mercenari che si imposero come dominatori del Centro America. Tali migrazioni sembrano relativamente recenti, e sembra che dal Messico settentrionale i Migrazioni dei popoli Uto-Azteco-Tanoan


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popoli di lingua Uto-Azteca si spinsero a sud nei primi secoli dell’era cristiana; degli Aztechi, sappiamo che solo alla metà del XII secolo giunsero nelle terre che più tardi avrebbero dominato, e mentre da secoli il Messico era sede di culture avanzate e complesse, essi all’epoca erano un popolo nomade, con una predisposizione alla guerra e alla attività predatoria, che poi li avrebbe portati ad imporsi su tutti i popoli del Messico centrale. Questo ulteriore elemento non può che confermare l’ipotesi che le genti di lingua Uto-Azteca fossero ancora coinvolte in un movimento migratorio verso sud, solo poco prima della scoperta dell’America da parte degli Europei. In tempi relativamente recenti, tra il XIII e il XV secolo d.C, l’unità geografica dei popoli di lingua UtoAzteca, che andava dal Great Basin al Messico, fu spezzata dall’arrivo delle popolazioni di lingua Atapaskan, che si insediarono nel sud-ovest degli attuali Stati Uniti, dividendo il gruppo settentrionale da quello messicano. Altri cambiamenti avvennero in epoca storica, quando in seguito all’acquisizione del cavallo i Kiowa si spostarono dalle loro sedi alle sorgenti del Missouri alle praterie meridionali, così come fecero gruppi di Shoshone, poi conosciuti come Comanche, che dal Wyoming, raggiunsero il Texas. Kiowa e Comanche divennero così nomadi cacciatori di bisonti, rappresentanti della cultura delle Grandi Pianure.

L’area linguistica Mosan Per completare il quadro delle famiglie linguistiche presenti nell’area di popolamento occidentale, non rimangono che alcuni gruppi che è difficile considerare linguisticamente affini, anche se la contiguità territoriale e i frequenti contatti hanno forse prodotto una qualche contaminazione linguistica. Il principale tra questi gruppi è quello Salishan, il cui cuore geografico è nella vasta area compresa tra Puget Sound (stato di Washington) e le Rocky Mountains, ma che è diffuso lungo tutta la costa, dalla British Columbia fino a sud della foce del fiume Columbia; i dialetti Salishan sono divisi in due gruppi, della Costa e dell’Interno, con poche differenze. Come gli Uto-Aztechi, i Salishan occuparono un area geograficamente omogenea e le loro lingue sono evidentemente affini, elementi questi che inducono a pensare ad un loro stanziamento nella regione relativamente recente. Marginale è invece la diffusione delle lingue Wakashan, lungo la costa occidentale dell’isola di Vancouver, nella zona di capo Flattery (Washington) e sulla coste meridionale della British Columbia. Addirittura residuali possono essere definite le lingue del gruppo Chemakuan, parlate in due piccole aree della Olimpic Peninsula nello stato di Wahington. Sapir ed altri studiosi hanno ipotizzato che questi tre gruppi fossero collegati in una grande famiglia linguistica Mosan, ma oggi questa ipotesi ha poco credito, e più che di grande famiglia si preferisce parlare di area linguistica, sottolineando il fattore della contiguità geografica e culturale come spiegazione delle eventuali affinità. Sempre secondo Sapir, il gruppo Mosan era remotamente collegato al gruppo linguistico Algonquian, attraverso la lingua dei Kootenay, parlata su entrambi i versanti delle Montagne Rocciose, nella zona di confine tra British Columbia, Alberta, Montana, Idaho e Washington; anche l’ipotesi di una connessione tra lingue Mosan e Algonquian è Estensione dell’area linguistica Mosan ormai tramontata, anche se


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rimane forte la possibilità di lontane relazioni tra il Salishan e il Kootenay. Rinunciando alla teoria di una grande famiglia Mosan, non rimane che ipotizzare che gli antenati dei Chemakuan, Wakashan, Salishan e Kootenay, giunsero nella regione in epoche diverse, forse seguendo itinerari diversi e che non fecero parte di uno stesso flusso migratorio. Ciò che è certo è che il cuore della diffusione dei Salishan fu nelle regioni dell’interno, da cui essi avrebbero raggiunto la costa discendendo il corso dei fiumi, inserendosi tra le popolazioni Wakashan e Chemakuan di precedente stanziamento. Altrettanto certo è che i Kootenay, stanziati immediatamente a est dei Salishan, occuparono fino ai tempi storici, anche le pianure a est delle Montagne Rocciose; ammettendo una lontana relazione tra Salishan e Kootenay, possiamo ipotizzare che gli antenati di questi due gruppi si siano, spostati da una comune regione del nord, lungo vie diverse, i primi attraverso il corridoio della Cordigliera, i secondi a est lungo il corridoio del Mackenzie, fino a raggiungere le pianure dell’Alberta. I Salishan quindi colonizzarono la regione a ovest delle Rocky Mountains, man mano che la regione si liberava dai ghiacci, spostandosi lungo le valli dei fiumi Fraser e Columbia, fino a raggiungere le zone costiere. Tutta questa zona fu fin dai tempi più remoti la sede di una cultura differente rispetto ad altre aree, meno dipendente dai grandi mammiferi e più incentrata sulla pesca e la raccolta di frutti selvatici. Gli antenati dei Kootenay invece, probabilmente migrarono verso sud nelle Grandi Pianure appena liberate dal ghiaccio, vivendo come cacciatori di grande selvaggina, fin quando il progressivo ridursi della megafauna rese la sopravvivenza sempre più difficile, ed essi cominciarono a volgere il loro interesse verso le riparate valli montane e quindi verso le regioni a ovest delle Rocky Mountains, continuando comunque ancora, fino ai tempi storici, a visitare le Grandi Pianure, per cacciarvi il bisonte. Differente è il caso dei Wakashan e dei Chemakuan, stanziati all’estremità meridionale di quella via della costa, che quasi certamente fu una della strade d’accesso per i popoli che giunsero in America in tempi remoti, prima della fine del pleistocene; è certo è che quando i Salishan iniziarono a spostarsi nelle zone costiere, questi popoli già vi vivevano ed è molto probabile che essi fossero giunti nella regione in epoche ben più remote. Come l’area di popolamento occidentale, anche quella orientale vede la presenza di un gran numero di lingue e dialetti, ma in questo caso essi sono quasi tutti riconducibili a due sole grandi famiglie linguistiche, Macroalgonquian e Macrosiouan, riconosciute dalla maggior parte degli studiosi.

La famiglia linguistica Macroalgonquian La principale di queste grandi famiglie è quella Macroalgonquian, le cui lingue in tempi storici erano parlate in tutta la zona orientale del Nord America, dal Labrador al Golfo del Messico, e i cui gruppi più importanti sono l’Algonquian e il Muskogean; la relazione tra questi due gruppi è stata ipotizzata negli anni ‘60, del ‘900, e pur non accettata da tutti gli studiosi, ha ottenuo un buon riconoscimento; sulla base di questa ipotesi è stata abbandonata la precedente teoriae del Sapir, che considerava il Muskogean imparentato al Siouan. Ad oggi si ritiene che gli antenati dei popoli Algonquian e Muskogean abbiano popolato le regioni orientali dalla fine del pleistocene, dividendosi successivamente, quando gli antenati dei popoli Algonquian colonizzarono le terre del nord, nell’area dei Grandui Laghi. Il gruppo linguistico Algonquian è, insieme all’Atapaskan, quello con la più vasta diffusione in Nord America, le cui lingue erano in uso fino al XVII secolo, lungo la costa Atlantica, dalla Nova Scotia alla North Carolina (Abnaki, Delaware, Powhatan ecc...) , in gran parte del Labrador (Innu), nella zona tra la Baia di Hudson e i Grandi Laghi (Ojibway, Cree, Algonchino ecc...) e a sud di quest’ultimi (Potawatomi, Miami, Kikapoo, Sauk, Illinois ecc...). Cuore dell’area Algonquian fu certamente la zona Diffusione delle lingue Algonquian fino al XVI secolo a nord dei Grandi Laghi, da dove essi si sposta-


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rono verso sud in tempi recenti, probabilmente a partire dal XIV secolo, durante quella che viene chiamata “piccola età del ghiaccio”, che durò fino alla metà dell’800; in questo periodo un generale abbassamento della temperatura colpì l’emisfero settentrionale, e la zona a sud della Baia di Hudson, priva di barriere naturali, fu esposta ai rigori delle correnti artiche. Da quell’epoca gruppi Algonquian iniziarono a spostarsi verso sud lungo la costa Atlantica e oltre i Grandi Laghi, forse contribuendo al collasso, nel corso del XV secolo, della cultura dei popoli del Mississipi. Un ulteriore diffusione dei popoli di lingua Algonquian iniziò a partire dalla fine XVII secolo, in conseguenza del generale sommovimento prodotto dall’arrivo dei bianchi e dall’introduzione del commercio di pellicce, cosicchè tribù Algonquian raggiunsero a sud il fiume Tennessee (Shawnee) e a ovest le Montagne Rocciose, dall’alto corso del Saskatchewan a quello dell’Arkansas (Blackfoot, Atsina, Cheyenne, Arapaho). E’ ormai accertata la scoperta del Sapir di una remota connessione tra l’Algonquian e le lingue Ritwan, (Yurok, Wiyot) parlate da due piccole tribù della California settentrionale, gruppi probabilmente staccatisi dal corpo prncipale quando esso dimorava ancora nelle praterie del Canada, durante le migrazioni della fine del pleistocene, e da li spostatosi a ovest, forse lungo la valle del Columbia. Più dubbia è la relazione con l’estinto Beothuk, un tempo parlato nell’isola di Terranova, e forse in tempi ancora più remoti, lungo la costa atlantica dal New England a Terranova, prima che questa regione fosse occupata dagli Algonquian; anche nel caso dei Beothuk, qualora non risultassero provate relazioni con l’Algonquian, rimane in piedi l’ipotesi che essi fossero un gruppo residuale di un più antico flusso migratorio. Algonquian, Ritwan e forse Beothuk, sono riuniti in una aggregazione di lingue nota come Algic. L’altro importante gruppo linguistico di questa grande famiglia è quello Muskogean, le cui lingue sono parlate dai popoli stanziati a est del basso corso del Mississipi e a sud del fiume Tennessee, con l’esclusione della Florida e del sud della Georgia; diviso a sua volta in un gruppo di lingue orientali (Muskogee, Mikasuki, Alibamu) e in un gruppo occidentale (Choctaw, Chickasaw), il Muskogean costituisce il cuore del gruppo delle lingue del Golfo, di cui fa parte il Natchez (basso corso del Mississipi), e il Tunican (delta e basso corso del Mississipi, coste della Louisiana e del Texas orientale); molto più incerto è l’inserimento in questo gruppo del Golfo delle lingue Timucuan (Florida centrosettentrionale e sud della Georgia), con un gruppo distacato i Alabama (Tawasa), che alcuni studiosi hanno ipotizzato come anello di congiunzione tra Muskogean e Timucuan. Si è anche tentato di inserire nella grandefamiglia Macroalgonquian la lingua dei Tonkawa, del Texas centrale, ma in questo caso l’attribuzione non ha trovato riscontri sufficienti. Anche per i Tonkawa, come forse per i Timucuan, non si può escludere che questi popoli siano giunti nella regione in epoca molto più remota. Come già accennato è opinione largamente condivisa che gli antenati dei popoli parlanti lingue Macroalgonquian, siano i più antichi abitatori delle regioni boscose orientali, fin dal tempo in cui i ghiacci coprivano la regione dei Grandi Laghi. Giunti nella regione attravero il corridoio Yukon-Mackenzie e le praterie del Canada, questi gruppi si diffusero nell’ambiente vergine delle foreste orientali, dividendosi progressivamente all’epoca del ritiro dei ghiacci, quando molti gruppi iniziarono a spostarsi verso nord, al seguito della selvaggina nei territori liberati dai ghiacci. Questa divisione iniziò probabilmente intorno al V mellennio a.C, e il succes- Diffusione delle lingue Macroalgonchine e dei gruppi collegati in epoca storica


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sivo arrivo di popoli parlanti lingue Macrosiouan (I o II millennio a.C.), che risalendo il corso dell’Ohio si incunearono tra Algonquian e Muskogean, favorì sia la successiva differenziane linguistica, sia una ancor piu evidente differenziazione culturale, con gli Algonquian al nord, legati ad un modello di sussistenza arcaico, fortemente incentrato sulla caccia e parzialmente o totalmente nomade, e i Muskogean a sud, che forse subendo l’influenza dei nuovi venuti Macrosiouan, diedero vita a strutturate e complesse società agricole. Sia gli uni che gli atri, sarebbero divenuti i protagonisti di una lunga fase della storia del conflitto con gli Europei, dall’inizio del ‘600, fin oltre la metà dell’800, e nel corso di tale periodo un’altra e più repentina migrazione fu imposta ai popoli Muskogean, fin nelle terre a ovest del Mississipi, dove oggi la maggior parte degli appartenenti a queste tribù vive.

La famiglia linguistica Macrosiouan L’altra grande famiglia linguistica presente nelle regioni orientali è quella Macrosiouan, che raccoglie i gruppi linguistici Siouan, Caddoan, Iroquaian e Yuchian, con il Caddoan e l’Iroquaian tra loro più simili, al punto che taluni studiosi parlano di un unico gruppo Caddo-Iroquaian. A questi gruppi linguistici appartengono alcuni tra i popoli che hanno fatto la storia dei conflitti tra bianchi e indiani, come i Dakota, i Cherokee e gli Iroquois, ma oltre che per questa storia recente, questo gruppo è interessante per le vicende del Nord America precolombiano. Stanziati fino al XVI secolo in una vasta zona ininterrotta, che comprendeva gli affluenti occidentali del Mississipi (Caddoan, Siouan), il medio e alto Mississipi (Siouan), il bacino dell’Ohio e il San Lorenzo (Siouan, Iroquaian), il medio corso del Tennessee (Yuchian), i monti Allegheni e il Piedmont della Virginia e della Carolina (Iroquaian e Siouan), i popoli di questa grande famiglia occuparono il cuore della grandi foreste dell’est, dove si svilupparono le prime grandi culture agricole e le prime società stratificate. Le culture Adena, Hopewell che ebbero il loro centro nella valle dell’Ohio, e quella del Mississipi, che si susseguirono in queste regioni tra il 500 a.C e il 1.400 d.C, possono forse essere il frutto dell’avvicendarsi di questi popoli nella regione, in epoca certamente successiva a quello dei popoli di lingua Macroalgonquian; un arrivo forse relativamente recente, dopo un loro precedente stanziamento nelle zone a ovest del Mississipi, nelle Grandi Pianure. Questa ipotesi di una provenienza occidentale delle genti Macrosiouan, potrebbe supportare l’ipotesi del Sapir e di altri studiosi, che collegano le lingue Macrosiouan, alla lingua Keresan, parlata da alcune tribù Pueblo dell’alto corso del Rio Grande, nel New Mexico; tale relazione comunque, non ha ancora trovato sufficienti conferme. In questa famiglia il gruppo Siouan, è quello più importante ed esteso, suddiviso in vari sottogruppi: il gruppo delle lingue Catawba, che comprendeva le lingue parlate dalle tribù stanziate nell’attuale North Carolina, oggi sostanzialmente estinte, ma di cui ci è giunta una qualche documerntazione; un secondo gruppo tra l’alta valle dell’Ohio e il Piedmont della Virginia, lingue ad oggi totalmente estinte e scarsamente documentate Diffusione delle lingue Macrosiouan fino al XVI secolo


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(Tutelo, Moneton, Manhaoac ecc...); un terzo gruppo è il Dhegiha, parlato originariamente nella bassa e media valle dell’Ohio, da tribù che poi si spostarono a ovest del Missouri, dal basso corso del Niobrara fino a quello dell’Arkansas (Poncha, Omaha, Kansa, Osage, Quapaw); il quarto gruppo era il Chiwere, parlato originariamente nella regione tra il lago Michigan e il Mississipi, e in epoca storica suddiviso in diverse aree, nella zona di Green Bay sul lago Michigan (Winnebago), tra il Mississipi e il Missouri (Ioway), sul basso corso del Missouri (Oto, Missouri), sull’alto corso dello stesso fiume (Mandan); c’era quindi il Dakota-Assiniboin, inizialmente parlato nella zona dell’alto corso del Mississipi dalle tribù della Confederazione Dakota, successivamente diffuso in tutte le praterie settentrionali, dal Platte al Saskatchewan; infine l’Upsaroka, il più occidentale, originario probabilmente della regione a ovest dell’alto Mississipi, e parlato in tempi storici sull’alto Missouri (Hidatsa) e nella valle dello Yellowstone (Crow); un gruppo Meridionale, costituito dall’Ofo e dal Biloxi e parlato nella zona del basso Mississipi e sulle sponde del Golfo del Messico, si è costituito dopo il contatto con i bianchi e l’emigrazione e l’abbandono degli Ofo (o Mosopolea) e dei Biloxi, dell’alta valle dell’Ohio. Le lingue Iroquaian sono divise in tre gruppi, Settentrionale, Orientale e Meridionale; il gruppo Settentrionale, parlato dagli Iroquois, Huron ecc.., e quello Orientale, dei Tuscarora e altri gruppi minori, sono piuttosto simili, mentre il gruppo Meridionale, con la lingua parlata dai Cherokee, alle sorgenti del fiume Tennessee, si diversifica notevolmente. I popoli di lingua Caddoan che un tempo occupavano tutte le praterie orientali a sud del medio corso del Missouri, sono divisi in due gruppi principalli, quello meridionale a sud del basso corso dell’Arkansas (Kaddohadache, Hasinay, Natchitoche), e quello settentriobale, originariamente posto nelle Grandi Pianure centrali, tra il Red River e il Platte. Successivamente all’emigrazione nelle Grandi Pianure di popoli Siouan i Caddoan delle Grandi Pianure si divisero in più gruppi, le diverse tribù Wichita sul Red River, i Pawneee nella valle del Platte, dal fiume Loup a nord, fino al Republican a sud, e infine gli Arikaree sull’alto Missouri; la lingua degli Arikaree era parlata anche dagli Skidi, un gruppo storicamente legato ai Pawnee, mentre il gruppo dei Kikhay, che viveva tra il Trinity e il Red River, va considerato intermedio tra i Caddoan meridinali e quelli delle Grandi Pianure. Per completare il quadro vanno ricordati gli Adai e gli Eyeish, che vivevano a sud dei Caddoan meridionali e le cui poco documentate lingue, sono probabilmente riconducibili al Caddoan. Lo Yuchian è oggi una lingua estinta, ma fino all’arrivo dei primi bianchi esso era parlato nella zona del medio corso del Tennessee e nella valle del Cumberland, prima che la tribù si dividesse in due gruppi, uno che rimase nella regione originaria, l’altro che si spostò nella Florida settentrionale. Quasi certamente i popoli parlanti lingue Macrosiouan, giunsero nelle regioni orientali in tempi relativamente recenti, forse poche migliaia di anni prima dell’era cristiana, ed è probabile che in tempi più remoti essi si siano spostati a sud, lungo il corridoio Yukon-Mackenzie, fino a raggiungere le Grandi Pianure, occupandole nelle zone a nord del Red River. In questa area ai piedi delle Rocky Mountains, ed in particolare nella regione al confine tra New Mexico, Colorado, Texas, Kansas e Oklahoma, sono stati fatti i primi ritrovamenti di punte di lancia usate dai cacciatori arcaici di megafauna, circa 10.000 anni fa, testimonianze delle culture Clovis, Folsom e Plano. E’ probabile che alcune migliaia di anni fa, diversi gruppi abitanti nelle praterie meridionali, verificate le sempre maggiori difficoltà di rifornirsi di selvaggina, abbia iniziato a sperimentare le prime rudimentali pratiche agricole colonizzando le valli degli affluenti occidentali del Mississipi, fino a raggiungere in varie ondate la regione di confluenza tra Mississipi, Missouri, Ohio e Tennessee, dove l’ambiente potrebbe aver favorito lo sviluppo di tali pratiche. Da questa regione potrebbe aver preso le mosse una lenta colonizzazione verso est, lungo le valli dell’Ohio e del Tennessee, incuneandosi tra popoli Algonquian e Muskogean. Di questo movimento gli Iroquaian furono quasi certamente l’avanguardia, colonizzando le regioni orientali lungo la direttrice del fiume Ohio, fino alle sue sorgenti e ancora oltre, e più a sud lungo il Tennessee, fino ai monti Allegheni meridionali; secondo gli studi di alcuni linguisti, la divisione tra Cherokee, che vivevano alle Migrazione dei popoli di lingua Macrosiouan


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sorgenti del Tennessee, e il gruppo principale degli Iroquaian, che viveva più a nord, risalirebbe a circa il 1.500 a.C., e a quella data possiamo ipotizzare l’inizio dello spostamento a est degli Iroquaian, da una sede comune nella zona di confluenza tra Mississipi e Ohio. E’ a partire dal 500 a.C. che la valle dell’Ohio diviene centro d’irradiazione della cultura Adena, la prima tra le culture agricole delle regioni orientali, e questo può far legittimamente pensare che furono gli antenati degli Iroquaian a esserne protagonisti; a cio va aggiunto che la presenza degli Iroquaian nelle loro sedi storiche è considerata molto recente, e non ci sono Diffusione delle lingue Macrosiouan e Keresan in epoca storica prove che essi occuparono le terre intorno ai laghi Ontario e Erie, prima degli ultimi secoli del I millennio d.C., successivamente all’esaurirsi delle culture Adena e Hopewell. La possibilità che popoli Iroquaian siano stati presenti nelle regioni in cui tali culture si produssero e all’epoca in cui si produssero è quindi fondata. Gli Iroquaian erano linguisticamente imparentati con i Caddoan, da cui forse si separarono 4-5.000 anni fa, lasciandoli nelle pianure meridionali dove essi ancora vivevano in tempi storici; qui i Caddoan divennero i pionieri dell’agricoltura nelle terre dei bisonti, colonizzando le valli fluviali e costruendo un modello culturale rimasto quasi immutato fino a metà del XIX secolo, quando l’introduzione del cavallo fu il volano per lo sviluppo del nuovo modello culturale basato principalmente sulla caccia al bisonte e il nomadismo. Diverse furono probabilmente le vicende degli antenati dei Siouan, che forse non raggiunsero mai le pianure meridionali, seguendo invece il corso del Missouri fino alla confluenza con il Mississipi, zona in cui si insediarono, spingendo a est gli Iroquaian lungo la valle dell’Ohio; seguendo poi il corso dello stesso fiume gli antenati dei Siouan raggiunsero i monti Allegheni, e di li la costa Atlantica, negli attuali stati del North e South Carolina. Al loro arrivo più recente è forse collegato l’emergere della cultura Hopewell, che elaborò ed estese le innovazioni Adena, diffondendone l’influenza fino a tutto il bacino del Mississipi, alla costa Atlantica e al Golfo del Messico. La cultura Hopewell si sviluppò a partire dal I secolo a.C., avendo come centro le regioni abitate dai popoli di lingua Siouan, ed interessando anche i gruppi limitrofi, gli Iroquaian stanziati a est, i Muskogean a sud, e i Caddoan a ovest del Mississipi, venendo poi sostituita a partire dal X secolo dalla cultura del Mississipi, con forti analogie con le culture mesoamericane, che ebbe il suo centro fra i popoli Siouan stanziati sul medio Mississipi, ma si estese verso est fino ai monti Allegheni e a ovest fino alle praterie orientali. Alla vigilia dell’incontro con i bianchi i popoli Siouan erano l’elemento predominante nelle terre boscose orientali, organizzati in confederazioni intorno ad importanti centri rituali, con una società complessa e stratificata, erano stati gli artefici di un modello che si era esteso anche ai loro vicini meridionali, ma che all’inizio del XV secolo giunse al collasso per ragioni ancora non totalmente chiarite. Della cultura dei popoli del Mississipi rimasero limitate testimonianze ancora fino all’inizio del XVIII secolo, fra Muskogean del sud-est e soprattutto fra i Natchez del basso Mississipi, oltre che presso i gruppi meridionali Caddoan, mentre per i Siouan iniziava un nuovo periodo di migrazioni e della loro presenza nella valle dell’Ohio per più di due secoli non rimase traccia. A partire dalla fine del XV secolo, prima la crisi dei grandi centri rituali sul Mississipi, poi l’aggressività della Lega Iroquois scatenata nella competizione


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per il controllo del mercato delle pellicce, infine l’introduzione del cavallo che offriva nuove opportunità di sfruttamento delle vaste praterie occidentali, indussero i popoli Siouan a spostarsi a ovest, dando vita ad un nuovo processo migratorio che li avrebbe portati a colonizzare gran parte delle praterie, dal Saskatchewan all’Arkansas. Quasi impossibile provare a fare ipotesi sulle vicende più antiche degli Yuchi, scomparsi già alla fine del XVIII secolo, e di cui sappiamo solo che al tempo del contatto alla metà del ‘500, quando la spedizione di Hernando de Soto visitò le terre da loro abitate, erano un popolo potente, con una società complessa e forte propensione bellica; la stessa aggressività registrata in epoca successiva, quando gli Yuchi si divisero per raggiungere la Florida, combattendo sia contro i colonizzatori europei che altri gruppi tribali, fino giungere all’estinzione. Con le ultime due grandi famiglie linguistiche del Nord America, la Na-Dene e la Eskimo-Aleutina, giungiamo all’ultima delle grandi aree di popolamento, quella settentrionale, comprensiva dell’Alaska e di gran parte del Canada, tra la Baia di Hudson e la costa del Pacifico, oltre che di tutte le terre artiche, compresa la Groellandia e le coste settentrionali del Labrador. Quasi totalmente coperta dai ghiacci fino alla fine del Pleistocene, questa regione è ancora oggi tra le più inospitali del continente, e tra i popoli che vi risiedono è forse possibile trovare usi, abitudini e tecnologie che forse rimandano ai tempi delle migrazioni originarie. D’altra parte questi popoli sono certamente gli ultimi ad aver effettuato il passaggio dall’Asia all’America, e quindi i più lontani dal punto di vista genetico e linguistico, da quei primi colonizzatori da cui forse hanno ereditato alcuni elementi della loro cultura; è ormai quasi certo che questi popoli giunsero in America in due ondate migratorie diverse e successive, rispetto a quelle che popolarono inizialmente il nuovo continente, e tra questi popoli sono più evidenti le affinità linguistiche e somatiche con i popoli asiatici.

La famiglia linguistica Na-Dene In quest’area il gruppo più importante per quanto riguarda la sua diffusione in Nord America è quello che parla lingue e dialetti riconducibili alla famiglia linguistica Na-Dene; questa famiglia linguistica, individuata sempre dal Sapir, è incentrata intorno al grande gruppo Atapaskan, diffuso dall’Alaska al Messico, a cui sono collegate in modo più o meno remoto le lingue Eyak e Tlingit, parlate lungo la costa settentrionale del Pacifico e le isole prospicienti. Secondo molti studiosi, le lingue Na-Dene sono collegabili alle lingue parlata da alcune tribù ormai quasi estinte della regione del fiume Yennisei, nella Siberia centrale, e attraverso questo collegamento è possibile inserire le lingue NaDene in una più vasta rete di relazioni che coinvolge le lingue Caucasiche e SinoTibetane. Giunti quasi certamente alla fine dell’era glaciale nel nuovo continente, tra gli Diffusione delle lingue Na-Dene in epoca storica


8.000 e i 6.000 anni prima dell’era cristiana, gli Atapaskan si diffusero attraverso le valli dello Yukon e del Mackenzie, approfittando del progressivo ritrarsi dei ghiacci dalle vaste pianure a est delle Rocky Mountains e dalle vallate montane a ovest della grande catena, fino ad occupare tutta l’area tra la Baia di Hudson e la catena costiera occidentale. Ad una tale omogeneità territoriale, rimasta sostanzialmente inalterata fino a tempi recenti, fa da contraltare una chiaramente individuabile affinità linguistica, che ha permesso l’immediato riconoscimento di una comune origine, tra popoli che in tempi storici vivevano ai limiti estremi del Nord America. Infatti dalle regioni settenrionali, partire dal IX o X decimo secolo d.C., iniziò un movimento migratorio che portò le genti Atapaskan a colonizzare le terre meridionali, fino al nord del Messico. La presenza di gruppi Atapaskan nel sud della British Columbia (Stuwiamuk), lungo il basso corso del Columbia (Kwalhoquia, Clatskanie), nella zona di confine tra Oregon e California (Tolowa, Umpqua ecc...), fino alla California settentrionale (Hoopa, Kato ecc...), testimoniano di una corrente migratoria occidentale, che dalle sorgenti dello Yukon, attraverso le valli montane e il corso del Columbia portò gli Atapaskan fino in California. Più difficile è trovare le tracce della migrazione che portò gli Atapaskan nelle terre del sud-ovest, dal Texas all’Arizona, fino al Messico settentrionale; dalle differenze linguistiche tra le varie tribù che occupavano quest’area e possibile individuare due gruppi principali, uno occidentale (Navaho, Chiricahua, Mescalero ecc...) e uno orientale presente nelle pianure a est delle Rocky Mountains (Jicarilla, Lipan). E’ propabile che entrambi i gruppi originariamente vivessero nella regione del fiume Athabaska, viste le affinità linguistiche con le tribù di quell’area, e che si siano spostati a sud lungo le pendici orientali delle Rocky Mountanis, per poi dividersi una volta giunti nelle praterie del Wyoming. I gruppi occidentali potrebbero aver valicato i monti, continuando a spostarsi a sud fino alla regione dei Four Corners (Coloradoi, Utah, New Mexico, Arizona), raggiunta forse nel XII e XIII secolo, dove in base alle testimonianze archeologiche della cultura Anasazi, a quell’epoca sembrano fare la loro comparsa bande di nomadi aggressivi e bellicosi. Il movimento migratorio degli Atapaskan, continuò verso sud fino a raggiungere gli stati messicani di Sonora e Chihuahua. Più scarse sono le testimonianze della migrazione che si svolse a est delle Rocky Mountains, anche se è certo che questi gruppi Atapaskan furono gli abitanti delle Grandi Pianure occidentali prima che l’introduzione del cavallo permettesse lo sviluppo della cultura basata sulla caccia al bisonte. Dalle cronache dei primi esploratori Spagnoli e Francesi, sappiamo che gruppi Apache, riconducibili ai Lipan e ai Jicarilla storici, occupavano le pianure occidentali, dal corso del Platte fino al Rio Grande, fino a quando, all’inizio del ‘700, l’invasione dei Comanche non li obbligò a ritirarsi ai margini del loro territorio; un altro gruppo Atapaskan (Kiowa-Apache), negli stessi anni era stanziato tra l’alto corso del Missouri e il Saskatchewan, da dove, alla fine del ‘700, insieme ai Kiowa si spostò a sud fino a raggiungere il fiume Canadian, nell’attuale Oklahoma; ancora in tempi recenti i Sarsee, abbandonarono le foreste settentrionali, per spostarsi nelle pianure lungo l’alto corso del North Saskatchewan, dove acqisirono la cultura dei cacciatori di bisonti e divennero alleati dei Blackfoot. Dalle fredde tundre sub-artiche, agli aridi deserti del sud-ovest, fino alle pianure dei bisonti e alle ricche coste della California, i popoli Atapaskan, tra gli ultimi colonizzatori del continente, sono probabilmente la testimonianza vivente di un processo di adattamento ai più diversi ambienti, simile a quello avvenuto in epoche più remote per tutti i popoli che li avevano preceduti. Le altre lingue del gruppo Na-dene non hanno la stessa diffusione dell’Atapaskan e sono parlate solo lungo la costa settentrionale del Pacifico; probabilmente gli antenati dei popoli Tlingit ed Eyak, giunsero nel nuovo continente nello stesso periodo degli Atapaskan, ma si separarono da essi subito, spostandosi a sud lungo la via costiera. Gli Eyak, un piccolo gruppo che viveva sulle coste dell’Alaska a sud della foce del fiume Copper, sono quelli la cui relazione con gli Atapaskan è più certa, i Tlingit che vivevano più a sud, lungo la costa me- Migrazione dei popoli Atapaskan dopo il IX sec. d.C.


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ridionale dell’Alaska, sono anch’essi ritenuti quasi certamente imparentati con gli Atapaskan. Al gruppo NaDene era un tempo attribuita anche la lingua degli Haida, parlata sull’arcipelago della Regina Carlotta, ma oggi è quasi certo che queste isole furono colonizzate in tempi molto più remoti, forse più di 10.000 anni fa, quando esse erano ancora collegate alla terraferma, e che quindi gli odierni Haida, pur avendo una cultura simile ai popoli limitrofi, siano etnicamente e linguisticamente diversi .

La famiglia liguistica Eskimo-Aleutina Diffusione dei popoli Atapaskan fino al XVII secolo

L’ultima delle grandi famiglie linguistiche del Nord America è quella Eskimo-Aleutina, il cui gruppo principale, quello Eschimese, comprendente i vari dialetti Inuit, parlati in tutta la zona artica del continente, dalle coste settentrionali dell’Alaska, al Labrador, fino alla Groellandia, e il gruppo minore dei dialetti Yupich, parlati dagli abitanti della costa occidentale dell’Alaska. L’altra lingua, quella Aleutina, era parlata da un piccolo gruppo di tribù che risiedeva sulle isole Aleutine e nella penisola di Alaska. Quasi tutti gli studiosi sono certi di una qualche relazione delle lingue Eskimo-Aleutine con quelle Euroasiatiche, ma le opinioni sono divise rispetto all’individuazioni di relazioni precise, e in generale l’Eskimo-Aleutino viene assimilato al gruppo Paleosiberiano, una famiglia linguistica che raccoglie alcuni gruppi dell’estremo oriente siberiano, della Manciuria, e del nord del Giappone (Ainu). Ciò che è certo è che i popoli Eschimesi e Aleutini, furono gli ultimi a raggiungere il nuovo continente, non oltre il 6.000, forse solo il 3.000 a.C., e alcuni gruppi eschimesi hanno continuato a mantenere rapporti con le terre asiatiche e a risiedervi stabilmente. I popoli di lingua eschimese, hanno prodotto modelli culturali assolutamente originali rispetto agli altri popoli del Nord America, i loro contatti con i vicini Atapaskan e Algonquian furono scarsi e abitualmente ostili, quindi usualmente essi non vengono assimilati dal punto di vista etnologico agli altri popoli del continente. Anche le loro vicende storiche sono diverse, dato che la lontananza e soprattutto l’estrema inospitalità dei loro territori, li ha in buona misura salvaguardati dal traumatico impatto con il mondo dei bianchi; ciò purtroppo non è più vero ai giorni nostri, dato che gli interessi delle grandi imprese minerarie oggi non temono di misurarsi con gli ambienti estremi dell’Artico; le imprese minerarie dovranno comunque vedersela con i combattivi Inuit, il cui impergno a difesa della loro terra oggi li fa trovare al fianco dei loro vecchi nemici delle terre del sud. Diverso il destino dei popoli Aleutini, che venuti a contatto con i mercanti di pelli russi nella seconda metà del ‘700, nel giro di pochi decenni furono decimati dalle malattie, poi dopo alcuni conflitti furono in gran numero impiegati nella Compagnia Russo-Americana delle pelliccie, convertiti al cristianesimo ortodosso e costretti a rinunciare a molti aspetti della loro cultura tradizionale.

I popoli Caraibici della Florida meridionale Un ultima notazione va fatta riguardo ad alcune lingue e dialetti tribali parlati da popoli ormai estinti della Florida meridionale: pur in mancanza di documentazione certa, dalle testimonianze dei primi mis-


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sionari e colonizzatori Spagnoli pare accertato che questa regione fu abitata da tribù (Ais, Tekesta, Calusa, Mayuca ecc.) che culturalmente e probabilmente anche dal punto di vista linguistico, risultano affini agli abitanti delle vicine isole Caraibiche. Queste isole al tempo del contatto erano occupate da genti di lingua Taino, provenienti dalle coste del Sud America in tempi relativamente recenti, sicuramente successivi al manifestarsi delle prime culture caratteristiche della Florida meridionale; ciò significa che una possibile connessione tra genti della Florida meridionale e popoli Caraibici, va quindi cercata con quelle genti come i Guanajatebey che occupavano Cuba e le Antille prima dei Diffusione delle lingue Caraìbiche in Nord America Taino, e che al tempo di Colombo erano relegate nella parte occidentale dell’isola di Cuba, proprio di fronte alla costa della Florida. Stante l’estinzione sia del Guajatebey che delle genti della Florida, già due secoli dopo il contatto, ogni ipotesi risulta comunque difficile da dimostrare. Da questa sommaria panoramica, possiamo dedurre che già in epoca remota, quasi certamente dal tempo della migrazione alla fine del pleistocene, almeno cinque significativi raggruppamenti umani, mossero dalla Beringia, con tempi e modalità diverse, e che tali gruppi umani non avevano relazioni linguistiche con quelli che li avevano preceduti, e che alla fine del pleistocene avevano già raggiunto le regioni del Sud America, forse lasciando dietro di se piccoli gruppi, alcuni dei quali potrebbero aver mantenuto una propria specificità linguistica, di cui il permanere fino ai tempi storici di lingue isolate e senza relazioni con le grandi famiglie, potrebbe essere testimonianza. Possiamo quindi supporre che alla fine del pleistocene il Nord America fosse già abitato da genti parlanti lingue e dialetti riconducibili a quelli storici, che le regioni occidentali, a ovest delle Rocky Mountais, avessero già visto l’arrivo di almeno tre gruppi di popolazioni: quelle di lingua Hoka, stanziatesi nella valle californiana e a sud lungo la costa del Pacifico, fino al Messico; a nord degli Hoka, nel bacino del fiume Columbia, con la tendenza a spingersi a sud nella valle Californiana, le popolazioni di lingua Penutian; a est di questi due gruppi, tra la Sierra Nevada e le Rocky Mountains, le popolazioni del gruppo Uto-Azteco-Tano, che progressivamente si sarebbero spinte a sud, fino a colonizzare gran parte del Messico. La regione orientale, nello stesso periodo era probabilmente occupata da due gruppi di popolazioni diverse, i Macroalgonchini, nelle regioni forestali a est del Mississipi e a sud dei Grandi Laghi, e i Macrosiouan, nelle pianure centrali, tra il Missouri e il Red River. Le terre del nord, ancora in gran parte ricoperte dalla coltre glaciale, vedevano il primo apparire degli antenati dei popoli di lingua Na-Dene, la cui presenza nel Nuovo Continente non data a prima dell’8.000 a.C. Questa ricostruzione, certamente difficile da provare e documentare, ma coerente con i dati conosciuti, ci permette di tentare di ricostruire un percorso a ritroso dei popoli e delle tribù storiche, legando in percorso coerente le genti remote che ci hanno lasciato testimonianze della loro esistenza con i primi manufatti litici, ai popoli preistorici che costruirono le prime grandi culture del Nord America, fino alle tribù storiche il cui nome evoca la l’epopea del West.


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I PALEOINDIANI Il Nord America alla fine del Pleistocene Il percorso che portò alla colonizzazione del Nord America, pur iniziato decine di millenni fa, ebbe il suo passaggio più significativo alla fine del pleistocene, circa 12.000 anni prima dell’era cristiana, in una fase in cui lo scioglimento dei ghiacci diede il via in tutto il gllobo a grandi trasformazioni, che riguardarono non solo le vicende della storia umana, ma la storia stessa della vita sul pianeta. In tal senso la colonizzazione umana del Nord America, fu solo un’aspetto, seppur il più importante e probabilmente drammatico, di un più vasto processo che alla fine dell’Era Glaciale, determinò grandi cambiamenti ambientali, e conseguenti trasmigrazioni da un continente all’altro di gran parte dei grandi mammiferi del pleistocene; l’uomo, come predatore apicale, fu solo l’ultimo anello di una serie di relazioni interdipendenti, che riguardarono tutte le specie viventi, e in particolare la megafauna a quell’epoca popolava il pianeta. Il termine megafauna è usato perchè il pleistocene rappresentò certamente il periodo in cui le varie specie di mammiferi, raggiunsero le dimensioni maggiori, al punto che l’elefante africano, il più grande tra i mammiferi terrestri attuali, non può nemmeno competere con le specie più grandi di mammuth che ne furono l’antico parente. Questa megafauna era rappresentata in America da molte specie oggi estinte e da altre che ancora sopravvivono ma di dimensioni minori: mastodonti dalle grandi zanne, il cervalce, con corna simili a quelle del cervo e struttura e dimensioni di un alce, cammellidi simili ai dromedari, orsi giganteschi, megateri, antenati dei bradipi, lunghi fino a 6 metri, gliptodonti che ricordavano gli armadilli, ma erano lunghi 3 Esemplari della megafauna del pleistocene


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metri e alti un un metro e mezzo, felini simili ai ghepardi, grandi tigri dai denti a sciabola, leoni americani più grandi di quelli africani, canidi come il terribile canis dirus, castori di grandi dimensioni e progenitori dei cavalli; buoi muschiati, pecore e capre selvatiche, una grande varietà di antilocapre, pecari, tapiri, opossum e tanti altri mammiferi di piccola taglia completavano il quadro di un ambiente che certo fu il paradiso dei cacciatori. Alcune di queste specie, migrarono verso l’Asia, come i cammelli, che lasciarono dietro di se i lama e gli altri cammellidi andini, o i cavalli che invece scomparirono totalmente dall’America. Altre specie, come il mammut lanoso, la renna e altri cervidi, il lupo grigio, il bisonte, fecero il percorso inverso, guidando le bande di cacciatori umani oltre le terre della Beringia; il bisonte, la cui specie più antica era di taglia maggiore di quella attuale, nel nuovo continente trovò un ambiente talmente favorevole da evolvere in una specie ancora più imponente, il bisonte dalle grandi corna, che popolò il Nord America fin quando i predatori umani non lo portarono all’estinzione. Tutta questa varia e ricca fauna era distribuita in un ambiente non molto diverso da quello attuale, ma estremamente più lussureggiante. A sud delle due calotte glaciali, in una vasta fascia che andava dall’Atlantico al Pacifico, ad una latitudine poco a sud dell’attuale confine tra Canada e Stati Uniti, l’ambiente era quello della tundra artica, ma una tundra con caratteristiche diverse da quella attuale, a causa della diversa latuitudine; attualmente la tundra artica si estende a latitudini elevate, dove il ciclo solare, è condizionato oltre cha da estati brevi, dalla stessa brevità delle giornate, e quindi risulta insufficiente per lunghi periodi a garantire lo sviluppo di vegetali, e quindi il sostentamento di grandi mandrie di erbivori; diversamente a quell’epoca l’ambiente della tundra, con il sole tutto l’anno e grande abbondanza di acqua, permetteva la crescita di rigogliose praterie, che alimentavano un gran numero di erbivori e conseguentemente dei loro predatori. Furono queste praterie, fredde ma con estati calde, l’ambiente in cui giunsero le bande di cacciatori umani, alla fine del loro lungo peregrinare, e in questo ambiente, in cui l’uomo era stato fino a quel momento una presenza assolutamente marginale, essi trovarono il loro paradiso. A sud della tundra, un’altra fascia si estendeva dall’Atlantico al Pacifico, ricoperta di foreste di conifere, con un ambiente simile, seppur più rigoglioso, a quello della taiga canadese. Ancora a sud di questa zona, lungo quelli che sono gli Stati Uniti meridionali e il nord-ovest del Messico, l’ambiente era diviso in tre aree simili a quelle attuali: in quelli che sono gli attuali stati del sud-est degli Stati Uniti, dalla Louisiana alla Georgia, prevalevano le foreste decidue tipiche dei climi temperati, più a ovest in quello che è oggi il Texas e l’Oklahoma, si estendevano grandi praterie e savane di erba alta, e infine l’attuale sud-ovest, oggi come allora era l’area più povera, data la scarsità COPERTURA di precipitazioni causata dalle catene GLACIALE montuose che le circondano, ma complessivamente più ricche di acqua a causa degli estesi ghiacciai che ricoprivano le alte quote delle Rocky Mountains, della Sierra Nevada e della Sierra Madre, e quindi TUNDRA con una più ricca vegetazione di arFORESTE busti e di boschetti di pini; in FORESTE DI CONIFERE MISTE quest’area, quella che oggi è la regione semidesertica del Great Basin, FORESTE STEPPE E era punteggiata da un gran numero MISTE SAVANE ARBUSTI di laghi, residuo dei grandi bacini lacustri dell’era glaciale. Questo era l’ambiente naturale che accoglieva le FORESTE EQUATORIALI orde di cacciatori nomadi che si spAmbienti e vegetazione in Nord America alla fine del pleisocene ingevano a sud.

Clovis: la prima tecnologia americana E’ in questi ambienti, a partire da 13.500 anni fa, che possiamo ricostruire la storia dei popoli nativi del


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Nord America; questi antenati degli indiani, abitualmente definiti “paleo-indiani”, non costituivano ovviamente una popolazione omogenea, avevano compiuto la migrazione in gruppi separati, parlavano lingue diverse, ma presumibilmente dovevano condurre uno stile di vita relativamente simile, tenendo conto che vivevano delle medesime risorse, la caccia ai mammiferi, grandi e piccoli, di cui il territorio abbondava, e con le stesse modalità, un nomadismo casuale i cui spostamenti erano determinati dallo spostamento delle mandrie, o più semplicemente dalla necessità di inseguire una preda ferita, fino a quando spossata, non poteva essere finita dai cacciatori. Proprio l’attività venatoria è quella che ci da una prima chiara testimonianza non solo della presenza di questi paleo-indiani, ma soprattutto delle loro abilità tecniche e delle loro capacità di produrre re- Punte di lancia Clovis (circa 10.000 a.C.) lazioni tra diversi gruppi umani; tale testimonianza è data dalle punte Clovis, dal nome della località del New Mexico dove questi reperti furono per la prima volta trovati. Si tratta di punte di lancia dalla fattura originale che richiedevano una notevole capacità tecnica; le punte Clovis sono abilmente scheggiate lungo le lame e su entrambe le facce, hanno la base concava e presentano una scanalatura lungo l’asse centrale, che favoriva l’inserimento su un supporto di legno. Non sappiamo dove per la prima volta vennero fabbricate queste punte, ma è certo che in un lasso di tempo relativamente breve, tra i 13.500 e i 12.000 anni fa, questa tecnica si diffuse in quasi tutto l’attuale territorio degli Stati Uniti, con una maggiore presenza nelle zone ad est delle Rocky Mountains, e nelle pianure dell’Alberta in Canada, a indicarci sia una presenza umana numericamente significativa, sia una rete di relazioni vasta e certamente facilitata dal nomadismo. Le punte Clovis non sono state trovate nel Canada settentrionale e in Alaska, lungo quella che avrebbe dovuto essere la via attraverso cui i paleo-indiani migrarono, ed è quindi possibile che tali oggetti siano stati il primo manufatto integralmente prodotto con tecnologie e conoscenze americane. Ogni scoperta tecnologica presuppone l’utilizzo di una quota di tempo ed energie, oltre ad un minimo di specializzazione, che sono abitualmente il frutto di un miglioramento delle condizioni di vita; una condizione quindi, in cui la ricerca del cibo non sia un assillo tale da impedire all’individuo di dedicarsi ad attività che prevedono la sperimentazione, gli eventuali fallimenti, ma che alla fine producono un miglioramento complessivo delle condizioni di vita. In tal senso le punte Clovis rappresentano il primo successo dell’uomo nell’adattamento al Nuovo Continente. Oltre alla sua capacità di lavorare la pietra per produrre lame e punteruoli, il cacciatore paleo-indiano poteva certamente contare sull’aiuto del cane, che addomesticato in Eurasia, accompagnò l’uomo nel corso della sua migrazione, unico animale addomesticato del Nord America. A parte queste semplici elementi, poco sappiamo di questi paleo-indiani di cultura Clovis: erano sicuramente cacciatori efficienti di grande selvaggina, in particolare mammut e mastodonti, ma certamente essi rivolgevano la loro attività venatoria ad ogni altra possibile preda, dai grandi bisonti fino ai mammiferi di piccolsa taglia; più difficile è trovare testimonianza certa di attività di raccolta di vegetali selvatici. Sicuramente i vegetali selvatici erano una risorsa utilizzata quando se ne presentava l’occasione, ma non sono state trovate tracce di macine di pietra o altri oggetti tipici delle culture di raccoglitori; d’altra parte il nomadismo basato sulla raccolta, ha carattere ciclico, prevede la conoscenza profonda di un territorio definito, in modo di permettere la presenza in un luogo, nel preciso momento in cui in quel luogo il ciclo dei vegetali mette a disposizione frutti, semi o radici, e tale nomadismo non necessariamente coincide con quello legato allo spostamento e alle migrazioni dei mammiferi. Anche della possibilità di conservare la carne delle prede seccandola non c’è alcuna traccia, mentre questa tecnica sembra essere nota ai paleoindiani di epoca successiva; ciò ovviamente implicava che anche l’abbattimento di una grande preda, non poteva garantire il sostentamento che per un tempo limitato, obbligando i cacciatori e le loro famiglie alla ricerca di altra selvaggina. I cacciatori Clovis usavano certamente le pelli degli animali predati per ripararsi dai rigori del clima, ma nulla sappiamo delle tecniche eventualmente in uso per l’utilizzo di tali pelli. Eguale assenza di in-


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dizi riguarda l’uso di capanne e ripari, e quasi certamente il ricovero migliore era rappresentato da caverne durante i mesi più rigidi e da semplici ripari di frasche e pelli durante i periodi più caldi. L’organizzazione sociale doveva probabilmente essere simile a quella ancora presente fra alcuni popoli nativi in tempi storici, bande di non più di poche decine di individui, una famiglia estesa incentrata su due o più fratelli, i loro figli, le loro donne e gli anziani in grado di seguire il gruppo negli spostamenti. All’interno di simili gruppi, in cui quasi certamente si praticava una limitata poligamia, doveva essere difficile se non impossibile per un giovane uomo trovare una donna con cui accoppiarsi, e probabilmente la necessità di scambi matrimoniali era la principale occasione di relazione tra le diverse bande famigliari che vagavano su uno stesso territorio, anche se il ratto delle femmine poteva rappresentare una opportunità. La collaborazione nella caccia in presenza di un gran numero di prede, probabilmente si accompagnava ad una violenta concorrenza nei periodi di penuria, e ovviamente la comunanza o l’affinità linguistica, favoriva la possibilità di relazioni amichevoli, piuttosto che lo scontro violento. Possiamo ipotizzare che questi gruppi umani avessero un loro embrionale complesso di credenze diverso da un gruppo all’altro, primi elementi di shamanesimo, ma ovviamente di ciò non resta traccia; il culto legato ai defunti, che è quello che attraverso tombe e sepolture lascia più evidenti testimonianze, manca di riscontri. La scarsità di ritrovamenti di ossa umane, potrebbe far pensare che i morti fossero semplicemente abbandonati e divenissero cibo per i predatori, anche se va notato che ancora in epoca storica, molti gruppi nativi lasciavano esposti i loro morti su alberi o in fenditure della roccia, usanza che determina la dispersione e la perdita dei resti ossei. La cultura Clovis (conosciuta anche come Llano) durò per poco più di un migliaio di anni da 13.500 a 12.000 anni fa e la sua fine coincise con un nuovo, veloce e relativamente breve cambiamento climatico. Poco meno di 12.000 anni fa , dopo un lungo periodo di aumento climatico e di ritiro dei ghiacci, le condizioni peggiorarono notevolmente in tempi molto brevi, forse nel gioro di pochi anni, in tutto l’emisfero settentrionale. Definito “Younger Dryas”, dal nome di una pianta la cui presenza è stata considerata un’indicatore delle mutate condizioni, questo periodo vide un generale abbassamento delle temperature, dovuto a un ridotto influsso della Corrente del Golfo nel Nord Atlantico; secondo alcuni studiosi tali cambiamenti ebbero la loro origine proprio in Nord America, nella regione attualmente corrispondente al Minnesota e alle zone mitrofe, lungo il margine meridionale della calotta glaciale Laurenziana. In quet’area lo scioglimento dei ghiacci aveva formato un immenso lago (lago Agassiz), limitato a est dalla stessa calotta glaciale, il cui scioglimento rompendo l’argine di ghiaccio, portò al riversarsi di un immensa quantità di acqua dolce e fredda, prima nella zona degli attuali Grandi Laghi, quindi attraverso la valle del San Lorenzo, nell’Atlantico settentrionale, determinando quindi il modificarsi della temperatura della Corrente del Golfo, il conseguente ridursi del suo influsso mitigante nelle aree atlantiche del Nord America e dell’Europa, e quindi il modificarsi delle relazioni tra le grandi correnti oceaniche. Lo stress determinato dai cambiamenti climatici, a cui certamente si aggiunse la accentuata pressione venatoria dell’ultimo millennio, furono certamente causa dell’inizio del processo di estinzione della megafauna a partire da alcune specie più importanti, quali mammut e mastodonti, cammelli, cavalli, leoni americani, tigri dai denti a sciabola ecc...; altre specie scomparirono o lentamente declinarono evolvendo nelle più piccole specie attuali, in conseguenza della competizione con specie simili, ma più adattabili, giunte come l’uomo dall’Eurasia in tempi recenti: fu questo il caso del gigantesco orso dalla faccia corta, che subì la concorrenza dell’orso bruno europeo, e del canis dirus, a cui toccò competere con il lupo. Cambiamenti climatici, pressione venatoria umana, competizione fra specie diverse, molti furono i fattori che modificarono dras- Ipotesi sulla fase Younger Dryas


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ticamente l’ambiente del Nord America, determinando la crisi delle prime culture paleoindiane riconducibili al modello Clovis. La fase Younger Dryas si esaurì circa 10.500 anni fa, quando il clima ritornò a scaldarsi e il processo di deglaciazione riprese definitivamente.

Folsom: adattamenti e differenziazioni La fine della cultura Clovis, durante il periodo Younger Dryas, non aveva comunque determinato un significativo calo demografico della specie umana in Nord America, quanto un suo diverso modello di adattamento, probabilmente più aderente ai diversi contesti ambientali. Anche in questa fase a guidarci nel tentare di comprendere la vita dei Paleoindiani sono in primo luogo le punte di lancia, di cui ci sono abbondanti testimonianze negli Stati Uniti e nelle pianure centrali del Canada. Ancora una volta il primo ritrovamento di questo nuovo tipo di punte di lancia fu fatto nel New Mexico orientale, nella località di Folsom, da cui in generale prese nome questa nuova fase della cultura paleoindiana, ma dopo ulteriori ricerche è ormai chiaro il modello Folsom fu solo una delle diverse espressioni in cui evolvette e si articolò la cultura Clovis. Le punte di lancia Folsom e quelle coeve di altre località, mantengono le caratteristiche base delle Clovis, in particolare la scanalatura centrale, ma cominciano a differenziarsi da una località all’altra, evolvendo nella tecnica, in alcuni casi fin quasi ad assumere le caratteristiche di un prodotto artistico. Il progressivo differenziarsi delle tecniche fu certamente la conseguenza Modello di punta Folsom di un modificarsi delle forme di nomadismo, a loro volta conseguenti al modificarsi della quantità e della distribuzione delle risorse alimentari dovuto ai cambiamenti avvenuti. Le punte Folsom sono state ritrovate in tutta la regione delle praterie centrali, oltre che nella parte meridionale del territorio a ovest delle Rocky Mountains, dove sono però meno diffuse, mentre nelle zone boscose orientali, sono state ritrovate varianti del modello Clovis diverse dalle Folsom, e ognuna tipica di una più ristretta area: Cumberland, nella regione del fiume Tennessee, Dalton a sud del basso corso dell’Arkansas, Gaineys a nord del fiume Ohio, Simpson-Suwanee in Georgia e Florida ecc... Ma le differenze nella produzione delle punte non sono le uniche riscontrate dagli archeologi; ben più significativa è la caratteristica dei siti in cui tali punte sono ritrovate, che mostrano come inizino a prodursi modelli di sussistenza diversi. In molti siti delle pianure le punte sono ritrovate insieme a importanti resti di ossa di bisonti, ad indicare che tali luoghi erano stati utilizzati per la macellazione di animali, mentre nelle zone forestali dell’est, le punte sono state trovate insieme ad altri reperti litici non direttamente legati alla caccia, che segnalano la presenza di piccoli accampamenti provvisori. E’ possibile che la fine della megafauna e il ridursi della selvaggina abbia avuto impatti diversi nei diversi ambienti: così nelle foreste orientali, la riduzione delle grandi prede, potrebbe esser stata compensato dalla maggior varietà di risorse, vegetali, ittiche e prede di piccola taglia, e che ciò abbia determinato un modello di nomadismo più ciclico, con il periodico ritorno in alcuni luoghi di accampamento, un maggior legame con un Mappa dei ritrovamenti di punte Folsom territorio definito ed una conseguente carat-


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Punte scanalate delle foreste orientali, coeve al modello Folsom: da sinistra, Dalton, Cumberland, Gaine, Suwanee

terizzazione delle tecniche in uso in uno specifico ambito locale. Al contrario l‘ambiente delle pianure, offrendo una minor varietà di risorse, obbligò le bande nomadi ad una maggiore specializzazione nella caccia ai grandi mammiferi, in particolare il bisonte, che proprio in questo periodo diviene la preda principale. E’ probabilmente in questo periodo che la caccia al bisonte assume caratteristiche che permarranno fino in epoca storica: quasi certamente i cacciatori Folsom sono i primi che praticano la tecnica di spingere una mandria di bisonti in uno stretto canion o in un precipizio, ma tale tecnica prevede la collaborazione di gruppi di cacciatori più numerosi, oltre all’utilizzo ripetuto di luoghi con le caratteristiche adatte. Le bande di cacciatori si ampliano, le loro tecniche acquistano un carattere più distruttivo, al punto che nell’arco di pochi millenni le due specie di bisonti preistorici, entrambe più grandi di quello attuale, giungono all’estinzione. Mentre nelle regioni orientali il modello culturale Clovis si esauriva, evolvendosi contestualmente in una serie di modelli locali, più a ovest oltre le Rocky Mountains, nel bacino del fiume Columbia e nelle regioni a nord, la situazione si definiva in modo diverso. In questa regione le di punte Clovis sono state trovate nella sola località di Wenatchee, nello stato di Washington, e ciò fa ritenere che in quest’area la presenza di cacciatori di questa cultura sia stata episodica o limitata. Comunque ancor prima che tale modello scomparisse nelle regioni orientali, in quest’area esso era soppiantato da un modello culturale diverso e non collegato a quello precedente. Quest’area, immediatamente a ridosso della calotta glaciale della Cordigliera, interessata dagli sconvolgimenti connessi alla glaciazione, con il formarsi e il disastroso svuotarsi di grandi laghi glaciali, attraversata da nord a sud da un gran numero di rilievi, non sembra aver offerto le stesse grandi risorse venatorie delle regioni centrali e orientali, risultando quindi meno adatte ad un modello di sopravvivenza come quello dei cacciatori Clovis, basata quasi esclusivamente sulla caccia di grandi prede. D’altra parte questa regione fu la porta d’accesso al continente sia per quei gruppi che in tempi remoti giunsero attraverso la via costiera, sia per quelle bande che alla fine del pleistocene approfittarono dello scioglimente dei ghiacci a ovest delle Rocky Mountains, viaggiando lungo le valli montane. Fu forse già dai tempi delle più antiche migrazioni lungo la costa, che in quest’area l’uomo imparò a sopravvivere grazie al pesce e ai molluschi, ma è certo che a partire da 11.000 anni fa, qui si sviluppò una cultura, detta Windust, in cui iniziano a manifestarsi alcune caratteristiche di uno stile di vita ancora in uso in tempi storici. La pratica del nomadismo è limitata, per l’uso di stabilirsi durante tutto il periodo Punte modello Windust (circa 9,000 a.C.)


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invernale in caverne nei pressi del corso dei fiumi, la minor presenza di grandi mammiferi orienta la caccia verso prede di piccola taglia e apre all’utilizzo di radici e frutti selvatici, mentre aumenta l’uso di risorse marine e fluviali, molluschi principalmente, ma anche pesce, e inizia a manifestarsi una tendenza allo scambio, manifestata dal ritrovamento di conchiglie anche in zone dell’interno. Anche la produzione di punte di lancia si differenzia dal modello scanalato Clovis e Folsom, verso un modello più semplice a forma di foglia; punte di questo tipo sono ampiamente diffuse in tutta la zona occidentale, dalle sorgenti dello Yukon a nord, nelle vallate dei fiumi Fraser e Columbia, fino al nord del Grande Bacino e della California, anche se il centro d’espansione di questa tecnica e del modello culturale ad esso connesso, doveva certamente trovarsi nella valle del Columbia. Il modello di sussistenza che si attua alla fine del pleistocene in quest’area, presenta caratteristiche che si ritrovano quasi immutate ancora in tempi storici, anche se dall’inizio dell’era Arcaica, importanti mutamenti ambientali, produrranno significative differenziazioni interne.


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LA FASE ARCAICA Quella che viene definita “fase Arcaica” delle culture dei nativi d’America, è di fatto l’inizio del processo di differenziazione e evoluzione dei diversi modelli culturali, che verrà traumaticamente interrotto dall’arrivo degli Europei, e in tale inizio sono già riconoscibili elementi, soprattutto connessi ai modelli di sussistenza, che poi rimarranno costanti nel corso dei millenni successivi. Tali elementi, sostanzialmente legati alle specifiche condizioni ambientali, rimarranno quasi invariati essendo invariato il contesto ambientale che li ha prodotti, e anche la grande innovazione dell’agricoltura, che segna di fatto la fine della fase Arcaica, compare solo laddove gli adattamenti culturali dell‘era Arcaica ne hanno posto le premesse, in un contesto di sostanziale continuità. E’ infatti a partire dai contesti ambientali, e dai connessi modelli di sussistenza, che già nella fase Arcaica possiamo individuare una serie di aree culturali, che ricalcano di fatto, quelle individuate da antropologi ed etnologi in tempi storici. Così è già chiaramente individuabile, per esempio, un modello di sussistenza, un sistema di relazioni, un ambito di affinità, che comprende tutta l’area delle Foreste Orientali, analogamente ciò accade per la regione delle Grandi Pianure, per le zone semi aride del Grande Bacino e del Sud-Ovest, per l’area Californiana, per le regioni dell’Altopiano, lungo i fiumi Columbia e Fraser, e molto probabilmente, per le terre dell’Alaska e del Canada occidentale, che quasi certamente durante la fase Arcaica, furono colonizzate dai popoli di lingua Atapaskan. In alcune di queste aree il modello di vita arcaico evolverà verso modelli sociali sempre più complessi, in altre zone tale modello rimase quasi immutato fino ai giorni nostri, ma in un caso come nell’altro, costanti rimarranno quelle peculiarità relative alla necessità di adattarsi ad uno specifico contesto ambientale, dato che in nessun caso, in Nord America, lo sviluppo culturale e tecnologico, giunse al punto di modificare l’ambiente, piegandolo alle contingenti esigenze di una specifica e passeggera civiltà.

Lo stile di vita Arcaico nelle Foreste Orientali Tutta la parte orientale degli Stati Uniti, fino alle zone limitrofe del Canada e a Terranova, fu la zona che più beneficiò del ritiro dei ghiacci, vedendo il suo paesaggio mutarsi in quella che divenne una delle zone più adatta alla vita dell’uomo e allo sviluppo delle sue attività. Circa 9.000 anni fa, in questa zona gli esemplari della megafauna del pleistocene erano ormai definitivamente estinti, o al massimo ridotti a sopravvivere in poche e limitate enclave, ma questa perdita era stata ampiamente compensata dalle conseguenze del cambiamento climatico, che estendevano la foresta mista di latifoglie e conifere, fino a latitudini sempre più elevate, a nord dei Grandi Laghi, con una conseguente colonizzazione di specie vegetali, animali e di comunità umane, in territori che fino ad allora erano stati inadatti ad una ricca varietà di specie viventi. Così la fase Arcaica vide sostanzialmente la crescita della popolazione umana in tutte le regioni orientali, a partire da quelle meridionali, e progressivamente sempre più a nord, fino alle regioni intorno ai Grandi Laghi, una crescita che si accompagnò ad una capacità di adattamento


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sempre più aderente a specifici contesti locali. Si determinò in via definitiva il passaggio dal nomadismo casuale delle bande di cacciatori paleoindiani, ad un nomadismo stagionale, legato al ciclo di crescita di vegetali selvatici utilizzabili nell’alimentazione, centrali divennero i corsi dei fiumi, lungo i quali nacquero gli stanziamenti semisedentari, mentre le necessità della raccolta e della lavorazione di frutti selvatici, noci e bacche, radici, semi, avviò la produzione di un più ampio armamentario di utensili, e di una più vasta gamma di materiali, ossa, conchiglie, denti di animali ecc… La pesca divenne un’attività sempre più importante, vennero prodotti ami, e forse le prime rudimentali reti; fu durante la parte centrale della fase arcaica, che in Florida e Punte tipiche della fase Arcaica (7.000-2.000 a.C.) nelle zone meridionali, gli antichi indiani iniziarono ad usare le prime piroghe scavate nel legno. La caccia rimase un’attività fondamentale, ma oltre a cervi e orsi neri, sono i piccoli mammiferi e i volatili, il tacchino in particolare, a costituire la principale risorsa. Ancora una volta le punte di pietra ci guidano attraverso il cambiamento degli stili di vita, e scomparse le punte scanalate della tradizione paleoindiana, in quasi tutte le regioni orientali, comparvero punte di pietra più piccole, ma lavorate con una tecnica più complessa, che prevedeva la presenza di due alette sporgenti alla base, che favorivano il fissaggio su un supporto ligneo. Quasi certamente l’uso di questo nuovo tipo di punte, che sono caratteristiche della fase Arcaica in gran parte del Nord America, è collegato all’introduzione dell’atlatl, un propulsore che permetteva di lanciare con maggiore potenza piccole lance, che però necessitavano di punte più piccole di quelle usate per lance tirate o comunque usate con le sole mani; l’atlatl, che sembra sia comparso per la prima volta nelle zone forestali del sud-est, si diffuse nel corso dell’epoca Arcaica quasi ovunque, insieme con le piccole punte incise alla base. Ma al di là di questa innovazione, presente ovunque, in ogni luogo la produzione artigianale acquisì caratteristiche proprie, utilizzò risorse specifiche, tese ad una sostanziale specializzazione, mentre al tempo stesso, gli scavi e i ritrovamenti testimoniano la presenza di scambi tra i diversi gruppi, con materiali e utensili che passavano da un gruppo all’altro, da una regione all’altra. Con il passaggio ad uno stile di vita semisedentario, crebbe la possibilità di una maggiore sedimentazione culturale; non più legati alla necessità di continui spostamenti, gli indiani arcaici, poterono accumulare un primo piccolo patrimonio di armi, utensili, ma anche ornamenti, mentre i villaggi non sono più semplici accampamenti temporanei con ricoveri provvisori, ma si edificano capanne di rami e frasche destinate a durare più a lungo. E’ certamente in questo periodo che si realizzarono le prime tecniche di conservazione delle risorse alimentari, svincolando la quotidianità dalle alterne fortune della caccia e della raccolta, liberando così le risorse e le energie da indirizzare verso una più ricca vita sociale, verso la produzione artigianale e infine, verso una propria visione spirituale ed una vita cerimoniale. Strettamente legati alla semisedentarietà sono gli usi funerari e il culto dei defunti, di cui proprio nella fase Arcaica si comincia ad avere testimonianza. L’archeologia non può darci conto dei cambiamenti che nel corso di quei millenni si produssero nel-

Moderna tiproduzione di un “atlatl” e sue modalità di uso


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l’organizzazione sociale, ma certamente essi furono rilevanti; la banda di cacciatori paleoindiani, che raccoglieva pochi gruppi famigliari intorno a un cacciatore esperto o al massimo a due fratelli, pronta a disperdersi al primo dissidio, alla prima difficoltà, alla morte del leader, cedette il posto ad una comunità legata da un comune riferimento territoriale, una comunità che doveva imparare a gestire le eventuali frizioni interne, produrre embrionali codici di comportamento, costruire relazioni che legavano i diversi gruppi famigliari, che stabiliscono le prime regole matrimoniali, alla base dello sviluppo di vere e proprie strutture parentali. La permanenza costante in uno specifico territorio, poneva il problema della relazione con i gruppi vicini, apriva alla necessità di stabilire relazioni “politiche” esterne, offriva l’opportunità di scambi di esperienze e di tecniche, ma al tempo stesso creava i rischi della rivalità e della conflittualità permanente, la guerra non più intesa come occasionale scontro di bande che competono per la medesima preda, ma come possibile condizione endemica e permanente nella relazione con i vicini. Crescita demografica, semisedentarietà, specializzazione, differenziazione delle risorse, furono gli elementi che nelle regioni boscose orientali, produssero una lenta trasformazione verso uno stile di vita che fu l’humus comune a partire dal quale l’indiano uscì dalla preistoria, e iniziò a produrre culture sempre più elaborate, e di tali culture l’archeologia ha trovato testimonianza, già nella fase centrale del periodo arcaico, circa 6.000 anni fa. In questo periodo, un generale innalzamento delle temperature, iniziato nelle regioni occidentali già intorno al 9.000 a.C., raggiunse anche le regioni orientali, determinando il definitivo scioglimento dello scudo glaciale Laurenziano, ed un ulteriore incremento demografico nella parte settentrionale delle terre boscose, che verso la fine dell’epoca arcaica, videro lo sviluppo di culture umane originali e innovative. La più antica tra le culture arcaiche documentate, risalente a circa il 4.000 a.C. in quella che è definito Arcaico Intermedio, nacque in una zona piuttosto periferica rispetto a quelli che saranno gli sviluppi culturali posteriori, lungo le coste dell’Atlantico settentrionale, dal Maine, alle provincie marittime canadesi, fino al Labrador e Terranova. In quest’area costiera, grazie all’influenza mitigatrice della Corrente del Golfo, le condizioni ambientali dovettero essere favorevoli alla colonizzazione umana, quando ancora le regioni interne alla stessa latitudine erano in larga misura ricoperte dai ghiacci. Qui nacque e si sviluppò la cultura detta Red Paint (Pittura Rossa), per la caratteristica delle fosse funerarie, le cui parete erano dipinte di pittura rossa, così come i cadaveri dei defunti. I popoli della cultura Red Paint ci hanno lasciato testimonianze di un artigianato litico eccezionalmente raffinato ed elaborato, con lame, asce e altri utensili, ma anche pettini, fibie ecc…, la cui bellezza, e spesso la delicatezza, è tale da far pensare che esse siano state costruite al solo scopo di accompagnare il defunto dopo la morte. In effetti gli scarsi resti di insediamenti abitativi, non hanno offerto la stessa varietà di oggetti, e anche la loro qualità risulta molto meno accurata di quelli ritrovati nelle fosse funerarie; è probabile che gli oggetti ritrovati nelle sepolture, costituissero il corredo funerario che ogni individuo approntava per se nel corso dell’intera vita. Le pietre e i minerali usati nella produzione di questi corredi, scelti anche sulla base di criteri estetici, provengono spesso da luoghi lontani, e questo a testimonianza della vasta rete di scambi esistente; un’altra curiosità è il ritrovamento, in un sito di stanziamento e non funerario, di modelli eguali, in osso e in avorio, di oggetti in pietra ritrovanti nelle sepolture, a ulteriore conferma che molta produzione litica fosse solo a uso funerario e per l’uso comune venivano usati anche altri materiali. I popoli della cultura Red Paint vivevano secondo il modello tipico del tempo, cacciando, pescando e raccogliendo vegetali, ma certo rispetto agli altri dipendevano in maggior mi- Punte ed altri utensili della cultura Red Paint, scoperti a Terranova


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sura dalle risorse del mare, in particolare dalla caccia dei mammiferi e degli uccelli marini e dalla raccolta delle loro uova; le grandi colonie di questi animali che abbondavano lungo le coste, furono una risorsa la cui abbondanza deve aver reso possibile lo sviluppo di una cultura e di un modello cerimoniale complesso, che è tra i primi a essere testimoniato in Nord America. Dopo essersi sviluppata per alcune migliaia di anni, la cultura Red Paint iniziò a declinare verso la fine dell’era Arcaica, intorno al 1.500 a.C., anche se i suoi tratti essenziali hanno continuato a sopravvivere nell’isola di Terranova, ancora fino al XIX secolo; proprio nella parte settentrionale dell’isola di Terranova, nella località di Port au Choix, è venuto alla luce il più importante sito di questa cultura, con oltre cento sepolture. La decadenza della cultura Red Paint, sembra essere collegata al progressivo aumento delle temperature in epoca post-glaciale. E’ probabile che le zone interessate da questa cultura, immediatamente a sud della calotta glaciale in fase di ritiro, abbiano per lungo tempo offerto un ambiente vergine e ricco di risorse, fin quando il progressivo aumento delle temperature, non determinò la trasformazione dei tanti laghetti di origine glaciale, in un paesaggio di paludi e acquitrini, meno adatto allo sviluppo della colonizzazione umana. E’ molto probabile che le genti che diedero vita a questo complesso culturale siano stati gli antenati dei Beothuk storici, un gruppo linguisticamente isolato, che al tempo dell’arrivo dei bianchi risiedeva nella sola isola di Terranova; è quindi probabile che gli antenati dei Beothuk, occupassero un tempo anche vaste aree costiere di terraferma, abbandonate forse in conseguenza della migrazione da ovest di popoli di lingua Algonquian, mentre da nord avanzavano i protoInuit di cultura Dorset, che intorno al 500 a.C. giunsero a stanziarsi anche nella parte settentrionale dell’isola di Terranova. Differenze etniche e linguistiche potrebbero forse spiegare l’isolamento di questa cultura nell’ambito delle regioni boscose orientali, e la mancanza di una sua eredità nei successivi sviluppi culturali. Contemporanea della cultura Red Paint, ma totalmente autonoma da essa, è una delle più antiche espressioni dello sviluppo delle culture arcaiche nelle zone orientali, quella detta Old Copper Complex (Complesso del Vecchio Rame), nata circa 6.000 anni fa nella zona a sud del lago Superiore, negli attuali stati di Wisconsin e Michigan. In questa regione, approfittando di depositi superficiali di rame puro, gli indiani arcaici diedero vita ad una produzione artigianale di oggetti e utensili di rame, lavorato con il semplice metodo della battitura. Utilizzato all’inizio per la produzione di lame e oggetti di uso quotidiano, circa 4.000 anni fa il metallo cominciò ad essere usato per ornamenti e altri oggetti che definivano

Una vasta gamma di oggetti in rame, prodotti nell’area della cultura Old Copper


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lo status sociale dei personaggi più importanti, un cambiamento che da chiare indicazione circa la nascita di un embrionale gerarchia sociale. Certamente il rame, inizialmente considerato come una semplice materia prima di facile lavorazione, divenne ad un certo punto simbolo di status e soprattutto oggetto di scambi, come dimostrato dall’ampia diffusione di oggetti di rame, anche laddove non era disponibile in natura. La presenza nell’area Old Copper di conchiglie marine, anche provenienti dal Golfo del Messico, testimonia dell’ampiezza degli scambi che il rame alimentava. Il complesso culturale Old Copper si esaurì verso la fine dell’epoca Arcaica, intorno al 1.000 a.C., ma le risorse di rame della regione continuarono ad alimentare gli scambi con altre aree, anche nei secoli successivi. Successiva alla cultura Old Copper, ma collegata, almeno dal punto di vista delle relazioni di scambio con la zona in cui la Old Copper ebbe origine, è la cultura detta dei Glacial Kame, che si sviluppò nella zona di confine tra gli attuali stati di Ohio, Indiana, Michigan fino alle zone limitrofe della provincia canadese dell’Ontario, intorno al 1.000 a.C. Caratterizzata dall’uso di seppellire i defunti all’interno dei “kame”, depositi di sedimenti glaciali, questa cultura ci ha lasciato testimonianza non solo di una già elaborate produzione litica, ma anche di oggetti in rame, oltre che un gran numero di conchiglie di provenienza marina, a dimostrazione della relazione che essa intratteneva con luoghi anche lontani. Tra i reperti funerari fanno la loro comparsa gorgere, dette per la loro forma a “suola di sandalo”, ricavate da gusci di molluschi perforati; tali oggetti, il cui scopo è evidentemente ornamentale, indicano con chiarezza il passaggio ad una società ed una tecnologia, la cui capacità produttiva è eccedente rispetto alla mera necessità di sopravvivenza, e forse anche all’embrionale prodursi e cristallizzarsi se non di elite sociali, quanto meno di una gerarchia e di differenziazioni dei ruoli individuali all’interno della comunità. Oltre alle gorgere a “suola di sandalo”, sono stati trovati diversi oggetti in pietra, dalla forma di uccelli molto stilizzati, il cui uso era forse quello di pesi, da attaccare ai propulsori (atlatl) per potenziarne il lancio, anche se le ragioni di tale forma vanno Gorgiera a “suola di sandalo” e peso per propulsore probabilmente ricercate nell’ambito delle in forma di uccello della cultura Glacial Kame credenze e delle magie collegate alla caccia. Coevo, affine e limitrofo è il complesso culturale Red Ocher (Ocra Rossa), di cui sono state trovate testimonianze un una vasta regione a ovest della zona Glacial Kame, dall’Ohio e dal Michigan occidentale, attraverso il nord dell’Indiana, dell’Illinois e il Wisconsin, fino al Minnesota e all’Ontario meridionale. Caratteristica di questa cultura era l’uso dell’ocra rossa, o di altre tinture o pigmenti dello stesso colore, per decorare i cadaveri dei defunti e i corredi funerari, sepolti abitualmente in luoghi elevati. Tra gli oggetti peculiari di questa cultura vanno segnalate delle larghe lame di selce, dette “a coda di tacchino”, non ritrovate in altre zone. Se l’uso del colore rosso ricorda il popolo della cultura Red Paint della costa Atlantica, sotto tutti gli altri aspetti, a partire dall’uso del rame per la fabbricazione di ornamenti e gioielli, fino alla condivisione di una stessa rete di scambi, i popoli di cultura Red Ocher, come quelli Glacial Kame, sembrano muoversi nel solco della tradizione Old Copper, e tutte insieme queste genti possono essere considerate antenate degli Algonquian storici, che nella regione dei Grandi Laghi ebbero il loro centro di diffusione, e che probabilmente proprio all’inizio dell’epoca arcaica iniziarono a migrare verso nord, differenziandosi dai loro parenti meridionali, antenati dei Muskogean storici. Lama di selce a “coda di tacchino”, della cultura Red Ocher In gran parte della zona meridionale delle re-


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gioni boscose, durante la fase Arcaica non sembrano emergere modelli culturali con specifiche caratterizzazioni, anche se ovunque è testimoniata la presenza di siti sepolcrali, di usanze funerarie e corredi cerimoniali; solo in una ristretta area, immediatamente a ovest del basso corso del Mississipi, nel nord-est della Louisiana, recenti scoperte hanno individuato testimonianze di una cultura tra le più inspiegabili e misteriose. Inizialmente legata al sito di Poverty Point, un vasto complesso di tumuli costruiti nel corso di 1.500 anni, tra il 2.200 e il 700 a.C., questo complesso culturale ha origini forse molto più antiche, risalenti al 3.500, forse al 4.000 a.C., l’epoca a cui fu edificato il sito di Watson Brake, il più antico complesso di “mound” (tumuli) del Nord America. A Watson Brake, la presenza di insediamenti umani è testimoniata a partire dal 4.000 a.C., ma l’edificazione dei tumuli, 12 in tutto, di diversa altezza, posti a costruire un Mappa del sito di Poverty Point perimetro ovale, ebbe inizio intorno al 3.500 e si protrasse per secoli, fino all’abbandono della struttura intorno al 2.800 a.C. I tumuli di Watson Brake, come quelli posteriori di Poverty Point, non sono stati costruiti come sepolcri, come avverrà nei secoli successivi in tutte le terre boscose, semmai sembrano collegati allo svolgimento di riti e cerimonie, come le piramidi mesoamericane o i più tardi i mound della cultura Mississipi. Scoperto solo di recente il sito di Watson Brake rimane la più antica struttura costruita in Nord America, ed è notevole che essa sia dovuta a popoli di cacciatori e raccoglitori, che per molti secoli probabilmente si incontrarono in questo luogo, per ragioni economiche e cerimoniali. Meglio conosciuto è il sito di Poverty Point, poco distante da Watson Brake nello spazio, e di circa 700 anni più recente; testimonianza di una capacità edificatoria molto più evoluta, il cuore del sito è costituito da una serie di sei semicerchi concentrici, ognuno costituito da sette tumuli di forma allungata e di varia altezza, posti sul lato di un corso d’acqua, edificati in un periodo compreso tra il 1.600 e il 1.300 a.C.; intorno al semicerchio e al centro di esso si elevano altri tumuli, alcuni molto più antichi, risalenti al 2.200 a.C., mentre la zona centrale costituiva una “plaza” probabilmente destinata ai riti collettivi; nel complesso l’area occupata e di oltre due kmq, e forse originariamente raggiungeva i cinque . Quasi certamente Poverty Point fu un grande centro cerimoniale, oltre che luogo di scambi, anche se non è chiaro il ruolo dei tumuli, alcuni dei quali, più elevati forse ospitavano templi, ma la cui ragione e funzione va forse cercata in un simbolismo di cui la razionale geometria della struttura era espressione. A Poverty Point sono stati ritrovate testimonianze dell’attività artigianale dei costruttori, ma anche della vasta rete commerciale che li legava a zone lontane, fino ai Grandi Laghi da dove giungeva il rame. Peculiare il ritrovamento di sfere di argilla, che sembra fossero usate per la bollitura dei cibi, oltre che dei primi manufatti di terracotta. Come tutti i popoli arcaici, i costruttori di Poverty Point vivevano di caccia pesca e raccolta, e presumibilmente abitavano molti villaggi nelle vicinanze, dato che non è sicuro che Poverty Point fosse stato edificato a scopo residenziale. Come a Watson Brake è probabile che per molti secoli diversi gruppi di cacciatori e raccoglitori si siano dati periodico appuntamento in questo luogo, ma il metodo nella costruzione, l’attenzione alle geometrie Il sito di Poverty Point, come doveva apparire al empo in fu edificato


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e probabilmente anche una certa conoscenza astronomica, che presiedeva ai criteri di edificazione dei tumuli, fanno necessariamente pensare ad una struttura sociale più complessa e organica, forse una vera e propria struttura tribale, capace di tenere unite diverse piccole comunità satellite, intorno al centro principale. Il popolo di Povery Point, probabilmente lo stesso di Watson Brake, abbandonò l’uso di costruire tumuli intorno all’VIII sec. a.C., e per ritrovare strutture simili in Nord America bisognerà attendere oltre 1.000 anni, quando nella stessa valle del Mississipi, altri popoli edificarono grandi mounds a scopo cerimoniale. Per lungo tempo, prima della scoperta del sito di Watson Brake, si è cercato di spiegare lo stupefacente Figure femminili (sopra, e palle d’argilla (sotto), ritrovate nel sito di Poverty Point complesso di Poverty Point, con possibili contatti e influenze di culture più avanzate mesoamericane, in particolare quella Olmeca, che raggiungeva il suo apice proprio mentre si costruivano i tumuli di Poverty Point; tale ipotesi oggi risulta meno probabile dopo la scoperta di Watson Brake, che anticipa la costruzione di tumuli ad un epoca precedente lo stesso fiorire della cultura Olmeca. Difficile è comprendere come di questa cultura sia scomparso ogni retaggio, disperso nell’humus indifferenziato delle tante culture Woodland successive, che sulle ceneri di Poverty Point si svilupparono anche in Louisiana. Ancor più difficile immaginare quali furono i popoli artefici di questa cultura; in tempi storici la zona del basso Mississipi era abitata da vari gruppi linguisticamente isolati, i Natchez, i Tunica, oltre che da gruppi di lingua Muskogean, e quasi certamente tutti questi gruppi abitavano la regione già in epoca arcaica; è curioso notare che più o meno nella stessa zona in cui furono eretti i più antichi tumuli, sopravvissero anche le ultime strutture di questo tipo, i tumuli su cui erano edificati i templi dei Natchez, gli ultimi rappresentanti della cultura del Mississipi, distrutti dai Francesi prima della metà del ‘700. Tutte le culture Arcaiche delle Foreste Orientali si esaurirono tra il 700 e il 500 a.C., e nuove conoscenze e risorse furono il volano della nascita del complesso culturale detto Woodland, che con molti sviluppi e differenziazioni, caratterizzò la storia delle Foreste Orientali per i successivi 1.500 anni.

Lo stile di vira Arcaico nelle Grandi Pianure

A differenza di quanto accadde nelle Foreste Orientali, il ritiro dei ghiacci e la fine dei grandi mammiferi preistorici, non ebbero conseguenze particolarmente significative nelle Grandi Pianure, nelle quali l’ambiente mantenne le medesime caratteristiche, savane e praterie d’erba alta in grado di ospitare popolazioni di mammiferi che si muovevano in branchi, con l’unica variazione dovuta al tendenziale innalzarsi della latitudine delle terre abitabili, in conseguenza proprio del progressivo ritiro dei ghiacci. Così la parte settentrionale delle Grandi Pianure, la zona compresa tra l’alto corso del Missouri e il Saskatchewan, fu aperta alle migrazioni delle mandrie di bisonti, e conseguentemente alla colonizzazione dei


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gruppi umani che predavano tali animali. E’ da quest’epoca infatti che il bisonte, soppiantando le specie di mammiferi preistoriche, diviene l’animale simbolo delle Grandi Pianure, la principale risorsa economica, insieme alle antilocapre, che si muovevano in branchi più piccoli nelle stesse pianure erbose, e ai cervidi, che in piccoli gruppi famigliari frequentavano i boschetti lungo il corso dei fiumi; altre risorse erano rappresentate dalla fauna avicola, presente soprattutto presso i laghi e le zone paludose, che specialmente nelle zone settentrionali abbondavano, dopo il recente ritiro dei ghiacci. Questa sostanziale continuità del contesto ambientale fu la ragione della corrispettiva continuità tra la cultura Folsom dell’ultima fase paleoindiana, e la cultura Plano dell’inizio dell’epoca Arcaica (8.000 – 6.000 a.C.), al punto che molti studiosi considerano la cultura Plano come ultima cultura paleoindiana, o almeno come una cultura di transizione tra l’epoca Paleoindiana e quella Arcaica. Diffusa in tutta la vasta regione delle praterie, dal Golfo del Messico al Saskatchewan, dalle Rocky Mountains fin quasi al Mississipi, la cultura Plano è caratterizzata da una diversa tecnica di costruzione delle punte di pietra, prive della scanalatura centrale tipica delle punte Clovis e Folsom; sotto ogni altro punto di vista, gli usi delle genti di cultura Plano sembrano solo un’evoluzione all’interno del solco dello stile di vita dei cacciatori Folsom. A differenza che nelle foreste orientali, la caccia alla selvaggina di media e grossa taglia come bisonti e antilopi, rimase l’attività principale, con una sempre maggiore specializzazione nelle tecniche di caccia collettiva. La tecnica di spingere le mandrie verso dirupi o recinti, già in uso tra i cacciatori Folsom, divenne generalizzata, determinando anche esiti distruttivi, ma producendo anche le condizioni per il costituirsi di gruppi umani più numerosi e coesi, uniti dalla necessità di collaborare in una tecnica di caccia che poteva essere estremamente pericolosa; a obbligare alla collaborazione (o a determinare conflitti) era anche la necessità di utilizzare quei siti in cui le caratteristiche del terreno favorivano l’intrappolamento delle prede. E’ in questo periodo infatti che risultano maggiori testimonianze di siti di uccisione, dove ossa animali e punte di lancia si accumularono per lunghi periodi, a testimonianza del fatto che più gruppi e per lunghi periodi frequentarono gli stessi luoghi. La cultura Plano è comunque fondamentale perché quasi certamente con essa si manifestarono tutti gli elementi che caratterizzarono la vita nelle Grandi Pianure fino all’epoca storica, in particolare le tecniche di utilizzo integrale di ogni parte del bisonte, la conservazione della carne nella forma di pemmican, oltre ovviamente alle tecniche di caccia collettive in uso ancora all’inizio del XIX secolo. Tutti questi elementi rendevano possibile la sopravvivenza in un contesto ambientale che richiedeva una notevole specializzazione e non offriva una vasta gamma di risorse: finita ormai l’epoca in cui le pianure erano il regno dei grandi mammiferi, i gruppi di nomadi cacciatori e raccoglitori Plano, dipendevano in larga misura dalle casuali migrazioni dei bisonti, e a differenza dei loro eredi storici, non disponevano di cavalli per spostarsi alla loro ricerca nelle pianure. E’ quindi probabile che i vari gruppi nomadizzassero gravitando intorno ai luoghi più adatti per le cacce collettive, cercando le mandrie nelle vicinanze e impegnandosi poi in una difficile azione per Punte e la me della cultura Plano


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indirizzarle verso un dirupo noto o un recinto predisposto, dove finalmente la “mattanza” poteva avere luogo. Una simile tecnica di caccia è tendenzialmente ecologicamente distruttiva, dato che essa porta all’uccsione indiscriminata di un gran numero di prede, molte di più di quelle effettivamente nessarie alla sopravvivenza del gruppo; inoltre essa dipende dall’imprevedibilità dei bisonti, la cui presenza in una limitata area può mancare anche per lunghi periodi. Gli indiani Plano ovviamente cacciavano anche cervidi, piccoli mammiferi e uccelli, raccoglievano una limitata gamma di vegetali selvatici, ma certamente i gruppi relativamente numerosi che si organizzavano intorno ad una caccia collettiva, non potevano essere sfamati da un’attività venatoria limitata alla piccola selvaggina e ai cervi presenti nelle vicinanze: come gli indiani storici delle Grandi Pianure, dipendevano quasi totalmente dal bisonte o comunque dagli animali che muovendosi in branchi numerosi, offrivano una gran quantità di risorse alimentari; quando le condizioni ambientali non permisero più l’esistenza di grandi mandrie di bisonti, la cultura Plano si esaurì nelle Grandi Pianure. Prima di entrare nel merito delle cause che portarono alla crisi della cultura Plano, è possibile fare un’ipotesi su chi fossero questi antichi cacciatori delle Grandi Pianure, una regione questa dove nel corso dei secoli e dei millenni si sono avvicendati un gran numero di popoli diversi, ma che è stata caratterizzata in epoca storica dalla presenza di genti di lingua Caddoan e Siouan, entrambe riconducibili alla grande famiglia Macrosiouan. Se diamo per certo che gli atenati dei Muskogean e degli Algonquian furono gli antichi colonizzatori delle Foreste Orientali, dobbiamo ritenere che gli antenati dei Macrosiouan, che pure vissero nelle Foreste Orientali, giunsero in quell’area solo in epoca più tarda, e che precedentemente abbiano occupato le Grandi Pianure; in particolare le genti Caddo-Iroquaian possono aver rappresentato l’ avanguardia nel processo di colonizzazione, occupando le praterie meridionali a sud del Missouri e gli antenati dei Siouan nella parte settentrionale del territorio. Ma l’occupazione da parte dei Macrosiouan delle Grandi Pianure non fu un fenomeno omogeneo e continuativo, e questa regione fu per lungo tempo scarsamente popolata, almeno fino a quando l’introduzione dell’agricoltura, non rese possibile contare su risorse più certe; il processo di impoverimento demografico delle Grandi Pianure iniziò intorno al 6.000 a.C. , quando la cultura Plano declinò in quasi tutta la regione, senza che nuovi e originali modelli di adattamento si producessero. A quell’epoca il significativo aumento delle temperature iniziato nelle regioni occidentali 2.000 anni prima, raggiunse le Grandi Pianure, prima di coinvolgere anche le Foreste Orientali intorno al 4.000 a.C.; si trattava di un fenomeno che nel corso di alcuni millenni interessò tutto l’emisfero settentrionale, con aumenti delle temperature medie nell’ordine dei 4-5 gradi, e che produsse conseguenze diverse nei diversi contesti ambientali. Mentre nelle Foreste Orientali le temperature più elevate si coniugarono con una maggiore piovosità, determinando migliori condizioni per la vita di specie vegetali e animali, nelle Grandi Pianure, con un regime di piovosità più ridotto, l’aumento delle temperature determinò una fase di inaridimento, particolarmente grave nelle parte meridionale della regione, e molto meno sensibile nella parte settentrionale, solo di recente liberata dai ghiacci e ricca di laghi e paludi. Le mandrie di bisonti ed antilopi, già sottoposte ai massacri dei cacciatori Plano, si ridussero notevolmente nelle zone meridionali, e fu così che l’antico stile di vita dei cacciatori delle Grandi Pianure, protrattosi per migliaia di anni, dai tempi dei primi costruttori di punte Clovis, fino agli indiani di cultura Plano, divenne marginale, scomparendo del tutto nelle zone meridionali. Nei secoli successivi e per tutta l’era Arcaica, fino a pochi secoli prima dell’era cristiana, le Grandi Pianure videro ridursi costantemente la popolazione, a partire dagli altipiani occidentali, la zona con minore piovosità. Mentre scompaiono le testimonianze di siti di uccisione di grandi mammiferi, gli insediamenti umani tendono a concentrarsi lungo il corso dei grandi fiumi, dove non manca l’acqua e i boschetti offrono riparo a piccoli mammiferi, cervidi, uccelli; di fatto lo stile di vita delle Foreste Orientali, si afferma nelle Grandi Pianure, laddove le condizioni lo permettono, nella parte orientale del territorio e lungo il corso dei fiumi. E’ a partire da questo periodo che le Grandi Pianure divengono un’appendice periferica delle Foreste Orientali, dove si afferma uno stile di vita che, con minori risorse, si basa sulla caccia alla piccola e media selvaggina e su un più rilevante uso di risorse vegetali. E’ forse in questo quadro che può collocarsi l’ipotizzabile trasferimento a est degli indiani di lingua Iroquaian e Siouan alla fine dell’era Arcaica, dalle Grandi Pianure occidentali, verso il bacino del Mississipi, discendendo il corso dei grandi fiumi, il Missouri, l’Arkansas, il Red River, un percorso lento che si accompagnava all’adattamento ad un nuovo stile di vita, a nuove conoscenze, e nel corso del quale forse, furono acquisiti i primi rudimento dell’agricoltura. Ma quando ciò accade la fase Arcaica è già conclusa.


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Lo stile di vita Arcaico nelle regioni del Sud-Ovest Tutta la vasta regione che si estende a ovest delle Montagne Rocciose, fino alle catene della Sierra Nevada e della Sierra Madre, fu quella per cui i cambiamenti climatici della fine del Pleistocene giunsero prima e con un impatto più profondo, modificando fortemente l’ambiente e obbligando le popolazioni che lo abitavano a nuovi e radicali adattamenti. Già a partire dall’8.000 a.C., e per i millenni succesLahotan lake sivi, l’innalzamento climatico cominBonneville lake ciò a mostrare i suoi effetti, effetti drammatici date le caratteristiche geografiche dell’area, che chiusa da elevate catene montuose, è sostanzialmente isolata dalle masse Manly lake nuvolose provenienti dall’oceano Pacifico. Tale isolamento, con la conseguente scarsità di precipitazioni, già in epoca precedente aveva reso questa regione meno rigogliosa in confronto alle regioni orientali e centrali, ma questa condizione era stata almeno La superficie la custre nel Grande Bascino durante il Pleistocene parzialmente compensata dalla presenza della calotta glaciale che si estendeva verso sud, lungo gli alti crinali montuosi che circondavano la regione. I ghiacciai montani garantivano la presenza dell’acqua in tutta l’area, e grandi laghi, il Lahotan nel Nevada nord-occidentale, il Bonneville tra Utah, Idaho e Nevada, il Manly nel sud-est della California, occupavano le depressioni dell’attuale deserto del Nevada. L’aumento delle temperature modificò lentamente, ma inesorabilmente questa condizione, il ritrarsi della calotta glaciale e dei ghiacciai montani, ridusse il flusso dei corsi d’acqua della regione, mentre i grandi bacini interni svanivano progressivamente per evaporazione, trasformandosi prima in vaste paludi saline, per poi scomparire definitivamente; la scomparsa di un gran numero di specie vegetali, che necessitavano di un più abbondante rifornimento idrico, impoverendo il terreno, ne determinava un ulteriore erosione, in un processo di costante inaridimento che intorno al 2.000 a.C., rese la regione molto simile a come appare oggi, una zona arida, semidesertica, con estati torride, inverni freddi, una flora arbustacea e boschetti di pini nelle zone più elevate, ed una fauna con scarsa presenza di prede di media taglia, cervidi, antilocapre e pecore bighorne. Le prevalenti caratteristiche comuni a tutta la regione determinarono il prodursi di un modello di sussistenza sostanzialmente simile, genericamente definito Cultura del Deserto, frutto di un cambiamento simile, ma ancor più radicale di quello avvenuto nelle Foreste Orientali: anche qui la scomparsa della megafauna, obbligò i diversi gruppi umani ad imparare ad utilizzare le risorse vegetali, ma più che un economia mista, basata sulla raccolta, la pesca e la caccia a selvaggina di media taglia, il modello di sussistenza fu caratterizzato da un’estrema specializzazione nell’uso delle scarse risorse vegetali che il territorio metteva a disposizione, mentre la stessa scarsità di risorse determinava una sostanziale stagnazione nello sviluppo di comunità umane più coese e strutturate. Piccole bande e gruppi famigliari che vivevano in un territorio limitato e di cui conoscevano perfettamente la disponibilità di risorse, vagavano da un luogo all’altro raccogliendo frutti, semi, bacche, radici, noci e pinoli, seguendo un modello di nomadismo che sfruttava stagionalmente la diversità degli ambienti in relazione all’altitudine, approfittando della maggiore ricchezza dei boschetti di pini che crescevano sulla sommità dei rilievi durante l’estate, per poi svernare nei canion e nella valli. Pur apparentemente semplice, questo stile di vita richiedeva un bagaglio di conoscenze notevole, sia per quanto riguarda il gran numero di vegetali che venivano raccolti (nel solo sito di Danger Cave ne


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Una serie di manufatti della Cultura del Deserto: dall’alto, punte di lancia, pietre per la macinazione dei semi (manos e metasas), figurina lignea di cervo, richiamo per la caccia agli uccelli palustri

sono state contate 65 specie), sia per ciò che concerne le tecniche necessarie alla raccolta e all’utilizzo. Se le punte di pietra divengono più piccole e meno numerose, la loro lavorazione si fa più complessa, le punte vengono lavorate con profonde incisioni alla base per favorirne l’innesco su piccole lance da usare con il propulsore (atlatl), mentre nuovi strumenti fanno la loro comparsa, in particolare pietre per la macinazione dei semi (manos e metasas), bastoni da scavo, aghi e punteruoli, in alcuni casi corna di pecore usati come primitivi falcetti per raccogliere erbe selvatiche, e nelle vicinanze dei laghi, ami di osso; alla pietra, all’osso e al legno, si aggiungono le fibre vegetali, come materia prima per la fabbricazione di reti, stuoie e canestri; intorno al 4.000 a.C. cominciano a comparire anche le prime testimonianze di un’attività artigianale legata a momenti ludici o rituali, come sonagli e dadi d’osso, elementari rappresentazioni lignee di animali, e nelle zone costiere del sud della California, conchiglie lavorate a scopo ornamentale. Tra gli oggetti più interessanti certamente vanno annoverati i modellini di uccelli palustri, fabbricati con fibre vegetali e a volte piume, utilizzati come richiami per la caccia. La preponderanza dell’attività di raccolta di vegetali, non escludeva comunque l’attività venatoria, rivolta principalmente verso i le pecore bighorne, oggi presenti principalmente in zone montane, ma un tempo più largamente diffuse, le antilocapre e i cervi, quando era possibile, ma soprattutto conigli e altri piccoli roditori, oltre che probabilmente insetti; è forse già di quest’epoca l’uso di cacciare i conigli con reti e trappole di legno. Intorno ai laghi e alle paludi che progressivamente si ritiravano, era praticata una modesta attività di pesca, mentre nelle regioni costiere della California meridionale, la raccolta di molluschi costituiva una risorsa sicura. Il carattere del nomadismo dei popoli della Cultura del Deserto, legato alla disponibilità di scarse risorse, per un tempo limitato e in località circoscritte, non prevedeva stanziamenti prolungati, così mancano progressi tecnologici nella costruzione di capanne e abitazioni, e semplici ripari di frasche durante la buona stagione, caverne nei mesi invernali erano usati dai vari gruppi. Più che testimonianze di stanziamenti, sono stati trovati resti di depositi di alimenti vegetali in caverne, luoghi dove le risorse eccedenti venivano immagazzinate per poter poi essere usate in un momento successivo. Il clima caldo per buona parte dell’anno non stimolava le tecniche di lavorazione delle pelli, peraltro non sempre disponibili, anche se già da quest’epoca risulta la pratica di cucire insieme pelli di coniglio, per ricavarne coperte e mantelli da usare durante i mesi freddi. A differenza di quanto accadeva nello stesso periodo nelle Foreste Orientali, non risultano evidenze di scambi commerciali di vasto e medio raggio, e i singoli gruppi probabilmente vivevano in relativo isolamento, con contatti solo con gruppi limitrofi e affini. Anche per quanto riguarda l’emergere di usi funerari, i riscontri sono scarsi


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e limitati a zone periferiche, e mancano le testimonianze di sepolture e corredi funerari, già presenti in altre aree del continente. Gli elementi fin qui descritti erano comuni a tutta la regione del Sud-Ovest, oltre alla valle Californiana e alla Baja California, ma nelle diverse aree non mancarono le caratterizzazioni locali. In particolare in quello che è l’altopiano del Colorado, nella zona di confine tra l’Arizona, il New Mexico, l’Utah e il Colorado, dove a partire dal 5.500 a.C. una tradizione specifica definita Oshara, individuata per un particolare tipo di punte di pietra e per l’uso di una pietra basaltica nera per la costruzione di utensili, accompagnò il lento passaggio dalla prevalenza delle attività di caccia, alla sempre maggiore imporResti del fondo di un canestro di epoca arcaica tanza della raccolta di vegetali selvatici, con la comparsa di “manos” e “metasas”, le pietre per la macinazione dei semi, a partire dal III millennio a.C. E’ in questo periodo che viene acquisita la conoscenza della tecnica di intreccio di fibre vegetali per la fabbricazione di canestri, che produce un salto di qualità nello sviluppo delle Culture del Deserto. Grazie ai canestri le bande di raccoglitori potevano immagazzinare e trasportare semi e altri prodotti vegetali, utilizzando in modo più razionale le eccedenze e pianificando gli spostamenti anche sulla base delle risorse disponibili. I “Basket Makers Arcaici”, con questa semplice ma fondamentale innovazione, diedero l’avvio ad un percorso di sviluppo culturale che a partire dal 1.000 a.C., porterà al formarsi della grande e complessa cultura Anasazi. E’ altamente probabile che già in epoca arcaica, i popoli di lingua Tanoan occupassero quest’area, e che ad essi sia ascrivibile il continuum culturale che da questi tempi remoti, giunge fino ai Pueblo storici. A sud dei Basket Makers Arcaici, nella zona di confine tra Messico, Arizona e New Mexico, il termine Cochise definisce lo specifico locale della Cultura del Deserto, caratterizzata dalla vicinanza con le più avanzate culture messicane; proprio in quest’area, nel sito di Bat Cave in New Mexico, già intorno al 3.000 a.C. è testimoniato l’uso di mais di provenienza meridionale. Certamente non si tratta della prova di una vera e propria attività agricola, ma probabilmente i raccoglitori che frequentavano Bat Cave, erano già in grado di comprendere che i semi di mais interrati in determinate località e in un determinato periodo, potevano essere abbandonati per cercare altre risorse in altri luoghi, con la speranza e la possibilità che tornando nella stessa località mesi dopo, quei semi avrebbero dato i loro frutti. L’esperienza prodotta dalla continua osservazione del ciclo dei vegetali, coglieva l’opportunità di una specie già parzialmente selezionata dall’uomo tra le montagne del Messico centrale, e da quest’incontro nasceva l’agricoltura nel Nord America. A favorire il passaggio di conoscenze e tecniche dal Messico al Nord America fu probabilmente anche l’affinità linguistica, dato che in tutta la zona già vivevano popolazioni di lingua Uto-Azteca, antenati dei Pima, degli Opata, dei Tarahumara, oltre agli antenati degli Zuni, di più antica emigrazione, e che probabilmente all’epoca occupavano gran parte del New Maxico meridionale; alla fine dell’epoca arcaica a loro sarebbe toccato dare l’avvio alle prime culture agricole del sud-ovest, la Mogollon e la Hohokam. A nord e a est dei Basket Makers Arcaici, nel Nevada e nella California sud-orientale, intorno a quanto rimaneva degli antichi grandi laghi del Pleistocene, gli antenati degli Shoshone storici, costituivano l’elemento più conservatore del SudOvest, e a loro sarebbe toccato rappresentare fino ai tempi del contatto con gli Europei, la sostanziale permanenza della Cultura del Deserto dell’epoca Arcaica. Più a ovest, nella California meridionale e nella valle della California, la Cultura del Deserto assume caratterizzazioni specifiche in relazione alle specificità ambientali. Così nella California sud-occidentale, la tradizione La Jolla, San Dieguito ed Encinita, e ancor più nella Baja California, la tradizione Bacino-Pinto, a partire dal 5.000 a.C., testimoniano un modello di sussistenza, in cui la Cultura del Deserto si sposava con le opportunità offerte dall’ambiente costiero; nella dieta la raccolta di vegetali e la caccia di piccola selvaggina veniva integrata dalle risorse Punta della Cultura Bacino-Pinto


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del mare, principalmente dalla raccolta di molluschi lungo la costa, dato che le tecnologie necessarie per la pesca e la navigazione erano ancora limitate. In quest’area ad un antico popolamento di popoli di lingua Pericu e Waicuru, nel corso della fase arcaica si sovrapposero migrazioni di genti di lingua Hoka, che spinsero i Pericu e i Waicuru sempre più a sud nella penisola californiana, una regione che rimase sostanzialmente isolata per migliaia di anni, Testimonianza di primi usi funerari in California e dove lo stile di vita arcaico si evolvette mantenendo inalterate le sue caratteristiche. Più a nord nella zona del basso corso del Colorado, i popoli di lingua Hoka, che erano stati partecipi della tradizione San Dieguito, attraverso i contatti con le popolazioni del nord del Messico, alla fine dell’era Arcaica, acquisirono l’agricoltura, dando vita alla cultura Patayan. Nella valle della California la Cultura del Deserto, patrimonio di migranti che si adattavano un ambiente che si faceva via via più ostile, si incontrò invece con quello che era, ed ancora è, uno degli ambienti più ricchi e più adatti alla vita umana. A differenza del Grande Bacino, dove le precipitazioni sono ridotte a causa della barriera costituita dalle alte vette della Sierra Nevada, la bassa Catena Costiera della California, non costituisce un serio ostacolo alle masse nuvolose che si producono sul Pacifico, e la valle californiana è caratterizzato da un clima di tipo Mediterraneo, da un ambiente vario, con valli fluviali, zone collinari, montagne coperte dai boschi. In un simile ambiente le risorse vegetali abbondavano, così come la selvaggina, laghi e fiumi offrivano risorse ittiche, e gli antichi abitanti della California poterono sviluppare una variante della Cultura del Deserto molto più ricca e meno precaria; in particolare le maggiori risorse disponibili, permettevano un ciclo di spostamenti stagionali in un ambito spaziale più ridotto, ed uno stile di vita semi-sedentario, mentre la minore necessità di lunghi spostamenti tendeva a produrre comunità più piccole e isolate, sostanzialmente autosufficienti. La maggiore disponibilità di risorse, uno stile di vita meno precario, la possibilità di accedere ad una maggior varietà di materie prime, permise, già durante la fase Arcaica, il comparire di una prima attività artigianale non immediatamente legata all’uso quotidiano; tale attività è testimoniata dalle pietre lavorate apparentemente al solo scopo di produrre un effetto estetico, trovate in siti nella zona del Clear Lake; l’attenzione agli aspetti “voluttuari” dell’esistenza diede vita anche ad una significativa rete di scambi, in particolare per quanto riguardava materie come l’ossidiana, la steatite, oltre a cristalli e conchiglie, probabilmente utilizzati come ornamenti e simbolo di status. La produzione di canestri, che iniziò forse già a metà dell’era Arcaica, si diffuse in tutta l’area alla fine dello stesso periodo, e diede vita ad una tradizione che portò i popoli della California all’eccellenza nella produzione di questi oggetti. Lo stile di vita californiano, basato su piccole comunità locali, autonome e tendenzialmente isolate, diede vita a molte caratterizzazioni locali della cultura arcaica californiana, tra le quali sicuramente la più nota è quella detta “Borax Lake”, diffusa principalmente nella zona a nord della baia di San Francisco. I popoli che occupavano la valle californiana in epoca arcaica erano in larga misura riconducibili al gruppo linguistico Hoka, e forse a gruppi di stanziamento ancor più antico, come gli Yuki, ma verso la fine dell’epoca arcaica, intorno al 2.500 a.C., la regione fu invasa da popoli di provenienza settentrionale di lingua Penutian, forse dotati di tecnologie più avanzate. A questi Penutian, che occuparono le valli fluviali del Sacramento e del San Joaquin, è riconducibile la tradizione Windmiller, a cui sono dovute innovazioni tecniche che caratterizzarono le culture storiche della California, come l’uso di mortai e pestelli, e soprattutto i complessi procedimenti per l’utilizzo di ghiande a scopo alimentare. Alla cultura Windmiller sono anche riconducibili le prime testimonianze di usi funerari, con i defunti sepolti supini, insieme a corredi funerari composti da oggetti di uso quotidiano, sia per gli uomini che le per donne, e in alcuni casi anche con gioielli e ornamenti.


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Alla fine dell’era arcaica nella valle californiana, il percorso di sviluppo culturale giunse ad esaurimento, ed il modello prodottosi oltre 4.000 anni fa rimase sostanzialmente immutato, forse proprio a causa del suo successo, se è vero che in quest’area la crescita demografica fu costante e veloce, al punto che al tempo del contatto la valle californiana era l’area più densamente popolata del Nord america.

Lo stile di vita Arcaico nell’area dell’Altopiano Tutte le vicende umane della vasta regione montuosa degli attuali Idaho settentrionale, Washington, Oregon settentrionale, Montana occidentale, fino a tutta la parte centro meridionale della Columbia Britannica, è stata sempre fortemente determinata dalla presenza di due importanti bacini fluviali, quello Columbia-Snake a sud, e quello Fraser-Thompson a nord, bacini che fin dalla fine del pleistocene hanno rappresentato il riferimento delle prime comunità umane ivi insediatesi. La parte settentrionale di quest’area, che per decine di millenni era stata in gran parte ricoperta dai ghiacci, aveva rappresentatoalla fine del pleistocene, uno dei corridoi attraverso i quali era avvenuta la colonizzazione del NordAmerica, poi quando a partire dall’8.000 a.C. le temperature crebbero notevolmente, si produssero le condizioni per una colonizzazione effettiva; più a sud lo scioglimento dei ghiacci , le periodiche inondazioni e le precipitazioni che giungevano dal Pacifico, garantirono anche a fronte di temperature più elevate, il permanere di un ambiente ricco di boschi e praterie, in grado di sostenere le prime comunità umane. Qui già dalla fine del pleistocene si produsse un modello di sussistenza che sfruttava le risorse dei fiumi, prima la raccolta di crostacei, poi la pesca, integrata dalla caccia di selvaggina di piccola e media taglia e dalla raccolta di vegetali selvatici. La notevole disponibilità di queste risorse, produssero già nel corso dell’era Arcaica uno stile di vita semisedentario, legato alla permanenza durante i mesi più freddi nelle medesime località, spesso luoghi in cui la pesca e la raccolta di molluschi era più produttiva, con un nomadismo a breve raggio nella stagione migliore, quando si rendevano disponibili vegetali selvatici e ci si poteva dedicare alla caccia. All’inizio dell’era Arcaica quasi certamente, l’evoluzione delle tecniche di pesca, con l’uso di ami, arpioni, piccole reti, permise ai popoli della regione di utilizzare quella che era la loro principale ricchezza, il salmone, che in banchi immensi risaliva all’inizio della primavera i fiumi, per riprodursi nelle acque dei torrenti montani. Le prime tecniche di conservazione del pescato, contribuirono a far crescere la tendenza alla stanzialità degli insediamenti fluviali, aumentando la dipendenza di questi popoli dalla pesca. Così mentre in gran parte del Nord America la novità della fase Arcaica sta principalmente nel passaggio da un modello di sussistenza incentrato sulla caccia, a uno fortemente integrato dall’uso dei vegetali, in quest’area, centrale diviene l’attività di pesca, specialmente la pesca stagionale al salmone. Una maggiore specializzazione certamente si ebbe nelle regioni costiere, alla foce del Columbia, nella regione di Puget Sound, e alla foce del Fraser, dove il mare rappresentava una riserva illimitata di risorse: non solo pesce e molluschi, ma anche i mammiferi marini, che potevano essere cacciati con relativa facilità. L’omogeneità culturale di questa regione, fu interrotta però in modo traumatico nel pieno dell’era arcaica, intorno al 6.000 a.C., quando per cause ignote, si produsse un dislivello sul fiume Columbia, poco a monte della località di The Dalles, che impedì ai salmoni di raggiungere il corso superiore del fiume e i suoi affluenti. Senza la sicura e immensa risorsa rappresentata dal salmone, in tutta la parte meridionale dell’Altopiano il modello di sussistenza prese un corso diverso, si ridusse la centralità delle risorse fluviali, mentre la caccia e i soprattutto la raccolta di vegetali selvatici, davano vita ad un modello di nomadismo stagionale, simile a quello in uso nelle aree semi desertiche a sud, ma molto meno precario, data la maggior ricchezza di risorse naturali della regione. Fu probabilmente già in epoca arcaica, che in tutta la regione compresa tra il medio Columbia e lo Snake, la raccolta di radici di “camas”, una pianta della famiglia delle gigliacee, divenne una delle attività economiche fondamentali. Gli antichi abitanti di questa parte dell’Altopiano, erano quasi certamente gli antenati delle genti storiche di lingua Shahaptin e Salishan, ma probabilmente tra il 4.000 e il 5.000 a.C., nelle aree meridionali della regione iniziano a comparire le prime infiltrazioni di provenienza meridionale, da parte di popolazioni di lingua Shoshone portatrici della cultura del Deserto, che approfittarono del progressivo innalzamento delle temperature, per espandersi con il loro modello di sussistenza più adatto a regioni semiaride: così tutto il bacino del fiume Snake, divenne una zona di transizione tra la cultura dell’Altopiano e quella del Deserto. Questo processo può trovare conferma come sempre nel ritrovamento di diversi tipi di lame: al modello Cascade, bifacciale, a forma di foglia e senza scanalature, ne particolari lavorazioni alla base, simile al precedente Windust e in uso per tutta la fase Arcaica nella zona dell’Altopiano, si affianca il


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modello Cold Spring, con le caratteristiche incisioni alla base, che in seguito si imporrà in tutta la regione. In questo stesso periodo fanno anche la loro apparizione le prime abitazioni invernali semisotterranee, che poi rimarranno un tratto caratteristico dell’area. Alla fine dell’era Arcaica, intorno al 1.000 a.C., il modello culturale di quest’area aveva già acquisito tutte le principali caratteristiche presenti in epoca storica. Mentre ciò accadeva a monte di The Dalles, sul basso corso del Columbia la presenza del salmone diveniva il fulcro dell’attività economica, producendo un’evoluzione verso una tendenza alla sedentarietà sempre maggiore, nel quadro di un economia sempre più specializzata nelle tecniche di pesca e nell’uso delle altre risorse fluviali. E’ probabilmente anche a causa di questi cambiamenti culturali, che si produsse una rottura della relativa omogeneità linguistica tra le popolazioni di lingua Penutian che risiedevano sul Columbia; così a partire dal 6.000 a.C. le popolazioni del basso Columbia (Chinookan), evolvettero linguisticamente in modo diverso, da quelle che vivevano più a monte (Shahaptin) al punto che in tempi storici era estremamente difficile cogliere una qualsiasi relazione tra i due gruppi. Contatti si mantennero quasi certamente sul piano del commercio, dato che è accertata la presenza di significative quantità di conchiglie marine nelle zone interne, ricercate per il loro uso ornamentale; centro di questi scambi fu sicuramente la zona di The Dalles, al confine tra le terre dei Chinook e quelle Shahaptin, una località che già dalla fine del pleistocene era una importante stazione di pesca, e che rimase fino alla fine del XIX secolo il principale centro per gli scambi commerciali con i popoli dell’interno. Più a nord, lungo il fiume Fraser e i suoi affluenti, l’ambiente era segnato da un labirinto di rilievi coperti da lussureggianti foreste di conifere, solcato da profonde valli e da infiniti corsi d’acqua, una zona ricoperta dai ghiacci ancora alla fine del pleistocene, colonizzata solo in tempi recenti da popolazioni di lingua Salishan; il ritrovamento di uno scheletro, datato al radiocarbonio oltre il 6.000 a.C., e lo studio delle ossa, hanno permesso di stabilire che la dieta di questo antico abitante della regione, era principalmente basata sulla carne piuttosto che sulla pesca, e questo potrebbe far ritenere che all’inizio della fase Arcaica l’attività di caccia fosse prevalente, rispetto a quanto accadde nei millenni successivi. Ciò può forse indurre a pensare che i popoli Salishan, giunsero ad occupare l’area provendo dalle zone interne, forse addirittura a est delle Rocky Mountains, con un modello di sussistenza basato sulla caccia, e che abbiano acquisito successivamente le tecniche di pesca discendendo le valli fluviali fino alla costa, dove si trasformarono in un popolo di pescatori. Nelle aree interne comunque l’originale modello di sussistenza dell’Altopiano, basato sulla pari rilevanza delle attività di caccia, pesca e raccolta, con l’appuntamento stagionale della risalita dei salmoni, la stanzialità invernale lungo i fiumi e un parziale nomadismo estivo, si presenta nella sua espressione più completa negli ultimi millenni della fase Arcaica. In quest’area le popolazioni mantennero una stretta affinità linguistica, i dialetti della famiglia Salishan variano gradualmente in base alla lontananza geografica; più a nord, nella parte settentrionale dell’area, verso la fine dell’era Arcaica, intorno al 2.000 a.C., cominciano ad evidenziarsi influenze nordiche, dovute alla progressiva infiltrazioni di genti Atapaskan dalla zona delle sorgenti del fiume Yukon, influenze testimoniate dalle caratteristiche microlame. Certamente già in epoca Arcaica, la zona costiera tra l’Oregon e l’isola di Vancouver, doveva offrire opportunità peculiari per la sopravvivenza e dare luogo a specifici modelli di adattamento, ma per tutta l’area mancano riscontri archeologici precedenti al I millennio a.C., quando in tutta la regione cominciano a manifestarsi i primi segni del tipico modello culturale della Costa del Pacifico, che sarà una delle culture più complesse e caratteristiche del Nord America. Anche per quanto riguarda il popolamento di quest’area è difficile fare precise ipotesi, anche se è quasi certo che ad un più antico stanziamento di popolazioni di di lingua Wakashan e Chemakuan, stanziamento forse precedente anche il principale flusso migratorio della fine del pleistocene, si siano sovrapposta in tempi più recenti la colonizzazioni di gruppi Salishan, che disceso fino alla foce il fiume Fraser, colonizzarono la zona costiera a nord e a sud. Concludendo questa breve panoramica degli aspetti essenziali dello stile di vita Arcaico nella regione dell’Altopiano, è evidente che a differenza di quanto accadeva in altre parti del Nord America, dove in quest’epoca comincia a evidenziarsi un certo dinamismo, con la prima comparsa di un artigianato non strettamente legato alla sussistenza, le prime testimonianze di usi funerari, tutta l’area dell’Altopiano sembra mostrare un certo conservatorismo. D’altra parte come già detto, gran parte dell’area era ancora coperta dai ghiacci solo poche migliaia di anni prima, e pur essendo stata tra le prime a vedere la presenza umana, essa fu per lungo tempo solo terra di passaggio di gruppi che più o meno coscientemente si spingevano verso le terre meridionali; di fatto, malgrado una presenza umana molto antica, è probabile che in tutta l’area, la vera e propria colonizzazione iniziò solo nel corso dell’era Arcaica.


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Lo stile di vita Arcaico nella regione Sub-Artica Con il termine Sub-Artico si intende una immensa regione che si estende dall’Alaska al Labrador, e comprende tutte le terre a a sud del Circolo Polare Artico, con i bacini dei fiumi Yukon e Mackenzie, i grandi laghi del nord-ovest canadese (Athabaska, Gran Lago degli Schiavi, Gran Lago degli Orsi), fino alle coste meridionali della Baia di Hudson, e a gran parte della penisola del Labrador. Al di là di alcune caratteristiche ambientali e climatiche simili, si tratta di una zona che presenta ovviamente grandi differenze, ma al tempo del primo popolamento del Nord-America, essa era quasi totalmente ricoperta dai ghiacci, e quindi in fu buona misura esclusa dalla colonizzazione umana fin oltre l’inizio dell’era Arcaica, a eccezione ovviamente della sua parte più occidentale, l’Alaska, che come già detto fu la porta d’accesso al Nuovo Continente. La penisola dell’Alaska, unita da un vasto ponte di terra all’Asia, costituiva in realtà l’estremità orientale di questo continente, e insieme con la Kamjatka e le terre emerse intorno ad essa, viene oggi definita Beringia, un vasto territorio che a più riprese rimase libero dai ghiacci durante l’ultima glaciazione. Del primo popolamento della Beringia, risalente ipoteticamente a forse 30.000 anni fa non rimangono che scarsissime e dubbie testimonianze, mentre per avere riscontri più obbiettivi si deve giungere alla fine del pleistocene, intorno al 10.000 a.C., nello stesso periodo in cui molto più a sud si affermavano le culture paleoindiane dei cacciatori Clovis e Folsom, con le loro caratteristiche punte scanalate. A differenza di quelle dei Paleoindiani, le punte ritrovate nei siti dell’Alaska, non presentano scanalature e sembrano essere invece simili a quelle ritrovate in una vasta area che dalla Siberia orientale si estende fino all’Europa, in una sostanziale continuità culturale. I popoli di questa cultura, conosciuta come Nenana o Paleoartica, erano certamente parte di quella serie di orde di cacciatori nomadi del pleistocene, che avevano occupato la Beringia da decine di migliaia di anni, alimentando poi il flusso migratorio verso sud, grazie ai corridoi che periodicamente si aprivano attraverso le calotte glaciali o lungo la costa. Se così fosse i popoli che vengono identificati in base alla cultura Nenana, non furono altro che i precursori dei Paleoindiani, che al momento in cui raggiunsero le zone più a sud del Nuovo Continente, si caratterizzarono con la nuova e autonoma tecnologia Clovis. Alla fine del pleistocene, intorno al 10.000 a.C., cessano le testimonianze della cultura Nenana in Alaska, e certo nuove genti fanno la loro comparsa nella regione, provenienti dall’Asia. A quell’epoca infatti, le semplici punte Nenana, vengono sostituite in gran parte dell’area da un modello di microlame, non più lunghe di 3 centimetri, a sezione triangolare e prismatiche, già diffuse nella Siberia orientale da alcune migliaia di anni. I costruttori di queste microlame sono conosciuti in Asia come “cultura Diuktai”, e sono probabilmente all’origine dell’analogo modello culturale sviluppatosi in Alaska, e conosciuto come “cultura Denali”. A differenza dei Nenana, il cui modello di sussistenza era quello tipico del Pleistocene, basato sulla caccia di grandi mammiferi, è probabile che i Denali, fossero già in grado di utilizzare le risorse marine e la pesca lungo i fiumi, con un modello di sussistenza più flessibile. E’ probabile che la cultura Denali sia riconducibile alla comparsa in Nord America delle genti Atapaskan e dei gruppi ad essi collegati (Tlingit ecc...), le cui relazioni con le popolazioni asiatiche sono più evidenti che per qualsiasi altro gruppo di indiani, e che mossero separatamente e in epoca successiva in Beringia. Nei millenni successivi a partire dall’8.000 a.C. la presenza di microlame si manifesta in un area sempre più vasta, verso sud lungo la costa dell’Alaska, alle sorgenti dello Yukon e in Columbia Brittannica, e verso est, oltre le Montagne Rocciose e fino alla valle del Mackenzie, in coincidenza con Microlame del tipo Denali


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il definitivo ritiro delle calotte glaciali; la diffusione delle microlame, potrebbe così testimoniare della progressiva diffusione delle genti Atapaskan e della loro colonizzazione del Sub-Artico occidentale. Oltre i ritrovamenti di microlame, e altri semplici utensili in pietra, nulla è rimasto di questi antenati degli Atapaskan storici, il cui sistema di vita nel complesso non doveva essere molto diverso da quello dei loro discendenti al tempo del primo contatto; la Punte del tipo Plano delle pianure del Canada caccia di mammiferi come il cariboù presente in piccoli branchi nelle zone montuose e forestali, e in immense mandrie nelle tundre artiche, rappresentava già all’epoca la principale risorsa, accompagnata dalla pesca praticata nei laghi e nei fiumi che abbondavano nella regione, mentre a parte la presenza stagionale di alcune varietà di bacche, la disponibilità di vegetali commestibili era quasi nulla. La cultura delle microlame andò declinando nel corso dei millenni, in coincidenza con il definitivo ritiro dei ghiacci, a cui si accompagnò l’arrivo di influssi culturali di provenienza meridionale. In particolare nella vasta zona pianeggiante a sud e est del fiume Mackenzie, gli antichi Atapaskan vennero a contatto con gli usi e le tecniche delle popolazioni meridionali di cultura Plano. Questa cultura che nata nelle Grandi Praterie all’inizio dell’era Arcaica, era in sostanziale continuità con quella Paleoindiana dei cacciatori Folsom e Clovis, andò in crisi intorno al 6.000 a.C. nelle zone d’origine; nelle praterie del sud i cambiamenti climatici e la pressione venatoria, avevano ridotto le mandrie di grandi mammiferi su cui si basava l’economia dei cacciatori Plano, obbligandoli ad abbandonare il vecchio stile di vita. Quello stesso stile di vita era invece ancora praticabile nelle praterie e nelle foreste del Sub-Artico, solo da poco liberate dai ghiacci, con un clima ancora freddo, e non ancora sottoposto a distruttive pratiche venatorie. Fu così che le regioni del Sub-Artico, divennero depositarie nei millenni a venire di uno stile di vita e di un modello di sussistenza, che ricalcava quello dei primi colonizzatori Paleoindiani; al nord si sfruttava principalmente il cariboù le cui migrazioni stagionali al contrario di quelle dei bisonti seguono percorsi fissi, più a sud era sempre il bisonte la preda più importante, ma in ogni caso la caccia ai grandi branchi di mammiferi era fondamentale per la sopravvivenza. Questa espressione tardiva e periferica della cultura Plano, coinvolse, pur con notevoli variazioni, popoli diversi: gli antenati degli Atapaskan che dalla valle del Mackenzie si spingevano a sud e a est, quelli dei Kootenay, lungo il versante orientale delle Rocky Mountains, quelli dei Siouan, che forse erano stati i primi cacciatori Plano, e che ancora occupavano le praterie tra il Missouri e il Saskatchewan, quelli degli Algonquian, che seguendo i cambiamenti climatici e il ritrarsi dei ghiacci, colonizzavano le terre a nord dei Grandi Laghi. Nel complesso l’area Sub-Artica a est delle Rocky Mountains, fu una zona di tardiva colonizzazione, in cui più che prodursi un modello culturale specifico, si riprodussero i modelli dipsussistenza già prodottisi nel resto del continente migliaia di anni prima, quando alla fine del Pleistocene iniziò la vera colonizzazione del Nord America.

L’età Arcaica alla vigilia della Storia Convenzionalmente l’età Arcaica si considera conclusa intorno al 1.000 a.C., anche se in non poche parti del continente lo stile di vita arcaico continuerà a sopravvivere quasi inalterato; a fare da spartiacque tra il mondo Arcaico e i successivi sviluppi culturali fu la comparsa dell’agricoltura nelle Foreste Orientali e nel Sud-Ovest, ma prima di iniziare il percorso attraverso le grandi culture agricole dell’America Precolombiana, può essere interessante soffermarsi a fare un bilancio dei risultati ottenuti dall’indiano nel suo plurimillenario percorso di adattamento al Mondo Nuovo, prendendo atto che è a


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partire da questo momento che la vicenda culturale dei nativi americani prende una via totalmente diversa da quella che, più o meno nello stesso periodo viene intrapresa nel Vecchio Mondo. In effetti quella che in Eurasia è la grande rivoluzione del Neolitico, che fu sostanzialmente coeva della fase Arcaica, e alla fine della quale l’uomo giunse a elaborare fondamentali strumenti per rapportarsi con l’ambiente e garantirsi il suo successivo sviluppo culturale, in America trova solo limitati e parziali riscontri e non fu solo un problema di ritardo. Un semplice elenco di quelle che sono le grandi Le più significative espressioni culturali della fase Arcaica innovazioni del Neolitico nel Vecchio Mondo è illuminante: l’allevamento, la rotazione biennale delle coltivazioni, la metallurgia, la ruota, solo per citare le più significative, sono tutte scoperte alla base della civiltà in Europa e in Asia che invece sono assenti in Nord America; ciò ovviamente produsse conseguenze rilevanti nei secoli a venire. In gran parte del mondo il primo segno della capacità dell’uomo di dominare e determinare il proprio ambiente, fu testimoniato dalla trasformazione delle orde di cacciatori nomadi, in egualmente nomadi allevatori; fu così che i bovini e gli ovini che costituivano gran parte delle prede, invece di essere inseguiti nei loro spostamenti alla ricerca di pascoli, furono accompagnati, difesi e contestualmente selezionati, divenendo una risorsa alimentare sicura. Questo fenomeno fu quasi totalmente assente in tutto il continente americano, ad eccezione della regione andina, dove la cavia fu allevata fin dall’antichità a scopo alimentare e il lama anche come animale da soma, oltre che per la lana e la carne. Un discorso a se merita la presenza di tacchini all’interno dei villaggi Anasazi, che attirati dai campi di mais divennero una presenza abituale e un’opportunità alimentare, senza peraltro dare vita ad una vera e propria attività di allevamento. Esclusi questi limitati casi manca una vera e propria domesticazione di specie selvatiche come si produsse nel Vecchio Mondo ed i fattori che contribuirono ad impedire tale processo dovettero essere diversi e complessi. Vero è comunque che la fauna del Nord America offriva minori opportunità di quella eurasiatica, dove tra la grande varietà di bovini e ovini, alla fine fu possibile individuare le specie più adatte alla domesticazione. In America l’unica specie di bovini esistente è il bisonte, la cui domesticazione non è stata tentata nemmeno in Eurasia; quanto alle specie di ovini, la capra delle Montagne Rocciose vive solo in aspre zone di montagna, mentre la pecora bighorn, oggi diffusa solo in zone impervie, ma un tempo presente in tutte le regioni dell’ovest, forse avrebbe presentato maggiori possibilità di domesticazione. C’è da dire che gran parte delle aree in cui vive la pecora bighorn sono aride e semidesertiche, i pascoli sono isufficienti a sostenere grandi armenti, e addirittura gli erbivori possono diventare dei competitori per comunità umane che vivono della raccolta di vegetali selvatici. Più difficile da spiegare è il caso del cariboù, la cui variante euroasiatica, la renna, viene allevata allo stato semibrado da popolazioni siberiane, che sotto molti punti di vista presentano vicinanze culturali con gli abitanti del Sub-Artico nordamericano, dove invece tale pratica è ignota; in questo caso forse fu determinante la tarda colonizzazione del Sub-Artico, e quindi il tempo minore a disposizione dei popoli che lo abitavano, e che forse tale pratica si sarebbe potuta acqisire, in un lasso di tempo maggiore. Il cavallo in Eurasia fu lo strumento principale della costruzione di modelli sociali sempre più complessi, dato che fornì la pos-


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sibilità di veloci spostamenti, e quindi di una più veloce circolazione di informazioni e tecniche, e al tempo stesso diede impulso alla vocazione aggressiva e predatoria, contribuendo all’emergere di elite e caste guerriere, e quindi alla nascita di una prima stratificazione sociale; non è casuale che laddove questo mammifero era assente, come in gran parte dell’Africa, in America e in Oceania, lo sviluppo delle culture subì un forte rallentamento. Quando questo animale fu riportato dagli Spagnoli in Nord America, dopo la sua estinzione alla fine del pleistocene, tutta la cultura dei popoli nativi ne fu fortemente condizionata in senso dinamico, e il cavallo divenne uno dei simboli della cultura degli indiani storici. L’assenza di popoli di pastori nomadi è forse l’aspetto che più differenza lo sviluppo della cultura in Nord America, da quanto accadde nel Vecchio Mondo. L’assenza del cavallo e più in generale della trazione animale ebbe conseguenze anche sullo sviluppo delle tecnologie; così la ruota, il cui principio risulta conosciuto, almeno perchè applicato a piccoli oggetti costruiti a scopo ludico e ritrovati in Messico e nel Sud-Ovest, ebbe scarse possibilità di utilizzo concreto. La costruzione di oggetti complessi come ruote e carri, richiede un notevole investimento in tempo ed energie, oltre che una lunga sperimentazione, un dispendio che risulta quasi inutile in assenza dell’energia animale da usare per la trazione. L’agricoltura si sviluppò per la prima volta in America Centrale durante la fase intermedia dell’era Arcaica, solo pochi millenni dopo l’analogo processo avvenuto nel Medio Oriente asiatico, ma non diede luogo al successivo sviluppo dei primi centri urbani. La causa Testimonianze della conoscenza del principio della ruota fu certamente l’assenza della pratica di mettere tra le popolazioni mesoamericane a riposo i campi dopo un anno di raccolto, pratica poi progressivamente evolutasi nella tecnica della rotazione delle coltivazioni; grazie a queste conoscenze i primi villaggi agricoli hanno potuto continuare a crescere ed ingrandirsi, fino a produrre i primi centri urbani dell’antichità in Occidente, a differenza di quanto accadde in gran parte delle zone agricole del Nord America, dove invece i villaggi erano abbandonati dopo un periodo di otto-dieci anni, quando i terreni si erano impoveriti. Così mentre nelle zone agricole della valle del Mississipi troviamo testimonianze di grandi centri cerimoniali utilizzati per secoli, non risultano tracce di una civiltà urbana ad essi collegata. Forse l’abbondanza di terra in rapporto alla popolazione, non incentivò all’acquisizione di pratiche di utilizzo dei terreni agricoli più razionali; va poi considerata l’assenza di una competizione fra popoli di agricoltori sedentari e di nomadi pastori, che in Eurasia obbligò i primi a valorizzare al massimo le terre abitate, piuttosto che colonizzarne di nuove sottraendole ai nomadi con aspri e distruttivi conflitti; così le grandi distese erbose che in Asia centrale furono la culla delle culture pastorali dei popoli indoeuropei, in America divennero invece la sede di precarie e periferiche culture agricole prodotte nelle Foreste Orientali. Comunque l’assenza dell’allevamento condizionò il modello agricolo, dato che non possedendo animali domestici a cui garantire pascolo o foraggi, gli agricoltori indiani, non furono motivati alla pratica di far riposare i terreni destinandoli all’alimentazione di ovini e bovini, e alla concimazione da parte degli stessi animali.


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Dell’ultima grande innovazione che nel Vecchio Mondo trasse l’uomo oltre il Neolitico, le tecniche della metallurgia, la fusione dei metalli, la loro unione in leghe, non c’è traccia in Nord America, dove l’uso del rame nativo, abbondante soprattutto nella zona del lago Superiore, diede luogo ad una ricca produzione artigianale di oggetti per uso estetico e simboli di status, senza però offrire l’opportunità di un salto tecnologico come quello rappresentato nel Vecchio Mondo dall’avvento dell’età del Bronzo. Ad esclusione dell’agricoltura, della ceramica e dell’utilizzo delle fibre vegetali, tutti i più rilevanti elementi della rivoluzione del Neolitico, non si realizzarono in Nord America, dove il livello di sviluppo tecnologico rimase ferma a quell’era. Le ragioni per cui ciò accadde furono certo varie, alcune caratteristiche ambientali, come la presenza di una determinata fauna, possono aver avuto un ruolo significativo, ma certo l’aspetto che va indiscutibilmente considerato è il tempo relativamente breve in cui l’uomo si adattà al Mondo Nuovo. L’homo sapiens sapiens, è presente in Africa, Europa, Asia da almeno 200.000, ma giunse in America non più di 30.000 anni fa, e una sua presenza significativa e testimoniata solo poco più di 12.000 anni fa: un tempo breve, tutto sommato, un tempo nel quale l’uomo d’America, rielaborò le sue conoscenze, ne acquisì di nuove, recuperando molto del tempo perduto: poche migliaia di anni dividono le prime comunità agricole dei Natufiani della Palestina, dai primi tentativi di domesticazione del mais nelle valli montane del Messico: anche in America il processo ebbe inizio, ma da allora seguì strade proprie e originali. Dove sarebbe giunto non lo sappiamo, sappiamo solo quando fu interrotto.


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LE CULTURE PRECOLOMBIANE


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Iniziando a ragionare sulle civiltà precolombiane del Nord America, è doveroso partire da una riflessione sul modo in cui si è approcciato al tema, e sulla curiosa difficoltà che per lungo tempo hanno avuto gli studiosi, a ricercare il passato dei popoli storici nelle ormai documentate civiltà precolombiane, e contestualmente di trovare nei popoli storici gli eredi di tali civiltà. Da ciò ne è derivata una netta separazione dello studio dei due soggetti, i popoli storici e le civiltà precolombiane, con conseguente e arbitraria assegnazione dei primi alla “storia” e dei secondi alla “preistoria”. Al di là delle obbiettive difficoltà della ricerca, c’è da chiedersi se in questo approccio non abbiano anche agito i pregiudizi, che per secoli hanno caratterizzato l’uomo bianco nei confronti dei nativi. Per secoli l’immagine dell’indiano del Nord America è stata concepita dal conquistatore europeo in termini funzionali al suo apparato ideologico: così per quanti erano impegnati a espropriarlo della propria terra e a distruggerne la cultura, l’indiano era, nell’ipotesi migliore, un povero selvaggio fermo all’età della pietra, che l’uomo bianco doveva, con le buone o le cattive, educare alla cultura e alla civiltà moderna. Fondamentale era, per la coerenza di questo approccio, negare ogni complessità alla cultura dell’indiano, quando pur si ammetteva che una cultura c’era, se necessario anche idealizzandolo come un semplice e puro prodotto della natura. Questo semplice quadro, con il figlio della natura, selvaggio e fermo all’età della pietra da un lato, e il civilizzatore bianco dall’altra, iniziò a complicarsi quando, i primi studi archeologici, dimostrarono che ancor prima dell’arrivo dell’uomo bianco, il Nord America aveva visto nascere fiorenti civiltà, di cui dopo il contatto erano rimaste scarse o nulle vestigia nello stile di vita degli indiani. Il primo ad aprire alla ricerca delle civiltà “scomparse “ del Nord America, fu certamente il futuro presidente Thomas Jefferson, che alla fine del ‘700 nella sua tenuta di Monticello, per primo fece uno scavo a sezione verticale di un “mound”, un tumulo funerario tipico della zona delle Foreste Orientali, ritrovandovi ossa e reperti. Per molti decenni la curiosità intellettuale di Jefferson non fece proseliti, e solo quando la resistenza indiana alla conquista fu definitivamente debellata, i primi studiosi e archeologi ripresero scavare e a raccogliere reperti, mostrando così un quadro estremamente complesso del Nord America nei secoli precedenti al contatto. Grandi tumuli funerari, piramidi di terra più grandi di quella di Cheope, villaggi di pietra con torri e edifici a più piani, ricche produzioni artigianali in ceramica, rame e altri materiali, queste sono le testimonianze del passato, che mal si accordano con l’idea del sel-


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vaggio fermo all’età della pietra, e aprono a più di una domanda. La prima fra queste domande, “chi erano i popoli di queste culture”, era ovviamente tutta interna al presupposto ideologico del tempo, quello basato sull’immagine dell’indiano “selvaggio”, e che quindi escludeva a priori che i “selvaggi” potessero essere gli artefici di queste opere del passato; così per lungo tempo gli studiosi si appassionarono a diverse teorie alla ricerca dei misteriosi e ormai scomparsi popoli del passato, più civili ed evoluti degli indiani storici, a cui certamente appartenevano i reperti e le vestigia dell’epoca precolombiana. In realtà già Thomas Jefferson aveva inequivocabilmente indicato gli indiani storici come artefici dei mounds delle terre orientali, così come era evidente la continuità tra gli indiani Pueblos del sudovest e gli antichi edificatori dei “cliff dwellings” (abitazioni sui dirupi); comunque si dovette giungere solo a tempi relativamente recenti per sfatare l’affascinante mito dei popoli scomparsi; ciò fu possibile quando l’opportunità di una più precisa datazione dei reperti, indicò una chiara ed evidente successione di culture, che dalla fine dell’era Arcaica (circa 1.000 a.C.) giungeva fin quasi al tempo del contatto con gli Europei (XVI –XVII sec.), senza vere soluzioni di continuità. In questo scansione temporale ben definita era impossibile inserire i “popoli misteriosi”, e finalmente si prese atto che gli indiani storici erano stati gli unici protagonisti delle culture precolombiane del Nord America, e ciò ovviamente chiudeva definitivamente con l’immagine del selvaggio, il cui livello culturale di poco si eleva oltre lo stato di natura. Ma come è noto, ogni risposta pone nuove domande, e la principale era quella riguardante l’apparente mancanza di memoria culturale tra gli indiani storici e i loro predecessori: quando alla fine del ‘600 gli esploratori francesi videro per la prima volta il gigantesco Monks Mound, nei pressi di In alto il Monk’s Mound di Cahokia, nell’Illinois Cahokia, Illinois, chiesero agli indiani In basso la zigurrat di Cioge Zanbil, in Iraq del posto informazione su quell’opera umana, la cui edificazione necessitava del lavoro organizzato di migliaia di uomini, ottenendo però solo risposte vaghe e generiche; i Navajo che occupavano la regione dove sono edificate le più spettacolari “cliff dwellings”, attribuivano la loro costruzione agli Anasazi, gli “Antichi”, senza altro spiegare. In generale gli indiani storici, salvo rari casi, sembrano essere i primi a non considerare se stessi gli artefici delle antiche culture precolombiane, e questo non può essere spiegato solo per le difficoltà derivanti dalla mancanza di una documentazione scritta e dalla limitata possibilità della tradizione orale di tornare indietro nel tempo. C’è di fatto un trauma alla fine delle culture precolombiane, forse più traumi, di natura ambientale, climatica, politica, epidemica, migratoria, traumi che hanno prodotto una rottura, una lacerazione nella memoria degli indiani storici, operando una frattura netta fra ciò che accadde prima di un determinato periodo e ciò che accadde dopo. Che questa frattura coincida in buona misura con il contatto con i colonizzatori europei è certo, ma questo evento fu solo uno, anche se forse il più importante, tra i vari fattori coincidenti. Ricostruire la storia della crisi e a volte del collasso delle culture precolombiane, significa ricucire quella lacerazione che ha impedito una visione omogenea e coerente della storia dei popoli nativi, consegnandoci piuttosto le due storie separate, che l’uomo bianco ha fino ad oggi raccontato: quella delle antiche civiltà, appannaggio degli archeologi, e quella dell’indiano storico, terreno esclusivo dell’etnologo. Così a partire da questa divisione, risulta semplice e naturale usare le categorie europee di storia e preistoria,


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senza tener conto delle specifiche caratteristiche dello sviluppo delle culture umane in Nord America: tutto ciò che accadde prima del contatto è “preistoria”, tutto ciò che accadde dopo il contatto, e di cui l’europeo fu il principale fattore condizionante, è “storia”. A supporto di questo semplice schema, il principio convenzionale per cui la storia inizia con la documentazione scritta, e tutto ciò che accade senza essere documentato dalla scrittura, rientra nel mondo misterioso e primitivo della preistoria. Questo principio convenzionale ha un senso nella storia del Vecchio Mondo, laddove la scrittura nasce alla fine della rivoluzione del neolitico e in coincidenza con la nascita delle prime grandi culture agricole della Mesopotamia, ma è inadatto a render conto della esperienza del Nord America, dove società complesse come e forse più di quelle dell’antica Mesopotamia, si affermarono in assenza della conoscenza della scrittura. Se anche gli antichi costruttori di zigurrat non avessero lasciato testimonianze scritte, non per questo potrebbero essere definiti “preistorici”; e invece questo criterio viene utilizzato per i popoli del Mississipi che edificarono i loro templi su piramidi di terra. Storia e preistoria in Nord America non possono essere definiti in base ai criteri in uso nel Vecchio Continente, perché manca un punto convenzionalmente definibile in cui l’una comincia e l’altra finisce, a meno che non si voglia usare la logica dell’uomo bianco, che ponendo se stesso al centro della storia, la fa iniziare solo al momento della sua comparsa. Ricostruire la storia dei tanti popoli nativi come un continuum autonomo, in cui l’incontro e lo scontro con l’uomo bianco rappresenta un evento fra i tanti, certo il più importante, di una storia plurimillenaria, ma non l’unica prospettiva attraverso cui ogni vicenda viene vista e analizzata. In tal senso, nell’analisi delle vicende delle culture precolombiane dell’epoca classica, e soprattutto delle ragioni del loro collasso, vanno ricercati gli elementi di continuità e relazione con le storie tribali successive, per ricostruire una narrazione organica e coerente di cui i popoli nativi siano i veri protagonisti.


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LE FORESTE ORIENTALI La vasta regione compresa tra i Grandi Laghi, il fiume Mississipi, il Golfo del Messico e l’oceano Atlantico, è certamente una tra le zone del mondo che offre le migliori condizioni per lo sviluppo dell’attività umana: un clima che va dal temperato freddo della fascia settentrionale, al subtropicale lungo le coste del Golfo, con una piovosità abbondante, una vegetazione ricca, grandi foreste di latifoglie nell’interno e pinete nelle zone costiere; quasi al centro della regione, una bassa catena montuosa, i monti Allegheni o Appalachi, che si estende da nord a sud, e divide i fiumi della regione tra quelli che si riversano direttamente nelle acque dell’Atlantico, e i grandi complessi fluviali dell’Ohio e del Tennessee, che con i loro molti affluenti costituiscono la parte orientale del grande bacino del Mississipi. Acqua, boschi, una fauna abbondante e varia in cui abbondano il cervo virginiano, il grande wapiti, il tacchino selvatico, l’orso nero e il bisonte, presente sia nelle praterie occidentali al margine della grande foresta, sia nelle vaste radure all’interno di esse. Ma se i boschi sono il paradiso dei cacciatori, è la grande novità dell’era Arcaica, e cioè la conoscenza delle opportunità alimentari offerte dal regno vegetale, che trovò in questa parte del continente l’ambiente più adatto a dare i suoi frutti più fecondi. Qui gli indiani dell’epoca Arcaica avevano iniziato a raccogliere e ad utilizzare a scopo alimentare un gran numero di specie vegetali, imparando che nel tornare in una data località in periodo definito, avrebbero potuto fare un buon raccolto di semi, frutti o bacche, e iniziando così ad orientare il loro nomadismo sul ciclo stagionale delle piante. Fu così che dalla conoscenza del ciclo stagionale delle piante, si passò nel corso di secoli di tentativi, ai primi esperimenti di controllo di tale ciclo, seminando una parte del raccolto e iniziando una prima selezione di alcuni vegetali adatti all’alimentazione; così le tecniche agricole, che per molto tempo si è ritenuto giungessero dalla Mesoamerica, si svilupparono in modo completamente autonomo nelle foreste orientali, con propri cultigeni originali, in particolare il chenopodium , il marshelder, le zucche e il girasole; di questi, i primi due sono stati soppiantati nei secoli successivi dall’introduzione del mais, e poi dimenticati, e per questo per lungo tempo si è creduto, che prima dell’introduzione del mais, non vi fosse attività agricola. E’ a partire dall’ultima fase dell’era Arcaica, intorno al 2.000 a.C., che gli archeologi hanno trovato tracce di questa prima domesticazione di vegetali, in una vasta regione che comprende il cuore delle Foreste Orientali, le valli dei fiumi Tennessee e Ohio e la zona di confluenza tra il Mississipi e il Missouri, fin giù al basso corso dell’Arkansas. Alla fine dell’era Arcaica, intorno Il chenopodium (a sinistra) e l’iva annua (a destra) al 1.000 a.C., la cura di piccoli campicelli in riva ai le prime piante coltivate nelle Foreste Orientali corsi d’acqua era divenuta un’attività economica


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praticata in quasi tutte le Foreste Orientali, in grado di offrire una importante integrazione alle attività di caccia, pesca e raccolta. Le prime pratiche agricole sono l’humus comune a tutto il modello culturale delle Foreste Orientali, un modello che con varie articolazioni caratterizzerà tutta la regione fino all’800 d.C., producendo una fisionomia economica e sociale sostanzialmente omogenea. Piccoli gruppi famigliari di non più che poche decine di individui, che risiedono abbastanza stabilmente in una località, preferibilmente lungo il corso di un fiume, coltivando piccoli orti e raccogliendo vegetali selvatici, e con una notevole conoscenza della fauna terrestre e ittica del territorio. Lo stile di vita sedentario favorisce notevolmente lo sviluppo delle tecnologie e dell’artigianato, che dappertutto mira a trascendere le sole esigenze di utilità, per trasformarsi in prodotto con valore estetico o rituale; già alla fine dell’era Arcaica la ceramica aveva fatto la sua prima comparsa, e nel corso dell’ultimo millennio prima della nostra era, diviene patrimonio comune di tutti i popoli della zona. Anche le tecniche per la costruzione di capanne e riparo si fanno più complesse e funzionali, così come l’uso di pelli e fibre vegetali per gli indumenti. E’ probabile che nelle piccole comunità umane, la novità dell’attività agricola sia stata frutto della sperimentazione e della conoscenza delle donne, cui era particolarmente affidata la raccolta di vegetali, e che ciò abbia offerto loro un nuovo ruolo nel gruppo. Le comunità sono ancora profondamente egualitarie, ma certo la leadership individuale del capofamiglia tende a stabilizzarsi, così come è probabile che una prima specializzazione nelle attività connesse al misterioso e al soprannaturale, inizi a manifestarsi in questo periodo. In sostanza è possibile affermare che gran parte degli aspetti della vita sociale, materiale e spirituale, degli indiani storici della regione, inizia manifestarsi nel modello culturale delle Foreste Orientali di questo periodo; e in effetti alla vigilia del contatto con i bianchi, molti popoli della regione vivevano sostanzialmente secondo questo modello, cosa questa che dovrebbe rendere evidente il collegamento tra culture precolombiane e indiani storici; ma sul comune humus culturale delle Foreste Orientali, si ergono vestigia del passato misterioso, di cui gli stessi indiani storici non sanno darci conto e che rimandano ad una complessità sociale e spirituale che sembra ormai persa anche nella memoria e nel mito. E’ questo il caso dei “mounds”, i tumuli funerari che a centinaia si trovano in tutto l’est degli Stati Uniti, e che sono la principale fonte di reperti per gli archeologi, oltre che la dimostrazione evidente di un culto dei morti estremamente complesso e diffuso. E “mound builder”, costruttori di tumuli, sono stati definiti gli antichi abitanti delle Foreste Orientali, e su di loro e sulla loro identità si è per lungo tempo scatenata la speculazione e la fantasia, di quanti non sono riusciti a trovarne gli eredi tra gli indiani storici. Un “mound” è in se è solo un tumulo di terra, una collinetta più o meno alta, da pochi metri fino agli oltre 30 del Monk’s mound di Cahokia, un tipo di struttura che, ricoperta di vegetazione, si fatica anche a riconoscere come opera umana, salvo per il fatto che tali collinette sono abitualmente isolate e al centro di aree pianeggianti. Il primo a esercitare la sua curiosità su tali isolate collinette, fu Thomas Jefferson futuro terzo presidente degli Stati Uniti, che scavando un tumulo in sezione verticale, mise alla luce una serie di strati di ossa, a dimostrazione che il sito era stato utilizzato per più generazioni, crescendo in altezza ad ogni nuova serie di sepolture. Nel sito da lui scavato, le ossa erano migliaia, come gettate alla rinfusa, certamente a definire il sito più che come una sepoltura, come un ossario in cui periodicamente le ossa dei defunti erano raccolte. Da allora lo scavo dei “mounds” è divenuta una delle fondamenta dell’archeologia del Nord America, mostrando una vasta tipologia di forme e funzioni per queste semplici strutture, costruite con la sola forza delle braccia Lo scavo di un mound, in una stampa dell’800


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umane e con il solo ausilio dei cesti con cui la terra era trasportata; una tecnica sicuramente elementare, ma che prevedeva una quantità di manodopera e di continuità nel tempo, che solo delle società sufficientemente integrate e strutturate potevano garantire. Se i “mounds” ci offrono la possibilità di fare luce sulla vita materiale e spirituale degli antichi abitanti delle Foreste Orientali, più difficile e stabilire la loro identità etnica e linguistica, ricostruendo così a ritroso le vicende dei popoli storici. E’ estremamente difficile chiedersi se i costruttori di tumuli della valle dell’Ohio fossero Shawnee di lingua Algonchina, piuttosto che qualche altra tribù dei tempi storici, per varie ragioni, prima fra tutte il fatto che l’entità tribale Shawnee è il frutto di un percorso storico e culturale, che al tempo della costruzione dei primi “mounds” era ancora di là da venire; ma se gli Shawnee come tribù non esistevano ancora, certo già esisteva un gruppo di comunità che parlavano la lingua Algonquian, e da cui gli Shawnee storici discendono. Quindi dalle ipotesi sullo stanziamento dei principali raggruppamenti linguistici, è possibile avere un’idea di quale sia la relazione tra gli artefici delle prime culture precolombiane e gli indiani storici. D’altra parte porre il problema dello stanziamento dei popoli parlanti lingue simili, significa misurarsi con l’intricato tema delle migrazioni, tema sul quale ci si è spesso mossi in modo avventuroso, immaginando migrazioni la cui principale funzione era quella di giustificare una teoria, altrimenti debole. Comunque alcuni dati sono ormai accettati e partendo da questi dati è possibile immaginare quale fosse lo scenario delle regioni a est del Mississipi alla fine dell’era Arcaica e all’inizio della cultura delle Foreste Orientali. Quasi tutti i linguisti sono concordi nell’affermare che i più antichi abitanti delle regioni orientali parlavano lingue Algonquian e Muskogean, tra loro lontanamente imparentate; ne consegue che altri abitanti storici delle regioni orientali, di lingua Siouan e Iroquaian, anch’essi imparentati alla lontana, vi siano giunti in epoca più tarda, provenienti da est. Quando ciò sia accaduto è materia di cui discutere, ma certamente le condizioni migliori per un progressivo spostamento nella valle dell’Ohio e poi ancora più a nord fino ai laghi Erie e Ontario, si realizzarono solo nel corso dell’ultima fase dell’era Arcaica, quando il definitivo ritrarsi dei ghiacci a nord dei Grandi Laghi, rese le condizioni climatiche della valle dell’Ohio, particolarmente adatte alla vita di comunità umane, mentre contestualmente, nelle praterie meridionali a ovest del Mississipi, gli stessi cambiamenti climatici, rendevano difficile perpetuare l’antico modello di vita basato sulla caccia alle grandi prede. Cambiamenti climatici e apporto di nuove popolazioni possono aver segnato l’inizio della cultura delle Foreste Orientali, che a partire dal X sec.a.C., si costituisce come un modello relativamente omogeneo, sul quale si innestano le diverse culture di “Mounds Builders”. Per quanto omogeneo questo periodo storico, che gli archeologi definiscono con il termine generale di cultura delle Terre Boscose (Woodland), è stato suddiviso in tre periodi definiti, in relazione alle diverse fasi dello sviluppo culturale: una prima fase (Early Woodland), in cui intorno al 500 a.C. emerge la prima cultura con una specifica caratterizzazione, quella di Adena; una fase intermedia, durante i primi cinque secoli dell’era cristiana (Middle Woodland), con l’evoluzione e l’estensione del modello Adena in quello Hopewell; una fase conclusiva (Late Woodland), più o meno dal 500 al 1.500 d.C., con la crisi del modello Hopewell, e il prodursi di alcune culture locali di transizione, e quindi infine a partire dal 900 d.C. l’emergere di un nuovo modello culturale, quello del Mississipi, con caratteristiche innovative rispetto allo stile di vita delle Foreste Orientali, sia nell’ambito del modello di sussistenza, sia soprattutto per ciò che concerne la struttura sociale e l’impianto ideologico e spirituale

Gli Adena Nel corso della prima fase della cultura delle Foreste Orientali, a partire dal 1.000 a.C. gli elementi comuni di uno stile di vita si diffondono in tutta l’area costituendo un humus comune, la base su cui nel corso dei secoli successivi si produrranno diverse e specifiche caratterizzazioni; la prima di queste caratterizzazioni fu la cultura di Adena, che rappresenta la definitiva uscita degli indiani delle Foreste Orientali dalla fase Arcaica della loro storia. La valle dell’Ohio è il cuore delle Foreste Orientali; essa prende nome dal fiume che l’attraversa, l’Ohio, che nasce nel sud-ovest dell’attuale Pennsylvania, dalla confluenza dei fiumi Allegheni e Monongahela, il primo proveniente dalla zona del lago Erie a nord, il secondo che raccoglie le acque che scendono dalla pendici nordoccidentali dei monti Appalachi, a sud. L’Ohio scorre in direzione sud-ovest, raccogliendo le acque di numerosi affluenti, fino a raggiungere il Mississipi, quasi al centro del continente; prima di confluire nel Mississipi, all’Ohio si unisce il fiume Tennessee, che raccoglie le acque provenienti


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dalle pendici sudoccidentali degli Appalachi. Complessivamente il bacino dell’Ohio corrisponde alle Foreste Orientali, ad esclusione delle fasce costiere dell’Atlantico e del Golfo del Messico, e della regione dei Grandi Laghi. Questa vasta, ricca e bella regione, che è ancora oggi il cuore dell’economia degli Stati Uniti, era quasi completamente disabitata al tempo in Il grande mound di Miamisbourg, nell’Ohio cui i primi bianchi la visitarono, nella seconda metà del ‘600, e questo a causa delle sanguinose guerre tribali causate dalla concorrenza nel commercio delle pelli, introdotto dai bianchi; nei centocinquant’anni successivi, tutta la vallata sarà un campo di battaglia insanguinato, prima dalle guerre commerciali e coloniali, poi della resistenza indiana alla colonizzazione. Ma la storia della valle dell’Ohio comincia molto prima, al tempo in cui per la prima volta nelle Foreste Orientali, dei popoli in gran parte sconosciuti iniziarono ad edificare gli imponenti tumuli, che ancora oggi testimoniano del loro passaggio. Perchè è proprio nel cuore della valle dell’Ohio, lungo corso superiore del fiume, subito a valle della confluenza tra l’Allegheni e il Monongahela che i Mound Builders (Costruttori di Tumuli), fanno la loro comparsa nella storia circa 1.000 anni prima dell’era cristiana, alla fine dell’epoca Arcaica. Il nome di Adena, con cui i primi costruttori di tumuli della valle dell’Ohio sono conosciuti, deriva da quello della tenuta di un governatore dello stato dell’Ohio dell’inizio del XIX secolo; sulla sua proprietà, poco fuori dall’attuale città di Chillicothe, fu per la prima volta identificato un tumulo di questa cultura e successivamente il nome di Adena fu esteso a tumuli simili, in tutta la regione di confine tra Ohio, Kentucky e West Virginia, con estensioni a ovest fin nell’Indiana e a est fino in Pennsylvania e New York. Grazie a queste semplici ma spesso grandiose opere, e soprattutto grazie ai reperti che in essi sono stati ritrovati, possiamo farci un’idea del livello di cultura e di conoscenze tecniche raggiunti dal popolo Adena. I tumuli Adena, le cui misure variano da un diametro minimo di 5-6 metri fino ad un massimo di 90, e la cui altezza poteva raggiungere anche i 20 metri, erano in larga misura delle strutture funerarie, costruite non in una sola occasione, ma nel corso di molti anni, fino ad un secolo, ponendo nuovi strati di terra ad ogni nuova sepoltura. Alla base era costruita una prima struttura funeraria, una rudimentale camera mortuaria, in cui erano poste le ceneri del o dei defunti; alle volte, probabilmente nel caso di personaggi particolari o di alto rango, il corpo non veniva cremato, e insieme ad esso venivano lasciati oggetti di uso comune, armi e ornamenti personali. Questa prima struttura veniva poi ricoperta di terra, una terra particolare e selezionata, portata sul luogo con dei cesti, e questo operazione dava origine al primo tumulo; successivamente nuove camere mortuarie venivano edificate su quelle sottostanti, i cui tetti crollavano per il peso sopportato, interrandosi definitivamente, mentre il tumulo si estendeva in larghezza ed altezza. Negli ultimi secoli dell’epoca Adena, accanto ai tumuli funerari di forma tendenzialmente conica, venivano edificate delle grandi strutture, sorta di muri e recinti in terra, spesso di forma circolare, a volte posti a circondare un grande tumulo funerario, a volte vuoti all’interno. In alcune località, tumuli e recinti di terra costituiscono strutture complesse, elaborate con una precisa geometria, cosa che fa pensare all’evoluzione dei siti funerari in veri e propri centri cerimoniali; comunque i tumuli Mappe di siti funerari Adena


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erano sempre lontani dai piccoli villaggi, e nessuna testimonianza della vita di comunità è stata riscontrata nemmeno nelle vicinanze dei complessi più grandi. Probabilmente sotto molti punti di vista gli Adena non erano diversi dagli altri abitanti delle Foreste Orientali, vivevano praticando una limitata attività agricola in piccoli orti famigliari, pescavano nei fiumi, raccoglievano vegetali selvatici e cacciavano nelle vicinanze delle abitazioni; ma la novità che gli Adena rappresentano, sta nel fatto che oltre a dedicarsi alle ordinarie attività di sopravvivenza, essi riservavano una quota del loro tempo e delle loro energie, alla costruzione di una sovrastruttura culturale e spirituale, testimoniata in modo evidenti dai loro tumuli Struttura di una capanna Adena funerari: questo segna il definitivo passaggio dell’homo sapiens americano, nel complesso e contraddittorio mondo della “civiltà”. Per il solo fatto di esistere i tumuli già ci danno alcune indicazioni sulle abitudini e la vita degli Adena: certo doveva trattarsi di popoli che vivevano anche per lunghi periodi in una determinata zona, dato che i grandi tumuli erano il prodotto dell’attività di più generazioni, che usavano inumare i propri defunti nella stessa località e con analoghe modalità. Se queste popoli relativamente stanziali, avessero vissuto in comunità numerose, qualche testimonianza dei loro stanziamenti dovrebbe essere rimasta, ma dato che nessuna è stata trovata è probabile che essi vivessero in piccoli gruppi famigliari, di al massimo 20 o 30 individui; da quel che sappiamo, le loro capanne erano di forma circolare, con un diametro da 5 a 15 metri, costruite con pali e corteccia, e in un insediamento non ve ne erano mai più di due o tre; eppure tutte queste piccole comunità erano tra loro in contatto e probabilmente cooperavano periodicamente per la sepoltura e l’edificazione del tumulo. L’uso di non cremare alcuni individui ma di seppellirli con un proprio corredo funerario, lascia pensare all’emergere di figure di rilievo e di una prima forma di stratificazione sociale; si pensa che i primi elementi dell’organizzazione in clan inizino a prodursi tra queste piccole comunità, con un processo che è di identificazione del proprio gruppo famigliare, ma anche di relazione, attraverso l’esogamia, con gruppi affini. Forse alcuni di questi clan avevano specifiche prerogative, o forse all’interno di questi clan, si definiscono leadership istituzionalizzate. Quello che è certo è che la fase della vecchia orda di nomadi cacciatori e raccoglitori è ormai passata, e più gruppi famigliari costituiscono un tessuto di relazioni sociali strutturato. Di questo ne sono certamente prova i complessi di tumuli cintati da muri di terra dell’ultimo periodo Adena; è evidente che i luoghi di sepoltura, con il tempo divengono veri e propri spazi cerimoniali, a cui si giunge in pellegrinaggio per periodici raduni, e che forse erano usati per le prime osservazioni astronomiche. Quanto ai corredi funerari trovati nei tumuli, essi indicano principalmente il rafforzamento e l’estensione degli scambi e dei commerci: il rame, che già in epoca Arcaica aveva alimentato il commercio dalla zona dei Grandi Laghi al resto delle Foreste Orientali, si trova in gran quantità, principalmente usato per scopi ornamentali e religiosi, e molto meno per la costruzione di asce o altri utensili; dal Golfo del Messico e dalla costa Atlantica giungevano conchiglie con cui venivano fabbricati ornamenti, bracciali, collane e pendenti. Vasi e recipienti di terracotta erano di uso comune, ma non venivano lasciati nelle sepolture, dove invece abbondavano oggetti ornamentali e rituali, a testimonianza di un esplosione della produzione non immediatamente connessa alle attività di sussistenza, e certamente legata ad un notevole arricchimento della vita sociale e spirituale. Tra i ritrovamenti più importanti e particolari, ci sono ovviamente le pipe tubolari di terracotta, a testimonianza della comparsa del tabacco nelle cerimonie, e delle tavolette di pietra piatta, di 10-15 centimetri di lato, con incise figure geometriche o disegni zoomorfi stilizzati, che si pensa fossero usati come stampi, per le pelli e gli indumenti, ma forse anche per facilitare il tatuaggio. Dalla produzione artistica e artigianale ci giungono anche informazioni sulla prima comparsa dello shamaniProdotti artigianali Adena: smo, in particolare i miti e le credenze sulla trasformauna pipa tubolare e una tavoletta incisa


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zione di un uomo in un animale, testimoniati da disegni e incisioni, e sono abbondanti i reperti che attestano l’uso di corna, ossa, pelli di animali, o prodotti artigianali che riproducono o simbolizzano gli animali, come parte di rituali collettivi. Alcuni tra gli elementi più noti della simbologia cerimoniale degli indiani storici, come la croce nel cerchio, fanno la loro comparsa tra gli Adena, così come il simbolo dell’”occhio piangente”, che caratterizzera tutta l’area delle Foreste Orientali, ed probabilmente connesso al culto funerario. Di fatto il mondo spirirituale degli in- Vasellame di produzione Adena diani storici, almeno nella parte orientale del continente, trae le sue radici già da questa antica civiltà, a dimostrazione della sostanziale unicità e organicità della storia degli indiani d’America; più difficile è invece individuare una precisa relazione tra gli Adena che vissero nell’alta valle dell’Ohio tra il 1.000 a.C. e il 200 d.C. e un particolare gruppo di indiani storici. Al tempo in cui i bianchi esplorarono le terre un tempo abitate dagli Adena, la regione era contesa da diversi gruppi tribali, ma nessuno in particolare vi risiedeva. La Lega Iroquois, che per circa un secolo e mezzo vanterà il dominio su tutta la valle dell’Ohio, la considerava solo come un immenso territorio di caccia, e gruppi di Iroquois vi si insedieranno, solo a partire dall’inizio del XVIII secolo, in conseguenza della pressione dei bianchi. Gli Algonqian Shawnee, che certamente risiedevano nell’area dalla fine del ‘600, è probabile che vi si siano insediati solo in tempi recenti, e che come altre tribù Algonquian linguisticamente affini, vivessero prima più a nord, intorno ai Grandi Laghi. Da testimonianze di esploratori Francesi risulta che sull’alto corso dell’Ohio, vivesse una una tribù denominata Mosopelea, che con il nome di Ofo alla fine del ‘600 raggiunse il basso corso del Mississipi, per sfuggire all’aggressività della Lega Iroquois; gli Ofo parlavano una lingua Siouan. Un altra tribù Siouan, che alla fine del ‘600 si spostò da nord fino alla baia di Mobile sulle coste del Golfo del Messico, erano i Biloxi, che potrebbero anch’essi provenire dalla stessa regione. Altri Siouan che certamente vissero nella bassa valle dell’Ohio, furono gli antenati degli Osage, dei Quapaw, degli Omaha, tutti emigrati a ovest intorno alla metà del ‘600. Di lingua Siouan erano poi le tribù che vivevano sui monti della Virgina e della West Virginia, Monacan, Tutelo ecc... In conclusione è possibile affermare che tutta la valle dell’Ohio, alla vigilia dell’incontro con i bianchi, era abitata da genti di lingua Siouan, e che a loro sia da ascrivere la costruzione di almeno una parte dei tumuli; questo spiegherebbe anche il fatto che gli Algonquiane gli Iroquoaian che vi si insediarono in tempi storici, non avessero alcuna memoria dell’edificazione di queste strutture. Certamente le genti Siouan edificarono molti dei tumuli nella valle dell’Ohio, almeno quelli più recenti, ma per fare ipotesi sull’identità degli Adena, si deve andare indietro nel tempo di oltre 2.000 anni ed è difficile affermare con certezza che i Siouan già abitassero quelle terre: probabilmente la vicenda è più complessa, e per spiegarla è necessario incrociare i pochi dati climatici e alcune incerte ipotesi degli studiosi delle lingue indiane. Sembra ormai accertato che i primi abitanti delle Foreste Orientali furono gli antenati degli Algonqian e dei Muskogean, così come è accertato che nel corso degli ultimi millenni dell’era Arcaica, a partire dal 4.000 a.C., un innalzamento climatico determinò il definitivo scioglimento dei ghiacci nella zona dello scudo Laurenziano, tra i Grandi Laghi e la baia di Hudson. Fu così che in questo lungo lasso di tempo gli antenati degli Algonqian, con un modello di sussistenza ancora fortemente legato all’attività venatoria, inseguendo le prede che approfittavano delle nuove condizioni climatiche nelle terre del nord, giunsero a colonizzare la regione dei Grandi Laghi. A questi Algonqian è probabile che si debbano le arcaiche culture del rame nella regione dei Grandi Laghi. Ancora in tempi storici gran parte degli Algonqian viveva in quest’area, praticando la caccia e la pesca, usando un limitato numero di vegetali selvatici e praticando poco o per nulla l’attività agricola. Se questa ricostruzione è credibile, è ipotizzabile pensare che la valle dell’Ohio, a sud dei Grandi Laghi, abbia potuto vedere un parziale abbandono da parte degli abitanti originari e il conseguente arrivo di


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nuovi occupanti, e che questi nuovi arrivati portassero con se un bagaglio di conoscenze nell’uso dei vegetali selvatici e nelle prime rudimentali tecniche agricole, tipico del modello di sussistenza impostosi nelle Foreste Orientali a partire dal 2.000 a.C. Escludendo la presenza di “popoli misteriosi”, questi nuovi colonizzatori della valle dell’Ohio vanno sicuramente cercati tra i popoli che abitavano le Foreste Orientali in tempi storici, e tra questi in particolare le tribù di lingua Iroquaian, che sicuramente devono essere state protagoniste di un lungo e lento processo migratorio, dato che la loro presenza nella regione occupata in tempi storici è relativamente recente, e che per il loro legame linguistico con i Caddoan delle Grandi Pianure, potrebbero un tempo essere vissuti molto piu a ovest. Prima che alla metà del ‘600 i Siouan giungessero nelle praterie tra l’Arkansas e il Missouri, questa regione era abitata dai Caddoan, ed è probabile che essi l’abitassero fin dall’era Arcaica, e che a quel tempo fossero un unica entità linguistica con gli antenati degli Iroquaian. In questa regione, a ovest della confluenza tra Ohio e Mississipi, è possibile che gli Iroquaian si siano staccati dai Caddoan per spingersi a progressivamente a est, forse per approfittare di nuove opportunità di sussistenza, forse perchè pressati da nemici, e non è da escludere che questa ipotizzata lenta migrazione, abbia approfittato del contestuale progressivo spostamento a nord degli Algonquian. Non sappiamo con precisione quando i Caddoan e gli Iroquaian si separarono, ma i linguisti hanno fatto alcune ipotesi riguardo all’epoca della divisione tra le principali tribù Iroquaian, quelle settentrionali, e i Cherokee che costituivano un gruppo isolato a sud. Secondo tale ipotesi gli Iroquaian settentrionali e Cherokee si si divisero, e tra il 2.000 e il 1.500 a.C., e se tale divisione avvenne nella regione di confluenza tra Ohio e Mississipi, è possibile che i due gruppi abbiano seguito il corso dei fiumi Tennessee-Cumberland e Ohio, che rappresentano la via naturale di collegamento tra le Grandi Pianure e i loro rispettivi territori storici (laghi Erie e Ontario, valle del San Lorenzo, fiume Susquehanna per gli Iroquaian settentrionali, gli Appalache meridionali per i Cherokee); che un progressivo spostamento lungo l’asse rappresentato dal corso dei due grandi fiumi abbia portato Iroquaian e Cherokee a destini lontani, è certamente più credibile, che gli uni o gli altri si siano spostati lungo le valli montane degli Appalache. Così gli Iroquaian, intorno al 2.000-1.500 a.C, potrebbero aver colonizzato la bassa valle dell’Ohio, spingendo sempre più a nord-est i loro insediamenti, fino a raggiungere il territorio Adena intorno al 1.000 a.C, in coincidenza con la costruzione dei primi tumuli. Sempre l’analisi linguistica ci dice che gli Iroquaian settentrionali, differenziarono i loro idiomi, in un periodo che va tra il 500 e il 1.000 d.C., costiuendo fino a quell’epoca un gruppo omogeneo e relativamente localizzato. Successivamente a questo periodo, che è posteriore al declino degli Adena, intorno II-III sec.d.C., gli Iroquaian si dividono, espandendosi in una vasta regione che va dalla valle del San Lorenzo, fino alla Virginia. Gli archeologi non hanno trovato alcun elemento che indichi la presenza degli Iroquaian nelle loro sedi storiche, almeno fino al X secolo d.C. e certamente la loro comparsa coincide con un cambiamento delle tecniche artigianali nella regione, con il comparire di un sistema di clan matrilineari, e sopratutto con l’introduzione della cultura del mais, tutti elementi che fanno pensare al loro arrivo nell’area in epoca successiva all’VIII o IX secolo. D’altra parte non va dimenticato che piccoli insediamenti Adena sono segnalati proprio sul margine meridionale delle terre degli Iroquaian, nello stato di New York, a conferma di un antico collegamento culturale tra la valle dell’Ohio degli Adena e le terre storicamente occupate dagli Iroquaian. Da tutto ciò è possibile ipotizzare che gli Iroquaian settentrionali, ancora non differenziati linguisticamente, si siano trovati a vivere nelle terre dell’alto Ohio nel periodo compreso tra il 1.000 a.C. e il 500 d.C., in coincidenza con il fiorire della cultura Adena, prima di raggiungere le loro sedi storiche a nord-est e in Virginia. Insediamenti Adena e migrazione degli Iroquaian


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Questa è ovviamente solo un’ipotesi, che ha una sua ragion d’essere per alcuni dati certi, altri probabili, e altri ancora solo possibili, ma può anche provare a spiegare il singolare declino della cultura di Adena; di fatto la cultura Adena declina nel contesto di una sua espansione in gran parte delle Foreste Orientali. La crisi e quindi la scomparsa della cultura Adena è datata a partire dal II sec.d.C., ma gia da alcuni secoli, intorno al II sec.a.C., nella stessa regione e in zone limitrofe, e poi progressivamente in tutte le Foreste Orientali, si sviluppano modelli culturali che pur in sostanziale continuità con gli Adena, raggiunsero forme sempre più elaborate e complesse, portando la cultura Adena al suo più alto sviluppo, ma condannando al declino e al superamento il suo primo e originale embrione. Come se un impianto provinciale fortemente localizzato ed espressione di un unico gruppo etnico, si sia arricchito di nuovi influssi, nuove esperienze e nuove opportunità, grazie al contributo di un gran numero di genti e popoli che l’avevano fatto proprio. L’apice della cultura Adena è rappresentato dalle diverse culture Hopewell, che rappresentano il modello culturale classico delle Foreste Orientali. Se agli antenati degli Iroquaian compete il merito del primo avanzamento nella complessità dei modelli culturali, con le culture Hopewell entrano sulla scena della storia altri protagonisti, i Siouan e i Muskogean.

Gli Hopewell Quello che gli archeologi definiscono “Middle Woodland”, è in sostanziale continuità con la cultura Adena, di cui la cultura Hopewell è solo uno sviluppo. Nessuna particolare innovazione nelle tecnologie, nella struttura sociale o nella dimensione spirituale, caratterizza il passaggio dalla cultura Adena a quella Hopewell, che anzi coesistono per circa tre secoli (dal I a.C. al II d.C.) nell’alta valle dell’Ohio, prima del definitivo tramonto di Adena e del pieno affermarsi di Hopewell. Ciò potrebbe indurre a ritenere che, almeno nella valle dell’Ohio, gli Adena si siano semplicemente trasformati in Hopewell, in un naturale processo di evoluzione culturale; eppure il fatto che in una stessa area e in uno stesso periodo convivano culture sostanzialmente simili, l’una però più conservatrice e legata alla tradizione locale, l’altra più innovativa e fortemente intrecciata al fiorire di analoghe esperienze culturali in altre regioni limitrofe, è un fatto che richiede una qualche spiegazione. Dopo che per alcuni secoli, un’espressione culturale si è sviluppata in modo omogeneo in un area ben definita, quasi all’improvviso, essa supera il suo carattere locale, per diffondersi in una vastissima regione; quasi che il patrimonio della cultura Adena, abbia all’improvviso trovato una nuova interpretazione e soprattutto nuovi canali di diffusione, come se il suo seme culturale fosse stato acquisito e rielaborato da popoli limitrofi, i quali nel loro processo di rielaborazione, giunsero fino a soppiantare e a sostituire il modello originario. Così è possibile ritenere che l’originario modello Adena abbia all’inizio necessitato di un ambiente relativamente omogeneo dal punto vista culturale e soprattutto linguistico, per costituirsi e affermarsi, poi una volta che tale processo fu compiuto, esso divenne un modello per tutte le popolazioni limitrofe, che con l’apporto della loro originale esperienza lo portarono alla sua massima espressione, e al suo contestuale superamento. Nacque così la cultura Hopewell, che rappresentò certamente una sorta di età dell’oro delle Foreste Orientali. Ma chi furono i popoli che trassero il modello culturale Adena dal suo ambito locale, per diffonderlo in tutta le Foreste Orientali e fino alle Grandi Pianure? E’ certo che la valle dell’Ohio e il medio e alto corso del Mississipi erano occupate alla vigilia del contatto, da genti di lingua Siouan, e non c’è alcun elemento che può far ritenere che tra il I e il XV sec. d.C., altre genti abbiano occupato la regione senza lasciare tracce. Da questo possiamo dedurre che gli antichi Siouan, abbiano alla fine dell’era Arcaica iniziato a colonizzare le Foreste Orientali partendo dalle Grandi Pianure, seguendo le direttrici dei fiumi Ohio e Mississipi, pressando nel loro lento spostamento gli antichi Iroquaian, e assumendo quindi da loro gli elementi culturali Adena; a conferma di ciò potrebbe essere il fatto che il modello culturale Hopewell, che ha la sua origine nelle stessa regione di Adena, l’alta valle dell’Ohio, si diffonde poi in gran parte delle Foreste Orientali, proprio discendendo la valle dell’Ohio, quasi come il diffondersi di un fenomeno culturale che trae origine dal contatto tra Siouan e Iroquaian nell’alta valle dell’Ohio, e che si estende prima per contatto tra popoli affini, poi successivamente come conseguenza di scambi culturali. Così la cultura Hopewell da luogo nel corsi di pochi secoli ad una quantità di varianti locali, coinvolgendo in modo diretto o indiretto, quasi tutte le genti delle Foreste Orientali e delle zone limitrofe delle Grandi Pianure. Il cuore della cultura Hopewell è detto Ohio Hopewell, e si sviluppò nella stessa regione della cultura Adena, a partire dal I sec. a. C.; collegata all’Ohio Hopewell è la cultura di Armstrong, nella zona del fiume Kanawha; più a valle, sempre lungo il fiume Ohio, fino alla zona di confluenza


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con il Mississipi, la cultura Hopewell è detta Crab Orchard, mentre a nord-est, nell’attuale stato di New York, si presentano chiaramente le influenze Hopewell, seppur in epoca più tarda. Oltre che nella valle dell’Ohio, sono chiaramente riconducibile alla stessa cultura, le tradizioni Havana Hopewell, lungo il corso del Mississipi, nella zona compresa tra Iowa e Illinois e la più tarda (I sec.d.C) Trempeleau Hopewell, nel sud del Wisconsin. Tutte queste varianti culturali, furono quasi certamente espressione di genti di lingua Siouan, forse gli ultimi arrivati nelle Foreste Orientali, i primi a scomparire da esse alla vigilia dell’incontro con i bianchi, ma certamente quelli che ci hanno lasciato i segni più durevoli del loro passaggio. Più difficile è spiegare la presenza del modello Hopewell, nella variante Goodall Focus, nella La diffusione della culture Hopewell nelle Foreste Orientali zona est del lago Michigan, occupata in tempi storici da genti di lingua Algonquian; se, come ritengono alcuni studiosi, Goodall Focus è collegata al modello Havana, allora è possibile che si tratti di una occupazione di genti Siouan provenienti dalla valle dell’Illinois, cosa che potrebbe essere confermata dalla presenza nella regione di altri modelli culturali, probabilmente autoctoni e espressione di Algonquian locali. La diffusione del modello Hopewell, andò comunque ben oltre il legame linguistico, espandendosi anche a ovest del Mississipi e soprattutto nel sud-est e lungo la costa del Golfo del Messico. Gli antenati delle varie tribù Caddoan erano certamente presenti nelle Grandi Pianure meridionali, quando lungo il basso corso del Missouri e nel Kansas orientale, si svilupparono le le culture Kansas City Hopewell e Cooper Hopewell, mentre più a sud, al confine tra Texas, Louisiana e Arkansas, con le culture di Mill Creek e Fourche Maline, gli antenati dei Caddoan storici fanno la loro prima comparsa. Nelle regione del sud-est, già abitate dagli antichi Muskogean, il modello Hopewell giunse forse in epoca un po’ più tarda, all’inizio della nostra era, innestandosi su precedenti culture locali (Tchefunkte in Louisiana e Mississipi, Deptford nella zona costiera della Florida settentrionale, Georgia e Carolina), e articolandosi in una quantità di varianti locali che gli archeologi sono in grado differenziare soprattutto rispetto alle tecniche di produzione artigianale. Il nome di Marksville definisce il complesso culturale che si sviluppò lungo il basso Mississipi, mentre in Georgia e nelle limitrofe regioni, le varianti Hopewell sono conosciute come Swift Creek; altre espressioni locali furono quelle di Santa Rosa, sulla costa tra Mobile e Pensacola, quella di Porter nel sud dell’Alabama e del Mississipi, quella di Miller tra Mississipi e Tennessee e quella di Copena, nel nord dell’Alabama, cosi definita per il grande uso di rame (Copper) e Galena. Tutte queste furono le espressioni del modello Hopewell, definito in relazione ai sistemi di sussistenza, alla struttura sociale e al sistema di credenze, ma in un modo o nell’altro la cultura Hopewell, influenzò anche popoli che non praticavano l’agricoltura, o avevano un modello sociale più semplice e meno strutturato. Questo accadde nella regione dei Grandi Laghi, con il Laurel Complex nella zona a nord del lago Superiore, il Saugeen e il Couture Complex, tra i laghi Erie e Huron, e il modello Point Peninsula a nord del lago Ontario e fino alla valle del fiume San Lorenzo; in tutte queste aree vivevano popolazioni di lingua Algonquian, con un modello di sussistenza meno legato alla sedentarietà e all’agricoltura, ma che oltre a mantenere relazioni di scambio con le culture Hopewell, mutuarono da essi l’uso di tumuli funerari. Analogo fenomeno accadde a sud, nel nord della Florida, dove vivevano i popoli della cultura


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Saint John, forse antenati dei Timucuan, la cui economia era legata all’ambiente delle lagune costiere, dove si raccoglievano molluschi e si praticava la pesca.

La rete di scambio Hopewell L’aspetto più interessante della diffusione del modello culturale Hopewell è rappresentato dal modo in cui tale diffusione avvenne, in tempi relativamente brevi, poche generazioni, dal I sec.a.C. all’inizio dell’era attuale, in un’area estremamente vasta, e in assenza di quelle cono- Effige in rame informa di falco (Ohio Hopewell) scenze che favoriscono la circolazione dei beni e delle persone: la trazione animale, la ruota e il carro. Tale diffusione non fu il prodotto della migrazione di popoli, dato che durante tutto il periodo Hopewell, fu forte la tendenza alla stabilizzazione degli insediamenti, come proprio i tumuli dimostrano, ne tantomeno essa si accompagnò a guerre e a imposizione violenta di uno modello, da parte di un popolo su un altro. Pure in poco tempo in tutta la regione apparvero usi simili e soprattutto un gran numero di materie prime e tecnologie, entrarono nell’uso comune di popoli distanti anche migliaia di chilometri. Questo fenomeno è in larga misura spiegabile con quella che è definita “rete di scambio Hopewell”, e cioè il sistema di relazione “commerciali”, che da un popolo all’altro veicolava conoscenze, innovazioni e soprattutto materie prime pregiate. L’altro aspetto rilevante è l’ampiezza di questa rete commerciale, sia per quantità di beni scambiati, sia per la vastità dell’area interessata, praticamente gran parte della regione a est delle Montagne Rocciose. Tra i minerali, oltre al rame della zona del lago Superiore, sono stati trovati reperti in ferro meteorico, blocchi d’argento che giungevano dall’Ontario, la mica dal sud dei monti Appalache, e la galena, un minerale di piombo, dalla valle del fiume Tennessee. Con questi materiali si producevano una quantità di strumenti, asce, punteruoli, lamine per il rivestimento, ma anche oggetti con funzioni rituali e ornamentali, in forma di testa di animale, di volto umano, con disegno geometrico o a svastica; tra gli oggetti più particolari ci sono riproduzione di mani, lunghe e affusolate, e una maschera di rame in forma di testa di cervo, con il palco di corna, che certamente era il corredo di uno shamano. Dalla costa del Golfo del Messico e dalla Florida, oltre ad un gran numero di conchiglie, giungevano denti di squalo e di alligatore, gusci di tartarughe e mascelle di grossi pesci. Ma la rete commerciale si spingeva anche a ovest, oltre le Grandi Pianure e fin sulle Montagne Rocciose, da dove provenivani i denti di orso grizzly, il calcedonio screziato che giungeva dal Montana e dal Dakota, e soprattutto l’ossidiana, che compiva un lungo viaggio dalla zona dello Yellostowne. E’ di questo periodo la diffusione della catlinite, dal sud

Esempi dell’arte Hopewell: effige di una mano. maschera rituale in rame con ornamenti, pipe piatte zoomorfe


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del Minnesota, che divenne la materia prima per la costruzione di pipe, fino ai tempi storici. Il centro della produzione di oggetti lavorati era nella valle dell’Ohio, cuore della cultura Hopewell, poi i prodotti raggiungevano le regioni più periferiche, per essere scambiati principalmente con materie prime e materiali grezzi. Va comunque chiarito che il termine commercio va usato con una certa prudenza, dato che nell’accezione moderna essa definisce una modalità di scambio in cui due soggetti si accordano sulla base della reciproca necessità di entrare in possesso di beni posseduti dall’altro; ciò ovviamente da luogo ad un mercato, Oggetti provenienti da diversi siti Hopewell con un sistema di valori relativamente condiviso, sulla base del quale si producono trattative e magari forme di intermediazione e luoghi deputati allo scambio. Quasi certamente all’epoca le cose andavano in modo diverso, anche se la base comune ad ogni sistema commerciale, e cioè l’eccedenza di produzione, era già esistente; la possibilità di una produzione eccedente alle proprie necessità contingenti è abitualmente legata, se non proprio all’agricoltura almeno alla sedentarietà: una comunità stabile, che conosce bene le risorse del suo territorio, siano esse vegetali, animali o minerali, può giungere a disporre di eccedenze ed è nelle condizioni di accumularle e quindi successivamente di scambiarle. Questa è la base di ogni commercio, ma perchè il commercio si realizzi, c’è bisogno di una certa propensione allo spostamento, per far si che le eccedenze possano raggiungere luoghi dove la loro penuria genera una richiesta e dove quindi possono essere scambiate; molto spesso questo da luogo ad una interazione tra popoli sedentari e popoli nomadi, con i primi come produttori di eccedenze e i secondi come intermediari, in grado di far viaggiare materie prime e manufatti. Non è questo comunque ciò che accadde nelle Foreste Orientali, dove gli scambi non poterono contare sul ruolo di popoli nomadi, ne tanto meno di veri e propri “popoli di mercanti”, come per esempio furono i Fenici nel Mediterraneo. Gli scambi quindi avvennivano tra comunità limitrofe, probabilmente nel quadro del mantenimento di relazioni pacifiche, in occasione di matrimoni o comuni occasioni rituali, secondo la modalità del “dono”, in cui l’oggetto scambiato non si misura con il valore di una contropartita, ma è misura del prestigio, dell‘autorevolezza e della ricchezza del donatore. Era questa la modalità tipica dello scambio tra gli indiani storici, prima del contatto con i bianchi, e tale modalità raggiunse la sua forma estrema nel rito del Potlach, tra gli indiani della costa del Pacifico settentrionale. Questa modalità di scambio, che non da luogo a trattative, e che trascende il valore materiale del bene scambiato, per sottolineare il valore dell’atto, il prestigio di chi lo compie e che spesso si accompagna a forme di ritualizazione, è in grado di produrre un vasto sistema di interazione, perchè al contrario del commercio vero e proprio, non mira a realizzare il massimo profitto in una singola transazione particolarmente conveniente, ma che però può produrre tensioni e alla lunga conflitti; al contrario lo scambio nella forma di “dono”, prescindendo dal profitto della semplice transazione, mira a costruire un sistema complesso di reRappresentazione di uno shamano ciproca interdipendenza, in cui ogni parte tende ad offrire il mascon maschera di orso (Ohio Hopewell)


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simo sapendo di potersi attendere lo stesso comportamento dall’altra parte, in una sorta di competizione in cui il fine non è il profitto, ma il prestigio. E’ evidente che una simile modalità favorisce un’ampia circolazione dei beni scambiati, e soprattutto fa da volano ad una crescita delle eccedenze illimitata, svincolata dalla logica mercantile della domanda e dell’offerta, e dai vincoli legati alla necessità di mantenere un determinato “prezzo”; al contrario nella logica del dono, l’aumento di eccedenze compensa la caduta di valore del bene eccedente, con l’aumento di valore del prestigio del donatore. E’ una modalità di relazione economica antitetica a a quella prodottasi in occidente, dove non a caso il commercio produsse vere e proprie potenze politico militari, come quella greca; in America settentrionale invece questa è stata la forma usuale della scambio, fino all’incontro con i bianchi, una modalità che impediva il formarsi delle prime forme di accumulazione di ricchezza, e i successivi sviluppi economici, sociali e politici. Profondamente legato a valori come il prestigio individuale o di gruppo, al sistema di relazioni matrimoniali o a quello fra le diverse comunità, lo scambio in forma di dono non era un attività che si esauriva nel profitto individuale, ma aveva una profonda finalità sociale, ed è legittimo immaginare che gli individui che ne erano direttamente protagonisti, avessero un preciso riconoscimento sociale, sia all’interno della loro comunità, sia nelle comunità vicine. Attraverso il dono si sedavano dispute in seno alla comunità, si sancivano matrimoni o alleanze, ed è quindi naturale che intorno a questo meccanismo si potesse costruire un elite di individui, rappresentanti di gruppi famigliari o singole comunità, la cui leadership andava oltre la semplice destrezza nella caccia o nella pesca, ma era legata alla possibilità e capacità di disporre di beni da donare e da scambiare; ciò potrebbe aver prodotto lo stimolo a viaggiare fino in terre lontane, a visitare popoli sconosciuti, per entrare in possesso di quei beni da cui sarebbe derivata la possibilità di svolgere un importante ruolo sociale, di ottenere un matrimonio vantaggioso, di patrocinare un accordo con una comunità vicina. Se così fosse lo sviluppo della rete commerciale Hopewell, avrebbe un significato che travalicherebbe il semplice desiderio di ricchezza, per definire invece un intero modello di relazioni sociali, una società pacifica che si sviluppa non a partire dall’imposizione della propria forza militare, come accadde nell’occidente dell’antichità, ma sulla base dell’aumento delle relazioni e dello scambio di conoscenze e beni.

Il culto funerario e la prima organizzazione sociale In ogni società la produzione di eccedenze nelle risorse alimentari e strumentali, è strettamente connessa a due fattori, la divisione del lavoro e il prodursi di prime stratificazioni sociali. La divisione del lavoro, che valorizza i singoli talenti e specializzazioni, può attuarsi solo se alcuni soggetti possono almeno in parte liberarsi dalle attività di sussistenza, per dedicarsi a sperimentare nuove tecniche di produzione artigiana, e ciò è possibile solo se la comunità è in grado di produrre risorse alimentari in eccedenza; la stratificazione sociale tende a prodursi, laddove singoli talenti e specializzazioni, hanno un riconoscimento di valore sociale più elevato che altri, ottenendo come segno di questo riconoscimento, una quota delle risorse eccedenti. Sopra un elmo cerimoniale (Marksville culture); sotto una pipa di steatite in forma di puma (Copena culture) Così se la competenza nelle attività di sussistenza (caccia, pesca, raccolta, agricoltura), è abitualmente patrimonio comune di tutti i membri della comunità, seppur a differenti livelli di capacità e sempre tenendo presente la divisione del lavoro fra maschi e femmine, e se anche la produzione di utensili legate alle attività di sussistenza (lame, raschiatoi, punte di proiettili, vasi di terracotta o cesti di vimini ecc...), è in generale un’attività a cui ogni


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membro della comunità si dedica, quando ci si trova di fronte ad una produzione artistica ed artigianale estremamente raffinata e differenziata, sia nelle forme, che nelle materie prime usate, abbiamo un preciso indicatore di una società che sta imboccando la via della divisione del lavoro (all’interno dello stesso genere Pharr Mounds, nel nord dello stato del Mississipi (Miller culture) sessuale, che quella tra generi è un fenomeno più antico e d’altra natura), e che si prepara ad imboccare la via di una progressiva stratificazione sociale. Abitualmente l’evoluzione e la specializzazione delle tecniche artigianali, fa da volano ad ulteriori specializzazioni, in particolare la differenziazione della figura del mediatore con il soprannaturale, lo shamano o il guaritore, il sacerdote, e successivamente il guerriero, dando vita a quelle società con una rigida divisione in caste che sono tipiche del mondo antico. La costruzione di oggetti per scopi rituali, così come quella di armi da guerra, finalizzano quasi immediatamente la produzione artistica ed artigiana, alla definizione e al mantenimento di uno status diverso, rispetto a coloro che sono deputati alle mere attività di sussistenza, ed in tal senso svolgono una funzione culturale che va molto al di là della loro funzione immediata; le eccedenze e le eccellenze nella produzione artigiana, prodotte dalle eccedenze di produzione di beni di sussistenza, definiscono, ancor più che la scrittura, il passaggio dalla preistoria alla storia; in realtà la stessa scrittura è conseguenza di questa dinamica. In Nord America il fenomeno si produsse durante il periodo Hopewell, senza però giungere ai suoi esiti finali, dato che la società Hopewell rimase sostanzialmente egualitaria, a differenza di quanto avverrà successivamente con le culture Mississipi. Una delle carattestiche della produzione artigiana Hopewell sta, come già detto, nel suo diffondersi attraverso una rete di scambi; ciò d’altra parte non determinò il prodursi di un modello omogeneo, ma anzi al contrario la diffusione degli scambi testimonia proprio della quantità di varianti locali esistenti, e di come ognuna fosse in relazione con le altre. Molti oggetti Hopewell, sono stati prodotti in una sola località, dove era possibile avere determinate risorse, forse da una singola comunità, se non addirittura da un unico artigiano. Possiamo immaginare come una comunità, che attraverso la conoscenza del proprio ambiente e grazie all’innovazione delle tecniche agricole, finalmente liberata dalle pressanti necessità della sussistenza, possa aver scoperto la curiosità e il piacere di misurarsi con la sperimentazione di nuove tecniche e nuovi materiali; possiamo immaginare come singoli individui, possano aver tentato di dar corpo ai loro timori e alle loro aspettative, ai sogni, alle visioni, al semplice desiderio di bellezza. E’ difficile dar conto della grande varietà di prodotti dell’artigianato Hopewell, ma in particolare rispetto ad Adena, i cui prodotti più significativi erano le tavolette incise, fra gli Hopewell prevale la scultura a tutto tondo, spesso di figure umane; moltissime ovviamente sono le pipe, gli oggetti ornamentali e quelli cerimoniali; cresce la capacità e la maestria nell’uso di una quantità di materiali, oltre a vari minerali, l‘avorio preistorico, l’osso, addirittura crani umani usati per costruire maschere; caratteristico è il fatto che gran parte degli oggetti non mostrano tracce di usura, come fossero stati prodotti per essere conservati e poi accompagnare il proprietario nella sepoltura. Gli oggetti più belli non si trovano quasi mai nei siti residenziali, mentre la produzione di recipienti e vasi in terracotta per l’uso quotidiano, non si elevò molto al di là delle necessità funzionali; tra le innovazioni dell’artigianato Hopewell va registrata la tessitura, evolutasi quasi certamente dalla tecnica di intreccio di fibre vegetali, ma della quale però ci rimangono solo pochissime testimonianze. La ricerca della bellezza, di un preciso significato simbolico o evocativo, che è evidente nella produzione Hopewell, legano questa attività al prodursi di una sovrastruttura culturale e di una dimensione spirituale sempre più complessa, che da essa nasce e che essa


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stessa alimenta, in una relazione dialettica tra produzione materiale e immateriale, che è il tratto caratterizzante di ogni civiltà. L’artigiano Hopewell doveva essere nella sua comunità, una figura di prestigio, la sua attività era quasi certamente considerata espressione di una visione spirituale, la sua persona dava lustro all’intero gruppo famigliare, ai cui membri egli poteva trasmettere le proprie conoscenze, in- Mappa del complesso cerimoniale di Newark, nel sud dell’Ohio sieme al proprio prestigio e al proprio rango. Pur in assenza di una vera e propria stratificazione sociale, iniziano ad emergere figure di leader familiari o di comunità, personaggi con un potere spirituale, di cui le competenze tecniche sono espressione e intorno ai quali il gruppo si identifica. Sarebbe naturale immaginare che intorno a queste figure prestigiose e d’alto rango sociale, si producano quei processi di accumulazione della ricchezza, che sono alla base della divisione in caste e classi, e quindi al prodursi di vere e proprie strutture di potere, ma in realtà questa dinamica non si innesta, e la ricchezza, benchè prodotta, non tende ad accumularsi: unica eccezione le sepolture, i tumuli funerari. La spiegazione va forse cercata nella modalità di scambio in forma di “dono”, precedentemente descritta. Una modalità di scambio di questo tipo può in effetti dar ragione della immensa quantità di beni ritrovati nei sepolcri Hopewell; la pratica di accompagnare il defunto con i propri oggetti di uso quotidiano, le sue armi e i suoi utensili, e quanto poteva essergli utile nell’al di là, è universalmente diffusa sia in epoca preistorica che nell’antichità, ma il caso dei tumuli Hopewell va oltre questa pratica. Nei tumuli Hopewell i corredi funerari sembrano riunire le intere ricchezze del defunto, soprattutto oggetti e materie prime esotiche e di grande valore: in una sola sepoltura dell’Ohio, sono stata trovati oltre 130 chili di ossidiana proveniente dallo Yellowstone, circa metà di tutta l’ossidiana trovata i tutta l’area Hopewell; in un’altra sepoltura è stato trovato un vero e proprio tesoro in perle di fiume. Ci sono poi oggetti d’uso quotidiano che per la loro raffinata bellezza o per i materiali pregiati con cui sono stati costruiti, sono inadatti al loro uso ordinario e la cui unica funzione sembra essere quella di accompagnare il defunto. Ciò può far ritenere che in una logica che vede il donare come la base delle relazioni tra gruppi e individui, la morte, liberando l’individuo o il gruppo dalla necessità di tale relazione, interrompa anche la catena della donazione, e permetta quindi una definitiva oggettivazione della ricchezza e dello status, di cui i tumuli sono il deposito e la manifestazione. Il tumulo funerario diviene così il depositario definitivo non solo della ricchezza del defunto, ma anche di tutta la sua comunità di appartenenza, che nella ricchezza della sepoltura definisce il proprio prestigio e il proprio status. L’accumulazione sottratta alle dinamiche dello scambio commerciale, e depositata nel tumulo funerario, oggettiva lo status della comunità o del gruppo famigliare e contestualmente diviene intermediaria dello scambio con il mondo soprannaturale, sorta di garanzia nel “credito” ad esso richiesto, in termini di protezione contro i mille eventi che rendono precaria la condizione umana. Il culto funerario, come tentativo di inserire in un quadro razionale il mistero della morte, è una delle prime espressioni della spiritualità umana; gli Hopewell potrebbero aver affrontato questo mistero, con le stesse modalità con cui affrontavano la relazione con una comunità vicina: il “dono”, il dono di prestigio, attraverso il quale si apre la dinamica dello scambio, tra la condizione umana e il mondo soprannaturale.


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E’ in questo quadro che può essere vista l’enorme e veloce diffusione dei tumuli funerari in tutte le Foreste Orientali nel periodo Hopewell. I tumuli non solo aumentano di numero, migliaia in tutte le Foreste Orientali, ma si ampliano e assumono forme diversificate; il diametro di alcuni tumuli raggiunge i 500 metri, mentre alla classica forma a cono dei mounds Adena, si aggiungono strutture a base quadrata o ottagonale; alle volte due monuds sono collegati l’uno all’atro e si diffonde la pratica costruire recinti Ricostruzione di una abitazione Hopewell di terra per circondarli, costruendo vasti complessi come quello di Mounds City nell’Ohio, dove ben 24 tumuli sono racchiusi una vasta area all’interno di un recinto di terra. La pratica dei tumuli si estende anche a popolazioni non immediatamente riconducibili alla cultura Hopewell, ma inseriti nella stessa rete di scambi; ciò accade nella regione dei Grandi Laghi a nord e in Florida a sud, e questo probabilmente per semplice emulazione di una pratica “di successo”. Alcuni mounds hanno centinaia di sepolture, ognuno con un corredo proprio, più o meno ricco in rapporto allo status del defunto, le pratiche sono differenziate, la cremazione è la più diffusa, in alcuni casi le ossa sono in gran numero e alla rinfusa, come se i defunti fossero stati inumati tutti insieme in una determinata occasione, gli scheletri interi sono la minoranza e sempre accompagnati da ricchi corredi funerari, segno di personaggi autorevoli, ma in alcuni casi sono stati trovati nuclei famigliari e scheletri di bambini. I tumuli testimoniano di un approccio culturale e spirituale comune a tutte le Foreste Orientali; la condivisione del culto dei defunti in particolare, fu il collante che permise a molte genti, lontane e di lingua diversa di interagire e scambiarsi beni e conoscenze; ma intorno ai tumuli si produssero anche le prime entità sociali differenziate, in grado di riconoscere la propria autonoma specificità. Intorno ai grandi complessi di tumuli, che dovevano essere il centro della vita spirituale di molte piccole comunità del circondario, si costruì probabilmente il primo embrione di organizzazione sociale più complessa. La costruzione del tumulo prevedeva la collaborazione attiva di molte comunità, un significativo numero di individui, che con il solo aiuti di semplici utensili e cesti di vimini, doveva spostare grandi quantità di terra, e se è vero che il lavoro veniva svolto in lungo lasso di tempo, ciò è un ulteriore conferma del fatto che erano necessarie stabili relazioni tra i diversi gruppi. Intorno ai tumuli, i singoli gruppi famigliari si definirono nella loro appartenenza, forse dando vita a veri e propri clan e ad un primo culto totemico, ma contestualmente riconobbero la loro relazione con gruppi affini, dando così vita alla prima forma di organizzazione tribale. Ma il fatto di deporre i propri defunti in un luogo ben definito e per un lungo periodo di tempo, era quasi certamente una prerogativa specifica di un gruppo di comunità, che si differenziava dalle altre; così il mound se a noi appare il simbolo di un comune humus culturale, agli uomini di Hopewell deve essere apparso come il segno della propria specificità, e della alterità rispetto a gruppi che seppellivano i defunti in altri luoghi. Da ciò il processo ebbe inizio: uno stesso dialetto, comuni credenze e miti, il riconoscimento dell’autorevolezza di un capo e o di un uomo di medicina, tutto ciò che è la base comune dell’organizzazione tribale dei popoli storici, nacque e si sviluppò intorno ai grandi tumuli degli Hopewell.

Il declino La cultura degli Hopewell raggiunse il momento di massimo rigoglio ed espansione intorno al V secolo d.C; a quell’epoca in gran parte delle Foreste Orientali, gli indiani erano organizzati in piccole comunità famigliari, tendenzialmente sedentarie e legate ad una attività agricola praticata in piccoli appezzamenti lungo il corso dei fiumi. Nei piccoli orti erano coltivatr specie locali, in particolare il girasole, diversi tipi di zucche, il chenopodium ed altre piante erbacee, ma la raccolta di vegetali selvatici era ancora una risorsa rilevante, tutte attività a cui si dedicavano le donne, mentre gli uomini cacciavano cervi, orsi neri, tacchini e ogni specie di piccoli mammiferi e uccelli. Questo tipo di economia, in particolare l’assenza di una agricoltura intensiva e ad alta produttività, non permetteva il formarsi di comunità nume-


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rose, così quasi periodicamente una parte del gruppo doveva separarsi, e formare nuovi insediamenti, mantenendo però relazioni con il gruppo di provenienza. I villaggi erano piccoli insediamenti di poche capanne, strutture a base circolare, del diametro di 5-10 metri, con pareti di rami e corteccia, ricoperte da tetti conici fatti con gli stessi materiali, e la comunità vi risiedeva fin quando, dopo qualche anno, lo sfruttamento della selvaggina e dei vegetali selvatici non esauriva le risorse disponibili, e allora il gruppo si spostava in una zona vicina, rimanendo quindi inserita nella rete di relazioni con le comunità vicine. Il culto funerario, la costruzione di tumuli, l’attività cerimoniale erano gli elementi, intorno ai quali si definiva una prima forma di coesione sociale, e con essa di leadership, che andavano al di là del singolo gruppo famigliare; se come è probabile tra ceramica Hopewell: in alto, Havana Hopewell (Illinois) gli Hopewell i diversi gruppi famigliari facevano in basso, Swift Creek culture (Georgia) riferimento a mitici antenati comuni, è possibile che i leader di quei lignaggi che potevano vantare una diretta linea ereditaria, abbiano goduto di particolare prestigio e autorevolezza; d’altra parte è in quest’epoca che nel prodursi della leadership intervengono qualità individuali che trascendono la semplice forza e abilità nella caccia: lo shamano in grado di intermediare con il mondo soprannaturale, l’artigiano che conosce tecniche misteriose e raffinate, colui che tornando da un viaggio porta nuove conoscenze e ricchezze, tutte queste figure possono contare sulle opportunità che una società egualitaria offre a tutti per affermarsi. Nella società Hopewell non sembrano invece svolgere un ruolo centrale i guerrieri, e in tutto il periodo i conflitti appaiono scarsi e circoscritti. Del grande balzo in avanti sul piano dell’espressione artistica si è già detto, mentre invece è minore il progresso sul piano delle tecniche più quotidiane: la lavorazione della terracotta e la produzione di vasi, è piuttosto semplice, benchè funzionale; la tessitura, che è una innovazione di questo periodo, probabilmente non va oltre una produzione di tipo cerimoniale, senza determinare veri e propri cambiamenti negli usi e nelle abitudine, e verrà presto dimenticata; il mais, che pure fa la sua prima comparsa nelle Foreste Orientali all’inizio del periodo Hopewell, rimane un prodotto esotico e non entra tra le specie comunemente coltivate; l’atlatl rimane lo strumento principale per la caccia, mentre l’arco e le frecce, introdotti nelle regioni sub-artiche dall’Asia, giunge nelle Foreste Orientali solo verso la fine del periodo Hopewell e impiegherà comunque un certo tempo prima di affermarsi. Agli albori della storia delle Foreste Orientali, le società Adena e soprattutto Hopewell, erano società ricche, che colsero le opportunità di un ambiente vergine e rigoglioso, mettendo per la prima volta l’uomo nella condizione di avere del tempo e delle energie libere dalla lotta per la sussistenza; non dovettero combattere e competere tra loro, perchè i boschi e i fiumi offrivano ad ognuno di che sostentarsi, e con poche e relativamente semplici tecniche, era possibile affrontare e risolvere i bisogni primari. Liberi dal timore della fame, del freddo, della guerra, le genti di Hopewell poterono dedicarsi a dar espressione a quella dimensione spirituale che ci impone di misurarci con il tema della morte, ci induce a cercare la bellezza, ci spinge verso nuove conoscenze. Rispetto a quanto era accaduto nei secoli e nei millenni precedenti, l’uomo di Hopewell dispone di un surplus di risorse, e le investe in attività artistiche, che oggi possono sembrare poco utili da un punto di vista pratico, piuttosto che in innovazioni tecnologiche in grado di elevare la produttività agricola , l’efficacia nella caccia o addirittura la propria capacità di di-


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fendersi o di aggredire. Una natura florida e benevola che non obbliga a misurarsi con la necessità di rendere produttivo il proprio lavoro, come invece dovranno fare i popoli delle zone aride, ma che invece permette all’individuo di misurarsi con la libertà dell’espressione artistica, questa è forse la chiave di lettura che permette di cogliere la specificità del mondo Hopewell. Ma questa immagine tutto sommato idiliaca, se anche fu vera, non era destinata a durare: le favorevoli condizioni del periodo Hopewell portarono ad una significativa crescita demografica, e il modello economico Hopewell probabilmente non fu in grado di supportare la crescita della popolazione; in tali condizioni anche un temporaneo mutamento climatico, può aver portato alla fine della cultura Hopewell, o più precisamente al suo declino. Oggi l’ipotesi che viene guardata con interesse, riguarda il breve, ma intenso e drammatico periodo di raffredamento del clima, testimoniato in vari luoghi dell’emisfero settentrionale, intorno al 536 d.C.; è in questo periodo che le cronache dalla corte di Giustiniano, come notizie provenienti da uno storico dell’antica Cina, o da altri luoghi del mondo, parlano di un luno periodo, ben 18 mesi, in cui il sole non era in grado di inviare i suoi raggio sulla terra, e appariva con una triste e opaca luce lunare. Un simile evento produsse in diverse parti del mondo perdita dei raccolti, carestie ed epidemie (la peste di Giustiniano del 536), e in quello stesso periodo si verificano crisi politiche e migrazioni. Per spiegare questa catastrofe climatica globale, l’ipotesi più probabile è quella di una devastante eruzione vulcanica, che emettendo grandi quantità di cenere, ha oscurato e reso impenetrabile l’atmosfera ai raggi solari, per un lungo periodo; tra i vulcani più “sospettati” di tale catastrofe, c’è oggi l’Ilopango in El Salvador, in America centale, la cui eruzione potrebbe aver prodotte 83 kmc di cenere, è uno degli eventi più catastrofici della storia. Non abbiamo testimonianze di ciò che avvenne in Nord America dopo l’eruzione dell’Ilopango, ma certo le conseguenze dovettero essere più gravi ed evidenti che non in Europa e in Asia; mancano segni precisi di crisi e decadenza in America Centrale, presso i popoli Maya, ma è sicuro che Tehotihuacan, che era stata la più grande città del Centro America, e una delle più grandi del mondo, fu abbandonata poco prima del 550 d.C, dopo che gli edifici pubblici e i templi furono bruciati, probabilmenti in seguito a tumulti sociali e alla rivolta contro le elite sacerdotali. Non sappiamo quanto lunghe siano state le conseguenze della disastrosa eruzione dell’Ilopango in Nord America, ma è ipotizzabile che tale traumatico evento abbia potuto scuotere le credenze spirituali, mettendo in crisi proprio quel culto funerario che era stato l’elemento comune a tutte le culture Hopewell. Di fatto, nulla sembra cambiare nei fattori strutturali della società, non si modificano i modelli di sussistenza, non ci sono migrazioni o spostamenti massici di genti, ne particolari violenze o guerre tribali: semplicemente la società si impoverisce e tende a rinchiudersi in se stessa. A partire dal VI sec.d.C. cessa la costruzione dei grandi monumenti funerari, si riduce notevolmente la produzione artistica e artigianale, si interrompe il vasto sistema di scambi commerciali, mentre a ulteriore riprova del modificarsi della situazione, cominciano a fare la loro comparsa i primi villaggi circondati da palizzate. Un mondo che per secoli si era sviluppato in un contesto favorevole, senza grandi conflitti, nel quadro di una concezione armonica con l’ambiente e il mondo soprannaturale, si misura con il trauma di una catastrofe inspiegabile, e oltre a pagarne il prezzo immediato in termini materiali (peggioramento climatico, perdita di raccolti, fame ecc...), perde del tutto i propri riferimenti spirituali e la propria fiducia nel futuro: può essere questo il declino della cultura Hopewell. Tale fenomeno si produce nel corso del VI d.C., ed è il momento di inizio di quella che è considerata l’ultima fase della cultura delle Foreste Orientali (Late Woodland); ancora una volta la valle dell’Ohio è il luogo in cui si manifestano i segni più evidenti di cambiamento e di crisi, mentre in alcune zone periferiche, specialmente sul basso Mississipi (cultura di Marksville) e sulla costa del Golfo del Messico (cultura di Santa Rosa), il declino è meno evidente. Forse un minor coinvolgimento nel sistema spirituale Hopewell, di cui queste zone rappresentano la periferia, può spiegare perchè qui sia meno evidente, l’inizio della crisi, ma anche il fatto che a latitudini più meridionali, un temporaneo, benchè brusco cambiamento climatico, possa essere stato meno drammatico. In queste aree il locale modello Hopewell, evolverà in culture di transizione, a maggiore caratterizzazione locale: la cultura di Baytown, lungo il Mississipi a sud della confluenza con l’Ohio, quella di Troyville, ancora più a sud in Louisiana, rimpiazzarono il modello Marksville-Hopewell, e furono poi sostituite dalla cultura di Plum Bayou, prima di acquisire le caratteristiche delle società Mississipi; più a est la cultura di Santa Rosa evolvette in quella Weeden Island e poi quasi senza soluzione di continuità nelle successive culture del Mississipi. I Più a nord invece il periodo che va dal VI al IX secolo, può essere considerato come un’epoca buia, di penuria di beni, di isolamento, di regressione nelle tecniche; pure è in questo periodo che fanno la loro comparsa due elementi tipici della vita quotidiana degli indiani storici, l’arco e le frecce e soprattutto il


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mais: sarà con l’acquisizione di questi due nuovi elementi, che l’indiano delle Foreste Orientali darà vita ad un nuovo capitolo della sua storia.

I Popoli del Mississipi La cultura detta dei “popoli del Mississipi”, emerge nelle Foreste Orientali a partire da IX secolo, avendo il suo centro nella valle del Mississipi, in particolare la zona di confluenza dei principali affluenti del grande fiume, l’Ohio, il Tennessee, il Missouri, l’Arkansas, il Red River. In queste ricche e fertili pianure alluvionali, il morbido terreno era particolarmente adatto per una agricoltura che non conosceva l’aratro e che solo disponeva di semplici zappe ricavate da scapole d’animali; in questa regione il mais divenne, prima che altrove, la base di un nuovo modello economico e sociale. Con tale modello, le popolazioni delle Foreste Orientali e forse di tutto il Nord America, raggiunsero il loro più elevato livello di organizzazione sociale, dando vita a comunità con un impianto tendenzialmente teocratico, con forti poteri centrali e una rigida e gerarchica stratificazione sociale; in tale modello culturale sono evidenti le analogie con le contemporanee culture mesoamericane, e certamente gli indiani delle Foreste Orientali ebbero contatti con questa regione, e dai popoli che l’abitavano mutuarono forse costumi e usi, anche se oggi gli studiosi sono per lo più convinti che l’evoluzione culturale delle Foreste Orientali, ebbe caratteristiche specifiche ed autonome. In effetti la semplice conoscenza di culture diverse da parte di un popolo, non spiega la ragione per cui tali culture possano essere state assunte; per spiegare come una comunità possa modificare in tempo relativamente breve ed in modo radicale le proprie usanze, modellandole su quelle di popoli lontani migliaia di chilometri, e necessario cercare le ragioni profonde che indussero a tale cambiamento, e soprattutto si devono individuare le opportunità che resero il cambiamento possibile. Così per comprendere il sorgere delle culture del Mississipi, non basta fare riferimento ai rapporti con la Mesoamerica, ma è necessario, per quanto possibile, tentare di comprendere cosa potè accadere nelle Foreste Orientali, nei secoli bui successivi al declino della cultura Hopewell, e cercare in quella fase le ragioni e le opportunità, che spinsero gli abitanti di quelle terre ad un veloce e forse non lineare adattamento, ad un modello culturale alieno.

L’emersione dai secoli bui Nessuno fino ad oggi ha potuto fornire una indiscutibile ragione per il declino del mondo Hopewell; come già accennato e per quanto ci è noto, esso coincise con almeno un evento traumatico, l’eruzione del vulcano Ilopango, con i conseguenti cambiamenti climatici che tale evento produsse, di cui non conosciamo la durata; d’altra parte non ci sono testimonianze che da questo trauma siano derivati periodi di intensa conflittualità, gravi epidemie, invasioni o altro. Non esistevano nel mondo Hopewell centri di potere politici o economici il cui collasso potesse determinare la fine di un intero sistema sociale, ne le comunità avevano una gerarchia interna tale da produrre conflitti in grado di mettere a rischio l’intero sistema. In realtà il modo di vita Hopewell non collassò ne scomparve, al punto che molte comunità di indiani storici, vivevano ancora in maniera non molto diversa dai loro antenati di quindici secoli prima. E’ quindi probabile che il declino della cultura Hopewell vada letto semplicemente come la crisi di un modello che si era affermato su un precario equilibrio, quello in cui una grande disponibilità di risorse, aveva permesso uno sviluppo delle diverse comunità, basato più sulla cooperazione che non la competizione. Una riduzione di tale risorse, anche per un periodo limitato, può aver prodotto una rottura, sia spirituale che materiale di tale equilibrio, aprendo ad una condizione di maggior insicurezza, e quindi di chiusura di relazioni. A ciò va aggiunto che tale precario equilibrio, aveva comunque permesso uno sviluppo demografico nei secoli precedenti, senza che ciò si accompagnasse a conflitti e competizione; il peggiorare delle condizioni nel mutato contesto successivo ad un evento traumatico, avrebbe invece reso insostenibile proprio il precedente picco demografico.E’ quindi possibile che dinamiche conflittuali abbiano fatto una prima loro apparizione, come potrebbero dimostrare le prime testimonianze di insediamenti difesi da palizzate. E’ oggi difficile immaginare quale possa essere stato l’effetto di un forte e continuo aumento della popolazione per alcuni secoli consecutivi, su una società organizzata in piccole comunità come quella Hopewell, ma certo il debole sistema agricolo delle Foreste Orientali, sottoposto ad un catastrofico, seppur breve, trauma climatico, ne subì l’impatto.


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L’assenza di cultigeni ad alta resa produttiva ed elevato valore proteico, deve necessariamente aver motivato la pratica di dispersione delle piccole comunità Hopewell, ognuna alla ricerca di nuove terre da sfruttare; era questa una dinamica tipica di quel modello culturale, che impedendo alle comunità di crescere eccessivamente, le tutelava dai rischi di conflitti interni e infine dal collasso, conseguente alla penuria di risorse alimentari; d’altra parte una temporanea riduzione delle risorse, poteva non portare al collasso un sistema fortemente decentrato, ma produrre un impoverimento generalizzato nelle piccole comunità diffuse sul territorio. Con una economia progressivamente ridotta ai livelli di sussistenza, vengono necessariamente ridotte sia la produzione artistica e artigianale, sia il sistema di scambi ad essi connessi, cioè proprio gli elementi caratteristici della cultura Hopewell. La scomparsa dell’altro elemento caratteristico della cultura Hopewell, la costruzione di grandi mounds funerari, va collocato nello stesso contesto di impoverimento e isolamento delle comunità, con in più l’aggravante della perdita di fiducia, verso un sistema di rituali e credenze, non più in grado di garantire quella relazione con il mondo spirituale, la cui crisi era rappresentata proprio dal traumatico cambiamento climatico. Probabilmente il culto funerario non si modificò radicalmente, tumuli funerari più piccoli furono costruiti anche durante la fase Mississipi, e tracce di tale culto permangono anche tra gli indiani storici (i Choctaw disseppellivano periodicamente i defunti per ripulirne le ossa e risotterrarle tutte insieme, analoga usanza è documentata tra gli Huron all’inizio del XVII secolo); di fatto l’uso di costruire burial mounds non cessa del tutto, semplicemente tale pratica viene progressivamente abbandonata, perchè si riduce la fiducia in essa. Questo è ciò che probabilmente accadde, durante l’ultima fase della cultura delle Foreste Orientali, nel periodo di tempo che va dal del V secolo fino al IX, in particolare nella parte settentrionale del territorio: una società che regredisce nella sua condizione materiale e nella sua concezione spirituale, e che quindi necessità di novità in grado di innescare un nuovo dinamismo. Ogni fase di crisi e stagnazione può essere superata in due modi, o grazie all’aumento della produttività economica o attraverso traumi che producendo squilibri e distruzione, determinano una nuova dislocazione del potere e della ricchezza tale, da poter riaprire il dinamismo sociale; e questa fu la funzione delle due grandi innovazioni che giunsero nelle Foreste Orientali, durante la fase che precedette il fiorire delle culture del Mississipi: il mais e l’arco e le frecce. Per noi uomini della moderna civiltà occidentale, l’arco e la freccia rappresentano l’immagine stessa di una società pretecnologica; in effetti questo strumento è stato concepito in Europa e in Asia ben prima che l’uomo imparasse la lavorazione dei metalli e, nella sua forma più semplice, un ramo arcuato le cui estremità sono collegate da una corda, esso è noto anche alle popolazioni di cultura più elementare. Pure questo stesso strumento, opportunamente modificato e adattato, è stato il più efficace strumento di caccia e di guerra, ancora fino a cinque secoli fa, potendo essere considerato, al di là delle implicazioni morali, come una delle grandi invenzioni dell’umanità. La sua comparsa in Asia e in Europa data almeno dalla fine del mesolitico, dagli 8 ai 6.000 anni prima della nostra era; in America l’arco giunse dall’Asia, non prima del 3.000 a. C., ma prima che dalle lontane terre dell’Alaska esso giungesse nelle Foreste Orientali, ci vollero migliaia di anni, e si ritiene che la sua diffusione fosse completata solo nel VII secolo d.C., cioè proprio nel periodo di crisi delle Foreste Orientali. Così in un contesto di stagnazione economica e di isolamento, l’acquisizione dell’arco e delle frecce fu certamente un evento in grado di mettere in moto energie nuove, da un lato Riproduzione di un arco ritrovato in un sito archeologico europeo, rendendo potenzialmente più risalente al 4,400 a.C., e moderno arco da competizione


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produttiva la caccia, dall’altro favorendo la potenziale aggressività di una comunità verso l’altra; il cacciatore e il guerriero, forti di una tecnologia innovativa e potenzialmente letale, prendono il posto dell’artigiano, che era stato il protagonista della società Hopewell. Ma un’arma con il suo potenziale distruttivo, può contribuire a sovvertire e riavviare gli equilibri stagnanti di un modello economico-sociale in via d’esaurimento, ma ovviamente non è sufficiente e garantire una nuova fioritura culturale. Perchè ciò accada sono necessarie effettive innovazioni in ambito produttivo, e in tal senso l’introduzione del mais rappresentò una vera e propria rivoluzione produttiva, costituendo la base di un modello culturale totalmente diverso da quelli precedenti. Così dall’incontro tra una maggiore potenzialità aggressiva, con una nuova potenzialità produttiva, nacque il modello delle culture del Mississipi, centralizzato, stratificato, tendenzialmente aggressivo. Ma per spiegare meglio questo processo è opportuno riflettere sul percorso, che portò all’affermazione del mais come principale prodotto agricolo degli indiani d’America. A differenza del chenopodium, del girasole e di altri cultigeni autoctoni delle Foreste Orientali, il mais non cresce spontaneamente in natura; esso fu il prodotto dell’attività di modificazione genetica umana, probabilmente a partire dall’ibridazione e dalla selezione di una qualche varietà di un vegetale selvatico denominato “teosinte“, tipico delle Piante di teosinte zone montuose del Messico meridionale, del Nicaragua e del Guatemala. Riscontri archeologici dimostrano che in piena fase Arcaica, probabilmente intorno al 7.000 a.C., le popolazioni della regione di Oaxaca nel sud del Messico, iniziarono ad ibridare e a selezionare dei vegetali simili al nostro mais, partendo dalla teosinte e forse da altre piante erbacee; ovviamente si trattava di piante in grado di produrre spighe con non più di una decina di semi, e ci vollero migliaia di anni per giungere alle molte varietà di mais attuali, tutte con una notevole resa produttiva. In Nord America una specie primitiva di mais, che mostra già di essere frutto della selezione umana, è stata trovata nel sito archeologico di Bat Cave nel New Mexico, risalente al 3.000 a.C., ma perchè esso giunga nelle Foreste Orientali è necessario arrivare al I secolo a.C., all’inizio della fase Hopewell. E’ probabile che gli indiani di cultura Hopewell, con la loro rete di scambi che li portava ad avere relazioni anche con regioni lontane, abbiano conosciuto il mais attraverso i popoli delle regioni del sud-ovest, o più probabilmente dagli stessi messicani, i quali avevano anch’essi una vasta rete di commerci; comunque per tutta la fase Hopewell, il mais non ebbe alcun significativo impatto sull’economia e sull’alimentazione degli abitanti delle Foreste Orientali, e per un suo pieno affermarsi come principale prodotto agricolo, si deve attendere almeno fino al IX secolo d.C. L’acquisizione del mais come base dell’economia fu quindi un processo complesso, certamente irto di difficoltà e insuccessi, che probabilmente condizionò le dinamiche sociali. Quasi certamente per lungo tempo i tentativi di adattare una pianta proveniente da terre molto calde, alle foreste temperate del Nord America, Confronto tra una spiga di mais (sinistra), una di teosinte (a destra=, e un ibrido (centro) non diedero risultati soddisfacenti, e gli Hopewell pre-


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ferirono rimanere legati ai cultigeni tradizionali, utilizzando probabilmente il mais solo come di un prodotto esotico e raro. Certamente la situazione dovette mutare nei secoli di crisi, quando le difficili condizioni resero necessaria la sperimentazione di nuove opportunità in ambito agricolo, e il successo nella coltivazione del mais, potè fare la differenza tra la scomparsa o il rafforzamento di una comunità. C’è però da aggiungere che il modificarsi del contesto in cui tali sperimentazione avvennero, ebbe probabilmente conseguenze significative. In una società ricca e con eccedenze produttive, in cui gli scambi commerciali favoriscono la circolazione di tecniche e idee, una nuova conoscenza si diffonde in breve tempo fino a diventare patrimonio comune e condiviso; al contrario, in società impoverite, isolate e rese sospettose dal timore, le nuove conoscenze tendono a venir custodite, se non addirittura nascoste; se poi si tratta di società ancora legate alla dimensione mitica del sapere, una nuova conoscenza può divenire la base per il prodursi di un sapere esoterico, esclusivo e gelosamente custodito. La selezione dei semi migliori, il giusto momento per la semina o il raccolto, la scelta dei terreni e della loro esposizione, insieme ai riti e alle formule magiche, ai calcoli astrali, ai sacrifici da offrire, divengono tutti elementi di un sapere, frutto di continua sperimentazione, dedizione, e in ultima analisi specializzazione. Così il difficile percorso di adattamento di una specie vegetale aliena, ha per conseguenza l’inizio di un processo in cui per la prima volta il singolo individuo, non può approcciare alla natura a partire dalla sua diretta esperienza, ma necessita di conoscenze che possono aver carattere esclusivo, e di cui non solo lui, ma l’intera comunità non può fare a meno. Chi ha tale conoscenza esclusiva e specialistica, ha la chiave per aprire ai membri della sua comunità, una nuova relazione con il mondo ignoto delle forze naturali. Come l’artista che produce beni da tutti apprezzati, evolve dall’artigiano che produce per il suo uso, così il sacerdote, le cui conoscenza possono beneficiare l’intera comunità, evolve dallo shamano che è tramite di un rapporto individuale con il soprannaturale. E’ forse in questa dinamica che è possibile comprendere come, dopo quattro secoli di stagnazione, dalle egualitarie e tendenzialmente pacifiche culture Hopewell, si passi ad un modello sociale fortemente gerarchizzato e quindi tendenzialmente aggressivo, quale è quello delle culture del Mississipi. Che poi questo modello sia almeno parzialmente collegabile alle culture mesoamericane, è un fatto indiscutibile, quasi che esso sia frutto dell‘imporsi di un elite conoscitrice, sia delle tecniche e delle conoscenze agricole legate alla produzione di mais e provenienti dal Messico, sia del corrispettivo bagaglio ideologico che lì si produsse. Tale modello ideologico e culturale si impose con relativa velocità e crollò in modo ancor più repentino, lasciando dietro di se ben poco, e anzi fu forse in qualche misura quasi rimosso nell’arco di poche generazioni, e questo a conferma del suo carattere almeno parzialmente alieno.

La prima stratificazione sociale fra i Popoli del Mississipi Come nel caso delle culture Hopewell, anche per i popoli di cultura Mississipi, le tracce più evidenti e significative che la loro storia ci ha lasciato, sono i grandi tumuli di terra, che testimoniano della diffusione di tale modello; si tratta però in questo caso di opere con una funzione completamente diversa, a testimonianza delle profonde modificazioni intervenute nel modo di vivere dei popoli delle Foreste Orientali. Infatti mentre i tumuli Adena e Hopewell erano opere funerarie (burial mounds), i tumuli del Mississipi (temple mounds), svolgevano una funzione analoga a quella delle grandi piramidi messicane, essendo sede di templi o abitazione di capi e sacerdoti. Se i “burial mounds” Hopewell era edificati nel tempo da singoli clan famigliari che generazione dopo generazione seppellivano i propri morti, nel caso dei “temple mounds” Mississipi, si trattava di vere e proprie “opere pubbliche”, manifestazioni evidenti del potere civile e religioso, veri e propri centri cerimoniali, costruiti intorno a grandi aree aperte (plazas), dove i membri della comunità si radunavano per partecipare a riti e pubbliche manifestazioni, officiate da una vera e propria aristocrazia sacerdotale. Questi centri rituali, con i loro templi e le loro plazas, furono quanto di più vicino alla società urbana videro le Foreste Orientali in età precolombiana. Il passaggio dalle piccole comunità Hopewell, che difficilmente superavano il centinaio di individui, alle comunità Mississipi che riunivano anche mille e più persone, fino al caso di Cahokia nell’Illinois, che forse raccoglieva intorno a se una popolazione di 10-15.000 individui, fu certamente reso possibile dall’acquisizione del mais, i cui raccolti altamente produttivi permettevano di garantire cibo, ad un numero maggiore di individui in una stessa località. Con il mais giunse probabilmente anche il fagiolo, le cui piante rampicanti venivano fatte crescere insieme a quelle del mais, ai cui alti steli si appoggiavano; mais e fagioli, insieme alle zucche autoctone, costituirono la triade (le Tre Sorelle), a fondamento del-


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l’agricoltura in tutto il Nord America. Con queste tre piante, i popoli delle Foreste Orientali completarono la loro piena trasformazione in popoli agricoli, e l’economia, fino ad allora basata su una forte integrazione tra attività di caccia, raccolta e coltivazione, si adattò a dipendere sempre di più dal buon esito dei raccolti, piuttosto che da altre attività. Crescita delle co- Ricostruzione del grande centro cerimoniale di Caokia, nell’Illinois munità, specializzazione in ambito economico e dipendenza da una limitata gamma di prodotti, dovettero avere conseguenze profonde sul modo di vivere degli indiani delle Foreste Orientali. Immaginiamo l’impatto di un ricco raccolto che garantisce cibo per gran parte dell’anno, e per il quale un gran numero di individui è pronto ad offrire il proprio lavoro, adattandosi anche a rinunciare ad una quota della propria libertà; e immaginiamo il disastro, la delusione, il senso di frustrazione, nel caso che la siccità, la grandine o un’altro evento naturale, distrugga questo ricco raccolto, gettando tutta la comunità nella precarietà e nel timore. Se la piccola comunità di cultura Hopewell, potevano affrontare un simile rischio, puntando su risorse alternative come la caccia e la raccolta, dividendosi o spostando la loro sede, ciò diviene impossibile per comunità più grandi, che hanno investito il loro lavoro nel dissodamento di aree da mettere a coltura, e che si sono adattate all’organizzazione del lavoro in forma collettiva, per aumentarne la produttività. E’ in questo contesto che si colloca il formarsi di una vera e propria aristocrazia sacerdotale, che fu caratteristica dei popoli del Mississipi. Uomini (e sicuramente anche donne), che dai loro templi e dalle loro abitazioni in cima ai grandi tumuli-piramide, scrutavano il cielo, svolgevano riti e sacrifici, intonavano canti sacri e segreti, con la immensa responsabilità di garantire, che il lavoro di centinaia di individui, non venisse vanificato dalle forze della natura e dall’ostilità di quel mondo sovrannaturale che a tali forze sovrintende; ma ad essi competeva anche il privilegio di essere al di sopra della gente comune, e di poter addirittura decidere della loro sorte. Tutto ciò mal si accorda con l’immagine degli indiani storici, con le loro comunità democratiche e irriducibili ad ogni potere centralizzato, eppure tutto ciò esisteva ancora al tempo in cui gli Europei iniziarono a colonizzare il Nord America. Come sia accaduto che società fortemente gerarchizzate si siano prodotte nelle Foreste Orientali, e siano poi scomparse, senza quasi lasciar traccia è questione su cui soffermarsi. All’inizio furono solo individui come gli altri, che per ragioni fortuite ed occasionali seppero meglio usare dei semi in loro possesso, li trasformarono in ricchi raccolti e furono guardati con rispetto e ammirazione; forse seppero anche consigliare gli altri e furono ascoltati, acquisendo prestigio per se e per la propria famiglia; poi nell’arco di poche generazioni la fortuita opportunità di dare il proprio consiglio, trasmessa ai propri figli ed eredi, sedimentò in una vera e propria responsabilità verso la comunità, fino a dar luogo al privilegio e alla definizione di uno status di eccellenza ad un intero clan famigliare. Così acquisito uno status particolare, i membri della famiglia sacerdotale non partecipano più attivamente al lavoro dei campi, ma i campi ad essi destinati sono i primi ad essere curati dai membri della comunità; così i membri della classe sacerdotale, non corrono mai il rischio di scarsità di cibo, dato che a loro compete la custodia delle scorte collettive; se la vicinanza agli dei deve essere resa evidente, loro sarà il privilegio di risiedere più in alto degli altri, su colline artificiali, alla cui edificazione tutta la comunità coopera; e se alla loro parola e alla loro saggezza la comunità deve affidarsi, allora da loro giungerà


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Scena di vita quotidiana in un villaggio Mississipi (opera dell’’artista contemporaneo Greg Harlin)

ogni giudizio su ciò che è male e ciò che è bene, su chi è in colpa e chi è innocente. Dalle piccole comunità originarie, basate sull’autorevolezza dell’anziano, “primum inter pares”, si passa così al dispotismo oligarchico delle teocrazie depositarie della conoscenza; ma il potere della conoscenza ha un suo limite in quello della forza, della violenza, delle armi, e l’individuo che di tale potere è portatore deve essere sussunto nel sistema perchè se ne faccia garante, o altrimenti espulso, come fattore di squilibrio e di disordine. D’altra parte senza il contributo di simili individui, il frutto del lavoro collettivo può essere perduto non per cause naturali, ma per la razzia di genti vicine, meno fortunate. Così dalla massa della gente comune, emerge il guerriero, con il suo arco e le frecce, ultima innovazione nell’arte di uccidere, e si affianca al sacerdote, costituendo il secondo livello della prima stratificazione gerarchica, che è alla base dell’ulteriore sviluppo della complessità sociale: il sacerdote, il guerriero, poi il contadino e ad un livello successivo nell’evoluzione della complessità sociale, lo schiavo. Questa dinamica che in tutto il mondo ha prodotto rigide caste e vere e proprie classi sociali, probabilmente non giunse mai a compimento in Nord America, rimanendo sostanzialmente legata alle sue origini, nel sistema di organizzazione sociale basato sui clan famigliari, la cui formazione risale all’antica cultura Hopewell o anche prima. Di fatto in Nord America, se il prodursi di società gerarchizzate è certo, altrettanto certo è che tale modello non fu mai totalmente interiorizzato e non distrusse il primitivo impianto egualitario. Che ogni forma di stratificazione gerarchica della società abbia la sua origine nel sistema dei clan e delle “gentes”, è evidente, per il fatto che l’appartenenza ad una determinata casta e classe è direttamente legata all’appartenenza ad una determinata famiglia, a un clan o a una gentes. Vi sono così famiglie, clan e gentes nobili, e famiglie, clan e gentes comuni, che in un sistema gerarchizzato di classi e caste, tendono a rimanere isolate le une dalle altre, in particolare per ciò che riguarda lo scambio matrimoniale; l’impossibilità dello scambio matrimoniale tra membri di di diverse caste e ceti sociali, è la base per la fine di ogni dinamismo sociale e per il cristallizzarsi degli equilibri di potere. Tale modalità, per cui ogni individuo deve cercare il suo partner nel suo stesso ambiente e addirittura tra persona a cui è legato da parentela, produsse tra le aristocrazie europee, una sorta di endogamia di fatto; il matrimonio tra consanguinei e testimoniato in una società gerarchica come l’antico Engitto e fra il patriziato romano, le caste indiane sono rigidamente endogamiche, per non dire dell’uso dell’Inca e del Faraone, di sposare la propria sorella. E’ in questa modalità che si produce la più antica separazione tra clan e famiglie in seno ad una stessa comunità.


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Completamente diverso dal sistema basato su classi e caste, è il modello che si fonda su clan e gentes, perchè quest’ultimo è sempre esogamico, e quindi impone lo scambio matrimoniale con un altro gruppo famigliare. In molti sistemi basati sui clan, e anche tra molti popoli del Nord America, più clan o gentes, sono raggruppati in “metà” o fratrie, che hanno l’obbligo di scambiarsi reciprocamente il partner matrimoniale. E’ quindi probabile che il meccani- Il Grande Sole dei Natchez, portato in lettiga dai suoi sudditi, in un disegno dello stusmo gerarchico delle so- dioso francese Antoine-Simon La Page du Pratz, che visse in Louisiana all’inizio del ‘700 cietà del Mississipi, fosse ancora fortemente condizionato dal sistema di clan esogamici e fratrie, che di fatto impediva una totale separazione tra classi nobili e gente comune; di ciò potrebbe essere testimonianza l’unica società Mississipi ancora esistente in tempi storici, e di cui gli Europei hanno una seppur sommaria documentazione: i Natchez della Louisiana, con cui i coloni Francesi ebbero contatti e conflitti, ancora nei primi decenni del ‘700, sono forse l’unica testimonianza storica della cultura Mississipi. Fra i Natchez vigeva una rigida divisione tra i vari membri della tribù, in quelle che ai Francesi apparvero come vere e proprie classi sociali: da un lato era una vera e propria nobiltà di sangue, costituita dai Soli, e cioè il Grande Sole e tutti i suoi famigliari, poi i Nobili e quindi la Gente Onorata, dall’altra era la gente comune, definita con disprezzo, i Puzzolenti. I gruppi sociali più elevati godevano di privilegi e particolari prerogative, mentre la gente comune era esclusa da ogni forma di potere. Eppure in questo schema apparentemente simile a quello di altre società divise in caste, intervengono elementi che lo rendono estremamente peculiare; e in effetti in nessuna società divisa in caste, è fatto obbligo ai membri delle caste superiori, di sposare membri della casta più bassa. Invece tra i Natchez, un Sole era obbligato a sposare una donna della casta dei Puzzolenti, e stesso obbligo era per i Nobili e la Gente Onorata; stessa regola valeva per le donne delle caste superiori, obbligate a sposare uomini della casta più bassa. L’analisi dettagliata del sistema matrimoniale dei Natchez, è argomento che richiede una specifica trattazione e non può essere esaurito in poche righe; basti qui dire che i figli che nascevano da questi matrimoni tra membri di caste diverse, se la madre apparteneva ad una classe nobile, erano membri di diritto della casta materna, secondo un modello di ereditarietà matrilineare, mentre nel caso la madre appartenesse alla classe dei Puzzolenti, i figli entravano a far parte di una casta, di livello inferiore a quella paterna (se il padre era Sole, i figli erano Nobili ecc...). Questo complesso sistema di trasmissione ereditaria, poneva il problema di un tendenziale esaurimento della casta dei Puzzolenti, dato che quasi nessun bambino vi nasceva, e certo ciò poteva indurre i Natchez alla guerra, proprio per rimpinguare la classe dei Puzzolenti con i prigionieri e in genere con i gruppi sottomessi. D’altra parte un simile meccanismo, pur garantendo una rigida divisione sociale, manteneva una costante interazione tra i diversi gruppi e una notevole mobilità sociale. Ma al di là dei problemi e delle opportunità di questo modello sociale, la questione più interessante è capire come esso si sia prodotto. E così oggi più di uno studioso ritiene, che le caste dei Natchez siano in realtà il prodotto di un più antico sistema di fratrie o “metà” matrimoniali, che raccoglievano i diversi clan famigliari esogamici; due originarie “metà”, ognuno con un certo numero di clan esogamici, una delle quali per ragioni a noi ignote, giunse ad imporre la sua supremazia, esprimendo i capi, i sacerdoti, i guerrieri, senza però giungere al punto di mettere in discussione l’antico uso esogamico, di sposarsi nella metà opposta. Non sappiamo fino a qual punto il modello dei Natchez fosse condiviso da altri popoli di cultura Mis-


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sissipi, ma è probabile che l’interazione tra un’originaria organizzazione sociale basata su clan famigliari e metà matrimoniali, e il più recente prodursi di elite sacerdotali tendenti verso il potere assoluto e la teocrazia, fosse il tratto caratteristico di questa fase dello sviluppo culturale nelle Foreste Orientali. Ciò che è certo è che il sistema di potere che si produsse tra i popoli di cultura Mississipi, doveva essere estremamente fragile, una sovrastruttura superficiale che non ebbe il tempo di sedimentare, e che, a parte il caso dei Natchez, si dissolse nel giro di pochi decenni, senza lasciare dietro di se nemmeno il ricordo. Quando il sistema gerarchico andrà in crisi, la tradizionale struttura sociale basata sui clan, tendenzialmente più egualitaria, riprese il sopravvento, ed è questa quella che è storicamente documentata nell’epoca suiccessiva al contatto.

Il mondo dei Popoli del Mississipi Le innovazioni della civiltà del Mississipi, rispetto al modello Hopewell, sono principalmente riscontrabili nella struttura dell’organizzazione sociale, e conseguentemente sul modo in cui individui e comunità si relazionarono fra loro, piuttosto che in altri aspetti della vita quotidiana. Ad esclusione della piena acquisizione del mais e dei fagioli in agricoltura, e dell’arco e delle frecce per la caccia e la guerra, i popoli del Mississipi non conobbero altre significative innovazioni in ambito tecnologico o economico. Il cambiamento della struttura sociale fu in stretto rapporto con l’ingrandirsi delle comunità umane, ma per quanto le società di cultura Mississipi abbiano rappresentato quanto di più simile ad una civiltà urbana si produsse in Nord America in epoca precolombiana, esse ebbero un limite nel loro sviluppo per l’assenza di alcune condizioni fondamentali. Così i grandi centri rituali, che pure furono a volte riferimento per migliaia di individui, non divennero mai veri e propri centri urbani, mancando la conoscenza nelle tecniche di rotazioni dei terreni, che permisero per esempio in Mesopotamia, la residenza in una medesima località di una numerosa popolazione, impegnata in attività agricole anche per più generazioni consecutive. Al contrario i grandi centri cerimoniali Mississipi, con le loro vaste “plazas”, circondate da “temple mounds”, pur essendo anche per lunghi periodi la residenza di capi e sacerdoti, con i loro famigliari e servitori, non divennero veri e propri centri economici, dovendo sempre dipendere dalle comunità agricola satellite, su cui esercitavano la loro influenza. Così mentre i centri cerimoniali si arricchivano di piramidi di terra sempre più elevate, al sommo delle quali si ergevano templi e abitazioni aristocratiche, le comunità agricole satellite, erano costrette periodicamente a ridislocarsi a causa dell’esaurirsi delle potenzialità agricole dei terreni; così è probabile che gran parte della popolazione, vivendo nelle piccole comunità agricole ancora legate alla tradizione del clan famigliare, non abbia visto veri cambiamenti nella propria vita quotidiana, ad esclusione della partecipazione passiva ai riti pubblici in cui si manifestava il potere delle oligarchie. Rispetto all’epoca Hopewell, le comunità Mississipi sembrano temere l’ostilità di gruppi vicini, e compaiono intorno ai villaggi palizzate per la difesa; ciò è particolarmente vero nei frequenti casi in cui i gruppi di cultura Mississipi vivevano circondati da comunità di cultura diversa, come nelle zone più periferiche, e ciò fa pensare anche ad una spinta espansionistica e aggressiva dei popoli Mississipi, che sembra assente in epoca Hopewell. E’ quindi probabile che i popoli di cultura Mississipi, con una solida

Esempi dell’artigiatato dei popoli del Mississipi


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economia agricola, un struttura sociale fortemente integrata, e una organizzazione del potere centralizzata, abbiano potuto imporsi su gruppi limitrofi con una struttura sociale meno coesa ed una economia più povera, ma che per mantenere tale predominio abbiano acquisito una maggiore predisposizione alla guerra. Non a caso in queste società fortemente gerarchizzate, costruite intorno alla leadership religiosa dei sacerdoti, il valore guerriero si manteneva come l’unica opportunità di mobilità sociale. Di fatto il modello Mississipi diede vita ad una serie di strutture politiche, sorta di principati teocratici, probabilmente collegati tra loro in un rapporto di vassallaggio, al cui Costruzione di una capanna vertice erano i sacerdoti dei centri principali, Cahokia nell’Illinois, Etowah e Ocmulgee in Georgia, Spiro in Oklahoma,e altri ancora, dai quali dipendevano centri minori, all’interno dei quali si manteneva la medesima struttura gerarchica. Alla base di questo sistema era la gran massa dei contadini, che vivevano e lavoravano nelle vicinanze dei centri cerimoniali, ai quali destinavano parte del loro raccolto, in cambio della protezione spirituale ed eventualmente anche del sostegno nella difesa contro i nemici. Per gli abitanti di queste piccole comunità, lo stile di vita non doveva essere molto diverso da quello dei secoli precedenti, a parte l’innovazione rappresentata dal mais. Alle donne competeva sempre la maggior responsabilità del lavoro agricolo, anche se certamente nella fase di disboscamento e dissodamento dei campi, così come durante la semina e il raccolto, il contributo degli uomini doveva essere rilevante; caccia, pesca e raccolta, erano ancora significative attività integrative, ma non sostitutive dell’agricoltura, e il buon esito del raccolto era la sola garanzia di scampare alla fame nei mesi invernali. Neanche sul piano delle tecnologie, a parte l’arco e le frecce, si realizzano innovazioni: non vengono allevati animali, non si realizzano nuove tecniche per il trasporto, la produzione di oggetti d’uso quotidiano non fa notevoli passi avanti ne in rapporto alle materie prime, ne per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto, mentre la produzione artistica si rinnova ed eccelle, solo in riferimento al suo uso rituale, o al suo essere emblema di status. Rimane l’uso di abitazioni costruite con rami e corteccia, specialmente nelle parti settentrionali dell’area, mentre nella parte meridionale del territorio le capanne si trasformano in strutture più solide, con pareti di rami intonacate con fango e argilla. Il commercio, che era stata la grande innovazione dell’epoca Hopewell, ebbe sicuramente un nuovo impulso, ma assunse caratteristiche totalmente diverse. Se probabilmente esso era avvenuto in epoca passata nella forma del dono rituale, attraverso cui piccole comunità intessevano relazioni di scambio, in occasione di accordi matrimoniali, di cerimonie funebri o semplicemente come segno di reciproca buona disposizione, coinvolgendo più o meno tutti i membri della comunità, in epoca Mississipi il commercio, si indirizza principalmente verso beni esotici e di lusso, appannaggio delle classi elevate, che li ottengono come omaggi e segni di vassallaggio, e li usano come simboli di uno status superiore, che li separa e Maschera sacerdotale. proveniente li differenzia dalla gente comune. La rete commerdal sito di Spiro, in Oklahoma


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ciale che legava i le terre a nord dei Grandi Laghi con la costa del Golfo del Messico, ritorna ad essere pienamente attiva, rame e conchiglie pregiate raggiungono i principali centri nella valle del Mississipi, ma è difficile immaginare che questa rinascita commerciale abbia coinvolto anche i contadini della classe più bassa. E’ invece probabile, che siano emerse figure di viaggiatori e commercianti, in grado di compiere lunghi viaggi alla ricerca di beni rari e preziosi, per rifornire le elite sociali del tempo; figure simili ai “Pochteka” delle culture mesoamericane, e certo la loro attività commerciale non coinvolgeva i contadini delle piccole comunità satellite. Dell’esistenza di un commercio di manufatti di lusso per le sole classi elevate, potrebbe essere prova la mancata diffusione della tessitura, che da riscontri archeologici risulta sicuramente nota ai popoli del Mississipi, ma i cui prodotti non rientrarono mai nell’uso comune Vasellame della cultura del Mississipi delle Foreste Orientali. Probabilmente i pochi reperti che ci sono giunti, facevano parte della ricchezza di qualche sacerdote o nobile, esotico prodotto importato dal sud, o al massimo prodotto in loco da artigiani al diretto servizio dei potenti. D’altra parte l’esistenza di una classe in grado di apprezzare manufatti esclusivi ed originali, oltre che di una casta sacerdotale che necessitava di oggetti simbolici da mostrare e usare nei riti pubblici e nelle cerimonie religiose, fu occasione di notevole impulso nell’evoluzione estetica dei prodotti artigianali. In particolare i recipienti di terracotta, che durante la fase Hopewell non erano andati oltre la più elementare funzionalità, si raffinano notevolmente, a volte sono modellati a forma di testa umana, quasi sempre sono presenti decorazioni con il metodo dell’incisione o dell’impressione, e verso la fine del periodo, e solo nella parte orientale dell’area, si pratica anche la pittura, secondo modelli estetici mutuati dalle terre del Messico. Così anche il semplice vasellame di uso quotidiana, che in epoca Hopewell era rimasto ai margini della fioritura artistica, diviene simbolo di status quando è proprietà di un membro dell’elite sociale, e quindi si raffina dal punto di vista estetico. Ma è principalmente negli oggetti simbolici e legati al culto, che si esprime la perizia degli artigiani Mississipi: gusci di conchiglia con minute e accurate incisioni, figure umane, spesso inginocchiate, alte fino a 50 cm, pipe in forma umana o animale, addirittura una pesante ascia ricavata da un unico blocco di pietra. A tutti questi oggetti si accompagna una simbologia rituale di cui è difficile oggi cogliere il significato, ma che ricorre in luoghi anche distanti, a dimostrazione di un sistema di credenze condiviso: il tema dell’occhio piangente, quello della mano e dell’occhio, e poi simboli solari, croci, disegni geometrici. Tra tutti questi simboli spicca una figura umana, decorata con piume e sempre di profilo, la cui posa innaturale, è spiegabile solo se accompagnata al volo. Tutti questi elementi simbolici, molti di chiara origine messicana, hanno fatto ritenere che un culto comune fosse condiviso fra i popoli del Mississipi.

Il Culto Meridionale Un aspetto caratteristico e certamente innovativo delle culture del Mississipi, è certamente il modello


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ideologico e cerimoniale che lo caratterizzò, collegando in un sistema di interazione, tutta la regione del basso e medio Mississipi, fino alle regioni dell’attuale sud-est degli Stati Uniti. Come già accennato, l’esistenza di un sistema di credenza condiviso è testimoniato da un gran numero di manufatti artigianali che, ritrovati in siti distanti centinaia di chilometri l’uno dall’altro, presentano simili immagini e simboli, e in alcuni casi sembrano addirittura opera degli stessi artisti. E’ per questa ragione che gli studiosi ritengono di poter parlare di “Culto Meridionale”, per definire un complesso cerimoniale e la sua struttura ideologica. Nella ricostruzione di questo complesso cerimoniale, è possibile utilizzare tre fonti, in primo luogo i ritrovamenti archeologici, quindi le scarse testimonianze dei primi osservatori europei, in particolare i Francesi nella zona del basso Mississipi a cavallo tra il ‘600 e il ‘700, e infine gli usi e le credenze degli indiani storici, la cui continuità con le culture Mississipi è più evidente, in particolare i Muskogean della confederazione Creek della Georgia e dell’Alabama, e i Caddoan del Texas orientale. Se i diversi reperti archeologici dimostrano chiaramente l’esistenza di un universo simbolico condiviso in tutta l’area Mississipi, più difficile è cogliere il significato dei diversi simboli: croci inserite nel cerchio e svastiche, ci indicano l’esistenza di un culto solare, peraltro riscontrabile negli usi di molti gruppi tribali storici, quali i Caddoan e i Creek, nei cui riti era presente un Sacro Fuoco, emblema terreno dell’energia del Sole; tra i Natchez addirittura, Sole era definito il gran sacerdote e il capo, così come i suoi famigliari. Più difficile è definire il significato di una serie di simboli riguardanti la figura dell’Occhio, declinato in diversi modi: l’occhio nel palmo della mano, l’occhio piangente, l’occhio circondato da motivi bi o trilobati. I primi due simboli possono forse evocare l’accesso al mondo ultraterreno, ed essere collegati al culto dei defunti, secondo la tradizione più antica delle Foreste Orientali, mentre gli ultimi due sono collegati ad altre due figure mitiche di cui si è trovata testimonianza: l’occhio bilobato si accompagna spesso alla figura del Serpente d’Acqua, divinità collegata al mondo sotterraneo, mentre l’occhio trilobato, è collegata alla figura del Falco o Uomo Uccello, rappresentazione di figure shamaniche, di cui è stata trovata testimonianza in diversi reperti e in particolare i gusci di molluschi incisi con perizia e grande senso estetico. Un terzo gruppo di simboli è legato ad alcuni oggetti rituali, che certo facevano parte dell’armamentario dei sacerdoti: mazze, frecce bilobate, pendagli. Da quel poco che è possibile dedurre, è possibile immaginare che il Culto Meridionale abbia prodotto una visione del mondo incentrata su tre livelli: un livello celeste, dominato dalle figure del Sole, della Luna, e di alcune Stelle, al quale appartiene anche il Falco, che potrebbe coincidere con il potere del Tuono; un mondo terreno e concreto, nel quale vive l’uomo, ed un mondo sotterraneo, dominato dalla figura del Serpente d’Acqua, figura che può variare, assumendo l’immagine di Serpente Cornuto, o di animale mitico con parti del corpo di Serpente, di Puma ecc.... Questi tre livelli della realtà, sono tra loro collegati da un’altra figura simbolica di cui è stata trova testimonianza, l’Albero della Vita, che ha le radici nel mondo sotterraneo e protende i Gusci di molluschi con incvisi motivi simbolici del Culto Meridionale; a partire dall’alto suoi rami verso il cielo. in senso orario: il Serpente, l’Uomo Uccello, l’Occhi nella Mano, il Sole


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In realtà gran parte di questo sistema simbolico, ed in particolare ciò che riguarda il Serpente d’Acqua, o il Falco, hanno radici nelle precedenti culture Hopewell, e permangono, con alcune modificazioni, nelle successive culture storiche, in particolare fra le tribù di lingua Siouan e Muskogean, ma anche fra popoli che probabilmente ebbero scarse o nessuna connessione con le culture Mississipi, come ad esempio gli Ojibway. E’ quindi probabile che nel Culto Meridionale, siano state ricomposte e assemblate credenze precedenti alla nascita delle culture Mississipi, integrate poi con quella che probabilmente fu la vera novità, e cioè il culto del Sole e del Fuoco, che diviene il fulcro del potere dell’aristocrazia sacerdotale. Come già accennato, cerimonie in onore del Sole e del Fuoco, sono testimoniate tra i Caddoan e i Muskogean storici, mentre gli Skidi Pawnee, anch’essi di lingua Caddoan, ancora nei primi decenni del XIX secolo, sacrificavano una vergine alla Stella del Mattino. Sacrifici umani in qualche modo connessi al culto solare, erano probabilmente quelli che accompagnavano la morte del Grande Sole tra i Natchez, quando le sue mogli e i suoi servi venivano strangolati per accompagnarlo nell’al di là, mentre uomini e donne della tribù giungevano al punto di togliersi spontaneamente la vita. Riscontri archeologici di sacrifici umani, sono stati ritrovati in alcuni mounds della zona di Cahokia, e anche alcuni dei primi visitatori spagnoli nel ‘500 ne danno testimonianza. Il tema del sacrificio umano è di una certa rilevanza nel definire il Culto Meridionale, perchè pone le culture Mississipi in relazione con le culture mesoamericane fra le quali tale pratica era ampiamente diffusa, al contrario di quanto accaddeva in Nord America in epoca Hopewell, e in epoca storica, quando a parte il caso degli Skidi Pawnee e dei Natchez, tali usi non sono documentati. Tutto ciò può far ritenere che nel Culto Meridionale abbiano convissuto due diversi impianti, uno legato ai riti shamanici, collegati in particolare alle figure del Falco o Uomo Uccello e del Serpente d’Acqua, ma anche alla permanenza dei riti funerari, e rispondenti alle necessità quotidiana dei singoli individui e gruppi famigliari, e l’altro quello legato al Sole, al Fuoco e al mondo celeste, monopolio di una casta sacerdotale, che presiede a grandi riti pubblici e ai sacrifici, e il cui compito è di accompagnare il ciclo stagionale del lavoro agricolo, intercedendo presso il mondo soprannaturale, perchè esso dia frutti abbondanti. La permanenza, seppur in forma subordinata del sistema di credenze Hopewell all’interno del modello Mississipi, è dimostrata proprio dal permanere degli usi funerari Hopewell, la cui testimonianza si riduce notevolmente, ma la cui sopravvivenza è testimoniata da alcuni mounds funerari di epoca Mississipi, appartenenti a esponenti delle classi più elevate. Sulla base di queste considerazioni è possibile ipotizzare che l’aspetto caratterizzante del Culto Meridionale, sia l’emergere sul comune sostrato spirituale dei popoli delle Foreste Orientali, di una sorta di “ideologia” delle oligarchie dominanti, che fondata sul controllo delle conoscenze agricole, si impose come religione su tutta la popolazione, senza però riuscire a permeare in profondità, ne il tessuto sociale, ne l’approccio psicologico dei popoli delle Foreste Orientali. E questo potrebbe forse spiegare perchè, nel corso di poche generazioni, il ricordo degli edificatori dei grandi Temple Mounds del Mississipi, sia andato perduto.

Chi erano i Popoli del Mississipi? L’idea che i grandi tumuli delle culture del Mississipi fossero opera di un qualche misterioso popolo, ha avuto spazio per buona parte del XIX secolo, fondandosi, oltre che sul razzismo di quanti ritenevano i “selvaggi” incapaci di produrre simili opere, anche sul fatto che in molti casi, gli indiani che risiedevano nelle terre dove i mounds erano stati edificati, non avevano alcuna idea, ne della loro funzione, ne di chi li avesse costruiti. Questo apparente mistero può avere diverse e complesse ragioni, anche se in più di un caso esso si spiega con il semplice fatto, che gli indiani incontrati dai bianchi nelle terre dei mounds, avevano occupato quelle terre in epoca successiva alla edificazione dei tumuli, dopo che i costruttori avevano abbandonato la regione. Questo è certo vero nell’area che rappresentò il cuore della cultura del Mississipi, la regione del Medio Mississipi, espressione che oltre che definire un area geografica, è riferita anche al modello più classico della cultura del Mississipi. In quest’area, che comprende il medio corso del Mississipi, e si estende ad est fino al basso corso dei fiumi Ohio, Wabash, Cumberland e Tennessee, si svilupparono alcuni tra i più importanti principati teocratici di cultura Mississipi, a partire da quello di Cahokia, che all’apice del suo sviluppo, fu punto di riferimento per una popolazione di oltre 15.000 individui. Cahokia era nelle vicinanze dell’attuale città di Saint Louis, vicino alla confluenza tra Mississipi e Missouri, una zona in cui i mound sono stati contati a decine, di ogni grandezza e forma, tra cui alcuni adibiti a uso funerario, e su cui spicca fra tutti il gigantesco Monk‘s Mound di Cahokia, così denominato perchè divenne


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sede di un convento di monaci trappisti. A nord di Cahokia, al limite settentrionale della cultura del Medio Mississipi, un importante centro era quello Azatlan, probabilmente una colonia avanzata delle genti che provenivano da Cahokia, e che si insediarono tra genti di cultura Oneota, un modello culturale influenzato dai popoli del Mississipi, ma con significative differenze. Altri importanti centri del Medio Mississipi erano nella zona di confluenza tra i fiumi Ohio e Wabash, sul basso corso dei fiumi Cumberland e Tennessee, e alla confluenza tra Ohio e Mississipi. Tutta questa regione era stata una delle aree più significative della cultura Hopewell e, dopo i secoli di stagnazione, fu qui che la cultura Mississipi evolvette nei suoi elementi caratteristici, in particolare per ciò che riguarda i nuovi assetti sociali. Fu in quest’area che in un contesto di crisi agricola e alimenDiffusione geografica delle culture del Mississipi tare, l’innovazione della coltura del con le principali varianti regionali mais rappresentò la differenza tra la sopravvivenza e la fine di una comunità; fu in quest’area che probabilmente la tecnologia dell’arco e della freccia giunse da nord, prima che in altre zone delle Foreste Orientali, inserendosi nel contesto di crisi economica e sociale successivo alla fine della cultura Hopewell, determinando la crescita delle tensioni tra singole comunità. E’ questo probabilmente il quadro che vide l’emergere di nuove strutture di potere. Fu sempre in questa regione che la crisi del modello Mississipi si produsse prima che in altre aree, lasciando dietro di se solo un alone di mistero. Tutti gli insediamenti del Medio Mississipi, a parte forse quelli sui fiumi Cumberland e Tennessee, furono edificati e abitati da genti di ligua Siouan del gruppo Degiha, antenati degli Osage, dei Quapaw e degli Omaha, che abbandonarono questa regione all’inizio del ‘600, per spostarsi nelle pianure dell’ovest. La presenza di queste tribù nell’area è ormai indiscutibilmente accertata, mentre più difficile è accertare come sia possibile, che nella loro tradizione sia scomparso ogni riferimento ai loro antenati edificatori di tumuli. Oltre a questi Siouan, è probabile che anche gli antenati degli Yuchi storici, che vivevano nel Tennessee, abbiano partecipato dello stesso modello culturale, edificando gli insediamenti lungo il fiume Cumberland. Scendendo il corso del Mississipi, a valle della confluenza dell’Arkansas, la caratterizzazione locale del modello Mississipi, viene chiamata Planquemine, e si innesta sulle culture locali sviluppatesi successivamente alla crisi del modello Hopewell-Marksville (Baytown, Troyville, Plum Bayou), quasi certamente per gli influssi provenienti dal nord. In quest’area, come in generale nella parte meridionale delle Foreste Orientali, dopo il V secolo e la crisi del modello Hopewell, si produssero culture locali che dopo la’esaurirsi del sistema di relazioni Hopewell, riuscirono comunque a fiorire con successo, e poi a trasformarsi acquisendo le influenze Mississipi provenienti da nord. Il principale insediamento Planquemine fu probabilmente quello di Emerald Mound, il cui tumulo è per grandezza, secondo solo a quello di Cahokia. E’ questa la regione in cui il modello Mississipi è sopravvissuto più a lungo, e le genti di lingua Tunican e Natchez, che prima gli Spagnoli, poi i Francesi incontrarono nella regione nel ‘500 e nel ‘600, a quell’epoca vivevano ancora secondo gli usi dei loro antenati costruttori di tumuli. Rispetto ai tempi storici è probabile che la collocazione dei popoli di lingua Tunican fosse più settentrionale, comprendendo anche l’area lungo il corso del Mississipi a nord della confluenza con l’Arkansas, e che essi si siano spostati a sud all’inizio del ‘600 per le pressioni dei Siouan Degiha. Più difficile è collocare all’interno del complesso Planquemine le popolazioni di lingua Muskogean antenate dei Choctaw, dei Chickasaw, e


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di altri Muskogean occidentali; tra i Choctaw e i Chickasaw è presente una tradizione che fa riferimento ad una migrazione da terre a ovest del Mississipi, ma quando intorno al 1540 De Soto li incontrò, e si scontro con i Chickasaw, essi erano già nelle loro sedi storiche, nel nord dello stato del Mississipi. In ogni caso è certo che anche i Muskogean occidentali furono partecipi della cultura Planquemine, anche se non ne rappresentarono il cuore. Anche a ovest del basso corso del Mississipi, ai confini degli attuali stati di Arkansas, Oklahoma, Texas e LoFoto aerea ricostruzione del sito di Emerald Mound uisiana, la cultura del Mississipi sopravvisse fino ai tempi storici, declinando solo in coincidenza con la quasi estinzione delle genti di lingua Caddoan che vivevano nella regione. Rispetto al modello insediativo della cultura del Mississipi, i villaggi della variante Caddoan mancano abitualmente delle palizzate difensive e questo probabilmente perchè la prossimità con le grandi e scarsamente popolate praterie occidentali, rendeva meno pressante la competizione con i popoli vicini. Anche il formarsi delle culture Mississipi-Caddoan fu un fenomeno tendenzialmente lineare, uno sviluppo senza soluzione di continuità rispetto all’ultima fase delle varianti locali della culture Hopewell; è probabile che i Caddoan, data la vicinanza con il Messico, abbiano inserito la coltivazione del mais nella loro economia prima di altri, già nel corso dell’ultima fase della cultura Hopewell, e che il passaggio da Hopewell a Mississipi sia avvenuto senza fasi intermedie di crisi e stagnazione. Le più recenti ricerche degli archeologi hanno riscontrato significative differenze tra i siti settentrionali, lungo il basso corso dell’Arkansas, abbandonati a partire dall’inizio del ‘600, e la regione del Red River più a sud, dove il modello si mantenne fino ai primi del ‘700; è certo che le confederazioni dei Kaddohadache, degli Hasinay e dei Natchitoche, furono gli eredi dei popoli Mississipi della valle del Red River, mentre è probabile che i Kichay e forse i Pawnee e i Wichita, anch’essi di lingua Caddoan, abbiano edificato i siti più settentrionali, per poi abbandonare la regione all’inizio del ‘600, e spostarsi a sud e a ovest, per divenire meno dipendenti dall’agricoltura e più dalla caccia al bisonte; tale trasformazione fu quasi certamente conseguenza delle pressioni dei Siouan Degiha provenienti da nord. Il più importante dei siti CaddoanMississipi fu quello di Spiro, nella valle dell’Arkansas, sul margine orientale dello stato di Oklahoma. Lungo la fascia costiera a est della foce del Veduta del sito di Spiro e oggetti in rame che vi sono stati trovati Mississipi, fino alla Florida settentrionale, la crisi della cultura Hopewell ebbe conseguenze meno gravi che nelle regioni interne, probabilmente anche grazie alle risorse del mare, che potevano integrare le minori risorse alimentari, garantite dall’attività agricola prima della diffusione del mais. Qui si sviluppò la cultura di transizione di Weeden Island, che rappresentò il ponte tra la fase Hopewell e il pieno affermarsi del modello Mississipi. A partire dal X secolo i caratteri tipici della cultura Mississipi fecero la loro com-


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parsa nella regione, articolandosi in due varianti locali, quella di Ft.Walton a ovest, di cui furono artefici genti di lingua Muskogean, e quella di Safety Harbor sulle coste occidentali della Florida, che interessò popoli di lingua Timucuan. Entrambe queste culture erano vive e fiorenti al tempo dei primi contatti con gli Spagnoli, alla metà del ‘500, ma decaddero nel giro di pochi decenni successivamente al contatto. A nord di quest’area, sui monti Appalachi meridionali e nella vasta regione circostante, il declino della cultura Hopewell fu più sensibile e l’emergere della cultura Il complesso di Etowah, in una veduta panoramica e Mississipi, che qui prende il nome di Sou- in un dipinto di Patricia Stevens thern Appalachian Mississipi, ebbe caratteristiche simili a quelle della regione del Medio Mississipi. Anche in quest’area nacquero grandi centri cerimoniali che esercitavano il loro dominio su molte piccole comunità circostanti, la presenza di palizzate e fortificazioni ci indica tendenze espansionistiche e aggressive. E’ probabile che in quest’area le influenze del Medio Mississipi siano state particolarmente forti, e che il nuovo modello culturale si sia affermato, non attraverso l’acquisizione di nuovi elementi da parte di culture locali, ma per l’arrivo di popolazioni più aggressive e innovative, portatrici di un diverso modello culturale; la preminenza ancora in tempi storici dei Creek Superiori (Muskogean) rispetto ad altri gruppi affini, e una tradizione che rimanda ad una loro provenienza occidentale, potrebbe essere coerente con l’ipotesi di una penetrazione da occidente del modello Mississipi. Il più antico e forse più importante centro della variante Mississipi di quest’area, Etowah in Georgia, sulle pendici meridionali degli Appalachi, era certamente abitato dagli antenati dei Creek Superiori; altri centri importanti, ma successivi di oltre un secolo a Etowah, sono quelli di Moundville in Alabama, rivale e ostile di Etowah, e Ocmulgee in Georgia, sul fiume omonimo; ancora più tardo il sito di Lamar, in Georgia e risalente alla metà del XIV secolo. I Creek, Superiori e Inferiori, furono certamente i protagonisti della cultura Mississipi nella regione, ma certamente anche altri gruppi furono coinvolti e influenzati, seppur forse solo come vassalli; siti della cultura Mississipi sono stati scoperti fino in North Carolina, dove erano stanziati gruppi di lingua Siouan, mentre i Cherokee, che in tempi storici occuperanno il sito di Etowah, dovevano all’epoca essere solo un gruppo minore, stanziato nelle valli montane e forse vassallo di qualche principato Mississipi. Degli usi di questi popoli Mississipi abbiamo diverse testimonianze dagli Spagnoli che visitarono la regione intorno alla metà del ‘500, trovandola densamente popolata, governata da capi potenti e costantemente in lotta fra di loro. Tra queste prime testimonianze, e quelle successive dei primi mercanti Inglesi oltre un secolo dopo, si consumò la crisi e la quasi totale scomparsa della cultura Mississipi in quest’area; comunque ancora in tempi storici, tra i Creek e altre tribù della regione, permanevano resti del Culto Meridionale e della antica stratificazione sociale, tali da non far dubitare sulla totale coincidenza tra indiani storici e costruttori di Temple Mounds.

Collasso e declino Le culture del Mississipi raggiunsero il punto di massimo sviluppo all’inizio del XIV secolo, iniziando


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poi un processo di declino a partire dalle zone più settentrionali; poco più di due secoli dopo, quando dopo la metà del ‘600 i primi Europei entrarono in contatto con gli indiani delle Foreste Orientali, del mondo dei popoli del Mississipi non rimanevano che poche tracce nella parte meridionale del territorio, mentre ogni ricordo era andato perduto nelle zone più a nord: gli indiani storici, anche quelli che hanno continuato a vivere nelle vicinanze dei tumuli edificati dai loro antenati, non ci hanno dato nessuna utile indicazione, sul come e perchè della fine di quella complessa cultura. Il mistero della sostanziale rimozione dalla memoria degli indiani storici, dei costruttori di Temple Mounds, è un fatto che non si spiega semplicemente con i limiti della trasmissione orale, dato che due secoli sembrano un margine di tempo troppo ridotto, per far perdere ogni ricordo di una storia così importante; più probabilmente la spiegazione di tale rimozione, deve essere cercato nelle ragioni e nelle dinamiche che portarono al collasso le società del Mississipi, che certamente produsse un qualche tipo di trauma sociale, tale da indurre una sorta di “tabuizzazione” della memoria, una dinamica psicologico-culturale che è tutt’altro da escludere, anche alla luce di quanto sappiamo della dimensione magica e spirituale degli indiani storici. L’uso di non parlare di fatti o persone, per il timore di evocare forze soprannaturali ostili e temute, non era infrequente tra gli indiani, e l’ipotesi che la rimozione della memoria possa essere dovuta anche a questo meccanismo di tabuizzazione, può forse spiegare tale fenomeno; l’assenza di fonti scritte, l’emigrazione e l’adattamento a nuovi contesti ambientali, il trauma del confronto con i bianchi, possono aver completato l’opera. Ma quali traumi possono aver indotto un simile meccanismo di radicale rimozione? Cosa dovette accadere perchè in una regione vasta quasi quanto l’Europa intera, un intero sistema di vita cessasse di esistere senza quasi lasciare nulla dietro di se, a parte il mistero delle piramidi di terra? Perchè un evento possa definirsi traumatico, non è sufficiente che esso sia drammatico, ma che soprattutto realizzi il suo impatto in un tempo limitato; la traumaticità di un evento sta proprio nella impossibilità di reagire ad esso con strategie di adattamento, strategie che in linea di massima, è sempre possibile produrre in un determinato lasso di tempo. Quindi in primo luogo, nell’esaminare il fenomeno vanno verificati i tempi entro i quali si verificò; sulla base dei riscontri archeologici è stato appurato che nel complesso, la fine delle culture Mississipi si realizzò in tutte le Foreste Orientali, nel corso di meno di tre secoli, dall’abbandono del grande centro cerimoniale di Cahokia, all’inizio del ‘400, alla distruzione dei Natchez da parte dei Francesi all’inizio del ‘700. Riferiti ad un singolo evento, tre secoli non sono un tempo breve, non tanto breve da legittimare l’uso di parole come “trauma “ e “collasso”; pure guardando con più attenzione al fenomeno, ciò che risulta evidente è che in effetti non di un fenomeno si tratta, ma di più fenomeni, autonomi l’uno dall’altro, seppur in una medesima sequenza temporale. In alcuni casi tali fenomeni portarono ad un vero e proprio collasso, in altri invece determinarono un declino, che ebbe poi il suo esito definitivo, solo in conseguenza del contatto con i bianchi. Il primo di questi fenomeni è certamente il cambiamento climatico definito “Little Ace Age” (Piccola Età del Ghiaccio), che si verificò in modo relativamente improvviso nell’emisfero settentrionale a partire dall’inizio del ‘300 e si protrasse fino alla metà dell’800; sappiamo che in conseguenza di questo evento i Vichinghi abbandonarono i loro insediamenti in Groellandia, e che in tutta Europa il disastro dei raccolti portò alla “grande carestia” tra il 1315 e il 1322 e ad altri eventi disastrosi nel corso del secolo. E’ altamente probabile che analoghi eventi si produssero anche in Nord America, almeno nella parte settentrionale del continente, coinvolgendo anche l’area del Medio Mississipi, dove Cahokia e altri centri cominciano a declinare proprio in quel periodo. Una società fortemente dipendente da una monocultura, all’apice di una significativa crescita demografica, e di un conseguente processo di deforestazione e sfruttamento intensivo del suolo, può essere estremamente vulnerabile all’abbassamento della temperatura anche di pochi gradi. Questa dinamica, che quasi certamente si produsse nell’area del Medio Mississipi, può spiegare il declino, ma è ancora insufficiente a spiegare il collasso, inteso come interruzione repentina di esperienze di vita sociale complesse durate secoli, e concluse nel volgere di pochi anni: Aztalan, il più settentrionale dei centri del Medio Mississipi è abbandonato già all’inizio del ‘300, poi è la volta di tutti i principali centri politici e cerimoniali, Dickson Mound a nord di Cahokia alla metà dello stesso secolo, il sito di Emmons, sempre nell’Illinois, prima della fine del ‘300, Cahokia all’inizio del ‘400, Kinkaid Mound a sud di Cahokia nello stesso periodo, Angel Mound nell’Indiana intorno al 1450, diversi siti del Tennessee tra il 1450 e il 1480. La sequenza temporale sembra viaggiare in direzione nord-sud, e questo potrebbe confermare il rapporto di causa effetto tra cambiamenti climatici e abbandono dei principali centri cerimoniali, a partire dalle zone più settentrionali. Un ulteriore elemento che andrebbe indagato, ma per il quale è difficile trovare riscontri oggettivi, riguarda l’impatto


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che la crisi agricola e alimentare conseguente ai cambiamenti climatici, può avere avuto sulla struttura sociale delle culture del Medio Mississipi; se il sistema di potere e la gerarchia sociale in tali società si era costituita a partire dal formarsi di un’oligarchia teocratica, garante del rapporto con il mondo sovrannaturale per il buon esito del lavoro agricolo e dei raccolti, un lungo periodo di risultati insufficienti, non può non aver avuto conseguenze proprio sull’autorevolezza di quel sistema di potere e di gerarchie. Accentramento del potere, privilegi e separatezza delle elites, che la massa della popolazione poteva accettare nel quadro di una sacralità delle funzioni svolte da quelle elites, divengono inaccettabili, quando tale sacralità è messa in discussione dall’assenza di risultati; da qui il possibile prodursi di tensioni, la rottura dei rapporti sociali, il disgregarsi delle comunità. L’esplodere di tensioni sociali in un contesto di crisi economica e alimentare, è sempre traumatico, ma lo diviene ancora di più in una società in cui potere politico e religioso coincidono, perchè in tali contesti ad andare in crisi non sono solo le istituzioni politiche, ma anche l’approccio spirituale di una intera comunità. Le conseguenze di questa situazione di crisi furono diverse nelle tre diverse aree focali della cultura del Medio Mississipi: l’area meridionale tra il basso corso del Tennesse e del Cumberland, quella centrale tra il basso corso dell’Ohio e del Wabash, e quella settentrionale, il corso del Mississipi a nord della confluenza con l’Ohio. Nella zona meridionale del Medio Mississipi, l’area del basso corso del Cumberland e del Tennessee, la crisi del XV secolo, vide l’abbandono di molti siti, ma anche il contestuale nascere di altri centri in una sostanziale continuità culturale; più che di collasso in questa area si deve parlare di declino, un declino forse legato, più che a cause endogene, alla crisi generale delle regioni più a nord, e al conseguente venir meno di relazioni e influenze, scambi commerciali e culturali; in quest’area ancora alla fine del ‘500, gli Yuchi storici vivevano secondo uno stile non troppo diverso dai tempi in cui la cultura Mississipi era al suo apice. Più a nord, lungo i fiumi Wabash e Ohio, dopo l’abbandono dei grandi centri di Angel Mound e Kincaid alla metà del ‘400, le popolazioni dell’area costruirono nuovi insediamenti, che pur nella continuità per ciò che riguarda tecniche e attività di sussistenza, si differenziavano per l’assenza dell’elemento simbolo della cultura dei popoli del Mississipi, i grandi tumuli di terra, simbolo del potere delle oligarchie e centro della vita cerimoniale e amministrativa, e questo a riprova delle trasformazioni avvenute nella struttura sociale; in quest’area certamente la crisi agricola e alimentare, ebbe come conseguenza la dissoluzione delle strutture di potere e del loro impianto ideologico e spirituale, di cui non è rimasta traccia nello stile di vita dei Siouan Degiha (Osage, Quapaw ecc...), che furono i discendenti degli abitanti di Angel Mound. Questi Siouan continuarono a vivere nella stessa area seguendo un tardo e declinante adattamento della cultura del Medio Mississipi, denominato “fase Caborn-Welborn“, che si protrasse fino almeno al 1650 circa, come testimoniato dalla presenza di reperti di provenienza europea in alcuni degli insediamenti più recenti. A quell’epoca in quest’area il fiume Ohio era chiamato dalle tribù del nord “fiume degli Akansa”, un nome dei Quapaw, a dimostrazione del fatto che i Siouan ancora abitavano la regione. Quando alla metà del XVII secolo iniziarono le “Guerre del Castoro”, per il controllo dei territori di caccia agli animali da pelliccia, i guerrieri della potente Lega Iroquois, in possesso di armi da fuoco, costrinsero i Degiha ad abbandonare la regione e a spostarsi a sud e a ovest. Gli Osage, i Quapaw, gli Omaha ecc..., in tempi storici avevano perso ogni rapporto con la loro storia passata, e soprattutto nulla o quasi era rimasto dell’impianto oligarchico e teocratico. Più drammatica e anche più difficile da ricostruire la vicenda che coinvolse la parte settentrionale dell’area del Medio Mississipi, la regione a nord della confluenza con l’Ohio, che ebbe il suo epicentro a Cahokia; qui certo la combinazione tra cambiamenti climatici, pressione demografica e sfruttamento del territorio e deforestazione ebbe l’impatto più grave, e lasciò dietro di se il vuoto; probabilmente le ridotte e disperse popolazioni abbandonarono la regione, lasciando l’area semideserta, almeno fino alla successiva penetrazione di genti Algonquian da nord, oltre un secolo dopo. Probabilmente solo in quest’area è possibile parlare di un vero e proprio collasso, una fine traumatica e per certi versi misteriosa che lascia molte domande senza risposta. Rimane quindi il mistero su chi fossero gli antichi fondatori del principale centro cerimoniale di tutto il Nord America, e su quale sia stato il loro destino. Tutta l’alta valle del fiume Mississipi fu certamente abitata in epoca precolombiana da genti di lingua Siouan, ma allo stato delle attuali conoscenze non è possibile individuare un preciso collegamento tra i fondatori di Cahokia, e una o più tribù storiche: difficile pensare ai Degiha (Osage, Quapaw ecc...) di cui è certo lo stanziamento sul basso corso dell’Ohio nei secoli precedenti al contatto, e lo stesso si può dire per i Chiwere (Winnebago, Iowa ecc...), che erano stanziati a ovest del lago Michigan con uno specifico modello culturale (Oneota); quasi certamente sono da escludere i Mandan, che già nel X secolo costruivano i loro villaggi a ovest, lungo il Missouri, tra Iowa e South Dakota. Suggestiva potrebbe


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essere l’ipotesi che gli edificatori di Cahokia possano essere stati gli antenati dei Dakota, ma è impossibile trovare sufficienti elementi in favore di tale ipotesi; all’inizio del ‘600 i Dakota vivevano alle sorgenti del Mississipi, e benchè alcuni autori credano ad una loro provenienza meridionale, quindi da una zona che potrebbe essere quella di Cahokia, tale affermazione manca di riscontri; i Dakota poi praticavano solo marginalmente l’agricoltura, a differenza dei popoli di cultura Mississipi. D’altra parte c’è da dire che i Dakota erano organizzati in una confederazione politico-religiosa, che raccoglieva sette gruppi tribali (i 7 Fuochi), una forma di organizzazione piuttosto insolita tra popolazioni la cui economia è legata al nomadismo, alla caccia, alla pesca e alla raccolta, e che forse potrebbe essere il retaggio di una più complessa ed elaborata cultura del passato; gli Algonquian Ojibway, che conducevano uno stile di vita non troppo diverso dai Dakota delle sorgenti del Mississipi, erano organizzati solo in bande a carattere famigliare, e con la loro organizzazione sociale meno coesa, all’inizio del ‘600 subivano l’aggressività espansionistica dei Dakota. E’ comunque inspiegabile che, in conseguenza di un irrigidimento climatico si possa produrre un movimento migratoria da sud verso nord, e ciò rende l’ipotesi Dakota improbabile. Se la gente di Cahokia non apparteneva a nessuno dei gruppi Siouan storici, allora l’unica ipotesi e che essi si siano dispersi e quindi mescolati a popoli vicini di simile lingua e cultura, perdendo poi una loro specifica identità. Ciò spiegherebbe la fine di ogni memoria di Cahokia tra gli indiani storici. Più a sud, lungo il basso corso del Mississipi e nelle zone sud-orientali degli attuali Stati Uniti i cambiamenti climatici della “Little Ace Age”, dovettero avere un impatto minimo o addirittura nullo, e in effetti non risulta che in questa vasta zona i popoli del Mississipi vivessero una crisi, quando intorno alla metà del ‘500 furono visitati dai primi esploratori Spagnoli. I resoconti degli Spagnoli guidati da Hernando de Soto, che, tra il 1539 e il 1543, viaggiarono attraverso tutto il sud-est, dalla Florida agli Appalache meridionali e fino al Mississipi e alle pianure orientali del Texas, testimoniano di una popolazione numerosa, di una società stratificata, di capi autorevoli che esercitavano la loro autorità su numerosi villaggi ed estesi territori, in un quadro che è quello stesso ricostruito dagli archeologi per i secoli precedenti al contatto. Questo stesso quadro è parzialmente confermato dai resoconti di altre spedizione spagnole, quella di De Luna del 1559, e quella di Juan Pardo, che tra il 1566 e il 1568, tentò di insediarsi e controllare il territorio delle due Caroline e del Tennessee orientale. Così è evidente che mentre al nord già da un secolo e più, le società Mississipi facevano i conti con una fase di crisi, più o meno grave, nelle regioni meridionali di tale crisi non v’era traccia; dopo la spedizione di Pardo per circa un secolo non si ebbero significativi contatti tra Europei e popoli delle regioni interne, ma quando dopo il 1670 i primi mercanti inglesi e francesi cercarono di aprire contatti con gli indiani della regione, trovarono un quadro totalmente mutato. In tutta l’area la popolazione era considerevolmente minore che non ai tempi di De Soto, non c’erano più i grandi centri di potere in grado di esercitare il controllo su molti villaggi, il livello massimo di integrazione era costituito da labili confederazioni tenute insieme da lingua, usi e credenze comuni; tranne che fra i Natchez, erano scomparse le figure di capi in grado di esercitare il potere in forme autocratiche, mentre dell’antica stratificazione sociale, rimanevano solo residui quasi impercettibili. Quanto poi ai grandi centri rituali come Etowah, Moundville, ecc..., erano stati tutti abbandonati e alcuni di essi, come Etowah, erano ormai occupati da popoli di recentissimo stanziamento. E tutto ciò doveva essere accaduto in un periodo di meno di un secolo: ecco questo è forse il caso in cui si può effettivamente parlare di “collasso”, ma a differenza che nel caso di Cahokia, qui le principali dinamiche sono note, altre almeno ipotizzabili. La causa scatenante della veloce crisi delle culture Mississipi del sud-est è certamente addebitabile alla prima, immediata e distruttiva, conseguenza dell’incontro con i bianchi: la diffusione di malattie ignote e per quali il patrimonio immunitario degli In questo quadro del pittore Hermann Trapmann, la rievocazione indiani era totalmente impreparato. Così, dell’incontro tra Hernando de Soto e la “Signora di Cofitachequi”, malattie che in Europa erano diffuse da se- uno dei principati teocratici della cultura Mississipi in Carolina


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coli e che producevano danni limitati, potevano distruggere interi villaggi indiani e falcidiare la popolazione di vaste aree; questa dinamica distruttiva viaggiava ovviamente in entrambe le direzione, come dimostra la diffusione della sifilide in Europa in quello stesso periodo, ma è certo che in questo terribile scambio, gli indiani furono fortemente penalizzati. Le testimonianze più tarde, delle conseguenze fra gli indiani della diffusione anche di semplici sindromi influenzali, possono solo vagamente illuminare su quello che deve essere stato il primo impatto di tali malattie sulle popolazioni indiane; la spedizione di De Soto, con i suoi numerosi componenti e le migliaia di chilometri percorsi, incontrando decine di comunità, può aver avuto da sola, un effetto dalle conseguenze irreversibili. Ma se una crisi agricola può minare l’autorevolezza delle elite sacerdotali deputate alla relazione con il mondo sovrannaturale, la diffusione di malattie ignote e di epidemie produce un analogo fenomeno, con in più l’aggravio delle accuse di pratiche di stregoneria e il loro corollario di odio e sospetto reciproco. Di fronte alla morte inspiegabile e invisibile, la ricerca dell‘untore, la motivazione cercata in una colpa e in una conseguente divina punizione, la tendenza a individuare nel diverso la causa, sono fenomeni noti e ripetuti anche in tempi recenti (la caccia all’untore a Milano durante la peste alla metà del ‘600, l’AIDS come punizione per gli omosessuali); a maggior ragione essi si producono in una società in cui il tema del “sacro” e quello del potere sono fortemente intrecciati. E’ facile immaginare che nel tentativo di spiegare e di affrontare la morte invisibile e inspiegabile portata da malattie ignote, si siano prodotte tensioni sociali, e che tali tensioni possano essere sfociate in un vero e proprio sovvertimento delle strutture di potere; e nel dramma che si aggiunge al dramma, il collasso di un’intera civiltà. Questa ricostruzione, di per se ragionevole, potrebbe trovare un ulteriore conferma in uno dei pochi miti indiani riferibili a questo oscuro periodo: si tratta di una leggenda dei Cherokee, in cui si narra della sollevazione del popolo stanco dei soprusi e degli abusi, di un clan di stregoni e di maghi maligni; è evidente il riferimento alla crisi di un sistema di potere gerarchico e teocratico, sistema di potere che si affermò tra i Cherokee, nel corso di quella che è definita Pisgah Phase, un adattamento locale del modello Mississipi degli Appalache meridionali. Interessante notare come negli insediamenti della Pisgah Phase, i mounds su cui venivano edificati i templi, sorgevano al di sopra di quelle che nella precedente fase storica, erano state case di terra per le riunioni dei consigli tribali; così gli edifici simbolo della precedente struttura sociale egualitaria, divenivano la base su cui si edificava il potere delle nuove gerarchie. Tra i Cherokee evidentemente l’influenza delle culture Mississipi, provenienti dai loro vicini meridionali Muskogean, non furono in grado di eliminare l’antico impianto egualitario, e certo alla prima occasione di crisi, esso riprese il sopravvento; questo primo rivolgimento sociale interno, fu probabilmente solo l’inizio di un più vasto conflitto che portò alla fine del principale centro Mississipi degli Appalache meridionali, quello di Etowah; in un lasso di tempo indefinito, a cavallo tra XVI e XVII secolo, dalle loro sedi al confine tra North Carolina e Tennessee i Cherokee invasero le terre dei Muskogee, insediandosi nel nord della Georgia, e sostituendo nella regione il loro modello sociale tendenzialmente egualitario, alle vecchie culture teocratiche. I Muskogee dal canto loro, eredi della tradizione di Etowah, con il nome di Creek Superiori continuarono a svolgere un ruolo di prestigio tra i popoli affini (Creek Inferiori), divenendo il centro di una confederazione politico-religioso che avrebbe svolto ancora un importante Ft.Ancient ruolo fino all’inizio del XIX secolo. E’ in questa importante confederazione indiana che è forse possibile ritrovare l’ultimo retaggio dei principati teocratici delle culture Mississipi del sud degli Appalache. Più a ovest lungo il basso corso del Mississipi, in quello che è definito Mississipi Planquemine, le vicende furono ancora diverse; alla metà del ‘500 quando De Soto visitò la regione, le culture Mississipi non mostravano segni di crisi e nella parte meridionale dell’area, i Natchez continuarono a perpetuare il loro stile di vita ancora fino all’inizio del ‘700, quando vennero a conflitto con i Francesi che avevano costruito le loro colonie. Sempre in area Planquemine, ma più a nord, oltre la confluenza dell’Arkansas, nel corso del XV secolo si erano prodotto diverse varianti locali del modello Mississipi (Nodena ecc...); qui la crisi si manifestò nel corso del ‘600, quando i Tunican dovettero subire la pressione dei Quapaw provenienti da nord; ma a quel tempo ormai, l’epoca dei sacerdoti e delle piramidi di terra, era conclusa quasi ovunque nelle Foreste Orientali. Analoga fu la vicenda a ovest del Mississipi, tra i popoli Caddoan, dove gli insediamenti più settentrionali furono abbandonati a partire dall’inizio del ‘600, in coincidenza con lo sposatamento nella regione dei Siouan Degiha, mentre quelli meridionali sopravvissero fino al tempo del contatto con i bianchi, Spagnoli e Francesi, e al conseguente rapido declino demografico, causato dall’impatto delle malattie e dei conflitti. Cambiamenti climatici, tensioni sociali, conflitti intertribali, epidemie portate dagli Europei e in ultimo le migrazioni e gli sconvolgimenti causati dal primo grande conflitto commerciale alla metà del ‘600, la


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I Guerra del Castoro, tutti questi eventi si susseguirono e si sommarono l’uno all’altro nel corso di tre secoli, trasformando radicalmente lo scenario delle Foreste Orientali, facendo scomparire i protagonisti di una cultura protrattasi per oltre cinque secoli, e facendo emergere le tribù storiche, i Creek, i Cherokee, gli Osage, gli Iroquois, i protagonisti del nuovo ciclo storico iniziato con l’arrivo dell’uomo bianco. Ma se questa sommaria ricostruzione ha un suo margine di credibilità, ciò che ne consegue è che la storia, dal punto di vista dei nativi, non può essere divisa nettamente, tra una fase precedente l’arrivo dei bianchi, ed una successiva, ma va vista come un unico dramma, in cui il contatto con l’uomo bianco fu un momento centrale, ma non estrapolabile dalle dinamiche già in corso nella vicenda storica dei popoli nativi.

Le culture marginali delle Foreste Orientali Le culture del Mississipi, che certo rappresentano il punto più alto dello sviluppo culturale nelle Foreste Orientali, non esauriscono comunque lo scenario di tutta questa vasta regione; in particolare la storia delle culture del Mississipi non ci dice nulla sul passato di quei popoli che furono i protagonisti delle vicende successive al contatto: gli Algonquian, gli Iroquaian, gran parte dei Siouan orientali, oltre che di gruppi minori in aree periferiche, come la Florida. Le culture di questi gruppi furono in misura minore o maggiore influenzati dalla cultura del Mississipi, e alcuni di essi sono addirittura considerate solo varianti locali di tale modello; in realtà la maggior parte di queste culture rimase sostanzialmente estraneo al cuore del modello culturale del Mississipi, il sistema basato sulla stratificazione sociale, nel quadro di un impianto teocratico, mantenendo in- Culture agricole periferiche rispetto ai popoli del Mississipi vece un‘organizzazione sociale più legato al modello tradizionale delle Foreste Orientali, egualitario e incentrato sull’appartenenza di ogni individuo non ad una casta, ma ad un clan famigliare. La spiegazione di questo diverso approccio culturale può essere cercata nella distribuzione geografica di queste popolazioni in epoca pre-colombiana, periferiche o lontane dalla valle del Mississipi, il cuore agricolo delle Foreste Orientali, in aree settentrionali in cui la resa agricola non era tale da poter esaurire tutte le necessità alimentari di una comunità, ne da poter produrre eccedenze sufficienti al sostentamento di una casta sacerdotale; simile il ragionamento per le in aree costiere, in cui l’attività agricola era poco praticabile e in ogni caso non necessaria, a fronte delle risorse offerte dal mare. Così non producendosi ne una condizione di totale dipendenza dall’esito dei raccolti, ne significative eccedenze nei raccolti stessi, potrebbe esser venuta meno sia l’esigenza che la possibilità di affidarsi ad una casta sacerdotale, garante del buon esito del lavoro agricolo; ciò avrebbe quindi impedito il prodursi di quella struttura sociale e gerarchia dei poteri che intorno a tale casta si costruiva. Lo stretto rapporto tra dipendenza agricola, in particolare dalla monocoltura del mais, e sviluppo di impianti teocratici, che è la ragione della nascita del modello culturale del Mississipi, è quindi anche la spiegazione del mancato affermarsi di tale modello, in aree geografiche con diverse condizioni ambientali. Comunque anche fuori dalla valle del Mississipi, laddove il mais si imponeva come principale prodotto agricolo, si produceva un rinnovato sviluppo sociale rispetto al modello Hopewell dei secoli del passato, con la nascita di comunità più numerose e strutturate e di uno stile di vita più ricco ed elaborato; la coltura del mais, che fu la base economica dello sviluppo delle culture del Mississipi, accompagna l’esten-


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dersi dell’influenza di queste culture, che diminuisce man mano che ci si allontana dalle zone più adatte alla coltivazione. Così a fronte di società che molti studiosi considerano varianti locali del modello Mississipi, ci sono poi modelli culturali più lontani, il cui rapporto con il mondo dei popoli del Mississipi si esaurisce nello scambio di manufatti e materie prime. Proprio i popoli protagonisti di queste esperienze periferiche e marginali, grazie alla maggior flessibilità e semplicità del loro stile di vita, saranno quelli che meglio sapranno adattarsi al nuovo scenario prodotto dall’arrivo dei bianchi, e a svolgere un ruolo centrale nei secoli successivi.

Gli Oneota Tra i popoli che sicuramente furono più influenzati ed ebbero maggiori contatti con i popoli del Mississipi, ed in particolare con il grande centro cerimoniale di Cahokia, ci furono certamente quelli definiti con il nome Oneota, termine con cui gli Algonquian storici designavano il fiume Iowa, dove furono per la prima volta iniziate ricerche archeologiche su siti abitati da queste genti. Gli Oneota occupavano una vasta regione che aveva il suo cuore a ovest del lago Michigan, in particolare lungo il corso di alcuni affluenti orientali del Mississipi, ma si estendeva fino alle sorgenti del Mississipi e nelle pianure a ovest del grande fiume, nel Minnesota meridionale e nello Iowa. Il rapporto tra Oneota e genti di Cahokia è difficile da definire, perchè se è Esempio di ceramica Oneota vero che le relazioni commerciali furono strette, influenzando l’espressione artistica e forse anche la struttura sociale, è anche evidente che gli Oneota avevano loro specifiche tecniche artigianali, in particolare nella produzione di ceramica, e soprattutto un diverso modello di sussistenza e di organizzazione sociale; a rendere comunque più complessa la materia, c’è il fatto che sicuramente le terre abitate dagli Oneota, furono oggetto di piccole migrazioni e infiltrazioni di popoli Mississipi provenienti da sud, che si insediarono tra gli Oneota, portando con se il loro stile di vita, ma probabilmente acquisendo anche, specie sul piano della sussistenza, pratiche e usi dei popoli fra cui si erano insediati. Lo stile di vita degli Oneota emerge comunque, dopo la crisi delle varianti locali della cultura Hopewell, in coincidenza con l’acquisizione della coltura del mais e dei fagioli, in un periodo databile intorno al 900 - 1.000 della nostra era, in coincidenza quindi con la nascita delle culture Mississipi più a sud. L’acquisizione del mais, che certamente permise una crescita demografica e lo sviluppo di comunità più grandi, non modificò però totalmente il modello di sussistenza, che rimase ancora legato anche ai cultigeni autoctoni (chenopodium, girasole ecc...), alla raccolta di vegetali selvatici (il riso selvatico soprattutto), e soprattutto alla caccia, praticata non solo come attività integrativa nelle vicinanze dai villaggi, ma anche con migrazioni stagionali verso le pianure dei bisonti, che coinvolgevano spesso l’intera comunità; questo modello di sussistenza flessibile e variegato rimase immutato anche nei secoli successivi al contatto, tra gli indiani che occupavano questa regione. Gli Oneota non diedero vita a grandi centri cerimoniali, ma vivevano in insediamenti di alcune centinaia di abitanti, insediamenti la cui permanenza in una medesima località durava pochi decenni, fino ad un massimo di cinquant’anni. Infatti a differenza dei grandi centri cerimoniali del Mississipi, da cui promanava un’autorità politica in grado di raccogliere in forma di tributo la produzione agricola delle comunità dipendenti, e quindi di sopravvivere al di là delle disponibilità prodotte in loco, i villaggi Oneota erano ricollocati quando il terreno esauriva le sue potenzialità agricole. Le abitazioni non erano molto diverse da quelle usate dagli indiani storici, fatte con rami e corteccia, spesso di dimensioni sufficienti ad ospitare più gruppi famigliari; palizzate difensive iniziarono ad essere edificate in particolare a partire dal XIII secolo, quando certamente le condizioni vita iniziarono a peggiorare e questo probabilmente causò un aumento della conflittualità. La produzione artigianale degli Oneota, vasellame di terracotta,


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utensili vari in pietra, per quanto significativa e caratteristica, non raggiungeva le eccellenze artistiche dei loro vicini meridionali, rimanendo più legata al suo valore d’uso quotidiano, piuttosto che assumere valore come prodotto di scambio e simbolo di status; in ciò ovviamente potremo trovare una conferma dell’assenza di una classe privilegiata, in grado di alimentare la domanda di prodotti di lusso e di prestigio. Peculiare e caratteristica, fu invece la produzione di pipe di un minerale, detto catlinite, reperiPipe di catlinite bile proprio in territorio Oneota, nel sito di Pipestone Quarry, nel sud del Minnesota; le pipe di catlinite erano apprezzate e ricercate in un vasto territorio, tra la zone delle foreste e quella delle pianure, e data la funzione cerimoniale di tali oggetti, anche il luogo in cui era estratto il minerale con cui erano costruite, fu sempre considerato un luogo sacro. La mancanza di una casta sacerdotale e aristocratica, è certo il carattere che più differenzia gli Oneota dai popoli del Mississipi; sicuramente il prodursi di comunità più numerose e la loro probabile organizzazione in confederazioni locali, deve aver prodotto una qualche leadership più strutturata ed autorevole di quella tipica del modello Hopewell, quando anziani e capi famiglia guidavano gruppi di poche decine di individui, ma questa evoluzione nell’organizzazione sociale si produsse nel solco della organizzazione dei clan, con una loro probabile specializzazione nelle funzioni e nei ruoli, con regole più complesse nella relazione fra i diversi clan, e forse anche con l’emergere di clan più autorevoli, ma senza giungere al formarsi di vere e proprie caste. Testimonianza del ruolo e della funzione dei clan, può essere trovata in quella che fu la manifestazione più caratteristica della cultura Oneota, gli “effigy mounds”: ancora una volta si tratta di tumuli di terra, ma questa volta la loro funzione non è, ne quella di sepolture, ne quella di ospitare templi e abitazioni di sacerdoti; come dice il loro nome, gli efdfigy moudns, sono tumuli di terra edificati in forma di animali, ritrovati in gran numero in tutta la regione. Non è chiara quale fosse la funzione di questi mounds, ma è probabile che essi rappresentassero da un lato un omaggio agli animali mitici da cui i singoli clan ritenevano di discendere, dall’altro luoghi di incontro cerimoniale per gli stessi appartenenti al clan, oltre che simboli dell’autorevolezza e del prestigio del clan stesso. Oltre agli effigy mounds in tutta l’area sono stati trovati piccoli mounds funerari e sepolture comuni, a testimonianza del permanere di usi funerari della precedente fase Hopewell. Poco sappiamo delle credenze e della dimensione spirituale

Il sito di Pipestone Quarry, in un qudro di George Catlin


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degli Oneota, mancano espliciti riferimenti al culto solare che invece caratterizza i popoli del Mississipi, ed è probabile che l’approccio individuale al mondo spirituale, con la sola mediazione delle figure shamaniche, fosse prevalente. Per molto tempo si è creduto che la cultura Oneota fosse dovuta alla migrazione verso nord di popoli di cultura Mississipi, che adattarono il loro modello a diverse condizioni ambientali, ma è ormai prevalente l’orientamento che vede la cultura Oneota emergere da preesistenti culture locali Hopewell (Havana e Trempeleau); non ci sono invece misteri per quanto riguarda l’indiviRappresentazione di una cerimonia intorno duazione di una corrispondenza tra ad un “effigy mound” in forma di orso Oneota e tribù storiche, dato che è certo che gli artefici di questa cultura furono gli antenati dei Siouan Chiwere (Winnebago, Oto, Missouri, Ioway), data la sostanziale continuità tra i più antichi insediamenti Oneota, e gli stanziamenti storici dei Chiwere. Più problematico è comprendere il coinvolgimento o quantomeno le influenze Oneota sugli antenati dei Dakota; tracce archeologiche degli Oneota sono state ritrovate anche nell‘area delle sorgenti del Mississipi, la zona che sappiamo essere stata occupata dai Dakota al tempo del contatto, alla metà del ‘600, ma non è chiaro se i Dakota fossero già presenti in quest’area nei secoli precedenti, o se essi l’abbiano occupata solo a partire da quell’epoca, sostituendosi agli Oneota. Fu forse la maggiore flessibilità del modello di sussistenza e la minore rigidità della struttura sociale, che permise agli Oneota di non subire il declino che colpì i popoli del Mississipi e le genti di Cahokia in particolare, a partire dall’inizio del ‘300. La cultura Oneota era ancora vitale alla metà del XVII secolo, quando la regione a ovest del lago Michigan fu investita da un traumatico movimento migratorio di genti Algonquaian in fuga dall’aggressività della Lega Iroquois, armata dai mercanti di pelli olandesi e inglesi. In conseguenza di questo traumamatica migrazione, parte degli Oneota si spostò ad ovest, adattandosi ad un diverso stile di vita nelle pianure, e solo i Winnebago rimasero nella regione, fino ai primi decenni dell’800; ad oggi i Winnebago (Ho Chunk), si considerano a tutti gli effetti gli eredi degli Oneota.

Fort Ancient e Monongahela Contemporanee e sotto molti punti di vista simili alla cultura Oneota, sono due tradizioni sviluppatesi nella media e alta valle del fiume Ohio, quella di Fort Ancient e quella di Monongahela; la prima che ebbe il suo centro nel sud dell’Ohio e nelle zone limitrofe del Kentucky, la seconda lungo il corso del fiume omonimo tra West Virginia e il sud-ovest della Pennsylvania. La cultura di Fort Ancient prende nome dal suo sito più importate, un grande centro cerimoniale lungo il corso del fiume Miami, nella contea di Warren, Ohio, che essendo circondato da un lungo muro di terra, fu all’inizio considerato una antica fortezza; in realtà la struttura non aveva alcuna funzione difensiva ed è anche precedente la nascita del centro cerimoniale, risalendo sicuramente al tempo in cui nella regione si affermava la cultura Hopewell. Come per l’Oneota, anche la tradizione di Fort Ancient fu all’inizio considerata un’espressione locale del modello Mississipi, principalmente per la gran quantità di manufatti in cui erano evidenti le influenze del vicino e importante sito di Angel Mound, ma oggi si ritiene che la cultura di Ft.Ancient si sia sviluppata in modo autonomo, seppur parallelo, alle vicine culture Mississipi. Come i popoli del Mississipi, anche quelli di Fort Ancient e Monongahela dipendevano fortemente dall’agricoltura e in particolare dal mais, anche se sembra accertato che durante i mesi invernali, quando le risorse alimentari si facevano più scarse, almeno una parte della popolazione abbandonava i villaggi, per vivere di caccia in piccole comunità o gruppi famigliari. A parte questo comportamento, probabilmente dovuto a semplici necessità contingenti, le genti di questa cultura erano di abitudini sedentarie, costruivano villaggi in cui vivevano centinaia di individui, spesso circondati da palizzate, con capanne


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rettangolari di rami, stuoie e corteccia, in cui risiedevano diversi gruppi famigliari, tutte poste intorno ad una piazza centrale che era il luogo per le cerimonie e le pubbliche celebrazioni; invece delle piramidi di terra con in cima i templi, in ogni villaggio era presente una grande capanna comune, in cui si riunivano il consiglio dei capiclan e dei personaggi più autorevoli, a dimostrazione questo, di una struttura sociale che era andata già oltre il semplice livello delle precedenti comunità Hopewell, senza però giungere alla complessità sociale dei popoli del Mississipi. Come gli Oneota, le genti di Fort Ancient e Monongahela non risiedevano nella stessa località per più di pochi decenni, spostandosi altrove quando la resa dei terreni e in generale le risorse della zona erano in via di esaurimento. Il culto funerario è documentato sia dalla presenza di piccoli mounds funerari, sia da cimiteri e sepolture collettive nelle vicinanze dei villaggi, anche se sembra che l’uso di costruire tumuli sia stato più frequente nei primi secoli, per essere poi progressivamente sostituito dai cimiteri collettivi. Poco sappiamo delle credenze della dimensione spirituale di queste genti, che però quasi certamente era fortemente influenzato dai vicini occidentali e meridionali di cultura Mis- Mappa del sito di Ft.Ancient sissipi. Per quanto riguarda l’elemento più tipico delle antiche culture delle Foreste Orientali, e cioè i mounds, è certo che le genti di Ft.Ancient costruirono “burial mounds”, anche se non ne sono stati trovati di veramente grandi, non è chiaro se edificassero “temple mound”, che se anche fossero stati usati, non raggiungevano le dimensioni di quelle dei vicini popoli del Mississipi, mentre è sicuro che edificarono almeno due grandi “effigy mounds”, sul modello di quelli Oneota, e probabilmente con analoghe funzioni. L‘Alligator Mound, nelle vicinanze di Granville nell’Ohio, fu così chiamato dai primi coloni bianchi, che nella sagoma individuarono l’immagine di un alligatore, animale che però è assente nella regione: più probabilmente la struttura rappresenta un puma, o forse un qualche animale mitico delle credenze locali; notevole è il Serpent Mound, nella contea di Adams, sempre in Ohio, un terrapieno di oltre 400 metri di lunghezza e un metro di altezza, che sembra rappresentare un serpente e che è il più grande effigy mound fino ad oggi scoperto. La presenza di questi grandi effigy mound, seppur in nu-

Quanto rimane dell’Alligator Mound, e un disegno che mostra come doveva apparire al tempo in cui fu edificato


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mero così limitato, indica comunque che le genti di Ft.Ancient, come i vicini e affini Monongahela, dovevano aver raggiunto un livello di coesione e complessità nell’organizzazione sociale, tale da portare alla condivisione di credenze e cerimonie tra più comunità, che certo collaborarono nell’edificare i siti cerimoniali. A differenza degli Oneota, per cui è chiara una corrispondenza con alcune tribù storiche, per i popoli di Ft.Ancient e Monongahela l’identificazione è ancora soggetta a discussione. Il dato certo è che nella seconda metà del ‘600, quando la valle delVista dall’alto del Great Serpent Mound l’Ohio fu visitata dai primi bianchi, la regione era sostanzialmente disabitata, usata dagli Iroquois come terreno di caccia, dopo che ne avevano preso possesso cacciando gli abitanti originari. Successivamente, a partire dai primi decenni del ‘700, l‘area fu abitata dagli Algonquian Shawnee, che la consideravano come la loro terra ancestrale: sulla base di questi elementi è stata avanzata l’ipotesi che fossero Shawnee gli antichi abitanti di Ft.Ancient; non c’è però alcun elemento nella tradizione Shawnee, a sostegno di questa ipotesi, ne tra gli Shawnee storici sono riscontrabili evidenti segni di continuità con la cultura di Ft.Ancient, e questa malgrado il fatto che tra la fine della cultura di Ft.Ancient (inizio del ‘600) e l’emergere degli Shawnee sulla scena della storia (fine del ‘600), corra meno di un secolo. Quanto poi allo stanziamento degli Shawnee prima delle Guerre del Castoro della metà del ‘600, mancano dati certi: il termine Shawnee in lingua Algonchina significa meridionali, e gli Shawnee erano certo la più meridionale tra le tribù dei Grandi Laghi, ma non c’è alcuna certezza che essi in origine fossero insediati al confine tra Ohio, Kentucky e West Virginia, laddove si sviluppò la cultura di Ft.Ancient; al contrario gli Shawnee rivendicano la comune origine con i Kikapoo, il cui territorio all’inizio del ‘600 si estendeva più a nord, al confine tra Ohio e Michigan, e certamente il concetto di “meridionali” riferito agli Shawnee, va inteso a partire da questo punto di riferimento, e ci indica una zona che comprende certamente l’Ohio centro-occidentale, ma non sappiamo fin dove si estende a sud. A rendere il quadro ancora più complesso, c’è poi una mappa francese del 1684, che indica nella zona tra i fiumi Ohio e Muskingum, quasi il cuore della cultura di Ft.Ancient, otto villaggi della tribù Mosepelea, con la notazione che i villaggi erano stati distrutti e gli abitanti avevano abbandonato la regione. E’ noto che Mosepelea è un nome che indica gli Ofo, un gruppo Siouan, che alla fine del ‘600 raggiunse il basso corso del Mississipi, provenendo da nord; più o meno nello stesso periodo un altro gruppo Siouan, i Biloxi, compì una simile migrazione Stanziamento e migrazione di tribù storiche da nord verso sud raggiungendo la costa nell’area Ft. Ancient-Monongahela


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del Golfo del Messico, presso la città omonima, poco prima della fine del ‘600: i Biloxi potrebbero coincidere con i Capinans o Capitanesses il nome di una tribù che alla metà del ‘600, gli Olandesi ponevano a ovest del fiume Susquehanna, quindi nel bacino del fiume Monongahela; Taneksa era il termine che i Biloxi usavano per definire se stessi, ed è evidente l’assonanza con il nome Capitanesses usato sulla mappa olandese. Complessivamente questi elementi possono far ritenere che gruppi di lingua Siouan, risiedevano nell’alta valle dell’Ohio ancora alla metà del ‘600, e ne furono cacciati dall’aggressività degli Iroquois: da ciò l’ipotesi che le genti di Ft.Ancient e Monongahela possano essere stati Siouan piuttosto che Algonquian. Tra l’altro questa ipotesi sarebbe coerente con l’altra, precedentemente avanzata, circa il ruolo dei Siouan nello sviluppo delle culture Hopewell in Ohio, e quindi con quanto ormai credono la maggioranza degli studiosi, circa l’emergere della cultura di Fort Ancient da un precedente substrato Hopewell. A ciò va poi aggiunto che l’affinità etnica e linguistica tra i Siouan di cultura Mississipi del basso corso dell’Ohio e quelli di cultura Ft.Ancient dell’alto corso, avrebbe sicuramente facilitato i contatti e gli scambi tra i due gruppi, che in effetti furono frequenti, numerosi e ben documentati. Un ultima considerazione riguarda la cultura dei Biloxi e degli Ofo storici, popoli eminentemente agricoli e sedentari, che ben si inserirono nel contesto meridionale, in cui ancora all’inizio del ‘700 era forte l’influenza delle precedenti culture Mississipi. Purtroppo tutte queste considerazioni non producono alcuna certezza e il tema è ancora oggetto di discussione fra gli studiosi.

Le regioni settentrionali: Laurel Complex, Point Peninsula, Princess Point, Owasco, Clemson Island Mentre le culture Hopewell con il loro modello agricolo semi stanziale si erano affermate in gran parte delle Foreste Orientali, fin verso il secolo V d.C., nelle regioni più settentrionali, intorno ai laghi Erie, Ontario, Huron e a nord del lago superiore, il sistema di sussistenza era rimasto legato al tradizionale modello Arcaico, incentrato sulle attività di caccia pesca e raccolta, e su un nomadismo a breve raggio; l’attività agricola era certamente nota e in qualche misura praticata, ma non al punto da determinare un vero e proprio sviluppo economico e sociale; gli insediamenti erano transitori e stagionali, con capanne cupoliformi o coniche fatte di rami, ricoperte di di pelli eo corteccia, e i gruppi famigliari si riunivano durante la buona stagion, quando le risorse erano maggiori, per svernare nell’isolamento quando la pesca e la caccia erano meno fruttuose. La ceramica fu acquisita autonomamente e dava vita ad una specifica produzione artigianale, dai cui resti è possibile individuare due diverse tradizioni, una definita Laurel Complex, intorno al lago Huron e a nord del lago Superiore, l’altra conosciuta come Point Peninsula Complex, intorno ai lagni Erie e Ontario. Pur marginali queste culture erano comunque inserita nel sistema di scambi e commerci Hopewell, come dimostrato dal diffondersi di pratiche tipiche della cultura Hopewell, in particolare i mounds funerari, La più significative testimonianza di mounds funerari nell’area Point Peninsula è il Serpent Mound di Rice Lake, nell’Ontario orientale, una serie di mounds funerari, che si prolungano a formare una serpentina lunga circa 60 metri, larga 8 e alta quasi due; un altro significativo è quello di Manitoù Mounds, nella regione del Rainy River, al confine tra Ontario e Minnesota, nell’area Laurel Complex. La costruzione di mounds funerari sembra cessare intorno al III secolo d.C., alla vigilia della crisi e della decadenza delle culture Hopewell, che attraverso gli scambi commerciali, avevano agito da stimolo all’innovazioni per i popoli di quest’area. Così ad esclusione di una limitata area nella parte occidentale dello stato di New York, dove si produsse una specifica variante del modello Hopewell, le zone più a nord rimasero sostanzialmente estranee allo sviluppo agricolo, che fu l’aspetto più importante delle culture delle Foreste Orientali nei primi secoli dell’era cristiana. Questo modello culturale più legato alla tradizione più antica, quasi certamente vide protagonisti gli antenati degli Algonquian, che fin dall’epoca Arcaica avevano occupato le Foreste Orientali, spostandosi poi verso nord, man mano che il ritiro dei ghiacci liberava nuove terre in cui cacciare e pescare. E’ probabile che i popoli che vivevano in quest’area, non dovettero misurarsi con una crisi simile a quella che colpì le popolazioni Hopewell, dato che l’assenza di una attività agricola significativa, rendeva il loro modello di sussistenza meno sensibile ai mutamenti climatici, e alle loro inevitabili conseguenze sui raccolti. Ciò nonostante proprio nei secoli di decadenza successivi alla crisi Hopewell, anche nella parte orientale di questa regione settentrionale, quella coincidente con il modello Point Peninsula, si registrarono importanti cambiamenti, quasi certamente riconducibili all’arrivo di nuove genti, portatrici di uno stile di vita più articolato e complesso, e soprattutto di un modello di sussistenza fortemente legato all’agricoltura, e al mais in particolare.


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Fu probabilmente proprio a causa della crisi del modello Hopewell che genti provenienti dalla valle dell’Ohio, si spostarono a est e a nord-est, colonizzando l’area intorno ai laghi Ontario ed Erie e la regione a est degli Appalacheee, la valle del Susquehanna in particolare. E’ dopo il VI secolo d.C. che le pratiche agricole si impongono in un lasso di tempo relativamente breve nella regione a nord dei laghi Erie e Ontario; tra i prodotti coltivati il mais è quello principale, insieme ovviamente a zucche e fagioli, tutti prodotti non autoctoni, introdotti dalla valle dell’Ohio. La presenza di una pratica agricola già avanzata, insieme agli insediamenti stabili, e all’evoluzione della produzione di ceramica, testimoniano l’arrivo di genti con un modello culturale e di sussistenza autonomo e diverso dagli Algonquian di cultura Point Peninsula, che continuarono a mantenere il loro stile di vita arcaico nelle regioni più a nord. Gli archeologi hanno designato questo modello culturale Princess Point, dal nome della località dove vennero effettuati i primi scavi. Di poco successivo (VIII sec. d.C) è un analogo sviluppo culturale nella valle del fiume Susquehanna, in particolare nella località di Clemson Island; anche qui è testimoniata la presenza di insediamenti stanziali, le pratiche agricole come principale risorsa per la sussistenza, la nascita di comunità più numerose e coese. Direttamente collegata alla cultura di Clemson Island, è quella di Owasco, nella zona a est del lago Ontario, che fa la sua comparsa a partire dal IX sec. d.C., ed è la più documentata e conosciuta. In generale si ritiene che l’emergere della cultura Owasco sia riconducibile proprio al progressivo spostamento a nord di genti di Clemson Island, che si inserirono tra i popoli di cultura Point Peninsula, imponendosi per il loro modello di sussistenza più efficiente e per la loro maggiore coesione sociale. Princess Point, Clemson Island, Owasco sono tutte manifestazioni locali della diffusione nell’area delle genti Iroquaian; modello di sussistenza, produzione artigianale e usi funerari, e soprattutto i modelli di insediamento, con villaggi stabili circondati da palizzate, che racchiudevano le caratteristiche “case lunghe”, grandi strutture di pali ricoperte di corteccia e tetto a botte, abitate da più nuclei della stessa damiglia: tutti questi elementi legano direttamente queste genti alle tribù Iroquaian storiche. E’ così possibile ipotizzare che gli antichi Iroquaian, dopo aver dato vita alla cultura di Adena ed essere stati protagonisti dello sviluppo di quella Hopewell nell’alta valle dell’Ohio, abbiano abbandonato la regione per cause ignote, ma riconducibili al quadro di decadenza della cultura Hopewell successivo al V secolo, spostandosi a nord e a est, portando con se quanto rimaneva di una tradizione antica, ma ormai esaurita. Questa ricostruzione, si basa principalmente sul presupposto che le trasformazioni nel modello di sussistenza e in generale dello stile di vita in questa regione, si siano prodotte in un tempo relativamente breve, e che quindi possano difficilmente essere ricondotte ad un processo sviluppatosi in loco, ma siano più probabilmente dovute all’arrivo di popoli da sud, con un loro già strutturato bagaglio di conoscenze agricole ed un modello sociale conseguente. Tale ipotesi è stata di recente messo in discussione da alcuni studiosi, che sono giunti a negare l’esistenza di un modello culturale Owasco, preferendo la tesi di uno sviluppo interno al modello Point Peninsula. In conseguenza di questa tesi, viene meno la possibilità di una approssimativa datazione della presenza degli Iroquaian nelle regioni storicamente occupate, in cui in teoria potrebbero aver risieduto per migliaia di anni; d’altra parte questa ipotesi, che assume lo sviluppo delle culture Iroquaian da un comune substrato delle antecedenti culture Point Peninsula, non ci da conto di come tale sviluppo abbia riguardato solo le genti IroPunte riconducibili alla tradizione Point quaian, senza coinvolgere i gruppi di lingua Algonquian, pure riPeninsula, provenienti da un sito nello conducibili al medesimo modello Point Peninsula e stanziati nella stato di New York (in alto) e punte del tipo stessa area. L’ipotesi che in tutta la vasta area interessata dalla cul- Levanna, tipiche della tradizione Owasco tura Point Peninsula, che dall’est dell’Ontario si estendeva a nord e a est, solo i gruppi Iroquaian abbiano sviluppato la tendenza alla sedentarietà e alla dipendenza dall’agricoltura, mentre i gruppi Algonquian, salvo che lungo la costa dell’Atlantico, nelle medesime condizioni ambientali, si siano attardate su un modello Arcaico è certamente poco spiegabile. D’altra parte la coesistenza di reperti della tradizione Point Peninsula e Owasco nei medesimi siti, più che lo sviluppo senza soluzione di continuità dall’uno


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all’altro modello, può essere spiegata con la pratica dell’adozione di intere comunità, da parte della tribù dominante, pratica ampiamente documentata tra gli Iroquaian storici; tale pratica riguardava in particolare le donne, fatte prigionieri e poi sposate, e non a caso i reperti Point Peninsula ritrovati in siti Owasco riguardano solo le terracotte, abitualmente prodotte dalle donne, e non le punte di freccia, fabbricate dagli uomini. Che i popoli Iroquaian Owasco, abbiano potuto sottomettere e integrare al proprio interno comunita Algonquian è una tesi credibile, alla luce del fatto che ciò accadde anche in tempi storici. La questione è comunque oggetto di dibattito e dalla sua soluzione può dipendere la ricostruzione del complesso mosaico che tenta di narrare le vicende dei nativi americani prima del contatto. Se è stata messa in discussione l’origine degli Iroquaian, di essi si ha invece una più precisa conoscenza per quanto riguarda i secoli immediatamente precedenti l’arrivo dei bianchi, e anzi proprio a queste genti appartengono le prime figure di personaggi storici, di cui la tradizione orale ci ha trasmesso memoria. Dekanawida, un profeta di origine Huron, ma che svolse la sua attività tra gli Iroquois, e Hiawatha, un capo Onondaga o Mohawk, sono le uniche due figure di indiani, vissuti prima del contatto con i bianchi, di cui ci sono noti il nome, e anche le vicende personali, seppur in forma fortemente mitizzata. Profeta, uomo di medicina e predicatore di pace Dekanawida, capo politico e riformatore Hiawatha, a questi uomini si deve la fondazione della Lega Iroquois, la potente confederazione tribale che avrebbe svolto un ruolo centrale nella storia della colonizzazione americana, per tutto il XVII e XVIII secolo. La loro vicenda va collocata in un periodo non definito, ma comunque compreso tra il XIII e il XV secolo, durante una fase di cruenti conflitti tribali, di grande competizione per le risorse alimentari, che portò anche al diffondersi di pratiche antropofaghe. Il periodo è quello della Piccola Età del Ghiaccio, il calo delle temperature che ebbe certo un ruolo nella crisi dei più settentrionali centri della cultura Mississipi, e che dovette avere conseguenze gravi anche nelle terre abitate dagli Iroquaian, la cui economia era fortemente dipendente dai raccolti agricoli. E’ quindi probabile che a differenza di quanto accade a Cahokia e in altri centri Mississipi, dove la crisi climatica e agricola portò alla crisi politica delle strutture di potere centralizzate, tra gli Iroquaian, invece proprio la crisi agricola fu l’occasione per il prodursi di una maggiore coesione politica, come strumento per far fronte alle difficoltà; e in effetti la Lega Iroquois fu la più importante, ma non l’unica tra le confederazioni Iroquaian: gli Huron, nemici acerrimi degli Iroquois erano una alleanza di almeno quattro tribù, i Susquehannock erano una potente confederazione che raccoglieva decine di villaggi, ed è probabile che ciò valga anche per gli Erie e altri gruppi meno noti. Così mentre le crisi e i cambiamenti climatici del XIII e XIV determinarono la misteriosa scomparsa dei potenti abitanti di Cahokia, grazie all’opera di personaggi illuminati e certo dotati di grande carisma, gli stessi eventi posero sulla ribalta della storia gli Iroquois, la più potente tra le entità politiche prodotta dai nativi americani.

Gli Algonquian Dalla sommaria panoramica dei popoli e delle culture delle Foreste Orientali in epoca precolombiana, evidente risulta la marginalità di quelle genti che dopo il contatto, furono gli occupanti di gran parte delle Foreste Orientali, divenendo protagoniste dei conflitti con gli Europei invasori: quei popoli di lingua Algonquian, che con una quantità di nomi tribali (Abnaki, Wampanoag, Delaware, Powhatan, Kikapoo, Shawnee, Miami, Illinois ecc...), rappresentano l’immagine più nota dell’indiano delle Foreste Orientali. E in effetti nessun collegamento risulta tra queste tribù storiche, e i ritrovamenti archeologici nelle terre da loro occupate, e di cui questi stessi popoli non hanno alcuna memoria. Così, se alla luce di questo dato è legittimo ipotizzare che le genti Algonquian si siano insediate in questa regione in tempi relativamente recenti, tale ipotesi risulta in evidente contraddizione, con la convinzione della maggioranza dei linguisti, di una remota connessione tra Algonquian e Muskogean delle terre meridionali, entrambi riconducibili alla più antica colonizzazione delle Foreste Orientali, già in epoca Paleoindiana. La questione su cui soffermarsi è quindi se sia possibile avanzare ipotesi sulla storia più antica degli Algonquian, ricostruendo il percorso che li portò dall’essere i primi abitanti delle Foreste Orientali, migliaia di anni prima dell’era cristiana, agli ultimi colonizzatori solo pochi secoli prima del contatto. In questo percorso precario e avventato, gli unici elementi a guidarci sono le variazioni climatiche ed ambientali che attraversarono le Foreste Orientali dopo il ritiro dei ghiacci, e il dato dello stanziamento degli Algonquian in epoca storica: partiamo quindi da questo dato certo. L’area in cui la cultura degli Algonquian risulta più genuina, originale e libera da influenze esterne è certamente la zona a nord dei Grandi Laghi, comprendente gran parte del Canada orientale; in quest’area vivono ancora oggi le più vaste aggregazioni tribali Algonquian, i Cree, gli Innu (Montagnais e


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Naskapi), gli Ojibway, gli Algonchini veri e propri, tutti parlanti dialetti molto simili fra loro; a quest’area fa riferimento la tradizione di alcune tribù come gli Abnaki, che stanziati in tempi storici nel Maine, credevano in una loro migrazione da occidente. Sempre in questa vasta regione, gli scarsi ritrovamenti archeologici, mostrano una sostanziale continuità nei modelli di sussistenza, tra popoli precolombiani e tribù storiche. I modelli culturali noti come Point Peninsula, Laurel Complex, Saugeen e Couture Complex, che si svilupparono nella zona dei Grandi Laghi nei primi secoli dell’era cristiana, furono certamente influenzati dalla cultura Hopewell, in particolare per ciò che concerne l’uso di tumuli funerari, ma rimasero vincolati ad un modello di sussistenza basato su caccia, pesca e raccolta, simile a quello degli Algonquian storici; a nord e a ovest dell’attuale provincia dell’Ontario, la cultura Arcaica dei cacciatori Plano, la cui principale risorsa era la selvaggina di media e grossa taglia, si protrasse in sostanziale continuità fino ai tempi storici, coinvolgendo anch’essa genti di lingua Algonquian, dalla regione del lago Winnipeg a ovest, e alla penisola del Labrador a est. Quindi sulla base di questi dati, possiamo affermare che mentre nel cuore delle Foreste Orientali si avvicendavano le diverse culture Adena e Hopewell, le genti di lingua Algonquian vivevano più a nord, con un modello di sussistenza non agricolo, rimasto immutato per millenni nei suoi aspetti essenziali. Assunta questa certezza, rimane da capire quando essi occuparono le regioni settentrionali, recidendo il loro legame con le genti Mukogean che vivevano a sud, e con le quali avevano una comune e antica origine e un comune stanziamento nelle Foreste Orientali. Per fare ipotesi su quando avvenne questa separazione, e lo spostamento a nord dei Grandi Laghi degli Algonquian, abbiamo un solo dato di riferimento, e cioè l’epoca in cui la regione fu liberata dai ghiacci e resa disponibile alla colonizzazione. Nella parte orientale del Nord America, la calotta glaciale, che alla sua massima estensione raggiungeva la valle dell’Ohio, iniziò a ritrarsi più tardi che non nella parte occidentale, e ancora intorno al V millennio a.C., la regione a nord dei Grandi Laghi era ricoperta dal ghiaccio; la colonizzazione di quest’area fu possibile quindi solo a partire dagli ultimi millenni prima dell’era cristiana, ed è quindi probabile che gli Algonquian iniziarono ad occuparla, più meno nello stesso lasso di tempo che portò alla colonizzazione delle Foreste Orientali da parte degli antenati dei Siouan e degli Iroquaian, provenienti dalle praterie occidentali. Questa ipotesi potrebbe così dar conto della comune origine di Algonquian e Muskogean e della loro separazione, linguistica e geografica, avvenuta in epoca remota; nelle terre da poco liberate dai ghiacci, le condizioni climatiche e ambientali che si produssero erano analoghe a quelle esistenti precedentemente nelle zone meridionali, e gli Algonquian avrebbero potuto colonizzare quest’area da sud, inseguendo i contesti ambientali e climatici nei quali perpetuare il loro stile di vita, basato sul nomadismo e sulla caccia e la pesca. La migrazione degli Algonquian verso nord, oltre i Grandi Laghi, può forse anche spiegare la crisi, alla fine della fase Arcaica, della cultura della Pittura Rossa, che scompare da tutta l’area costiera tra il New England e il Labrador, sopravvivendo solo sull’isola di Terranova. Gli antenati degli Algonquian vissero quindi per un lungo periodo nell’area intorno e a nord dei Grandi Laghi, fino alla Baia di Hudson, differenziandosi in relazione all’ambiente, con i gruppi meridionali che intorno ai Grandi Laghi usavano maggiormente delle risorse vegetali, in particolare il riso selvatico, che abbondava nelle zone palustri /(Laurel Complex), o praticando un po’ di agricoltura (Saugeen, Couture, Pointi Peninsula), mentre le bande che vivevano più a nord, dove nessuna attività agricola era praticabile e le risorse vegetali erano minori, praticavano una variante dello stile di vita Arcaico dei cacciatori Plano, adattondasi alle diverse condizioni, riducendo la dipendenza dalla selvaggina di grossa taglia (alci, cariboù) e aumentando l’importanza della pesca nei laghi e nei fiumi di cui la regione abbonda. Da questa vasta regione, che ancora in tempi storici era il cuore del territorio Algonquian, con le grandi tribù degli Ojibway , dei Cree, degli Innu (Naskapi e Montagnais), gli Algonquian si diffusero in una regione molto più vasta, e all’epoca del contatto essi si erano spinti molto più a sud, fin sulle coste della Carolina e oltre il fiume Ohio. Il ritorno, dopo mllenni, degli Algonquian nelle terre del sud, avvenne probabilmente in due distinte fasi, lungo due diverse direttrici, e fu accompagnata da significativi cambiamenti nella cultura e nei modelli di sussistenza. Quasi certamente nelle regioni occidentali, a sud dei laghi Huron, Michigan e Superiore l’inizio dello spostamento a sud fu successivo alla crisi delle culture Mississipi dopo il XIII e il XIV secolo, e poi ancora più significativo in epoca storica, dopo le Guerre del Castoro. Gli Algonquian di quest’area, che erano vissuti in contatto con gli Hopewell e ne avevano subito l’influenza, avevano già introdotto l’agricoltura nel loro modello di sussistenza, seppur come attività marginale e solo sul limite meridionale delle terre da loro occupate, in particolare nella penisola del Michigan; quando la Piccola Età del Ghiaccio, con i cambiamenti climatici che determinò, rese difficile la pratica agricola in quest’area, essi iniziarono a


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spostare i loro insediamenti a sud, approfittando della contestuale crisi dei popoli di cultura Mississipi. Dalla regione del Michigan, gli antenati dei Miami, degli Illinois, degli Shawnee, dei Kikapoo, iniziarono a spingersi verso la valle dell’Ohio e il Mississipi, ma tale processo fu interrotto dall’espansionismo della Lega Iroquois, che durante le Guerre del Castoro obbligarono gli Algonquian a fuggire a ovest del lago Michigan. L’occupazione delle loro sedi storiche nella valle dell’Ohio, giunse a compimento completo solo nel XVIII secolo, dopo le Guerre del Castoro, quando i Siouan avevano abbandonato definitivamente la regione, e la Lega Iroquois che li aveva scacciati, non era più in grado di dominare quel vasto territorio. L‘agricoltura che nel corso di questo spostamento a sud, aveva acquisito una sempre maggior rilevanza nell’economia di questi Algonquian meridionali, non giunse comunque fino al punto di modificarne la struttura sociale, L’espansione Algonwuian nelle Foreste Orientali che mantenne la scarsa coesione politica tipica dei popoli nomadi, ne a modificare la stessa tendenza al nomadismo. La flessibilità e l’adattabilità del modello di sussistenza Algonquian fu pienamente confermato dopo il contatto con i bianchi, quando la caccia, alimentata dalla necessità del commercio con i bianchi, tornò ad essere una delle principali attività economiche. Tra questi Algonquian, gli Illinois, che erano i più meridionali, furono forse i primi a spostarsi a sud, in epoca di poco posteriore alla crisi delle genti di Cahokia, sui cui territori si insediarono; rispetto alle altre tribù Algonquian della regione, erano più legati ad uno stile di vita agricole e sedentario, e forse anche per questo subirono maggiormente l’impatto con le trasformazioni successive al contatto. Altre tribù come i Kikapoo, gli Shawnee, i Sauk e i Fox, reagirono al contatto con strategie flessibili, migrando frequentemente da un territorio all’altro, dividendosi in più gruppi, adattando la loro economia alle risorse di cui potevano disporre in loco, senza peraltro mai rinunciare o perdere la loro identità linguistica e culturale. Più difficile è ricostruire le dinamiche che portarono all’espansione degli Algonquian, lungo le coste dell’Atlantico, un’area nella quale le testimonianze archeologiche sono piuttosto limitate, e che rimase sostanzialmente periferica rispetto alle culture Hopewell e Mississipi delle Foreste Orientali. Al tempo del contatto, la lunga striscia di territorio compresa tra le pendici orientali degli Allegheni e la costa Atlantica, dal New England alla Carolina, era abitata nelle zone più interne da genti di lingua Siouan (Catawba, Tutelo, Manhaoac ecc...) e Iroquaian (Susquehanna, Tuscarora, Cherokee ecc...), e lungo la costa da Algonquian; per quanto poco ne sappiamo, dato che gran parte dei Siouan erano scomparsi all’inizio del XVIII secolo, gli abitanti delle regioni interne erano fortemente influenzati dai popoli affini di cultura Hopewell o Mississipi, mantenevano fra loro relazioni piuttosto strette, al punto che è anche difficile identificare le singole entità tribali, ed erano in relazioni ostili con gli Algonquian delle zone costiere. Popolazioni eminentemente agricole, provenienti dalle terre a ovest degli Allegheni, questi Iroquaian e Siouan potrebbero non aver approfittato delle zone costiere, i cui terreni erano meno adatti alla coltivazione, lasciando quest’area disponibile alla colonizzazione di tribù Algonquian; questi ultimi, provenienti dalle coste del New England e della Nova Scotia, con un modello tradizionale di sussistenza, basato su caccia pesca e raccolta, erano perfettamente in grado di utilizzare le risorse costiere (pesca, caccia di mammiferi marini, raccolta di molluschi). L’agricoltura, che nel medio periodo ha abitualmente conseguenze sull’organizzazione sociale dei popoli che la praticano, sembra in generale per gli Algonquian della costa Atlantica, un’acquisizione relativamente recente, che pur producendo una tendenziale sedentarietà, non modifica totalmente il modello di sussistenza, ne produce una più elaborata struttura sociale. Un ulteriore elemento di riflessione, riguarda l’assenza tra gli Algonquian della costa Atlantica, di qualsiasi riferimento all’uso di mounds, in particolare di quelli funerari, cosa che può essere spiegata con il loro arrivo nell’area in un epoca successiva alla grande diffusione di questi usanza, quindi dopo


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il declino della cultura Hopewell nel V secolo d.C. Anche la linguistica può aiutarci a fare ipotesi sui tempi dello stanziamento degli Algonquian lungo la costa Atlantica. Quella degli Algonquian è una grande famiglia, che può essere divisa in tre gruppi, la cui reciproca differenziazione può darci una idea relativa dei tempi in cui le separazioni avvennero: i Blackfoot e altri gruppi delle pianure hanno una maggiore differenziazione linguistica, rispetto al gruppo principale degli Algonquian del Canada orientale (Cree, Ojibway, Innu ecc...), e questo potrebbe implicare una separazione in tempi più lontani; gli Algonquian della costa Atlantica e quelli del Canada Orientale, parlano lingue e dialetti differenziati, ma complessivamente più simili fra loro di quanto lo siano rispetto alle lingue degli Algonquian delle pianure; estremamente ridotta è invece la differenziazione tra le lingue Algonquian del Canada orientale e quelle della valle dell’Ohio (Shawnee, Kikapoo, Illinois ecc...), la cui separazione effettiva non avvenne prima del XIII-XIV secolo. Sulla base di questo ragionamento possiamo quindi ipotizzare che gli Algonquian della costa Atlantica, si separarono dal nucleo principale, per migrare a sud nelle regioni costiere, in un periodo precedente al XIV, quando altri Algonquian colonizzavano la valle dell’Ohio, ma successivo al V sec. d.C., e al declino dei costruttori di mounds Hopewell. E’ quindi possibile che gli Algonquian provenienti dall’area a nord dei Grandi Laghi, dopo aver soppiantato le genti della cultura della Pittura Rossa (antenati dei Beothuk), lungo le coste del Labrador e del New England, verso la fine dell’era Arcaica (I millennio a.C.), dotatisi di un modello di sussistenza in grado di utilizzare le risorse marine, abbiano continuato la loro espansione verso sud, fino a raggiungere in un epoca compresa tra il VI e il XIV, le coste della Virginia e della Carolina dove si insinuarono tra genti Siouan di più antico stanziamento. Nel corso di questa colonizzazione l’agricoltura divenne patrimonio di tutti gli Algonquian della costa, anche se le risorse del mare continuarono a svolgere un ruolo importante, soprattutto nelle zone meridionali di più recente occupazione. Alla luce di queste ipotesi è possibile concludere che gli Algonquian, che in tempi storici occupavano gran parte delle Foreste Orientali, svolsero un ruolo marginale nella storia precolombiana di quest’area, occupandola prima solo nelle aree periferiche, e insendiandovisi definitivamente solo dopo la crisi delle culture Mississipi, grazie soprattutto ad una struttura sociale e ad un modello di sussistenza, più semplice, flessibile e adattabile.

La Florida: St. John, Glades e Belle Glades Come a nord della valle dell’Ohio, le culture Hopewell e Mississipi esercitarono la loro influenza su popoli che mantennero modelli di sussistenza e cultura sostanzialmente diversa, analogamente accadde a sud, in particolare nella penisola della Florida, il cui contesto ambientale ha caratteristiche specifiche, che produssero specifici adattamento. Un ambiente caratterizzato dalla presenza del mare e di vaste lagune, paludi e terreni sabbiosi poco adatti all’agricoltura, ma che è in grado di fornire un gran numero di risorse alimentari, pesce, molluschi, selvaggina, oltre ad una gran quantità di frutti, quali ne mette a disposizione una vegetazione varia e lussureggiante; una ricchezza tale da permettere il prodursi di un modello di sussistenza sostanzialmente sedentario, e quindi di un’organizzazione sociale più strutturata e complessa anche in società che non praticavano l’agricoltura. In quest’area con proprie specifiche caratteristiche, vivevano in epoca precolombiana, popolazioni che linguisticamente non sono riconducibili alle genti limitrofe che diedero vita alle culture Hopewell e Mississipi; una lontana relazione tra i Timucuan della Florida settentrionale e i Muskogean, è stata spesso ipotizzata, ma qualora esistesse essa sarebbe certamente molto remota nel tempo; nel sud della Florida, vivevano tribù poco conosciute, che quasi certamente provenivano dall’area Caraibica, forse affini a gruppi che occupavano la regione Caraibica precedentemente all’arrivo dei Taino dalle coste del Sud America, come i Guanajatebey, che al tempo dell’arrivo di Colombo, erano stati costretti dai Taino a ritirarsi nella parte occidentale dell’isola di Cuba, proprio di fronte alle coste della Florida. Dal punto di vista culturale, le differenze tra i popoli della Florida e quelli stanziati più a nord, riguardano principalmente l’importanza dell’agricoltura nel modello di sussistenza. Nel nord-est della Florida, la cultura di St.John, di cui furono eredi i Timucuan storici, considerava l’attività agricola come elemento integrativo della caccia, della pesca e della raccolta, e l’acquisizione del mais avvenne in un’epoca imprecisata tra l’VIII e l’XI secolo d.C. La cultura di St.John, nell’area del fiune omonimo, si produsse nei primi secoli dell’era cristiana, e fu certamente influenzata dalle coeve culture Hopewell (Swift Creek e Weeden Island) e Mississipi (Ft.Walton), che si svilupparono a nord e a ovest; presso le genti di cultura St.John erano diffusi i mound funerari, così come più tardi anche i mound usati come piattaforme per


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le abitazioni di capi e sacerdoti; caratteristica di questa e altre culture della Florida, sono i tumuli costituiti dall’accumularsi di una gran quantità di gusci di conchiglie, tumuli che alla lunga potevano costituire la base su cui si elevavano le abitazioni dei capi. Questi popoli sedentari e ricchi di risorse, giunsero a produrre società con una stratificazione ed una gerarchia mutuata probabilmente dalle vicine culture del Mississipi, anche se mancano i grandi centri cerimoniali, espressione di veri e propri potentati teocratici. Più a sud, nelle zone interne della Florida e in particolare intorno al lago Okeechobee, fece la sua comparsa alla fine dell’era Arcaica, intorno al 1.000 a.C., la cultura di Belle Glades, caratterizzata da una Le culture precolombiane della Florida propria produzione di ceramica, ed espressione di popoli il cui modello di sussistenza non prevedeva la coltivazione, ed era integralmente basato su caccia, pesca e raccolta. Simile e di poco successiva è la cultura di Glades, che compare intorno al 500 a.C. nelle zone costiere della Florida meridionale. A differenza di quella di St.John, il cui sviluppo coincide con l’affermarsi della cultura Hopewell, queste due culture sono più antiche, riferibili più o meno alla stessa epoca in cui nella valle dell’Ohio vivevano i popoli di Adena, ma è assolutamente improbabile immaginare alcuna relazione con essi; presso entrambe le culture era presente l’uso di mounds funerari e secondo alcuni studiosi il sito di Ft. Center, uno dei più significativi della cultura Belle Glades, nei primi secoli dell’era cristiana fu il centro di pratiche funerarie che probabilmente prevedevano la scarnificazione e pulizia delle ossa dei defunti. E’ difficile dire se queste usanze, che evidentemente sono simili a quelle sviluppatesi in altre aree delle Foreste Orientali, furono il frutto di contatti e influenze, o se esse si svilupparono autonomamente in loco, anche se l’antichità di queste culture, almeno quanto quella di Adena, rende più credibile la seconda ipotesi. Un elemento aggiuntivo a possibile conferma di uno sviluppo culturale autonomo di quest’area, almeno nei secoli più antichi, è dato dal ritrovamento di polline di mais nel sito di Ft.Center, risalente al 450 a.C., un epoca in cui il mais era assente da tutta la Florida, poco diffuso nel resto del continente, ma già noto in America Centrale e Meridionale, quasi che tale presenza fosse riconducibile a contatti con popoli dell’area dei Caraibi. Il sito di Ft.Center non presenta caratteristiche adatte all’attività agricola, mentre dalla analisi dentale dei crani ritrovati, non sembra che l’alimentazione prevedesse mais o ortaggi in misura significativa, cosa che potrebbe far ritenere la presenza di polline di mais, riconducibile ad attività rituali. In ogni caso a partire dal VII secolo, fino all’epoca di poco precedente il contatto, mentre in tutte le Foreste Orientali il mais si affermava come principale cultigeno, nella Florida meridionale manca ogni riscontro di attività agricola e in particolare di coltivazione del mais, a ulteriore dimostrazione del carattere peculiare di questa enclave culturale. Tumuli funerari, opere di canalizzazione e drenaggio delle terre paludose, piattaforme costruite per elevare le abitazioni al di sopra del livello delle inondazioni, sono tutti elementi che testimoniano di una cultura ricca e sedentaria, incentrata sulla pesca, la caccia e la raccolta di vegetali e molluschi, un modello di sussistenza rimasto invariato fino al tempo del contatto. Poco sappiamo dell’organizzazione sociale di queste genti, i cui eredi storici furono tribù poco note come i Tequesta, i Mayuca, o i Calusa, ma certamente proprio gli antenati di questi ultimi, a partire dal IX secolo diedero vita ad una variante culturale, definita Caloosahatchee, dal nome del principale fiume della regione, presso cui si manifestarono caratteristiche tipiche dei popoli del Mississipi. Una forte centralizzazione del potere, insieme ad una significativa stratificazione sociale, il formarsi di grandi centri cerimoniali con un gran numero di mound, plazas, canali danno l’idea di uno sviluppo parallelo e certo


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influenzato da quanto avveniva nello stesso periodo nelle regioni più a nord, ma anche con caratteristiche autonome e non solo sul piano della sussistenza; mancano in particolare reperti archeologici, riconducibili al Culto Meridionale, quel complesso di credenze e cerimonie, genericamente riconducibili ad un culto solare, che costituì l’humus ideologico delle diverse culture del Mississipi. D’altra parte, sulla base delle poche testimonianze dell‘epoca, sembra che l’autorità del capo dei Calusa, che si estendeva su gran parte della Florida meridionale, non fosse ricondicibile ad una funzione sacerdotale e quindi ad un modello di tipo teocratico, ma fosse simile a quella dei Caciques che dominavano le diversi signorie della regione dei Caraibi. A differenza di quanto accadde in gran parte delle Foreste Orientali, in Florida non c’è soluzione di continuità tra culture precolombiane e tribù storiche, anche se ciò non rende più facile la conoscenza dello storia prima del contatto, dato che tutte le tribù della Florida scomparirono tra la metà del ‘500 e i primi anni del ‘700.

Le culture precolombiane e le relazioni storiche tra nativi ed invasori Alla fine di questa panoramica generale della condizione delle Foreste Orientali alla vigilia del contatto, può essere interessante cercare di cogliere un nesso, tra tali condizioni e i successivi sviluppi storici; in effetti la zone delle Foreste Orientali fu, insieme al Sud-Ovest, ma ancor più di esso, la regione in cui si decisero le sorti dei nativi americani nel confronto con i bianchi invasori. In questa vasta regione infatti, per circa due secoli si sperimentarono almeno tre distinti modelli di dominio coloniale, Inglese, Francese e Spagnolo, e diverse modalità di relazione con i popoli nativi, dalla alleanza su base quasi paritetica, alla partnership commerciale, fino alla vera e propria guerra di distruzione. A differenza di quanto accadde nelle regioni occidentali, dove il confronto tra nativi e colonizzatori fu fortemente squilibrato, con i colonizzatori in numero sempre crescente rispetto ad una popolazione di nativi in forte inferiorità numerica, con i primi in possesso di una tecnologia e un apparato produttivo e bellico già di tipo industriale, e i secondi rimasti al neolitico, con da una parte una moderna nazione in grado di perseguire una coerente strategia di dominio e dall’altra un gran numero di tribù spesso in lotta fra loro, nelle Foreste Orientali i rapporti di forza tra nativi ed invasori furono per lungo tempo più equilibrati. Così mentre nel corso dell’800 e in particolare dopo il 1860, con l’uso di armi a ripetizione e a retrocarica, la colonizzazione assunse caratteristiche di massa e procedette come uno schiacciasassi nelle regioni occidentali, il dominio e la sottomissione dei popoli delle Foreste Orientali, fu un processo assai più lungo, che iniziato alla metà del ‘500, si protrasse almeno fino ai primi decenni del XIX secolo, con la cacciata dei Cherokee dalle loro terre e le ultime guerre contro i Seminole della Florida. Le ragioni di ciò sono evidenti: almeno fino alla metà del ‘700 la popolazione europea in Nord America non raggiunse numeri tali da poter effettivamente sovrapporsi e sostituirsi a quella dei nativi; l’apparato produttivo e tecnologico di cui erano dotati gli invasori, non ancora potenziato dalla rivoluzione industriale del XIX secolo, era si in grado di esercitare una egemonia economica sui popoli nativi, ma necessitava anche delle loro conoscenze, per lo sfruttamento delle risorse della regione, in particolare nel commercio delle pelli; il potenziale bellico fu per un lungo periodo relativamente equilibrato, le armi da fuoco del tempo, di cui peraltro i nativi entrarono in possesso attraverso il commercio, erano ad un colpo solo e ad avancarica, spesso imprecise e lente nel caricamento, cosa che le rendeva meno temibili, per abili arcieri in grado di scoccare frecce con precisione e velocità, e con un’ottima conoscenza del terreno di battaglia; da ultimo va ricordato che se i popoli nativi delle Foreste Orientali erano certamente divisi e in guerra fra loro, altrettanto lo erano gli invasori europei, Inglesi, Francesi e Spagnoli, che nei loro conflitti si contendevano l’alleanza delle maggiori nazioni indiane. E’ in questo quadro che va collocata la vicenda storica dei nativi delle Foreste Orientali, presso cui furono elaborate le più complesse strategie per resistere all’onda massiccia della colonizzazione bianca; ed è interessante rilevare come proprio dalle diverse condizioni in cui si trovavano le diverse aree delle Foreste Orientali al momento del contatto, presero le mosse diversi approcci al tema della resistenza all’invasione. Già si è accennato al caso della Lega Iroquois, che costituitasi come entità politica nel XIV o XV secolo, era al momento del contatto con gli invasori, una struttura forte e coesa, in fase di ascesa come potenza regionale, e su questa base aprì una relazione paritaria con Olandesi prima e Inglesi poi, perseguendo


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Distribuzione delle tribù indiane nelle Forsete Orientali, all’epoca del viaggio di Colombo (fine del XV sec.)

per lungo tempo una propria politica di espansione territoriale e commerciale, a scapito delle tribù confinanti; questa strategia ebbe il suo limite, nella non comprensione delle dinamiche tra coloni americani e governo coloniale inglese, per cui quando si giunse al conflitto tra questi, gli Iroquois, schierati con l’Inghilterra, furono i primi indiani a subire il pugno di ferro e la guerra di distruzione dell’esercito americano. Un meccanismo analogo si produsse a sud, dove al momento del contatto i potentati teocratici delle culture Mississipi erano all’apice dello sviluppo; in quest’area lo shock prodotto dalla diffusione di sconosciute e terribili malattie, se certamente incrinò le strutture di potere di tipo teocratico, non mise in discussione la sostanza di un modello sociale ed economico, che si trasmise alle tribù storiche della regione, i Cherokee, i Creek, i Choctaw, i Chickasaw, i Natchez. A parte il caso dei Natchez, la cui vicenda


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ha proprie peculiarità, queste tribù seppero reagire al contatto con gli invasori, con una quantità di strategie, dall’alleanza con una delle potenze coloniali in lotta fra loro, ad una dura e prolungata guerriglia alla fine dell’epoca coloniale, quando il confronto fu con gli Stati Uniti, fino a giungere all’assunzione del modello culturale degli invasori e all’adattamento al loro stile di vita, e addirittura all’uso della battaglia legale e istituzionale per la difesa dei loro diritti, come fecero i Cherokee durante gli anni ‘30 dell’800. Grazie a queste strategie questi popoli riuscirono a mantenere quasi integri i loro territori fino ai primi decenni dell’800, e presso di loro si realizzò un modello di colonizzazione basato sul meticciato, che a parte il caso dei Brulè del Canada, non ha riscontri in nessuna parte del Nord America; così immigrati di origine irlandese o scozzese, furono spesso accolti sulle loro terre, integrati nella tribù attraverso il matrimonio, divenendo i protagonisti di un modello di interazione tra bianchi e indiani, che se esteso in tutto il Nord America, avrebbe potuto cambiare il corso della storia. All’inizio dell’800 questi meticci svolsero un ruolo fondamentale, alcuni divenendo eroi del nazionalismo indiano, altri invece divenendo gli strumenti della politica americana in seno alla tribù. Comunque l’aspetto rilevante è che laddove alla vigilia del contatto, l’organizzazione sociale era più coesa e strutturata, la relazione tra bianchi e indiani assunse forme ben più complesse del semplice rapporto tra “stato di natura” e “mondo civile”. Diversamente andarono invece le cose nel cuore delle Foreste Orientali, quella valle dell’Ohio che, investita dai cambiamenti climatici della Piccola Età del Ghiaccio, viveva nei secoli immediatamente precedenti al contatto, una fase di crisi e trasformazione. Qui dopo la crisi e la scomparsa delle genti di Cahokia e di altri centri cerimoniali, le genti di cultura Mississipi vivevano in una fase di transizione, mentre nuovi protagonisti, genti Algonquian con un modello culturale più semplice e flessibile, premevano da nord. In questo contesto, lo scatenarsi nei primi decenni del ‘600 dell’aggressività della Lega Iroquois, e l’inizio del lungo periodo delle Guerre del Castoro, fu il colpo finale che definitivamente affossò quanto rimaneva del mondo precolombiano; intere tribù Siouan abbandonarono la regione per spingersi verso le pianure, altre scomparirono nel giro di pochi decenni, la lenta migrazione verso sud degli Algonquian subì una battuta d’arresto e per alcuni decenni gran parte dell’area rimase sostanzialmente spopolata. Quando poi diverse tribù Algonquian iniziarono a risiedervi, tutta l’area divenne una zona di instabilità e conflitti; formalmente sotto il controllo della Lega Iroquois, di fatto contesa tra Francia e Inghilterra, ma in ultima analisi luogo di rifugio per i profughi dei tanti conflitti coloniali e tribali. Diversamente da quanto accadeva a nord-est, tra gli Iroquois e a sud, tra i Creek e i Cherokee, nessuna espressione politica tribale emerse in questa regione a contrastare o a condizionare le politiche coloniali europee, e le diverse tribù si dissanguarono in conflitti interni o a fianco dell’uno o dell’altra potenza europea. Solo verso la fine dell’epoca coloniale, per un breve periodo un grande capo come l’Ottawa Pontiac, riuscì a riunire tutte le tribù in una labile coalizione, assestando alla potenza coloniale inglese un colpo talmente duro, che il governo di Londra preferì inimicarsi i coloni, bloccando la loro espansione nel territorio indiano, piuttosto che rischiare un altro conflitto. Quando poi i coloni americani si liberarono dell’autorità britannica, la conquista della valle dell’Ohio fu il loro primo obbiettivo. La fase che seguì fu segnata dalla contraddizione tra la durissima resistenza armata degli indiani, che qui sul Wabash River, guidata dal Miami Piccola Tartaruga, inflissero all’esercito americano una delle più umilianti sconfitte della loro sua storia militare, e l’assoluta inconsistenza politica delle leadership tribali, che per corruzione o ignavia cedettero un pezzo dopo l’altro il territorio indiano. Proprio a fronte di questa inconsistenza politica, qui venne alla luce il sogno visio- Il massacro dell’armata del generale St.Claire sul Wabash Rver, nel 1791


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nario e moderno, di quello che forse fu il più lucido tra i leader indiani, lo Shawnee Tecumseh, che per primo e forse unico, immaginò uno stato pan-indiano e una politica che andasse oltre l’orizzonte dell’interesse tribale. Il fatto che il suo sogno sia naufragato per gli errori del suo braccio destro, il fratello Tenkskatawa, che iniziò la guerra, quando ancora il disegna politico di Tecumseh non era compiuto, è la conferma di quello che fu un tema ricorrente della resistenza indiana nella valle dell’Ohio: il valore guerriero come unica risorsa. Così l’assenza già al tempo del contatto, di società coese e strutturate, con leaderhip autorevoli e politiche tribali forti, condizionò i modi e le forme della relazione tra nativi ed invasori nella valle dell’Ohio. Queste forse arrischiate riflessioni, che si fondano su evidenti e certo discutibili generalizzazioni, hanno almeno una giustificazione: il tentativo di ricostruire la storia dei nativi americani come un continuum, con una sua coerenza storica e non come il semplice prodotto del contatto; e anzi per certi versi, è possibile forse affermare che i modi e le forme in cui il contatto si realizzò, furono in ampia misura determinati dalle condizioni storiche dei nativi americani: perchè la storia non è mai il prodotto dei soli vincitori che la narrano.


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LE GRANDI PIANURE A ovest del Mississipi le grandi foreste che coprivano quasi interamente la zona orientale del Nord America, iniziano progressivamente a diradarsi, per lasciare sempre più il campo ad estese e ricche praterie di erba alta, all’interno delle quali le aree boscose si insinuano in profondità, come tentacoli della vasta foresta orientale, che si avvinghiano al corso dei fiumi provenienti da ovest: il Missouri che scorre in direzione sud-ovest dalle lontane Rocky Mountains, e i grandi affluenti del Mississipi, l‘Arkansas, il Red River. Questa vasta pianura che si estende dal lago Winnipeg a nord, fino alla costa del Texas a sud, impercettibilmente interrotta da pochi e bassi rilievi (Prairie Coteau, a est del Missouri, Ozark e Ouachita Mountains più a sud, lungo il basso corso dell’Arkansas), è una regione accogliente, una vasta prateria d’erba alta interrotta qua e là da boschetti, ricca d’acqua e adatta all’attività agricola; procedendo però verso ovest, l’altitudine cresce quasi impercettibilmente, Due scorci delle Grandi Praterie, in alto nel Kansas orientale (Lowlands) e fin quando la pianura si in basso nel Colorado (Highlands) trasforma in un vasto altipiano che dal fiume Saskatchewan a nord, si estende a sud fino al Rio Grande, come una cintura ai piedi delle Rocky Mountains; le Lowplains della zona orientale, si trasformano nelle Highplains dell’ovest, una vasta prateria di erba bassa e arbusti, solcata da fiumi con una portata d’acqua più scarsa e di-


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scontinua, che in alcune zone, date le caratteristiche del terreno (Badlands del Dakota), o la latitudine (Llano Estacado in Texas), è tendenzialmente semidesertica, e che dappertutto è segnata da una scarsa presenza di vegetazione d’alto fusto, limitata a qualche boschetto lungo il corso dei fiumi. Al margine occidentale delle Highland, i primi contrafforti delle Rocky Mountains, formano un paesaggio di valli montane, dove la vegetazione arborea è più ricca e lo scioglimento delle nevi montane garantisce un costante approvvigionamento idrico. Tutta l’area costituisce una sorta di immenso corridoio, attraverso il quale l’aria fredda proveniente dalle regioni sub-artiche, viaggia verso sud senza trovare ostacoli, fino ad incontrare le masse d’aria calda e umida che si formano sul Golfo del Messico, determinando un clima con elevate escursioni termiche, inverni rigidi e freddi ed estati calde, una tendenziale scarsità di precipitazioni a cui però fa riscontro la frequenza di fenomeni estremi, i “tornados”, che periodicamente spazzano le pianure dal Dakota al Texas: fattori climatici questi, che non rendono agevole lo stanziamento umano. Ma se le condizioni estreme del clima, e in gran parte dell’area la scarsità di legname e spesso anche d’acqua, potevano rendere la regione poco appetibile per la presenza umana, spesso in quest’area le comunità umane trovarono ragione di interesse, per la presenza dell’infinita risorsa alimentare rappresentata dalle grandi mandrie di bisonti, e di altri mammiferi, antilocapre, cervi, pecore bighorn. Solo in quest’area le condizioni che avevano permesso l’esistenza delle prime comunità di cacciatori paleoindiani si mantennero con poche mutazioni, permettendo lo sviluppo della cultura arcaica di Plano, in continuità con le culture più antiche; così malgrado la scomparsa di mammuth, bisonti dalle grandi corna, e altra megafauna, e un generale innalzamento delle temperature che rese più aride le aree meridionali, non si esaurì del tutto la possibilità di sopravvivere secondo lo stile di vita atavico dei primi colonizzatori del continente, basato sulla caccia alle grandi prede. D’altra parte, se lo stile di vita nomade, alla ricerca delle mandrie di grandi mammiferi, aveva rappresentato nei millenni del passato l’adattamento più efficace per la sopravvivenza, con la comparsa della prima attività agricola, è certo che l’antico modello di sussistenza sia divenuto progressivamente più marginale o al massimo integrativo, soprattutto nella parte orientale delle Grandi Praterie, più adatta all’agricoltura e più interessata dagli influssi culturali provenienti dalle più dinamiche culture delle Foreste Orientali; nello stesso tempo le zone occidentali, specialmente nella parte meridionale, più arida e con minore selvaggina, tendevano a spopolarsi, venendo probabilmente visitate solo stagionalmente, da quei gruppi che per larga parte dell’anno risiedevano stabilmente più a est, lungo il basso e medio corso degli affluenti occidentali del Mississipi, o che svernavano nelle riparate valli montane delle Rocky Mountains. Così per un lungo lasso di tempo, dagli ultimi millenni dell’era Arcaica fin quasi al X sec. d.C., scarsi sono i riscontri di insediamenti umani lungo l’altipiano occidentale, le Highplains, e solo a partire da questo periodo le testimonianze si fanno più abbondanti, in gran parte dovute alla penetrazione da nord di genti Atapaskan. In termini generali è quindi possibile affermare che gli adattamenti culturali all’ambiente delle Grandi Praterie, pur mantenendo una loro specificità, legata alle caratteristiche della regione e in particolare della sua fauna, furono sostanzialmente un espressione periferica e semplificata dei vari modelli che si svilupparono nelle Foreste Orientali, a partire dagli ultimi secoli prima dell’era cristiana; ciò è particolarmente evidente nelle Lowplains orientali, mentre tale influenza si riduce proseguendo verso ovest. Questo carattere periferico verrà superato per una sola, breve e intensa stagione, quando, con l’introduzione del cavallo e le maggiori opportunità per lo spostamento e la caccia, le Grandi Pianure divennero il centro propulsore di un nuovo e affascinante sviluppo culturale, di cui furono protagoniste tribù che hanno fatto la storia delle guerre indiane, i Lakota, Cheyenne, Arapaho, Blackfoot, Comanche, Kiowa. Ma tale sviluppo fu tardo e di breve durata, pur avendo segnato la storia dei popoli nativi in termini assolutamente decisivi.

Le Grandi Pianure al tempo della cultura Hopewell I l modello di sussistenza basato sulla caccia alla selvaggina di grossa taglia, che era stata la chiave dell’espansione dei Paleoindiani in Nord America e che si esaurì in gran parte del continente a partire dall’inizio dell’era Arcaica, si protrasse nelle Grandi Pianure più a lungo che altrove, dando vita a quella cultura Plano che fu un sostanziale sviluppo delle culture paleoindiane. Comunque anche in questa regione, a partire dagli ultimi millenni prima della nostra era i cambiamenti climatici e la pressione venatoria, determinarono una riduzione della presenza di selvaggina, che obbligò gli abitanti di questo vasto


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territorio a modificare le loro abitudini, se non a migrare verso altre terre. Specialmente nella parte meridionale delle Grandi Panure, a sud del corso del Missouri, le condizioni di sopravvivenza si fecero più difficili e la parte occidentale del territorio iniziò a spopolarsi, mentre il corso degli affluenti occidentali del Mississipi, diveniva la via che guidava i diversi gruppi umani, verso le Foreste Orientali, dove l’ambiente offriva maggiori opportunità di sussistenza. Per queste genti la spinta fu la necessità di abbandonare la vita nomade nell’aperta pianura, dove la grossa selvaggina era sempre più scarsa, per adattarsi ad un modello di vita parzialmente sedentario, e basato sulla Ceramica di epoca Hopewell prodotta nelle pianure del Nebraska orientale caccia di piccola selvaggina e la raccolta di vegetali selvatici, un modello che inizialmente sperimentato nelle boscose valli fluviali che attraversavano le pianure, poteva esprimersi appieno nelle grandi foreste a est del Mississipi. E’ probabilmente in questo quadro che va collocato lo spostamento degli antenati degli Iroquaian, dei Caddoan e dei Siouan, verso le Foreste Orientali nel corso degli ultimi millenni dell’era Arcaica (III - II millennio a.C.), e sempre in questo quadro va visto lo sviluppo della variante delle Grandi Pianure, del modello delle Foreste Orientali: popoli linguisticamente affini, spinti a est dalle medesimi esigenze, che mantennero contatti e relazioni, tra i gruppi all’avanguardia, che giunsero a colonizzare la valle dell’Ohio e i monti Appalache nella zona delle foreste, e quelli rimasti indietro, che si insediarono lungo il medio e basso corso degli affluenti occidentali del Mississipi, nelle Grandi Pianure orientali. Dall’ultimo millennio a.C., in coincidenza con quanto accadeva nelle foreste dell’est, anche nelle Grandi Pianure orientali, e in particolare nelle regioni a ovest del medio e basso Mississipi, iniziava a prodursi quel modello di sussistenza incentrato su piccole comunità, che basavano la loro sopravvivenza sulla conoscenza delle risorse di una limitata area, compivano piccole migrazioni stagionali in coincidenza con il ciclo dei vegetali selvatici, cacciavano per lo più cervi, tacchini e selvaggina di piccola taglia, mentre il bisonte perde importanza come risorsa alimentare; da questo modello di vita emergono, non sappiamo se in loco, o per contatti con le genti dell’est, le prime pratiche agricolo, basate sui cultigeni locali (zucche, girasole, marshelder, chenopodium), probabilmente nella stessa epoca in cui all’est faceva la sua comparsa la cultura di Adena. Poi a partire dal I sec. a. C., con la grande fioritura della cultura Hopewell, il flusso di innovazioni tecnologiche e culturali che provenendo da est raggiunge le pianure, è tale che in gran parte dell’area lo stile di vita non è che una variante locale della cultura Hopewell. Con l’agricoltura in tutta l’area fanno la loro comparsa i riti funerari e i mounds che ospitano sepolture, inizia la produzione di terracotta e altre forme di artigianato, mentre le popolazioni locali partecipano della grande rete di scambi dei popoli Hopewell, e fanno così la loro comparsa materiali esotici e pregiati provenienti da terre lontane, il rame dei Grandi Laghi, piuttosto che conchiglie dal Golfo del Messico. Centri principali di questi sviluppi culturali furono la zona di confluenza tra il fiume Kansas e il Missouri, dove si sviluppò un modello culturale definito Kansas City Hopewell, e più a sud il basso corso del Red River con le culture di Mill Creek e Fourche Maline, tutte in aree abitate all’epoca da genti di lingua Caddoan. Lo sviluppo e poi la decadenza di queste culture Hopewell delle pianure orientali, coincide sostanzialmente con le analoghe dinamiche nelle regioni orientali, rappresentandone un aspetto periferico. Anche più a nord, nelle pianure comprese tra il Mississipi e il Missouri, i riti funerari, le prime pratiche agricole, la ceramica e la semisedentarietà, che sono i tratti caratteristici delle culture delle Foreste Orientali, fanno la loro comparsa, segnando anche nella parte settentrionale delle Grandi Pianure la fine della fase Arcaica; qui però le condizioni climatiche sono meno favorevoli all’agricoltura, mentre ancora abbondano la selvaggina e i bisonti in particolare, cosicchè l’antico stile di vita dei cacciatori Plano, permane e si integra con le innovazioni culturali provenienti dalla culture Hopewell dell’est. Così se la


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produzione di ceramica è già presente nei secoli precedenti l’era cristiana, i primi mounds a testimonianza dei culti funerari datano a non prima del I secolo a.C., mentre l’introduzione delle pratiche agricole avviene nei primi secoli dell’era cristiana, e se compare l’uso di stanziamenti più stabili, rimangono economicamente fondamentali le migrazioni stagionali alla ricerca dei bisonti, cacciati secondo l’antico uso di spingere la mandria verso precipizi. La più antica delle culture testimoniate in quest’area è quella di Sonota, che fiorì nella zona tra il Mississipi e il Missouri, al confine tra gli attuali stati del Minnesota, Iowa, North e South Dakota, tra il I sec.a.C. e il VII sec.d.C. I popoli che praticavano questa cultura oltre a conoscere la ceramica, mutuarono dai loro vicini orientali la costruzione di piccoli mounds funerari, ma non praticavano ancora alcuna attività agricola, limitandosi a raccogliere vegetali selvatici nelle zone boscose lungo i fiumi. Nella parte orientale della regione, nella zona di laghi e acquitrini in cui il Mississipi ha le sue sorgenti, il riso selvatico rappresentava una risorsa certa che probabilmente permetteva a piccole comunità di risiedere stabilmente in villaggi sulle sponde dei laghi, ma più a ovest le comunità vagavano per le pianure per buona parte della primavera e dell’estate accumulando scorte di carne e pelli di bisonte, per poi trovare riparo nelle boscose valli fluviali durante l’autunno e l’inverno, dove vivevano cacciando cervi e piccola selvaggina. Questi popoli di cultura Sonota, condividevano con i loro vicini occidentali e settentrionali di cultura Besant (ovest del fiume Missouri e sud di Manitoba, Saskatchewan, fino all’Alberta), molti aspetti dell’artigianato e della cultura materiale, ma si differenziavano principalmente per l’uso di tumuli funerari, assenti nella cultura Besant; probabilmente Sonota e Besant rappresentano solo varianti di un comune modello culturale, esteso in tutte le praterie settentrionali, e differenziato solo dalla maggiore o minore vicinanza rispetto a centri culturali Hopewell a est del Mississipi; cosi se i gruppi riconducibili al modello Besant, risentivano dell’influenza Hopewell solo per il coinvolgimento nella rete di scambi commerciali che permetteva di ottenere materiali rari, i gruppi Sonota acquisivano dal mondo Hopewell anche le innovazioni in ambito spirituale, principalmente quelle riguardanti gli usi funerari. La sostanziale omogeneità del complesso Sonota-Besant, almeno dal punto di vista della cultura materiale, può far ritenere che i popoli coinvolti fossero linguisticamente affini, probabilmente antenati dei Siouan storici, così come le genti che all’est del Mississipi edificavano la cultura Hopewell. La presenza di Siouan in area Besant, cioè fino al bacino del Saskatchewan, potrebbe trovare conferma nei reperti Hopewell ritrovati in uno scavo nella zona di Cluny, nel sud-est dell’Alberta e all’estremo limite dell’area Besant, fra i resti di un villaggio, che secondo gli indiani Blackfoot che occupavano la regione in tempi storici, era stato abitato anticamente da antenati dei Crow e degli Hidatsa, di lingua Siouan. A nord-est del complesso Sonota-Besant lungo il margine settentrionale delle Grandi Pianure, nella regione intorno al lago Winnipeg, gli influssi culturali delle Foreste Orientali sono rappresentati principalmente da quello che è definito Laurel Complex, un modello culturale basato sulla caccia, la pesca e la raccolta, che aveva il suo centro nella zona di grandi foreste a nord dei laghi Huron e Superiore; anche quest’area fu fortemente influenzato dalle culture Hopewell meridionali, come testimoniato dall’uso della ceramica e soprattutto dalla costruzione dei mounds funerari. I complessi culturali Sonoma-Besant e Laurel Complex, sono geograficamente contigui, con simili caratteristiche rispetto al modello di sussistenza, entrambi influenzati dalla culture Hopewell, ma nettamente demarcati sotto altri punti di vista, cosa che può far ritenere che i popoli che li praticassero fossero diversi linguisticamente ed etnicamente, Siouan quelli di cultura Sonoma-Besant, Algonquian quelli del Laurel Complex. Ancora legati al nomadismo e alla caccia, o già semisedentari e dediti a qualche attività agricola, tutte queste genti vivevano in piccole comunità poco numerose, pochi gruppi famigliari imparentati fra loro che risiedevano in piccoli agglomerati di o tre quattro capanne, ognuna di cinque o sei metri di lunghezza per quattro di larghezza, costruite con arbusti e ricoperte di pelli, o nelle zone meno fredde di frasche, e posti lungo i fiumi, laddove la sponda era alta e garantiva dal rischio di inondazioni. Salvo che nelle zone meridionali, più organicamente inserite nell’area Hopewell, è difficile credere che l’organizzazione sociale prevedesse l’emergere di leader la cui autorità si estendesse oltre il proprio gruppo famigliare, e anche la limitata grandezza dei tumuli funerari, ben lontani dai grandi complessi della valle dell’Ohio, può far ritenere che mancasse la possibilità per diversi gruppi di cooperare sotto una leadership comune e riconosciuta. Nelle regioni settentrionali, le cacce stagionali al bisonte dovevano comunque offrire un’occasione di incontro, quando diversi gruppi famigliari potevano usare di un medesimo sito, una pianura interrotta da un precipizio, o una vallata chiusa e incassata, in cui i bisonti potevano essere intrappolati; nelle regioni meridionali era invece la maggiore tendenza alla sedentarietà


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a fornire occasioni di incontro e scambi, tra le diverse comunità che occupavano una medesima area. A differenza di quanto accadeva a est, la produzione artigianale rimase legata principalmente all’uso e non evolvette in una vera e propria produzione artistica, il vasellame è decorato in modo semplice o non ha decorazioni, e nulla lascia credere che all‘interno delle comunità si fosse prodotta una categoria di artigiani specializzati; anche sul piano della dimensione spirituale, mancano testimonianze dell’emergere di vere e proprie figure shamaniche, la cui presenza abitualmente si accompagna al ritrovamento di oggetti con valore simbolico o sacro. Come in epoca Arcaica, le punte di pietra sono il principale elemento per caratterizzare le differenze tra una regione e l’altra, ma comunque si tratta sempre di grandi punte per lance e giavellotti, da usare con il supporto dell’atlatl, che l’arco e le frecce faranno la loro comparsa solo dopo il VII sec. d.C., così come avvenne nelle Foreste Orientali. L’influenza delle culture Hopewell delle Foreste Orientali si esaurisce spostandosi a ovest, verso le Highplains, dove mancano testimonianze di mounds funerari e pratiche agricole e anche l’artigianato e le tecnologie, sembrano svilupparsi secondo percorsi autonomi. Questa area nel corso dell’era Arcaica aveva visto importanti modificazioni ambientali, con la parte settentrionale liberata dalla calotta glaciale, che ritirandosi aveva lasciato dietro di una regione sempre più accessibile alla presenza di selvaggina e quindi di gruppi umani; ciò al contrario della regione meridionale, che alla fine del pleistocene aveva visto significative presenze di Paleoindiani, ma successivamente subì un processo di inaridimento, conseguente al crescere delle temperature, che sicuramente ridusse la presenza delle grandi mandrie di bisonti, se non portò addirittura alla loro scomparsa per lunghi periodi. E’ così probabile che la parte settentrionale delle Highplains, le pianure meridionali dell’Alberta, e giù attraverso il Montana e il Wyoming, fin forse al Colorado nord-orientale, siano divenute il punto d’attrazione per gruppi umani provenienti da ovest e da sud, e che si spostavano al seguito della selvaggina nelle terre da poco liberate dai ghiacci. Qui fa la sua comparsa, a partire dall’inizio dell’era cristiana e fin quasi al X secolo, un modello culturale specifico definito Avonlea, che pur con caratteristiche simili a quello di Besant, se ne differenzia nettamente per la produzione artigianale e per l’uso di arco e frecce. Come i loro vicini della valle del Missouri, i popoli Avonlea dipendevano in buona misura dalla caccia al bisonte, conducendo per buona parte dell’anno vita nomade, quando si incontravano nei siti preferiti per la cattura e l’uccisione di bisonti, qui cooperavano nella trasformazione delle prede in scorte alimentari per l’inverno, forse celebravano riti comuni, prima di ridividersi in piccole comunità che svernavano separatamente nelle valli più riparate alle pendici delle Rocky Mountains. Se il bisonte era certo la preda principale, anche la pesca lungo i laghi e fiumi era importante, la caccia a cervi, alci e antilocapre e piccola selvaggina, la raccolta stagionale di frutti e tuberi selvatici, mentre totalmente ignota era ogni pratica agricola. La ceramica, differente da quella dei vicini Besant, fa la sua comparsa solo in epoca piuttosto tarda, nel corso del III - IV secolo d.C., ma ciò che caratterizza questa cultura è la presenza di punte di pietra più piccole di quelle Besant, adatte ad essere usate con l’arco e la freccia, noto fra queste genti secoli prima che nelle praterie orientali. Non è chiaro che tipo di abitazioni queste genti usassero, ma sotto molti punti di vista le loro tecnologie anticipavano quelle storiche degli indiani delle Grandi Pianure, così come è probabile che intorno al bisonte si sviluppasse un qualche tipo di culto e cerimoniale; ciò potrebbe essere testimoniato dal ritrovamento in alcune località, di teschi di bisonte a delimitare il percorso a cui i bisonti erano costretti per indirizzarli verso un precipizio o altro luogo adatto all’uccisione; tali delimitazioni, con pietre o rudimentali recinzioni, sono testimoniate anche in altre aree delle Grandi Pianure, ma mai accompagnate alla presenza di teschi di bisonti, la cui funzione era certo riconducibile alle credenze dei popoli Avonlea. Una indicazione sull’origine e l’identità di questi antichi abitanti delle pianure nord-occidentali, può giungerci dall’uso dell’arco e delle frecce, che sappiamo aver fatto la loro comparsa alla fine dell’era Arcaica nelle zone settentrionali del Canada, per poi diffondersi a ovest delle Rocky Mountains, e infine raggiungere le zone orientali solo dopo il VII sec. d.C.. L’uso dell’arco e delle frecce in questa zona in epoca precedente, può darci indicazione di una relazione tra i popoli Avonlea e un flusso culturale proveniente da ovest e da nord, forse attraverso la valle del fiume Fraser in Columbia Brittannica. Tra le ipotesi circa l’origine e l’identità dei popoli Avonlea, c’è chi avanza quella di una prima infiltrazione di popoli Atapaskan da nord, anche se è più probabile che lo sviluppo di tale cultura sia avvenuto in loco e solo per contatto con gli Atapaskan del nord, da parte di popoli originari delle Rocky Mountains o delle regioni a ovest di esse. Quasi certamente il modello culturale Avonlea fu prodotto da gruppi di nomadi di lingua gli Shoshonean, che dalla zona del Grande Bacino si spostarono a est della grande catena montuosa, portando con se l’innovazione dell’arco e delle frecce, acquisita a ovest delle Rocky Mountans. Ancora più a nord, nelle pianure dell’Alberta è probabile che gli antenati dei Kootenay già


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vivessero nella regione, o che la visitassero almeno stagionalmente per cacciare i bisonti, e poi svernare tra le valli montane. Nella regione a sud di quella interessata dalla cultura Avonlea, le Highplains del Colorado e del Kansas occidentale, fin giù a sud nel Texas, mancano testimonianze rilevanti di specifici sviluppi culturali e ciò può far legittimamente pensare che tutta l‘area registrasse un significativo calo demografico, conseguente all’inaridimento dovuto alla crescita delle temperature e alle scarse precipitazioni, con il conseguente spostamento verso est di molti gruppi umani. I gruppi che abitavano la regione, dovevano condurre una vita piuttosto povera, anche se certamente ben adattata all’ambiente; bande di cacciatori nomadi e raccoglitori, che si muovevano in un territorio limitato, approfittando della conoscenza delle risorse disponibili. Non è facile immaginare chi fossero i le genti che abitavano la regione in questo periodo in cui le condizioni si erano fatte così difficili, ma è lecito credere che chiunque essi fossero vivessero isolati e estranei a quanto accadeva nel resto del continente. Ne è possibile escludere che semplicemente la regione, almeno nella sua parte occidentale, in larga misura occupata dalle semidesertiche Staked Plains (Llano Estacado, per gli SpaCulture e popoli nelle Grandi Pianure nei primi secoli gnoli che primi lo visitarono), fosse semplicemente dell’era cristiana disabitata. Più più a est, tra il medio corso dell’Arkansas e del Red River, sulla base dei successivi sviluppi culturali, si può ipotizzare che vivevssero genti di ilngua Caddoan, affini a quelli stanziati più a est, con un modello di sussistenza di cui anche una povera agricoltura era parte. Per quanto riguarda la zona meridionale, comprendente gran parte del Texas centrale e meridionale e le zone adiacenti del Messico, i popoli che vi abitavano al tempo del contatto, si estinsero quasi totalmente alla fine del ‘600, della loro lingua non si hanno che scarse e discutibili conoscenze; è anche incerto che parlassero dialetti simili, anche se i vari gruppi erano fra loro spesso in stretta relazione. Ricordati nelle cronache con una quantità infinita e confusa di nomi tribali, questi popoli sono genericamente definiti Coahuiltecan, ed è molto probabile che abitassero la regione da migliaia di anni, con uno stile di vita nomade, basato principakmente su caccia r raccolta. Laddove la prateria incontra il mare, lungo le coste del Texas con le sue vaste lagune, le risorse marine permisero adattamenti specifici, che resero i popoli che abitavano quest’area poco permeabili alle innovazioni culturali del mondo Hopewell; la disponibilità di risorse marine, la pesca, ma soprattutto i molluschi, permetteva lo sviluppo di comunità semisedentarie, senza la necessità dell’attività agricola; il nomadismo permaneva solo come spostamento stagionale verso l’entroterra, durante la buona stagione, quando la caccia diveniva l’attività prevalente. Questo era lo stile di vita degli antenati degli Atakapa, linguisticamente imparentati con gli abitanti del basso Mississipi (Tunica, Chichemaca) che occupavano la zona costiera orientale, contigui alla culture Hopewell di Marksville, con cui intrattenevano relazioni di scambio, senza peraltro mutuarne usi e credenze; più a ovest gli antenati dei Karankawa, un gruppo linguisticamente isolato, forse correlato a qualcuno dei tanti gruppi Coahuiltecan dell’interno, conduceva una simile esistenza, al di fuori dell’area di influenza Hopewell. Nel complesso tutta la regione delle Grandi Pianure, che in tempi storici vedrà il fiorire di una cultura ricca, pittoresca e originale, sembra in questo periodo un’area priva di una sua caratterizzazione, sul piano delle tecniche, dei modelli di sussistenza, della concezione spirituale, sostanzialmente dipendente da stimoli di provenienza esterna. Da est principalmente, da dove la cultura Hopewell esercita tutta la sua influenza lungo le Lowplains, ma anche da ovest, dal Grande Bacino o dal fiume Fraser, da cui giunge nelle pianure nord-occidentali l’arco e la freccia, già in uso in quelle terre qualche secolo prima dell’era crstiana.


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Questa condizione di marginalità culturale, è certamente connessa alla minore varietà di risorse disponibili nell’ambiente, che ridusse gli stimoli al cambiamento, ma anche alla difficoltà di spostamento di beni e persone, e quindi alla riduzione degli scambi, quegli stessi scambi che erano stati alla base della cultura Hopewell e della sua “rete commerciale”. Sta di fatto che quando il cavallo verrà introdotto, a partire dalla fine del XVII secolo, e gli spostamenti diverranno finalmente relativamente semplici, le Grandi Pianure si trasformano nel polo d’attrazione per tutti i popoli che vivevano al margine di esse, e sia le culture nomadiche che quelle sedentarie e agricole vivranno una breve ma intensa stagione di fioritura.

Il mais e il bisonte A differenza di quanto accadde nelle Foreste Orientali, dove il modello culturale Hopewell dopo essersi esteso e affermato in quasi tutta la regione, visse un periodo di crisi, compreso grosso modo tra il V e il IX secolo d.C, nelle Grandi Pianure i cambiamenti avvennero in modo più lineare e meno traumatico. Di fatto non essendoci stato nelle Grandi Pianure, ne il grande aumento demografico, ne la crescita delle tecniche artigianali e degli scambi commerciali, che furono caratteristici della cultura Hopewell, quando all’est tale modello andò in crisi, le conseguenze nelle Grandi Pianure ebbero un impatto limitato e difficilmente quantificabile. In assenza di un contesto di crisi, quale quello che coinvolse le regioni orientali, l’impatto delle due grandi innovazioni che nella seconda metà del primo millennio giunsero nelle Grandi Pianure, l’arco e le frecce e la coltivazione del mais, non ebbero effetti di traumatica trasformazione e riorganizzazione di società in crisi, come accadde all’est, ma si inserirono in modo più armonico su una struttura sociale preesistente senza snaturarla. Così la tradizionale struttura sociale di tipo egualitario e incentrata su piccoli gruppi famigliari, che all’est cedeva il passo in gran parte del territorio al formarsi di società stratificate di impianto teocratico, all’ovest sopravvisse, sviluppandosi ulteriormente. Al tempo stesso l’impianto economico più flessibile e differenziato che aveva già caratterizzato le Grandi Pianure, potè ulteriormente avvantaggiarsi delle due innovazioni, potenziando l’agricoltura e rendendo più vantaggioso l’uso della grande risorsa rappresentata dal bisonte. Di fatto proprio l’esistenza del bisonte, sempre centrale nell’economia delle pianure, impedì il formarsi di caste sacerdotali e conseguenti stratificazioni sociali, legate alla dipendenza dalla monocultura del mais, come avveniva invece all’est in contemporanea. Contestualmente la minor produttività del mais, nelle pianure dell’ovest, rendeva più difficile il formarsi di quell’eccedenza agricola, che rappresenta la base economica per la differenziazione di ruoli e funzioni sociali, e dei conseguenti processi di gerarchizzazione. Con l’introduzione dell’arco e delle frecce, a partire dalla metà del millennio, e successivamente, intorno al IX secolo, del mais, le Grandi Pianure divennero il luogo di sviluppo di un modello economico e culturale originale, influenzato dalle più complesse culture della valle del Mississipi, ma sostanzialmente autonomo, che si impose con successo protraendosi, pur con momenti di decadenza, fino all’inizio del XIX secolo, quando solo la colonizzazione europea lo mise definitivamente i crisi. Nelle Grandi Pianure, dove la centralità economica della caccia ai grandi mammiferi e al bisonte in particolare, rappresenta un tratto di continuità culturale che va dai paleoindiani fino alla fine del XIX secolo, certamente l’arco e le frecce rappresentarono la più significativa e determinante tra le due innovazioni culturali. Di fatto, se la produzione agricola fu un grande fattore di stabilizzazione e strutturazione della vita sociale, l’arco e le frecce rendendo più produttiva la caccia, offrirono la motivazione e costruirono le condizioni, per la colonizzazione di regioni come le Highplains, che di per se non sono attrattive dal punto di vista agricolo. Di fatto l’estendersi di culture agricole dalle regioni a nord del Missouri, fino ai territori semiaridi del Colorado e del New Mexico, fu possibile solo grazie all’elemento integrativo rappresentato dalla caccia al bisonte, che certo con l’introduzione dell’arco e delle frecce divenne più remunerativa. Pure c’è da rilevare che questa importante innovazione, il cui arrivo coincise di fatto con una fase di grande ripresa culturale e di conseguente crescita demografica, aveva trovato proprio nelle Grandi Pianure, per molti secoli, uno stop alla sua diffusione. La maggior parte degli studiosi concordano sul fatto che arco e frecce siano giunti dall’Asia in Nord America nel III millennio a.C., probabilmente insieme ai popoli Inuit, per diffondersi poi successivamente nel Canada, attraverso le genti Atapaskan, giungendo nelle regioni a ovest delle Montagne Rocciose a partire dal 300-250 a.C., affiancandosi al tradizionale atlatl come strumento di caccia, avendo rispetto a quest’ultimo differenze nell’opportunità che


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offriva e nei problemi che poneva. Di fatto l’atlatl, può proiettare una lancia 3000b.C. di varia misura, ma comunque più pe1500b.C. sante e potente e con una maggiore forza di penetrazione, rispetto ad una freccia, e questo l’ha reso uno strumento di cac1000b.C. cia fondamentale per decine di millenni 1500b.C. nel Vecchio Mondo, e per molti millenni nel Nuovo; d’altra parte un cacciatore (o un guerriero) che usa l’atlatl, non può 500b.C. portare con se che poche lance da utilizzare, e quindi necessità del supporto di 300b.C. 700a.C. altri cacciatori se vuole essere sicuro di 600a.C. uccidere una preda; ancora più problematico l’uso dell’atlatl in guerra, quando uno scontro non può esaurirsi nel lancio 800a.C. di pochi dardi. A ciò va aggiunto che il 600a.C. dardo lanciato dall’atlatl è tendenzialmente più impreciso della freccia, anche se più potente, necessità di spazio per La diffusione dell’arco e delle frecce in Nord America poter effettuare il lancio, e quindi è difficilmente utilizzabile nelle fitte foreste, non si presta ad essere usato per l’agguato, dato che il lanciatore oltre a posizionarsi in uno spazio libero, deve operare in piedi e non può accucciarsi o nascondersi dietro ripari. In ultimo l’uso dell’atlatl, è poco adatto per la caccia di piccole prede, quali lepri e conigli e in generale gli uccelli. Di fatto l’uso dell’atlatl, da i suoi migliori frutti negli spazi aperti, dove il lanciatore non ha difficoltà per manovrare lo strumento, e il lancio parabolico del dardo, non trova ostacoli nel suo itinerario; da i maggiori risultati nella caccia a selvaggina di grossa taglia, bersagli più facili da centrare ma più difficili da abbattere, per cui servono proiettili con grande potenza di penetrazione; infine è più utile nella caccia collettiva, dove diversi cacciatori possono usare le poche lance che ognuno può portare con se, nei confronti della stessa preda. Sono praticamente queste le condizioni che si trovano nelle Grandi Pianure, dove la caccia ai bisonti era per lo più un fatto collettivo, e ciò può forse spiegare come mai l’arco e le frecce, diffuso tra i popoli a ovest delle Montagne Rocciose, e giunto fin nelle praterie, grazie ai popoli di cultura Avonlea, che frequentavano le Highplains settentrionali, non si sia diffuso prima in tutte le Grandi Pianure e di li ancora più a est, fino nelle Foreste Orientali. Le Grandi Pianure, dove attraverso il permanere in quasi tutta l’epoca Arcaica della cultura Plano, si era in qualche modo perpetuato il modello di sussistenza dei cacciatori paleoindiani, rapresentarono il contesto ambientale e culturale più conservatore e di fatto interruppero la diffusione di una innovazione tecnologica, che poteva apparire meno determinante in quel contesto. A partire dal VI sec. d.C. questa situazione si modifica e progressivamente l’arco e le frecce entrano nella cultura dei popoli delle Grandi Pianure, prima affiancandosi all’atlatl, poi sostituendolo del tutto all’inizio del II millennio; perchè ciò sia accaduto in quel momento è difficile spiegarlo, sta di fatto che arco e frecce ridefiniscono le modalità dell’attività venatoria. Con la nuova arma, un cacciaDiverse modalità di uso dell’atlatl e dell’arco tore che portava nella sua faretra fino a venti frecce, poteva misurarsi con le grandi prede come il bisonte anche da solo; in più poteva con migliori risultati rivolgere la propria attenzione anche alle piccole prede. Di fatto arco e frecce garantiscono maggior autonomia al cacciatore singolo, quindi all’individuo rispetto ai vincoli e ai limiti imposti dalla comunità. E forse proprio le nuove opportunità di caccia, favorirono una maggior intraprendenza di singoli e piccoli gruppi nel misurarsi con un ambiente difficile come quello delle pianure, dove solo l’appartenenza ad una collettività


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strutturata garantiva la sopravvivenza. Certamente, a differenza di quanto avviene nelle Foreste Orientali, arco e frecce non si impongono accompagnando una ripresa dell’attività bellica e l’aggressività tra comunità. A quell’epoca le Grandi Pianure hanno ancora una bassa densità demografica e sia le prede animali che le risorse vegetali sono abbondanti, specialmente nelle zone settentrionali, ricche di acqua e pascoli per gli erbivori. Quindi è probabile che non sia il guerriero la figura centrale che si produce intorno all’innovazione tecnologica introdotta, ma il cacciatore. Così se all’est, sulla base della coltura del mais s’erano prodotte società fortemente strutturate intorno ad un potere teocratico e sacerdoti, e in tali società, strutturalmente aggressive, la figura del guerriero va a costituire una casta, solo un grado al di sotto di quella dei sacerdoti nella gerarchia sociale, nelle Grandi Pianure, l’introduzione dell’arco e delle frecce rafforza più l’elemento individualistico rispetto a quello gerarchico, promuovendo la figura del cacciatore, che può guidare la sua comunità in un ambiente dal quale comunque è in grado di trarre il necessario per sopravvivere, anche a prescindere dal supporto di una grande struttura collettiva. La maggiori opportunità di caccia sono certo il volano che rilanciano e amplificano la colonizzazione delle Lowlands lungo le direttive degli affluenti occidentali del Mississipi e il Missouri, ma è certo l’agricoltura, ed in particolare il mais, che stabilizzano tale colonizzazione, trasformando gli spostamenti collettivi stagionali per la caccia, in insediamenti permanenti lungo il corso dei fiumi dove è possibile seminare e ottenere raccolti. Più a ovest nelle Highlands settentrionali, dove le genti Avonlea già in possesso della tecnologia dell’arco e delle frecce, da secoli si dedicano alla caccia al bisonte, l’assenza delle pratiche agricole non produce insediamenti stabili, e quando con la cattiva stagione il clima si fa rigido e le praterie si coprono di neve, i diversi gruppi di cacciatori, fanno ritorno nelle zone di svernamento, nelle vallate riparate delle Rocky Mountais. Fu così che a partire dal IX -X secolo, grazie al mais e al bisonte le genti di cultura Sonoma stanziate sulle Lowlands tra Mississipi e Missouri, e quelle di cultura Besant stanziate a ovest del Missouri, abbandonano le abitudini seminomadi che aveva catterizzato il loro stile di vita, per trasformarsi in abitanti di villaggi stabili. Nello stesso periodo le genti Caddoan che vivevano nelle Lowlands meridionali compiono un percorso simile, iniziando a costruire stanziamenti stabili, risalendo il corso degli affluenti del Mississipi, l’Arkansas, il Red River, giungendo successivamente fino al Platte, spingendosi sempre più a ovest. Inizia così la cultura dei Villaggi delle Pianure, che si svilupperà con grande successo in tutte le Lowlands, dal Dakota al Texas settentrionale, incentrata sulle due ricchezze del mais e del bisonte, che vedrà nella prima metà del II millennio uno sviluppo demografico, quale mai si era avuto in questa regione, e che sopravviverà, tra alterne vicende, fino alla metà dell’800. Anche più a ovest nelle Highlands, in buona misura inadatte all’agricoltura, più o meno nello stesso periodo in cui a est si sviluppavano decine di insediamenti stabili, l’antica cultura nomade delle Grandi Pianure, veniva rivitalizzata dall’arrivo di nuovi popoli, gli Atapaskan provenienti dal Canada, che per oltre mezzo millennio sarebbero stati i dominatori di queste terre aspre e difficili, prima di scomparire da esse e venir quasi dimenticati. E’ quindi a partire dal IX secolo, in coincidenza con l’emergere delle culture del Mississipi, che nelle Lowlands delle Grandi Pianure inizia a prodursi uno stile di vita molto più avanzato, a cui fa seguito un significativo boom demografico. Con il supporto dell’arco e delle frecce, che nel IX secolo si erano ormai imposti, sostituendo l’atlatl, che modificando le tecniche di caccia al bisonte, valorizzava le opportunità di caccia individuale e per piccoli gruppi, e soprattutto con la coltura del mais che i quello stesso periodo diviene il principale prodotto agricolo, emerge quella che viene definita cultura dei Villaggi delle Pianure, che dal Missouri al Red River ci ha lasciato una quantità di vestigia archeologiche, e che si è mantenuta con poche mutazioni, fino alla metà del XIX secolo.

Le culture agricole delle pianure del Missouri Nella parte settentrionale delle Lowlands, la prima comparsa di questo nuovo stile di vita avviene nella zona di confine tra Iowa, Minnesota e South Dakota, dove a partire dal 900 emerge il complesso culturale definito Great Oasis. Genti Siouan riconducibili al modello di Sonota, che si era prodotta nei secoli precedenti, ma da sempre vissute in stretto rapporto con le culture Hopewell del medio e alto Mississipi, iniziano a praticare l’agricoltura, non più come risorsa accessoria ma stabilmente, anche se per il mo-


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mento si tratta ancora di piccoli orti, in cui a fianco del mais, vengono coltivati i cultigeni autoctoni, il chenopodium, il girasole, e ovviamente zucche. Le genti di questa cultura vivevano durante i mesi invernali in piccoli insediamenti costituiti da abitazioni parzialmente interrate, a base quadrata o rettangolare, con tetti di rami e frasche e pareti degli stessi materiali, ma ricoperte di terra e fango; tali insediaAbitazione in uso nelle comunità dela Great Oasis menti erano abitualmente posti su terrapieni elevati lungo il corso dei fiumi, ed erano occupati nei mesi freddi dato che durante la buona stagione, le comunità si disperdevano per dedicarsi alla caccia, vagando al seguito della selvaggina o per raggiungere gli appezzamenti alluvionali in cui seminare piccoli orti. Definitivamente abbandonato l’uso di costruire piccoli mounds funerari, queste genti usavano seppellire i defunti in cima ad alture, lontane dai villaggi; la produzione di ceramica, già nota da secoli nella regione ebbe un ulteriore sviluppo in questa fase. Tra il 1.000 e il 1.100 il modello Great Oasis scompare dalla parte orientale dell’area, nello Iowa centrale e Minnesota meridionale, per evolvere nella parte occidentale, al confine tra Nebraska, South Dakota e Iowa, in quella che è definita cultura di Mill Creek, il cui aspetto più rilevante è rappresentato dagli evidenti influssi culturali provenienti dai popoli di cultura Mississipi dell’Illinois, dove nel frattempo fioriva il grande centro cerimoniale di Cahokia. Prodotti d’artigianato, materie prime, oggetti rituali vengono scambiati tra questi abitanti delle Grandi Pianure e i popoli del Mississipi, fin oltre il 1.200 quando la cultura di Mill Creek scompare e gli insediamenti si spostano ad ovest, riducendo le relazioni con le aree orientali. Tra le ipotesi per spiegare questo spostamento si è ipotizzata la pressione esercitata dai popoli Oneota stanziati a nord-est, che avrebbero potuto frapporsi tra le genti di Mill Creek e gli abitanti di Cahokia e del medio Mississipi. E’ quasi certo che agli antenati dei Mandan storici, si debbano sia il modello Great Oasis che il successivo Mill Creek, e non è da escludere che proprio i Mandan fossero il gruppo più vicino, almeno sul piano linguistico ai misteriosi abitanti di Cahokia; la lingua dei Mandan viene considerata in qualche modo in relazione, ma diversa, da quella dei Siouan del gruppo Chiwere, di cultura Oneota, in cui eredi storici furono, i Winnebago, gli Oto, gli Iowa e i Missouri. A partire dal 1.000 a.C., anche nella zona più a monte lungo il fiume Missouri il nuovo stile di vita, che qui prende il nome di Middle Missouri, si affermò raggiungendo l’apice intorno al 1.200, dopo che gli antenati dei Mandan si spostarono a ovest, per insediarsi a ridosso di altri gruppi Siouan della regione. Quasi certamente si trattava di antenati degli Hidatsa storici, il più occidentale tra i gruppi Siouan, forse eredi della cultura Besant, che Ceramiche di tradizione Mill Creek


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Ricostruzione di un villaggo del periodo Middle Missouri

furono coinvolti nel nuovo stile di vita agricolo e sedentario. E’ in questo periodo che il numero di insediamenti aumenta notevolmente, i villaggi crescono di dimensioni, con decine di abitazioni e centinaia di abitanti, mentre l’attività agricola diviene sempre più importante, grazie anche alla selezione di mais adattato alle condizioni climatiche più rigide della regione. Le condizioni climatiche favorevoli e la crescita demografica spinsero alla colonizzazione di terre sempre più a nord, risalendo il Missouri fino all’attuale North Dakota, mentre contestualmente si riducevano le relazioni con le regioni orientali. E’ con il modello Middle Missouri, che nelle Grandi Pianure settentrionali lo stile di vita dei Plains Village si produce in modo autonomo e definito, sia sul piano della vita materiale, che dell’economia e dell’organizzazione sociale. I villaggi sul medio Missouri sono frequentemente cinti da palizzate e fossati difensivi, secondo un modello simile a quello dei contemporanei villaggi dei popoli di cultura Oneota, e probabilmente tale uso fu importato dai Mandan di provenienza orientale. Evidentemente questa abitudine, che nasce ad est per i rischi di conflitti tra comunità vicine, trova ulteriori motivazioni man mano che ci si sposta ad ovest, dove il contatto con genti sconosciute, probabilmente indusse ad un atteggiamento prudente; d’altra parte almeno nei primi secoli, tra il 1.000 e il 1.300, non sembra che l’estendersi dei Plains Village, sia stata accompagnata da violenze o attività belliche. I villaggi sono composti da decine e fino ad un centinaio di abitazioni, abitualmente a pianta quadrangolare, larghe dai 5 ai 10 metri, spesso poste parallelamente al corso di un fiume, o più tardi intorno ad una plaza centrale; è probabile che le abitazioni avessero le mura ricoperte di terra e argilla, ma che i tetti fossero ancora fatti di rami e frasche, secondo l’uso tradizionale delle regioni boscose orientali. Ogni abitazione, oltre ovviamente ad un focolare, aveva dei ripostigli, in forma di buche, nelle quali venivano immagazzinate le scorte alimentari per il periodo invernale. Progressivamente emerge l’uso di costruire una grande casa, per gli incontri e i riti collettivi, fatto che segnala il prodursi di una prima strutturazione sociale, incentrata sul ruolo dei clan famigliari. La produzione artigianale e di ceramiche, esauriti quasi del tutto i contatti con le culture Mississipi dell’est, acquisisce un carattere sempre più autonomo, rispondente ai criteri della funzionalità e della semplicità. A parte l’innovazione dell’uso di arco e frecce, non si hanno altri cambiamenti e l’attività agricola, come in tutto il Nord America, continua ad essere praticata con zappe fatte con le scapole di bisonte o di altri grandi mammiferi. Si tratta nel complesso di uno stile di vita, che non ha nulla della complessità e della ricchezza dei grandi centri cerimoniali dell’est, che concede poco all’arte e alle altre manifesta- Zappa i metallo e scapola di bisonte


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zione dello spirito umano, quali la religione e i culti dei morti, ma è anch’esso in grado di produrre le condizioni per la convivenza di diverse centinaia di individui in una singola comunità, e di tante singole comunità, l’una accanto all’altra, in una convivenza tendenzialmente pacifica. Sulla base delle ampie testimonianze etnografiche e storiche, possiamo ipotizzare che la struttura in clan matrilineari che era caratteristica di Mandan e Hidatsa, gli eredi storici dei popoli del Middle Missouri, abbia la sua origine proprio all’epoca in cui si impone, il modello di vita sedentario in grandi villaggi, sostenuti da una significativa attività agricola, di cui proprio le donne hanno il maggior carico di lavoro e responsabilità. Il sistema dei clan, che è trasversale e lega fra loro invidui che vivono in villaggi diversi, è la base per il riconoscimento reciproco ed il mantenimento di legami tra comunità diverse, che costituiscono di fatto, labili confederazioni, riunite da comuni credenze, dal medesimo sistema di clan, ma non in grado di produrre una vera e propria leadership oltre il singolo villaggio. Più difficile avere un’idea delle credenze e della vita spirituale dei popoli del Middle Missouri, dato che non è possibile sapere oggi, quanto della vita spirituale e della mitlogia dei Mandan e degli Hidatsa storici, fosse già patrimonio dei popoli del Medio Missouri; certamente il loro impianto spirituale doveva essere legato al ruolo delle figure shamaniche, intermediari tra l’individuo e il mondo soprannaturale, ai miti delle origini, alle credenze verso il mondo degli spiriti presente in ogni manifestazione naturale, oltre al patrimonio specifico di amuleti, conoscenze, riti che erano peculiari di ogni singolo clan. All’apice del suo sviluppo, nel corso del XIII secolo, la cultura del Middle Missouri, venne investita dall’arrivo di nuovi popoli, provenienti da sud, dalle terre più a valle lungo il Missouri, popoli che già erano a conoscenza delle pratiche agricole, che conducevano una vita sedentaria, con una strutturata organizzazione sociale; per ragioni a noi ignote, queste comunità si spostarono a nord lungo le rive del medio Missouri, affiancandosi ai popoli Siouan, con i quali non sembra che all’inizio i rapporti fossero ostili. Questi migranti meridionali erano certamente di lingua Caddoan, antenati degli Skidi, un gruppo dei Pawnee storici, che per primo praticò l’agricoltura nelle praterie centrali, ma una cui parte si era stanziata lungo il Missouri, al confine tra Iowa e Nebraska. Fu probabilmente la pressione dei popoli Oneota da est, a indurre questa parte degli Skidi a spostarsi a nord, divenendo poi la tribù degli Arikaree, le cui vicende storiche furono simili a quelle di Mandan e Hidatsa. E’ possibile che i nuovi arrivati, abbiano preso possesso dei siti abbandonati dai popoli del Middle Missouri, o che i diversi gruppi abbiano convissuto vicini senza conflitti e scambiandosi usi e tecniche. Ciò è particolarmente evidente per quanto riguarda le abitazioni e l’uso di fortificare i villaggi: in poco tempo le case circolari e interamente coperte di terre in uso tra i nuovi arrivati Caddoan, sostiturono le abitazioni con tetto di rami e frasche, che i Siouan avevano importato dalle terre boscose dell’est, da cui provenivano, mentre i Caddoan acquisirono l’uso di cintare di fortificazioni di pali e terra i loro villaggi, usanza che non era praticata nelle praterie del Nebraska. Con l’arrivo di questi migranti meridionali, e il modificarsi degli usi e delle tecniche, il modello Middle Missouri, viene rinominato Coalescent Middle Missouri, a significare il convivere e il mescolarsi di due diverse tradizioni culturali. E’ quindi probabile che intorno alla fine del XIII secolo tutti gli elementi caratteristici della cultura delle tribù agricole del Missouri (Arikaree. Mandan, Hidatsa), a parte ovviamente il cavallo, fossero già presenti e definiti. A quell’epoca tutta la regione del medio Missouri, era occupata da una quantità di villaggi agricoli, con una crescita della popolazione che nelle pianure mai s’era vista, e tutte queste genti potevano vivere grazie alla ricchezza dei raccolti di mais e altri prodotti agricoli, e del bisonte, che stagionalmente veniva cacciato con spedizioni collettive che si inoltravano nelle pianure. E’ probabilmente in questi antichi villaggi delle pianure che vengono ulteriormente migliorate le tecniche di un pieno utilizzo delle risorse offerte dal bisonte, che poi saranno alla base del pro- Casa di terra ancora in uso tra gli indiani storici fino al XIX secolo


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dursi della cultura storica delle praterie; di fatto molti popoli storici delle grandi praterie, i Dakota, gli Cheyenne, gli Arapaho ecc, giunsero in tempi molto recenti nelle pianure, e tutti passarono per i villaggi del Missouri, per fare scambi o per predarli, ed è possibile che il veloce affer- Ricostruzione di un villaggio della tradizione Coalescent Middle Missouri marsi tra popoli di recente migrazione, di conoscenze e tecniche comuni, sia da spiegare proprio attraverso il ruolo svolto da questi villaggi, che di fatto costituivano un riferimento culturale imprescindibile per tutti gli abitanti delle pianure. Ma all’apice del suo sviluppo, questo modello culturale subì un pesante arresto, quando all’inizio del XIV secolo i cambiamenti climatici della Piccola Era Glaciale, modificarono le condizioni della regione. I mutamenti climatici che più o meno nello stesso periodo portarono alla scomparsa di molti grandi centri del Medio Mississipi, non ebbero le stesse traumatiche conseguenze sul Missouri, dato che la presenza del bisonte, rendeva le comunità meno dipendenti dai raccolti, ma lo studio degli scheletri ritrovati nei siti archeologici, indica che in questo periodo, carestie e guerre fecero la loro comparsa tra i popoli del Missouri. La principale testimonianza di questo periodo oscuro ci vengono dal sito di Crow Creek, nel South Dakota, un sito in cui sono presenti vestigia sia della cultura Middle Missouri più antica, sia del modello Coalescent, più recente. In questo villaggio intorno alla metà del ‘300 un’intera popolazione di oltre 400 abitanti, fu massacrata, i corpi straziati, scotennati e mutilati, nel corso di una battaglia probabilmente combattuta per il controllo di terre agricole, e se quasi certamente le vittime del massacro furono genti di recente immigrazione, antenati degli Arikaree, non è chiaro chi fossero gli aggressori. In ogni caso questo periodo di crisi, che si protrasse almeno fino alla fine del XV secolo, producendo un notevole calo demografico e l’abbandono di un gran numero di villaggi, non portò alla fine di questa cultura, che anzi continuò ad espandersi nella regione, coinvolgendo nuovi popoli. Alla metà del ‘700 villaggi agricoli di case di terra, totalmente simili a quelli del Missouri, furono edificati dai Cheyenne, lungo il fiume Sheyenne, nel North Dakota, prima che i Cheyenne, continuando a spostarsi a ovest, divenissero cavalieri nomadi e cacciatori di bisonti. La cultura del Medio Missouri, visse la sua crisi definitiva alla fine del ‘700, quando devastanti epidemie portate dai bianchi falcidiarono i villaggi, mente le tribù di cavalieri nomadi, i Teton-Lakota in particolare, si imposero come dominatori delle praterie, ostacolando anche la caccia dei bisonti ai sedentari abitanti dei villaggi agricoli sul Missouri. Gli ultimi esponenti di questa cultura, rappresentati da quanto restava delle tribù Arikaree, Mandan e Hidatsa, alla metà dell’800 ottennero una piccola riserva nel North Dakota, dove ancora oggi vivono.

Le culture agricole nelle Pianure Centrali Nella vasta area delle pianure centrali, grosso modo compresa tra i fiumi Missouri, Niobrara, Platte e Arkansas le trasformazioni che in tutto il settore orientale del Nord America si realizzarono a partir dal IX secolo presero una via sotto molti aspetti diversa da quanto accadeva più o meno nello stesso periodo


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a nord, lungo il Missouri. In questa regione le pratiche agricole avevano una lunga tradizione, risalente probabilmente ai primi secoli prima dell’era cristiana, e tutta la parte orientale della regione, era stata nei secoli precedenti in stretto contatto con le culture Hopewell delle Foreste orientali, costituendo di fatto delle varianti locali di tale cultura (Kansas City Hopewell, Cooper Hopewell). Quando le culture Hopewell iniziarono a andare in crisi a partire dal V sec. d.C., il fenomeno non produsse significative modificaModello di uno stanziamento agricolo nelle pianure centrali zioni nello stile di vita della regione, sempre basato su un modello di sussistenza che integrava una attività agricola su piccola scala, la raccolta di vegetali selvatici, la pesca e la caccia alla selvaggina reperibile a breve distanza dagli insediamenti, uccelli, piccole prede, cervi, antilopi e quando possibile, bisonti. Un tale modello di sussistenza non poteva supportare comunità molto numerose, e l’insediamento tipico era quello di tutte le culture Hopewell, poche abitazioni famigliari, per raggruppamenti di poche decine di individui, posti però a breve distanza l’uno dall’altro, e quindi in grado di relazionarsi, per scambi commerciali, matrimoniali e occasionalmente la celebrazione di riti comuni. E’ su questo modello di sussistenza che si inserisce, a partire dal IX secolo l’acquisizione della coltura del mais, e quella di pochi secoli precedente dell’arco, che non modificò tale impianto, ma lo rafforzò e lo estese producendo quella che viene chiamata Central Plains Culture. Grazie alle maggiori risorse garantite dal mais, a cui ormai s’accompagnavano stabilmente zucche e fagioli, le piccole comunità tradizionali estensero la loro espansione, risalendo il corso dei fiumi che attraversano le Grandi Pianure, sfruttando le maggiori opportunità che l’arco e le frecce offrivano alla caccia individuale e di piccoli gruppi, mentre la crescita demografica portava ad una progressiva occupazione di terre fino a quell’epoca scarsamente abitate. Non si trattò di una migrazione organizzata, ne del trasferimento di intere comunità, ma semplicemente dello spostarsi, inseguendo nuove opportunità, di singoli gruppi famigliari, che non costruivano grandi villaggi, ne tanto meno li fortificavano. Tale fenomeno nell’arco di pochi secoli, si estese dalle regioni originarie dello Iowa, del Missouri occidentale e del Nebraska e Kansas orientale, fino a tutta la valle del Platte, dello Smoky Hill e Republican, per raggiungere le pianure del Colorado, punteggiate da piccoli insediamenti, ognuno circondato dai campi agricoli. Nel corso dello spostamento è probabile che venissero assunte nuove tecniche, in particolare quelle per l’edificazione delle abitazioni, dato che in questo periodo fanno la loro comparsa le grandi case ricoperte di terra, tipiche degli abitanti storici della regione, i Pawnee in particolare, anche se all’epoca avevano una struttura diversa, a base quadrangolare o trapezoidale, piuttosto che circolare. I nuovi modelli di abitazione, con la copertura in terra, garantivano un ambiente interno isolato, che proteggeva dalle elevate escursioni termiche della regione, e probabilmente necessitava di una minor quantità di legname, Ricostruzione di una abitazione delle Central Plains


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meno presente nelle grandi pianure. Rimase lo stesso invece il modello di insediamento, poche abitazioni, non più di due o tre, o anche abitazioni singole, in una vallata fluviale, a poca distanza da insediamenti simili. L’attività agricola era la risorsa prevalente di queste comunità, ampiamente supportata dalla caccia, dalla pesca e dalla raccolta, anche se non sembra che la caccia al bisonte, assumesse per questi popoli la stessa rilevanza che aveva per loro vicini del Missouri. Certamente lo stile di vita basato su piccole comunità, non rendeva possibile l’organizzazione di grandi cacce collettive, o addirittura lo spostaModello di zappa ricavata da una scapola di bisonte mento stagionale alla ricerca delle mandrie di bisonti, e l’importanza di tale animale, non doveva essere tale da determinare le abitudini di questi popoli. Va poi aggiunto che secondo diversi studiosi, la presenza di bisonti nelle regioni meridionali e centrali delle Grandi Pianure, non fu sempre così massiccia come in epoca storica. Difficile è individuare una precisa relazione tra questa cultura e le coeve culture del Mississipi, in particolare quella di Cahokia, che si sviluppava immediatamente a est delle pianure centrali; certo il solo fatto che non esistessero villaggi veri e propri, e che quindi non esistesse una complessa struttura sociale, o addirittura un impianto gerarchico, rende questa cultura profondamente diversa da quelle del Mississipi, e i contatti commerciali e gli scambi che sicuramente ci furono tra le due aree, non produssero significative conseguenze. Probabilmente a rendere meno rilevanti tali relazioni, fu anche la differenza etnica e linguistica che divideva i popoli delle due culture, Siouan, i popoli del medio Mississipi, Caddoan, quelli delle pianure centrali. A conferma di ciò il fatto che le più significative influenze nelle pianure, da parte di popoli del Mississipi, riguardano i gruppi più meridionali, nel Kansas orientale e nell’Oklahoma, dove però sono più evidenti le influenze provenienti dal sito di Spiro, nell’Oklahoma, abitato anch’esso da genti di lingua Caddoan, piuttosto che da Cahokia. Tra i popoli Caddoan storici è possibile ricercare gli eredi di questi abitanti delle pianure centrali, non tanto tra i Pawnee in genere, che abitarono la regione in tempi storici, ma le cui tradizioni fanno riferimento ad una migrazione da sud, quanto ad un gruppo specifico e linguisticamente differenziato della confederazione Pawnee, gli Skidi Pawnee, che abitavano la regione in tempi più antichi, e che sono strettamente affini a quegli Arikaree, i cui antenati si insediarono sul medio Missouri intorno al XIV secolo. Tra questi Skidi in tempi storici era presente, unico in tutto il Nord America, l’uso del sacrificio di una giovane donna, una prigioniera rapita ad un’altra tribù, per celebrare la Stella del Mattino. Tale rito, si collocava in un quadro di credenze e ad una cosmogonia, legata all’osservazione e al culto delle stelle, secondo un impianto comune a tutti i popoli di lingua Caddoan di cui abbiamo conoscenza, e che in qualche modo può essere collegato al Culto Meridionale dei popoli del Mississipi, presso cui è certo che il sacrificio umano fosse praticato in alcuni casi (testimonianze storiche tra i Natchez e gli Yuchi), e il cui sistema di credenze, quasi certamente prevedeva una osservazione e una conoscenza degli astri. Non sappiamo quanto lontano nel tempo cercare le origini dei sacrifici umani tra gli Skidi Pawnee, ma questo tipo di uso, mal si accorda con i modelli di insediamento e di organizzazione sociale delle pianure centrali, caratterizzati da piccole comunità famigliari, non in grado di produrre i complessi rituali legati al sacrificio umano, e l’assenza di quel quadro di ostilità, che legittima il rapimento e l’uccisione di una donna di un’altra comunità. Tale condizione era però destinata a cambiare, e probabilmente la particolare usanza degli Skidi, si produsse in coincidenza con tale cambiamento. Lo stile di vita delle pianure centrali, ha lasciato le sue maggiori testimonianze nel periodo che va tra il X e il XIII secolo, con manifestazioni più tarde man mano che ci si sposta verso ovest. A partire dalla fine del XIII secolo, la quantità di insediamenti si riduce nella parte orientale della regione e a partire dal XIV lo stesso avviene nella parte occidentale. Nelle regioni orientali la riduzione della presenza di siti Central Plains, si accompagna al manifestarsi di popoli di cultura Oneota, che provenendo dalle re-


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gioni a ovest del lago Michigan, progressivamente si insediano nelle Lowlands ad ovest del Mississipi, dove ancora risiedevano in tempi storici. Questi gruppi di cultura Oneota, erano antenati dei Siouan del gruppo Chiwere, gli Iowa, i Missouri, gli Oto e i Winnebago (questi ultimi invece rimasero nelle loro sedi orientali). Questi Siouan da tempo erano usi a vivere in villaggi fortificati in cui risiedevano centinaia di abitanti, usavano costruire capanne di rami e frasche senza copertura in terra, organizzavano stagionali cacce collettive al bisonte, e probabilmente avevano una maggiore propensione aggressiva. Lo spostamento a sud-ovest dei Siouan Oneota, va certamente messo in relazione sia all’opportunità di trovare una maggior quantità di bisonti, sia soprattutto ai cambiamenti climatici che a partire dalla fine del XIII secolo investirono gran parte del Nord America, contribuendo al declino dei maggiori centri di cultura Mississipi. Visitate le terre a ovest del Mississipi per brevi periodi durante la stagione venatoria, questi popoli vi si sarebbero trasferiti, quando nelle loro terre più a nord, le condizioni per l’agricoltura si resero più difficili. L’impatto di questi popoli, con una organizzazione più coesa e una maggiore aggressività, potrebbe aver portato all’abbandono delle terre migliori gli antichi abitanti Caddoan delle Lowlands. Nella parte occidentale del territorio, le Highlands del Nebraska, Kansas, Colorado, zone di recente colonizzazione agricola, nello stesso periodo, i cambiamenti climatici, con inverni più freddi ed estati più calde potrebbero aver reso più difficili le condizioni di vita per le comunità Central Plains, portando al progressivo abbandono della regione, che proprio in quello stesso periodo vedeva l’arrivo di nuovi popoli di lingua Atapaskan dalle terre settentrionali. Tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV, il modello di vita delle Central Plains fu quindi scosso da una serie di cambiamenti che si accompagnarono a spostamenti e migrazioni: quelle dei Siouan Oneota da nord-est, l’arrivo degli Atapaskan da nord, il trasferimento verso il Missouri di gruppi Skidi, antenati degli Arikaree, e infine il probabile arrivo di genti Caddoan da regioni meridionali, l’area tra Colorado, Panhandle dell’Oklahoma e Texas nord-occidentale, dove i cambiamenti climatici rendevano la vita difficile. Quest’ultimo trasferimento di popoli potrebbe trovare conferma nelle tradizioni dei gruppi Pawnee, giunti più recentemente (Cahui, Kitkehaki, Pittahuerat) presso cui è presente una tradizione di origini sud-occidentali. Il risultato di questo rimescolamento fu l’emergere di un nuovo stile di vita, rappresentato dai Pawnee storici, il cui stanziamento era nella regione centrale di quella che un tempo era l’area di cultura Central Plains, tra i fiumi Republican e Niobrara ed in particolare nella valle del Platte. Nasce così il modello culturale storico dei villaggi delle pianure centrali, con insediamenti più consistenti e comunità più grandi, in grado di difendersi da popoli vicini, con l’uso di organizzare cacce collettive stagionali al bisonte, durante le quali i villaggi di case di terra erano abbandonati, e con una conseguente maggior dipendenza dalla caccia al bisonte. Di questo cambiamento c’è testimonianza nel mito Skidi di Uomo Chiuso, il capo che avrebbe riunito le disperse comunità Caddoan delle pianure centrali, insegnando loro a vivere in villaggi, e organizzando la loro alleanza. Il mito di Uomo chiuso è riferibile al XVI secolo, o forse ad un periodo di poco precedente, e significativo è il fatto che nel mito si narra del rifiuto dei gruppi settentrionali a partecipare all’alleanza, dato che tali gruppi, gli antenati degli Arikaree, già da tempo spostatisi sul medio Missouri, avevano appreso l’uso di vivere in villaggi fortificati ed erano garantiti nella loro sicurezza. In conclusione è possibile affermare che tra il XV e il XVI secolo si era definito in parte il quadro storico delle praterie centrali, con il settore orientale, nel bacino del basso Missouri, abitato da genti Siouan Chiwere di cultura Oneota (Iowa, Oto, Missouri), la parte centrale, il bacino del Platte dai diversi gruppi Pawnee (Skidi, Pittahuerat, Kitkehaki, Cahui), eredi della tradizione Central Plains, e le regioni occidentali con la recente occupazione di popoli Atapaskan antenati di gruppi Apache storici (Lipan e Jicarilla). Di li a poco, a partire dal XVII secolo, questo quadro si sarebbe di nuovo modificato, con l’arrivo di nuovi emigranti Siouan dalla valle dell’Ohio (i Degiha, antenati di Quapaw, Osage, Kansa e Poncha), in fuga dalla devastante Guerra del Castoro, e ancor di più successivamte con l’arrivo delle tribù nomadi storiche, i Lakota, i Nakota, i Cheyenne, gli Arapaho, i Kiowa, i Comanche.

Le culture agricole nelle Pianure Meridionali Nelle Grandi Pianure meridionali, la regione che si estende dal bacino del fiume Arkansas verso sud, lo sviluppo dell’agricoltura e il conseguente prodursi di uno stile di vita sedentario o semisedentario,


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assunse caratteristiche diverse in relazione alla diversità ambientale. In particolare questa regione è caratterizzata da una più evidente differenziazione climatica e ambientale, tra le Lowlands orientali e le Highlands occidentali. Le Lowlands a ovest del Mississipi, negli attuali stati dell’Arkansas, Louisiana e Texas orientale, data la latitudine e l’influenza dell’aria umida proveniente dal Golfo del Messico, hanno un clima temperato umido, che permette al ricco e vario ambiente forestale delle Terre Boscose del sud-est, di estendersi più a ovest, rispetto alle regioni poste a nord del Missouri. Ciò fa di questa area un luogo Due immagini delle pianure meridionali: la fertile valle del Sabine dalle condizioni climatiche e ambientali tra river, nel Texas orientale (sopra) e quella dell’Antelope creek, nel i migliori per lo sviluppo dell’agricoltura; e Texas nord-occidentale (sotto) infatti quest’area fu sede della più occidentale tra le culture del Mississipi, quella degli antenati dei Caddo storici. Tra i Caddo il modello culturale si mantenne senza subire crisi evidenti, almeno fino al primo contatto con gli Europei, intorno alla metà del XVI secolo: in quest’area infatti furono evitate le conseguenze di quei cambiamenti climatici, che a partire dal XIV secolo, portarono alla crisi dei principali centri della cultura Mississipi posti più a nord. A fronte delle condizioni ideali di queste Lowlands meridionali, procedendo più a ovest, nella regione che va dal Kansas e Texas centrale fino ai monti del Colorado e del New Mexico, le condizioni cambiano in modo significativo e la bassa latitudine che permette un clima più caldo, si accompagna a minori precipitazioni, producendo un ambiente via via più secco, che nella parte occidentale, l’altopiano delle Staked Plains, diviene addirittura semiarido, e in cui anche i numerosi corsi d’acqua che scendono dalle Rocky Mountains, hanno una portata d’acqua minore e più discontinua rispetto alle regioni del nord. Date queste condizioni generali, risulta plausibile l’ipotesi di molti studiosi, che questa regione, da cui ci giungono le prime testimonianze dei Paleoindiani (Clovis, Folsom ecc...), dopo il definitivo ritrarsi dei ghiacci e il progressivo aumento della temperatura, abbia visto progressivamente ridursi la fauna ed in particolare le mandrie di bisonti, che sembrano essere scomparse del tutto per lunghi periodi. Così, se nelle regioni orientali il filo rosso dell’evoluzione culturale è un continuum senza soluzione di continuità, dalla fase Arcaica fino alle complesse culture Mississipi dei popoli Caddoan, nel settore occidentale delle praterie meridionali, dopo l’epoca paleoindiana, le testimonianze si riducono drasticamente lasciando pensare ad un quasi totale spopolamento della regione. In quest’area quindi le sole acquisizioni tecnologiche, l’arco e le frecce, e la nuova coltura del mais, non sarebbero bastate a produrre lo sviluppo di società agricole come nelle ragioni più a nord, se non accompagnate da migliori condizioni climatiche e ambientali. Tali condizioni evidentemente si produssero a partire dal ‘900- 1.000 d.C., come dimostrerebbe il ritorno delle mandrie di bisonti nella regione, e proprio il ritorno dei bisonti dovette essere l’elemento che permise una colonizzazione della regione e un significativo aumento demografico, per tutto il periodo tra il’X e il XV se. d.C. Fu così che a partire da quell’epoca, fanno la prima comparsa nelle pianure tra il Red River e il Canadian, i primi villaggi agricoli; questi insediamenti all’apice dello sviluppo, nel corso del XIII secolo, in quella che è una delle zone in cui si sono trovate maggiori testimonianze, la valle del fiume Washita, giungevano a raccogliere diverse centinaia di abitanti. Il modello di sussistenza era simile a quello di tutti gli abitanti delle pianure, basato sull’integrazione di attività agricola, raccolta di vegetali selvatici e caccia,


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ma data le minori precipitazioni e la conseguente maggior precarietà dell’attività agricola, la caccia al bisonte svolgeva un ruolo molto più importante, rispetto a quanto accadeva nelle praterie centrali. Anche il modello di insediamento era diverso, dato che si costruivano veri e propri villaggi, con oltre venti abitazioni famigliari. Le abitazioni erano diverse, non le case di terra dei loro vicini settentrionali, ne le grandi capanne d’erba a forma di cupola dei Caddoan di cultura Mississipi che vivevano a est, ma capanne a base quadrangolare, abitante da famiglie nucleari di massimo 8-10 componenti, costruite con rami e frasche e dalle pareti intonacate con fango e argilla. Al centro di molti villaggi sono state ritrovate tracce di terrapieni circolari, circondati da quattro strutture seminfossate; non si tratta di veri mounds, come quelli del MissisOggetti provenienti da siti archeologici del Washita river: una semplice ceramica di produzione locale (sopra); un ornamento sipi, ma sicuramente svolgevano una funcerimoniale con raffinate decorazioni di chiara provenienza zione analoga, come luogo per i cerimoniali orientale (sotto) collettivi, a dimostrazione del prodursi di una più strutturata coesione sociale. Altri elementi che denotano un’influenza delle culture orientali del Mississipi, ed in particolare del centro cerimoniale di Spiro, nell’est dell’Oklahoma, è testimoniato dalla presenza di oggetti, principalmente legati al culto, che fanno ipotizzare credenze legate all’osservazione del mondo astrale, alle stelle, al Sole alla Luna; un simile impianto era presente anche fra i Caddoan delle pianure centrali, ed è quindi probabile che tutti i popoli Caddoan condividessero un comune complesso di credenze, la cui origini ed espressione più strutturata doveva trovarsi fra i Caddoan di cultura Mississipi del Texas, ma che aveva anche espressioni periferiche e più semplici tra i Caddoan delle pianure. A partire dalla fine del XII secolo, lo stile di vita agricolo si estese ulteriormente a ovest, fin sull’alto corso del fiume Canadian, una regione che anche oggi, malgrado le tecnologie moderne, è tra le meno adatte all’agricoltura. Le maggiori testimonianze di questo stile di vita agricolo, sono state trovate nella valle dell’Antelope Creek, con un gran numero di insediamenti singoli e di villaggi. In questa zona, al margine dell’area di influenza dei popoli Pueblo del New Mexico, il modello di costruzione delle abitazioni cambia ulteriormente, sia per l’uso di pietre per l’edificazione delle pareti, sia per la costruzione di strutture più grandi, con decine di camere collegate l’una all’altra, anche se, specialmente nell’ultima fase, l’uso di abitazioni singole sembra prevalere. L’uso di costruire case in pietra, e soprattutto veri e propri edifici che potevano ospitare più gruppi famigliari, è nelle Grandi Pianure, una novità assoluta e un fatto circoscritto a questo periodo storico, e che è riscontrabile solo nella coeva e affine cultura di Apishapa del Colorado; dopo questo periodo, l’unico altro caso di costruzione in pietra nelle pianure, è il Pueblo di El Quartelejo, nelle pianure del Colorado, costruito nella seconda metà del ‘600 da indiani fuggiti dalla regione del Rio Grande a causa degli Spagnoli. L’influenza degli indiani Pueblo che vivevano a ovest, non si manifesta solo nell’edificazione delle abitazioni di pietra, dato che nei villaggi fanno la loro comparsa ceramiche ed altri manufatti di evidente produzione occidentale. E’ così che questi villaggi di pionieri, svolsero anche un ruolo di relazione e in-


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Ricostruzione di un insediamento agricolo, nell’alta valle del fiume Canadian

termediazione, tra le due più grandi culture agricole del Nord America, quella orientale del Mississipi, e quella sud-occidentale dei Pueblo. In gran parte dell’Oklahoma centro-occidentale, fino al nord-ovest del Texas, villaggi e singole fattorie, crescono nelle valli fluviali, dove c’è acqua per l’agricoltura e legname, accompagnando la crescita demografica. Tale processo si interruppe metà del ‘400, quando in tutta l’area gli insediamenti vennero abbandonati nell’arco di pochi decenni, al punto che quando i primi bianchi raggiunsero la regione, con la spedizione spagnola di Francisco de Coronado del 1541, nella regione non c’era più traccia di attività agricola, e i pochi abitanti da loro incontrati erano nomadi Apache, solo da poco giunti nella regione. L’esaurirsi di questi villaggi agricoli, fu di poco successivo al periodo di cambiamenti climatici della Piccola Età del Ghiaccio, che determinò la crisi di molti dei principali potentati agricoli a latitudini più settentrionali. E’ possibile che il raffreddamento climatico che potrebbe aver causato l’abbandono di Cahokia e altri centri cerimoniali a nord, possa avere determinato, una riduzione delle precipitazioni in quest’area, colpendo la già debole attività agricola e inaridendo i pascoli dei bisonti, riducendo così anche le opportunità della caccia. Alcune annate di raccolti negativi, il progressivo spostarsi a nord delle mandrie di bisonti, in pochi decenni potrebbero aver portato all’abbandono della regione; l’eventuale riduzione della presenza di bisonti nell’area, è comunque un’ipotesi di cui mancano le prove, e tale riduzione, se pur possibile, dovrebbe essere stato un fenomeno circoscritto nel tempo, dato che alla metà del XVI secolo, quando gli Spagnoli visitarono le praterie meridionali, vi trovarono mandrie in abbondanza. Certamente a rendere difficile la vita nella regione può essersi aggiunta la presenza di nomadi Atapaskan, che giungevano da nord lungo le pendici delle Rocky Mountains; questi Atapaskan, che più tardi, una volta acquisito il cavallo, sarebbero divenuti temibili predoni, a quell’epoca dovevano essere solo poveri migranti, ma certo con il loro arrivo nella regione la competizione si fece più dura. Quali che siano state le cause, sta di fatto che più meno in coincidenza con la fine dei villaggi della tradizione Washita e Antelope creek, un nuovo modello di insediamento si afferma più a nord, nelle pianure centro meridionali del Kansas, ed in particolare nella regione della Great Bend del fiume Arkansas. Ancora una volta cambia il modello di costruzione delle abitazioni dato che questi popoli, evidentemente, antenati delle diverse tribù Wichita storiche, usavano capanne d’erba cupoliformi. E’ probabile che questa abitudine fu mutuata dai Caddoan del Texas orientale, la cui cultura a quell’epoca si esprimeva ai massimi livelli, e che i nuovi venuti dalle terre meridionali, abbiano utilizzato tale tecnologia, da secoli in uso tra gli abitanti del vicino del centro cerimoniale di Spiro, più a valle lungo il corso del fiume Arkansas. Nel 1542 lo spagnolo Francisco de Coronado, alla ricerca delle favolose “7 città d’oro di Cibola”, partito dal Messico, raggiunse i Pueblo del Rio Grande, da cui seppe della meravigliosa città di Quivira, dove avrebbe trovato l’oro che cercava. Quivira era in realtà un grande villaggio agricolo dei Wichita, in cui


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Quivira, visitata da Coronado alla metà del ‘500, non doveva apparire molto diversa da questo villaggio Wichita. riprodotto in un disegno del XIX secolo

Coronado non trovò oro, ma con la sua impresa fu il primo a dare notizie dello stile di vita degli antichi agricoltori delle pianure. Quivira e altri simili villaggi si mantennero fino alla fine del ‘700, quando i Siouan Osage, dopo aver abbandonato la valle dell’Ohio, si insediarono nelle praterie meridionali, attaccando gli originari abitanti di lingua Caddoan, e obbligando i Wichita a far ritorno nelle terre meridionali da cui venivano. L’espressione più periferica dello sviluppo agricolo nelle Grandi Pianure è rappresentato dalla cultura di Apishapa, che è di poco precedente quella di Antelope Creeck e del Washita, a partire dal X secolo, e di cui sono state trovate testimonianze nelle pianure del Colorado sud-orientale, per poi scomparire entro la fine del XV secolo. Apishapa è il nome di un affluente meridionale dell’Arkansas, dove sono stati trovati decine di siti di questo modello culturale, che aveva molti aspetti in comune con le culture del di Antelope Creeck , ma era anche in contatto e influenzata, dai popoli delle pianure centrali, in particolare quelli che vivevano lungo il fiume Republican. In comune con i popoli di Antelope Creeck c’era l’uso di costruire case in pietra, anche se in quest’area erano a base circolare o ovoidale, gli insediamenti erano abitualmente piccoli e sparsi, due o tre case vicine, o più raramente, complessi unici con più stanze, posti nella parte alta di canion, a dominare i campi coltivati in vicinanza dell’acqua al fondo dei canion; si trattava per lo più di piccoli campi, orti di fatto, che garantivano risorse alimentari integrative, ma non centrali per l’economia di questi popoli, che dipendevano in maggior misura dalla caccia di bisonti e di altre prede medio grandi (cervi, antilopi, pecore bighorn) e dalla raccolta di vegetali selvatici. Lontano da ogni influsso delle culture orientali del Mississipi, certi erano invece i contatti con i Pueblo occidentali, ma tali contatti, che certo producevano qualche scambio di manufatti ed in particolare di ceramiche, non erano tali da far pensare ad una vera e propria affinità etnica tra i due gruppi. Più evidenti sono le relazioni e le affinità, specialmente sul piano dei manufatti, con i popoli delle pianure centrali, ed è probabile che proprio da quest’area le genti Apishapa abbiano origine, e che proprio in quell’area abbiano fatto ritorno alla fine del XIV secolo, quando i loro insediamenti scompaiono. Le ragioni di tale scomparsa sembrano in questo caso evidentemente da ricercarsi nell’arrivo degli Atapaskan da nord, dato che il progressivo scomparire dei siti Apishapa, coincide con la sempre maggior presenza di testimonianze di villaggi di tepee (tende coperte di pelli, tipiche dei nomadi), a partire dalla metà del ‘300. Quasi certamente questi Apishapa, erano parte di quei diversi popoli di lingua Caddoan, antichi abitanti delle pianure, da cui emersero le tribù Pawnee, e abbandonando le praterie del Colorado, essi quasi certamente si spostarono a est e a nord-est. La vicenda delle pianure meridionali, ricostruite attraverso il lavoro degli archeologi, può essere confrontata con le scarse reminiscenze dei più anziani tra i Pawnee, raccolte da etnologi e storici nella seconda metà dell’800. Secondo una convinzione diffusa tra i membri dei gruppi Cahui, Pittahuerat e Kitkehaki, essi sarebbero giunti nella valle del Platte in un passato indefinito, ma abbastanza recente da essere ancora nella memoria e nella tradizione orale. Sempre secondo questa tradizione, prima essi sa-


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rebbero vissuti a sud, insieme ai Wichita, e i due gruppi avrebbero deciso di spostarsi a nord per seguire i bisonti, ma lungo la strada una parte, i Wichita, avrebbe deciso di fermarsi, mentre altri i Pawnee avrebbero continuato fino nelle loro sedi storiche. Particolarmente interessante è che alcuni tra i più anziani facevano riferimento ad una loro antica sede, non a sud ma a sud-ovest, dove un tempo essi avrebbero vissuto in case di pietra: il riferimento a case di pietra, insolito per abitanti delle Grandi Pianure, può essere una reminiscenza degli insediamenti sull’Antelope Le caratteristiche grandi capanne d’erba, ancora in uso tra i Caddo, i Kikhay e i creek e di Apishapa . Wichita, alla fine del XIX secolo Anche alla luce di questa narrazione è altamente credibile che gli abitanti dei villaggi agricoli delle pianure meridionali, siano stati antenati dei Wichita e dei Pawnee, all’epoca forse costituenti un’unica entità etnica e linguistica, che insieme questi gruppi si siano spostati a nord, dopo l’abbandono dei villaggi agricoli tra il Red e il Canadian, separandosi e differenziandosi linguisticamente all’inizio del XVI secolo; a quell’epoca i due gruppi già divisi, mantenenevano ancora relazioni, come dimostrerebbe il fatto che durante la sua permanenza a Quivira, Coronado avrebbe accompagnato un gruppo di capi, a visitare gli Harahey, un popolo affine che secondo le ricostruzioni viveva a nord, sul corso del Kansas river. Se come si ritiene gli Harahey erano Pawnee, ciò significa che essi a quell’epoca ancora non avevano raggiunto le sedi storiche sul Platte e non si erano ancora riuniti con gli Skidi, ai quali quindi va riferita la cultura agricola sviluppatasi nei secoli precedenti nelle pianure centrali.

Le culture non agricole delle Grandi Pianure La sintetica panoramica dello sviluppo delle culture agricole nelle Grandi Pianure, non esaurisce il quadro di tutta questa ampia regione, dato che una vasta parte di essa, nelle zone più settentrionali, e in gran parte di quelli occidentali e meridionali, non fu interessata da tale sviluppo. Laddove le preesistenti culture erano aliene dalla pratica dell’agricoltura, la conoscenza del mais, anche quando fu uno stimolo a modificare in parte i le proprie abitudini, non ebbe alcuna conseguenza sui modelli di sussistenza, di stanziamento e sull’organizzazione sociale; quanto all’arco e le frecce, nella parte nord-occidentale delle Grandi Pianure non fu nemmeno un’innovazione dato che quest’arma era nota da secoli. L’impressione è che mentre si sviluppavano le culture agricole degli abitanti dei villaggi nelle pianure orientali e lungo il corso di molti fiumi, altri popoli rimanevano in una condizione di conservatorismo culturale, in cui alcuni cambiamenti nelle tecniche artigiane o nella ceramica, permettono agli addetti ai lavori di individuare fasi diversi nello sviluppo, di un modello culturale sostanzialmente immutato. A ciò va aggiunto che in vasti territori, l‘assenza di villaggi e insediamenti stabili, lo stile di vita nomade svincolato dall’agricoltura, la probabile bassa densità demografica, non hanno offerto significative scoperte archeologiche in grado di darci una sufficiente quantità di informazioni sullo stile di vita di queste genti. Infine va rilevato che molte delle culture non agricole delle Grandi Pianure fanno una breve apparizione al tempo dei primissimi contatti con i bianchi, o addirittura scompaiono ancor prima di tale contatto, soppiantate dall’imporsi della cultura nomade del cavallo e del bisonte, già nel corso del ‘600. Quindi per completare il mosaico delle culture delle Grandi Pianure prima del contatto, è possibile solo tentare di mettere in relazione le scarse notizie derivanti dai primi contatti con l’uomo bianco, con le poche conoscenze prodotte dal lavoro degli archeologi, nella coscienza che tale lavoro di ricostruzione ha probabilmente valore puramente ipotetico. In realtà l’unico elemento di dinamismo e innovazione che si produce a quest’epoca nelle Grandi Pia-


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nure, in contemporanea alla nascita delle diverse culture agricole, è rappresentato dall’arrivo, a partire dal X secolo e fino all’epoca dell’arrivo dei primi esploratori spagnoli, di un movimento migratorio da nord di popoli di lingua Atapaskan, antenati dei gruppi Apache storici degli Jicarilla e dei Lipan, che per un lungo periodo occuparono gran parte delle praterie più occidentali Le aree delle Grandi Pianure che rimasero estranee allo sviluppo agricolo, sono tre, con ambienti e caratteristiche diverse: l’area settentrionale tra l’alto corso del Mississipi e le Rocky Mountains, le Highplains occidentali, e pianure del Texas; in tutte e tre queste regioni i popoli che l’abitavano o in pochissimo tempo adattarono il loro stile di vita alle nuove opportunità offerte dalla diffusione del cavallo, o semplicemente si estinsero in contemporanea all’imporsi di tale cultura.

Dall’alto Mississipi alle Rocky Mountains In una sommaria descrizione di questa vasta parte delle Grandi Pianure, l‘area di cui abbiamo maggiori elementi per ricostruirne le condizioni, è quella a nord-est del medio corso del Missouri, dalle aree forestali delle sorgenti del Mississipi, fino al lago Winnipeg a nord, con il centro nel bacino del Red River, una zona intermedia in cui le foreste ricche di laghi ed acquitrini, si diradano progressivamente verso ovest, trasformandosi in praterie erbose, dove i bisonti trovano il loro ambiente ideale. Posta al centro di due diverse aree di influenza, quella Oneota a est, nel Wisconsin e nel Minnesota meridionale, e quella del Middle Missouri a ovest, questa zona fino all’VIII secolo, fu in larga misura parte del complesso culturale Sonota, un’espressione dell’influenza della cultura Hopewell nelle pianure. Anche dopo la fine delle culture Hopewell, gli abitanti di quest’area continuarono ad incentrare i loro interessi verso le aree forestali a est più ricche di risorse, conducendo uno stile di vita in continuità con quello delle culture più antiche delle Foreste Orientali, e mantenendo rapporti di scambio con le culture di questa area, rimanendo sostanzialmente marginali rispetto alle praterie dei bisonti che si estendevano nella parte occidentale della zona. In quest’area gli insediamenti erano comunità semistanziali, poste in prossimità di laghi e fiumi, in villaggi di capanne fatte di rami e frasche, spesso circondati da palizzate, così come praticavano gli Oneota. Gli abitanti di questi villaggi vivevano raccogliendo vegetali selvatici, pescando e cacciando i mammiferi e la grande varietà di uccelli palustri, e forse praticando un po’ di agricoltura in piccoli orti. Tra i vegetali selvatici, centrale era il riso selvatico, una graminacea che cresce in acquitrini e anse dei fiumi, i cui semi venivano raccolti battendo le spighe direttamente nelle canoe. In questo modello di sussistenza, caratteristico delle zone forestali, almeno i gruppi più occidentali inserivano l’uso di periodici spostamenti stagionali nelle praterie limitrofe per cacciare il bisonte, e certo tale uso favorì il progressivo adattamento di piccole comunità alla vita delle praterie. Sul piano dell’espressione artigianale, forte era l’influenza delle culture orientali, con le quali c’erano scambi fin dai tempi della rete commerciale Hopewell, e tali influenze si mantennero anche nei secoli successivi, come testimoniato dalla produzione di ceramica e in oggetti cerimoniali con simboli, quali l’Uccello del Tuono, rappresentati secondo modelli tipici delle culture del Mississipi. Non mancava l’uso di costruire piccoli tumuli, sia per uso funerario, sia come effigy mounds, secondo lo stile Oneota. Queste culture, con le loro tante specificità locali, in particolare nella produzione di ceramiche, vengono ricondotte a due modelli, quello detto Black Duck, nella zona a ovest del lago Superiore, e più a sud quello detto Psinomani, una parola Dakota, che significa “raccoglitori di riso selvatico”. Rappresentanti tipici di questi modelli erano certamente gli antenati delle diverse tribù conosciute con il nome collettivo di Sioux, i Santee (Dakota), che vivevano nelle foreste alle sorgenti del Mississipi, gli Yankton (Nakota) a nordovest di questi, nella zona di confine tra La raccolta del riso selvatico


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foreste e praterie a ovest del lago Superiore, e infine i Teton (Lakota), i più poveri e marginali, stanziati al limite delle Grandi Pianure nel Minnesota centrale, che erano i meno stanziali e i più dipendenti dalla caccia al bisonte. Al tempo del contatto, questi tre gruppi costituivano la Confederazione dei 7 Fuochi, una struttura politica che raccoglieva quattro gruppi tribali Santee (Mdekwanton, Sisseton, Whapeton, Whapekute), due Yankton (Yankton e Yanktonay) e i Teton. Proprio questi ultimi, i più poveri e marginali, sarebbero stati i primi a spostarsi nelle pianure nel corso del XVII secolo, divenendo la più potente e bellicosa tribù delle Grandi Pianure. Altri due popoli, la cui storia è strettamente collegata a quella dei Teton, sono i Cheyenne e gli Arapaho le cui sedi più antiche di cui siamo a conoscenza, erano lungo il fiume Red River e a Ceramica Blackduck (sopra) sud del lago Winnipeg, dove conducevano un modello di vita simile a e Psinomani (sotto) quello delle tribù della Confederazione dei 7 Fuochi, praticando anche un po’ d’agricoltura. Nella regione più a nord, nella zona dove i grandi laghi Winnipeg, Winnipegosis e Manitoba segnano il confine tra la zona forestale e lacustre dell’est e le praterie dell’ovest, le notizie storiche sono praticamente assenti e i riscontri archeologici scarsi. Durante la fase precedente, fino al IX secolo, tale area fu culturalmente marginale e forse zona di contatto tra popoli di cultura diversa, quelli di provenienza occidentale e meridionale, del complesso Sonota-Besant di lingua Siouan, e gli abitanti delle foreste e paludi orientali, Algonquian riferibili al Laurel complex. E’ però certo che in un momento imprecisato, tra il X e il XV secolo, gruppi Algonquian, antenati dei Blackfoot storici, si siano spostati da est nelle pianure, acquisendo progressivamente uno stile di vita totalmente incentrato sulla caccia al bisonte. A differenza di altre tribù storiche, nelle tradizioni dei Blackfoot non c‘è memoria di un’altra loro sede fuori dalle Grandi Pianure, a parte un generico riferimento a una lontana provenienza da terre orientali, peraltro confermato dall’appartenenza dei Blackfoot al gruppo linguisttico Algonquian; all’interno di tale riconosciuta appartenza, i Blackfoot parlano però una lingua che si differenzia notevolmente da quella di altre tribù Algonquian, anche da quelle dei loro vicini (e nemici) Cree e Ojibway. A ciò va poi aggiunto che i primi esploratori e commercianti Francesi che visitarono l’area del lago Superiore nel corso del ‘600, non danno alcuna notizia dei Blackfoot, che evidentemente dovevano già da tempo trovarsi più a ovest nelle Grandi Pianure. Un ulteriore elemento che potrebbe confermare l‘antichità dello stanziamento dei Blackfoot nelle pianure, potrebbe essere nella prima testimonianza della loro esistenza, fatta alla fine del ‘600 da cacciatori Cree a Harry Kelsey, un mercante della Hudson Bay Company: i Blackfoot vengono definiti “popolo senza canoe”, a dimostrazione della perdita di contatto con le regioni di laghi e paludi dell’est. L’arrivo degli antenati dei Blackfoot nelle pianue settentrionali, coincide con l’emergere di un modello culturale definito “Old Women phase, caratterizzato da punte di freccia e ceramica particolari; il nome Old Women fa riferimento ad un sito archeologico in Alberta, l’Old Women Buffalo Jump, usato dall’epoca Arcaica e fino ai tempi storici, da diverse orde di cacciatori nomadi. Le punte di freccia ritrovatevi a livello superficiale, sono evidentemente riconducibili ai Blackfoot storici e databili circa al XIII secolo, e si sovrappongono a reperti di cultura Besant, e in piccolo misura Avonlea, fino ad altri ancora Il sito archeologico di Old Women Buffalo Jump


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più antichi, risalenti all’era Arcaica e al primo millennio a.C. Sono forse proprio le punte di freccia a fornirci una ragione dello spostamento a ovest dei Blackfoot, che entrati in possesso della tecnologia dell’arco e della freccia, grazie ad essa poterono dedicarsi alla caccia al bisonte; i Blackfoot furono quindi i primi, tra i rappresentanti tipici delle Grandi Pianure storiche, ad insediarsi nella regione, secoli prima che il cavallo desse impulso allo svbiluppo culturale dell’area.

Gli Atapaskan nelle Grandi Pianure Occidentali Salvo che nelle zone meridionali, dove sono testimoniate le brevi e circoscritte penetrazioni di agricoltori Caddoan, tutta la fascia delle Highplains ai piedi delle Rocky Mountains, dal Saskatchewan all’Arkansas, rimase sostanzialmente estranea alle pratiche agricole, e anche scarsamente influenzata dalle culture agricole dell’est, con uno stile di vita originale e originario. In quest’area il modello culturale Avonlea, quasi certamente espressione di genti Shoshonean, provenienti dalle terre a ovest delle Rocky Mountains fu parzialmente soppiantato, o comunque ridusse la sua area di influenza, per il progressivo comparire di genti diverse che si imposero e misero ai margini i popoli Shoshonean. Si è già detto dell’avanzare da est a partire dal X secolo degli antenati dei Blackfoot, che raggiunsero le terre alle pendici delle Rocky Mountains tra il XII e il XIII secolo. Prima ancora del loro arrivo l’area fu attraversata da orde di migranti Atapaskan che giungevano da nord, e che al tempo del contatto con gli Spagnoli, nel XVI secolo, avevano raggiunto le pianure del Texas. Tra il IX e il X sexolo d.C, due flussi migratori di genti Atapaskan si spinsero a sud: il primo dalle sorgenti dello Yukon, a ovest delle Rocky Mountains, si infiltrò tra le popolazioni di più antico stanziamenti, lasciando tracce del proprio passaggio con piccoli gruppi di tribù di lingua Atapaskan in Columbia Brittannica, alla foce del fiume Columbia, fino all’Oregon e alla California settentrionale; il secondo fu quello che diede origine agli Apache e Navajo storici delle regioni del Sud-Ovest. Le antiche origini degli Apache e dei Navajo, vanno ricercate in una regione alle pendici orientali delle Rocky Mountains, tra queste, il lago Athabaska, e l’alto corso del Saskatchewan, dato che la loro maggior vicinanza linguistica, è con i Chipewyan e gli Tsatinna (Beaver), che abitavano questa regione. Non ci sono grandi segnali della presenza degli Atapaskan nelle pianure almeno fino al XIV secolo, e solo a partire dalle pianure del Wyoming, mentre poco sappiamo dei secoli precedenti, e sulla prima parte di tale spostamento dalle zone più a nord. Ciò che è certo è che nelle praterie gli Atapaskan raggiunsero le terre del sud, solo nel XV secolo, poco prima dell’arrivo degli Spagnoli, mentre invece la presenza di gruppi Atapaskan nel sud-ovest (Nuovo Messico e Arizona), è ipotizzata a partire dal XIII secolo. E’ quindi possibile, che i flussi migratori degli Atapaskan, si siano differenziati lungo il tragitto, con una parte che scelse la via lungo le pendici occidentali delle Rocky Mountains, raggiungendo per prima il sud-ovest, e l’altra che continuò lungo le pendici orientali, giungendo nel Texas solo nel XV secolo. La divisione tra i due gruppi può essere avvenuta nella regione di South Pass, nel Wyoming, o forse più a nord, e può essere stata possibile per popoli nordici, attrezzati a sopportare climi rigidi, e quindi anche a misurarsi con l’attraversamento dei valichi montani. Gli Atapaskan che discesero a sud lungo le pendici orientali delle Rocky Mountains, erano un popolo da tempo abituato a vivere nomadizzando nelle vaste pianure del Canada, dove cacciavano le grandi mandrie di cariboù, spostandosi con l’ausilio di cani, usati come animali da soma e da traino, grazie a piccoli travois (pali in legno paralleli, applicati ai fianchi dei cani, e collegati trasversalmente, in modo da potere essere caricati di suppellettili varie), facendo accampamenti di tepee (capanne coniche ricoperte di pelli), più piccoli di quelli usati dagli indiani storici. Questa strumenta- Il cane l’unico animale da soma e da traino in Nord America


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zione tecnica, che è alla base di quella che sarà la cultura storica delle Grandi Pianure, fu certamente prodotta nelle pianure del Canada, e non sappiamo se era già in uso nelle Grandi Pianure prima dell’arrivo degli Atapaskan; essa comunque si dimostrò ottimale per la vita nel nuovo ambiente, e forse fu la chiave per il successo degli Atapaskan, che nel giro di pochi secoli si diffusero in tutte le Grandi Pianure occidentali, occupando stabilmente la vasta regione compresa tra il Missouri e il Pecos, fino all’inizio del ‘700. Questi Atapaskan, che si muovevano a piedi con il solo ausilio dei cani, non dovevano certo avere l’aggressività dei loro discendenti Lipan e Jicarilla, che una volta ottenuto il cavallo divennero temibili predoni; più probabile che per un lungo periodo, la loro relazione con i popoli agricoli delle pianure si sia basato sullo scambio pacifico tra pelli e carne, frutto dell’attività venatoria, e i prodotti agricoli dei popoli sedentari. A conferma di ciò potrebbe essere il fatto che nelle pianure centrali, dove gli Atapaskan risiedettero per almeno due secoli, i popoli agricoli Caddoan, vivevano in piccole comunità disperse, e non in grandi villaggi fortificati. D’altra parte l’arrivo degli Atapaskan può aver rappresentato invece un fattore di conflitto e di conseguente crisi, per le culture agricole più occidentali (Antelope Creek, Apishapa), che avendo minori risorse dai campi e dipendendo di più dai bisonti, si trovarono a dover competere con i nomadi cacciatori, la cui organizzazione e modello di sussistenza, era più specializzato e funzionale della loro. Di fatto gli Atapaskan soppiantarono le culture agricole del Colorado e della regione del Panhandle, e quando gli Spagnoli visitarono per primi quelle terre, loro ne erano gli occupanti. Anche gli Atapaskan comunque subirono l’influenza dei loro vicini dei villaggi agricoli, dato che per un breve periodo, tra la metà del ‘600 e quella del ‘700, anch’essi sperimentarono la permanenza in villaggi semisedentari, in cui praticavano un po’ di attività agricola. Definito come Dismal River, questo modello culturale ha lasciato le sue tracce archeologiche in una vasta regione tra gli stati del Colorado, Kansas, Nebraska, fino al South Dakota, dove si sostituisce ai più antichi insediamenti Caddoan. In questi insediamenti agricoli, le strutture prevalenti erano grandi capanne circolari o ovoidali, costruite con strutture di pali, ricoperte di pelli, simili agli “hogan” usati in tempi storici dai Navajo (anch’essi Atapaskan), nelle regioni del sud-ovest. Il cavallo e le armi di metallo, che questi Atapaskan semisedentari dovevano aver ottenuto dai loro affini meridionali, in contatto con i Pueblos e gli Spagnoli, permise loro di imporsi sui vicini Pawnee e Wichita, ma furono anche causa della loro scomparsa, quando il quadrupede raggiunse le terre degli Shoshone-Comanche che, divenuti abili cavalieri, li attaccarono a loro volta. Molto probabilmente gli Atapaskan Dismal River, si spostarono a sud, pressati dagli aggressivi Comanche, per unirsi ai loro affini Jicarilla e riprendere la vita nomade di cacciatori di bisonti, resa più appetibile dalla nuova opportunità rappresentata dal cavallo. I Kiowa- Apache storici, che unirono le loro sorti a quelle dei Kiowa, e che rappresentano la “coda” del flusso migratorio Atapaskan, potrebbero essere eredi almeno di una parte delle genti di cultura Dismal River. Tra gli abitanti delle Grandi Pianure occidentali, nei secoli precedenti al contatto, oltre ai Blackfoot, agli Shoshone, agli Atapaskan, vanno citati almeno tre popoli la cui vicende è originale in parte misteriosa, i Kootenay, i Kiowa e i Tonkawa. I Kottenay occupavano almeno fi dall’era Arcaica le pianure dell’Alberta, così come le valli delle Rocky Mountains su entrambi i versanti. Non è chiaro se la loro presenza nelle pianure fosse permanente o stagionale, alternata allo svernamento nelle valli montane; ciò che è certo è che i Kootenay dovettero abbandonare queste terre con l’arrivo dei Blackfoot, anche se spedizioni di cacciatori di bisonti continuarono a visitarle, fino alla metà dell’800, rischiando gli attacchi dei nuovi dominatori della regione. Dei Kiowa che resistettero all’avanzare dei bianchi nelle pianure del Kansas e dell’Oklahoma, sappiamo che fino all’inizio del ‘700 vivevano tra l’alto corso del Missouri e quello dello Yellowstone, molto più a nord. Comuque anche lo stanziamento in quest’area doveva essere recente, se come ipotizzato in base alla comunanza linguistica, essi si staccarono dalle genti Tanoan nel corso del XV secolo, lasciando la regione tra Utah e Colorado, per spostarsi a nord, varcare le Rocky Mountains e cacciare i bisonti nelle Grandi Pianure. Se tale ipotesi è valida essi dovettero attraversare le terre degli Shoshonean, e ciò potrebbe essere stata la causa del conflitto che oppose Kiowa e Comanche-Shoshone, fino alla metà del ‘700. Molto più complessa è la vicenda dei Tonkawa, il cui passato è piuttosto oscuro e la cui lingua non ha relazioni con nessun altro idioma del Nord America. Questo popolo in tempi storici viveva nel Texas centrale, ma secondo la testimonianza di un indiano rapito dalla spedizioni di Juan de Onate nelle pianure (1601), erano all’epoca stanziati, con il nome di Tankoa, al confine tra gli attuali stati di Oklahoma e Kansas. Un loro villaggio potrebbe essere localizzato tra il Salt Fork dell’Arkansas e il Medicine Lodge creek, poco a sud-ovest del villaggio di indiani Wichita visitato da Onate. Se i Tankoa coincidono con i


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Tonkawa storici, ciò significa che tale tribù viveva un tempo molto più a nord delle sue sedi storiche, e che lo spostamento a sud può essere stato conseguenza dell’avanzare degli Atapaskan, anch’essi come i Tonkawa cacciatori nomadi e quindi diretti competitori nella predazione dei bisonti. Al tempo del loro contatto con gli Europei, Tonkawa e Lipan Apache erano impegnati in una costante guerra che si concluse solo intorno al 1820. E possibile ipotizzare che gli antenati dei Tonkawa fossero antichi abitanti delle pianure occidentali, probabilmente nelle pianure del Kansas e Colorado, vissuti per millenni di caccia e raccolta in relativo isolamento rispetto ai flussi culturali provenienti da est. I Tonkawa, con la loro specificità linguistica e soprattutto con la pratica del cannibalismo rappresentano un mistero difficilmente risolvibile: in Nord America il cannibalismo era praticato a scopo rituale, tra gli Iroquaian, i Caddoan e pochi altri gruppi; si trattava abitualmente di una forma di riconoscimento per nemici di valore, la cui forza si cercava di acquisire, mangiandone le carni. Per i Tonkawa la modalità era diversa e il cibarsi di carne umana era una pratica ordinaria e apprez- Un capo Tonkawa in una foto ella seconda metà dell’800 zata; il cibarsi di nemici uccisi era la norma, ne è possibile escludere che proprio l’uso di eseri umani come cibo, possa un tempo aver indotto addirittura a razzie nei confronti di altre genti. Forse anche per questi usi i Tonkawa potrebbero essere vissuti in quasi totale isolamente, in quelle regioni meridiuonali delle Grandi Pianure occidentali, scarsamente popolate per lunghi periodi, povere di risorse, al punto da indurre a usanze estreme. I Tonkawa potrebbero essere una sorta di fossile culturale delle Grandi Pianure, le cui origine potrebbero addirittura rimandare ai primi cacciatori paleoindiani, se non addirittura essere precedenti. Purtroppo di questa tribù, invisa a tutti gli altri popoli delle pianure per il cannibalismo, e poi per la sua scelte di collaborare con i bianchi all’epoca delle guerre indiane, all’inizio del ‘900 rimanevano poche decine di esponenti, e anche se il loro numero è oggi cresciuto, nessun ricordo dei tempi più antichi è rimasto.

Le Praterie del Texas Spostando lo sguardo ancora più a sud nelle praterie del Texas e nelle zone adiacenti del Messico, le condizioni complessive sono quelle di un maggior conservatorismo culturale, in cui le innovazioni che attraversano tutte le Grandi Pianure sembrano essere assenti. Dei popoli di quest’area, come anche di quelli che vivevano lungo la costa, abbiamo testimonianze storiche dirette da parte di Cabeza de Vaca, il naufrago di una spedizione in Florida del 1529, che approdato sulle coste del Texas, insieme a tre suoi compagni, visse per anni tra gli indiani del Texas, prima di raggiungere la colonia spagnola di Culiacan, sulla costa del Pacifico in Messico. Dopo di lui altri spagnoli hanno descritto questi antichi abitanti delle pianure, prima che essi si estinguessero all’inizio del ‘700, e non c’è ragione di credere che le descrizioni fatte dagli Spagnoli a partire dal ‘500, non si adattino anche ai secoli precedenti. Gran parte delle piccole bande nomadi di cui ci da testimonianza Cabeza de Vaca e altri viaggiatori successivi nelle pianure del Texas, vengono oggi raccolti sotto la generica definizione di Coahuiltecan, un termine che definisce più una contiguità geografica e culturale, che linguistica. Si trattava di piccole comunità che conducevano uno stile di vita nomade basato su una attività venatoria variegata, ma non incentrata principalmente sul bisonte, e sulla raccolta di frutti selvatici (noci di pecan, vari tipi di cactus, fagioli mesquite ecc...), con una organizzazione sociale estremamente labile, dispersi in una quantità di piccole bande, che si incontravano in occasione della maggiore disponibilità di vegetali alimentari in


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alcuni luoghi, o della possibilità di cacce collettive, che peraltro non sembra fossero pratica diffusa. I villaggi erano accampamenti provvisori, costituiti da capanne di rami e frasche, che venivano usato solo per il periodo in cui era possibile trovare risorse alimentari in loco, a volte anche solo pochi giorni. Sembra che anche arco e frecce abbiano fatto la loro comparsa in epoca piuttosto tarda, e che l’atlatl sia rimasto come principale strumento per la caccia fino alla fine del I millennio; anche la ceramica, che per gli archeologi è uno dei primi elementi di studio e classificazione delle diverse culture, pare abbia fatto la sua comparsa in quest’area solo a partire dal IX sec. d.C. Questo diverso e variegato agRicostruzione di un insediamento indiano nelle praterie del Texas, gregato di popoli di cui poco sappiamo, al tempo di Cabeza de Vaca vengono considerati a livello archeologico, sotto la definizione di Toya phase. Questo modello di vita si estendeva, adattandosi, fino alle regioni costiere del Texas, dove le attività di caccia e raccolta erano integrate dalle risorse del mare, la pesca sottocosta e soprattutto la raccolta di molluschi e crostacei. Il mare costituiva una risorsa abbastanza sicura, quindi questi popoli della costa conducevano una vita più stabile di quelli dell’interno, ma anch’essi durante i mesi più caldi, quando i molluschi e il pesce si deterioravano in fretta, e il richio di uragani era maggiore, si spostavano nell’interno, vagando alla ricerca di selvaggina e vegetali commestibili. Lungo la costa, comunque pur in un modello di sussistenza tendenzialmente simile, e possibile riscontrare una differenza tra una zona orientale, il cui modello culturale è noto come Mossy Grove, è evidentemente influenzato dalle culture forestali dell’est, e una occidentale, definita Rockport, più legata ai popoli delle regioni interne del Texas. Principale differenza tra le due aree riguarda la produzione di ceramiche, che nella zona orientale data da prima dell’inizio dell’era cristiana, in quello occidentale è acquisita solo a partire dal X secolo d.C. Le genti Atakapa, a cui è riferito il modello Mossy Grove, vengono considerate linguisticamente imparentate con i Tunica e i Chichemaca del basso Mississipi, mentre i Karankawa, dell’area Rockport, al pari dei Tonkawa e dei diversi gruppi noti come Coahuiltecan, parlano una lingua isolata, e potrebbero essere discendenti dei più antichi colonizzatori del continente. In questo quadro della parte più meridionale delle Grandi Pianue, caratterizzato da stabilità e conservatorismo culturale, un elemento di novità si produsse a partire dall’inizio del XV secolo, nella zona di confine tra le Grandi Pianure e il Sud-Ovest, lungo il corso del Rio Grande ed in particolare nella regione compresa tra questo fiume e il Pecos. Quest’area era stata fino al 1400 parte della grande area agricola del Sud-Ovest, dove villaggi stanziali sul modello dei Pueblos, punteggiavano la valle del Rio Grande, fino alla confluenza con il fiume Concho. Quasi certaCosì dovettero apparire a Cabeza de Vaca i villaggi degli indiani, mente molti di questi gruppi di dopo il naufragio sulle coste del Texas


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agricoltori, frequentavano periodicamente le pianure per cacciare il bisonte, come ancora in tempi storici facevano gli abitanti dei Pueblo dell’alto corso del Rio Grande. A partire dall’inizio del XV secolo, come in altre parti del Nord America, le condizioni per l’attività agricola dovettero farsi più difficili e tutti gli insediamenti del medio corso del Rio Grande furono abbandonati; quando gli Spagnoli iniziarono a visitare la regione, nella seconda metà del ‘500 vi trovarono solo bande di cacciatori, pescatori e raccoglitori (Manso, Suma ecc..), che conducevano una vita non molto diversa da quella di altri gruppi del Texas. Tra questi gruppi però uno emerge per importanza e soprattutto per il ruolo peculiare che svolse per un breve periodo nelle pianure del Texas. Conosciuti con il nome di Jumano, un nome che significa “tatuati” e che gli Spagnoli usavano anche per altre tribù, queste genti erano cacciatori di bisonti ben adattati all’ambiente delle Grandi Pianure, che vagavano dal Rio Grande fino all’alto corso del Brazos, e di li fino ai Pueblo del Rio Grande, dove periodicamente si incontravano coi popoli agricoli, per scambiare carne e pelli di bisonte, con mais e altri prodotti della terra. E’ quasi certo che questi Jumano parlassero una lingua simile a quella dei Piro e dei Tompiro, agricoltori di lingua Tanoan del New Mexico, anch’essi chiamati Jumano dagli Spagnoli. Questi Jumano nomadi erano al tempo dei primi contatti con gli Spagnoli, il gruppo preminente nelle pianure del Texas, sia per la loro maggiore coesione rispetto alla moltitudine di bande che vivevano più a est, sia per il loro ruolo di intermediari commerciali in una vasta area compresa tra Texas e New Mexico, che metteva in relazione le culture agricole Pueblo del New Mexico, con quelle Caddoan del Texas orientale. E possibile che questi Jumano rappresentino un adattamento alla vita delle pianure, suc- I principali complessi culturali nelle Grandi Pianure cessivo all’abbandono dei villaggi agricoli del e zone limitrofe, tra il IX e il XVI secolo medio corso del Rio Grande a partire dal 1.400; l’abitudine alle cacce stagionali può aver favorito il passaggio alla vita nomade, così come l’affinità etnica e linguistica con gli abitanti dei Pueblo dell’alto corso del Rio Grande, deve aver facilitato gli scambi commerciali con gli abitanti dei Pueblo, e l’uso di vivere una parte dell’anno nelle vicinanze dei villaggi agricoli. Il ruolo dei Jumano nelle praterie del Texas fu di breve durata, dato che all’inizio del ‘700 essi scompaiono dalla storia, pressati dai Lipan Apache che si insediarono sul loro territorio, e per lungo tempo essi furono quasi dimenticati. Alla fine di questa panoramica sulle culture non agricole delle Grandi Pianure è possibile affermare che, a parte il caso degli ultimi arrivati Atapaskan, è difficile trovare nelle Grandi Pianure gli elementi embrionali di quello che sarà il modello culturale più conosciuto tra i nativi del Nord America, quello dei bellicosi cacciatori nomadi a cavallo, che la letteratura, i fumetti e il cinema, hanno reso popolari nel mondo: molti cambiamenti dovevano ancora avvenire nelle Grandi Pianure, ma tutti sarebbero avvenuti


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dopo il contatto con i bianchi.

La nascita della cultura del bisonte e del cavallo In tutto il Nord America il contatto con gli Europei, con le loro malattie, le loro merci, la loro religione, le loro armi, la loro politica e soprattutto, il loro numero, ebbe effetti devastanti sulla vita dei nativi, producendo un trauma demografico, distruggendone il modello di sussistenza, le credenze, la struttura sociale, e determinando dei processi di decadenza che a volte si consumarono in pochi anni, a volte durarono secoli. Sempre e comunque gli indiani non si trovarono nelle conUna foto di Edward S. Curtis, che ritrae tre guerrieri Crow alla fine dell’800 dizioni di poter cogliere le novità derivanti dal contatto con i bianchi, come opportunità per rivitalizzare rinnovare la loro cultura. L’unico luogo in cui ciò avvenne fu nelle Grandi Pianure, dove in conseguenza del contatto, si produsse per meno di due secoli, dalla fine del ‘600 alla metà dell’800, un nuovo modello culturale, affascinante, ricco ed effimero, che di fatto divenne, l’immagine e il simbolo di tutti i popoli nativi americani. Il cavaliere nomade, che caccia bisonti e si sposta in lungo e in largo nelle Grandi Pianure, libero, bellicoso e orgoglioso, questa è l’immagine più classica dell’indiano d’America; ma questa immagine, che fu il frutto dell’incontro con l’uomo bianco, mai era esistita prima di tale incontro, e ciò per la semplice ragione, che l’indiano non era mai stato un cavaliere, non essendoci in America cavalli, almeno dalla fine del pleistocene. Quindi la cultura degli indiani delle Grandi Pianure, così come l’abbiamo conosciuta nella storia, fu il prodotto dell’incontro tra gli stili di vita precedenti l’incontro con l’uomo bianco, e gli elementi di novità prodotti dall’incontro con l’uomo bianco; importanti furono anche le modalità di tale incontro, e soprattutto i tempi con cui tale incontro avvenne. Partiamo proprio da quest’ultimo elemento. La prima presenza di Europei e il loro contatto con gli indiani delle Grandi Pianure, avvenne più o meno nello stesso periodo sia nelle Grandi Pianure, che in altre parti del Nord America: nelle regioni dell’Atlantico Giovanni da Verazzano entrò in contatto con i popoli Algonquian nel 1524, Jacques Cartier incontrò i popoli Iroquaian del San Lorenzo intorno al 1540, a partire dal 1511 diverse spedizioni di conquistadores spagnoli visitarono la Florida e le coste americane, fino alla spedizione di Hernando de Soto del 1539, che attraversà gran parte delle regioni sud-orientali, dalla Florida agli Appalache, fino al Mississipi e oltre, nelle praterie del Texas; più o meno lo stesso accadde nelle Grandi Pianure, che oltre ad essere visitate dallo stesso de Soto, nelle zone margiFino all’inizio dell’800 i bisonti vagavano nelle pianure in mandrie immense


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nali, videro la spedizione di Vasquez de Coronado del 1540, giungere fin nelle praterie del Kansas, incontrando sia indiani nomadi che comunità agricole. Dopo questa prima stagione di esplorazioni, per alcuni decenni quasi ovunque, a parte in Florida e nel New Mexico, le occasioni di incontro tra indiani ed europei si ridussero per svariati decenni; poi a partire dall’inizio del ‘600, ovunque i processi di colonizzazione europea in Nord America, si fanno più strutturati e meno episodici: Samuel de Champlain nel bacino del San Lorenzo, i Padri Pellegrini in New England, gli Olandesi sul fiume Hudson, John Smith in Virginia, missionari francescani in Florida, Juan de Onate in New Mexico; anche nelle pianure gli europei fanno di nuovo la loro apparizione, con la spedizione di Onate in Kansas del 1601, anche non si tratta del tentativo di impiantare una colonia, ma solo dell’ennesima, e definitivamente delusa, ricerca di misteriose città ricche di tesori. Di fatto a partire dal ‘600 (ma nelle terre attraversate dalla spedizione di De Soto anche da prima), avviene l’impatto traumatico con il mondo dei bianchi: nuove malattie, guerre distruttive, stravolgimento delle economie tradizionali e inserimento delle tribù nel sistema commerciale europeo, cessione di territori, conflittualità tribale legata al commercio, dipendenza dalle merci e dai manufatti europei, imposizione della religione europea e attacco alle credenze tribali, tutto si realizza nel giro di pochi decenni tra i primi anni del ‘600, e la metà dello stesso secolo. Già alla metà del ‘600 nelle Foreste Orientali e nelle regioni del Sud-Ovest, lo stile di via tradizionale era stato in larga misura travolto, intere tribù completamente distrutte, sottomesse, o obbligate ad emigrare in luoghi lontani, e se i territori effettivamente occupati dalla colonizzazione europea erano ancora in quantità estremamente limitato, il sistema di relazioni politiche, interessi commerciali, alleanze militare, che da quei luoghi emanava, era in grado influenzare in modo determinante gran parte della regione a est del Mississipi, e a ovest del Rio Grande. Entro la fine del ‘600 le popolazioni agricole del Sud-Ovest furono definitivamente sottomesse, mentre a est del Mississipi, anche per le rivalità tra le potenze coloniali, Inghilterra, Francia e Spagna, i conflitti durarono fino ai primi decenni dell’800, ma in buona misura come prodotto delle relazioni tra i dominatori europei. E’ in questo periodo, mentre in altre aree il confronto tra il mondo dei nativi e quello degli europei si presenta sempre in forme traumatiche e drammatiche, nelle Grandi Pianure, lontane dalle aree costiere e dai principali centri di colonizzazione, il contatto avvenne in un modo più lento, con il filtrare progressivo di merci e manufatti, attraverso la rete di scambi tribali e quasi sempre senza il rapporto diretto con i mercanti europei; a ciò va aggiunto l’arrivo nelle Grandi Pianure di tribù orientali, che avevano già incontrato l’uomo bianco, che permise una maggiore capacità di reazione di fronte alle novità de essi introdotte. Dell’impatto delle nuove malattie, drammatico nelle regioni orientali e in Messico, nelle Grandi Pianure non abbiamo notizie almeno fino alla seconda metà del XVIII secolo, e principalmente nei villaggi agricoli dove la concentrazione della popolazione, favoriva la diffusione delle malattie. Con la diffusione del cavallo, dalla metà del ‘600, e soprattutto dopo la Grande Rivolta dei Pueblo del 1680, dal mondo dei bianchi giunge la possibilità di dare un impulso immenso allo stile di vita delle Grandi Pianure; insieme al cavallo, nelle pianure erano nel frattempo giunti i primi manufatti in metallo, le armi da fuoco, il modello commerciale europeo, tutti elementi che si inserirono nel processo di costruzione del modello culturale delle Grandi Pianure, divenendone parte. Quando si ebbe l’impatto diretto tra Europei e indiani delle pianure, non prima della fine del ‘700, questi ultimi erano perfettamente in grado di gestire in modo quasi paritario il loro rapporto con i bianchi, senza alcuna dipendenza o subalternità; per quasi mezzo secolo, gli indiani delle Grandi Pianure, commerciarono quasi alla pari con i bianchi, dominando i loro territori e accogliendo mercanti e cacciatori bianchi, sulla base delle loro esigenze di commercio. Per rompere questo equilibrio di forze, ci volle la ferrovia e le tecnologie militari sperimentate nella Guerra di Secessione, la prima guerra dell’era industriale, una migrazione di massa imponente, subito dopo tale guerra, e soprattutto il massacro indiscriminato dei bisonti, ridotti negli Stati Uniti a poche decine intorno al 1890; un attacco concentrato in meno di vent’anni, perchè gli indiani delle pianure potessero essere affamati e sottomessi, la loro resistenza spezzata, il loro orgoglio umiliato, il loro mondo distrutto. Fu la fine di uno degli stili di vita più liberi, ricchi e affascinanti, nella storia delle culture umane, e della bellezza di questa cultura, il cavallo divenne l’emblema. L’introduzione del cavallo fu determinante per il costituirsi della cultura delle Grandi Pianure, ma va specificato che diversi furono gli elementi che la resero possibile, e diversi furono i soggetti che contribuirono a produrla, portando contributi diversi, sul piano della sussistenza economica, della vita ma-


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teriale, della dimensione spirituale, dell’organizzazione sociale. Tanti e diversi elementi intervennero tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘700, nelle vaste praterie dei bisonti, quando la cultura delle Grandi Pianure acquista la sua fisionomia storica. All’inizio di tutto comunque ci fu il bisonte, una immensa risorsa alimentare, in grado di garantire cibo anche a comunità più numerose, di quelle che abitualmente si producono intorno ad una economia di caccia e raccolta. In tutto il Nord America (a parte la California, il cui contesto ambientale è particolare), il modello di sussistenza basato su nomadismo, raccolta di vegetali selvatici e caccia, non permise l’organizzazione di comunità che andavano oltre le poche decine di individui, e anche dove le condizioni furono più favorevoli, come nella zona dell’Altopiano, dove periodicamente le diverse bande si riunivano in luoghi in cui le risorse abbondavano (risalita dei salmoni, raccolta delle radici di camas), i rapporti e le relazioni tra le diverse bande non erano tali da produrre un’organizzazione sociale più complessa; mancava la divisione in clan strutturati, l’organizzazione di strutture tribali, o addirittura una qualche forma di gerarchia sociale. Tutti questi elementi che si accompagnano abitualmente all’attività agricola e alla semisedentarietà, sono possibili laddove l’accumulo delle risorse disponibili, permette la concentrazione degli individui, e un minimo di “pianificazione economica”, basato sulla certezza dei raccolti o di altre risorse, non aleatorie. Nelle Grandi Pianure il bisonte rappresentò in tempi storici, un’alternativa all’agricoltura, in grado di permettere dinamiche simili a quelle prodotte dall’agricoltura. Data l’entità delle risorse alimentari che metteva a disposizione, esso permetteva, a fronte di adeguate tecniche di conservazione, la possibilità di accumulare significative scorte alimentari, e quindi la concentrazione di comunità più numerose per periodi più lunghi, e quindi la possibilità di una vita sociale più articolata e complessa. Ma perchè tale possibilità potesse realizzarsi, la caccia al bisonte doveva essere una certezza, e non una semplice opportunità, e prima dell’introduzione del caDue tecniche per la caccia al bisonte prima dell’acquisizione del cavallo: vallo tale certezza non c’era. La precarietà di un modello di l’avvicinamento alla mandria coperti da pelli di lupo, animali che usualmente accompagnavano le mandrie di bisonti, e la tecnica collettiva di spngere la mandria un sussistenza legato solamente verso un dirupo alla caccia al bisonte dipende dalle caratteristiche di questo animale, che nei suoi spostamenti, a differenza di altri mammiferi che vivono in branchi, ha una ciclicità piuttosto aleatoria, e si affida spesso al caso. Il cariboù che è l’altro grande mammifero che vive in branchi, più a nord nelle pianure del Canada, si sposta stagionalmente secondo itinerari fissi, e ciò permette agli indiani Atapaskan che li predano, di attenderli in luoghi noti e definiti; l’arrivo dei cariboù è quindi una risorsa certa, come quella del salmone, che fa da collante, almeno temporaneo, per


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comunità disperse. Il bisonte tende a cercare valli riparate durante l’inverno e spostarsi nell’aperta pianura nella buona stagione, ma senza che ciò implichi itinerari fissi e luoghi di sosta abituali. Così per i più antichi nomadi delle pianure, gli antenati dei Kootenay, dei Kiowa, degli Shoshone, dei Blackfoot, degli Atapaskan, dei Tonkawa, e delle tante bande Coahuilecan del Texas, la possibilità di riunire diverse bande per spingersi nelle pianure alla ricerca dei bisonti, doveva essere un’opportunità importantissima, ma dagli esiti tutt’altro che certi. I bisonti dovevano essere trovati, spostandosi a piedi con donne, bambini e anziani al seguito, nella vastità delle pianure, e questo era già un problema; una volta trovati, non dovevano essere allertati, perchè una volta presa la fuga una mandria di bisonti è irraggiungibile per cacciatori appiedati; il luogo poteva presentare caratteristiche più o meno adatte all’organizzazione di una caccia collettiva; infine a caccia conclusa, la possibilità di un pieno utilizzo degli animali predati, era vincolato ai limiti di trasporto, derivanti dall’assenza di animali da traino e da soma (a parte il cane). L’uso dei medesimi luoghi, nel corso dei secoli o addirittura dei millenni, per organizzare caccie collettive al bisonte, da il senso di come tale attività dipendesse da fattori ambientali determinanti; se un anno per una qualche ragione i bisonti scomparivano da uno dei siti abitualmente utilizzati, ciò poteva significare la fame per una intera comunità. La caccia al bisonte era in sostanza una lotteria, che poteva dare ricchi premi, ma anche profonde delusioni; è naturale che intorno a tale attività, pur praticata per millenni, non si sia costruito nessun modello culturale in grado di sedimentare comunità più numerose, con una organizzazione sociale più complessa. Che infatti non esisteva tra gli originari nomadi delle pianure. Diversa era la condizione per i popoli agricoli o comunque semisedentari, delle praterie orientali e delle regioni limitrofe dell’area forestale. Questi popoli fondavano la loro organizzazione sociale su un modello di sussistenza meno aleatorio e precario, e usavano la risorsa delle cacce collettive al bisonte come attività integrativa, ma non centrale. La vita in villaggi stabili, piuttosto che il continuo nomadizzare alla ricerca di cibo, facilitava la possibilità di conservare e accantonare le eccedenze prodotte dalla caccia. Tra questi due diverse modalità di utilizzo della risorsa costituita dai bisonti, si collocano gli Atapaskan, che fanno la loro comparsa nelle Grandi Pianure nei primi secoli del II millennio. Quasi certamente questi gruppi prima di divenire cacciatori di bisonti, avevano per secoli cacciato le grandi mandrie di cariboù delle pianure settentrionali, costruendo intorno a questa preda, che per le sue migrazioni costanti rappresentava una risorsa più certa, un modello di cultura nomade, con un maggiore grado di integrazione e coesione tra le diverse bande, in grado quindi di cooperare più stabilmente, di organizzare insieme la difesa o l’attacco nei confronti di gruppi ostili e concorrenti. Sta di fatto che nell’arco di pochi secoli gli Atapaskan, con il loro modello culturale, occuparono tutte le Grandi Pianure occidentali, imponendosi e sovrapponendosi ai popoli di più antica residenza. E anche possibile che parte delle tecniche di sopravvivenza caratteristiche delle Grandi Pianure, sia stato elaborato nelle terre settentrionali e adattato al nuovo contesto nel corso della migrazione a sud. Gli Atapaskan del Canada usavano cani e travois per gli spostamenti, tepee conici di pelle, elementi questi tipici delle Grandi Pianure, di cui non è certo l’uso, prima dell’arrivo degli Atapaskan a sud. Dagli Atapaskan tali usi potrebbero essersi estesi agli altri popoli, costituendo la base della della vita materiale delle Grandi Pianure. Ciò può valere in particolare per i Blackfoot, che probabilmente abbandonarono le terre orientali più o meno quando gli Atapaskan loro vicini, abbandonavano quelle settentrionali. Quindi sul sedimento di un modello economico di sussistenza originario piuttosto precario, e di un modello sociale estremamente labile, potrebbe essersi innestato un modello di nomadismo più specializzato e strutturato, di provenienza set- Con il cavallo la caccia al bisonte oltre ad essere più remunerativa e meno tentrionale. Un ulteriore contri- pericolosa, acquisiva quasi il carattere di un’attiovità sportiva


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buto potrebbe essere stato aggiunto dai popoli dei villaggi agricoli e dai migranti dalle terre orientali, con una struttura sociale più coesa, già organizzati in tribù o confederazioni, con una vita spirituale cerimoniale più complessa e strutturata. E’ grazie al contributo di questi popoli orientali, che si aggiungono alla fisionomia culturale delle Grandi Pianure, alcuni elementi caratteristici, quali l’esistenza di vere e proprie strutture tribali, con consigli e capi autorevoli e riconosciuti, la strutturazione sociale complessa, con clan famigliari, o l’organizzazione dei membri sulla base di fasce di età e generazionali, l’organizzazione di “società guerriere”, e infine la vita cerimoniale caratterizzata da grandi eventi collettivi, quali la Danza del Sole, praticata con Un tepee dei Chipewyan, tribù Atapaskan del Canada infinite varianti da un gran numero di popoli. (sopra) e un grande tepee dei Cheyenne (sotto) In sintesi la cultura del cavallo e del bisonte si definisce su tre piani: un modello di sussistenza con al centro il bisonte, ereditato dagli abitanti nomadi originari; un contributo rispetto alle tecniche e alla vita materiale e quotidiana, introdotto dagli Atapaskan provenienti da nord; infine un modello di organizzazione sociale e di vita cerimoniale, patrimonio degli ultimi arrivati da oriente di lingua Siouan e Algonquian, e dagli agricoltori Caddoan, di più antica residenza. L’assemblaggio, spesso solo parziale di questi diversi elementi, produsse l’originale modello di vita dei nomadi cacciatori di bisonti. Per tentare di confermare questa ipotesi è utile confrontare quanto sappiamo degli abitanti storici delle Grandi Pianure, con il modello culturale classico delle Grandi Pianure. Il primo dato riguarda gli abitanti più antichi, il cui stile di vita, al tempo del contatto, spesso sembra lontano dal modello culturale delle Grandi Pianure. Tra i più antichi abitanti delle Grandi Pianure, c’erano sicuramente i Kootenay, stanziati nelle ragioni occidentali dell’Alberta. Di loro sappiamo poco, perchè al tempo del contatto erano quasi del tutto stati cacciati dalle praterie dei bisonti, ed è quindi difficile comprendere quanto dei loro usi riconducibili al modello culturale delle Grandi Pianure, sia una acquisizione recente e quanto invece sia una pratica originaria: la Danza del Sole, che i Kootenay praticano ancora oggi, fu certamente un’acquisizione recente, forse dovuta al contatto con i nemici Blackfoot. Certamente essi non furono una “tribù della prateria”, rimanendo vincolati all’antico uso di utilizzare le Grandi Pianure solo stagionalmente (e sempre meno), rimanendo legati all’ambiente delle valli montane. Degli Shoshone sappiamo che il nome più antico usato per loro, si riferisce all’uso di capanne di rami e frasche piuttosto che di tepee; i Comanche che sono gli eredi storici degli Shoshone delle pianure, assunsero il modello di sussistenza e di vita materiale tipico delle Grandi Pianure, sicuramente in coincidenza con l’acquisizione del cavallo, a partire dalla fine del ‘600, ma mantennero una struttura sociale semplice e poco coesa, singole bande che si scioglievano o si univano, per ragioni contingenti. I Comache non costituirono mai organizzazioni e consigli tribali, non erano divisi in clan famigliari, non conoscevano la pratica di riunirsi in società guerriere, e praticarono la Danza del Sole, per la prima volta solo alla metà degli anni ‘70 dell’800, non avendo nella loro tradizione cerimoniale simili grandi riti collettivi. Di fatto essi acquisirono gli elementi tecnici ed economici della cultura delle Grandi Pianure, ma non gli elementi sociali e spirituali, di provenienza orientale, con cui ebbero contatti molto tardi. Diverso è il ragionamento per quanto riguarda i Kiowa, di cui abbiamo scarse notizie nei tempi più lontani, e la cui storia è per certi versi simile a quella dei Comanche, da cui però si differenziano per


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una organizzazione sociale più complessa. una più strutturata organizzazione sociale, con capi e consigli tribali, società guerriere che all’occorrenza potevano svolgere funzioni di polizia, un sistema di bande definito, ognuna delle quali con un proprio posto nel campo tribale, quando tutta la tribù si riuniva, la pratica della Danza del Sole, secondo una propria variante che non prevedeva l’autortura. Di fatto i Kiowa rappresentano il modello classico della trbù nomade delle pianure, al pari di altri gruppi con un passato molto divers, quali i Cheyenne o i Lakota. Non sappiamo quanto di questa loro cultura sia precedente all’acquisizione del cavallo, all’inizio del ‘700 e quanto invece possa essere successivo, magari conseguenza della relazione con altre tribù, come i Crow e gli agricoltori Hidatsa, con cui i Kiowa furono alleati quando ancora vivevano nelle sedi più antiche sull’alto corso del Missouri. Dei Tonkawa le notizie più antiche sono quasi inesistenti, ma sul piano dell’organizzazione sociale questo popolo avevano una struttura flessibile e labile, divisi in molte bande, senza una vera e propria struttura tribale, e a partire dalla fine del ‘600, ad essi si aggregarono i resti di gruppi minori del Texas, rendendo ancora meno coesa la loro organizzazione sociale. Sul piano della vita spirituale e delle credenze, già la sola pratica del cannibalismo, marcava la differenza rispetto agli altri popoli delle Grandi Pianure. Gli Atapaskan Lipan, Jicarilla e Kiowa Apache, praticavano il modello economico e le tecniche tipiche delle Grandi Pianure, e pur non avendo una vera e propria organizzazione tribale, mantenevano una certa coesione, e i Kiowa-Apache in particolare, pur essendo di fatto integrati ai Kiowa, mantennero sempre una propria specificità etnica e la propria lingua. Neanche nella loro organizzazione sociale erano presenti società guerriere, clan o altre modalità di strutturazione interna, ne praticavano cerimonie simili alla Danza del Sole. Le bande delle zona meridionale delle Grandi Pianure conosciute secondo il nome generico di Coahuiltecan, da quanto sappiamo dalle prime testimonianze spagnole, pur praticando la caccia al bisonte, non incentravano il loro modello di sussistenza su questo animale, ne possono essere ricondotte in alcun modo al modello culturale storico delle Grandi Pianure, anche perchè quando tale modello assunse la sua piena fisionomia, questi gruppi erano ormai estinti, assorbiti da altre tribù, o i pochi superstiti erano riuniti nelle missioni spagnole. Tutti questi diversi gruppi o erano antichi abitanti delle pianure o vi migrarono da ovest e da nord, e salvo il caso dei Kiowa, non è possibile trovare in essi tutti gli elementi costituenti della cultura delle Grandi Pianure. Per trovare il modello integrale dello stile di vita delle pianure, con le sue specifiche caratteristiche sul piano della vita sociale e spirituale, è necessario guardare ai popoli nomadi che vi giunsero da est, i Teton, gli Yankton e gli Assiniboin, i Cheyenne, gli Arapaho, gli Atsina, i Blackfoot, e infine i Crow, tutti giunti nelle Grandi Pianure in epoca piuttosto recente, a partire dalla fine del ‘600 (a parte i Blackfoot), a volte avendo già avuto qualche contatto con i bianchi. Tutti questi gruppi, oltre a praticare il modello di sussistenza tipico basato su nomadismo e caccia al bisonte, oltre a condividere tecniche e abitudini nella vita materiale, avevano un’organizzazione sociale di tipo tribale, e una strutturazione interna più complessa, con varie strutture politiche e istituzionali, oltre ad una vita cerimoniale che prevedeva celebrazioni in grado di raccogliere l’intera comunità. I Teton per esempio erano una confederazione di sette gruppi (Oglalla. Brulè, Minniconjew, Blackfeet, Hunkpapa. Sans Arc, Two Kettle), ognuno con propri consigli di capi riconosciuti, e a sua volta parte dell’originaria “Confederazione dei 7 Fuochi”, che prima del trasferimento nelle pianure riuniva anche Santee e Yankton; i Cheyenne avevano un consiglio tribale di 44 capi, in rappresentanza di 11 bande, e una sorta di consiglio supremo di quattro grandi capi; entrambe le tribù avevano al loro interno associazioni di guerrieri, costituite su base volontaria, che oltre che in guerra, in determinati casi, come prima di una caccia al bisonte, potevano agire come forze di polizia interna, svolgevano specifiche funzioni cerimoniali, e costituivano spesso di fatto organi di pressione “politica” all’interno delle comunità. Tra gli Arapaho, gli Atsina, i Blackfoot (come anche tra gli agricoltori Hidatsa e Mandan), le società guerriere, erano su base generazionale, raccogliendo i diversi membri in base all’età, fin dall’infanzia; i Crow, oltre ad avere società guerriere come i Teton e i Cheyenne, erano divisi in clan matrilineari, esattamente come gli agricoltori Hidatsa, da cui s’erano staccati all’inizio del ‘700. Consigli tribali, società guerriere, clan famigliari, erano tutti elementi che contribuivano a mantenere l’unità e la relazione tra i membri di una stessa tribù, quando la vita nomade, le necessità della caccia, le difficoltà a trovare cibo, inducevano i diversi gruppi a dividersi in piccole bande, specialmente nei duri mesi invernali. Analoga funzione svolgeva la Danza del Sole o simili cerimonie, che si praticavano all’inizio dell’estate, quando il cibo abbondava e tutta la tribù poteva riunirsi nello stesso luogo. Questa vita sociale cerimoniale più complessa, è evidentemente frutto di un precedente stile di vita se-


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dentario o semisedentario, o comunque della relazione con i popoli sedentari delle pianure, tutti organizzati sulla base di clan famigliari, con consigli tribali di capi e una vita cerimoniale complessa e condivisa da tutta la comunità. Di fatto questi nomadi recenti, provenienti da est, che sono i più integrali rappresentanti della cultura delle Grandi Pianure, riuscirono nella sintesi tra il modello di sussistenza e di sopravvivenza antichissimo basato sul nomadismo e la caccia al bisonte, e le modalità della vita sociale e cerimoniale, frutto dello sviluppo culturale successivo La Danza del Sole, che con diversi nomi e varianti era praticata molte tribù delle alla diffusione dell’agricoltura, pianure, poteva prevedere l’autotortura volontaria: in due quadri di George Caproducendo così, nell’arco di un tlin, la versione dei nomadi Cheyenne (sopra) e quella degli agricoltori Mandan tempo brevissimo, pochi decenni, una complessa cultura nomade, analoga a quella prodottasi nelle pianure dell’Asia centrale o dell’Africa Sahariana, che fu frutto di un percorso di secoli. Rispetto alle grandi culture nomadi dell’Asia e dell’Africa, va poi rilevato che esse fondavano il loro modello di sussistenza sull’allevamento e la pastorizia, al contrario di quella delle Grandi Pianure, totalmente basato sulla caccia.. La particolare sintesi culturale tra il mondo dei popoli nomadi e quello dei popoli sedentari, ebbe una sua particolare declinazione anche tra le tribù agricole, che dopo l’acquisizione del cavallo, aumentarono la loro dipendenza dalla caccia al bisonte, impegnandosi in lunghe spedizioni di caccia e vivendo per parte dell’anno come i loro vicini nomadi, mutuandone usi e tecniche. Al tempo stesso i villaggi agricoli, in particolare quelli dei popoli del Medio Missouri, divenivano i luoghi di scambio e di contaminazione, fra tutti i popoli delle pianure, i nomadi e gli agricoltori, gli antichi residente e i nuovi immigrati, in un quadro di dinamismo economico e sociale favorito dalla velocizzazione degli spostamenti, dovuta all’acquisizione del cavallo. Fu certamente in questo quadro di scambi culturali ed economici, che si produsse quell’elemento peculiare della cultura delle Grandi Pianure, quel linguaggio dei segni elaborato e complesso, che permise a tutti questi popoli parlanti lingue diverse e reciprocamente inintellegibili, di comunicare, scambiandosi abitudini e usanze. Il cavallo, che fu il vero e proprio volano di questo processo, si diffuse in tutte le pianure, dal Rio Grande al Saskatchewan in meno di mezzo secolo: prima gli Apache Lipan e Jicarilla, che li rubavano nei Pueblos del Rio Grande occupati dagli Spagnoli, o li catturavano nelle pianure, dopo che gli stessi Spagnoli li avevano abbandonati in seguito al loro ritiro dai Pueblos dopo la Grande Rivolta del 1680. Poi fu la volta degli Ute e degli Shoshone, una parte dei quali, proprio per ottenere i cavalli si spostarono a sud divenendo i famosi Comanche, i migliori cavalieri delle pianure. Quindi fu la volta dei Kiowa, che li portarono fino ai villaggi degli Arikaree, Mandan, Hidatsa del Medio Missouri, per scambiarli con pro-


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dotti agricoli, e forse con i primi manufatti di metallo che giungevano da est. Agli stessi villaggi agricoli, in particolare a quelli Arikaree, facevano riferimento i migranti provenienti da est, i Cheyenne che nel ‘600 ancora abitavano in villaggi stabili con case di terra sul fiume Sheyenne, nell’est del Nord Dakota, gli Arapaho, il cui nome viene da Tirapahu e significa “mercanti”, e i primi gruppi Teton, che vagavano a piedi a est del Missouri, e che forse furono i primi a portare in quei villaggi i manufatti europei, ottenuti dai mercanti francesi del lago Superiore. Grazie a questi scambi commerciali, anche i migranti da est entrarono in posseesso dei primi cavalli. Nei villagi Hidatsa il cavallo portò alla divisione della tribù, con una parte che all’inizio del ‘700 si diede alla vita nomade, divenendo la tribù dei Crow o Upsaroka. Poco dopo fu la volta dei Blackfoot, che dopo la spiace- Le Grandi Pianure e le regioni limitrofe, alla fine del ‘400


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vole sorpresa di vedere i loro nemici Shoshone, montare gli sconosciuti animali, impararono a catturarli e a cavalcarli. Dai villaggi dei Mandan, il cavallo raggiunse le pianure settentrionali intorno al 1730, attraverso gli Assiniboin, che con i Mandan commerciavano, poi attraverso questi, raggiunse gli Ojibway e i Cree delle foreste del Canada, una parte dei quali abbandonarono i loro laghi e i boschi, per divenire anch’essi nomadi delle pianure. Ultimi furono i Sarsee, un gruppo Atapaskan che viveva a nord del Saskatchewan, che abbandonò la sua tribù originaria, gli Tsatinna (Beaver), per divenire nomadi cavalieri delle pianure, alleati dei Blackfoot. Nelle zone orientali, attraverso gli Apache Jicarilla e Lipan, il cavallo aveva raggiunto i Pawnee e i Wichita, fino ai Caddo del Texas orientale; quindi le tribù agricole di lingua Siouan, quelle di cultura Oneota (Missouri, Iowa, Oto) giunti nelle pianure da pochi secoli, e gli ultimi arrivati tra gli agricoltori delle pianure, gli Osage, i Kansa, gli Omaha, i Ponca, in fuga dalla valle dell’Ohio, dove alla metà del ‘600, con la I Guerra del Castoro, i guerrieri della Lega Iroquois armati di fucili, stavano portando ovunque morte e distruzione. Entro la metà del ‘700 il processo era del tutto completato, la cultura del cavallo e del bisonte si imponeva in tutte le Grandi Pianure, tra nomadi e agricoltori; poco più di un secolo dopo, la cultura del cavallo e del bisonte, iniziava la sua stagione più tragica, quella del confronto militare con gli Stati Uniti, prima di venire distrutta in meno di vent’anni, insieme al bisonte, che ne era stato la principale risorsa.


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IL SUD-OVEST La vasta regione che possiamo definire con la generica espressione geografica di Sud-Ovest, è l’altra importante area in cui si svilupparono culture agricole in Nord America. L’estensione di questa area agricola va oltre i territori sud-occidentali degli Stati Uniti e del Messico nord-occidentale, che ne sono comunque il cuore, estendendosi a nord lungo il bacino del fiume Colorado, compreso il suo affluente Green, un’area che fu fortemente influenzata dalle culture sviluppatesi più a sud. A est il confine di quest’area è costituto dagli alti picchi delle Rocky Mountains, con le propaggini meridionali dei monti Sangre de Cristo, quindi i rilievi che fanno da spartiacque tra il Pecos e il Rio Grande, fino alla Sierra Madre Orientale; a nord la piccola catena dei monti Uinta, traccia il confine con le pianure del Wyoming, mentre a ovest il confine è rappresentato dai monti Wasatch, oltre il quale si estendono le zone desertiche del Nevada; a sud-ovest è il basso corso del Colorado a delimitare nettamente l’area dalle zone desertiche della California meridionale; a sud il confine si fa più indefinito e sfumato, date le relazioni tra i popoli di quest’area e quelli del Messico, ma un limite può essere trovato nel bacino del Rio Concho, un grande affluente meridionale del Rio Grande, e nella regione semi desertica del Bolsom de Mapimi, nello stato messicano di Chihuahua. Questa area costituisce la parte meridionale del vasto altipiano che si estende ad ovest delle Rocky Mountains, una regione con scarse precipitazioni per buona parte dell’anno e inverni freddi e nevosi, dove a parte i principali corsi d’acqua, il Colorado, il Gila, il Rio Grande, le risorse idriche sono scarse e in buona misura legato allo scioglimento delle nevi delle montagne che la circondano. Specialmente nella parte meridionale, le caratteristiche del terreno, lo rendono fortemente soggetto all’erosione dell’acqua e di altri agenti naturali, che producono vasti e profondi canion e mesas, i rilievi dai pendii scoscesi e piatti al vertice, che spesso si elevano isolati sulla pianura circostante. La vegetazione è di carattere stepposo e arbustaceo, soprattutto nella parte meridionale, con la presenza di zone boschive lungo i rilievi montani, più estese nella parte settentrionale. La fauna non vede la presenza di mammiferi di grossa taglia, ( a parte l’orso nero e il grizzly) il bisonte è scarsamente presente lungo i confini orientali e settentrionali dell’area, mentre quella di media taglia è rappresentata dal cervo mulo, dal pecari, dalla pecora bighorn e dall’antilocapra; queste specie comunque non vivono in branchi numerosi e anche la loro presenza, è comunque condizionata dalla scarsità delle risorse idriche e dalla povertà dei pascoli. Queste condizioni generali videro nel corso dei secoli variazioni temporanee, periodi migliori e peggiori, ma il quadro generale è rimasto costante a partire dall’era Arcaica. Si tratta quindi di un’area che non può contare, ne sugli ambienti lussureggianti e la ricca flora e fauna delle Foreste Orientali, ne su grande quantità di selvaggina, come nelle Grandi Pianure dei bisonti. In questo difficile ambiente, la possibilità di sviluppo di culture complesse e comunità numerose e strutturate, fu quindi un impegno gravoso, che dovette assorbire grandi risorse, lasciando poco spazio all’elaborazione di articolate stratificazioni sociali, di complessi sistemi rituali e di grandi siti cerimoniali,


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come invece accadeva nelle coeve culture delle Foreste Orientali. La grandezza della cultura di questi popoli si espresse quindi principalmente nella capacità di dare soluzione pratica a difficili problemi concreti, quali la costruzione di insediamenti, il loro collegamento, in assenza dei corsi d’acqua come via di comunicazione, la possibilità di approvvigionamento idrico, l’utilizzo agricolo di terre inadatte, e soprattutto in una grande sensibilità artistica ed L’alto corso del fiume Gila, fra i monti Mogollon, in New Mexico (sopra), e il Canion estetica, applicata ancor più de Chelly, nel nord-est dell’Arizona (sotto) che a oggetti rituali e simboli di status sociale, agli umili manufatti necessari alla vita quotidiana, vasi in ceramica e canestri, nei quali questi popoli raggiunsero un’eccellenza e una raffinatezza che è ancora oggi modello ineguagliato. Date le difficili condizioni ambientali, lo sviluppo dell’agricoltura, che segna la fine dell’era Arcaica, fu in larga misura frutto delle relazioni con le regioni meridionali del Messico, dove tale attività si sviluppa già nei millenni precedenti l’era cristiana; le scoperte agricole dei popoli messicani, raggiunto il nord, si innestarono su un modello di sussistenza, che proprio durante l’era Arcaica si era prodotto, incentrandosi sulla raccolta di un gran numero di vegetali selvatici. Le prime pratiche agricole, acquisite probabilmente a partire dal III millennio a.C, a partire dalle regioni meridionali di cultura Cochise, si estesero progressivamente verso nord, fino alle regioni dell’Utah e del Colorado, coinvolgendo i popoli di cultura Oshara e i primi Basket Makers (Ancestral Basket Makers), entro gli ultimi secoli precedente l’era cristiana. Con la progressiva diffusione dell’agricoltura, ed in particolare del mais, che a differenza che nelle regioni orientali, è il primo vegetale coltivato, il tradizionale nomadismo tende progressivamente a ridursi, mentre fanno la loro comparsa le prime “pit house”, abitazioni scavate nel terreno a base circolare o ovoidale, con tetti costituiti da una struttura in legno e ricoperti da rami e fango. E’ su questo modello di sussistenza di base, comune a tutto il Sud.Ovest, che a partire dal II sec. a.C, iniziano a formarsi le differenti culture storiche della regione, Mogollon, Hohokam, Anasazi, poi le successive Patayan e Fremont, e altre minori e più circoscritte, nel tempo e nello spazio; in queste culture che ci hanno lasciato significative testimonianze, è possibile cercare il passato, degli abitanti storici del Sud-Ovest.

I Mogollon A differenza che nelle Foreste Orientali, dove l’acquisizione dell’agricoltura fu un fenomeno sostan-


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zialmente autoctono, nelle regioni del SudOvest, l’agricoltura si diffuse attraverso il contatto con i popoli messicani, raggiungendo prima quindi le zone del Messico nord-occidentale e le contigue regioni dell’Arizona, del New Mexico e del Texas: quest’area fu la sede della più antica tra le culture agricole del Sud-Ovest, denominata Mogollon, dal nome della catena montuosa dell’Arizona, dove sono stati fatti i primi ritrovamenti archeologici che definoscono tale cultura, e dove essa ha avuto lo sviluppo più significativo e conosciuto. I popoli Mogollon sono gli eredi diretti della cultura arcaica di Cochise, che già Ricostruzione di una “pithouse” aveva acquisito una prima rudimentale pratica agricola e una tendenza alle sedentarietà, a partire dall’ultimo millennio dell’era cristiana; con l’acquisizione della ceramica, quasi certamente anch’essa dovuta ai rapporti con i popoli del Messico, a partire dal II secolo a.C., la cultura Mogollon emerge dalla precedente cultura Cochise e si differenzia rispetto alle altre e quasi coeve culture del Sud-Ovest. Rispetto alla fase precedente, la cultura Mogollon si caratterizza, oltre che per l’acquisizione della ceramica, per la definitiva scelta alla residenza stabile e dalla maggior dipendenza dall’agricoltura, mais e fagioli in particolare, a cui si aggiungeva comunque una modesta attività venatoria e di raccolta di vegetali selvatici, condotta nelle vicinanze dei villaggi. Durante i primi secoli, tali villaggi erano per lo più posti su alture difendibili, forse per il timore che altri gruppi, ancora legati al nomadismo, potessero predarli; tale abitudine si ridusse nei secoli successivi, quando tutto il sud-ovest divenne zona agricola e sedentaria, con una conseguente riduzione dei conflitti, e quindi gli insediamenti si estesero anche in zone pianeggianti, dovunque le risorse idriche, una sorgente o un piccolo torrente, rendevano possibile un raccolto. I villaggi erano abitualmente abitati da piccole comunità di alcune decine di individui, che risiedevano in abitazioni seminterrate (pit house), profonde circa un metro, del diametro dai 4 ai 6 metri, con tetto conico di pali, frasche e fango, a base circolare o ovoidale, in cui poteva vivere una piccola famiglia allargata, con anziani, i loro figli e nipoti; le abitazioni avevano spesso l’apertura sul tetto, e sempre un piccolo magazzino interrato per le conservazione del mais e degli altri alimenti. La principale espressione artigianale era legata alla produzione di vasi, coppe e brocche di ceramica, spesso decorata con strati di argilla rossa, di fattura e forme evidentemente influenzate dai modelli messicani; a questa attività si aggiungeva la produzione di cesti in fibre vegetali per la raccolta di frutti e semi, di pipe di argilla, oltre a frecce e lame in pietra per la caccia. E’ tra i Mogollon che probabilmente il tacchino compare per la prima volta nei villaggi agricoli, unico animale addomesticato in Nord America oltre al cane, anche se non è chiaro se l’introduzione di questo animale tra i popoli del SudOvest, sia frutto del contatto con i Messicani, o se sia avvenuta autonomamente. E’ comunque possibile che siano stati i tacchini stessi ad avvicinarsi agli insediamenti umani, dove li attirava la risorsa del mais, e che progressivamente si sia stabilito un rapporto simbiotico tra umani e tacchini semiselvatici, con gli umani che mettevano a disposizione il cibo, utilizzando quando ne avevano necessità, la carne, le uova e il piumaggio del tacchino Questo modello agricolo di sussistenza si affermò tra il II sec. a.C. e il V sec. d.C. in tutta l’area, influenzando anche i territori a est e a nord, dove nel frattempo si stavano producendo le culture degli Hohocam e più tardi degli Anasazi; tale processo ebbe comunque una battuta d’arresto piuttosto Realistica rappresentazione di un tacchino, in radicale, tra il V e il VII secolo, in particolare nella parte ocuna ceramica Mogollon, della fase Mimbres


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cidentale dell’area Mogollon, quando forse a causa di cambiamenti climatici, l’attività agricola vide un periodo di decadenza, con il ritorno all’antico nomadismo. Fu probabilmente in questo stesso periodo che l’arco e le frecce iniziarono a fare la loro comparsa nella regione, sostituendo progressivamente l’atlatl come strumento per la caccia, il cui uso dopo l’XI secolo, era stato completamente abbandonato. Forse proprio l’introduzione delle nuove tecniche venatorie legate all’arco e alle frecce, particolarmente adatte alle prede piccole e medie presenti nella regione, insieme a difficoltà nell’attività agricola, può aver Un artigiano Zuni al telaio; in Nord America solo gki indiani del Sudindotto singole comunità a ritornare al Ovest praticarono diffusamente la tecnica della tessitura nomadismo. Superato questo momento di crisi, la cultura Mogollon ebbe il suo apice intorno al IX e X secolo, quando le crescita demografica portò all’aumento del numero dei villaggi e alla loro maggiore estensione, anche se in questo stesso periodo va segnalata una fase di stagnazione, sul piano della crescita e dell’innovazione culturale, e quindi le prime testimonianze dell’influenza esercitata da culture limitrofe nei confronti dei popoli Mogollon. E’ infatti in questo periodo che nei villaggi, fanno la loro comparsa i primi “kivas”, strutture seminterrate simili a quelle usate come abitazioni, ma più grandi, e destinate ad uso cerimoniale, luogo di incontro per gli uomini, che vi si riunivano per celebrare riti, e forse per incontri sociali. L’uso dei kivas cerimoniali è tipico degli Anasazi, e rappresenta il primo elemento dell’influenza di questa cultura settentrionale sui Mogollon. E’ molto probabile che al culmine del loro sviluppo i popoli Mogollon abbiano prodotto un modello sociale più complesso, con una prima strutturazione in clan famigliari matrilineari e metà matrimoniali, e l’emergere di shamani e sacerdoti, intermediari di tutta la comunità nei confronti del mondo sovranaturale; sia gli uomini che le donne si dedicavano all’attività agricola, che peraltro richiedeva il costante lavoro umano per piccoli lavori di canalizzazione dell’acqua e l’irrigazione dei campi, mentre invece la tradizionale divisione del lavoro, doveva mantenersi per la raccolta di vegetali selvatici, riservata alle donne, e la caccia riservata agli uomini. Importante acquisizione di questo periodo è quella del telaio, e quindi della tecnica della tessitura, alla quale si dedicavano principalmente gli uomini, e che utilizzava oltre al cotone, le fibre di agave e di molte altre piante. Al pari della produzione di ceramica e di canestri, la tessitura fa di questa regione una delle più evolute sul piano della produzione artigiana, una produzione che si differenzia, anche in funzione di una domanda che, con la maggiore strutturazione sociale e l’emergere di leader civili e religiosi, richiede anche prodotti in grado di mostrare il prestigio e lo status elevato. Questa dinamica si produce anche negli usi funerari, che mostrano una evoluzione, con una quantità di vasellame di pregiata fattura, destinata ad accompagnare la sepoltura degli individui più autorevoli e dei sacerdoti. All’apice della sua espressione ed espansione la cultura Mogollon da luogo ad una serie di differenziazioni che si producono nell’ampia regione interessata: nel nord dell’area, alle sorgenti del fiume Gila, poco prima dell’anno 1.000 emergeva la tradizione Mimbres Mogollon, la cui principale espressione è nell’eccellenza della ceramica, caratterizzata da decorazioni nere su bianco, con motivi geometrici o la stilizzazione di figure animali o umane. A est, nella regione del medio corso del Rio Grande, fino al fiume Pecos e al Rio Conchos, a partire dalla seconda metà del I millennio, un’espressione periferica, definita Jornada Mogollon, si sviluppa con proprie caratteristiche; una minore dipendenza dall’agricoltura, fortemente integrata dalla caccia al bisonte nelle praterie del Texas, un artigianato più povero, insediamenti più piccoli e transitori. Nel nord del Messico il grande centro di Casas Grandes, sorto da un insediamento Mogollon, dava corso ad una peculiare esperienza che influenzava una vasta regione circostante. In questa fase di crescita ed espansione comunque, l’estensione della cultura Mogollon si accompagna


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all’inizio di una perdita di identità e di una contaminazione con le vicine culture occidentali e settentrionali degli Hohocam e Anasazi, che in quello stesso periodo raggiungono la loro massima espressione, influenzando gli stessi Mogollon. Di fatto il modello culturale Mogollon cessa di essere intorno all’anno 1.000 un’originale e omogeneo fattore di sviluppo culturale del SudOvest, per divenire l’espressione periferica delle culture più avanzate che in quell’epoca si andavano affermando. Ciò è particolarmente evidente nel cambiamento dei modelli di insediamento, con il progressivo abbandono delle caratteristiche pithouse, sostituite da edifici costruiti al livello del terreno con mattoni di paglia e fango (adobe) o pietre. Tale uso, fa la sua prima comparsa a nord, tra gli Anasazi della regione dei Four Corner (confine tra Colorado, Utah, New Esempi di ceramica Mimbres (X-XIII sec.) Mexico e Arizona), per estendersi in tutta l’area Mogollon, da Rio Grande, alle sorgenti del Gila, fino al nord del Messico. I villaggi di nuovo tipi sono costituiti da decine di stanze, l’una affiancata all’altra, a base quadrata o rettangolare, in grado di ospitare una singola famiglia nucleare, spesso posti intorno ad una “plaza” centrale, destinata alle pubbliche occasioni e alle cerimonie religiose. L’uso di costruire pithouse, non scompare del tutto, ma cambia la loro forma, che diviene quadrangolare, come le case costituite in superficie, mentre crescono le misure dei kivas destinati ai riti religiosi, che arrivavano a raggiungere anche i 10 metri di diametro. Sono di questa epoca i Pueblo di cui ci sono rimaste testimonianze archeologiche, da Hueco Tanks nella valle del Rio Grande, a Gila Cliff, sull’alta valle del Gila, a Casas Grandes, nel nord dello stato di Chihuahua in Messico; quest’ultimo attivo dalla fine del I millennio all’inizio del XV secolo, era il più grande, un complesso che al suo massimo fulgore era composto di circa 2.000 stanze in cui vivevano oltre 2.000 abitanti, al centro di altri insediamenti minori, per un totale di 10.000 abitanti. La vicenda di Casas Grandes, che inizia come un semplice villaggio di poche pithouse collegate fra loro, è comunque particolare e nella sua massima espressione, quando il villaggio si trasformò in un grande centro cerimoniale e commerciale, in cui convergevano influssi culturali e merci da tutto il Sud-Ovest e dal Messico, essa va ben oltre quella della cultura Mogollon, che in quella stessa epoca era ormai in declino in tutta la regione che l’aveva vista svilupparsi. Tale declino iniziò a partire dalla metà del XIII secolo e con interruzioni e fasi di momentanea riprese si protrasse fino alla Ricostruzione di un insediamento Jornada Mogollon, nella valle del Rio Grande metà del XV secolo


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quando la cultura Mogollon scompare in tutta l’area. Tale fase di declino coinvolse tutte le culture del Sud-Ovest, non solo quella Mogollon, ma per quanto riguarda i Mogollon tale declino si accompagna ad una sostanziale scomparsa di questa cultura, di cui è difficile quindi individuare gli eredi storici. Secondo molti studiosi, reminiscenze degli antichi Mogollon, possono trovarsi tra gli Zuni storici del New Mexico, che quando furono incontrati dagli Spagnoli alla metà del ‘500, erano parte della cultura Pueblo, insieme alle diverse tribù di lingua Tanoan, ai Keres, agli Hopi. E’ comunque probabile che gli antichi Mogollon, non costituissero una unica Gila Cliff, un insediamento Mogollon del XIII secolo entità etnica e linguistica, ma un coacervo di diverse realtà, in cui erano presenti popoli di più antico stanziamento, forse già dalla fine del pleistocene, come probabilmente erano gli Zuni e i Keres, e popoli di lingua Tanoan e Uto-Azteca, giunti successivamente durante la fase Arcaica, probabilmente intorno al V millennio a.C. Il fatto che i Mogollon non costituissero un’unica e omogenea entità etnico-linguistica, potrebbe meglio spiegare le caratteristiche del processo di dissoluzione di questa cultura, passata attraverso molte differenziazioni interne e soprattutto la grande permeabilità alla commistione, quando non alla completa fusione, con popoli di cultura diversa. Alla vigilia del contatto la cultura Mogollon era di fatto scomparsa dal Sud-Ovest, e la regione che ne era stata la sede, divenne in larga misura il territorio degli Apache storici, nomadi Atapaskan, che raggiunsero il Sud-Ovest in un’epoca imprecisata, ma sicuramente compresa tra il XII e il XV secolo; l’arrivo di questi gruppi nomadi, potrebbe aver contribuito in modo significativo alla scomparsa della cultura Mogollon. Nella zona orientale dell’area, lungo il corso del Rio Grande tra El Paso e la confluenza del Rio Conchos, la variante Jornada Mogollon scomparve nel corso del XV, e quando gli Spagnoli vi giunsero, trovarono solo piccole tribù che vivevano cacciando, pescando e raccogliendo vegetali selvatici; alcuni di questi gruppi, come gli Jumanos, si trasferirono addirittura nelle Grandi Pianure, dove cacciavano il bisonte per buona parte dell’anno, per svernare poi nei Pueblos del medio Rio Grande, dove scambiavano pelli e carne con le tribù agricole. Più a sud, nel Messico, l’attività agricola rimase prevatente tra gli Opata, i Tarahumara e probabilmente i Concho di lingua Uto-Azteca, ma cambiarono modelli di insediamento e tecniche artigianali, al punto che è difficile riconoscere in questi gruppi gli eredi dei Mogollon. Questi gruppi in particolare, linguisticamente affini a quelli che diedero vita alla cultura Hohokam, furono certamente da questi influenzati.

Gli Hohocam Se nella cultura dei Mogollon è possibile verificare le prime evidenti influenze delle grandi culture mesoamericane tra i popoli del Sud-Ovest, certamente furono gli Hohocam a trarre il massimo vantaggio da tale influenza, dando vita ad un complesso culturale, che sia sul piano del modello di sussistenza, che su quello dell’organizzazione sociale e dell’artigianato, raggiunse una complessità ed una specializzazione molto più avanzate di quella Mogollon. La cultura Hohocam prende tale nome dall’espressione in lingua Pima che significa “quelli che se ne sono andati”, ed ebbe il suo centro nelle terre abitate proprio dai Pima storici, lungo la valle del fiume Gila, nel sud dell’Arizona, estendendosi a sud fino alle zone desertiche al confine con il Messico e a nord lungo il Salt River, affluente del Gila. Il bacino del medio e basso corso del fiume Gila è una vasta regione pianeggiante, che ha risorse idriche


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ancor minori di quella dell’alto corso, abitata dai Mogollon, dove nelle aree montuose, sorgenti, e piccoli torrenti alimentati dalle nevi invernali, offrono maggiori opportunità all’agricoltura, e dove fauna e vegetazione selvatica offrono qualche risorsa alimentare aggiuntiva. Al contrario il medio e basso corso del Gila attraversano una regione semidesertica, in Un’immagine del territorio semidesertico attraversato dal fiume Gila cui non solo l’agricoltura è particolarmente difficile, ma la scarsità d’acqua riduce anche notevolmente la presenza di selvaggina e vegetazione selvatica, rendendo la vita difficile anche a popoli con un modello di sussistenza basato sul nomadismo. Gli antichi Hohocam, si misurarono quindi con la necessità di trovare soluzione al problema di sopravvivere in una regione che non offriva le aleatorie e precarie risorse della caccia e della raccolta, e in cui solo un’agricoltura organizzata e specializzata, poteva permettere di sopravvivere. La soluzione a questo problema fu trovata in quello che è il principale elemento di caratterizzazione della cultura Hohocam, un vasto e complesso sistema di canali d’irrigazione, quale non si è prodotto in nessuna regione del Nord America, e che rappresenta un modello avanzato anche nel rapporto con le antiche civiltà del Vecchio Mondo. Gli Hohocam emergono come i Mogollon dal precedente complesso della cultura Arcaica di Cochise, quando a partire dall’inizio dell’era cristiana, diversi piccoli insediamenti agricoli iniziano a fare la loro comparsa nella valle del Gila, e a partire dal II sec. d. C., anche la ceramica fa la sua comparsa in questi primi insediamenti. Si tratta in questa fase di piccole comunità di poche decine di abitanti, che vivono in abitazioni diverse dalle pithouse dei Mogollon, essendo meno interrate, abitualmente non più di mezzo metro, avendo abitualmente base quadrangolare e rettangolare, piuttosto che circolare o ovoidale; il tetto è a cupola, piuttosto che conico, costituito da rami e frasche, ricoperto da fango e argilla, e un focolare posto vicino all’ingresso invece che al centro, come fra i Mogollon. Questi piccoli gruppi vivevano quasi esclusivamente del prodotto degli orti posti nelle vicinanze dei fiumi, e che probabilmente già dopo il V secolo venivano irrigati da piccoli canali. Fu durante questo primo periodo, che si protrasse fino all’VIII sec. d. C., che i principale elementi della cultura Hohocam si produssero: nel campo delle attività agricole, il cotone, diversi tipi di fagioli e di zucche, furono introdotti dalle zone meridionali, insieme a vegetali locali, come l’amaranto e l’agave, le cui fibre venivano utilizzate per la tessitura, aggiungendosi al mais, che rimaneva la prima risorsa alimentare; nel campo delle tecniche artigianali, compaiono, oltre allo specifico tipo di ceramica Hohocam, caratterizzata dal coloro rosso, anche la produzione di piccole statuette a tutto tondo di busti e Esempi di ceramica Hohocam figure umane, usate soprat-


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tutto a scopo cerimoniale. Già da questo periodo era presente un elemento caratteristico della culturra Hohocam, il suo essere al centro di una rete di scambi commerciali, che metteva in relazione le regioni interne del SudOvest, con le coste della California e le regioni meridionali del Messico: il turchese, diversi tipi di conchiglie marine, e i grandi pappagalli ara Un canale Hohocam, rioportato alla luce dagli archeologi (a sinistra) e il tracciato ancora visidel Messico, apprez- bile di antichi canali nei pressi dell’aereoporto di Phoeniz, Arizona (a destra) zati per il loro variopinto piumaggio, erano tra i beni che venivano scambiati. Durante questi primi secoli, si posero le basi materiali per lo sviluppo della cultura Hohocam, ma è solo a partire dall’VIII secolo, che la rete di piccole comunità agricole incidenti nella stessa regione, e che quasi certamente condividevano oltre al modello culturale anche la lingua, si trasformano in strutture sociali più grandi, complesse e organizzate. E’ lo sviluppo agricolo, la messa a coltura di nuove terre, il volano della crescita culturale, che imponendo la necessità di ampliare ed estendere il sistema di canalizzazione, porta alla collaborazione e all’integrazione delle piccole comunità autonome. Il sistema di irrigazione Hohocam portò allo scavo di grandi canali, larghi diversi metri e profondi oltre 3 metri, per una estensione complessiva, alla metà del XV secolo, di oltre 500 chilometri, il tutto fatto con il solo ausilio di bastoni da scavo e cesti per portar via la terra. I canali venivano scavari con una grande attenzione ai livelli di pendenza che dovevano permettere un flusso delle acque equilibrato, ne troppo veloce, per il rischio dell’accumulo di detriti e sabbia che avrebbe potuto ostruirli, ne troppo lento che non avrebbe garantito un adeguato approvvigionamento idrico. Per tali complessi lavori di ingegneria idraulica, era necessaria un notevole impiego di forza lavoro, e la regione era all’epoca la più densamente popolata del Sud-Ovest, con forse 80.000 abitanti. Ma il gran numero di braccia disponibili per la costruzione e la costante manutenzione del sistema di irrigazione, necessitava anche di un’organizzazione del lavoro centralizzato e gerarchizzato, e ciò portò al formarsi di una prima stratificazione sociale, con l’emergere di figure sacerdotali, la cui competenza nel progettare e sovrintendere al sistema dei canali, doveva avere un carattere sacro ed esoterico. Anche gli insediamenti si modificano, con l’introduzione di mattoni di adobe nella costruzione delle abitazioni, mentre i villaggi vengono costruiti intorno a piazze usate per i riti collettivi; nei centri principali fanno la loro comparsa grandi campi per il gioco rituale della palla, secondo un modello mutuato dalle culture dell’America Centrale; i campi per il gioco della palla, erano grandi corti scavate nel terreno, fino a tre metri di profondità, per 90 metri di Ricostruzione di una abitazone Hohocam lunghezza e oltre 25 di larghezza. Non


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c’erano gli “anelli” di pietra, che costituivano le “porte” o i “canestri” per i giocatori messicani, e quindi il gioco doveva svolgersi con regole diverse, mantenendo però la sua caratteristica di grande cerimoniale pubblico e collettivo. L’importanza dei rituali collettivi, è confermata anche dai ritrovamenti di resti di grandi forni comuni, da utilizzare per banchetti collettivi in tali occasioni cerimoniali. Verso l’inizio del II millennio, un ulteriore prova del contatto e dell’influenza messicana, è data dai ritrovamenti di piattaforme elevate all’interno dei villaggi, non paragonabili per grandezza alle piramidi messicane, ne ai Temple Mounds della valle del Mississipi, ma Corte per il giooco della palla nel sito di Wupatki quasi certamente aventi la stessa funzione, quella di ospitare templi o l’abitazione di sacerdoti e altri personaggi eminenti e delle loro famiglie. E’ interessante notare come, a differenza di quanto accade più o meno nello stesso periodo nella valle del Mississipi, l’emergere di una struttura sociale più gerarchizzata e centralizzata, non si accompagna all’emergere di una casta di guerrieri; evidentemente doveva trattarsi di un periodo in cui i rischi di conflitti erano bassi, ma c’è anche da considerare, che la necessità di organizzare il lavoro agricolo in un contesto estremamente difficile, lasciava poche energie e risorse da riservare all’attività bellica e alla propensione agPiattaforma cerimoniale nel sito di Pueblo Grande gressiva. Piuttosto che i guerrieri, a fianco alle figure sacerdotali, probabilmente legate alla gestione del sistema di irrigazione, emergono le figure di artigiani, che acquisiscono nuove tecniche, imparano a lavorare nuovi materiali, producendo una ricca gamma di manufatti, che spazia dalle raffinate ceramiche, alla produzione tessile, fino alla vera e propria gioielleria; tra gli oggetti più interessanti, sono piccoli campanellini di rame, e soprattutto i gusci di conchiglie finemente decorati, con una tecnica usata solo in questa zona del Nord America, usando acidi ricavati dal succo di saguaro, per erodere la superficie del guscio, dopo aver protetto con della cera le parti che si voleva mantenere in rilievo e decorare. In questo periodo cambiano anche gli usi funerari, e dall’inumazione praticata nei primi secoli, come facevano i loro vicini Mogollon, si passa alla pratica della cremazione e della conservazione delle ceneri in brocche, ricoperte da ciotole rivoltate a mo‘ di coperchio, che poi erano interrate nel sottosuolo delle case. E’ nel corso del XII secolo che la cultura Hohocam raggiunge la sua massima espansione e caratterizzazione, estendendosi dalla valle del Salt River, fino alle aree desertiche ai confini del Messico, con i piccoli villaggi e i più importanti centri cerimoniali, che si sviluppano lungo le valli fluviali del Gila e dei suoi affluenti e lungo la rete di canali che da essi si dipana. E’ in questo stesso periodo che le zone settentrionali e orientali dell’area Hohocam, divengono punto di riferimento per popoli di provenienza diversa, portatori di modelli culturali diversi; già nella seconda metà del primo millennio, quando la vicina cultura Mogollon, vide un momento di crisi, popoli provenienti da est si inserirono nel complesso


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culturale Hohocam, seguiti poi da gruppi provenienti da nord, dalla zona tra il Little Colorado e il Green River, all’inizio del II millennio, fino ad un successivo arrivo di gruppi Anasazi, da nord-est. Tutti questi contatti arricchirono e variarono l’originale cultura Hohocam, il cui centro più originale rimase nella valle del Gila, ma che estendeva la sua influenza anche su popoli di diversa provenienza. La cultura Hohocam ha lasciato le sue vestigia in diversi importanti siti, e tra questi il più significativo è certo quello di Snaketown, sul fiume Gila, a sud-est di Phoenix, la cui storia si snoda dal III al XII secolo, accompagnando di fatto tutto il periodo di crescita della cultura Hohocam, fino al Oggetti di gioielleria Hohocam, ricavati dalla lavorazione di conchiglie suo apice. Snaketown era un classico centro Hohocam, abitato forse da migliaia di individui, che risiedevano in centinaia di pithouse solo parzialmente interrate e con muri di adobe, e con alcune “grandi case” su due livelli: oltre alla piazza centrale c’erano due grandi corti per il gioco della palla, e una piattaforma sopraelevata per le cerimonie e i riti collettivi. La storia di Snaketown si chiuse, sembra in modo piuttosto repentino, intorno al 1100, per motivi a noi oscuri; tracce di edifici incendiati fanno pensare ad un evento traumatico, e seppur il centro fu abbandonato, la popolazione che l’abitava non sembra aver abbandonato la regione, dato che in coincidenza con la fine di questo centro, nelle sue vicinanze sono stati trovati i resti di comunità più piccole e sparse. Più che a problemi legati a modificazioni ambientali e climatiche, la fine apparentemente traumatica di Snaketown, il fatto stesso che i suoi abitanti più che abbandonare la regione, sembrano essersi divisi, fa pensare ad una crisi del sistema di potere e dei meccanismi di integrazione e coesione politica, le cui cause però è difficile ipotizzare. Più grande e per certi versi ancor più significativo dello sviluppo della cultura Hohocam, è l’insediamento di Casa Grande, pochi chilometri a sud-ovest di Snaketown, che nasce intorno al VI secolo, come un insieme di piccoli aggregati di pithouse, ognuno con una propria plaza centrale, che progressivamente si espandono e si uniscono, convergendo tutti verso un’unica plaza centrale, rappresentando così plasticamente il processo che porta le sparse comunità agricole, a centralizzarsi anche politicamente in una unica entità. Nella grande area di Casa Grande, sono stati ritrovati i resti di centinaia di abitazioni, muri di cinta divisori, almeno quattro corti per il gioco per la palla, la struttura che da il nome al luogo, la “casa grande”, un edificio di muri di adobe di quattro piani, che secondo i miti degli indiani Pima, fu voluto da un grande sacerdote, che governava la comunità. La storia di Casa Grande si snoda lungo tutta la fase più avanzata della cultura Hohocam, dal V secolo fin verso la metà del XIV secolo, quando inizia un periodo di declino, che si protrarrà, fin verso la metà del secolo successivo, e all’abbandono del complesso. Altri due grandi centri Hohocam, erano nella bassa valle del fiume Salt, affluente del Gila, quelli di Mesa Grande e Los Hornos, il primo come Snaketown sviluppatosi a partire da un singolo insediamento, il secondo come Casa Grande, dalla progressiva unificazione di piccoli insediamenti residenziali; in en-


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trambi sono stati ritrovati gli elementi caratteristici dei villaggi Hohocam, corti per il gioco della palla, plazas e piattaforme cerimoniali sopraelevate di alcuni metri. La storia di entrambi si snoda, fra alterne vicende, tra il V e il XIV secolo, con il definitivo abbandono alla metà del XV secolo, quando in tutta l’area la cultura Hohocam scompare. Le ragioni della scomparsa della cultura Hohocam non sono del tutto chiare, ma due elementi certi sicuramente influirono in modo determinante: i cambiamenti climatici che tra il XIII e il XV secolo modificarono le condizioni in tutto l’emisfero nord, e che in America in Rovine del principale edificio di Casa Grande (sopra) e la ricostruzione particolare ebbero un impatto su dell’artista contemporaneo Paul Coze, di una comunita Hohocam intorno al molte cultura agricole, all’est come 1.300 (sotto) all’ovest; l’arrivo dei nomadi Atapaskan dal nord, che giunsero più o meno nello stesso periodo. I cambiamenti climatici ebbero certo un ruolo importante nella scomparsa degli Hohocam, ma certo questo popolo, che aveva imparato a irrigare i deserti e a trasformarli in campi agricoli, avrebbe forse potuto superare anche questa difficoltà, come altre ne aveva superate nei secoli precedenti, ma l’arrivo di bellicosi popoli dal nord, può essere stato la classica goccia che fa traboccare il vaso. Non va poi dimenticato il fatto che, per quanto ci è noto, la società Hohocam, era una società pacifica, basata sulla coesione e la collaborazione collettiva, dove non emergevano figure di capi guerrieri, e che non sembra sia stata attraversata da gravi conflitti nel corso della sua storia; l’arrivo di aggressivi invasori, può aver scosso il sistema gerarchico che presiedeva la complessa struttura in grado di garantire la manutenzione e l’estensione del sistema di irrigazione da cui dipendeva l’agricoltura Hohocam, sottraendo anche energie a tale lavoro, per garantire la difesa, e questo prorio nel momento in cui le condizioni ambientali e climatiche, rendevano necessario un maggiore investimento di forza lavoro ed una maggiore coesione sociale e politica. La crisi della cultura Hohocam, concise di fatto con l’abbandono e il progressivo interramento dei canali, e portò di fatto alla disgregazione dei grandi centri, alla dispersione delle comunità, verso un modello di sussistenza più arretrato, quello che i Pima e altri gruppi affini praticavano al tempo del contatto con gli Spagnoli. A differenza dei Mogollon, per cui è difficile pensare che costituissero un gruppo etnico e linguistico omogeneo, e di cui è difficile individuare gli eredi storici, la continuità etnica e linguistica tra gli antichi Hohocam, e i Pima, i Papago, i Sobaipuri, i Maricopa, tutti di lingua Uto-Aztecan, che abitavano della regione in tempi storici è certa; queste tribù sono linguisticamente più correlate ai popoli Uto-Aztechi del Messico (Opata, Tarahumara, Nebome, Yaqui ecc...), che non a quelle del Nord America (Shoshone, Ute, Pa-Hute, Hopi ecc...), e anche in tempi storici, come gli antichi Hohocam, continuarono a mantenere relazioni con l’area messicana. I Pima e gli altri gruppi affini, continuarono a vivere nella regione, mantenendo lo stesso modello di sussistenza agricolo, preservando alcune tecniche artigianali, ma la loro


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cultura, quando furono incontrati dall’esploratore e missionario padre Eusebio Kino alla fine del ‘600, non era più in grado di andare oltre il semplice livello di piccole comunità agricole senza alcuna centralizzazione, mentre gli antichi canali di irrigazione erano stati definitivamente abbandonati. A quell’epoca poi essi vivevano in una costante guerra difensiva, contro i raid degli Apache, e dei loro alleati Yavapay, al punto che furono obbligati ad una difficile e subalterna alleanza con gli Spagnoli, pur di difendersi dagli aggressivi vicini. Ancora oggi gli eredi dei Pima e delle altre tribù affini, vivono di agricoltura, nelle riserve loro assegnate sulle terre dei loro antenati Hohocam.

Gli Anasazi La più caratteristica e nota tra le culture agricole del Sud-Ovest, è certamente quella degli Anasazi, un termine della lingua Navajo, che significa “antichi nemici”, è che è riferito al popolo che precedentemente occupava le terre abitate in tempi storici da questa tribù. La Una vista del Mesa Verde National Park, nel cuore della regione dei “Four Crners” regione in cui la cultura Anasazi ha origine e si sviluppa, è quella dei cosiddetti “Four Corners”, al confine tra gli attuali stati del New Mexico, Arizona, Colorado e Utah, un’area delimitata dal corso dei fiumi Little Colorado, Colorado, San Juan e Rio Grande. In questo vasto territorio, gli Anasazi ci hanno lasciato i resti di quelle che, fino alla fine dell’800, furono le più grandi costruzioni in Nord America; Anasazi è anche il più antico e continuativamente abitato insediamento umano del Nord America, il pueblo di Acoma in New Mexico, la “città del cielo”, posta in cima ad una mesa: fondata nel 900 d.C., è ancora oggi sede di una comunità di indiani Keres. Conosciuti con i nomi di “pueblos” (villaggi in spagnolo) e di “cliff dwelling” (edifici sui dirupi), i resti di questi insediamenti ancora oggi si stagliano imponenti tra i canion e i deserti del sud-ovest, testimonianza di un’antica cultura che al massimo del suo sviluppo esercitò la propria influenza anche sulle altre aree del Sud-Ovest, e dal cui declino si sviluppò la cultura dei Pueblo storici, incontrati dagli Spagnoli alla metà del ‘500, e ancora oggi viva e vitale. La storia degli Anasazi si snoda in un periodo di Acoma, la “città del cielo”, il più antico insediamento umano oltre 2.000 anni avendo le consecutivamente abitato del Nord America


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sue radici più antiche tra i Basket Makers (fabbricanti di canestri) della Cultura del Deserto dell’epoca Arcaica, piccole comunità di nomadi che vivevano spostandosi da un luogo all’altro, in una zona povera di selvaggina di grossa taglia, cercando principalmente vegetali selvatici. Come indica il nome utilizzato per definire questa cultura, fu proprio grazie all’innovazione prodotta dalla costruzione di canestri di fibre vegetali intrecciate, che questi antichi popoli poterono adattarsi alle difficili condizioni di un’area che durante gli ultimi millenni prima dell’era cristiana, fu sottoposta ad un progressivo inaridimento. L’uso di semplici cesti facilitava la raccolta di semi e frutti, ne permetteva l’immagazzinamento e il trasporto, rendendo possibile una maggiore pianificazione dell’uso delle risorse, e una vita meno precaria, Questi antichi Basket Makers, erano eredi della tradizione Oshara, coeva della tradizione Cochise delle regioni meridionali, ma che già in epoca Arcaica si caratterizzò per una specifica modalità di costruzione di punte di freccia e per l’uso di utensili costruiti con pietra basaltica di colore nero. Sotto molti punti di vista, già nelle storia più antica i Basket Makers si differenziavano dalla cultura Cochise, avendo minori influenze dalle più avanzate culture Mesoamericane, vivendo in una regione ancor più povera di risorse idriche e fauna, e quindi dipendendo ancor più dalla raccolta di vegetali selvatici, che non dalla caccia, e ignorando del tutto ogni rudimentale pratica agricola, già nota ai loro vicini meridionali. Per tutta la prima fase della loro storia, nel corso del I millennio a.C., i Basket Makers vissero in piccole bande disperse, usando semplici ripari di rami e frasche o grotte e cavità nella roccia, occupate per brevi periodi, il solo tempo in cui le risorse vegetali e la scarsa selvaggina di piccola e media taglia era disponibile, secondo un modello di sussistenza ancora in uso nel XIX secolo, tra i raccoglitori Shoshone e Pahute dei deserti del Nevada. Dato il clima, scarso era l’uso di vestiari: sandali di fibre vegetali intrecciate, e durante l’inverno mantelli di pelli di coniglio cucite, mentre non mancavano oggetti ornamentali di pietra e osso e addirittura di conchiglie marine, certamente ottenute attraverso scambi con gruppi occidentali, nel corso dei loro spostamenti. Lo stile di vita di questi nomadi inizia a modificarsi a partire dagli ultimi secoli prima dell’era cristiana, quando il mais fa la sua prima apparizione, modificando le abitudini e il modello di sussistenza: i gruppi non abbandonano il nomadismo, ma seminando il mais in determinate località, vi fanno poi ritorno al tempo del raccolto, iniziando così a vincolare la propria esistenza ad un ambito territoriale più definito e limitato. E’ in questo periodo che fanno la loro comparsa le prime strutture interrate, sul modello delle “pithouse” dei Mogollon, il cui uso è però inizialmente legato, solo alla necessità di immagazzinare e conservare risorse alimentari. E’ a partire da questi cambiamenti che, dal I sec. a.C., progressivamente l’agricoltura cresce di importanza, la tendenza alla costruzione di comunità stabili si generalizza, e l’influenza dei Mogollon meridionali risulta evidente dalla costruzione di piccoli villaggi di pithouse, abitualmente non più di una decina di locali, fino ad un massimo di venti. Nella costruzione delle pithouse, di forma circolare con un diametro di alcuni metri, progressivamente cresce l’uso di far coincidere l’apertura centrale per la fuoriuscita del fumo con l’ingresso, mentre l’ingresso posto a livello del suolo, si trasforma in una apertura più piccola, la cui funzione è permettere il ricambio dell’aria. La vicenda dei Basket Makers si esaurisce intorno al IV-V secolo Cerami che Anasazi del periodo classico (IX-XII sec.)


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d.C., quando anche la ceramica viene acquisita dai vicini Mogollon, venendo però rielaborata sia nelle tecniche di cottura, sia nei motivi artistici e decorativi; è da questo momento che si inizia a parlare di “cultura Pueblo”, ed è da questo momento che cambiano i modelli di insediamento, e cominciano a fare la loro comparsa le prime abitazioni di pietra e adobe (mattoni di paglia e argilla), al livello del terreno, di forma quadrangolare, costruite l’una a fianco all’altra, in modo da poter condividere le pareti divisorie; l’uso delle pithouse rimase, ma cambiò la funzione, che assunse carattere principalmente sociale e cerimoniale: i “kivas”, ancora in uso in tempi storici e di cui ci sono rimaste molte testimonianze. L’agricoltura di questi Pueblo era comunque basata su risorse idriche incerte, dato che gli Anasazi non giunsero mai a concepire i complessi sistemi di irrigazione degli Hohocam, mentre l’area da essi abitata era ancor più povera di sorgenti e corsi d’acqua che non l’area dei Mogollon; le precipitazioni stagionali erano la principale risorsa idrica e pare ormai certo che a partire dal V secolo, si ebbe un lungo periodo di maggiore piovosità, che favorendo l’agricoltura, determinò una significativa crescita demografica e la nascita di un gran numero di piccole comunità agricole, spesso poste in luoghi elevati, sul vertice piatto delle “mesas”, dove il legname e la vegetazione erano più abbondanti che nei semidesertici fondo valle. E’ a partire dal X secolo e fino all’inizio del XII secolo, che la cultura Pueblo ha il suo momento di massimo fulgore, di cui la principale testimonianza è ancora nel cambiamento del modello di insediamento. Fanno la loro comparsa infatti i primi grandi villaggi, composti da centinaia di locali, spesso posti su più piani, in cui vivono centinaia e forse migliaia di persone. Quelli più caratteristici e spettacolari hanno forma di grandi D, con una grande “plaza”, intorno a cui si elevava un semicerchio di più piani costituito dalle abitazioni; quelle più elevate venivano raggiunte da scale a pioli di legno e spesso avevano l’ingresso dal tetto, mentre quelle più basse e poste all’interno, che non potevano avere accessi esterni, venivano usate come magazzini. A congiungere gli estremi del semicerchio residenziale era spesso un muro, che delimitava la piazza interna, in cui erano siti i kivas, alcuni molto grandi, destinati a cerimonie collettive. Altri elementi architettonici caratteristici, erano le torri, alte fino a tre piani, poste spesso nelle vicinanze dei kivas, e forse quindi anch’esse con una funzione cerimoniale, anche se non è da escludere un possibile uso difensivo o d’avvistamento. I kivas rappresentano un elemento caratteristico della cultura Anasazi, la cui presenza anche in area Mogollon, segnala l’influenza che gli Anasazi giunsero ad avere anche sulle regioni limitrofe, e la loro evoluzione segnala le modificazioni apparse nella cultura Anasazi nel corso dei secoli. All’inizio con l’abbandono dell’uso delle pithouse a scopo residenziale, quasi certamente alcune di queste pithouse, devono essere state mantenute come luogo di incontro sociale e rituale per gli uomini (ed esclusivamente per loro) delle piccole comunità della prima fase Pueblo; nei grandi complessi residenziali della fase classica, a cavallo del I millennio, questi kivas originari, di struttura piuttosto semplice, interrati di poco più di un metro e del diametro tra i 4 e i 5 metri, erano presenti nella stessa struttura del pueblo, ogni 5-10 camere residenziali, e quasi certamente dovevano essere usati da singoli gruppi e clan per attività sociali e cerimoniali famigliari. Nello stesso periodo però, fanno la loro comparsa anche i grandi kivas, con un diametro molto maggiore e più curati nella struttura, con il pavimento in pietra, una grande panca di pietra lungo il bordo circolare interno e spesso una buca che simbolicamente rappresentava il punto, da cui secondo le credenze, erano emersi dal sottosuolo i primi Vista aerea delle rovine di Pueblo Bonito, nella regione di Chaco Canion, nel New Mexico


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Elementi caratteristici dell’architettura Anasazi: il Grande Kivas di Chaco Canion, New Mexico (sopra), e la Holly Tower nel sito archeologico di Hovenweep, Utah (a destra)

uomini. Questi grandi kivas, costruiti all’esterno della struttura residenziale, nelle plazas poste al centro dei pueblo, segnalano il prodursi di una struttura sociale più integrata e centralizzata, con il possibile emergere di una casta sacerdotale, probabilmente espressione dei singoli clan famigliari matrilineari, che dovevano essere la base dell’organizzazione sociale Anasazi, come dei loro discendenti Pueblo storici. Un altro elemento caratteristico della cultura Anasazi all’apice del suo sviluppo, tra l’XI e il XII secolo, è rappresentato da un vasto sistema stradale, che si estendeva complessivamente per circa 300 km, e che si sviluppava in modalità radiale intorno ai principali centri economici e spirituali, collegandoli alle piccole comunità circostanti, o a luoghi che probabilmente avevano un valore spirituale e religioso. Queste strade larghe fino a 10 metri, e che secondo alcuni studiosi erano costruite sulla base di osservazioni e calcoli astronomici, dovevano avere una funzione principalmente religiosa, per favorire i pellegrinaggi verso i principali centri religiosi, ma certo ebbero un ruolo anche nell’integrazione e nello sviluppo economico delle diverse comunità. Nella fase classica della loro cultura gli Anasazi erano un popolo quasi esclusivamente agricolo, organizzato in clan famigliari matrilineari e matrilocali, raggruppati in fratrie matrimoniali esogamiche; allo sviluppo della struttura sociale e delle tecniche architettoniche, si accompagnò un grande sviluppo di una quantità di attività artistiche ed artigianali, dalle pregiate ceramiche, alla tessitura, alla lavorazione del turchese e di altri materiali per la fabbricazione di gioielli, con una rete di scambi commerciali che quasi certamente spaziava dalle grandi pianure, al Messico, fino alle coste del Pacifico. L’influenza degli Anasazi, testimoniata dalla presenza di grandi edifici residenziali collettivi e kivas, si estendeva dagli agricoltori delle Grandi Pianure del Texas occidentale e del Colorado orientale, verso i Mogollon del Rio Grande e quelli del New Mexico meridionale, fino agli Hohocam del sud dell’Arizona. Certamente si trattava di un popolo pacifico e religioso, il cui principale impegno era quello di vivere e prosperare in un difficile ambiente, confrontandosi con la scarsità endemica di risorse idriche e dipendendo quasi esclusivamente dalle precipitazioni stagionali e dalle nevi invernali, il cui scioglimento garantiva un certo afflusso di acque nei fondovalle, coltivati a mais, zucche, fagioli e cotone; l’acqua necessaria alle colture a volte veniva conservata con la costruzione di piccole dighe e bacini. La caccia era praticata solo come attività marginale, nelle vicinanze degli insediamenti, quando era possibile trovare antilopi, pecore bighorn e selvaggina di piccola taglia, ma nei villaggi i tacchini erano presenti anche come risorsa alimentare, oltre che per il loro piumaggio. Le testimonianze Pueblo di questo periodo sono numerose e si estendono in tutta l’area dei Four Corners con una particolare concentrazione in alcune zone, dove una quantità di insediamenti minori, fanno riferimento a strutture più grandi, le “grandi case”, su più livelli con i loro kivas: Mesa Verde nel


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Colorado sud-occidentale, che vide una occupazione continuativa fin dalla fase Arcaica e che fu una delle aree più importanti per la cultura degli antichi Anasazi; il Canion de Chelly, tra Arizona e New Mexico, che offriva condizioni migliori per la sopravvivenza e l’agricoltura, e che dopo l’abbandono degli Anasazi, divenne il Un paio di centro del territorio Na- sandali, vari oggetti vajo; l’area di Chaco Caornamennion nel New Mexico tali e una che fu il centro di pro- raffinata pulsione di tutta la cul- gorgiera di tura Pueblo di questa scaglie di fase, e da cui si irradia il turche e sistema stradale Ana- frammenti sazi. Di questo periodo di conchisono i villaggi di Acoma, glie fondato nel X secolo nel New Mexico, e di Oraibi del XII secolo nell’Arizona, dove ancora oggi vivono comunità di indiani Keres e Hopi. A partire dalla metà del XII secolo qualcosa avviene nella cultura Anasazi che ne segna l’inizio della parabola discendente, e ancora una volta a segnalare tale cambiamento, sono i resti delle grandi costruzioni, alcune delle quali sono abbandonate in questa fase, spesso con indizi di eventi traumatici, come incendi, i cui segni sono stati trovati nei grandi kivas. Contestualmente all’abbandono di molti dei principali centri politici e cerimoniali, fanno a loro comparsa insediamenti particolari e caratteristici, le “cliffdwellings”, “costruzioni sui dirupi”, villaggi di pietra e adobe, costruiti spesso in grandi fenditure della roccia, o comunque a ridosso di dirupi, difficilmente raggiungibili, ma molto più facilmente difendibili, alcuni dei quali, come il Cliff Palace di Mesa Verde, molto grandi e veramente spettacolari. In questa stessa fase, che vede la crisi dell’area di Chaco Canion e del suo esteso sistema stradale, sembrano ridursi gli scambi tra i diversi gruppi e in generale si ipotizza un maggiore isolamento delle singole comunità, con la dissoluzione delle entità politiche che si erano prodotte intorno ai principali centri della fase classica, prima del XII secolo. Come già verificato nella descrizione di altre culture Precolombiane del Nord America, i secoli successivi al XII aprirono una fase di cambiamenti climatici, che ebbero conseguenze su tutti i popoli che dipendevano dall’agricoltura; anche nel Sud-Ovest si ebbe un calo delle precipitazioni che certamente produsse una crisi agricola, con tutte le sue ricadute sul piano sociale e politico. Ancora in tempi storici, buona parte della leadership politica dei Pueblo, coincideva con quella religiosa, e così doveva essere per gli antichi Anasazi, i cui sacerdoti fondavano il loro prestigio sul ruolo di intermediari con il mondo sovrannaturale, per garantire l’arrivo delle piogge e della neve, da cui dipendevano le coltivazioni; è quindi naturale che un prolungato periodo di scarse precipitazioni, possa aver indotto ad una perdita di fiducia nei confronti delle elites sacerdotali, a conseguenti tensioni e dissidi interni, e quindi alla dispersione delle comunità, e ad un clima di diffidenza e ostilità, di cui la scelta di costruire villaggi in luoghi difendibili, anche se difficilmente raggiungibili, può essere l’esito finale. Meno probabile che a indurre tale crisi siano stati fattori esterni, quali il contatto con i popoli nomadi di lingua Uto-Azteca, antenati di Ute, Pa-Hute e Shoshone, dato che questi gruppi organizzati in piccole bande di poveri raccoglitori e cacciatori, non potevano mettere a rischio una società strutturata e organizzata in comunità numerose come quella Anasazi; tra l’altro almeno un gruppo di Pueblo, gli Hopi dell’Arizona, sono linguisticamente affini agli Shoshone, a dimostrazione del fatto che questi popoli nomadi, quando potevano, piuttosto che combattere gli Anasazi, cercavano di assumerne il modello di


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Rovine di villaggi Anasazi a Canion de Chelli (in alto), a Chaco Canion (al centro) e a Mesa Verdde (in basso)

sussistenza e la cultura. A ciò va aggiunto che i resti umani ritrovati nei siti archeologici di questa fase, non portano segni di morte violenta, come invece avverrà in tempi più tardi. La crisi che inizia nel XII secolo fu quindi probabilmente frutto di cambiamenti climatici, che determinarono una crisi economica e la le conseguenti crisi sociali e politiche. Ma questo fu solo l’inizio della parabola discendente, e dopo una fase di breve rilancio, con la costruzione di un gran numero di nuovi insediamenti, spesso proprio secondo il caratteristico modello dei “cliffdwellings”, a partire dal XIV, segni evidenti, e ancor più drammatici, di una nuova crisi sono evidenti in quasi tutti i centri Anasazi. Ancora una volta i villaggi sono abbandonati, ma spesso insieme ai segni dell’abbandono, sono stati trovati i resti di molti cadaveri che testimoniano morte violenta e addirittura antropofagia; ciò può indurre a ritenere che in questo periodo, alla crisi endemica dei raccolti dovuti alla scarsità delle precipitazioni, che produsse la crisi interna nel XII secolo, si aggiunse un fattore di crisi esterna, che fu probabilmente dovuto all’arrivo degli Atapaskan dal nord, che quasi certamente avvenne proprio in questo stesso periodo, un popolo la cui propensione aggressiva è testimoniata anche in tempi storici. E certo i villaggi sui dirupi, con le loro case di pietra e le loro torri, potevano rappresentare una valida difesa contro attacchi di breve durata, ma a fronte di assedianti che nei fondovalle potevano saccheggiare i raccolti nei campi, i difensori potevano trovarsi ridotti alla fame, fino al punto di cibarsi anche di carne umana, prima di cedere


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Esempi di “cliff dwellings: Mummy Cave nel Canion de Chelly in Nes Mexico (a sinistra), e lo spettacolare Cliff Palace, a Mesa Verde nel Colorado (in alto)

definitivamente e subire il massacro. Una parabola discendente quindi che dopo essersi protratta per più di due secoli, riducendo le risorse alimentari e determinando un calo demografico, indebolendo le strutture sociali e politiche, avrebbe reso la società Anasazi inadeguata a sopportare l’ultimo trauma, quello dell’invasione di nomadi settentrionali; questi nomadi, con una economia fortemente incentrata sulla caccia, e quindi usi alle armi e aggressivi, erano probabilmente anche più coesi dei nomadi raccoglitori Uto-Aztechi, autoctoni della regione. Di fatto quando gli Spagnoli giunsero alla metà del ‘500, gli Atapaskan Navajo dominavano gran parte delle terre abitate dagli Anasazi, mentre gli Apache, vagavano in gran parte del Sud-Ovest, dove prima vivevano popoli agricoli. Questo fu probabilmente ciò che accadde agli antichi Anasazi, in particolare a nord, nel Colorado e nell’Utah, dove tutti gli insediamenti furono abbandonati. Nel corso del XV secolo i villaggi Anasazi scomparvero in quasi tutta la regione, sopravvivendo solo lungo i limiti meridionali e orientali di tale area: lungo il Little Colorado, dove alla metà del ‘500 gli Spagnoli incontrarono gli Hopi, e soprattutto lungo l’alto corso del Rio Grande e fino al Pecos, in una zona ancora densamente popolata dai Pueblo nel ‘600, e in cui ancora oggi molte comunità vivono nelle riserve stabilite dal governo degli Stati Uniti. La continuità storica tra gli indiani Pueblo attuali e la cultura Anasazi non è quindi in discussione, mentre invece non è ancora definito l’apporto che i diversi gruppi Pueblo hanno dato allo sviluppo della cultura Anasazi, in particolare per ciò che concerne gli insediamenti settentrionali, nell’area dei “Four Corners”. Molti studiosi sono convinti che tra i Pueblo storici, gli Zuni del New Mexico centrale, abbiano le loro radici nella cultura Mogollan, e che solo in epoca più tarda, come molte altre comunità Mogollon, abbiano subito l’influenza degli Anasazi che vivevano più a nord, fino al punto di condividerne i successivi sviluppi nella cultura Pueblo storica. Come già accennato gli Hopi sono linguisticamente affini agli Shoshone e ai Pa-hute del Nevada e quasi certamente vissero continuativamente nella stessa area occidentale, al confine tra gli Anasazi e i nomadi raccoglitori del deserto, più a sud rispetto ai “Four


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Ricostruzione di scene di vita quotidiana in un antico villaggio Anasazi

Corner”, nella stessa regione dove furono incontrati in tempi storici. Dei Keres, che vivevano nel New Mexico centrale, a est degli Zuni e fino al Rio Grande, non sappiamo molto, e neanche è possibile fare ipotesi di una qualche affinità linguistica con altri gruppi, dato che la loro lingua, come quella degli Zuni, costituisce un guppo isolato; ciò che è certo che proprio dai Keres è abitato il villaggio di Acoma, il più antico insediamento umano ininterrottamente abitato fin dal 900 d.C., e ciò può far pensare che i Keres siano sempre vissuti in quest’area, sul margine meridionale del territorio Anasazi. A nessuno di questi gruppi è quindi possibile fare riferimento per individuare gli antichi abitanti dei grandi villaggi Pueblo abbandonati nelle aree più settentrionali, mentre è certo che molti villaggi lungo l’alto e medio corso del Rio Grande e del Pecos, abitati da genti di lingua Tanoan (Tewa, Tiwa, Towa, Pecos, Piro e Tompiro), furono costruiti a partire dal XV secolo, dopo l’abbandono della regione dei “Four Corners“. Furono quindi probabilmente gli antenati dei Tanoan, che in epoca Arcaica vagavano tra l’Utah, il Colorado e il nord del New Mexico, a dare vita all’antica cultura Anasazi, estendola poi a gruppi limitrofi (Hopi, Keres, Zuni), fin quando non abbandonarono la regione nel XIV secolo, per spostarsi a sud-est e colonizzare la valle del Rio Grande. Di fatto la cultura Anasazi è l’unica tra tutte le culture Precolombiane (assieme a quella dei Natchez, che fu distrutta dai Francesi all’inizio del ‘700), che continuò a sopravvivere immutata fino in tempi storici, resistendo alla dura dominazione spagnola, attraversando la fase della massiccia colonizzazione americana, riuscendo comunque a mantenere la sua autonomia culturale, la sua spiritualità, la sua memoria storica, al punto che oggi alcuni discendenti dei Pueblo, sono in grado di ipotizzare le origini della loro comunità, nell’uno nell’altro dei siti archeologici, in cui si stagliano i silenziosi e maestosi edifici di pietra del deserto del Sud-Ovest.

Altre culture agricole del Sud-Ovest Per quanto le terre del Sud-Ovest non presentassero le migliori condizioni ambientali e climatiche per lo sviluppo di modelli di sussistenza incentrati sulla produzione agricola, è un fatto che proprio le stesse difficili condizioni ambientali e climatiche, resero estremamente ardua la sopravvivenza fondata solo


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sulle precarie opportunità date dalla caccia e dalla raccolta, obbligando tutti o quasi tutti i popoli della regione, a misurarsi con la necessità del lavoro dei campi, come unica opportunità per lo sfruttamento razionale delle scarse risorse, che la natura metteva a disposizione. Ciò diede vita all’emergere in tutta l’area, a fianco alle principali tradizioni culturali, di una serie di culture periferiche, a volte frutto di un autonomo sviluppo, in altri casi in conseguenza dell’influenza delle maggiori culture agricole, i Mogollon, gli Hohocam, gli Anasazi, in altri ancora come risposta ai momenti di crisi che a partire dal XII secolo colpirono queste culture. Si tratta di tradizioni culturali marginali che in alcuni casi non raggiunsero ne la complessità, ne la specializzazione artigianale e architettonica, di quelle maggiori, mentre in altri casi esse furono proprio il frutto della contaminazione e dell’integrazione tra tali cultura maggiori, dopo la crisi successiva alla fase classica; alcune di esse sopravvissero per brevi periodi, e almeno una sopravvisse per secoli, fino all’epoca della colonizzazione europea.

I Patayan Il settore occidentale del’Arizona, e le zone limitrofe della California sud-orientale, possono essere considerate come una sorta di appendice meridionale dell’area desertica del Grande Bacino che si estende nell’attuale Nevada, tra le Rocky Mountains a est e la Sierra Nevada a ovest; un’appendice che si estende poi a sud lungo le coste nord-orientali del Messico, e nella penisola di Baja California. Tutta quest’area è caratterizzata da un regime di precipitazioni bassissimo, da un clima caldo e secco, e non può contare nemmeno sullo stagionale scioglimento delle nevi montane, dato che i rilievi che l’attraversano sono di piccola entità, e le grandi catene montuose sono lontane; la vegetazione è quindi scarsissima e conseguentemente ridotta è anche la selvaggina. Pure in questa vasta area, che ha visto la sopravvivenza solo di poche, sparse e piccole comunità di raccoglitori nomadi, la zona di confine tra l’attuale Arizona e la California, rappresenta una piccola oasi, grazie al fiume Colorado, che dopo aver raccolto le acque di un vasto bacino nel cuore delle Rocky Mountains, scorre a sud-ovest lungo il margine meridionale dell’area desertica, piegando poi a sud per raggiungere il mare nel golfo della California, attraversando le aree desertiche tra Arizona e California, e offrendo con le sue piene stagionali, opportunità per la vita di piante, animali e uomini: da questa opportunità nasce la cultura Patayan. Il termine Patayan significa “gli antichi” nella lingua Quechuan, parlata dagli indiani Yuma del basso Colorado, che insieme ad altre tribù affini sono evidentemente gli eredi storici di tale tradizione. Gli Yuma, insieme ai Mohave, Walapay, Cocopah, Yavapay ecc..., sono linguisticamente correlati alla grande famiglia linguistica Hokan, e certamente nei millenni lontani dell’epoca Arcaica, vissero vicende diverse dai loro vicini Hohocam di lingua Uto-Azteca, il cui arrivo nel Sud-Ovest fu sicuramente successivo al loro. A differenza degli altri popoli del Sud-Ovest, queste tribù di lingua Yuman, anche quando si applicarono all’attività agricola, mantennero sempre un forte legame con lo stile di vita Arcaico, costituendo una sorta di ponte culturale tra due diversi modelli culturali. La cultura Patayan non ha lasciato dietro di se grandi costruzioni e anche gli scarsi reperti di ceramica, di pietra e altri materiali, che permettono agli archeologi di ricostruire il modo di vivere di un popolo scomparso da millenni, sono spesso difficilmente raggiungibili per le caratteristiche del territorio, che le piene del fiume Colorado ogni anno potevano modificare. Ciò che ormai appare certo è che la cultura Patayan, inizia a mostrarsi come un complesso definito, con una propria specificità, in epoca piuttosto tarda, dopo il VII secolo, quando con i primi insediamenti stabili, si hanno le prime testimonianze di coltivazione di mais e successivamente di fagioli e zucche, lungo il corso del Colorado, nella zona dell’attuale città di Kingsman; da lì progressivamente l’attività agricola si estese verso sud, fino alla foce del Colorado, e verso nord e nord-est, fino al Gran Canion. La successiva innovazione fu l’acquisizione della ceramica, che è piuttosto tarda, e giunse alla metà del IX secolo: agricoltura e ceramica, definiscono il passaggio ad una nuova fase culturale, rispetto a quella Arcaica, anche se come già detto permangono molti elementi di continuità. Un primo elemento caratteristico della cultura Patayan è nella sua mobilità, strettamente connessa alle peculiarità del loro modello agricolo. Come il Nilo per gli antichi Egizi, il fiume Colorado a primavera con le sue piene inondava i terreni lungo le sponde, permettendo poi la semina e il raccolto in una breve e intensa stagione, prima che il benefico influsso del fiume si esaurisse; i Patayan non concepirono mai un sistema di irrigazione come quello dei loro vicini Hohocam, lungo il Gila, per cui esaurita la semina e il raccolto, e garantite le scorte invernali, per buona parte dell’anno essi si dedicavano alle antiche attività di caccia e raccolta, spostandosi anche lontano dai villaggi; i villaggi stessi erano piuttosto mobili


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e la loro collocazione poteva variare da un anno all’altro in conseguenza del diverso regime delle piene, che poteva allagare un’area piuttosto che un’altra. Anche per questo i villaggi Patayan erano molto diversi da quelli degli altri popoli agricoli, e se in una prima fase sembra abbia prevalso un modello di abitazione simile a quello delle “pithouse”, l’uso più comune divenne quello di costruire “longhouse”, costituite da camere affiancate, usando rami e frasche per il tetto e le pareti, con queste ultime spesso intonacate di fango; abitual- Le abitazioni degli antichi Patayan, non dovevano essere molto diverse, mente all’estremità orientale da quelle usate ancora nel XIX sec. dai Mohave di queste “longhouse” era posto un vano interrato, probabilmente con funzioni di magazzino. Si trattava quindi di strutture relativamente semplici, che potevano essere ricostruite facilmente da un anno all’altro. Anche nell’artigianato i Patayan mantennero uno stile più semplice e meno raffinato: non praticavano la tessitura e lavoravano invece le pelli delle prede, cervi, pecore bighorn o antilopi, mentre la loro ceramica pur influenzata dai vicini Hohocam o Anasazi, non raggiungeva lo stesso livello estetico, essendo prodotta per meri scopi funzionali; tra l’altro l’uso di canestri per la conservazione dei vegetali, rimase prevalente, e la ceramica non soppiantò gli usi più antichi. Con il loro stile di vita meno legato alla sedentarietà, non sembra che i Patayan abbiano dato vita a entità politica più centralizzate, ne tanto meno a caste sacerdotali, mantenendo una scarsa coesione sociale, con comunità autonome, solo legate attraverso scambi matrimoniali o attività comuni, come cacce collettive, o l’uso di comuni territori di raccolta di vegetali selvatici. I Patayan poi avevano una predisposizione bellica certo maggiore dei loro vicini Hohocam, e tale bellicosità dava luogo anche a conflitti interni. Con il loro stile di vita più mobile, e con la loro posizione geografica, lungo la via per la costa del Pacifico, i Patayan svolsero una importante funzione di intermediari commerciali, in particolare per gli Hohocam, che da essi potevano ottenere le conchiglie marine, che essi sapevano abilmente decorare; oltre ai prodotti del mare, certo anche le pelli erano oggetto di scambio con i popoli più sedentari. Un elemento caratteristico della cultura Patayan, erano i petroglifi, pitture e incisioni rupestri anche molto grandi, con rappresentazioni antropomorfe e di animali, diffuse dalla bassa valle del Colorado, fino alla Baja California. Si tratta di un’espressione artistica molto antica, datata in un periodo che va dal 7.000 a.C, fino al I millennio d.C., sicuram e n t e riconducibile agli antichi Patayan, ma che ad un certo punto influenzò anche i vicini Hohocam, come sembrerebbe dai diversi stili delle pitture. Quanto fin qui Un bell’esempio di arte rupestre, dal Grapevine Canion, nella regione del lago Meade


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detto riguarda principalmente il cuore dell’area Patayan, lungo l’ultimo tratto del corso del Colordo e la confluenza del Gila, dove vivevano gli antenati degli Yuma, dei Mohave, dei Cocopah e altri gruppi minori, mentre più a nord il modello di vita era diverso e meno legato alle piene del Colorado. Risalendo il corso del fiume, nella zona di confine tra la California, il Nevada e l’Arizona, nel territorio degli Walapay, l’agricoltura era praticata come attività marginale con piccoli orti nel fondo dei canion, ma non modificava significativamente lo stile di vita nomade, ne portava alla costruzione di veri e propri villaggi, rimanendo prevalente l’uso di wyckiup di frasche o di semplici ripari nelle caverne; proseguendo a nord-est, nella zona del Gran Canion, gli antenati degli Havasupay, avevano invece concepito uno stile di vita semisedentario, irrigando i loro piccoli orti nei fondo valle con un rudimentale sistema di piccoli canali, ma continuavano anch’essi a dipendere molto dagli spostamenti per la caccia e la raccolta di vegetali selvatici. Il modello di cultura Patayan con la sua maggiore flessibilità, e la diversità di fonti alimentari, e soprattutto la certezza delle piene stagionali del Colorado, era erto meno vulnerabile ai cambiamenti climatici, rispetto alle più complesse culture limitrofe. Secondo alcuni indizi archeologici, pare che a partire dal XII secolo, in coincidenza con la crisi che colpì i loro vicini, gli insediamenti si siano fatti più piccoli e dispersi, ma l’ipotesi manca di conferme. Ciò che è certo è che quando i primi Spagnoli visitarono la regione alla metà del ‘500, lo stile di vita Patayan era ancora vitale, e nel complesso così rimase fino al XIX secolo, quando la colonizzazione americana si fece più massiccia, producendo una lunga stagione di conflitti.

La cultura Fremont Al contrario dei Patayan, di cui è chiara la continuità con le tribù storiche della bassa valle del Colorado, poco o nulla sappiamo di chi fossero le popolazioni di cultura Fremont, che vissero a nord degli antichi Anasazi; il termine Fremont, con cui si definisce questa cultura è quello del nome del fiume scorre dai monti Wasatch, nell’Utah centrale verso il medio corso del Colorado. Dopo i primi ritrovamenti nella valle di questo fiume, un gran numero di reperti riconducibili a questo modello culturale, si sono avuti in tutto lo stato dell’Utah e nelle regioni limitrofe di Idaho, Nevada e Colorado. La cultura Fremont si produsse in modo evidentemente parallelo, anche se autonomo, da quella degli Anasazi, che vivevano a sud-est di loro. Sia per gli Anasazi, che per i Fremont, l‘origine va cercata nella tradizione dei Basket Makers, le bande di raccoglitori che vagavano alla ricerca di selvaggina e soprattutto, vegetali selvatici, e la cui principale risorsa tecnologica erano i canestri di fibre in cui raccogliere, trasportare e immagazzinare, semi e frutti commestibili. Dopo che gli Anasazi acquisirono la coltivazione del mais dai loro vicini meridionali, l’agricoltura si diffuse anche più a nord, raggiungendo intorno a VI sec. d.C., anche i popoli Fremont, che iniziarono a coltivare piccoli campi di mais lungo il fondo dei canion, dove lo scioglimento delle nevi montane alimentava torrenti e sorgenti; è probabile che essi abbiano acquisito anche la tecnica di raccogliere l’acqua in piccoli bacini artificiali, e forse anche qualche semplice forma di irrigazione. Comunque tra i Fremont a differenza che tra gli Anasazi, l’acquisizione dell’agricoltura non trasformò radicalmente il modello di sussistenza, e ciò malgrado il fatto che la regione da essi abitata avesse una maggiore quantità di risorse idriche, e quindi offrisse maggiori opportunità al lavoro dei campi; in realtà, quasi certamente la maggior ricchezza della regione abitata dai Fremont, più ricca di foreste e selvaggina, permise loro di mantenere un’economia flessibile in cui la caccia (cervi, pecore bighorn ecc.), rimase un’attività importante, così come la raccolta di vegetali selvatici, specialmente nelle foreste montane. Così i Fremont rimasero nel complesso un popolo seminomade, che stagionalmente si fermava in prossimità degli orti, per la semina e fino al raccolto, per poi vivere in accampamenti temporanei, durante la stagione di caccia o in coincidenza con il raccolto di vegetali selvatici. Lame e punte di freccia dal sito fremont di Wicox Ranch, Utah. Pur coltiDato questo modello di sussistenza, i vando piccoli orti i popoli Fremont rimasero fortemente legati alla caccia


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Fremont non costruirono grandi edifici o villaggi con migliaia di abitanti, rimanendo organizzati in piccole comunità famigliari, e solo verso la fase di massimo sviluppo, intorno al 1100, in alcune località si crearono comunità più numerose, con villaggi più estesi, anche di alcune decine di abitazioni. L’abitazione più in uso tra i popoli FreEsempi di ceramica Fremont: figure antropomorfe mont era la “pithouse”, scavata per poco più di un metro nel terreno, con il per uso rituale (in alto); una ciotola con decoratetto fatto da una struttura di pali e cozioni astratte che mostra perta di frasche, e l’ingresso sul tetto, le evidenti influenze Ana- coincidente con il buco per l’uscita del sazi (a destra) fumo; erano comunque usati, quando se ne presentava l’occasione, anche grotte e altri ricoveri naturali, mentre al massimo del loro sviluppo, e nei centri più grandi, fecero la loro comparsa anche edifici in muratura a livello del suolo, a volte affiancati a comporre una struttura di più stanze. Altri piccoli edifici erano i granai d’argilla, di forma cupoliforme, spesso posti in luoghi di difficile accesso o mimetizzati nel terreno, dove i diversi gruppi immagazzinavano le loro scorte, durante i periodi in cui si allontanavano per la caccia e la raccolta. Sul piano dell’artigianato, quello che caratterizza la cultura Fremont è una specifica tecnica di intreccio e costruzione dei canestri, l’uso di un particolare tipo di ceramica grigia, che oltre a servire per la produzione di oggetti d’uso quotidiano, veniva anche modellata in forma di piccole figure umane, oggetti caratteristici e certo legati alla dimensione religiosa. Altro elemento di rilievo della cultura Fremont sono le pitture rupestri, abbondanti in tutta la regione che spesso riportano figure umane riccamente ornate di gioielli, o scene di caccia. Come già accennato. la cultura Fremont si sviluppa dallo stesso solco della cultura Anasazi, ma secondo un modello parallelo e autonomo rispetto a quello Anasazi; tale esplicita differenza, pur in presenza di una contiguità territoriale e soprattutto di una certa influenza degli Anasazi sui Fremont, almeno per quanto riguarda la diffusione delle tecniche agricole e della ceramica, può far pensare che esistesse una marcata differenza etnica e linguistica all’origine dei due gruppi. E’ quasi certo che la parte settentrionale del territorio Anasazi, quella più vicina ai Fremont, fosse anticamente abitata da popoli di lingua Tanoan; è forse possibile che gli antichi Fremont, fossero invece di lingua Uto-Azteca (del gruppo Numa), come i vicini occidentali Shoshone e Pa-hute, che vagavano nei deserti, e non praticarono mai l‘agricoltura. In comune con questi vicini occidentali, i popoli Fremont avevano l’uso di calzare mocassini di pelle, al contrario degli Anasazi, che invece usavano sandali di fibre vegetali. E’ possibile immaginare che nel vasto territorio a nord delle terre degli Anasazi, già vivessero, come in tempi storici, popoli di lingua UtoAzteca, ma che essi al loro interno si siano differenziati, tra quelli che vivendo in una regione più ricca, poterono cogliere le opportunità delle innovazioni introdotte dagli Anasazi, l’agricoltura in particolare, dando vita alla culture Fremont, e gli abitanti delle regioni desertiche del Nevada, che rimasero legati al modello di sussistenza totalmente nomade dell‘era Arcaica. Ci sono elementi per pensare che i rapporti tra i popoli Fremont, e i loro vicini occidentali Esempio di pittura rupestre Fremont


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erano pacifici e continui, e ciò può far pensare ad una affinità etnica e linguistica. La cultura Fremont era comunque legata a quella Anasazi, per ciò che riguardava gli scambi, le innovazioni e in generale l’influenza che una civiltà articolata e complessa, esercita su una limitrofa e vicina, e quando a partire dal XII secolo, gli Anasazi vissero un primo periodo di crisi, anche la cultura Fremont iniziò un processo di estinzione, che senza traumi evidenti porterà alla sua scomparsa nel corso del XV secolo. Evidentemente i cambiamenti climatici che a sud avevano ridotto le precipitazioni e le risorse idriche, più a nord e nelle valli montane dell’Utah, si tradussero in inverni più lunghi, che resero progressivamente meno produttiva l’agricoltura, inducendo al ritorno alla vita nomade. Dagli studi archeologici sembra che a partire dal XII secolo, in tutta l’area sia evidente la progressiva infiltrazione di popoli di lingua Numa (Shoshoni e Pa-hute), provenienti dal Nevada, ma non c’è nulla che fa pensare che tale infiltrazione abbia prodotto conflitti. Evidentemente i nuovi venuti e i popoli Fremont dovevano essere tra loro affini, e quando il modello culturale dei Fremont andò in crisi, essi furono semplicemente assorbiti dalle popolazioni limitrofe e affini; fu forse da questo processo che nacque la tribù storica degli Ute. Questa ipotesi, che ha una qualche ragionevolezza, deve comunque fare i conti con il fatto, che nè gli Ute, nè altri popoli vicini, avevano nella loro cultura storica, alcun rapporto con le pratiche agricole. Secondo altri studiosi, i popoli Fremont sarebbero migrati dalla regione, spostandosi a nord verso l’Idaho e questa ipotesi potrebbe essere supportata dalle conoscenze circa la lingua dei Kiowa. Secondo gli studi ormai accettati, la lingua dei Kiowa è strettamente legata a quella dei Tanoan che produssero la cultura Anasazi, nella regione dei “Four Corners”, in particolare a quella dei Towa storici; la grande somiglianza tra la lingua dei Kiowa e quella dei Towa, può far pensare ad una loro divisione recente, solo pochi secoli prima del contatto, e questa divisione potrebbe essere in relzione con la fine della cultura Fremont. Gli antenati dei Kiowa potrebbero essere vissuti a nord dei Tanoan, essere i protagonisti della cultura Fremont, poi quando i popoli Anasazi iniziarono ad abbandonare la regione, nel corso del XV secolo, essi avrebbero preso la via del nord, passando attraverso le pianure dell’Idaho, fino a varcare le Rocky Mountains e raggiungere le pianure dell’alto corso del Missouri e dello Yellowstone, che sono la loro più antica residenza certa. Anche questa suggestiva ipotesi sconta però il fatto che i Kiowa storici non hanno alcuna memoria di un passato così recente, ne tanto meno il ricordo di conoscenze agricole. D’altra parte le due ipotesi su chi fossero le genti di cultura Fremont, se antenati degli Ute o dei Kiowa storici, non sono in contraddizione, dato che entrambi i gruppi potrebbero aver partecipato del medesimo modello di sussistenza. Per il momento la questione di chi fossero i popoli di cultura Fremont, e di quale sia stata la loro fine, rimane ancora oggetto di dibattito.

La cultura di Trincheras Le regioni nord-occidentali del Messico, che sono parte integrante dell’area culturale del Sud-Ovest, sono poco conosciute dal punto di vista archeologico, avendo il Messico attirato l’interesse degli studiosi di tutto il mondo per la complessità e la ricchezza delle grandi culture mesoamericane, Olmechi, Toltechi, Maya, Aztechi ecc... , trascurando per lungo tempo l’interesse per le culture periferiche delle regioni del nord. Nel complesso gran parte della regione, tra gli attuali stati di Sonora Cerro de Trincheras, la c ollina basaltica con oltre 900 terrazze che fu un e Chihuahua è considerata parte mportante centro religioso e culturale tra il XIII e XV secolo della tradizione Mogollon, anche se appare piuttosto periferica nei confronti degli sviluppi più avanzati di questa cultura nel New Mexico. Più a occidente nello stato di Sonora e al margine della regione desertica che si estende al confine tra Sonora e Arizona, fece invece la sua comparsa una cultura locale che se da un lato sembra aver mante-


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nuto contatti con gli Hohocam, dall’altro ha una sua specificità, sia sul piano delle tecniche e dell’arigianato, sia sul piano dei modelli di sussistenza e di insediamento. La cultura di Trincheras (che in spagnolo significa muro, fortificazione), prende il suo nome dal più Esempi di ceramica Trincheras: il coloro rosso evidenzia le influenze Hohocam importante sito archeologico, il Cerro de Trincheras, un’altura lungo il medio corso del Rio Magdalena, in larga misura trasformata in un grande sistema di muri e terrazze, da adibire all’orticultura, che ai primi che la videro dovette sembrare una antica fortificazione. Ed è proprio con l’uso di costruire queste terrazze per coltivare i campi e su cui erigere la propria abitazione, che la tradizione Trincheras emerge all’inizio del I millennio, tra le diverse comunità di cultura Cochise che avevano già iniziato a praticare una piccola rudimentale di agricoltura; resti di attività di terrazzamento su alture di origine vulcanica, il cui terreno offriva maggiore opportunità, sono state trovate in una vasta area al confine tra Sonora, New Mexico e Arizona, ma spesso si tratta di resti che, se evidenziano l’intervento umano, non necessariamente testimoniano di insediamenti significativi. A partire dal VII secolo, con l’acquisizione della ceramica, e l’emergere di un particolare stile di lavorazione e decorazione, il modello Trincheras si definisce in modo più netto, all’interno della regione nord-occidentale dello stato di Sonora, nel bacino del complesso fluviale Altar-Magdalena, e fino all’alto corso del S.Miguel, un affluente del fiume Sonora, a sud. Da questo stesso periodo cresce il numero e la grandezza degli insediamenti, mentre l’attività agricola si fa sempre più centrale per la sussistenza, la produzione di ceramica si caratterizza in modo più netto e fa la sua comparsa l’attività di lavorazione di conchiglie marine, che alimentano un significativo scambio con i popoli vicini, in particolare gli Hohocam. La crescita culturale, economica e demografica del modello culturale Trincheras continua con i secoli successivi, estendendosi anche alle comunità i cui insediamenti sono nei fondo valle piuttosto che lungo i versanti terrazzati delle colline, e in questi caso fa la sua comparsa una prima attività di irrigazione. Ma sono comunque gli insediamenti sulle colline quelli che continuano a caratterizzare questa cultura, anche perchè a partire dal IX, fanno la loro comparsa, al vertice delle colline terrazzate, recinti di pietre grandi e piccoli, e edifici e pithouse, che evidentemente avevano una funzione rituale e di osservatorio astronomico, assegnando a queste insediamenti, anche il ruolo di centri spirituali per tutti gli abitanti della regione. A partire dal XIII secolo, sembra che lo sviluppo demografico ed economico inizi una fase di esaurimento, ma proprio in questa periodo fa la sua comparsa il più grande e importante dei centri cerimoniali, quello del Cerro de Trincheras, nelle vicinanze del municipio omonimo, nello stato di Sonora, con una popolazione di oltre un migliaio di persone, un grande spazio alla base della collina (la Chancha), aperto e recintato da pietre, destinato a riti e funzioni pubbliche, intorno al quale le terrazze abitate e coltivate costituivano una sorta di anfiteatro naturale; in cima alla collina, una struttura in mura di pietra, più piccola e di difficile a accesso, doveva essere un luogo riservato ai sacerdoti e ai riti per iniziati. Cerro de Trincheras è contemporaneo di Casas Grandes, un altro centro cerimoniale posto più a est, sull’altro versante della Sierra Madre Occidentale, e dai riscontri archeologici, sembra che Casas Grandes abbia esercitato una certa influenza su Cerro de Trincheras, almeno per quanto riguarda le tecniche artigianali. Il periodo di massimo sviluppo per il Cerro de Trincheras si chiuse intorno al 1450, in El Caracol, in cima al Cherro de Trincheras


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coincidenza con la crisi che attraversò tutto il sud-ovest, anche se negli aspetti più sostanziali il modello di cultura e sussistenza era ancora vitale al tempo dell’arrivo dei primi Spagnoli, circa un secolo dopo, e ancora oltre alle fine del ‘600, quando padre Eusebio Kino, iniziò il suo lavoro missionario, ed aprì la regione alla colonizzazione. Non ci sono dubbi che gli indiani che costruirono le terrazze sulle colline, erano di lingua Uto-Azteca, antenati dei Papago, dei Nebome (Pima Bajo), quindi linguisticamente affini agli Hohocam, con i quali infatti i popoli di Trincheras condividevano l’uso di petroglifi, e con i quali mantenevano relazioni commerciali. I discendenti di questi antichi popoli, ampiamente meticciati e da tempo cristianizzati, ancora oggi sulle loro terre, a cavallo del confine tra Stati Uniti e Messico.

Sinagua e Salado Le zone centrali dell’attuale stato dell’Arizona, tra i fiumi Little Colorado e Salt, furono il punto di incontro e di contaminazione tra le principali culture agricole del Sud-Ovest, quella Anasazi, posta a nord-est di tale area, quella Mogollon, a est e sud-est, e quella Hohocam, a sud-ovest e quella Patayan a ovest; in quest’area quindi gruppi e comunità vennero pacificamente a contatto, scambiandosi reciprocamente il proprio bagaglio di conoscenze e la propria cultura, dando così vita a tradizioni culturali, che si caratterizzano non tanto per specifiche tecniche o modelli di sussistenza, quanto per l’integrazione di elementi caratteristici dei modelli culturali principali: questa fu la caratteristica principale delle culture Sinagua e Salado, che si Due vasi di ceramica Sinagua svilupparono in quest’area. La cultura di Sinagua fa la sua comparsa a partire dal VI secolo d.C, nella regione a sud del Little Colorado e lungo il corso del Green River, un affluente settentrionale del fiume Gila. All’inizio essa appare come un’espressione locale della cultura Mogollon, caratterizzata da insediamenti di pit house seminterrate, una attività agricola praticata nei fondovalle, anche con piccoli lavori di irrigazione e costruzione di dighe per la raccolta dell’acqua, una produzione di ceramica in cui è evidente l’influenza Mogollon, ed un modello di sussistenza in cui l’attività agricola è fortemente integrata dalla caccia e dalla raccolta di vegetali selvatici. Progressivamente però all’influenza Mogollon si accompagna quella delle culture limitrofe, quando a partire dall’XI secolo cominciano a fare la loro comparsa negli insediamenti, le “ball court”, i recinti in pietra per il gioco rituale della palla tipici della cultura Hohocam, mentre anche i modelli di abitazione cambiano, con l’uso di case di adobe e pietra costruiti al livello del terreno; come accadeva anche per gli Anasazi, le antiche pithouse si trasformarono in kivas, le camere circolari sotterranee per le riunioni rituali e cerimoniali; altri aspetti della produzione artigianale, come le punte di frecce e altri manufatti, sembrano invece ricordare le tecniche dei vicini Patayan. Come i loro vicini Anasazi e Hohocam, i Sinagua produssero una struttura sociale complessa, basata su clan, e con una aristocrazia sacerdotale della cui esistenza c’è traccia nelle usanze funerarie, di cui sono state trovate riscontri archeologici. I Sinagua erano pienamente inseriti nel sistema di scambi commerciali che legava tutte le culture del Sud-Ovest alla costa del Pacifico e al Centro America, e che permetteva l’accesso a materiali e manufatti di valore, in particolare le conchiglie che venivano dalla costa, campanelli e altri oggetti in rame provenienti dal Messico e i pappagalli ara, anch’essi di provenienzamessicana, le cui variopinte penne e piume costituivano un genere di lusso. Tra il 1064 e il 1067 il Sunset Crater, un vulcano posto a est del Green River nel cuore del territorio Sinagua, entrò in attività, un attività che a fasi alterne continuò poi nei due secoli successivi; dopo il primo trauma prodotto dall’eruzione, i Sinagua impararono a sfruttare le opportunità offerte dall’attività vulcanica sul loro territorio, utilizzando i terreni arricchiti dalla ceneri per l’agricoltura, e questa particolarità, insieme ad un periodo di piogge abbondanti, permise ai Sinagua di prosperare e crescere. Tale situazione si modificò a partire dalla fine del XIII secolo, quando molti insediamenti vennero abbandonati e le comunità si organizzarono in comunità sul modello dei cliff dwellings, i villaggi sui di-


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rupi, che in quello stesso periodo nascevano in territori Anasazi; evidentemente la scelta di questo tipo di insediamento è legata al timore di attacchi e alla rottura delle relazioni tra le diverse comunità, segno di un peggiorare della situazione dovuto alla riduzione di risorse, o alla comparsa di nemici esterni. Tra i cliff dewellings Sinagua il più noto è quello di Montezuma Castle (nulla a che vedere con l’imperatore Azteco), lungo il corso del Beaver Creek un affluente orientale del Green River. Alla metà del XIV secolo anche la cultura Sinagua, come le altre culture del Sud-Ovest subì una repentina crisi, scomparendo senza che sia chiaro quale sia stato il destino del popolo che l’aveva prodotta. Quasi certamente essi abbandonarono la regione, forse per spingersi a est, presso gli Zuni storici, e sicuramente a nord, dove la tradizione degli Hopi fa riferimento a tale migrazione. Ancor più difficile è comprendere a quale gruppo etnico e linguistico i Sinagua appartenessero e se costituissero una specifica entità dal punto di vista etnico e linguistico. Il fatto che i loro manufatti più antichi, lame e punte di freccia, fossero riferibile alla cultura Patayan, può far pensare che il substrato etnico fosse di popoli Montezuma Castle Yuma, di lingua Hoka, ma è probabile che a questo substrato si siano sovrapposte genti affini agli Hopi di lingua Uto-Azteca, come è possibile rilevare dal fatto che dopo la crisi della cultura Sinagua, una parte significativa di essi si sia spostata a nord del Little Colorado, nella terra degli Hopi. Al tempo del contatto con gli Spagnoli comunque, le terre dei Sinagua erano occupate da diversi gruppi di Apache Occidentali, i Tonto e i Cibecue in particolare, che vi giunsero sicuramente a partire dal XIII secolo, proprio nel periodo in cui i Sinagua iniziarono a costruire gli inaccessibili e ben difendibili cliff dwellings. La vicenda della cultura Salado è simile, anche se più circoscritta nel tempo, e si sviluppò nel territorio immediatamente a sud-est di quello dei Sinagua, nella regione del Salt River anch’esso un affluente settentrionale del Gila. Alla fine del I millennio queste terre furono colonizzate da genti provenienti da sud , di cultura Hohocam, che vi portarono l’agricoltura, le prime rudimentali tecniche di irrigazione e la ceramica, ma a questo influsso iniziale si aggiunsero successive migrazioni da nord, dalla zona del Tonto Basin, al margine del territorio dei Sinagua, di genti con un impianto culturale affine a quello dei Mogollon, e in tempi ancora successivi, di genti di cultura Anasazi. Tutti questi diversi influssi danno vita, intorno al 1150 ad una tradizione originale, che si caratterizza specialmente per una peculiare ceramica policroma, per l’uso di insediamenti di case di adobe e pietra a livello del terreno, e per particolari tecniche funerarie; a differenziare i villaggi dei Salado rispetto a quelli dei loro vicini, va rilevata la mancanza di kivas, che erano tipici degli Anasazi, e di ball court, tipiche degli Hohocam. L’assenza di queste strutture, il cui scopo era legato alla celebrazione di riti e cerimonie religiose, segnala che i Salado avevano crendenze e religione diversa da quelle dei loro vicini, anche se non ci da inCeramica policroma Salado dicazioni sulle loro pratiche reli-


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giose. Caratteristica della cultura Salado sono delle ampie piattaforme elevate, circa i metro o poco più sul terreno, larghe anche come la metà di un campo di calcio, e poste lungo il corso dei fiumi e nelle vicinanze dei campi di irrigazione; non è chiaro se servissero per la celebrazione di cerimonie, se ospitassero le abitazioni dei capi e sacerdoti o se avessero altre funzioni, ma certo denotano l’esistenza di una struttura sociale in grado di organizzare il lavoro collettivo. Anche i Salado, come gli altri popoli del Sud-Ovest, videro un primo momento di crisi a partire Tonto National Monument, un antico cliff dwelling Salado dalla fine del XIII secolo, quando anch’essi modificarono i loro insediamenti, costruendo villaggi sui dirupi, poi a partire dalla metà del ‘400 anch’essi scomparvero lasciando dietro di se come testimonianza, i silenziosi villaggi costruiti nelle fenditure montane; anche nelle loro terre si insediarono gli Apache Occidentali, giunti da poco, in particolare i gruppi Monteblanco e Gilenos. Dai riscontri archeologici, sembra che la fine della cultura Salado sia stata drammatica, con conflitti tra le diverse comunità, già testimoniati dalla scelta di vivere negli insediamenti tra i dirupi, a cui certamente si aggiunsero gli scontri con i nuovi arrivati Apache.

Casas Grandes Per completare l’articolato mosaico delle culture agricole del Sud-Ovest, un posto a parte merita la particolare vicenda di Casas Grandes, anche detta Paquime, un antico centro culturale, economico e spirituale e oggi uno dei più significativi siti archeologici dell’area. Casas Grandes (da non confondere con il sito Hohocam di Casa Grande), è oggi un grande complesso archeologico posto nelle vicinanza della omonima municipalità della stato di Chihuahua in Messico, ed era già abbandonato e in rovina al tempo in cui i primi Spagnoli si spinsero nella regione, nella seconda metà del ‘500; eppure solo un secolo prima Casas Grandes era una vera e propria città con migliaia di abitanti, e che esercitava la sua influenza su decine di centri minori nel raggio di un centinaio di chilometri, e su una popolazione di più di 10.000 individui. La sua fine coincise con la crisi di tutte le culture agricole del Sud-Ovest, alla metà del XV secolo, ma sotto molti punti di vista Casas Grandes ha una storia diversa e particolare; ancora più inquietante risulta la sua fine, che pare non abbia lasciato dietro di se alcuna eredità, fatto questo difficilmente spiegabile, anche alla luce della rilevanza e dell’entità di questa antica città del Sud-Ovest. Nel corso del I millennio la fertile valle del fiume San Miguel, nel nord-ovest dello stato di Chihuahua, fu sede di piccole comunità che praticavano una limitata attività agricole, come tante altre in tutto il Sud-Ovest; intorno a IX secolo anche in questa regione come nelle zone vicine emergono gli elementi che caratterizzano la culura Mogollo: piccoli agglomerati di pithouse, comunità di poche decine di persone, che coltivavano piccoli orti, cacciavano e raccoglievano frutti selvatici, avevano imparato a produrre ceramica e iniziato un limitato scambio di merci e manufatti con le comunità vicine. Per circa due secoli, gli abitanti della futura Casas Grandes costituirono una delle tante comunità Mogollon della regione, ed è solo a partire dall’inizio del XII secolo, forse intorno al 1130, che Casas Grandes, emerge come agglomerato di una serie di piccoli aggregati di pit house, ognuno di una ventina di abitazione, ognuno intorno ad una plaza centrale e circondato da un muro di recinzione. E’ questa l’epoca in cui nei territori Mogollon più a nord si fa sentire l’influenza delle culture limitrofe Anasazi e Hohocam, e nel complesso la cultura Mogollon inizia a perdere la sua unicità e specificità, per frammentarsi in una serie di esperienze locali, ognuna leggermente diversa in funzione del contesto ambientale e, soprattutto delle influenze dei popoli limitrofi. In questo periodo Casas Grandes sembra assumere un suo particolare percorso: così a differenza di quanto accade in altri centri Mogollon in cui fanno la loro comparsa i kivas di tradizione Anasazi, a Casas Grandes la costruzione di piccoli edifici


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in adobe, di tradizione settentrionale, non si accompagna all’acquisizione del modello culturale e cerimoniale Anasazi, come testimoniato dall’assenza di kivas. E’ invece in questo periodo che le diverse comunità che costituiscono l’insediamento, Due immagini delle rovine di Casas Grandes sono in grado di produrre un sistema di controllo del sistema idrico, che va ben oltre l’irrigazione dei campi, ma è in grado di garantire l’acqua ad ogni abitazione e addirittura un sistema di scarico fognario. E’ questo certo un segno del livello di integrazione e orga ni zza z ione della comunità, in grado non solo di concepire, ma di attuare e tenere in efficienza un simile meccanismo. Ma questo fu solo l’inizio, e lo splendore di Casas Grandes era ancora da venire. Fu in conseguenza di un incendio avvenuto intorno al 1340, che la comunità invece di disperdersi o declinare, ricostruì la città, apparentemente secondo un piano preciso e mutuando progettazione e tecnica dagli Anasazi, che certo furono i più grandi edificatori del Nord America. La nuova Casas Grandes era un complesso di oltre 2.000 stanze, usate come abitazioni e magazzini, con pithouse e locali intorno a plazas e cortili, corridoi e gallerie, e mura che potevano essere alte più di 10 metri e che fanno pensare a magazzini a più piani. La parte orientale dell’insediamento, che nell’insieme occupava un’area pressappoco rettangolare di 240 per 75 metri, era composta da edifici destinati ad abitazioni, laboratori e magazzini, stanze per i bagni rituali e per uso cerimoniale; nella parte occidentale vi erano aree aperte, destinate a mercato e cerimonie pubbliche, con piattaforme pavimentate e recinti di pietra, e veri e propri “effigy mounds”, uno dei quali in forma di serpente, che fa pensare alla divinità mesoamericana del Serpente Piumato. Non vi erano kivas, ma diverse ball court, più piccole di quelle Hohocam, e di forma diversa, non ovoidale, ma con un perimetro di rettangolo allungato, e simili a quelle dell’America Centrale. Le porte all’interno della costruzione, aveva la forma a T caratteristica delle costruzioni Anasazi, e le mura di adobe erano intonacate sia all’interno che all’esterno. Nelle vicinanze dell’area destinata al mercato vi erano complessi di stanze la cui funzione era quasi certamente quella di ospitare quanti si recavano in città per scambiare le loro merci. Particolare il ritrovamento in una stanza, di un grande meteorite di ferro, ricoperto con cura di lino. Casas Grandes fu edificata in un tempo relativamente breve, forse un decennio o poco più e fu proba-


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bilmente concepita da una elite sacerdotale e politica, che seppe fare tesoro di quanto fino ad allora prodotto in termini architettonici dai popoli vicini, mettendo al lavoro artigiani locali e forse provenienti da altre regioni, con lo scopo di costruire un centro che divenisse punto di riferimento per tutti i commerci tra il Sud-Ovest e il Messico. E così fu certaLe rovine di Casas Grandes in un disegno della metà dell’800 mente, dato che a Casas Grandes sono stati trovati i reperti che dimostrano l’abbondanza di tutte le merci pregiate che alimentavano gli scambi nella regione, dalle pregiate piume di pappagallo messicane, ai campanellini di rame, alle conchiglie lavorate, oltre a tessuti, vasellame e monili. Ma Casas Grandes oltre che centro commerciale doveva anche essere un centro manifatturiero, in cui i si concentrava un’alta presenza di artigiani, vasai, tessitori, gioiellieri, allevatori di uccelli pregiati. Tutte queste persone potevano vivere nell’area grazie al lavoro dei contadini che garantivano i prodotti della terra, di cacciatori che rifornivano di carne la comunità, e certamente un simile centro doveva avere una struttura militare in grado di garantire la difesa, e contestualmente imporre il dominio sulla regione. L’egemonia di Casas Grandes era esercitata infatti su un gran numero di comunità minori, nell’arco di 3 o 4 giorni di viaggio, le più vicine costruite in piccolo secondo lo stesso modello del complesso principale, le più lontane in cui sono comunque evidenti i segni caratteristici dello stile di Casas Grandes; più oltre l’influenza di Casas Grandes si estendeva fino al versante occidentale della Sierra Madre a ovest, e il Rio Grande a est, come testimoniato dalla presenza di ceramica e altri manufatti in queste zone. Una simile struttura che doveva prevedere una complessa e forse rigida divisione del lavoro, quasi certamente prevedeva una struttura gerarchica di tipo teocratico molto centralizzata, forse più vicina a quelle dei popoli dell’America Centrale, che non ai modelli sociali del Sud-Ovest; è comunque probabile che tale gerarchia si fondasse sul sistema dei clan famigliari, piuttosto che su caste e classi, come era invece per le teocrazie mesoamericane, e per gli stessi popoli di cultura Mississipi. Tra le peculiarità di questa antica metropoli del Sud-Ovest, va segnalata anche l’epoca della sua nascita, successiva alla crisi dei grandi centri cerimoniali, economici e politici Anasazi, Hohocam e Mogollon, come Chaco Canion, Snaketown o Gila Cliff, in un momento in cui la tendenza generale in tutto il SudOvest era l’abbandono dei grandi insediamenti, la crisi dei grandi centri in grado di costruire entità politiche territoriali, e il ritiro verso gli spettacolari, ma quasi isolati cliff dwellings, coevi di Casas Grandes. Alla luce di questo dato è forse possibile ipotizzare che una elite, probabilmente autoctona, ma con un bagaglio di relazioni e conoscenze nella regione, abbia tentato di invertire questa dinamica di decadenza, e raccogliendo influssi, Ceramiche provenienti da Casas Grandes


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Veduta area del sito archeologico di Casas Grandes

conoscenze e tecniche da tutto il Sud-Ovest e dal Messico, abbia prodotto questa esperienza, che rappresenta una sorta di canto del cigno delle grandi culture agricole del Sud-Ovest: perchè fu un canto del cigno, e tutta la vicenda di Casas Grandes si concluse più o meno in un secolo, e probabilmente la sua epoca di splendore durò anche meno. Intorno al 1450, al più tardi nel 1470, Casas Grandes veniva abbandonata. Non sono chiare le ragioni, ma il suo processo di decadenza e la sua fine furono piuttosto brevi forse pochi decenni: di fatto la vicenda di Casas Grandes è riassumibile in poche generazioni, dal tempo di coloro che la edificarono, al tempo in cui, molto probabilmente, vennero meno quelle elite dominanti, in grado di gestire ed eventualmente rilanciare, una comunità estremamente complessa, che richiedeva una leadership autorevole e capace. E’ probabile che l’aumento demografico e la concentrazione di popolazione legata ai traffici, abbia velocemente ridotto le risorse agricole della regione, dato che non va mai dimenticato, l’agricoltura degli indiani non conosceva la rotazione dei terreni, e portava al loro esaurimento e alla necessità di trasferimenti. Questa ipotesi però deve misurarsi con il fatto che all’est, nella valle del Mississipi, grandi centri cerimoniali, simili a quello di Casas Grandes poterono sopravvivere per secoli, drenando risorse dai territori e dai villaggi controllati. E’ anche possibile che per una qualche ragione i traffici commerciali si siano progressivamente ridotti, rendendo la grande struttura inutile e economicamente poco sostenibile; possono esserci state tensioni interne, che ne sconvolsero il funzionamento e l’organizzazione; non va esclusa l’ipotesi di nemici esterni, dato che anche le zone del Messico settentrionale furono interessate dall’arrivo degli Atapaskan dal nord, che certo ebbero un ruolo nella crisi delle culture agricole del SudOvest. Di fatto la fine di Casas Grandes coincise con quella generale che attraversò tutto il Sud-Ovest, ma ciò che rende peculiare questa vicenda è il breve tempo in cui essa si produsse e il breve tempo in cui si concluse, un tempo che più o meno può coincidere con quello del dominio di una elite politica e spirituale a carattere ereditario, che dopo aver espresso una esperienza in qualche modo “visionaria”, alla prima generazione, la perpetua nella seconda, per subirne poi la crisi alla terza, quando l’impulso e l’ispirazione dei “fondatori” è ormai esaurito. Ciò può anche spiegare perchè dell’esperienza di Casas Grandes nulla rimanga dopo la sua fine: forse perchè essa fu in qualche modo un “sogno”, che la maggioranza di colore che lo visse, non comprese realmente. E questo pone il tema di chi furono gli edificatori di Casas Grandes. I primi studiosi, facendo alcune errate datazioni, vollero credere nell’intervento dei Pochteka, i mercanti viaggiatori Toltechi che l’avrebbero edificata come un avamposto settentrionale dei loro commerci; più tardi altri studiosi, sulla base


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delle tecniche di costruzione, vollero individuare un gruppo di Anasazi, giunti a sud dopo la fine di Chaco Canion. Più probabilmente Casas Grandes fu il prodotto di popolazioni locali, le quali potevano svolgere quel ruolo di intermediazione commerciale che un gruppo straniero, parlante una lingua ignota e ignaro delle lingue locali, non poteva svolgere; la regione di Casas Grandes era abitata all’arrivo degli Spagnoli dagli Opata, un gruppo di lingua Uto-Azteca, affine ai Pima e soprattutto affine alle popolazioni messicane che vivevano più a sud, lungo la principale via commerciale; questi Opata erano esperti agricoltori, organizzati in un certo numero di piccole città stato, che esercitavano il controllo su villaggi minori, secondo un modello che può in qualche modo ricordare quello di Casas Grandes. Tra gli Opata la memoria storica di Casa Grandes è assente, ma d’altra parte va ricordato che questo popolo, fu tra i primi a subire l’impatto con gli Europei, con la diffusione di malattie e un forte calo demografico, che provocò la crisi delle città Le culture agricole del Sud-Ovest, fino al XV secolo stato, inducendo la popolazione a vivere in piccole comunità; nel 1628, con l’arrivo dei primi missionari che trovarono buona accoglienza, iniziò l’opera di distruzione delle tradizioni indigene: che in tutto ciò la memoria sia andata perduta, è possibile.

Gli Atapaskan Dalla panoramica fin qui esposta risulta evidente come tutto il Sud-Ovest, tra i fiumi Rio Grande e Colorado e giù fino al Messico, fu per oltre un millennio sede di importanti culture agricole, che hanno disseminato la regione di un gran numero di vestigia archeologiche; eppure al momento del contatto con gli Spagnoli, alla metà del XVI secolo, e poi nei secoli successivi, i protagonisti delle complesse vicende storiche e dei tanti conflitti che sconvolsero la regione, non furono questi popoli agricoli, ma tribù per lo più nomadi, con una forte propensione all’attività predatoria, che occupavano gran parte dell’area, e che avevano relegato i popoli agricoli ad un ruolo marginale, in limitate parti del territorio. Questi nuovi protagonisti della storia del Sud-Ovest, erano i Navajo e soprattutto le diverse bande Apache, che per quasi quattro secoli si opposero all’avanzata europea, divenendo poi noti a tutti grazie ai romanzi, film e fumetti, che hanno raccontato le guerre indiane. Chi erano questi popoli, da dove venivano,


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e come sia stato possibile per loro imporsi in un tempo relativamente breve, facendo quasi scomparire dalla memoria storica le culture che per oltre un millennio si erano sviluppate nel Sud-Ovest, è il tema che completa la panoramica di questa regione, nella fase precedente il contatto. Si è visto come nel corso del XII secolo, tutte le principali culture agricole, furono attraversate da una prima crisi, presumibilmente legata al modificarsi delle condizioni climatiche e ambientali, al ridursi delle precipitazioni e quindi delle risorse idriche, che obbligarono a trasformazioni nell’organizzazione sociale, nei modelli di insediamento e probabilmente determinarono anche una riduzione della rete di scambi commerciali. Le inaccessibili “cliff dwellings”, testimoniano plasticamente questa crisi, durante la quale quasi certamente le maggiori entità politico-religiose si dissolsero, per lasciare spazio a comunità più isolate, forse in rapporti, se non di ostilità, almeno di reciproco sospetto, timorose di aggressioni esterne. Questa crisi comunque, pur modificando usi e abitudini, non determinò un calo significativo degli insediamenti, riducendone solo la grandezza, ne ridusse l’estensione geografica delle culture agricole. Intorno alla metà del XV secolo, circa tre secoli dopo, una seconda crisi, anch’essa legata a cambiamenti climatici, portò invece alla quasi scom- Probabili vie migratorie degli Atapskan verso il sud parsa delle culture agricole in gran parte del Sud-Ovest, e al loro ritrarsi in zone limitate: l’alto corso del Rio Grande, il basso corso del Colorado e i suoi affluenti Little Colorado e Gila, quest’ultimo solo lungo il basso corso, mentre anche nel Messico settentrionale i popoli agricoli furono costretti a contendere il terreno ai popoli nomadi. E’ in questo lasso di tre secoli, che va collocata la vicenda dei popoli Atapaskan del Sud-Ovest, gli Apache e i Navajo, il loro arrivo nella regione, i rapporti con i popoli agricoli, il loro adattamento alle nuove condizioni. Come già accennato, trattando degli Atapaskan nelle Grandi Pianure, in un periodo indefinito probabilmente tra il IX e il X secolo d.C., dalle regioni ai piedi delle Rocky Mountains a nord del Saskatchewan, gruppi di cacciatori nomadi si staccarono dal resto dei popoli Atapaskan per spingersi verso sud, seguendo probabilmente le pendici della grande catena montuosa, fino a raggiungere la regione dell’attuale Wyoming; mancano elementi certi di riscontro di tale migrazione, e l’ipotesi si basa sul dato certo della affinità linguistica tra Apache e Navajo e gli Atapaskan che vivevano a nord del Saskatchewan, e su quello meno certo del tempo in cui la separazione avvenne, calcolato in base ai metodi della glottocronologia, che studia i tempi di variazione di una determinata lingua in rapporto ad un modello originario.


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Nelle regioni a est delle Rocky Mountains, la presenza di questi Atapaskan meridionali è testimoniata da una serie di riscontri archeologici, che documentano i successivi spostamenti fino alle praterie meridionali oltre il fiume Arkansas; a ovest delle Rocky Mountains invece mancano tali testimonianze e l’unico dato certo è che Apache e Navajo raggiunsero le terre del Sud-Ovest, prima dell’arrivo degli Spagnoli. Improbabile è l’ipotesi che l’occupazione delle terre del Sud-Ovest sia avvenuta da parte dello stesso flusso migratorio che si produsse nelle praterie e ciò per almeno due ragioni: le differenze linguistiche tra Atapaskan delle praterie (Jicarilla, Lipan e Kiowa Apache) e Atapaskan del Sud-Ovest (Western Apache, Navajo, Chiricahua e Mescalero), che fanno pensare ad una separazione non proprio recente tra i due gruppi; l’assenza di ragioni per uno spostamento oltre le Rocky Mountais una volta raggiunte le praterie meridionali, abbandonando una terra ricca di bisonti, per spostarsi in regioni semiaride e povere di selvaggina. L’ipotesi più accreditata è quindi che la divisione tra i due gruppi sia avvenuta più a nord, proprio nelle praterie del Wyoming, nella zona di South Pass, e che una parte degli Atapaskan abbia continuato il proprio cammino a ovest delle Rocky Mountains, o lungo la vallata del Green River, un affluente settentrionale del Colorado, o più a est lungo le pendici occidentali delle Rocky Mountains, fin poi a raggiungere gli attuali stati del New Mexico e dell’Arizone e il nord del Messico. Rimane il dato che questa migrazione non sembra aver lasciato dietro di se tracce riconoscibili; certo il fatto che questi popoli fossero nomadi, con una cultura ed un artigianato piuttosto semplice, che non conosceva la porcellana, che è uno dei principali indicatori per l’attività degli archeologi, può essere una spiegazione di tale mistero; a ciò va aggiunto che proprio il modello culturale settentrionale degli Atapaskan, facilmente adattabile all’ambiente delle Grandi Pianure e quindi riproducibile in quel contesto, poteva essere meno adatto alle terre montuose a ovest delle Rocky Mountains, inducendo i migranti ad acquisire tecniche e stile di vita dei popoli autoctoni; in ultimo non si può escludere che tale migrazioni si sia svolta con tempi relativamente veloci, un secolo o poco più, lasciando così dietro di se poche tracce. Ciò che è certo è che in un lasso di tempo indefinito, probabilmente tra il XII e il XV secolo, l’arrivo degli Atapaskan impattò sulle popolazioni agricole del Sud-Ovest, che già stavano attraversando una lorò crisi, accelerandola e portandola ai suoi esiti finali. Non è nemmeno chiaro se tale arrivo fu un singolo evento, o avvenne in più ondate, anche se almeno due gruppi di migranti, sono ipotizzabili sulla base delle differenze linguistiche tra gli Atapaskan occidentali, riconducibili a due gruppi principali: i Navajo e le diverse bande di Western Apache (Tonto, Cibecue, Monte Blanco, Gilenos), e i Chiricahua e i Mescalero, che vivevano più a sud-est. E’ quindi possibile che questi due diversi raggruppamenti di Atapaskan, abbiano raggiunto il Sud-Ovest in tempi diversi e secondo itinerari diversi, i Western Apache e i Navajo seguendo un percorso occidentale lungo il corso del Colorado, giungendo forse già nel XII secolo, Chiricahua e Mescalero movendosi più a est, lungo le pendici delle Rocky Mountans che arrivarono in epoca più tarda. Un ulteriore elemento di mancata conoscenza riguarda quanto questi Apaskan si spinsero a sud, dato che gli Spagnoli al loro arrivo, trovarono bande di nomadi, fin nelle zone meridionali degli stati messicani di Chihuahue e Coahuilla; alcune di queste bande nomadi del Messico, come i Janos e i Jocome erano erano quasi certamente affini ai Chiricahua e da essi furono assimilati, già all’inizio del ‘700. Lungo il cammino che li doveva portare a sud gli Un accampamento Apache, fotografato nel 1883, forse non troppo diverso da quelli Atapaskan incontrarono delle prime bande che migrarono nel Sud-Ovest


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quasi certamente i popoli di cultura Fremont, che scompaiono nel periodo successivo all’epoca in cui è probabile che essi a abbiano attraversato la regione. Più a sud gli Anasazi lasciarono anch’essi gran parte dei loro insediamenti in un epoca di poco successivo all’arrivo degli Atapaskan, una parte dei quali, i Navajo, si stanziò sulle loro terre, terre in cui i Navajo ancora oggi vivono, all’interno di una estesa riserva. L’alta valle del Gila, che era stato uno dei centri della cultura Mogollon, fu occupato dagli Apache Chiricahua, che si spinsero a sud fino al sito di Casas Grandes, che fu abbandonato probabilmente proprio nello stesso periodo del loro arrivo. Nella zona in cui si erano prodotte le culture Salado e Sinagua, si insediarono le bande Apache Occidentali, mantenendo un difficile rapporto con i Pima, eredi della tradizione Hohocam. D’altra parte la tendenziale coincidenza temporale tra la crisi delle culture agricole del Sud-Ovest, e l’arrivo degli Atapaskan, non può autorizzare un rapporto immediato di causa effetto tra i due eventi, e ciò per diverse ragioni. Dai riscontri archeologici la crisi dei popoli agricoli non sembra sempre accompagnarsi a conflitti e a violenze, e anche quando tali violenze sono testimoniate, esse possono essere conseguenza di conflitti con altre comunità agricole, o interno alla stessa comunità. A ciò va aggiunto che gli Atapaskan del XV secolo non possedevano il cavallo, che rese Apache e Navajo temibili e aggressivi predatori, e quasi certamente la propensione predatoria, che spesso si accompagna allo stile di vita nomade, doveva essere fortemente mitigata dalle difficoltà oggettive di muoversi a piedi, in bande non troppo numerosi, confrontandosi con comunità coese e organizzate, in grado difendersi nei loro villaggi di pietra, anche se non sempre in grado di proteggere i loro campi dalle razzie. Di fatto questi nomadi potevano essere un elemento di disturbo, razziatori in grado di depredare i raccolti, intervendo così a peggiorare una situazione di difficoltà per i popoli agricoli, ma difficilmente, da soli, essi avrebbero potuto causare la fine di organismi sociali, economici e politici, come quello di Casas Grandes o anche di altri di minore grandezza. Al contrario, furono gli Atapaskan in alcune condizioni, a modificare il loro stile di vita in seguito al contatto con i popoli agricoli; i Navajo già al tempo dell’arrivo degli Spagnoli, in seguito al contatto con i Pueblo, avevano acquisito l’agricoltura, poco più tardi impararono la tessitura, divenendo abili artigiani, e infine l’allevamento di pecore, divenendo ricchi proprietari di armenti; le bande di Apache Occidentali pur continuando nello stile di vita nomade, impararono a coltivare piccoli orti lungo il corso dei torrenti delle montagne da loro abitate. Non è nemmeno certo che i rapporti tra Atapaskan e popoli agricoli fossero sempre ostili, anche se la parola Apache viene dalla lingua dei Pueblo Zuni, e significa “nemici”; durante la prima fase della colonizzazione spagnola, non mancano le testimonianze di rapporti di scambio tra nomadi e agricoltori, rappoorti che gli Spagnoli peraltro cercarono di contrastare in ogni modo, così come è testimoniata, l’alleanza tra gruppi Pueblo e Pima che si ribellavano ai dominatori spagnoli, e bande di Apache. Di fatto l’ostilità tra popoli agricoli e Apache e Navajo divenne generalizzata solo dopo l’arrivo degli Spagnoli, quando i nomadi acquisirono il cavallo, che esaltava la propensione bellica e predatoria, mentre i Pueblo sottoposti al dominio spagnolo venivano arruolati come ausiliari nelle guerre contro Apache e Navajo. A partire dalla fine del ‘600 la necessità di difendersi da questi temibili predatori a cavallo, fu un fattore determinante nella accettazione del dominio Spagnolo da parte dei popoli agricoli del Sud-Ovest. Gli Atapaskan al contrario, e gli Apache in particolare, rimasero fin quasi alla fine dell’800 indipendenti e irriducibilmente ostili, prima agli Spagnoli e ai Messicani, poi agli ultimi arrivati Americani; nel frattempo il Sud-Ovest er divenuta “l’apacheria”, la terra degli Apache.

Il Sud-Ovest alla vigilia del contatto: l’Apacheria Quando nel 1540 il conquistador spagnolo Francisco de Coronado guidò un’intera armata alla ricerca delle mitiche “città d’oro di Cibola” fin nel cuore delle terre del Sud-Ovest, tutta la regione era nel pieno di una crisi che aveva visto la scomparsa di intere culture, la trasformazione di altre, l’arrivo di nuovi migranti giunti non molto prima degli invasori europei. Dello stile di vita agricolo che per oltre due millenni aveva caratterizzato la regione, a nord del Messico non rimanevano che limitate enclaves, lungo l’alto corso del Rio Grande e sul Little Colorado, e sul basso corso del Gila e del Colorado; gli eredi degli Anasazi, degli Hohokam e dei Patayan, la cui cultura dopo aver raggiunto la maggior complessità nel XII secolo era ormai decaduta, occupavano ormai aree marginali del Sud-Ovest e solo a sud del confine del Messico, lo stile di vita agricolo e tendenzialmente


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sedentario era ancora prevalente. Il cuore di quella che era stata la terra dei popoli Mogollon era occupata dalle tante bande Apache, e a ovest di loro e a loro alleati c’erano gli Yavapay, un popolo affine agli Yuman della cultura Patayan, ma che era rimasto estraneo allo stile di vita agricolo; lungo il medio corso del Rio Grande i villaggi aricoli Jornada Mogollon erano stati abbandonati, e i Manso e i Suma, eredi chi li aveva abitati, sopravvivevano con un po’ di pesca lungo il corso del fiume, cacciando e cercando i vegetali selvatici che la natura offriva; a nord nella terra che era stata la patria degli Anasazi, i Navajo conducevano la vita dei loro parenti Apache, anche se di lì a poco più di un secolo avrebbero dato inizio ad un peculiare sviluppo culturale, unico tra tutti i popoli del Nord America; ancora più a nord, il bacino del fiume Colorado, che aveva visto l’effimera cultura Fremont, era abitata da altri nomadi, gli Ute e i Pa-hute di lingua Uto-Azteca. Il cuore di quello che era stata la sede di una delle più avanzate civiltà del Nord America, era ormai in gran parte “l’Apacheria”, una terra desolata, scarsamente abitata, dove vagavano bande di nomadi dediti alla caccia e alla raccolta che vivevano poveramente, in semplici ripari di frasche, perennemente alla ricerca di cibo, pronti a predare e razziare se potevano i campi di Distribuzione delle principali tribù alla fine del XVI secolo mais dei popoli agricoli, o a scambiare con essi il frutto della loro attività di cacciatori, quando le condizioni non consigliavano l’uso della forza. Un membro della spedizione di Coronado, che ebbe forse il primo incontro con una banda di Chiricahua, li definì la gente più misera e barbara che mai avesse incontrato, e se nel giudizio trapela indiscutibilmente il razzismo dell’uomo bianco, è altrettanto vero che un simile giudizio non fu mai usato per i pacifici abitanti dei Pueblo, che dagli Spagnoli dovettero sopportare ogni sorta di vessazione. Ma ora questi nomadi miseri e barbari erano i nuovi padroni della regione, e i popoli agricoli che per due millenni avevano edificato grandi edifici in pietra, costruito vaste reti di canali di irrigazione, una rete di strade come mai fu concepita in Nord America, nel tentativo di trasformare una terra semidesertica in un luogo in cui edificare una civiltà complessa, con una elaborata espressione artistica e uno stile di vita pacifico e produttivo, avevano perso la loro scommessa, e ora vivevano nei loro villaggi in pietra e adobe, quasi assediati dai nuovi padroni nomadi. Ma questi nomadi, miseri e barbari, in questa terra aspra e ingrata riuscirono ad adattarsi presto, elaborando uno stile di vita la cui semplicità e flessibilità, piuttosto che cercare di modificare l’ambiente, cercava di coglierne ogni minima opportunità, per sopravvivere e nulla più. E quanto a sopravvivere è indiscutibile che essi furono campioni.


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Le terre del Sud-Ovest furono tra le prime a subire l’impatto del contatto con l’uomo bianco, già alla metà del ‘500, poi con la prima colonizzazione all’inizio del ‘600, ma le ultime ad essere domate, le ultime in cui l’uomo bianco potè finalmente sentirsi il sicuro padrone. Per oltre due secoli, questi nomadi miseri e barbari, gli Apache costruirono un argine all’avanzare della colonizzazione, prima fermando l’espansione degli Spagnoli, che dopo aver distrutto l’impero Azteco dilagarono in gran parte del continente, fermati solo ai confini dell’Apacheria. Fu poi la volta degli Americani che malgrado la forza di una nascente potenza industriale e militare, non riusciro per quasi quarant’anni a venire a capo di queste genti misere e barbare. Quando alla fine vi riuscirono fu solo impiegando nel conflitto gli stessi guerrieri Apache, facendo tesoro dell’esperienza di un militare che per anni li aveva combattuti, il generale George Crook, che era solito affermare: “solo un Apache, può prendere un Apache”. In questa loro ostinata resistenza queste genti misere e barbare, ebbero due alleati fondamentali, e il primo fu quella stessa terra ingrata in cui il solo sopravvivere era già una La più famosa immagine di Geronimo, l’ultimo scommessa. In questa terra povera d’acqua e diffilmente colcapo di guerra dei Chiricahua tivabile, tra zone semidesertiche e aspre catene montuose, e che ai bianchi poteva interessare solo per l’allevamento di bestiame e le risorse minerarie, gli Apache sapevano sopravvivere come nessun altro; e questa loro capacità, fu la forza della loro resistenza. L’altro alleato, furono gli stessi bianchi a offrirlo, il cavallo, che nelle terre del Sud-Ovest giunse prima di ogni altro luogo del Nord America, portato dagli Spagnoli già nella seconda metà del ‘500, diffusosi nel corso del ‘600, e soprattutto dopo la fuga degli Spagnoli, in seguito alla Grande Rivolta dei Pueblo del 1680, quando ranchos e allevamenti furono abbandonati. Con il cavallo le genti misere e barbare, divennero imprendibili predoni e temibili guerrieri, aumentando la loro mobilità e capacità di controllo del territorio; tra gli Apache il cavallo non fu l’occasione di un ricco e pittoresco sviluppo culturale, come avvenne fra i nomadi delle Grandi Pianure, e gli Apache non acquisirono mai l’alone romantico che spesso caratterizza le culture equestri. Gli Apache non furono allevatori di cavalli, ne possedettero grandi mandrie, che spesso memmeno i pascoli abbondavano; a differenza della maggioranza degli indiani delle Grandi Pianure, che al cavallo assegnavano un valore di status, e con cui spesso avevano un forte legame, gli Apache non si facevano scrupoli a macellarli e a cibarsene se era necessario. Ma grazie al cavallo essi lasciarono un segno indelebile nella travagliata storia dei rapporti tra popoli nativi e invasori bianchi. Alla fine anche gli Apache furono domati: la data simbolica della loro resa è il 1886, quango Geronimo, l’ultimo capo guerriero, si consegnò ai militari americani, anche in realtà ancora per molti successivi, piccole bande di predoni continuarono a nascondersi nelle inaccessibili valli della Sierra Madre Occidentale, suscitando periodicamente il terrore nelle zone di confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Nel frattempo un’altra resistenza, meno sanguinosa ed eclatante, ma non per questo meno ostinata, era condotta dagli eredi delle grandi culture agricole del Sud-Ovest. Nei loro villaggi di adobe i Pueblo erano passati per il dominio Spagnolo, avevano visto le loro terre invase dai coloni bianchi, ma essi pur ormai circondati continuavano a preservare i loro amntichi riti nei kivas, le loro credenze e le loro tradizioni, fino ai nostri giorni; e ad Acoma la “città del cielo”, dopo oltre 1.000 anni, le antiche danze non sono dimenticate. I pacifici contadini e come gli irriducibili predoni, hanno entrambi lasciato un segno che nelle terre del Sud-Ovest la “civiltà”dell’uomo bianco non ha del tutto cancellato. Giovane danzatore di Acoma


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Come in tutto il mondo, l’agricoltura in Nord America fu l’elemento che determinò lo svilupparsi di società più complesse e strutturate, il miglioramento delle tecniche artigianali e artistiche, la trasformazione delle prime forme di shamanesimo in credenze religiose collettive; la sedentarietà e la possibilità di garantirsi scorte alimentari, permisero una prima embrionale divisione del lavoro e il conseguente emergere di prime forme di specializzazione nelle attività, in particolare in ambito spirituale e artigianale, mentre il sottrarsi dalla costante necessità della ricerca di cibo, liberava tempo da investire nella produzione di beni e nell’organizzazione della vita sociale. Ma ciò non accadde in tutto il Nord America, dove in gran parte del territorio le attività agricole giunsero solo con la colonizzazione europea, e dove comunque si svilupparono altri complessi culturali, che in alcuni casi videro Artic una altissima concentrazione demografica, un significativo sviluppo delle tecniche artigianali, e Artic anche società sedentarie, con una organizzazione soSubartic Artic ciale complessa e stratifiPacific cata. E’ un fatto comunque Coast che non sempre un surplus di risorse alimentari, la seSubartic Subartic dentarietà e la crescita demografica portarono allo Plateau sviluppo di culture comPacific plesse. Coast Tracciando un arco sulla Great carta geografica del Nord Great California Bacin America, dalla foce del Plains fiume San Lorenzo, attraWoodland South-West verso il medio corso del Missouri, fino alla foce del fiume Colorado, è possibile Baja delimitare nettamente le Bolsom California regioni in cui il modello di de Mapimi sussistenza era in buona misura incentrato sull’atti- Giovane danzatore di Acoma


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vità agricola, da quelle in cui tale attività non era praticata e la sopravvivenza dipendeva dalle semplici attività di caccia, pesca e raccolta. Le terre poste a nord e a ovest di tale arco immaginario, corrispondono a più della metà del Nord America, e comprendono regioni con ambienti, risorse e condizioni climatiche estremamente diversi; per la gran parte si tratta di aree tra le più ostili alle possibilità di sopravvivenza umana, ma vi sono anche estese regioni che sono tra le più ricche di risorse e che ancora oggi ospitano gran parte della popolazione degli Stati Uniti. Le ragioni per cui questa immensa parte del continente rimase impermeabile allo sviluppo dell’agricoltura, sono quindi diverse, così come furono diverse le strategie di adattamento dei popoli che le abitarono. Gran parte di questo vasto territorio in cui l’agricoltura non fece la sua comparsa, è rappresentata oltre che dai territori dell’Artico nell’estremo nord, dall’immensa regione Sub-Artica, che si estende da Terranova e dal Labrador a est, fino al versante orientale della Catena Costiera del Pacifico a ovest, e il cui limite meridionale corre dal bacino del fiume San Lorenzo, ai Grandi Laghi., lungo il corso del North Saskatchewan, fino alla regione a nord del fiume Fraser, oltre le Rocky Mountains, comprendendo in sostanza, la quasi totalità dell’attuale Canada e l’intera Alaska. E’ questa una terra dal clima freddo, il cui ambiente pur variando notevolmente da un’area all’altra dell’immenso territorio, è ancora oggi inadatto all’attività agricola. A ovest della regione Sub-Artica, laddove il versante occidentale della Catena Costiera si frantuma in una quantità di fiordi e isole dalle rive boscose e scoscese, è possibile individuare un’altra area con proprie specificità, quella della Costa del Pacifico, che dalle fredde latitudini settentrionali si prolunga, perdendo il suo carattere aspro e frastagliato, a sud dell’isola di Vancouver e di Puget Sound, fino alle estreme coste settentrionali della California. Lungo questa striscia di terra le variazioni climatiche e ambientali sono notevoli, con la parte settentrionale totalmente inadatta all’agricoltura per il clima e la morfologia della regione, e quella meridionale, più mite e dalle coste più pianeggianti; in tutta l’area comunque le risorse del mare furono in grado di sostenere una popolazione numerosa, senza la necessità di misurarsi con i rischi e le difficoltà dell’attività agricola. Vi è poi un’ampia regione montuosa a sud della area Sub-Artica, una sorta di Altopiano, compreso tra le Rocky Mountains e la Catena Costiera, e coincidente con due grandi complessi fluviali, quello del Fraser e quello dello Snake-Columbia. Si tratta di una terra di foreste montane e pascoli vallivi, che solo nella parte meridionale presenta le condizioni per una produttiva attività agricola, ma in cui la ricchezza di selnaggina, la gran quantità di corsi d’acqua ricchi di pesce, le opportunità di una flora rigogliosa e varia, permisero lo sviluppo di un modello di sussistenza semplice, ma sufficiente a garantire la sopravvivenza dei popoli che l’abitarono. A sud dello Snake e del Columbia, si estende una vasta regione semidesertica, il Grande Bacino, una zona dalle scarsissime precipitazioni, povera di corsi d’acqua, che ancora oggi come 2.000 anni fa, è una delle meno densamente abitate del continente; quest’area si prolunga a sud attraverso la California meridionale, fino alla penisola di Baja California, mantenendo il suo carattere ostile alla presenza umana, povero di risorse idriche e inadatto all’attività agricola. Un’enclave con analoghe caratteristiche, il Bolsom de Mapimi, si estende a sud del confine con il Messico, tra la Sierra Madre Occidentale e quella Orientale. Qui i popoli che abitarono queste terre, dovettero adattarsi ad uno stile di vita semplice e precario, caratterizzato dall’incessante nomadismo, alla ricerca delle poche risorse vegetali e animali, che l’ambiente offriva. In ultimo vi è l’oasi rappresentato dalla Valle Californiana, lungo i fiumi Sacramento e San Joaquin, un ambiente caratterizzato da un clima mite di tipo meditarreneo, una terra ricca e generosa, perfettamente adatta all’attività agricola, che comunque non vi si sviluppò, perchè probabilmente i popoli che vi vissero, non ebbero mai la necessità di modificare il loro stile di vita tradizionale, avendo comunque la possibilità di vivere nell’abbondanza e nella sicurezza; quasi certamente questa regione, fu quella più densamente popolata del Nord America, senza che ciò producesse la necessità di particolari adattamenti ed evoluzioni nel modello di sussistenza e nell’organizzazione sociale. In quasi tutte queste regioni, il modello di vita Arcaico, prodottosi nell’epoca successiva al ritiro dei ghiacci alla fine del pleistocene, si protrasse senza significative modificazioni, almeno fino all’epoca del contatto, che quasi ovunque giunse in epoca tarda, nel corso del ‘700 e dell’800, a parte il caso delle terre a sud del confine con il Messico e nella zona a nord dei Grandi Laghi, dove i missionari spagnoli e i mercanti di pelli francesi, giunsero nella prima metà del ‘600. Una sommaria panoramica di questo vastissimo territorio completa il quadro delle culture e dei modelli di sussistenza nell’epoca precedente l’arrivo degli Europei in America.


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La regione Sub-Artica L’immensa regione che si estende a sud del Circolo Polare Artico è assolutamente inadatta allo sviluppo di ogni pratica agricola, e quindi i popoli che l’abitarono rimasero sostanzialmente vincolati al modello di vita Arcaica, che si protrasse fino al tempo del contatto, che in questa immensa area avvenne in più momenti, e con diverse tappe. Di fatto nel lunghissimo arco di tempo che va dal definitivo ritiro della calotta glaciale, che in questa zona fu ovviamente più tardo che in tutto il continente, fino all’epoca in cui i primi europei visitarono la regione, pochissime innovazioni tecniche furono prodotte, e soprattutto manca quella vera e propria bussola dell’archeologia rappresentata dalla terracotta, che mantenendosi attraverso i millenni, offre agli studiosi uno strumento fondamentale, per conoscere aspetti della vita materiale, e spesso anche spirituale e sociale dei popoli preistorici. In tutta l’area infatti, l’artigianato e la tecnologia dipendevano da materiali deteriorabili, legno, corteccia, osso, pelli ecc..., che difficilmente si mantengono come reperti in grado di dare indicazioni sul passato. Di fatto solo il modificarsi delle tecniche di costruzione di lame e punte di pietra per frecce o lancie, che avviene in epoca Arcaica, ci segnala alcuni importanti eventi e fenomeni nella storia della regione, ma dopo lo stabilizzarsi di tali tecniche, diviene quasi impossibile trovare altri elementi in grado di illuminare i tempi più lontani. Molto probabilmente le condizioni di vita, i modelli di sussistenza e la cultura di questi popoli nei due millenni precedenti l’arrivo dei primi europei, dovevano essere molto simili a quelli che gli stessi europei ebbero modo di conoscere al momento del contatto. Fondamentale, in gran parte dell’area era il cariboù, il cervide affine alla renna euroasiatica, che viveva in grandi mandrie nelle regioni più settentrionali, al margine delle tundre, o in piccoli gruppi famigliari, nelle foreste montane occidentali; come nelle Grandi Pianure il bisonte offriva carni, pelle, ossa, e ogni parte di se per l’alimentazione, gli abiti, l’artigianato e la costruzione di utensili, allo stesso modo il cariboù, era l’animale chiave per i popoli del Subartico; è questo un tratto d’affinità (non l’unico) con i popoli dell’oriente siberiano, anch’essi legati alle renne, ma mentre in Siberia i popoli locali riuscirono nella parziale domesticazione di questo animale, in America il cariboù fu solo oggetto di attività venatoria e non risultano tentativi di allevamento. Tutta la grande regione, ha in comune un clima rigido, una grande ricchezza di laghi e fiumi, una immensa copertura forestale, che però non si accompagna ad una grande varietà di risorse vegetali; essa può essere divisa in tre grandi aree, che si differenziano per caratteri geografici e vicende del popolamento.

Il Sub-Artico Orientale La prima di queste aree, quella orientale, comprende la vasta pianura a nord dei Grandi Laghi, dal lago Winnipeg fino al Labrador e a Terranova, e fu la regione di più tarda colonizzazione umana, essendo rimasta quasi totalmente coperta dai ghiacci fino al IV millennio a.C. Tutta la vasta area compresa tra i Grandi Laghi e la Baia di Hudson è ricoperta da un’immensa coltre di foreste, mentre più a nord, nelle terre del Labrador il L’immensa foresta boreale che ricopre gran parte delle regione Subartica del Canada paesaggio è quella della tundra, dove le risorse e le possibilità di sostentamento si riducono notevolmente. In questa regione la colonizzazione avvenne con il progressivo spostamento da sud di gruppi umani portatori del modello di vita Arcaico sviluppatosi nella regione delle Foreste Orientali, antenati degli Algonquian storici, che


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man mano che i ghiacci si ritiravano occupavano le nuove terre, inseguendo lo spostamento della selvaggina e pescando nel gran numero di fiumi e laghi della regione. E’ probabile che le regioni costiere del Labrador, ove l’influsso marino mitigava le condizioni climatiche e liberava le terre dai ghiacci, siano state popolate precedentemente da altri popoli, ai quali gli Algonquian si sovrapposero e sostituirono, lasciando come traccia di questo più antico popolamento, i soli Beothuk dell’isola di Terranova. Questi popoli Algonquian, che vivevano con un modello nomade di limitati spostamenti stagionali, erano organizzati in piccole bande fami- Canoa e wigwan tipiche della regione a nord dei Grandi Laghi gliari, che periodicamente potevano incontrarsi formando comunità più numerose per brevi periodi, sfruttando località particolarmente pescose; durante i duri inverni le comunità si disperdevano in piccoli gruppi, ognuno cercando di sopravvivere utilizzando le scorte di carne e pesce secco e cacciando in prossimità dei villaggi, mentre quando con la buona stagione le nevi si scioglievano e gran parte del territorio si trasformava in un grande acquitrino, i diversi gruppi si spostavano con leggere canoe di scorza di betulla, per raggiungere le migliori stazioni di pesca o anche le coste, dove oltre al pesce abbondavano i mammiferi marini. Le canoe di corteccia erano certo uno dei più efficienti adattamenti al loro difficile ambiente, dato che per la loro leggerezza, potevano essere facilmente trasportate da un corso d’acqua all’altro; quando invece la neve rendeva difficili gli spostamenti, le racchette da neve, uno strumento che probabilmente accompagnò i primi colonizzatori provenienti dall’Asia, permettevano di cacciare almeno in prossimità dei villaggi, mentre per il trasporto di selvaggina, era usato il “toboggan” una sorta di rudimentale slitta senza pattini diffusa in tutta la regione Subartica. Al tempo del contatto tutti gli indiani della regione usavano arco e frecce, ma quasi certamente la sostituzione dell‘atlatl con tale strumento fu piuttosto tarda probabilmente intorno all’VIII secolo d.C.; reti, trappole, lenze e arpioni erano usati per la pesca. In questa regione di foreste e paludi le selvaggina era rappresentata principalmente da cervidi, alci, caribù, wapiti e cervi virginiani, oltre all’orso nero, e ad un gran numero di prede minori; nelle tundre del Labrador il cariboù viveva in branchi che migravano stagionalmente secondo percorsi abituali, e che costituivano la principale risorse per le rade popolazioni che abitavano la regione. Uno specifico adattamento riguardava i Micmac dellecoste della Mova Scotia, particolarmente dipendenti dalla pesca e dalla caccia di mammiferi marini e con uno stile di vita tendenzialmente sedentario e una più compledda organizzazione sociale. Benchè abbondante la selvaggina, poteva scomparire per una qualche ragione, e spesso durante l’inverno, la fame colpiva duramente le piccole comunità sparse. Come in tutta il Subartico le risorse vegetali erano limitate, principalmente bacche e frutti di bosco raccolti durante la buona stagione. Per abitazioni erano utilizzati wigwam cupoliformi o a cono, con una struttura in rami ricoperta di corteccia o a volte di pelli, ma la fattura di tali strutture era sempre piuttosto semplice dato che a parte il periodo invernale, le co-


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La regione Subartica orientale all’epoca del contatto (XVI - XVII sec.)

munità si muovevano frequentemente. I popoli di quest’area, non costituivano vere e proprie entità tribali, con capi e istituzioni riconosciuti, anche se in tempi storici, era abbastanza forte la coscienza di una identità etnica legata alla comunanza linguistica e culturale. La loro vita spirituale, più che su cerimonie e credenze collettive, era legata ad un modello animistico in cui erano centrali le credenze individuali e il ruolo degli shamani come intermediari, tra l’individuo e il mondo spirituale. Data la loro contiguità con le più complesse società delle Foreste Orientali, in particolare quella di Hopewell, la cui rete di scambi commerciali si estendeva anche a nord dei Grandi Laghi, nella parte meridionale della regione alcuni usi Hopewell vennero acquisiti: il totemismo, cioè il riconoscimento di un animale mitico come origine di più gruppi famigliari, che era elemento costituente della struttura sociale, e faceva da collante fra le diverse comunità, fu probabilmente acquisito dai vicini meridionali, così come l’uso di costruire mounds funerari, diffuso in gran parte dell’area durante il periodo Hopewell; comunque quando la cultura Hopewell iniziò a decadere e la sua influenza scomparve, anche l’uso di costruire mounds finì. Gli archeologi definiscono come Laurel Complex e Point Peninsula i modelli culturali di questo tipo che si svilupparono a nord dei laghi Superion e Huron e Ontario e Erie; più a nord le conoscenze sono minori e il panorama più indefinito. In tempi storici il gran numero di piccole bande che nomadizzavano nell’area si identificava in alcuni estesi raggruppamenti etnico tribali di lingua Algonquian: gli Innu (Naskapi-Montagnais), gli Ojibway, gli Algonquin, i Micmac e altri gruppi minori; oltre a questi vi erano i Beothuk di Terranova, la cui parentela linguistica non è definita. Queste tribù incontrarono l’uomo bianco a partire dall’inizio del ‘500, sulle coste del Labrador e a Terranova, ma furono effettivamente coinvolte dai cambiamenti imposti dai nuovi arrivati, quando a partire dall’inizio del ‘600, tutta l’area fu parte del grande sviluppo del commercio delle pellicce, del quale gli indiani costituirono la mano d’opera a basso costo. A parte i Beothuk estintisi all’inizio dell’800, gli eredi di queste tribù ancora vivono in piccole riserve nei loro territori originari, dedicandosi ancora alle attività economiche tradizionali, parzialmente inseriti nella società canadese, il cui sviluppo comunque fu meno segnato da conflitti tra nativi e invasori, rispetto a quello della società statunitense.

Il Sub.Artico Centrale Più a ovest, tra la Baia di Hudson e il bacino del fiume Mackenzie, fino alle Rocky Mountains, in una immensa pianura caratterizzata dalla presenza dei tre grandi laghi del nord, l’Athabaska, il Great Slavey Lake, e il Great Bear Lake, l’ambiente mantiene caratteristiche simili a quello della regione orientale,


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con un gran numero di laghi e corsi d’acqua e l’estesa copertura forestale, che nelle aree più settentrionali cede il posto alla fredda tundra artica. Lo stile di vita dei popoli che abitarono queste regioni è sostanzialmente simile a quello dei popoli del Subartico Orientale, basto sulla caccia, la pesca e la raccolta dei pochi vegetali selvatici commestibili, ma alcune La fredda tundra che sostituisce le foreste nella parte settentrionale dell’area Subartica significative differenziazioni sono evidenti sul piano delle tecniche, in particolare per gli spostamenti, con uno scarso utilizzo delle canoe per gli spostamenti, sostituito dai tobogan o da piccoli travoi trainati dai cani, e nelle abitazioni, con l’uso di tepee conici ricoperti di pelli di cariboù, simili a quelli più grandi in uso nelle Grandi Praterie. Nella parte settentrionale dell’area nella zona di confine tra foreste e tundra, fondamentale per la sussistenza delle comunità, era la presenza di grandi mandrie di cariboù, che stagionalmente migravano da nord a sud, secondo tragitti definiti, che determinavano anche il nomadismo degli indiani dell’area, che periodicamente si incontravano per cacce collettive, nei luoghi di passaggio delle mandrie. Vita spirituale e organizzazione sociale erano anch’essi piuttosto semplici, con piccole bande locali, che mantenevano labili relazioni e soprattutto scambi matrimoniali con quelle limitrofe, ma senza istituzioni collettive, ne occasioni di grandi raduni cerimoniali, o elites politiche o spirituali; mancava anche una strutturazione in clan totemici, che invece era presente almeno tra alcuni gruppi di Algonquian orientali, mentre anche in quest’area la religiosità era a carattere animistico e sciamanico. Se sul piano della cultura non vi sono grandi differenze tra quest’area e quella orientale, diverse sono le vicende del popolamento e diversi i popoli che le abitavano. In quest’area vivono ancora oggi i discendenti di uno degli ultimi movimenti migratori verso il Nord America (l’ultimo fu quello degli Inuit, a partire dal III millennio); gli Atapaskan che occuparono quest’area, giunsero forse intorno al VI millennio a.C dalle regioni siberiane, attraversando l’Alaska e spingendosi a sud e a est lungo le direttive dello Yukon e del Mackenzie, diversi millenni dopo che i Paleoindiani si erano diffusi in tutto il Nord America; non casualmente nella loro lingua, secondo alcuni studiosi, è possibile ancora trovare tracce di relazioni con i popoli siberiani, in particolare con un piccolo gruppo stanziato lungo il fiume Jennisey. Furono gli Atapaskan ad introdurre l’arco e le freccie in Nord America, acquisendolo dagli Inuit che lo avevano portato dalle regioni dell’Asia dove tale strumento fu probabilmente era già noto. Non conosciamo con certezza i tempi e i modi della colonizzazione dell’area, ne ci sono elementi per ricostruire

Il “toboggan” la semplice slitta in uso in tutta l’area Subartica e un tepee degli indiani della regione del Great Slavey Lake


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la storia più antica di questi popoli, che hanno lasciato dietro di se ben poche tracce del loro passato; un’indicazione possiamo trarla dall’individuazione nelle parti più meridionali e orientali dell’area, di uno specifico modello culturale, definito come Thalteley, caratterizzato da determinate tipi di punte di pietra, e sicuramente riconducibile a popoli Un grande branco di cariboù nella tundra canadese Atapaskan. I reperti archeologi legati a questo modello culturale, sono successivi all’VIII sec.a.C., a segnalare che probabilmente la piena colonizzazione di quest’area da parte dei loro attuali abitanti, fu piuttosto tarda. In questa regione gli Europei fecero la loro prima comparsa solo dopo la metà del ‘700, quando la Hudson Bay Company e altre compagnie del commercio delle pellicce, iniziarono costruire una fitta rete di stazioni commerciali, inserendo i nativi nel loro sistema di relazioni economiche. A quel tempo gli indiani della regione, erano divisi in certo numero di estese entità etnico linguistiche, senza un preciso riconoscimento tribale, che poi nel corso del rapporto con gli Europei, si differenziarono ulteriormente al loro interno, per ragioni contingenti: conflitti e separazioni, o il semplice legame ad uno specifico territorio per i vincoli con i commercianti europei. Intorno al lago Athabaska, e fino al settore orientale del Great Slave Lake, un certo numero di bande vengono identificate come Chipewyan, e un altro gruppo affine noto come Yellow Knife nella parte settentrionale del territorio, si caratterizzava per l’uso di lame di rame, che nell’area è presente in grandi quantità. Più a ovest, dal lago Athabaska alle Rocky Mountains, un gruppo di bande affini, diedero vita in tempi storici alle tre tribù dei Beaver, dei Sekani e dei Sarsee; quest’ultimo gruppo si spostò nelle pianure del Saskatchewan, acquisendo il cavallo e lo stile di vita delle Grandi Pianure, divenendo alleato dei Blackfoot: la migrazione dei Sarsee a sud è il più recente dei movimenti migratori che da quest’area si spinsero a La regione Subartica Centrale all’epoca del contatto (1750 circa)


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sud. Con il nome di Slavey, gli Europei hanno identificato un gran numero di bande che vivevano lungo il medio e l’alto corso del Mackenzie, fino alle terre a ovest del Great Slavey Lake, più a nord, gli Hare vivevano sul basso corso dello stesso fiume, fino al Great Bear Lake, e i Dogrib a sud dello stesso lago.A ovest del Mackenzie e fino alle pendici delle Rocky Mountains, vivevano sparse bande forse identificabili come Nahane e Kaska. Inadatta ad una vera e propria colonizzazione, la regione fu meno colpita dall’impatto con la penetrazione europea, e ancora oggi gli indiani, organizzati in piccole comunità, costituiscono la maggioranza degli abitanti, oggi per lo più impegnati a difendere i loro diritti di caccia e pesca, che sono ancora le principali attività economiche, dalle mire di profitto di uno sfruttamento minerario, che potrà avere effetti catastrofici sull’ambiente e le risorse tradizionali.

Il Sub-Artico Occidentale La terza delle regioni che costituiscono il Subartico, quella più occidentale, comprende l’Alaska e tutto il vasto territorio ad ovest dello spartiacque delle Rocky Mountains, escluse le regioni costiere, un territorio montuoso con un gran nemero di catene minori che Uno scorcio del fiume Yukon, in Alaska attraversano tutta l’area, e il bacino del grande fiume Yukon che ne costituisce il cuore. I popoli che abitavano quest’area, tutti di lingua Atapaskan, pur essendo strettamente affini a quielli che vivevano a est delle Rocky Mountains, conducevano un modello di sussistenza e di insediamento, diverso e condizionato dalle diverse caratteristiche del territorio, mentre sul piano culturale subivano significativamente l’influenza della vicina, e molto più complessa e ricca, cultura della Costa del Pacifico. In quest’area di aspre montagne e clima estremamente rigido, l’unico ambiente adatto a permettere la vita umana erano le strette vallate montane solcate dal corso dei tanti fiumi che scendono dai monti, e questo diede vita ad un modello di sussistenza più stanziale, con un nomadismo praticato a breve raggio durante la buona stagione, e il legame con località particolarmente adatte per la pesca, specialmente in occasione dell’annuale risalita dei salmoni, che costituiva una delle principali risorse per gli abitanti della regione. Anche in quest’area il cariboù era al centro dell’attività venatoria, ma solo nelle zone più settentrionali dell’Alaska erano presenti grandi branchi che facevano migrazioni stagionali, mentre nel resto della regione l’animale viveva in piccoli gruppi famigliari, e non vi erano quindi le condizioni per l’organizzazione di grandi cacce collettive. In generale il nomadismo in quest’area era più limitato, sia per le difficoltà di spostamento in un territorio montuoso, sia per il vincolo rappresentato dall’arrivo annuale dei salmoni che legava i gruppi a precise località in cui la pesca poteva essere vantagioso, sia per l’assenza di grandi mandrie di mammiferi di cui seguire gli spostamenti stagionali. Il legame con un territorio definito, produsse un maggiore isolamento delle comunità, testimoniato anche dalla maggiore differenziazione linguistica tra le diverse tribù Atapaskan presenti nell’area. D’altra parte la maggiore stanzialità, portò ad una maggiore attenzione nella costruzione delle abitazioni, con l’uso di capanne seminterrate cupoliformi, costruite con una struttura di rami e tronchi, mentre durante la buona stagione, quando ci spostava per la caccia, ci si accontentava di semplici tettoie di rami e frasche, detti “lean-to”, che si potevano costruire con i materiali presenti in loco. Il corso dei fiumi che scendono verso il Pacifico, rappresentò di fatto l’unica via attraverso la quale po-


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tevano avvenire scambi, di merci, di idee, di tecniche, e fu così che attraverso i fiumi, gran parte dell’area fu coinvolta nelle relazioni con le popolazioni costiere, dalle quali alcuni di questi popoli più vicini alla costa, mutuarono le loro credenze, in particolare il totemismo, ma anche il grande valore dato alla ricchezza, e l’uso dei “potlach”, le cerimonie tipiche della Costa del Pacifico, durante le quali i personaggi più autorevoli davano mostra delle loro ricchezze, donandole o addirittura distruggendole. Nel complesso è possibile dire che elementi di una cultura molto complessa, come quella della Costa del Pacifico, si siano sovrapposti alla semplice cultura dei popoli dell’interno, senza però trovare le condizioni economiche e mate- Il cariboù che vive in piccolo branchi nelle foreste dell’Alaska riali, per poter effettivamente fiorire e svilupparsi. L’influenza culturale delle regioni costiere si riduce progressivamente man mano che ci si inoltra nelle regioni interne, dove la vita era sempre più dura e la popolazione più scarsa, e dove le piccole comunità vivevano isolate per buona parte dell’anno, impegnate a fare scorte di pesce e selvaggina, per sopravvivere ai lunghi inverni montani, quando ogni attività si faceva difficilissima. Tutta quest’area, fu colonizzato da popoli Atapaskan che risalirono il fiume Yukon e i suoi affluenti, fino a raggiungere le zone più interne; come già accennato, la differenziazione tra i diversi dialetti in questa regione è maggiore che non più a est, ma anche in questo caso è difficile individuare vere e proprie tribù definite, ed è possibile raccogliere le diverse bande principalmente sulla base di una maggiore affinità dei dialetti parlati. Al tempo dei primi contatti nel XIX secolo, è possibile individuare i seguenti gruppi: a nord in Alaska occidentale, nel basso bacino dello Yukon, vi erano tre piccoli gruppi, i Deghitan, i Kolchan e gli Holikaciuk, a est di questi, nel medio bacino dello Yukon, i Koyukon. i Tanana, i Nabesna, gli Han, e più a sud sempre in Alaska, i Tanaina e gli Ahtena; lungo il fiume Porcupine, un affluente settentrionale dello Yukon, e fin quasi al basso corso del Mackenzie, il grande raggruppamento dei Koochin; scendendo verso sud con il nome di Tutchane, si identificano alcune bande che vivevano nelle La regione Subartica Occidentale alla metà dell’800 regioni più interne dell’Alaska


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e nel territorio canadese dello Yukon, poi c’erano alcuni gruppi minori, a stretto contatto con i popoli della costa, i Tagish, i Takutinne, gli Tsetsaut, i Taltahn, fino al nord dell’attuale Columbia Britannica, dove vivevano i diversi gruppi Carrier, e i Chilcotin, questi ultimi già in buona misura parte della cultura dell’Altopiano. Il movimento migratorio, che dall’Alaska portò questi popoli verso sud, è continuato ameno fino al i millennio d.C., quando da questa regione singoli gruppi continuarono a spostarsi fino a raggiungere la foce del fiume Columbia, l’Oregon e la California settentrionale. Gli Europei, iniziarono a visitare questa regione solo a partire dalla fine ‘700, prima i Russi, che dopo aver occupato le isole Aleutine, stabilirono un loro possedimento coloniale lungo tutta la costa del Pacifico, dall’Alaska fino alla California, poi poco dopo i commercianti anglosassoni, che dalla regione del Mackenzie cercavano di estendere i loro traffici. Nei prmi decenni dell’800, soprattutto i Russi, stabilirono alcune stazioni commerciali nelle regioni dell’interno, ma la presenza di Europei nell’area fu comunque limitatissima, almeno fino alla fine dell’800, quando la scoperta dell’oro in Alaska, diede vita all’ultima “corsa all’oro”, la pagina finale della lunga vicenda della colonizzazione europea del Nord America. L’arrivo in un periodo di tempo brevissimo di migliaia di bianchi in cerca di fortuna nella vallata dello Yukon, ebbe un impatto pesantissimo sulle popolazioni locali, che comunque riuscirono a sopravvivere, e che in larga misura ancora vivono nell’area, molti di loro ancora legati alle risorse tradizionali della caccia e della pesca. Le condizioni estreme di quest’area, che furono un ostacolo allo sviluppo culturale dei popoli che l’abitavano, permise che essa fosse preservata dalla colonizzazione e dall’impatto con il mondo dei bianchi, che oggi però continua a premere, forte dei suoi investimenti economici e della sua tecnologia, per sfruttarne le immense risorse mineraria, anche a rischio di distruggere un ambiente e i popoli che ad esso si sono adattati, sopravvivendo per millenni in condizioni estreme.

La Costa del Pacifico La lunga striscia di costa che si estende dall’Alaska fino alla California settentrionale, fu probabilmente una delle aree di più antico popolamento del Nord America, coincidendo di fatto con una delle vie d’accesso per i popoli che si spostavano verso sud dalla Beringia; lungo la costa infatti le correnti calde provenienti dal sud mitigavano il clima, liberando il passaggio tra la calotta glaciale e il mare, ed era possibile trovare grandi risorse alimentari, i molluschi in particolare, la cui raccolta non prevedeva particolari tecniche e conoscenze, oltre ovviamente a pesci e mammiferi Howe Sound, lungo la costa della British Columbia marini. Purtroppo questa ipotesi può trovare scarsi riscontri archeologici, per i cambiamenti avvenuti in questa regione costiera, un tempo molto più estesa, quando durante l’ultima fase glaciale immense quantità d’acqua erano solidificate nelle estese calotte artiche, determinando così un abbassamento del livello degli oceani, e l’emersione di vaste aree costiere. Con il progressivo sciogliersi dei ghiacci e l’aumento del livello degli oceani gran parte di queste aree costiere furono ricoperte dal mare, ed è quindi oggi difficile, se non impossibile, indagare sui più antichi stanziamenti umani in quest’area. L’aumento del livello degli oceani, si stabilizzò probabilmente alcuni millenni prima dell’era cristiana, quando la fase di scioglimento dei ghiacci fu sostanzialmente completata, e le acque ricoprirono le vallate di quella che un tempo era una lunga catena costiera che si prolungava dalla zona di Puget Sound e dell’isola di Vancouver a sud, fino all’Alaska a nord; delle terre invase dal mare rimasero accessibili solo le zone più elevate, e il panorama di vette e vallate, si mutò in un paesaggio di isole e fiordi. In questa terra di coste ripide e rocciose, assolutamente inadatto ad ogni tipo di attività agricola, ma che offriva una gran quantità di risorse alimentari, le diverse comunità di epoca Arcaica poterono costruire


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un modello di sussistenza e una complessa cultura, in cui a partire dalla fine del II millennio a.C., è possibile individuare gli elementi caratteristici dei popoli storici di questa regione. E’ difficile definire i diversi momenti attraverso i quali si è passato dai primi insediamenti preistorici al modello culturale degli indiani storici, perchè pur non mancando i resti di antichi insediamenti, è assente quell’indicatore che guida gli archeologi nelle loro ricostruzioni, rappresentato dalla ceramica. I popoli della costa del Pacifico infatti, pur avendo raggiunto livelli eccelsi nelle tecniche artistiche e artigianali, utilizzavano come principale materiale il legno, di cui avevano grande abbondanza, per le immense foreste di conifere che ricoprono i ripidi versanti dei fiordi e delle isole, fin quasi a lambire le rive del mare, e il legno a differenza della ceramica, sopporta meno il passare dei secoli. E’ comunque probabile che il carattere peculiare dell’ambiente della costa del Pacifico, fortemente determinato dal rapporto con il mare, sia per ciò che concerne il dato climatico, sia per quanto riguarda le risorse che offre per la sopravvivenza, abbia comunque prodotto una condizione di relativa stabilità, diversamente da quanto accadde in altre parti del continente, dove i cambiamenti climatici condizionarono spesso la disponibuilità di risorse alimentari, determinando anche in modo traumatico i processi di sviluppo culturale. Questa ipotizzabile maggiore stabilità, potrebbe aver permesso la crescita progressiva e graduale di conoscenze e tecniche, mentre il modello di vita sedentario permetteva la sedimentazione di tali conoscenze, e la costruzione di comunità sempre più complesse e integrate.

Sussistenza e vita materiale La costa settentrionale del Pacifico fu probabilmente, insieme al sud-est degli Stati Uniti e alla California, una delle aree più densamente popolate in epoca precolombiana, grazie alla ricchezza e alla certezza delle risorse offerte dal mare e dai fiumi che vi sfociavano. Gli indiani di questa regione vivevano in un gran numero di piccoli villaggi stabili, costituiti da un certo numero di grandi case plurifamigliari, costruite con assi di legno e tetto a Un villaggio dei Bella Coola, con le caratteristiche grandi case di assi di legno (sopra) e due spioventi, spesso ricca- una canoa da guerra dei Nootka (sotto) mente decorate con intagli e disegni; i villaggi erano posti all’interno dei fiordi o alla foce dei fiumi, e comunque in luoghi adatti alla pesca ed in particolare adatti ad intercettare il passaggio stagionale dei salmoni, che costituiva per quasi tutte le comunità una delle principali risorse alimentari. Gli indiani di questa regione comunque non si limitavano solo a pescare con arpioni, ami, trappole e reti, dalla costa e lungo il corso dei fiumi, ma erano abili marinai, che con grandi canoe in si spingevano in alto mare, cacciando mammiferi marini, pescando


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ogni tipo di pesce, e alcuni di loro come i Nootka, osando misurarsi addirittura con la caccia alle balene. La caccia era un’attività poco praticata, dato che questi popoli di marinai, spesso temevano le cupe foreste di conifere che incombevano sui Esempi di artigianato della Costa del Pacifico: fiordi, ritenendole sede un sonaglio Haida (in alto a sinistra), un baule Heildi spiriti maligni. Le tsuk (in alto a destra), un amuleto d’avorio Tlingiti (al donne si dedicavano ad lato), una copertta Gitskam (in basso a sinistra), un copricapo Haida (in basso a destra una piccola attività di raccolta di radici, tuberi e bacche, che erano le uniche risorse vegetali di cui potevano disporre; l’attività agricola era nota, dato che intorno alla fine del I millennio fanno la loro comparsa piccoli orti per la coltivazione di tabacco, il cui uso aveva valore rituale, ma una vera produzione agricola non fu mai necessaria, nè possibile. Potendo seccare e conservare il pesce, le comunità vivevano sostanzialmente libere dalla precarietà, potendo così dedicarsi allo sviluppo di altre attività, fra cui l’artigianato ed in particolare la lavorazione del legno: con il legno essi non costruivano solo utensili, armi, abitazioni e le grandi canoe per la navigazione in mare, ma anche oggetti di valore artistico per fini religiosi o puramente estetici, in particolare maschere rituali, cofanetti, riproduzioni di animali, mitici o reali, e soprattutto i grandi pali totem intagliati che sono una caratteristica unica di questi popoli, ma che in molta letteratura popolare e romanzesca sono divenuti uno simbolo dei nativi americani in genere. Oltre al legno veniva lavorato l’avorio, ricavato dalle zanne di tricheco, e in misura minore la pietra, mentre alcuni popoli eccellevano nella tessitura di coperte e mantelli, ricavate dal manto bianco di una razza di cani appositamente allevata e selezionata. Come indumenti venivano usate pelli non conciate durante i mesi invernali, e soprattutto fibre vegetali; caratteristico della regione, era l’uso di copricapi di forma conica, simili a quelli usati in Cina, per proteggersi dalle piogge particolarmente abbondanti nella regione. Nell’insieme l’immagine di questi indiani si differenzia non poco da quella popolarmente nota, anche per l’uso diffuso della barba e dei baffi.

Organizzazione sociale dimensione spirituale Differente e peculiare era anche il loro modello di organizzazione sociale, estremamente gerarchizzato, ma sostanzialmente elaborato sull’impianto totemico diffuso in tutto il continente. Quasi tutti i gruppi tribali erano divisi in due, tre o quattro clan esogamici, che riconoscevano la loro origine in un animale mitico, ma all’interno del clan esistevano diversi lignaggi o sottoclan, ognuno che rivendicava un proprio grado di nobiltà, in ragione di una maggiore o minore vicinanza ereditaria all’animale mitico originario; all’interno del lignaggio poi si riproponeva lo stesso meccanismo, con ogni individuo in una posizione gerarchica, stabilita in relazione al grado di parentela con il capo del lignaggio; al di sotto della gerarchia erano gli schiavi, per lo più prigionieri di guerra impiegati per i lavori servili. Forme simili alla schiavitù erano presenti anche presso altri popoli del Nord America, ma esse per lo più si riducevano ad una condizione di subalternità, che poteva essere superata attraverso manifestazioni del proprio valore e delle proprie capacità, oppure con forme di adozione in un gruppo famigliare o con il matrimonio con membri


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della comunità, e che abitualmente non si estendeva ai figli degli schiavi, che nati all’interno della comunità, ne divenivano membri; tra questi popoli invece la schiavitù era totale e senza possibilità di redenzione, e lo schiavo era considerato come una semplice proprietà del padrone, che su di lui aveva potere di vita o di morte. La mobilità all’interno del sistema gerarchico era legata principalmente alla morte di un membro, che liberava un gradino della gerarchia per il membro del lignaggio di grado inferiore, ma poteva anche essere legata al valore guerriero. Questa complessa gerarchia sociale su base ereditaria e parentale, trovava una sue espressione Costumi e maschere cerimoniali durante un “potlach”tra gli Kwakiutl simbolica nei pali totem, che erano una sorta di araldica, e che posti davanti alle grandi case di legno, rappresentavano l’albero genealogico del capo famiglia. In questo complesso sistema di gerarchie, la dignità ereditaria e lo status dovevano essere confermati dalla ricchezza, che tra questi popoli aveva un valore che è difficile riscontrare presso altre culture del Nord America; la ricchezza veniva mostrata in particolare durante i “potlach”, le principali occasioni cerimoniali di questi popoli, feste date per diverse ragioni, ma soprattutto alla morte di un personaggio importante e alla sua conseguente sostituzione nella gerarchia con il membro del lignaggio più vicino in linea parentale. Il nuovo leader, sostenuto da tutto il gruppo famigliare, per dare mostra della sua ricchezza, invitava amici e parenti alla festa, offrendo loro cibo, pelli, manufatti e ogni bene, fino al punto di ridursi in miseria, ma aumentando così il suo prestigio; ovviamente alla prima occasione, egli poteva godere delle stesse regalie da un altro leader concorrente, che per superarlo in prestigio si sarebbe a sua volta impoverito donando ogni suo avere. Il rito del potlach è di fatto un bilanciamento dei possibili squilibri di una società fortemente gerarchizzata e dominata dal mito della ricchezza, in cui il tema delle tensioni interne ad ogni comunità, poteva divenire esplosivo; la dinamica redistributiva che esso produceva, rendeva accettabile una condizione di subalternità e imponeneva all’ambizione il gravoso compito di farsi carico del benessere collettivo. Il “potlach” rappresenta evidentemente una elaborazione di quella modalità di scambio attraverso il dono, che è presente in tutte le culture del Nord America, ma raggiunge un livello di complessità che giunge fino al parossismo in tempi storici, quando nel desiderio di mostrare la propria ricchezza e il proprio disinteresse, si giungeva a distruggere pubblicamente le proprie ricchezze, e addirittura ad uccidere i propri schiavi, usando, tra l’altro, un bastone costruito proprio per questa funzione. Oltre alla ricchezza, l’altro importante elemento di affermazione e status sociale, era dato dal valore guerriero, attraverso il quale era possibile ottenere magPali totem davanti alle case di un villaggio Haida giore prestigio e ricono-


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Una maschera shamanica a doppio volto, che mostra le capacità tecniche degli artigiani della Costa del Pacifico

scimenti. Questi popoli di pescatori erano guerrieri bellicosi, che partivano con le loro lunghe canoe per predare anche luoghi lontani, colpendo all’improvviso altre piccole comunità, portando via beni e schiavi, e ornando la prua delle loro canoe con le teste mozzate dei nemici. Anche sul piano delle tecniche belliche questi indiani si differenziavano dagli altri, usando anche corazze di assicelle di legno, elmi di legno e corte daghe, armi abitualmente sconosciute ad altri popoli nativi, a parte le armature di assicelle, note anche agli Iroquois. Usi a dipendere dal mare, ogni comunità era economicamente autonoma dall’altra, così questi popoli non diedero vita a strutture politiche che andavano al di la della singola comunità, e pur avendo fra di loro relazioni anche strette, la competizione tra i diversi leader locali era tale, che non risulta mai abbiano prodotto istituzioni simili a consigli tribali o altre forme di integrazione politica. Le credenze religiose erano incentrate intorno ad una complessa cosmogonia che variava da tribù a tribù, e che era alla base delle tradizioni e dei miti, legati agli animali totem originari, e a questo impianto totemico, si aggiungeva il classico impianto animistico e shamanico presente fra gran parte dei popoli del Nord America. Data l’enorme importanza che la ricchezza aveva nella comunità, gli shamani della Costa del Pacifico avevano un ruolo centrale ed un grandissimo prestigio, ottenendo lauti compensi per le loro attività. Gli shamani erano principalmente guaritori, le cui prestazioni erano riccamente pagate, ma spesso essi erano capaci produrre eventi prodigiosi, durante occasioni e cerimonie pubbliche, e quindi il loro sostegno era determinante per imporre timore e rispetto da parte dei leader della comunità. E’ sempre difficile ragionare sul concetto di “prodigio” nell’esperienza shamanica, per quanto vi sia in essa di autosuggestione, ipnosi o di effettivamente misterioso, ma è certo che tra questi popoli, alcuni shamani erano in grado di utilizzare delle notevoli competenze tecniche e artigiane, in particolare nella falegnameria, per produrre meccanismi e “macchinari”, in grado di creare eventi “prodigiosi” in occasioni pubbliche. Nel complesso è possibile affermare che il sostrato sociale e spirituale comune a quasi tutte le culture dei nativi del Nord America (shamanesimo, totemismo, scambio attraverso il dono), tra questi popoli è portato fino alle forme più estreme e specializzate; ciò può essere forse il frutto di una condizione di sostanziale stabilità economica e sociale, che permise una sedimentazione di questo impianto, come non fu possibile presso altri popoli. Un modello di relazioni sociali che si propone per un lunghissimo tempo senza traumi o significativi momenti di discontinuità, divenendo sempre più raffinato e complesso, ma senza mai evolvere verso altre modalità, come invece accadde tra i popoli del Mississipi, le cui forme di gerarchizzazione sociale rappresentarono una discontinuità con il tradizionale modello basato su totemismo e shamanesimo. Indiani Tsmshian in abiti tradizionali


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Il mosaico tribale La sommaria descrizione della cultura della costa del Pacifico qui esposta, si adatta in particolar modo a tutte quelle tribù che vivevano nella parte settentrionale dell’area, dalle coste dell’Alaska fino a Puget Sound e all’isola di Vancouver, mentre più a sud, dalla foce del Columbia fino a capo Mendocino nella California settentrionale, così come cambia l’ambiente costiero, passando dall’aspra regione di fiordi e scogliere, ad una costa più bassa e lineare, si modifica anche la cultura dei popoli che la abitano. I caratteri sostanziali, nella vita materiale e nella cultura permangono, ma meno accentuati: il mare e la pesca rimangono risorse prioritarie, ma sono più abbondantemente integrate dalla caccia e dalla raccolta, data la maggiore accessibilità dell’entroterra; minore è la capacità marinara e la tecnica di costruzione nautica, e maggiore è la dipendenza dall’ambiente fluviale; l’artigianato è meno ricco e specializzato; l’organizzazione gerarchica meno strutturata e la propensione bellica minore; l’impianto spirituale risente maggiormente delle relazioni con altri popoli dell’entroterra e il totemismo è meno strutturato. Al contrario nella regione settentrionale di quest’area il modello culturale è talmente forte, da imporre la sua egemonia su molte tribù Atapaskan delle regioni interne che ne subirono l’influenza, sia sul piano della vita materiale che spirituale. Come già detto, è difficili riconoscere vere e proprie strutture tribali tra i popoli di questa regione, e i diversi gruppi locali possono essere definite più facilmente in relazione ai legami parentali che singole comunità di un medesimo territorio mantenevano fra loro; da ciò se ne ricava un quadro estremamente frammentato, che è eventualmente ricomponibile solo a partire dalle affinità linguistica. E’ cosi possibile individuare una serie di raggruppamenti tribali linguisticamente affini, che fra l’altro testimonia del gran numero di popoli che La Costa del Pacifico al tempo dentatto (fine del XVII sec.) devono aver attraversato quest’area forse a partire da un’epoca ancor più lontana che quella dei Paleoindiani della fine del pleistocene. Partendo da nord il piccolo gruppo degli Eyak e il grande raggruppamento delle tribù Tlingit, lungo


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le coste dell’Alaska, entrambi legati (ma non facenti parte) alla grande famiglia Atapaskan, sono certamente gli abitanti più recenti, il cui arrivo è testimoniato a partire dal III milennio dalle piccole microlame caratteristiche dell’Alaska e della valle dello Yukon; più a sud altri recenti occupanti della regione sono tre tribù della famiglia Tsimshian del gruppo Penutian (Tsimshian, Gitskan, Niska) migrate da sud forse intorno al I millennio a.C.; molto più antico lo stanziamento degli Haida, dell’arcipelago della Regina Carlotta, forse risalente a più di 15.000 anni fa, quando le isole erano probabilmente collegate alla terraferma; sulla costa di fonte alle isole degli Haida, e nel nord e nell’ovest dell’isola di Vancouver, erano stanziati popoli di lingua Wakashan (Haisla, Heiltsuk, Wikeno, Kwakiutl, Nootka), e una tribù di lingua Salishan (Bella Coola); lungo il Puget Sound e sulle prospicienti coste dell’isola di Vancouver, vivevano un gran numero di piccole tribù di lingua Salishan, giunti sulla costa dall’interno, discendendo il corso del fiume Fraser, e due piccole tribù lingua Chemakuan, probabilmente di antichissimo stanziamento; altre tribù di lingua Salishan erano stanziate sulla costa più a sud, fin oltre la foce del Columbia, oltre a due piccole tribù di lingua Atapaskan giunte in tempi recenti, forse intorno alla fine del I millenni d.C., e infine il gruppo delle tribù Chinook della famiglia Penutian, che vivevano lungo il basso corso del Columbia. Tutti questi raggruppamenti possono essere considerati rappresentanti tipici della cultura della costa del Pacifico, mentre procedendo più a sud, tra l’Oregon e la California, vi erano una quantità di piccole tribù di che parlavano lingue diverse (Koosan, Jakon, Siuslaw) tutte riconducibili alla famiglia Penutian: le tribù Kalapooya della valle del Willamete in Oregon, i Takelma, oltre ad alcuni gruppi Atapaskan di recente migrazione; tutte questie tribù meridionali rappresentavano un adattamento periferico della cultura della Costa del Pacifico. Il contatto in tutta la regione avvenne a partire dalla seconda metà del ‘700, quando navigatori e mercanti di pellicce Russi, Inglesi e Spagnoli, iniziarono a visitare le coste attirati dalle pregiate pelli di lontra marina, producendo un impatto drammatico per l’introduzione di malattie devastanti che decimarono le popolazioni locali. Nel secolo successivo la penetrazione europea fu comunque lenta e scarsa, salvo nelle zone meridionali, quando l’emigrazione di massa verso l’Oregon e la California alla metà dell’800, portò alla quasi estinzione delle popolazioni locali, dopo cruenti conflitti in cui si distinsero in particolare i popoli Atapaskan. Ad oggi una serie di piccole comunità di nativi, ancora oggi impegnato principalmente nella pesca, punteggia la costa da Puget Sound all’Alaska, mentre degli abitanti della costa meridionale, rimangono pochi discendenti, che hanno perso identità etnica e linguistica, sopravvissuti in poche piccole riserve dell’Oregon.

L’Altopiano La regione conosciuta con il nome Altopiano (Plateau in inglese) è un’area che si estende a ovest delle Rocky Mountains, fino alla costa del Pacifico esclusa, i cui confini sono indefiniti a nord, mentre a sud trova il suo limite nelle regioni semiaride o desertiche del Grande Bacino; più che in definiti confini geografici, l’area può essere riconosciuta per la sua coincidenza con il bacino del grande complesso fluviale Columbia- Snake e di quello del fiume Fraser, dal sud della British Columbia, Aspetti del paesaggio dell’Altopiano: la valle Wenatchee affluente agli stati di Washington, Oregon, Idaho e fino del Columbia (sopra);Camas Prairie nella valle dello Snake (sotto) al Montana occidentale. Si tratta di una regione in buona misura montuosa, ma con vaste aree fertili e pianeggianti nella parte meridionale, ricca di corsi d’acqua e laghi, coperta in larga misura da foreste, ma in cui non mancavano nella parte meridionale estese praterie. Una terra in cui abbondavano le risorse per la sopravvivenza, con una fauna variegata di cervidi, pecore bighorn, capre di montagna e anche bisonti, lungo i pendii orientali delle


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Rocky Mountains, e nell’alta valle dello Snake river; alla ricca fauna si aggiungevano le risorse certe della pesca nei laghi e nei fiumi, e un buon numero di frutti e radici commestibili, che la natura metteva a disposizione. Fin dai tempi dei Paleoindiani questa regione vide lo sviluppo di un modello economico estremamente flessibile e differenziato, basato sull’utilizzo delle diverse e varie risorse disponibili, piuttosto che sulla prevalenza di una specifica attività come avveniva in gran parte del continente, dove la caccia ai grandi mammiferi era l’attività prioritaria. Quindi in quest’area non si produsse una specializzazione particolare nel modello di sussistenza, e neanche l’attività agricola fu mai praticata, neanche nelle zone dove sarebbe stata possibile e vantaggiosa. Il mancato sviluppo di attività agricole, pur a fronte della conoscenza delle tecniche di base, testimoniata dall’uso di coltivare piccoli orti a tabacco per gli usi rituali, è un fatto a cui è difficile dare spiegazioni: è possibile che la ricchezza delle risorse spontaneamente offerte da un ricco ambiente naturale, possa aver avuto un ruolo nel ridurre gli stimoli all’innovazione nel modello di sussistenza, come certamente avvenne nella ancor più ricca valle californiana; d’altra parte anche nelle regioni orientali le risorse offerte dalla natura erano notevoli, e proprio da queste opportunità i popoli locali partirono per sviluppare complesse società agricole. E’ possibile che la ragione dei differenti sviluppi in due aree con caratteristiche simili rispetto alle opportunità di sopravvivenza, vada cercata nel fatto che mentre ad est, la costruzione di un modello di sussistenza integrato e flessibile, basato su caccia pesca e raccolta, premessa del successivo passaggio all’agricoltura, fu conseguenza di un cambiamento prodottosi in particolare nella fase Arcaica, e successivo alla crisi dell’economia incentrata sulla predazione di grandi mammiferi, e quindi fu un aspetto di un movimento dinamico, che poteva innescare, come effettivamente fece, nuovi sviluppi, a ovest tale modello di sussistenza fu un adattamento molto più antico, il cui sicuro e immediato successo, esaurì ogni necessità e ogni stimolo alla trasformazione, producendo un contesto culturale complessivamente conservatore e poco dinamico. Di fatto in questa area è difficile cogliere elementi autonomi e caratterizzanti nella cultura e nello stile divita, anche se i popoli che vi vivevano, erano nelle condizioni di benessere e disponibilità di risorse tali, da poter cogliere ed utilizzare quegli elementi della cultura e della tecnica che le società limitrofe, più vincolate ad una specifica specializzazione, erano in grado di produrre. La conseguenza fu uno stile di vita che era un mix di flessibilità nel cogliere le opportunità derivanti dal contatto con popoli vicini, ma anche di conservatorismo nel mantenere la semplicità strutturale del modello di sussistenza tradizionale elaborato in loco. E’ interessante rilevare per esempio, che in tutto il Nord America, solo alcune tribù di questa regione, i Cayuse e altri gruppi limitrofi, seppero divenire esperti allevatori e selezionatori di cavalli, con le razze Cayuse e Appaloosa, eppure nemmeno il cavallo li indusse a modificare il loro stile di vita o a migrare in altre terre, come invece accade all’est, con lo spostamento verso le pianure dei bisonti di intere tribù. In questo quadro di plurimillenaria continuità è difficile è ricostruire eventuali momenti di passaggio, trasformazioni culturali, eventi traumatici o altro che possa aver influenzato la storia della regione prima del contatto, e anche i cambiamenti climatici, ebbero un ridott in patto per popolazioni non legate all’agricoltura.L’unico significativo fattore di cambiamento fu un evento catastrofico avvenuto intorno al VII millennio a.C, che produsse un dislivello del fiume Columbia nella zona di Celillo Falls, impedendo la risalita dei salmoni lungo il fiume, ed escludendo da gran parte della regione questa importante risorsa alimentare: anche questa assenza contribuì allo sviluppo di un modello di sussistenza differenziato diversamente da quanto accadeva più a valle lungo il Columbia, dove la pesca era l’attività prioritaria. Di fatto questo evento catrastrofico, modifico lo stile di vita dei popoli dell’entroterra, rispetto a quelli della costa, riducendo le influenze della cultura della Costa del Pacifico, in gran parte dell’Altopiano. Nella parte settentrionale dell’area, nel bacino del fiume Fraser, dove la risalita dei salmoni non fu interrotta, la comune dipendenza da questo evento, produsse stili di vita molto più affini tra popoli costieri e dell’interno. Oltre all’ipotesi che si possono fare rispetto a questo evento, è difficile ricostuire molto sulla storia precolombiana in quest’area. Sul piano dei reperti archeologici va registrata una produzione artigiana estremamente semplice e funzionale, che si limitava alla lavorazione della pietra, dell’osso, del legno e all’intreccio di fibre vegetali per ricavarne canestri o copricapi, senza una particolare eccellenza artistica, mentre la terracotta non rientrava tra tecniche diffuse, escludendo quindi dal campo della ricerca archeologica questo importante manufatto, che spesso indica e definisce specificità culturali e cambiamenti. Il successivo evento della storia precedente il contatto a cui è necessario fare riferimento è un evento si-


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smico, avvenuto intorno alla metà del XIII secolo, che produsse una riduzione del dislivello delle rapide di Celillo Fals, sul fiume Columbia, permettendo di nuovo l’accesso e la risalita dei salmoni, che fino a quell’epoca aveva trovato in quel punto un ostaLa località di Celillo Falls, sul fiume Columbia, la più importante stazione di pesca del Nord America colo insuperabile. Questa località e questa data rappresentano quindi uno spartiacque storico e culturale della regione. I popoli che vivevano lungo il fiume Columbia a valle di Celillo Falls, tutti di lingua Chinookan, avevano costruito il loro modello di sussistenza incentrato sulla pesca, come altri popoli della Costa del Pacifico, contando in particolare sull’immensa e sicura risorsa rappresentata dal passaggio stagionale dei salmoni; Celillo Falls e le vicini zone dei Narrovs e di The Dalles, lungo il Columbia, sono state per più di 10.000 anni importantissime stazioni di pesca, densamente e consecutivamente abitate. A monte di questo tratto del Columbia e in tutte le regioni interne, l’assenza dei salmoni obbligò le popolazioni locali, di lingua Shahaptin e Salishan, a incentrare la loro sussistenza su un maggior numero di risorse e su un nomadismo stagionale, a cui non erano obbligati i pescatori Chinookan; a partire dal 1260 circa, in seguito al terremoto e al modificarsi del corso del Columbia, i salmoni fecero la loro comparsa anche più a monte lungo il Columbia, e ciò portò molti gruppi a modificare in parte le loro abitudini, vivendo più a contatto con il fiume. Lungo il corso del Columbia i rapporti si fecero più stretti anche per i contatti che si erano sempre mantenuti nella zona di Celillo e The Dalles, dove i popoli delle zone interne portavano selvaggina, pelli e altri beni, da scambiare con il pesce e con tutti i prodotti provenienti dalla costa. La pesca stagionale dei salmoni, praticata in tutta la regione, lungo il medio corso del Columbia divenne un’attività di maggiore rilevanza anche per i popoli dell’interno, modificando così in parte le abitudini e la cultura delle tribù della regione, senza però sedimentare abitudini stanziali come invece era accaduto sul basso corso del Coluimbia. E’ possibile quindi affermare che uno dei cardini del modello di sussistenza dell’Altopiano, quello della

Diverse tecniche di pesca lungo il corso del fiume Columbia


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pesca e in particolare la pesca stagionale al salmone, si affermò in tutta l’area solo a partire dal XIV secolo, mentre è costituente del modello culturale nella parte più settentrionale del territorio, nel bacino del Fraser. Comunque tutti i popoli di questa regione continuarono a fare un grande affidamento sull’attività venatoria, da cui dipendevano non solo per la carne, ma anche per le pelli. Cervi e wapiti, alci, pecore bighorn, capre di montagna, antilocapre, oltre ad un gran numero di prede minori, costituivano Una donna Nez Perce prepara le radici di camas una risorsa abbondante, e certamente alcuni gruppi più orientali, come i Kootenay e forse i Flathead e i Pend d’Orreil, organizzavano spedizioni di caccia al bisonte a est delle Rocky Mountains e nella valle dello Snake River, ancor prima di ottenere i cavalli. La raccolta di vegetali selvatici era un’importante attività a cui si dedicavano le donne; oltre a diversi tipi di bacche e frutti selvatici, importantissima era la raccolta di radici di “camas”, una piante della famiglia delle gigliacee, la “bitteroot” e altri tipi di radici commestibili, che venivano consumate fresche o anche conservate. La raccolta delle radici di camas o di altri vegetali, impegnava interi gruppi tribali, che si spostavano stagionalmente nelle località di raccolta. Con tale modello di sussistenza i popoli dell’Altopiano praticavano un nomadismo stagionale, con villaggi stanziali durante i mesi invernali, quando le risorse erano minori e si viveva sfruttando le scorte accumulate, la frequentazioni delle migliori località per la pesca a primavera, quando giungevano i salmoni, quindi il trasferimento nelle località più adatte alla raccolta di radici di camas e altri vegetali durante la stagione estiva, mentre la caccia praticata tutto l’anno, individualmente o a piccoli gruppi nelle vicinanze degli stanziamenti. L’abitazione invernale più diffusa era una lunga casa seminterrata, costituita da singoli vani allineati, con pareti laterali di rami e stuoie vegetali e tetto a due spioventi, anch’esso di rami e stuoie e spesso ricoperto di terra per l’isolamento termico; durante gli spostamenti e la buona stagione, semplici capanne di rami e stuoie erano sufficienti. L’organizzazione sociale era anch’essa estremamente semplice, basata su bande autonome legate dal comune dialetto, fondate sui rapporti di parentela e sull’uso del medesimo territorio, guidate leader locali apprezzati per le loro doti personali, ma senza strutture o consigli tribali o una gerarchizzazione sociale interna. La vita spirituale era incentrata su credenze animistiche e sul ruolo degli shamani, e un ruolo particolare era riservato a quegli individui che per la riconosciuta esperienza, presiedevano le cerimonie per il ringraziamento dell’arrivo primo salmone e l’organizzazione della pesca. Elementi di differenziazione culturale erano presenti in particolare nella parte settentrionale del territorio, dove in conseguenza del contatto con i popoli costieri i diversi gruppi erano organizzati in clan famigliari, anche se mancava il complesso meccanismo di gerarchizzazione sociale presente tra i popoli costieri. Un po’ in tutta l’area settentrionale era praticata la schiavitù, abitualmente prigionieri di guerra, che vivevano all’interno delle famiglie occupandosi dei lavori servili e che potevano essere venduti; anche tale uso fu probabilmente mutuato dai popoli costieri, ma data la minore propensione aggressiva delle genti di queste terre, tale pratica erameno diffusa. Una capanna estiva Yakima


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Dalle regioni meridionali del Grande Bacino giunsero invece le tecniche di intreccio di fibre vegetali, per la costruzione di canestri, borse, stuoie e copricapi. Non sappiamo con precisione quali influssi giungessero dalla zona delle Grandi Pianure, anche se è certo che una parte dei Kootenay viveva in questa zona per parte dell’anno praticando la caccia al bisonte; quando poi nel XVIII secolo la cultura del cavallo e del bisonte si affermò nelle Grandi Pianure, e anche i popoli dell’Altopiano acquisirono il cavallo e iniziarono ad organizzare spedizioni di Una prateria di “camas” in fioritura caccia ai bisonti, alcuni gruppi assunsero una fisionomia simile a quella degli indiani delle pianure, a partire dall’uso di tepee conici, alle tecniche per l’uso integrale del bisonte, fino ad una maggiore propensione bellica. Comunque come già detto, nessun popolo dell’area rinunciò alle attività di pesca e raccolta per dedicarsi esclusivamente alla caccia al bisonte. Come già accennato la gran parte delle tribù della regione erano riferibili a due gruppi linguistici i Salishan, più a nord gli Shahaptin, più a sud; oltre a questi due raggrupamenti principali, vi era una tribù di lingua Atapaskan infiltratasi da nord tra le tribù Salishan, e, al limite orientale dell’area, il gruppo isolato dei Kootenay, sui due versanti delle Rocky Mountains, nella zona di confine tra le attuali province canadesi di Alberta e British Columbia. In epoca recente, forse solo pochi secoli prima del contatto, che in quest’area non avvenne prima della fine del ‘700, diversi gruppi di lingua Shoshonean provenienti dalle zone semidesertiche del Grande Bacino, iniziarono a spostarsi verso nord, fino a raggiungere le l’alta valle dello Snake River, e le zone sudorientali dell’Oregon, dove la loro economia basata sulla caccia e la raccolta trovù un ambiente più favorevole, che nelle zone d’origine. L’incontro con i popoli già residenti, determinò concorrenza e reciproca ostilità con le tribù Shahaptin del basso Snake e Columbia, mentre, almeno in tempi storici, nelle regioni più montuose dell’interno abitate dai Salishan, le relazioni furono pacifiche. Dopo i primi contatti con cacciatori e mercanti di pelli nei primi anni dell’800, tutta la parte meridionale dell’area, a sud del confine tra Stati Uniti e Canada, divenne a partire dal 1849, la meta di un imponente flusso di migranti, attirato dalla fertilità della regione, e ciò diede vita ad una resistenza indiana che durò oltre un quarto di secolo, e di cui l’epica marcia di capo Giuseppe e dei suoi Nez La regione dell’Altipiano, alla vigilia del contatto Perce, rappresenta la vicenda più nota, (seconda metà del ‘700)


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ma che vide in tempi diversi, protagoniste quasi tutte le tribù della regione. Più a nord la scoperta dell’oro nel bacino del fiume Fraser alla fine degli anni ’60 dell’800, diede vita a limitati conflitti, ma senza dubbio la pressione dei bianchi fu più lenta e nel complesso maggiori le possibilità di adattamento delle tribù locali al nuovo contesto prodotto dall’arrivo dei bianchi. Ancora oggi, benchè ormai inseriti nel modello di vita occidentale, i popoli di quest’area, sia a nord che a sud del confine tra Stati Uniti e Canada, continuano a preservare e a difendere i loro diritti nella pesca al salmone, che continua a rappresentare una importante risorsa economica.

I Popoli dei Deserti Ancora oggi in Nord America vi sono grandi estensioni di territorio con una limitatissima popolazione, regioni desertiche o semidesertiche, inadatte sia all’allevamento che all’agricoltura, e che i coloni bianchi trovarono attrattive in alcuni casi, per le sole risorse minerarie del sottosuolo; anche in queste terre i popoli nativi sopravvissero per millenni, perpetuando uno stile di vita immutato dall’epoca Arcaica, fino al tempo in cui gli interessi economici non trovarono ragioni di profitto anche per queste regioni inospitali, e l’arrivo dei coloni sconvolse la cultura dei popoli che l’abitavano. Si tratta di tre grandi aree, la prima la più estesa detta Great Basin, a ovest delle Rocky Mountains, la seconda, collegata alla prima, che si estende dal sud della California, lungo tutta la penisola di Baja California, la terza, isolata dalle prime due, a sud del Rio Grande nel Messico nord-orientale, in buona misura coincidente con la zona nota come Bolsom de Mapimi. In tutte e tre queste aree si produssero modelli culturali e di sussistenza sostanzialmente simili, le cui uniche varianti dipendevano dalle risorse, dalla vegetazione e dalla fauna, che l’ambiente metteva a disposizione.

Il Great Basin La regione del Great Basin si estende tra due elevate catene montane, a est i monti Wasatch che scendono da nord a sud attraverso l’Utah, a ovest la Sierra Nevada, oltre cui si estende la ricca valle della California; questa estesa regione è sicuramente la più povera di risorse alimentari di tutto il Nord America, e una delle zone in cui è possibile trovare ambienti tra i più invivibili del mondo. Poverissima d’acqua, dato che le catene montuose fanno da argine all’arrivo delle nuvole di provenienza Un’immagine del deserto del Nevada oceanica, e che nessun grande fiume l’attraversa, e con i due principali corsi d’acqua che hanno carattere episodico e incostante, al punto che uno di essi, il Sevier, fu chiamato dai primi esploratori “fiume fantasma” per il suo periodico scomparire nel terreno. Il terreno stesso, con alta salinità dovuta all’evaporazione, e con scarsa vegetazione, è sottoposto alla costante erosione del vento, che lo rende in larghissima misura inadatto, tanto all’agricoltura, quanto all’allevamento. L’escursione termica è elevata, con estati caldissime e secche, e inverni continentali e neve alle quote più alte. Un simile ambiente ovviamente non poteva ospitare ne una ricca fauna, ne una vegetazione generosa dei propri frutti.


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Questo è il Great Basin che conosciamo, e di fronte al quale viene spontanea la domanda del perché in un continente vasto, e certamente non sovrappopolato come era il Nord America precolombiano, dei popoli abbiano deciso di vivere in quelle terre. Ovviamente tale “decisione” non fu mai presa, i popoli che avevano colonizzato quest’area l’avevano fatto alla fine del pleistocene, quando era una terra ancora ricca d’acqua, punteggiata di laghi grandi e piccoli; tanti piccoli bacini che erano quanto rimaneva dei grandi complessi lacustri che avevano occupato l’area nei millenni precedenti, alimentati dalla calotta glaciale, che giungeva fin poco più a nord, e che si estendeva a sud lungo le alte vette delle Rocky Mountains e della Sierra Nevada, quasi cingendo del tutto il Great Basin. Al tempo in cui lo scioglimento dei ghiacci e l’aumento della temperatura aprivano gran parte del continente alla conizzazione umana, nel Great Basin iniziava una plurimillenaria lotta per la sopravvivenza che anno dopo anno, secolo dopo secolo, si misurava con un ambiente sempre più arido e scarso di risorse. Così mentre in tutto il continente lo sviluppo delle culture passava attraverso l’acquisizione di nuove tecniche e opportunità, nel Great Basin, i popoli che l’abitavano, per sopravvivere dovevano imparare ad usare di un ambiente sempre più povero, ottimizzando al massimo le scarse risorse di cui disponevano. A riprova di come nulla potesse andar sprecato nel limitato ambito di risorse che l’ambiente offriva, basti pensare che ancora in tempi storici, gli indiani del Great Basin conoscevano e praticavano la pesca, nei piccoli bacini, sorgenti e stagni, dispersi nell’immensità del territorio semidesertico, dove sopravvivevano piccole popolazioni di pesciolini, dallo scarsissimo valore alimentare. L’apparente paradosso di un’attività di pesca nel pieno del deserto, può forse essere spiegato come l’eredità di una tradizione antica, risalente al tempo in cui il Great Basin era ancora punteggiato da un gran numero di laghi, grandi e piccoli, e la pesca doveva essere un’attività importante. Il modificarsi dell’ambiente ridusse poi l’importanza di tale attività, senza però obliare le tecniche su cui si basava, la costruzione di ami, lenze, e piccole reti, la cui concezione e costruzione che richiede comunque investimenti di tempo ed energia, che certo le attuali scarsissime risorse ittiche non sono sufficienti a motivare. La citazione della pesca tra le attività di sussistenza dei popoli del Great Basin, viene fatta solo per dare un elemento in più nella ricostruzione delle vicende dei popoli che l’abitavano, ma tale attività aveva in tempi storici un valore a dir poco marginale, salvo per quei gruppi che vivevano nelle vicinanze dei laghi ancora esistenti ai margini della regione, ai piedi dei monti Wasatch e della Sierra Nevada. Nella gran parte della regione, le piccole comunità umane sopravvivevano principalmente grazie ad una economia di raccolta di un gran numero di vegetali selvatici, e ad un nomadismo a breve raggio che prevedeva sppostamenti da una località all’altra, seguendo gli appuntamenti stagionali con la maturazione di determinati frutti o la possibilità di raccogliere radici o erbe; in particolare il nomadismo seguiva il ritmo delle stagioni, approfittando del carattere del territorio, attraversato da una gran quantità di bassi rilievi, sovrastati da piccoli altipiani (mesas), dove le minori temperature e le nevi invernali, permettevano la crescits di boschi di pini e ginepri e una maggiore vegetazione; in queste zone le piccole comunità si spostavano durante la buona stagione per approfittare delle pigne e dei semi di pino, e delle bacche di ginepro, che costituivano una delle risorse principali per l’alimentazione, ma a cui si affiancavano un gran numero di altri vegetali, Accampamento Pa-hute nella seconda metà dell’800


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Un cesto di fabbricazione pristorica e uno risalente alla seconda metà dell’800, entrambi usati per il trasporto di acqua

di ognuno dei quali le popolazioni locali conoscevano un possibile uso alimentare. Quando poi durante i mesi invernali il clima si faceva più rigido e le risorse si riducevano, le comunità si spostavano nei fondo valle più caldi e riparati, cercando di sopravvivere con le scorte alimentari accumulate e con un po’ di attività venatoria. La caccia comunque, per quanto praticata in ogni occasione in cui fosse possibile, non poteva essere una risorsa certa, data la complessiva scarsità di selvaggina: piccole popolazioni di cervi e pecore bighorn nei boschetti più elevati, piccoli branchi di antilocapre laddove il magro pascolo ne permetteva la sopravvivenza, uccelli nelle vicinanze di stagni e sorgenti, anche se gran parte della caccia era rivolta a piccole prede, compresi i serpenti e rettili in genere, ma soprattutto roditori, e tra questi lepri e conigli, la cui popolazione in alcune occasioni cresceva notevolmente, al punto di rendere possibile l’organizzazione di caccie collettive; quando era possibile diversi gruppi cooperavano, circondando un area con delle reti e poi battendo il terreno per indurre i conigli a riunirsi verso il centro, dove era poi facile ucciderli con l’uso di bastoni. Tra le risorse alimentari su cui questi popoli potevano contare vanno elencati anche gli insetti, le cavallette in particolare, per le quali quando c’era grande abbondanza si organizzavano caccie collettive. Di fatto le difficoltà dell’ambiente obbligavano gli indiani della regione a trovare il modo di cibarsi praticamente di tutto ciò che l’ambiente metteva a disposizione, con il conseguente prodursi di un modello culturale apparentemente semplice e primitivo, per la quantità di elementi di cui poteva disporre, ma estremamente complesso, per la quantità di tecniche e conoscenze applicate, nell’uso di quegli scarsi elementi. Ovviamente con un simile modello di sussistenza, era impossibile il costituirsi di comunità numerose e strutturate, e l’organizzazione sociale non andava al di là di piccole bande famigliari, a volte costituite addirittura da un solo nucleo, senza veri e propri capi, che si incontravano nei luoghi di raccolta del cibo, mantenevano relazioni attraverso gli scambi matrimoniali, e occasionalmente cooperavano in caccie collettive; proprio in occasione di queste caccie collettive, potevano prodursi figure di leader, personaggi di cui era nota la competenza e l’autorevolezza nella organizzazione della caccia, coadiuvati da tutti coloro che disponevano delle reti necessarie a circondare il terreno di caccia. Questi personaggi, oltre a disporre di esperienze e competenze tecniche, erano abitualmente i depositari dei riti e delle credenze che si riteneva favorissero il buon esito della caccia, e almeno per brevi periodi assurgevano ad un ruolo di leader per i diversi gruppi che cooperavano Egualmente semplice era la vita materiale, le competenze tecniche e artigiane, le abitazioni. Per gran parte dell’anno, visto il clima caldo, gli indiani di quest’area usavano semplici ripari di rami e foglie, costruiti con i materiali trovati in loco, mentre durante i mesi più freddi spesso venivano usate grotte e caverne. Quasi totalmente assenti erano gli indumenti e solo per i mesi invernali erano usati mantelli e coperte fatti di pelli di coniglio. Tra le competenze artigiane, la principale era l’intreccio di canestri, usati per raccogliere semi e frutti, oppure adeguatamente impermeabilizzti con pece o altre sostanze, per il trasporto dell’acqua; per la caccia ancora alla vigilia del contatto, l’atlatl non era stato soppiantato dal-


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l’arco e dalle frecce; il bastone da scavo era un semplice ma necessario strumento per la raccolta di radici. Sul piano della vita religiosa essa era incentrata su un vasto repertorio di miti trasmessi per via orale, e sul ruolo di singoli individui che svolgevano la funzione di shaman, mentre le occasioni per una vita cerimoniale collettiva erano scarse e coincidevano con le opportunità per i diversi gruppi di poter condividere risorse alimentari. I popoli che abitavano quest’area sono difficilmente riconducibili a definite entità tribali, ma costituiscano una entità etnica omogenea, linguiI popoli del Great Basin alla viglia del contatto (inizio del XIX sec.) sticamente riconducibile al ramo Numa della famiglia Uto-Azteca, che a sua volta è possibile suddividere in tre grandi gruppi, uno settentrionale, al confine tra Oregon, Idaho e Nevada, con le diverse bande Paviotso (o Northern Pa-hute), uno centrale con i Gosiute del Great Salt Lake, gli Shoshone del deserto del Nevada centrale, i Mono della Sierra Nevada e i Koso della Death Valley, e infine uno meridionale, costituito dai Pa-hute del sud del Nevada. A questi gruppi vanno aggiunti una serie di altre cominità, che dal Great Basin, si spostarono in tempi recenti, pochi secoli prima del contatto, verso est e nord alla ricerca di migliori condizioni di vita: i Bannock che si divisero dai Paviotso per spostarsi verso l’alta valle dello Snake River; diversi gruppi Shoshone che raggiunsero e valicarono le Rocky Mountains, per stanziarsi presso le sorgenti del Missouri (Lehmi), dello Yellowstone (Sheepeater) e nel bacino del Green e del Wind River, occupando anche le pianure del Wyoming dove si dedicarono alla caccia del bisonte; infine gli Ute che si divisero dai Pa-hute per spostarsi a est, nei monti dell’Utah e del Colorado, dove si sostituirono alla cultura agricola di Fremont, e raggiungendo al tempo del contatto anche le Grandi Pianure. Questi gruppi, pur portando con se molto del patrimonio culturale del Great Basin, arricchirono la loro vita materiale con risorse e tecniche nuove, assumendo infine una fisionomia simile a quella dei popoli incontrati nelle loro nuove sedi. A questi gruppi, tutti etnicamente e linguisticamente molto affini, va aggiunti il piccolo gruppo dei Washo, di lingua Hoka, che vivevano intorno al lago Tahoe, sul versante orientale della Sierra Nevada. La regione del Great Basin fu visitata dai primi bianchi solo nei primi decenni dell’800, ma non rivestendo interesse ne per le pelli, ne per la colonizzazione, l’effettivo impatto con il mondo dei bianchi si ebbe solo nella seconda metà dell’800, quando i coloni attraversarono la regione per raggiungere la ricca California, e soprattutto quando vennero accertate risorse minerarie nell’area, che indussero i primi bianchi a stanziarvisi stabilmente. Iniziò a quel punto una guerra prolungata e poco nota, per il controllo delle poche risorse del territorio, in cui anche gli indiani della regione, poveri, pacifici, privi di armi e di capi guerrieri, scrissero alcune pagine della resistenza indiana. Quando poi la resistenza armata fu definitivamente sconfitta in tutto il Nord America, fu da questi deserti che sorse l’ultima speranza di riscatto, quando Wowoka, un indiano Paviotso, predicò la fede nella rinascita del mondo tradizionale e insegnò la Danza degli Spettri; la speranza nata nei deserti, fu immediatamente spezzata tra le nevi del Dakota a Wounded Knee, nel dicembre del 1890.


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L’aspra bellezza delle coste della Baja California, una delle aree ancora oggi meno popolate del Nord America

California e Baja Californ. A sud della Sierra Nevada le terre desertiche del Great Basin, si prolungano attraverso la California meridionale e di lì, alla penisola di Baja California, e alle regioni costiere dello stato messicano di Sonora, un territorio arido, che però essendo bagnato dall’oceano Pacifico e dal mare di Baja California, offriva ai popoli che vi risiedevano la possibilità di arricchire la loro vita con le risorse del mare; anche nelle zone più interne le risorse idriche dovevano essere un tempo maggiori, data la presenza, almeno fino al XVI secolo del grande lago Cahuilla, nella depressione oggi occupata dal Salton Sea, nel sud della California. Pur non essendo un popolo di pescatori gli abitanti di quest’area, ed in particolare quelli delle regioni costiere, potevano contare sulla raccolta di molluschi, sulle uova di uccelli marini, sulla caccia a foche e otarie, e su una limitata attività di pesca, praticata da riva e nelle lagune, con piccole reti e lenze. La disponibilità di risorse marine, in particolare le conchiglie, permetteva ai popoli del sud della California di commerciare con i popoli agricoli del sud-ovest, che avevano le competenze artigiane per trasformari i gusci dei molluschi in gioielli e oggetti di pregio. Oltre alle risorse marine, la caccia ai cervi, antilocapre e pecore bighorne, doveva avere avuto un tempo un importanza molto maggiore, almeno dalle testimonianze dell’arte rupestre, che specialmente in Baja California, sono le più significative e grandi del Nord America, le più antiche risalenti a più di 8.000 anni fa; tale forma d’arte doveva comunque essere stata abbandonata in tempi recenti, dato che gli indiani Cochimi che abitavano la regione, al tempo del loro internamento nelle missioni, avevano perso ogni ricordo degli antichi autori di questi grandi affreschi. Nella zona interna di quest’area, coincidente con le zone semidesertiche della California meridionale, lo stile di vita è molto più simile a quello del Great Basin, la raccolta dei semi di “pinon” è la principale risorsa, così coime la pratica dello spostamento stagionale verso le zone più elevate del territorio; in generale lo stile di vita dei popoli di questa regione Serrano, Chemehuevi, Kawa- Le grandi pitture rupestri della Baja California


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iisu ecc...) non si differenziava da quello dri loro vicini del Great Basin, mentre i gruppi posti più a sud (Cahuilla, Kamia) potevano svolgere un ruolo di intermediari tra popolazioni costiere e agricoltori dell’interno (Patayan, Hohocam), e ciò permise l’acquisizione di nuove tecniche, come testimoniato da una piccola produzione di ceramica, frutto evidente della relazione con i vicini popoli agricoli del Sud-Ovest. In generale comunque anche questi popoli privilegiavano, tra le tecniche artigiane, la costruzione di canestri di fibre vegetali, vivevano in semplici capanne di frasche, facevano scarso uso di indumenti, similmente ai loro vicini del Great Basin. E’ quasi certo che in questa area, ed in particolare nell’estremità meridionale della Baja California vivessero fino all’epoca del contatto gli eredi dei più antichi colonizzatori del Nord America, i gruppi Waicuri e Pericu, oggi ormai estinti, ma che sembra avessero caratteristiche morfologiche che li differenziavano dagli altri indiani della regione. Waicuru e Pericu furono probabilmente spinti in quel vicolo cieco rappresentato dalla penisola di California, dal sopraggiungere in tempi antichissimi, ma successivi alla fine del pleistocene, di genti di lingua Hoka (Cochimi) che occuparono gran parte della penisola, e da altri gruppi Hoka (Kumeyawai, Kamia, Kiliwa) affini agli agricoltori Patayan del Colorado, che si stanziarono nella zona al confine tra Messico e California. Un altro gruppo di antichissimo stanziamento è quello dei Seri, lungo le coste desertiche dello stato di Sonora e sull’isola Tiburon, la cui lingua è forse riconducibile alla famiglia Hoka, e che pur circondati da popoli agricoli, rimasero legati al loro tradizionale stile di vita, legato alla pesca, alla caccia e alla raccolta in area in cui le risorse idriche sono limitatissime. In tempi molto più recenti, forse La California meridionale e la Baja California, all’epoca dopo il V secolo d.C., dalle zone del Great Basin una del contatto (XVII sec.) serie di popoli di lingua Uto-Azteca (Chemehuevi, Kawaiisu, Cahuilla, Luiseno, Serrano ecc...), si spostò nella regione, portandovi il modello di sussistenza tipico delle regioni dell’interno. Tutta questa regione fu interessata dall’espansione coloniale spagnola, che dal Messico centrale si spingeva a nord; la Baja California fu raggiunta da navigatori spagnoli già nella seconda metà del ‘500, poi a partire dall’inizio del ‘600 iniziò l’attività dei missionari, che pur incontrando notevoli difficoltà, alla fine si impose comunque sulle popolazioni locali, distruggendone lingua e cultura e in alcuni casi, come per i Pericu e i Waicuru, determinandone l’estinzione già all’inizio del ‘700. Più a nord l’attività dei missionari spagnoli raggiunse le coste meridionali della California nella prima metà del ‘700, e anche qui le culture tradizionali furono travolte e gli indiani obbligati al lavoro servile all’interno delle missioni, anche se essi riuscirono almeno a sopravvivere e ancora oggi occupano alcune piccole riserve nelle loro terre. Nelle regioni più interne il confronto con i bianchi si ebbe solo nella seconda metà dell’800, dando luogo a conflitti locali, e alla successiva sottomissione. Un discorso a parte vale per i Seri della costa nord-orientale del Messico, la cui ostinata ostilità ai bianchi e l’indole bellicosa, diede luogo ad un conflitto protrattosi per quasi tre secoli e mezzo, e i cui ultimi episodi di violenza si consumarono nei primi anni del ‘900.

Il Deserto del Messico L’ultima delle aree in cui si produsse una cultura del deserto, è quella coincidente in larga misura con


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il bacino interno del Bolsom de Mapimi e con il più meridionale Llanos el Salado, al confine tra gli attuali stati messicani di Chihuahua, Durango e Coahuilla; si tratta di una vasta regione compresa tra la Sierra Madre Orientale a est, la Sierra Madre Occidentale a ovest e il bacino dei fiumi Choncho e Rio Grande a nord, caratterizzata da scarsa piovosità, e in cui i pochi corsi d’acqua che discendono dai monti, hanno carattere stagionale e scorrono verso il centro dell’area, dove formano delle lagune che offrono condizioni per lo sviluppo di vegetazione e la sopravvivenza di un po’ di fauna, ma il cui carattere è precario e che possono anche evaporare durante i periodi più secchi. I popoli che abitarono in queste terre sono quelli su cui c’è minor conoscenza in tutto il Nord America, essendo oggi del tutto estinti, e della loro cultura sappiamo solo che erano nomadi, con una certa predisposizione all’attività predatoria nei confronti dei popoli agricoli che vivevano più a ovest. Di essi ci sono rimasti solo un certo numero di nomi dalle cronache spagnole del ‘600, Toboso, Chiso, Salinero, Laguneros ecc…. ma nemmeno è chiaro se tali nomi diversi non si riferiscano alle medesime popolazioni. Dato il loro stile di vita nomade e l’atteggiamento bellicoso, fu ipotizzato che almeno alcuni di tali gruppi tribali, come i Toboso, potessero essere affini agli Apache, rappresentando la punta più meridionale della migrazione degli Atapaskan verso sud, ma oggi l’opinione prevalente e che essi parlassero lingue Uto-Azteche, come la gran parte dei popoli del Messico settentrionale: comunque al di là delle ipotesi, mancano gli elementi minimi per avere certezze significativamente motivate. Per i “conquistadores” spagnoli che avevano sottomesso l’impero Azteco, l’incontro con questi popoli nomadi, organizzati in bande, usi a praticare la guerriglia e capaci di sopravvivere in un territorio estremamente difficile, significò impegnarsi in guerra di lungo periodo che iniziò nei primi decenni del ‘500, per protrarsi fino alla fine del ‘600, quando infine i territori dell’attuale Messico, furono liberati da ogni resistenza. Alla fine di un secolo e mezzo di resistenza i popoli dei deserti del Messico erano di fatto estinti e scompaiono dalle cronache già dall’inizio del ‘700. Gli Spagnoli, contro di loro avevano applicato una strategia distruttiva, con diverse iniziative coincidenti: i cacciatori di schiavi, illegali ma tollerati dall’autorità; la messa in campo di campagne militari; la colonizzazione delle loro terre con indiani meridionali alleati e già sottomessi, e infine e solo marginalmente, l’attività missionaria, a cui gli indiani comunque sempre si opposero, accettando la vita delle missioni, solo quando ormai sconfitti e sull’orlo dell’estinzione, non poterono che barattare la possibilità di un pasto e di un rifugio, con la loro identità etnica e culturale. Per gli Spagnoli invece i conflitti sarebbero continuati con nuovi avversari: gli Apache. I popoli della regione del Bolsom de Mapimi


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La Valle della Califormia La valle della California è dal punto di vista delle culture dei nativi d’America, un’enclave con caratteristiche particolari e per certi versi uniche, dove un’economia di sussistenza piuttosto semplice, e sostanzialmente simile a quella delle regioni desertiche, permise la possibilità di un grande sviluppo demografico, facendo di questa piccola regione, una delle aree più densamente popolate del Nord America precolombiano. Le ragioni di questo successo, sono tutte da ricercarsi nella specificità e nella varietà dell’amLa California, una terra che da sempre evoca evoca ricchezza e abbondanza biente californiano: una ampia vallata solcata da due fiumi, il Sacramento e il San Joaquin che da nord e da sud convergono verso il centro, raccogliendo le acque di numerosi affluenti che discendono dalle alte vette della Sierra Nevada, garantendo ampie risorse idriche; l’influsso mitigante dell’oceano Pacifico che determina un clima di tipo mediterraneo, con inverni miti ed estati fresche; un paesaggio vario che in uno spazio relativamente limitato, passa dalle spiagge dell’oceano, alle cime innevate della Sierra, passando per foreste montane, paesaggi collinari e campagne rigogliose. In questo contesto prosperava una fauna ed una flora ricca e varia, che offriva un gran numero di risorse alimentari, e che permise ad un gran numero di popoli di lingua e provenienza diversa, di condividere il medesimo modello culturale in un contesto sostanzialmente pacifico; comunità adattate a vivere di raccolta, caccia e pesca in contesti più ostili, che una volta giunte nella valle, vi trovarono l’ambiente ottimale per prosperare. Dal suo cuore nella valle californiana, il loro semplice ma funzionale stile di vita, si estese oltre che sulle pendici montuose che la circondavano, fin nelle zone limitrofe che presentavano un ambiente simile, in particolare il bacino del fiume Klamat, al confine tra gli attuali sta di California e Oregon. Nel paradiso californiano, che fu la meta di un imponente fenomeno migratorio nella seconda metà dell’800, ed è ancora oggi uno dei miti del “sogno americano”, nel corso dei millenni popoli diversi si insediarono, tutti raccogliendo i benefici che la natura offriva, ma senza che mai alcuno sentisse la necessità di trasformare quella terra naturalmente generosa, in uno dei centri agricoli del continente, cosa che sarebbe stata non solo possibile, ma addirittura semplice. Al contrario questa regione, al pari di quelle più inospitali, fa parte di quella vasta area in cui l’attività agricola non fu mai praticata, e senza di essa non si svilupparono società complesse e strutturate. Una zona quindi caratterizzata dal conservatorismo culturale, similmente alla regione dell’Altopiano, e rispetto a questa ancor più isolata da influssi culturali esterni, ma dove però la grande disponibilità di risorse, permise lo sviluppo di un più ricco artigianato, strettamente legato alle esigenze di una vita semplice e tecnologicamente povera, ma non per questo meno curato dal punto di vista estetico e nell’amore per il dettaglio. Il modello di sussistenza basato sulla raccolta di vegetali selvatici, tra i popoli californiani ebbe la sua principale risorse, nelle ghiande, abbondanti in Una donna Yokut occupata nella preparazione delle ghiande gran parte dell’area, dove i boschi di quercia erano


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diffusi sia nella vallata che nelle zone collinari; le ghiande venivano raccolte in autunno in grandi quantità, poi sottoposte ad un complesso procedimento che prevedeva ben sette operazioni, venivano quindi trasformate in una farina di grande contenuto nutritivo, con cui venivano cotti piccoli pani e tortillas, o che veniva conservata come scorta per tutto l’anno. A questa importante risorsa si aggiungevano poi una quantità di altri semi, noci, bacche, bulbi e radici, la cui importanza economica variava da luogo a luogo, e che era maggiore nelle zone montane o periferiche dell’area, dove i boschi di querce mancavano. Lungo la costa il mare offriva molluschi, mammiferi marini e pesce, che costituivano una importante risorsa alimentare e integravano la raccolta di ghiande e altri vegetali nell’entroterra; per alcuni popoli costieri come i Chumash e i loro vicini meridionali Gabrielino, il mare era il centro della attività economica, e essi possono essere definiti “popoli marinai”, in grado di spingersi in mare aperto, fino alle isole prospicenti la costa meridionale della California. Chumash e Gabrielino, diedero vita ad una variante culturale specifica, nota come Canalino, di cui i Chumash, antichissimi abitanti dell’area furono i promotori, e che i Gabrielino, giunti solo in tempi recenti, acquisirono da loro. La pesca era comunque molto praticata anche in acqua dolce, specialmente nelle zone settentrionali, lungo il Klamat e il Trinity River, interessati dalla risalita stagionale dei salmoni, ma in genere ovunque vi fossero fiumi e laghi in cui pescare trote, lucci, persici ecc… utilizzando lenze, piccole reti e trappole. La California benchè ricca di fauna, mancava di mammiferi che vivevano in grandi branchi, e a causa di ciò l’attività venatoria era praticata individualmente o da piccoli gruppi di cacciatori, nelle vicinanze dei villaggi e non prevedeva ne l’organizzazione di caccie collettive, ne tanto meno, spostamenti al seguito della selvaggina; le prede principali erano cervi e wapiti, ma ad essi si aggiungeva praticamente ogni altro uccello o mammifero, anche di piccola taglia, a parte alcuni animali, come il coyote o il grizzly, per i quali c’erano divieti legati a credenze e superstizioni; a partire dal III sec. a.C, arco e frecce si diffusero in tutta l’area sostituendo l’atlatl, ma l’innovazione tecnologica non sembra aver aumentato l’importanza della caccia nel modello di sussistenza, ne fatto aumentare l’aggressività tra le comunità. A completare il quadro delle risorse alimentari degli indiani californiani, vanno citati gli insetti, in particolare alcuni tipi di bruchi e di larve, di cui in alcune occasioni v’era grande quantità, e che venivano raccolti e cucinati; in questo quadro di estrema capacità di utilizzo alimentare di ogni risorsa disponibile, solo i rettili erano esclusi, a parte le tartarughe e le testuggini. La flessibilità di tale modello di sussistenza, simile a quello delle aree desertiche, e la ricchezza del contesto in cui esso era praticato, il più ricco del Nord America, permisero ai popoli della California una vita libera dal timore della fame. D’altra parte quello stesso modello di sussistenza, basato sul massimo utilizzo delle risorse in loco, senza necessità di cooperazione tra gruppi diversi nella caccia o di spostamenti di media o lunga distanza, favorì un modello di organizzazione sociale estremamente frammentato, basato sui piccole comunità autonome, quando non addirittura isolate, molto vincolate ad un preciso e limitato territorio, di cui conoscevano bene ogni risorsa. All’interno delle singole comunità l’unità base era rappresentata dalla famiglia mononucleare, con linea ereditaria abitualmente patrilineare, e diffusa era la divisione in metà esogamiche che regolavano gli scambi matrimoniali, che erano la principale forma di interazione tra gruppi diversi, ma affini linguisticamente. Il potere dei capi era limitato, se non assente, scarso il ruolo di shaman e capi cerimoniali, e solo nella parte meridionale del territorio poteva darsi il caso di un capo villaggio in grado di esercitare la propria influenza su comunità vicine. Nella parte nord-occidentale del territorio, forse per l’influenza dei popoli della costa settentrionale del Pacifico, aveva grande rilevanza la ricchezza, misurata nel possesso di collane di conchiglie “dentalium”, ma non era prevista nessuna usanza redistributiva, come erano i “potlach” dei popoli settentrionali, anzi al contrario vigeva un complesso sistema di indennizzi “economici”, che era la base per la definizione di dispute o per sanare offese. I popoli californiani erano sostanzialmente sedentari, vivevano in piccoli villaggi che raccoglievano da poche decine ad un massimo di 200 individui, che potevano essere abbandonati per brevi periodi e piccoli spostamenti stagionali per la raccolta di vegetali nelle vicinanze. Le abitazioni erano abitualmente capanne cupoliformi o a cono, fatte con corteccia, rami, frasche e altri materiali disponibili in loco, mentre nella parte nord-occidentale della regione, erano diffuse case di assi di legno, simili a quelle dei vicini settentrionali della costa del Pacifico. Gli indumenti erano scarsi data la mitezza del clima, le donne usavano oltre alle pelli di animali, anche gonne di fibre vegetali, mentre solo in inverno o nelle zone più elevate venivano usati mantelli di pelle di cervo. Un abbigliamento più ricco, con decorazioni di conchiglie e piume, era utilizzato in occasioni rituali. La produzione artigiana era incentrata sulla fabbricazione di canestri di fibre intrecciate, di cui vi era


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Due cesti di produzione Pomo, con raffinate decorazioni

Arte dei Chumash: la realistica rappresentazione di una balena e un esempio di pittura rupestre

una grande quantità di forme e dimensioni a secondo dell’uso, e che in alcuni casi, come fra gli indiani Pomo, raggiungeva un alto grado di eccellenza artistica per la varietà e la qualità delle decorazioni. Tra i Chumash della costa la produzione artistica raggiungeva livelli più avanzati con la lavorazione della pietra, steatite in particolare, che si era sviluppata per la costruzione di ciotole e oggetti che forse avevano valore rituale; altra importante espressione artistica era la pittura rupestre, ancora praticata fino al XIX secolo. A parte questa specificità locale, in tutta l’area mancava una tecnica per la costruzione di vasi o brocche, e la ceramica non fece mai la sua comparsa nella valle Californiana, a differenza di quanto accadeva più a sud, nei deserti californiani, dove per contatto con i popoli del Sud-Ovest, una piccola produzione è testimoniata. Legno, osso e pietra erano i materiali con cui venivano prodotti i semplici utensili necessari alla vita quotidiana, manos e metasas per la macinazione dei semi alimentari, archi e frecce per la caccia, bastoni da scavo e attrezzi per la pesca. I popoli marinai, come i Chumash e i Gabrieleno, fabbricavano grandi canoe in assi di legno o monoxile, mentre nelle regioni interne, per la pesca su fiumi e laghi dell’interno era utlizzate canoe di “balsas”, lunghe fibre intrecciate per costruire il “fasciame” dell’imbarcazione. Data la semplicità della vita sociale, basata su piccole comunità, anche la vita cerimomiale si svolgeva principalmente all’interno delle dimensione famigliare, e si manifestava principalmente attraverso la sottolineatura dei diversi momenti di passaggio nella vita individuale, la nascita, il matrimonio, la morte ed in particolare attraverso i riti di iniziazione che accompagnavano la pubertà, e che presso molti gruppi, erano di competenza di società segrete a cui aderivano i maschi adulti. Vi era poi una cosmogonia ed una mitologia simile, con variazioni locali, in quasi tutta l’area, e intorno a tale sistema di credenze, definito ritualità Kuksu, si producevano occasioni cerimoniali, finalizzate al buon andamento delle attività di sussistenza . Gli shaman, che derivavano il loro potere da sogni e visioni, si occupavano abitualmente della cura dei malati, individuando gli spiriti che erano causa della malattia, ma non avevano un ruolo preminente nelle comunità. Anche in questo caso, differente era la situazione nell’angolo nord-occidentale della California, dove cerimonie annuali di purificazione e rigenerazione della durata di dieci giorni, venivano celebrate in occasione dell’arrivo del primo salmone, o per la prima raccolta di ghiande, e tali cerimonie


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Ricostruzioni di una canoa Chumash, per la pesca in mare aperto, e di una canoa di fibre vegetali dei Pomo, per la pesca nelle acque interne

erano guidate da personaggi autorevoli, che si erano preparati con digiuni e bagni di sudore. Queste occasioni rituali, erano il momento per l’incontro tra diverse comunità, in cui i membri più autorevoli esponevano le loro ricchezze, in particolare conchiglie dentalium, pelli di cervo, lame di ossidiana ecc… Queste occasioni cerimoniali, che ricordano i “potlach”per l’esposizione (ma non la distribuzione) di ricchezza, così come le celebrazioni per il “primo salmone”, testimoniano dell’influenza esercitata dai popoli della costa del Pacifico, fino in California. La valle della California è certamente la regione in cui la varietà e la frammentazione linguistica raggiunge livelli di complessità ineguagliati in tutto il Nord America, e ciò probabilmente in ragione delle peculiarità geografica del territorio, che contribuì a determinarne le modalità di popolamento, e per le caratteristiche ambientali, che favorirono la tendenza all’isolamento. Molto probabilmente, fin da epoca lontanissime, e di certo precedenti l’epoca dei Paleoindiani, e poi nei millenni successivi, singoli gruppi, a più riprese, varcarono i passi della Sierra Nevada, stanziandosi nella regione e vivendo fianco a fianco a popoli di lingua completamente diversa, e mantenendo per millenni le loro peculiarità linguistiche, pur nell’ambito di uno stile di vita sostanzialmente simile. Ciò creò la peculiare situazione di una regione abitata da genti che seguiva il medesimo stile di vita, ma che non produssero alcun superiore livello di interazione. In questa plurimillenaria storia del popolamento, è possibile individuare almeno due gruppi, linguisticamente isolati, i Chumash della costa, e due tribù della California centrale fra loro imparentate linguisticamente, gli Yuki e i Wappo, le cui origini potrebbero forse risalire al più antico popolamento della regione, forse 20.000 e più anni fa. Successivo e forse risalente alla fine del pleistocene, il popolamento da parte di popolazioni di lingua Hoka (Achomawi, Shasta, Karok, Chimarico, Yana, Salinan ecc...), oggi presenti da nord a sud in tutta la California, salvo che nelle terre migliori, lungo il corso del Sacramento e del San Joaquin. Qui in epoca storica vivevano diversi gruppi di lingua Penutian (Wintun, Maidu, Costano, Miwok, Yokut ecc...), giunti probabilmente alla fine dell’era Arcaica, soppiantando e spingendo ai margini i gruppi Hoka che li avevano preceduti. Fu invece probabilmente intorno alla metà del I millennio d.C. che gruppi isolati di lingua Uto-Azteca, giunsero La valle della California, al tempo della prima colonizzazione (fine del ‘700)


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dal Greeat Basin, per stanziarsi sulle pendici occidentali della Sierra Nevada (Mono, Tubatulabal) e fin sulla costa, come i Gabrielino. E’ invece difficile immaginare quando e come giunsero in California, gli antenati degli Yurok e dei Wiyot, la cui lingua Ritwan, è imparentata in qualche modo a quelle degli Algonquian delle Foreste Orientali, a migliaia di chilometri dalla California. Ultimi infine giunsero anche gli Atapaskan, forse verso la fine del I millennio d.C., che dalla fredda Columbia Brittannica giunsero fin nel nord-ovest della California. Marginali alla valle californiana, ma assimilabili ad essa per ragioni storiche e culturali, i Klamat e i Modock di lingua Penutian del gruppo del Plateau, che vivevano al confine con l’attuale Oregon. Un mosaica di lingue e dialetti, con una quantità di variazioni locali, a testimoniare di una storia del popolamento, che forse fu estremamente complessa, ma di cui oggi è difficile trovare testimonianza, anche per la tendenziale continuità culturale, all’interno di cui tale vicenda si dipana: anche in questo caso l’assenza di quei reperti in ceramica, che tra i popoli agricoli è un indicatore dei cambiamenti, rende difficile il lavoro di ricostruzione, impedendo di trovare quei cambiamenti nella vita materiale che possono indicare momenti di passaggio e di trasformazione. Dopo millenni di sostanziale continuità e stabilità culturale, la valle californiana fu certamente la regione in cui l’impatto con il mondo dei bianchi avvenne in modo più traumatico e distruttivo. Primi furono gli spagnoli che dall’inizio del ‘700 colonizzarono le coste della California, fino a raggiungere nel 1776 la baia di San Francisco, dove stabilirono un presidio e una missione, anche se la loro influenza sulla valle interna fu estremamente ridotta. Più dannoso fu l’arrivo dei Russi, all’inizio dell’800, che dopo aver costruito stazioni commerciali lungo le costa dell’Alaska, stabilirono Ft. Ross, una colonia agricola nella zona a nord di San Francisco, che doveva fornire derrate alimentari alle stazioni commerciali; da Ft.Ross si diffusero una serie di distruttive malattie epidemiche che falcidiarono i vicini Pomo e altri gruppi limitrofi. Ma fu il 1849 l’anno terribile, quando in coincidenza con il passaggio sotto il controllo statunitense, la scoperta dell’oro nella valle del Sacramento, diede vita al più esplosivo fenomeno migratorio della storia, e in pochi mesi decine di migliaia di emigranti in cerca di fortuna, invasero letteralmente le valli californiane. L’impatto fu totalmente travolgente, e i popoli nativi furono sommersi ancor prima di poter comprendere cosa stava accadendo loro, subendo ogni sorta di angherie, violenze, massacri; solo nelle zone più settentrionali, una dura resistenza si protrasse per oltre un decennio, culminando con la contraddittoria ed eroica vicenda dei Modock di Kimptuash. In altre zone, quelli che riuscirono a sottrarsi all’internamento nelle riserve, furono costretti a vivere per decenni nascondendosi nei boschi, per sfuggire alla furia omicida dei coloni: uno di loro, di nome Ishi, della tribù Yahi, nel 1911 fu scoperto nelle vicinanze del villaggio di Oroville, e fu preso in consegna dall’antropologo Alfred Kroeber, che ebbe da lui informazioni sulla lingua e gli usi tradizionali degli Yahi e degli Yana. Ishi, dopo aver assistito al massacro della sua gente nell’infanzia, e dopo aver vissuto tutta la sua vita in solitudine e nascondendosi, mori nel 1916 di TBC, nel museo di San FranIshi, a fianco alla ricostruzione di una capanna degli indiani Yahi cisco nel quale era ospitato.


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Dal tentativo di ricostruzione del vasto mosaico di culture, modelli di sostentamento, forme di organizzazione sociale, presenti in Nord America prima dell’arrivo degli Europei, emerge un quadro estremamente variegato che mostra una sorta di grande laboratorio in cui coesistevano spesso l’uno a fianco all’altro i diversi stadi di quella che secondo l’impianto positivista del XIX secolo, veniva considerata l’evoluzione sociale umana. Dalle forme più semplici dell’orda di individui legati da relazioni parentali e riunita intorno a capifamiglia, all’organizzazione di tipo tribale, con la strutturazione in clan, fino ai primi embrioni di stati teocratici e alle confederazioni di tribù e villaggi, ognuna di queste modalità di organizzazione umana aveva un senso e una precisa ragion d’essere, in relazione ad un determinato contesto ambientale, che definendo l’ambito di risorse disponibili, determinava il modello di sussistenza e conseguentemente, il modello sociale più consono a quel modello di sussistenza. Al di la dell’astratto evoluzionismo sociale, con cui per lungo tempo la cultura Occidentale ha guardato agli altri popoli del mondo, costruendo una sorta di gerarchia delle modalità di organizzazione sociale, al cui vertice ovviamente c’era proprio il modello dell’Occidente, in Nord America appare evidente che ognuna delle modalità con cui le tante comunità organizzavano la propria esistenza, aveva una precisa ragion d’essere in un determinato contesto ambientale, ed era la più adatta per la sopravvivenza in quello specifico contesto ambientale. Le società agricole del Sud-Ovest e quelle dei Popoli del Mississipi, che pure rappresentano le strutture sociali più complesse in Nord America, si differenziano proprio in ragione del diverso contesto ambientale, che in un caso obbliga a misurarsi con un ambiente difficile, indirizzando gran parte delle energie alla soluzione di problemi pratici, dall’irrigazione dei campi alla costruzione degli insediamenti, mentre nell’altro permette quel surplus di produzione agricola attraverso cui è possibile la differenziazione e la stratificazione sociale, e quindi l’investimento di energie nella costruzione delle piramidi di terra, che sono il simbolo del sistema di potere prodotto da tale stratificazione sociale. Considerare l’una o l’altra delle due più “avanzata”, è possibile solo secondo una visione astratta, che prescinde dal fatto che ognuna delle due aveva un senso preciso, in quel preciso contesto ambientale. Lo stesso può dirsi delle culture dei popoli delle regioni desertiche, che per lungo tempo sono state considerate le più “primitive”, giungendo addirittura considerare i popoli del Great Basin al limite della condizione umana: in realtà la possibilità di vivere in un ambiente così ostile, prevedeva una tale quantità di conoscenze, senza le quali anche il membro della società più “evoluta”, sarebbe stato presto destinato alla morte. Di fatto ciò che caratterizzava tutte le diverse culture precolombiane del Nord America, era il loro adattarsi ad un determinato contesto ambientale, piuttosto che prodursi nella alterazione di tale contesto ambientale, come invece accadde nel Vecchio Mondo, dove lo sviluppo dell’agricoltura stanziale e la nascita delle civiltà urbane, modificò l’ambiente in funzione delle esigenze umane. La prassi di spostare periodicamente i villaggi e di abbandonare una determinata area quando il terreno diveniva meno produttivo, aveva come conseguenza una attività agricola che incideva in misura marginale sul territorio;


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al contrario di quanto accadeva nel Vecchio Mondo, dove la presenza di animali domestici da nutrire, ebbe un ruolo nel promuovere la più semplice pratica di rotazione dei campi, quella che prevede un anno a coltura e un anno a pascolo e foraggio, con la conseguente concimazione animale del terreno a pascolo, quindi un nuovo uso produttivo l’anno successivo, e infine la permanenza stabile in un dato territorio, e il formarsi dei primi agglomerati urbani. Il tema del rapporto con l’ambiente è quindi certamente l’aspetto caratterizzante di tutte le culture del Nord America, oltre che uno dei punti critici, vista l’influenza che i cambiamenti climatici e ambientali potevano avere, determinando periodicamente crisi economiche e sociali, che potevano portare al collasso di intere culture. Di fatto in Nord America, dopo il primo impatto traumatico della presenza umana, al tempo dei Paleoindiani, quando la caccia ebbe un ruolo importante nell’estinzione di massa della megafauna del pleistocene, la popolazione umana non modificò che in modo impercettibile e temporaneo, l’ambiente naturale. Sarebbe interessante chiedersi, in quale modo avrebbe potuto svilupparsi un sistema variegato di culture, il cui carattere comune era il minimo impatto ambientale, quanto le dinamiche demografiche sarebbero state condizionate da tale approccio, e quindi come la popolazione umana in Nord America avrebbe potuto continuare il suo sviluppo in modalità non invasive. Ma la fascinazione di un mondo in cui la specie umana vive tra le altre forme viventi, piuttosto che dominarle per il suo unico interesse, rimane sullo sfondo, a fronte dell’evento traumatico che interruppe brutalmente questa storia, e che dal punto di vista dell’Occidente, rappresenta il “vero” inizio della Storia, prima del quale vi era solo oscura barbarie. La “scoperta dell’America” apriva il Nuovo Mondo alla “civiltà”, e di fatto dava inizio allo sconvolgimento e alla devastazione di quel laboratorio ambientale in cui per millenni, l’uomo s’era mosso lasciando solo le leggere tracce del mocassino, senza nemmeno solcarne il terreno con l’aratro. Dall’altra parte dell’oceano gli stessi umani da cui i nativi americani si erano separati oltre 40.000 anni fa, avevano prodotto un modello sociale diverso, al cui centro vi era la sottomissione dell’ambiente e di ogni specie vivente alle necessità della specie umana, la modifica dell’ambiente e delle stesse specie animali in ragione di tali necessità, lo sviluppo demografico senza limiti, che dal dominio e dalla trasformazione dell’ambiente derivava, e infine in tempi più recenti, l’evoluzione di tale ideologia dell’appropriazione, nella centralità dell’accumulazione, come motivazione prima dell’agire umano. L’evento che in Occidente viene definito “scoperta dell’America”, fu l’incontro e il contatto, dopo molti millenni, di due popolazioni umane, che non solo non erano mai state in contatto, nemmeno indiretto, e che addirittura ignoravano l’una l’esistenza dell’altra, ma che oltretutto vivevano secondo due modalità radicalmente diverse nel rapporto con l’ambiente. Ma se per i nativi d’America il contatto fu un evento subito di cui certamente avrebbero fatto a meno, nel Vecchio Mondo proprio la modalità pervasiva di appropriazione ambientale che era a fondamento del modello culturale, stava ponendo le condizioni per il prodursi, in maniera sostanzialmente accidentale, di un evento la cui portata storica probabilmente non ha eguali, negli ultimi millenni della storia umana. Tutto il Vecchio Mondo, Africa, Europa, Asia, era esistito come “un mondo” unico, dove conoscenze, risorse, manufatti, popoli, mantenevano una pur lontana connessione e reciproca, per quanto incerta, conoscenza. Malgrado il deficit di conoscenze geografiche, e la scarsità e la contraddittorietà delle notizie sui popoli più lontani, era noto nella percezione di mercanti, religiosi e politici, e nella concreta dinamica delle relazioni economiche, sociali e politiche, che a oriente del Mediterraneo vivevano altri uomini, di cultura, lingua e religione diverse, ma con cui si potevano avere relazioni di scambio, di alleanza o di conflitto; analoga convinzione esisteva a oriente, fin nella lontana Cina, dove si sapeva, prima dell’esistenza di un potente impero, l’Impero Romano, poi di un grande capo spirituale, il Papa di Roma, all’altra estremità del mondo. Fu certaUna carta geografica araba del XII secolo, che mostra le conoscenze geografiche del tempo mente il viaggio di


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Marco Polo a rendere esplicita la relazione tra i due grandi poli culturali del Vecchio Mondo, quello del Mediterraneo e quello della Cina, ma tale relazione c’era sempre stata, fin da quando i popoli indoeuropei migrarono dalle pianure dell’Asia centrale, raggiungendo l’India e in varie ondate l’Europa; Alessandro Magno, con le sue conquiste, aveva unito in una effimera entità politica Oriente e Occidente, dal Mediterraneo ai confini dell’India; era stata la sconfitta degli Hiung-Nu contro l’impero cinese, a determinare la migrazione di popoli a occidente, gli Unni, che accelerarono la crisi e posero definitivamente fine all’Impero Romano; l’Islam estendeva la sua influenza politica e culturale, dalla Spagna all’India, fino ai confini della Cina; fu l’arrivo dei Turchi Selgiudichi dall’Asia, a determinare l’inizio delle crociate. Conflitti politici, scambi commerciali, trasmissione di conoscenze, diffusione di specie animali e vegetali, tutti questi elementi della relazione erano presenti e univano l’Asia, il Mediterraneo e l’Europa in un “mondo” unico e “condiviso”. L’Africa, che a sud del Sahara era marginale rispetto al sistema di relazioni euroasiatiche, era comunque nota, se non altro come terra di misteri e meraviglie, e quando fu chiaro che le leggende sul potente “Prete Gianni”, sovrano di un favoloso regno cristiano, non trovavano conferme in Asia, fu all’Etiopia che si rivolsero le curiosità e le speranze di quanti cercavano un interlocutore per allargare traffici, conoscenze e alleanze politiche. Malgrado le immense differenze, di cultura, religione, concezione spirituale, tutto il Vecchio Mondo, aveva in comune alcuni elementi fondamentali, che permettevano la condivisione di un sistema di relazioni: l’idea che la terra, e le risorse che essa poteva offrire, fossero oggetto di proprietà, di un monarca o di un privato cittadino, di un aristocratico o di una società commerciale; la costruzione di entità statali, che su tale concetto di proprietà si producevano e che tale proprietà tutelavano; la pratica di assoggettamento e trasformazione del territorio, al fine di soddisfare la tendenza all’accumulazione e alla tesaurizzazione della ricchezza; il commercio come attività finalizzata alla massima valorizzazione delle proprie risorse, e al minimo riconoscimento di quelle altrui. Sulla base di questi elementi, riconosciuti, con diverse modalità, in tutto il Vecchio Mondo, nel corso dei millenni si era prodotto un unico percorso storico, in cui i temi della conquista territoriale, dell’accumulazione della ricchezza, dell’assoggettamento e del dominio di altri popoli, erano stati la motivazione comune della dinamica storica. In tal senso il Vecchio Mondo poteva definirsi un’entità unificata da Oriente a Occidente, attraverso le dinamiche della politica, della guerra e del commercio, il cui substrato ideologico era comune. Fu in questo contesto unitario rappresentato dal Vecchio Mondo, e dalle relazioni e dalle comunanze che sempre vi erano state tra l’Oriente e l’Occidente, che va collocata la vicenda storica di cui furono protagonisti i navigatori europei a partire dal ‘400, e all’interno delle quali si colloca la “scoperta dell’America”. Quando le opportunità del commercio spinsero gli interessi del nascente capitalismo europeo, a cercare il profitto in terre lontane, il tema che si poneva non era quello di “scoprire” nuove terre, ma più semplicemente, quello di cercare nuove vie per raggiungere popoli e terre di cui da sempre si conosceva l’esistenza e con cui da tempo si era in relazione. E a motivare la ricerca di nuove vie, più che lo spirito romantico degli scopritori, potè il calcolo economico di quanti temevano di perdere merci e ricchezze lungo la “via della seta”, divenuta particolarmente pericolosa, e la concorrenza tra potenze economiche e commerciali, che cercavano vie diverse per l’Oriente, rispetto a quelle gestite in monopolio nel Mediterraneo dai mercanti genovesi e veneziani, che a loro volta subivano le imposizioni dei Turchi Ottomani, che controllavano la via per l’Oriente. La scoperta da parte del navigatore portoghese Bartolomeo Diaz, del Capo di Buona Speranza, fu la risposta a questa necessità, aprendo la strada ai viaggi di circumnavigazione dell’Africa, grazie ai quali i mercanti europei potevano comm e r c i a r e direttamente con le Indie, senza dover sottostare a pesanti I viaggi che aprirono l’epoca dell’espansione coloniale europea


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intermediazioni. E’ in questo quadro di “scoperta” di nuove vie, piuttosto che di nuove terre, che si colloca l’iniziativa di Cristoforo Colombo, il “buscar el levante por el ponente”, che cercava una alternativa alla via aperta da Diaz pochi anni prima, e non metteva nel conto nessuna “scoperta” di nuove terre, ma solo di raggiungere il Catai, la Cina già conosciuta, e Cipango, il Giappone, della cui esistenza si sapeva almeno dai tempi di Marco Polo. Di fatto uno degli avvenimenti più importanti della storia umana, fu il risultato di un errore, causato dalle scarse conoscenze geografiche dell’epoca, in base alle quali si ipotizzava una distanza molto minore tra le coste atlantiche dell’Europa, e quelle dell’Asia, e ovviamente non si prendeva neanche in considerazione che quel tratto di mare ignoto, che separava i due continenti, fosse occupato e diviso in due da un intero e immenso continente. Negli anni successivi alla “scoperta” dell’America furono in molti, a partire proprio da Cristoforo Colombo, a pretendere che non ci fosse alcun nuovo continente, e che le terre su cui era approdato erano isole antistanti la costa della Cina. Alla fine, i viaggi e le osservazioni di Amerigo Vespucci, che nel 1507 per primo affermò l’esistenza di un nuovo continente, la conquista del Messico da parte di Hernan Cortes, completata nel 1522, e il viaggio di Ferdinando Magellano degli stessi anni, che per primo effettuò la circumnavigazione della terra, scoprendo l’allora ignoto oceano Pacifico, dimostrarono senza alcun dubbio, che veramente si era di fronte alla “scoperta” di un Nuovo Mondo, abitato da genti totalmente sconosciute, fino a quel momento vissute totalmente al di fuori da ogni relazione col Vecchio Mondo. La Chiesa Cattolica fu il primo soggetto a doversi misurare con l’importanza immensa dell’evento, dovendo inserire il nuovo continente e suoi ignoti abitanti, nella propria costruzione teologica, che essendo fondata sulla tradizione biblica, in alcun modo prevedeva l’esistenza di nuove terre ignote, e soprattutto di popoli a cui era stata negata, fino a quel momento, ogni possibilità di illuminazione divina. Fu comunque stabilito che gli abitanti del nuovo continente erano esseri umani a tutti gli effetti e come tali possessori di un anima, che andava salvata dal peccato, attraverso la conversione, da ottenere anche grazie all’opera del potere temporale dei sovrani cristiani, di Spagna e Portogallo in particolare, a cui fu “appaltato” il sostegno all’opera missionaria della Chiesa, in cambio del controllo politico, economico e militare delle nuove terre. Fu poi la volta delle principali potenze nazionali europee, che preso atto che il Nuovo Mondo non era solo una terra con cui commerciare, aprendo relazioni con i sovrani locali, ma una terra totalmente vergine, da conquistare, dominare e colonizzare, decisero che non spettava al Papa di Roma distribuire i nuovi possedimenti, soprattutto mentre il Papa stesso era parte in causa in un drammatico e lungo conflitto con gli eretici protestanti di varia dottrina, sostenuti da più di un monarca europeo. Così la scoperta del Nuovo Mondo, per le classi dirigenti europee, si risolse in ultima analisi, a questione di riassetto dei rapporti geopolitici mondiali, tra le potenze europee fra di loro in concorrenza e conflitto. Più difficile è valutare quale fu l’impatto della scoperta, a livello di massa, nel senso comune e nella cultura popolare, e ciò a causa delle difficoltà di circolazione di informazioni e conoscenze, in un epoca in cui la stampa muoveva i primi passi, e la stragrande maggioranza della popolazione, non aveva accesso ad alcun circuito informativo. Progressivamente comunque, l’idea di una terra nuova e inesplorata, ricca, favolosa, in cui cercar fortuna o ricominciare una nuova vita, si affermò a livello di massa, dai primi avventurieri che si imbarcavano al seguito delle spedizioni spagnole, ai tanti esuli politici e religiosi tra il XVII e il XVIII secolo, fino all’imponente flusso migratorio continuato fino ai primi decenni del XX secolo. Comunque, sia a livello di classi dirigenti, sia a livello popolare, il tema della “scoperta dell’America”, è in sostanza, il tema delle opportunità offerte da una nuova, immensa e ricca, estensione territoriale, di come essa può essere assoggettata e trasformata, secondo quel modello che nel Vecchio Mondo era l’unica modalità di relazione fra l’umano e il contesto ambientale: il dominio. Il tema dell’incontro con altri uomini, diversi, non si pose affatto, o fu derubricato a questione marginale o secondaria. Ad esclusione della meritoria eccezione di padre Bartolomè de las Casas, che incentrò tutta la sua attività sulla documentazione e la denuncia delle relazioni tra Spagnoli e i nativi nei Caraibi, e sul massacro che ne conseguì, l’incontro con uomini fino ad allora sconosciuti, con la loro cultura e i loro usi, non rientrava in Europa tra le questioni prioritarie conseguenti alla “scoperta dell’America”. L’idea che il Nuovo Mondo potesse essere un luogo in cui le comunità umane avevano sperimentato un'altra modalità di relazione con l’ambiente, non fu presa in considerazione neanche fra le menti più aperte dell’epoca, e si dovette aspettare il ‘700 e l’illuminismo, quando intorno al concetto di “buon selvaggio”, si iniziò per la prima volta a cercare nella cultura dei nativi americani, gli elementi di un’idealistica relazione armo-


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niosa tra l’uomo e la natura. Questo, in estrema sintesi, l’approccio Europeo al Nuovo Mondo. Molto più difficile, se non addir i t t u r a impossibile, è cercare di immaginare quali abbiano potuto essere, tra i nativi del Nuovo Mondo, le immediate conseguenze del primo contatto, con genti sconosciute, diPadre Bartolomè de las Casas, in un quadro della seconda metà dell’800 verse anche da un punto di vista esteriore, vestite di materiali sconosciuti, dotate di tecnologie inimmaginabili, con al seguito animali mai visti prima… l’effetto probabilmente non dovette essere diverso da quello di una odierna apparizione di alieni, amplificato dal fatto che tra i nativi la fantascienza era ignota, e nessuno aveva neanche mai visto un film o letto un libro, che trattasse di alieni. Alieni, esseri giunti da un luogo ignoto, su immense canoe spinte dal vento, con i volti ricoperti da un pelo lungo e variamente colorato, il corpo rivestito da piastre luccicanti di un materiale ignoto, duro e resistente, lo stesso delle lunghe lame di cui erano armati, portando con loro bastoni in grado di produrre il potere del tuono e fulminare a distanza il nemico o la preda, e grandi animali mai visti, sul cui dorso essi viaggiavano e combattevano, animali che li servivano come fanno i cani, ma dieci volte più grandi e più forti di un cane. Alieni, ma forse anche questa definizione è inadeguata, se pensiamo che per elaborare il concetto di “alieno” è necessario presupporre l’esistenza di un altro mondo, da cui essi provengono, ma non risulta che tra i nativi d’America, il concetto di “altro mondo”, facesse in qualche modo parte dell’elaborazione culturale o spirituale. Un concetto che in qualche modo definisce le modalità con cui i nativi diedero un una lettura razionale dell’arrivo dei nuovi venuti, può essere quello di “al di la delle grandi acque”, con cui spesso i nativi definivano il luogo d’origine dei bianchi. Significativa di quale potesse essere la percezione del concetto di “grandi acque”, è una testimonianza riguardante i Sewee, una piccola tribù stanziata nel ‘600 sulle coste del North Carolina, che decisa a spuntare un prezzo migliore per le proprie pelli, cercò di commerciare direttamente con la terra da cui venivano i mercanti europei, evitando la loro intermediazione: gran parte degli uomini della tribù, riempì le canoe di pelli e altre merci e prese il mare in un viaggio da cui nessuno di loro fece più ritorno. Altri indiani fecero la traversata dell’Atlantico, specialmente nei primi decenni dopo la scoperta, quando esploratori e mercanti non si facevano scrupolo di rapire e deportare i nativi, per esporli come souvenir esotici nelle corti europee. Anche quando pochi fortunati, riuscivano a far ritorno alla loro gente, i loro racconti e le informazioni che essi portavano, non furono in grado di permettere ai nativi, di farsi un’idea della realtà di un “mondo nuovo”, diverso e lontano dal loro. Di fatto le culture dei nativi, abitualmente mancavano delle condizioni per poter comprendere e inserire la coscienza dell’esistenza di un mondo altro, nella loro concezione della realtà. Ci vollero secoli, prima che i nativi riuscissero a concepire l’effettiva entità, la grandezza e la potenza, delle forze di cui esploratori, mercanti e coloni erano solo una esigua avanguardia. Di fatto la presa di coscienza dell’esistenza di un mondo altro, di vaste terre, di grandi popolazioni, fu ignorata e sostanzialmente rimossa, finchè ciò fu possibile, anche per evitare di dover prendere atto dell’immensità del trauma che si preparava. E proprio da tale ignoranza e rimozione, si produssero le forze per una resistenza eroica e determinata. D’altra parte, al contrario degli Europei, la priorità dei nativi non fu tanto quella di interrogarsi sul “mondo nuovo” a loro ignoto, ma quella di misurarsi con un nuovo popolo, che malgrado l’assoluta


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esiguità numerica del tempo dei primi contatti, era in grado di produrre immediati e traumatici sconvolgimenti. Se gli Europei potevano permettersi di considerare l’incontro con una umanità fino ad allora ignota, come un semplice incidente nel quadro di un evento ben più rilevante, che era la scoperta di una terra ignota, per i nativi l’evento fu proprio l’incontro con questa umanità ignota e (soprattutto) incomprensibile e pericolosa. A ciò va aggiunto che a differenza di quanto accadeva in Europa, dove nel giro di pochi anni la scoperta del Nuovo Mondo, fu un evento condiviso, almeno a livello delle elites politiche, economiche, intellettuali e religiose, tra i nativi il “trauma del contatto” si ripetè a più riprese, man mano che gli Europei esploravano le coste e si spingevano nell’interno, e ancora agli inizi dell’800, dopo secoli di conflitti e commerci, gli esploratori Lewis e Clark, incontrarono indiani Shoshone alle sorgenti del Missouri, che ignoravano l’esistenza dei bianchi e fuggirono alla loro vista intimoriti dai loro volti barbuti. Di fatto il contatto tra nativi ed Europei, fu quindi un contatto “asimmetrico”, in cui i primi si misurarono con l’incontro di nuove genti, mentre i secondi privilegiarono il contatto con il nuovo ambiente. E’ da questo dato che emerge il carattere strutturalmente subalterno della relazione tra i due gruppi umani e le due culture. I nativi da subito dovettero misurarsi con altri uomini, che per quanto fossero crudeli e aggressivi, oppure assolutamente incapaci a sopravvivere nel nuovo ambiente, erano comunque l’oggetto di un’attenzione e di una curiosità, che è l’elemento che caratterizza la dimensione umana. Da ciò l’atteggiamento ambivalente, e spesso giudicato dagli Europei come ambiguo e inaffidabile, che portava gli indiani ad alternare lunghi periodi in cui erano gli stessi indiani a cercare relazioni con i nuovi venuti, a periodiche e spesso inattese esplosioni di violenza. Per secoli i nativi, cercarono di inserire i nuovi venuti, all’interno del loro sistema di relazioni economiche e sociali, utilizzando quanto i nuovi venuti portavano di novità in termini di innovazione tecnologica, accettando le nuove modalità dello scambio commerciale, probabilmente nella convinzione più o meno cosciente, che come era accaduto per secoli e millenni, anche i nuovi venuti si sarebbero adattati ad un contesto ambientale immutabile, dove i fiumi, i monti, le foreste, definivano il quadro del possibile. Questa comprensibile strategia di “gestione del contatto”, ebbe un qualche successo all’inizio, grazie al fatto che i nativi dominavano il contesto ambientale, in cui tale sistema di relazioni si applicava, e che era invece ignoto ai nuovi venuti. Gli Europei al contrario, almeno in Nord America, intervenirono direttamente sul contesto ambientale del Mondo Nuovo, senza alcun interesse a relazionarsi con i nativi. Il diritto di proprietà della terra, assolutamente ignoto ai nativi, fu la base con cui venne legittimata ogni violenza e ogni abuso, e la fonte di ogni equivoco e incomprensione tra i due mondi; definendo proprietà e confini, gli Europei modificavano l’ambiente in termini definitivi, occupandolo stabilmente e stabilendo le basi per nuove acquisizioni, al contrario di quanto facevano i nativi, che occupavano un territorio temporaneamente e senza alcuna pretesa di proprietà. Il principio di ospitalità sulla base del quale spesso gli Europei trovavano accoglienza nelle nuove terre, e che dal punto di vista dei nativi era la base su cui produrre relazioni e interazioni, per gli Europei si trasformava in diritto acquisito per sempre, e presupposto per negare quelle stesse interazioni e relazioni, con l’esclusione e la cacciata dei nativi dalle terre che consideravano proprie. Il commercio in aggiunta, fu il modo in cui gli Europei modificarono il contesto ambientale che non potevano occupare direttamente, il “territorio indiano”, che nella società dei nativi era la fonte di approvvigionamento di valori d’uso, cibo, vestiario, utensili ecc…, un contesto nel quale le risorse venivano colte con il minimo dell’impatto ambientale; al contrario per gli Europei quello stesso territorio era una immensa fonte di valore di scambio, pelli in particolare, che doveva essere Nel New England, Puritani inglesi e indiani Wampanoag,per oltre 50 anni cercarono di prosciugata fino a esauconvivere pacificamente, fino all’esplodere della Guerra di Re Filippo nel 1675


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Proteste nella riserva Lakota di Standing Rock, contro la costruzione di un oleodotto; ancora oggi il rapporto con l’ambiente è occasione di conflitti fra le comunità indiane, e gli interessi economici americani

rimento per alimentare con costanza e abbondanza i mercati d’oltre oceano. Trasformando l’ambiente in cui l’indiano viveva, quasi senza nemmeno accorgersene, gli Europei, minavano le strutture fondamentali delle società dei nativi, costruivano nuovi sistemi di valore, determinavano il prodursi nuove leadership, e quindi progressivamente dominavano gli indiani; un dominio che era solo parte del più generale dominio che essi progressivamente imponevano sull’intero contesto ambientale, sul Nuovo Mondo che erano determinati a conquistare. Le Guerre del Castoro, che insanguinarono tra il 1625 e il 1701, tutta al vasta regione intorno ai Grandi Laghi, furono probabilmente uno degli eventi più distruttivi e meno conosciuti della storia moderna, e i popoli nativi che ne furono protagonisti, vi furono coinvolti come bambini invitati a partecipare ad un terribile gioco d’azzardo, gestito da bari professionisti. Almeno in Nord America, la naturale asimmetria tra popoli ancora quasi al livello del Neolitico, e una società già strutturata intorno al dominio del Capitale, non è misurabile solo sul piano quantitativo, per tecnologie, conoscenze e ricchezza, ma proprio sul piano qualitativo laddove una parte si misurava con il contesto ambientale considerato come oggetto della trasformazione e dell’assoggettamento, mentre l’altra considerava tale ambiente come una realtà immutabile, a cui non potevano non adattarsi anche i nuovi venuti. Al contempo gli Europei consideravano i nativi come parte del contesto ambientale da assoggettare e trasformare, mentre i nativi, faticavano anche a concepire il mondo da cui l’uomo bianco veniva e di cui era il prodotto. Secoli di interazione conflittuale tra mondi, che non si riconoscevano reciprocamente, con gli Europei che tendenzialmente consideravano irrilevante l’esistenza dei nativi, e i nativi che rimuovevano fin quando era possibile l’esistenza del mondo da cui gli Europei provenivano, e faticavano a concepire il mondo che essi si apprestavano a costruire. In questa reciproca e asimmetrica ignoranza e indifferenza, a cui spesso si aggiungeva il reciproco disprezzo, l’unica occasione in cui ognuno doveva fare i conti con l’altro, era nelle crisi, che periodicamente si producevano, quando la violenza dei nativi obbligava gli Europei a fare i conti con loro, o quando la potenza militare, tecnologica e infine demografica dei bianchi, si imponeva con violenza sui nativi. La guerra è di fatto la più autentica tra le relazioni che l’incontro tra queste due umanità ha prodotto… tutto il resto sono le malattie che massacrarono le popolazioni native già al contatto, le parole vane dei trattati di pace, le riserve in cui ancora oggi l’America moderna ignora l’esistenza dei nativi… e infine la determinazione dei nativi, latente ma resistente ai secoli, a non accettare quel mondo dei bianchi come l’unico possibile.


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INDICE All’inizio fu Darkwood............................................................................................................pag. 1 Barbari, infedeli, selvaggi........................................................................................................pag. 9 LE ORIGINI.......................................................................................................................pag. 12 IL MONDO NUOVO.........................................................................................................pag. 12 IL PRIMO AMERICANO................................................................................................pag. 17 LA BABELE DELLE LINGUE........................................................................................pag. 19 LE LINGUE, I POPOLI....................................................................................................pag. 23 La famiglia linguistica Hoka..................................................................................................pag. 23 La famiglia linguistica Macropenutian................................................................................pag. 24 La famiglia linguistica Uto-Azteco-Tano............................................................................pag. 26 L’area linguistica Mosan.........................................................................................................pag. 28 La famiglia linguistica Macroalgonquian............................................................................pag. 29 La famiglia linguistica Macrosiouan....................................................................................pag. 31 La famiglia linguistica Na-Dene............................................................................................pag. 34 La famiglia linguistica Eskimo-Aleutina...........................................................................pag. 36 I popoli Caraibici della Florida meridionale.......................................................................pag. 37 I PALEOINDIANI..............................................................................................................pag. 45 Il Nord America alla fine del Pleistocene.............................................................................pag. 45 Clovis: la prima tecnologia americana.................................................................................pag. 46 Folsom: adattamenti e differenziazioni................................................................................pag. 48 LA FASE ARCAICA............................................................................................................pag. 50 Lo stile di vita Arcaico nelle Foreste Orientali...................................................................pag. 51 Lo stile di vita Arcaico nelle Grandi Pianure......................................................................pag. 57 Lo stile di vita Arcaico nelle regioni del Sud-Ovest...........................................................pag. 59 Lo stile di vita Arcaico nell’area dell’Altopiano.................................................................pag. 63 Lo stile di vita Arxaico nella regione Sub-Artica................................................................pag. 65 L’età Arcaica alla vigilia della storia...................................................................................pag. 67 LE CIVILTA’ PRECOLOMBIANE.....................................................................pag. 71 STORIA E PREISTORIA IN NORD AMERICA....................................................pag. 71 LE FORESTE ORIENTALI..............................................................................................pag. 73 Gli Adena....................................................................................................................................pag. 75 Gli Hopewell..............................................................................................................................pag. 80 La rete di scambi Hopewell.............................................................................................................pag. 82 Il culto funerario e la prima organizzazione sociale.........................................................................pag. 84 Il declino.......................................................................................................................................pag. 87 I Popoli del Mississipi.............................................................................................................pag. 90 L’emersione dai secoli bui...............................................................................................................pag. 90 La prima stratificazione sociale fra i Popoli del Mississipi...............................................................pag. 93 Il mondo dei Popoli del Mississipi...................................................................................................pag. 97 Il Culto Meridionale.......................................................................................................................pag.100 Chi erano i Popoli del Mississipi?....................................................................................................pag.101 Collasso e declino...........................................................................................................................pag.104 Le culture marginali delle Foreste Orientali.........................................................................pag.109 Gli Oneota.....................................................................................................................................pag.110 Ft.Ancient e Monongahela...............................................................................................................pag.112 Le regioni settentrionali: Laurel Complex, Point Peninsula, Princess Point, Qwasco, Clemson Island.pag.115 Gli Algonquian...............................................................................................................................pag.117


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