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LA STORIA NELLA PENTOLA

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EDITORIALE

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NEL PIATTO C'È NAPOLI CAPITALE PIETRO ROMANO

L’Italia dona ai suoi abitanti, e maggiormente ai visitatori ed estimatori, la più ricca, salutare e saporita cucina del mondo. Una cucina che ancora oggi dà il meglio nelle sue eccellenze territoriali, ben superiori di numero ai mille campanili. Non sempre le eccellenze attuali, però, corrispondono alle eccellenze della ricca storia gastronomica nazionale.

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Sulle rive del Mediterraneo, ad esempio, c’è una passata capitale che nei secoli, anzi nei millenni, ha sviluppato una cucina dalle molteplici

sfaccettature: Napoli. Nel tempo la città ha evoluto una varietà multiforme di modi di mangiare fino a incrociarsi di recente con i dettami salutistici (pizza e pasta incluse, ma con misura) per tornare parzialmente in auge.

Una cucina povera, allora quella napoletana? Tutt’altro. Magari impoverita. Tra il Cinquecento e l'inizio del Novecento, con una impennata tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Italia unitaria, Napoli è stata culla di una delle cucine più ricche ed elaborate del tempo. In particolare

dalla rivoluzione francese, quando scapparono nella ricca Napoli anche numerosi cuochi di grandi famiglie transalpine, i monzù, dal francese monsieur, signore.

A questa cucina, negli scorsi decenni, ha dedicato il suo tempo libero il marchese Franco Santasilia di Torpino, di antica casata partenopea ma nella vita manager internazionale. Dalla riscoperta filologica della cucina dei monzù di Santasilia sono nati anche pregevoli volumi di ricette e di storia della gastronomia, a cominciare dalla fondamentale La cucina aristocratica napoletana, pubblicata nel 1988, per arrivare pochi anni fa a una sorta di enciclopedia gastronomica napoletana in più volumi riccamente illustrata e rilegata per De Luca editore.

Sfilano come su un tappeto rosso da festival cinematografico, al posto dei divi e delle dive, squisitezze elaboratissime il cui gusto rimane inalterato nel tempo. Dal ragù (sugo di pomodoro a base di carne cotto a fuoco lento) al sartù (monumentale timballo di riso ricco ed elaborato che veniva presentato agli ospiti a forma di Vesuvio con il ragù a scendere come la lava e veniva surtout, stava sopra di tutto). Dal gattò di patate (un gateau salato creato come piatto vegetale dal cuoco napoletano Vincenzo Corrado per l’ambasciatore francese presso la Santa Sede, cardinale de Bernis, rigoroso vegetariano) alla genovese (intingolo a base di carne e cipolle ramate, niente a che fare con Genova ma piuttosto con Ginevra, Geneve, nel cantone francofono della Svizzera).

Ricordare i piatti di questa cucina, barocca nella complessa preparazione e nella presentazione a tavola, armonica nei sapori, richiederebbe l’intero fascicolo della nostra rivista. Certamente la radice francese rimane, a principiare dai nomi.

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