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Goodbye

IL RACCONTO

FABIO MASSIMO

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Venerdì sera, la stazione centrale era affollata, i treni si succedevano a pochi minuti l'uno dall'altro. In molti attendevano il treno per l'aeroporto e si affollavano sotto i tabelloni per controllare il binario e gli eventuali ritardi. La folla era cosmopolita, s'intrecciavano e sovrapponevano la maggioranza delle lingue del continente, molti erano turisti ma la maggioranza rientravano nei loro paesi dopo la settimana o le giornate di lavoro e d'incontri. Era una serata di fine estate e l'aria nella stazione sotterranea era calda, umida, afosa. Fu in quel momento che i loro sguardi s'incrociarono. Di mezza età entrambi, lei indubitabilmente nordica, chiara di colori, alta ed ancora slanciata malgrado gli anni, non più giovanili, lui più mediterraneo, brizzolato ma ancora atletico. L'incrocio degli sguardi fu casuale, succede spesso. Il treno era in ritardo, loro a poca distanza, tra la folla. Entrambi vestiti con l'eleganza formale degli incontri internazionali, lei più giovanile, sotto la giacca professionale aveva una gonna chiara femminile ed elegante ma poco usuale. Il treno si fermò ed entrambi salirono sulla stessa carrozza, lui ebbe un'esitazione, come se aspettasse e le lasciò il passo. Durante il viaggio leggevano, quando il controllore passò gli sguardi s'incrociarono di nuovo, casualmente. Lei è una bella donna, lui pensò, ma viaggiando

capita spesso d'incontrare donne belle e più giovani su cui lo sguardo non può evitare di soffermarsi, non era questo che attira il suo, ora. L'immagine di lei muoveva ricordi sopiti nella sua mente da decenni, sensazioni del passato non più riportate alla mente. All'improvviso si ritrovò in un paese nordico, era estate, in un centro sportivo immerso nei boschi e tra i fiumi, correva, si stava allenando con la sua squadra, nel cottage di legno vicino era alloggiata una squadra femminile, avevano fatto amicizia. Ora ricordava, una ragazza e subito riemerse il suo nome ed il profumo che l'accompagnava, un profumo che sapeva di more e di gioventù. Si allenavano di giorno e poi alla sera si trovavano in gruppo tutti insieme a parlare, scherzare a scoprire le differenze tra le loro lingue e le loro culture. Così per molte sere, poi una sera loro due s'allontanarono, assieme, soli, nei boschi.

Il treno si fermò alla stazione dell'aeroporto, tutti i passeggeri scesero in lunga fila verso gli ingressi. Lei scese dopo di lui e nel flusso il suo sguardo non evitò di seguirlo. In gioventù era divenuta consapevole che gli uomini la consideravano una donna attraente, lei non si sentiva tale ma si era abituata agli sguardi. Gli anni erano passati ed ora lo sguardo maschile era più raro. Ma lo sguardo, rapido e casuale di lui era stato diverso non era invadente, sembrava esplorare, cercare qualcosa, non provocava nel suo animo né fastidio né piacere ma la melanconia di un bellissimo ricordo del passato. L'aveva riportata indietro nel tempo e per qualche breve istante si era sentita giovane. Dentro di se sorrise. Arrivati alle scale mobili lui esitò nuovamente, si fermò un istante, il tempo di lasciarla passare. La seguì e per la manciata di secondi della salita non tolse lo sguardo dalla sua figura, dalle spalle, dai fianchi maturi, dalle gambe ancora snelle seppur segnate dagli anni. Lei immaginò il suo sguardo, e ritornò indietro negli anni, alle estati nordiche, ai loro crepuscoli infiniti ad un antico amore tra i boschi. Sorrise ancora tra sé, quanto tempo è passato, inutile ma bello il ricordare. Si trovarono ai controlli di sicurezza in due file separate ma quasi sincronizzate, ora gli sguardi si incrociavano più spesso, erano diventati più lunghi, forse intenzionali. Subito dopo, si ritrovarono vicini a cercare il numero del gate del loro volo. Le strade, ora, si sarebbero divise.

Normalmente era una persona che valutava e soppesava con attenzione le proprie azioni ma in quell'istante la reazione fu automatica ed involontaria. Le si rivolse, in inglese, “Mi scusi, non voglio importunarla ma non posso evitare di ringraziarla per la sua bellezza. É bella come i tramonti infiniti della sua terra. Spero che non si offenda per le mie parole”. Prese leggermente la sua mano, la sollevò e, con un gesto antico, desueto ed anche per lui, inaspettato, la sfiorò con le sue labbra, poi le lasciò la mano e la guardò in viso.

Lei ritrasse la mano, le rispose subito, con un accenno di sorriso che non si sentiva offesa ma, anzi, lo ringraziava per il complimento. “É vero, d'estate i tramonti sono lunghi ed effettivamente molto belli nella mia terra.” Si voltò e, lentamente, si allontanò. Lui la guardava allontanarsi. Dopo due passi, lei si voltò e presa un'improvvisa decisione, tornò indietro, gli si avvicinò e con le labbra gli sfiorò, senza toccarlo, il viso.

Si guardarono, “goodbye” lei disse, “goodbye” lui rispose.

Si voltarono e si diressero verso i loro voli, verso il nord e verso il sud del continente. Rientrati alle loro case ed alle loro famiglie, quella notte entrambi sognarono. C'era il sentiero nel bosco rado di betulle, in fondo, il fiume, largo, silenzioso, limpido. C'erano due giovani che camminavano dandosi la mano, parlavano baciandosi, felici, ignari del domani. C'era un capanno in legno ed una notte chiara, senza oscurità, che gli aveva accolti sino al mattino, ed una renna che, solitaria, si abbeverava al fiume, nel silenzio.

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