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Perchè l'inflazione è un virus da estirpare

LA FINESTRA SUL CAVEAU

CLAUDIO DI DONATO

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Pensavamo di averla sconfitta in maniera definitiva. E invece l’inflazione è tornata tra noi. Oltre un decennio di prezzi sostanzialmente fermi ci avevano illuso che il grande nemico fosse stato debellato come il vaiolo, cancellato dai manuali di economia. Le politiche monetarie delle banche centrali ancorate alla stabilità dei prezzi, la globalizzazione della produzione sembravano un vaccino molto efficace contro quel fenomeno di aumento dei prezzi che tra la fine degli anni ’60 fino alla fine degli anni ’80 era stato un vero e proprio incubo. La pandemia non è estranea all’andamento dei prezzi. Il crollo dell’economia nel 2020 ha provocato addirittura una discesa del livello generale dei prezzi (in Italia -0,2%) ma la

ripartenza in atto dalla primavera scorsa è stato un acceleratore dell’inflazione che ha superato il 3%. Non è ancora un livello da allarme rosso, ma per alcune categorie di beni e servizi si misurano rincari preoccupanti e se la dinamica rialzista dei prezzi dovesse proseguire nella prima parte dell’anno prossimo lo stato di salute dell’economia mondiale ne risentirebbe in modo rilevante. Perché dobbiamo temere un aumento dei prezzi? L’inflazione in sostanza misura la variazione del potere d’acquisto del denaro. Un tasso di inflazione annuale al 3% significa che un prodotto che oggi costa 100 euro a distanza di 12 mesi aumenterà a 103. Al tempo stesso il rialzo dei prezzi erode la ricchezza. Se ho 100 di risparmi, tra un anno il valore scenderà a 97. Ma, unico beneficio, si svaluta anche il debito. Quindi chi è molto indebitato trae un beneficio dall’inflazione perché il credito che deve rimborsare scende di valore. A questa categoria, ad esempio, appartiene lo Stato Italiano con un debito pubblico che supera i 2.400 miliardi. Un tasso di inflazione al 3% fa risparmiare alle casse pubbliche circa 70 miliardi l’anno. Si potrebbe osservare che basta indebitarsi per neutralizzare le insidie inflazionistiche. In realtà non è così, basta rileggere la storia economica degli anni ’70 quando l’inflazione a due cifre ha fatto esplodere alcune tra le peggiori crisi economiche e sociali del dopoguerra. La ripresa dell’inflazione degli ultimi mesi ancora beneficia di politiche monetarie definite espansive. In pratica il livello dei tassi di interesse non è ancora condizionato dall’andamento dei prezzi. Gli acquisti di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea sta tenendo basso il costo del denaro come se l’inflazione non ci fosse. I risparmiatori che investono in Bot e Btp lo stanno sperimentando sulla propria pelle. Anche acquistando titoli a 10 anni il rendimento netto offerto è ben sotto il livello d’inflazione (appena l’1% contro il 3% di aumento dei prezzi). In soldoni significa che l’interesse maturato ogni anno su un titolo di Stato a 10 anni non copre la dinamica dei prezzi. Difendere i risparmi in tempi di inflazione galoppante è tuttavia un esercizio complicato, che richiede l’accettazione di un maggiore livello di rischio rispetto alle fasi di bonaccia. Un trend duraturo di rincari dei prezzi, quindi, fatalmente, produce un aumento dei tassi di interesse. Non solo quelli che incassiamo attraverso investimenti finanziari come titoli di Stato ed obbligazioni societarie. L’aumento dei tassi fa salire il costo del denaro. Pertanto costeranno di più i prestiti per acquistare un’auto o una cucina ma soprattutto i mutui per comprare un’abitazione. L’effetto finale è la riduzione della domanda di consumi causa l’erosione del potere d’acquisto. L’inflazione è come un virus ed è anche classista, risparmia i ricchi e si accanisce sulle persone economicamente più fragili. Ecco perché estirpare l’inflazione è una priorità sociale.

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