4 minute read

PSICOLOGIA - Accudire il malato

SALUTE

Psicologia

Advertisement

ACCUDIRE IL MALATO: UNA STORIA DI EMOZIONI

CHIARA VOLPICELLI, Psicologa

Le attenzioni verso un ammalato sono moltissime ed è lui il perno della relazione, oltre che esserne uno dei due poli. La malattia rende protagonisti in un modo o in un altro, perché c’è un soggetto che ha bisogno e uno che risponde a quel bisogno. La relazione dunque è tutta sbilanciata sulla soddisfazione di uno dei due. Il malato è tutto su di sé, sulle paure e la sofferenza che vive, e l’altro è tutto sul sostenimento della personalità fisica e psichica del malato. Ciò determina spesso la dimenticanza di se stessi e dei propri bisogni. Quando in casa c’è una persona da assistere avviene - nei fatti - una vera e propria rivoluzione del sistema familiare, uno tsunami di emozioni nel caregiver (colui che assiste) ma con ricadute anche su tutti i membri del nucleo. Basti pensare che il caregiver è talvolta definito come “secondo paziente invisibile”, perché accumula ogni giorno

tensioni, frustrazioni ed emozioni che vanno dalla rabbia alla compassione, per poi passare dalla tristezza al senso di colpa e impotenza. L’accuditore è colui che combatte tra il senso del dovere verso il malato e verso il lavoro. È colui che rinuncia alla cura di sé, alle proprie ambizioni e alle relazioni sociali. La relazione tra malato e caregiver è basata sulla necessità. Anche se i soggetti sono legati da parentela, amicizia, amore, nel momento in cui si evidenzia una malattia, il vincolo del legame sposta il carico soprattutto sulla necessità, il bisogno. Ciò vuol dire che cambiano i ruoli ed emergono dinamiche nuove che si incontrano/ scontrano con la cultura di appartenenza di ognuno dei due soggetti, sulle convinzioni relativamente a come ci si comporta verso un malato, come si cura, quali sono i diritti e i doveri. A seconda del decorso della malattia e del tipo di invalidità che comporta, si evidenziano diverse reazioni. Tra le principali, il senso di onnipotenza e/o impotenza, che passano necessariamente dalla rabbia, emozione spesso trattenuta e controllata da chi accudisce, per non far sentire il malato in colpa o in difficoltà. Impotenza perché spesso chi accudisce è testimone di sofferenza che non può alleviare: sostenere la frustrazione altrui è forse tra le esperienze più faticose per l’essere umano. Si può inoltre innescare un meccanismo di aspettative di cambiamento del decorso della malattia, anche quando questa è irreversibile. Onnipotenza perché si genera l’illusione che ciò che accade nel malato dipenda dal sostegno del caregiver. Come se dicesse: “senza di me non può farcela”. Innescando un meccanismo perverso dove l’uno non si stacca dall’altro e nessuno è autonomo rispetto all’altro, generando continua dipendenza anche quando si potrebbero utilizzare risorse diverse: infermieri, amici, brevi periodi di ospedalizzazioni. Il rischio in questi casi è di non permettere a nessuno dei due (malato e caregiver) di utilizzare tutto ciò che potrebbe anche stimolare risposte fisiche e psicologiche diverse. Non ci si apre cioè alla possibilità di generare sanità, non solo nella relazione ma magari anche nella qualità della vita. Altro atteggiamento che spesso si attua è il cinismo, una sorta di distacco emotivo dal malato, che costruisce uno scudo in difesa del caregiver così da non dover affrontare le tante emozioni e sostenerle. Questo tipo di atteggiamento è sintomo di burnout e non bisogna prenderlo troppo alla leggera perché può sfociare in veri e propri atti di violenza. Si può iniziare con l’insonnia per poi ridurre l’empatia e trovare a volte rifugio nell’abuso di alcool o sostanze. Possono anche verificarsi difficoltà di concentrazione, mancanza di appetito, dolori a testa, schiena e pancia, somatizzazioni, ma anche maggiore tendenza ad ammalarsi per il calo delle difese immunitarie. Un ulteriore meccanismo che può insorgere è la triangolazione della relazione malato- caregiverapparato medico. Accade che, per regolare la relazione tra il primo e il terzo, il caregiver sia quello su cui si investono le preoccupazioni e le ansie. Cosa può fare il caregiver per sopravvivere? Diventa fondamentale sviluppare lucidità rispetto alla situazione. Ciò implica una dettagliata conoscenza del tipo di malattia e delle sue conseguenze. I caregiver hanno bisogno di sapere come usare le terapie, come accudire il malato e come mettersi in relazione con lui. Un aspetto fondamentale è - inoltre - il sostegno sociale. Patologie invalidanti come l’Alzheimer possono distruggere l’equilibrio di una famiglia. Il sostegno della rete di amici e persone significative può aiutare ad alleviare il peso delle responsabilità. Per quanto le situazioni vadano valutate attentamente una per una, è importante ricordare una serie di step quali: • Riconoscere la malattia e il decorso • Conoscere l'impatto che avrà su sé stesso e sul sistema familiare • Attraversare le varie emozionalità senza nasconderle • Ricercare l’aiuto degli altri e accettarlo • Rivedere le proprie convinzioni su come si cura il malato e confrontarle con altri • Mantenere spazi di individualità per recuperare energie Il caregiver necessita di rimettersi in contatto con il coraggio di accettare la vita e la morte, recuperando l'amore per la vita, che è l'unica che sostiene la fatica di essere testimoni della sofferenza altrui.

This article is from: