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la Parola ai legali

Il retail real estate riparte e affronta il mondo che cambia: dal post pandemia alla guerra, dalle nuove riforme alla sostenibilità ambientale. Le sfide legali del 2022.

loCazioni e affitti: lessons learned dall'emergenza, Come ristrutturare i raPPorti eConomiCi e ridistribuire i risChi

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di Giulia Comparini, Partner, CoCuzza & assoCiati

La crisi generata dalla pandemia ha mostrato in tutta la sua evidenza l'inadeguatezza dei contratti in essere a disciplinare situazioni di emergenza determinanti un forte squilibrio nei rapporti economici. In assenza di soluzioni contrattuali le parti si sono inizialmente irrigidite ciascuna sulla propria posizione. I tenant sospendendo il pagamento dei canoni, per l'impossibilità di godere del bene per l'uso convenuto nel contratto, i landlord non determinandosi a concedere sconti e dilazioni ritenendo di non dover sopportare le conseguenze di eventi del tutto imprevedibili e al di fuori del loro controllo. La Corte di Cassazione è intervenuta con la Relazione Tematica nel luglio 2020 suggerendo alle parti il ricorso al principio generale di buona fede nella esecuzione dei contratti inteso in senso oggettivo, costituzionalmente orientato, quale dovere di collaborazione e solidarietà. Secondo la Corte, anche in assenza di espressa previsione contrattuale, le parti hanno comunque l’obbligo di rinegoziare il contenuto del contratto per riequilibrare le rispettive posizioni ed il rifiuto a rinegoziare della parte "si risolve in un comportamento opportunistico che l’ordinamento non può tutelare e tollerare”. La giurisprudenza formatasi nei mesi scorsi si è espressa in maniera tutt'altro che univoca, in alcuni casi, riconoscendo il diritto del tenant ad una riduzione del canone per il periodo di lockdown e talvolta anche nella fase del contingentamento, in altri casi, negando totalmente tale diritto. La legislazione dell'emergenza è intervenuta in maniera frammentaria e poco coerente e non può certo dirsi che abbia rappresentato un utile riferimento per le parti. Landlord e tenant si sono quindi trovati ad affrontare la crisi per lo più impreparati e privi di riferimenti certi. La scelta di coloro che sono riusciti ad evitare le aule dei Tribunali è stata per lo più quella di negoziare accordi brevi con riduzioni di canoni limitate nel tempo. Ma come comportarsi ora che l'emergenza sembra essere finita e si ricomincia a sottoscrivere nuovi contratti? Nella prassi si riscontrano a tutt'oggi interessi contrapposti pur nella consapevolezza delle parti sull' opportunità di introdurre nei contratti clausole di forza maggiore. Ed infatti, i tenant propongono clausole di forza maggiore molto dettagliate e ne disciplinano gli effetti in maniera specifica sia che l'evento di forza maggiore si verifichi in pendenza

dei lavori di ristrutturazione/allestimento dei negozi sia che si verifichi nel corso del rapporto, stabilendo sospensioni e/o riduzioni di canoni già predeterminate. I Landlord tendono, al contrario, ad accettare soltanto clausole che prevedono un generico impegno delle parti a rivalutare i termini economici dell'accordo ove si verifichi un evento sopravvenuto e imprevedibile che ne turbi l'equilibrio e renda eccessivamente onerosa la prestazione di una di esse. La realtà è che nonostante tutto è difficile concordare ex ante soluzioni soddisfacenti per entrambe le parti.

forza maggiore e faCtum PrinCiPis: dalla Pandemia alla guerra

di maria Grazia Colombo, Partner, CoCuzza & assoCiati

La pandemia, prima, e i venti di guerra, ora, rendono di estrema attualità i concetti di forza maggiore e di factum principis e il loro impatto sulla sorte dei contratti in essere. Il tema è ampio anche a volerlo declinare solamente nel real estate. Dovendosi limitare a pochi cenni, bisogna anzitutto precisare che non esiste nel nostro ordinamento giuridico alcuna definizione normativa di forza maggiore e di factum principis e che, dunque, il compito di delineare i due istituti è compito della giurisprudenza. Le sentenze sulla forza maggiore, sia della Corte di Cassazione sia delle corti di merito, sono molteplici e individuano la forza maggiore nell'evento oggettivo, straordinario ed imprevedibile che rende impossibile l'adempimento della prestazione e influisce, quindi, sull'equilibrio contrattuale. Una pandemia è un evento di forza maggiore così come una guerra (pur in questo caso con un certo margine di interpretazione laddove si possa contestarne l'imprevedibilità). Il factum principis è, a sua volta, definito dalle corti come il provvedimento legislativo o amministrativo dell'autorità che impedisce l'esecuzione della prestazione. Quindi, il provvedimento governativo che ordina la chiusura degli esercizi commerciali per contrastare il diffondersi di una pandemia è un esempio factum principis. All'atto pratico, dunque, cosa succede a locazioni e affitti di ramo d'azienda se un evento di forza maggiore o un factum principis influisce sull'utilizzo dei locali per l'uso convenuto? La domanda è quella che i retailer e i professionisti del settore si sono posti sin dai primi giorni del lockdown nella primavera del '20 e che è stata alla base di molte cause dei retailer avverso i "padroni di casa". A distanza di 2 anni e all'esito di molti contenziosi si osserva che le corti di merito abbiano ritenuto il factum principis (nel caso specifico, i provvedimenti governativi di chiusura dei negozi durante il lockdown e i giorni di "zona rossa") come evento atto ad influire sull'equilibrio dei contratti retail: se il retailer non può usare i locali per l'attività commerciale a causa di un ordine dell'autorità, ha diritto ad una riduzione del canone che tenga conto dello stop imposto, ma anche della circostanza che il retailer abbia continuato ad avere la detenzione dei locali occupandoli con arredi e merci. D'altro canto, le corti non hanno invece ritenuto che la pandemia di per sé giustificasse un intervento giudiziario di modifica del canone per i giorni di apertura soprattutto

nel '20 nonostante i scarsi afflussi di clienti a seguito delle misure di prevenzione. Ci auguriamo che il conflitto russo-ucraino non degeneri su più ampia scala, ma sussistendone il rischio potrebbe aver senso già ora trattare espressamente le conseguenze di un non auspicato conflitto nei contratti in divenire. Ciò per una maggior chiarezza nei rapporti tra le parti anche alla luce dell'esperienza Covid.

franChising: l'abuso di diPendenza eConomiCa

di alessandro barzaGhi, Partner, CoCuzza & assoCiati

Il trend legale più interessante nel campo del franchising è l’abuso di dipendenza economica. Forse complice il periodo di crisi coincidente con la pandemia Covid, i tribunali si sono trovati ad occuparsi della questione a più riprese ed ora anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”). L’abuso di dipendenza economica è previsto dalla legge 192/1998, in tema di subfornitura; la legge vieta “l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice”, definendo la dipendenza economica come “la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi.” Benché la legge stabilisca il divieto di abuso di dipendenza economica solo in relazione alla subfornitura, la Cassazione ha talora applicato per analogia il divieto anche ad altri contratti quali, ad esempio, il franchising. Il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è nullo. Sussistendone i presupposti, il giudice civile può condannare il franchisor al risarcimento dei danni e l’AGCM può procedere a diffide e sanzioni. Nel novembre '20 l’AGCM ha avviato un’istruttoria nei confronti di un importante marchio di abbigliamento. Stessa sorte è toccata nel '21 ad altro marchio di abbigliamento per bambini e ad una nota catena di fast food. Si attende a breve l'esito di questi procedimenti. Giova elencare alcune pattuizioni e condotte del contratto di franchising che sono state ritenute abusive: • politiche di prezzo al limite dell’imposizione; • obbligatoria partecipazione a campagne promozionali; • impegni ad investire somme considerevoli nell’allestimento del punto vendita, nel marketing, nelle fees di ingresso e royalties; • obbligo di avvalersi dei professionisti del franchisor per la progettazione del punto vendita; • obbligo di consegna di garanzia bancaria e polizza assicurativa; • tempi di consegna merce modificabili; • limitazioni al diritto di far valere la garanzia per difetti; • divieto di change of control o change of management; • divieto di cessione del contratto; • divieto di cessione del punto vendita;

• esclusione di indennità e rimborsi in caso di risoluzione contrattuale; • prerogative al franchisor sulla merce invenduta e sugli arredi alla cessazione del contratto. Il franchising è il contratto con il quale l’affiliante impone limiti e regole al proprio affiliato, a cui permette in cambio di utilizzare la propria insegna. È ben vero che il franchisee diventa parte del sistema distributivo del franchisor, ma è altresì vero che egli si giova di un avviamento e di una notorietà che appartengono all’affiliante. Il sindacato di un giudice o dell’AGCM in quest’area deve, pertanto, sempre essere effettuato con estrema misura. Naturalmente senza pregiudizio per il rigoroso scrutinio ed eventualmente la censura di clausole abusive, anche in relazione al contesto specifico.

la riforma del CodiCe di ProCedura Civile ed il suo imPatto nel mondo retail/real estate

di roberto tirone, Partner, CoCuzza & assoCiati

Con la Legge del 26 novembre 2021, n. 206, verrà riformato il processo civile. Un elemento di novità della riforma attiene all’estensione dell’obbligatorietà della mediazione per i contenziosi relativi ai contratti di franchising e di subfornitura. Prima di iniziare una causa relativa a rapporti di franchising o di subfornitura sarà, dunque, necessario instaurare un procedimento di mediazione. In assenza dell’esperimento della procedura di mediazione, la causa sarà improcedibile. La procedura di mediazione richiede l’assistenza di avvocati e la partecipazione di un mediatore professionista. Ciò comporta un evidente aggravio di spese per tutte le parti coinvolte. La procedura di mediazione, poi, dilata evidentemente i tempi del processo in caso di mancata conciliazione. La procedura di mediazione, però, può portare alle parti in lite anche dei rilevanti vantaggi: se il mediatore è abile spesso si riescono a trovare soluzioni conciliative di reciproca (in)soddisfazione delle parti. I costi di mediazione, dunque, in caso di transazione potrebbero risultare ben inferiori ai costi di una causa. Un secondo elemento di novità della riforma è l’estensione ai contratti di affitto d'azienda della procedura di convalida, di licenza per scadenza del contratto e di sfratto per morosità. Sinora si è ritenuto che la stipula di un contratto di affitto d’azienda avesse dei pro e dei contra rispetto ai contratti locazione: il concedente, ad esempio, non poteva utilizzare la procedura sommaria di sfratto, ma doveva essere utilizzata la procedura ordinaria, con conseguente dilatazione dei tempi e maggiori costi. Ora il concedente potrà utilizzare la procedura sommaria di convalida di sfratto, abbreviando, così i tempi e potendo anche ottenere il rilascio dell’azienda, nonostante l’opposizione dell’affittuario.

interessanti novità dalla riforma del CodiCe del Consumo

di marta marGioCCo e patrizio Cataldo, senior assoCiate, CoCuzza & assoCiati

Il New Deal for Consumers - ovvero il pacchetto di direttive europee emanate nel 2019 con l’obiettivo di incrementare la tutela dei consumatori e garantire un mercato unico equo per consumatori e imprese – ha finalmente iniziato la propria attuazione in Italia. Il 1° gennaio 2022 sono entrati in vigore il D. Lgs 170/2021 e il D. Lgs 173/2021, che hanno recepito la direttiva UE 2019/770 e la direttiva UE 2019/771. Il 28 maggio scade invece il termine per l’attuazione della direttiva UE 2019/2161, cd direttiva omnibus. Si tratta di un’imponente riforma delle norma in materia di tutela del consumatore di cui da tempo il mercato europeo, stretto in una disciplina non più attuale, sentiva la necessità, che mira a stabilire regole comuni in materia di vendita di beni di consumo e di contenuti e servizi digitali conclusi online e offline, in grado di favorire gli scambi nel mercato interno, aumentando il livello di protezione dei consumatori. Consistenti le modifiche introdotte al Codice del Consumo dal D. Lgs 170/2021 e dal D. Lgs 173/2021. Cambia intanto la definizione stessa di bene, che si estende ai beni con contenuti digitali, ovvero quei beni mobili che incorporano o sono interconnessi con un contenuto o servizio digitale, tanto da non poter svolgere le loro funzioni in assenza di quest’ultimo. Alla nuova qualificazione del bene di consumo, si accompagnano nuovi obblighi e responsabilità per il venditore, tra cui l’obbligo di tenere informato il consumatore sugli aggiornamenti disponibili, anche di sicurezza, necessari al fine di mantenere la conformità dei beni, e a fornirglieli, nei termini determinati dalla norma. Rispetto alla previgente normativa, è stato confermato il termine di prescrizione di ventisei mesi dalla consegna entro il quale il consumatore deve far valere i vizi mentre è stato eliminato l’onere del consumatore di denunciare i vizi dei beni, a pena di decadenza, entro 2 mesi dalla scoperta. In aggiunta, a beneficio del consumatore, è stato esteso da 6 a 12 mesi il termine entro il quale si presume che il difetto del bene fosse presente al momento della consegna, salvi i casi in cui tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità. Per quanto concerne la garanzia convenzionale, il professionista è ora tenuto, in ogni caso, a rappresentare e consegnare al consumatore all’interno di un supporto durevole e mediante un linguaggio semplice e chiaro i relativi termini e condizioni. Uno dei tratti più innovativi della riforma riguarda la nozione di corrispettivo in cui ora rientrano (anche) i dati personali comunicati dal consumatore. In tal modo il legislatore ha recepito e regolato (seppur solo in relazione a determinati profili) una prassi posta in essere da anni da numerosi operatori, incrementando la tutela del consumatore, ad integrazione della protezione già assicurata dalla normativa in materia di tutela della privacy.

l’ambiente entra (definitivamente) nella Costituzione

di thomas mambrini, Partner, CoCuzza & assoCiati

L’entrata in vigore della Legge Costituzionale n. 1, approvata lo scorso 8 febbraio, sancisce l'ingresso della tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli animali tra i valori fondamentali della Costituzione. Più in particolare, il rinnovato art. 9 - Principi fondamentali - recita che la Repubblica tutela "….l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali". La riforma ha riguardato anche l'art. 41 - Rapporti Economici - della Costituzione, dedicato alla libertà di esercizio dell'attività economica ed imprenditoriale, stabilendo che le stesse non possono svolgersi in contrasto, oltre che con l'utilità sociale, la sicurezza la libertà e la dignità umana, neanche in modo da arrecare danno alla salute e all'ambiente. Altresì l'art. 41 oggi prevede che la Legge dovrà individuare le modalità con le quali l'attività economica venga indirizzata non solo a fini sociali ma anche "..ambientali" inserendo quindi la tutela di cui sopra tra le finalità perseguite dallo Stato e dalle sue istituzioni. L' "ambiente", inteso come bene comune e oggetto degno di tutela, non è mai stato del tutto estraneo alla Costituzione: grazie all'interpretazione evolutiva che la giurisprudenza, soprattutto della Corte Costituzionale, ha dato della nozione di "paesaggio" prevista dall'art. 9 Cost., in coordinamento con l'art. 32 sulla tutela della salute, il diritto ad un ambiente salubre in cui vivere era già oggetto di tutela alla stregua di altri beni. Con la riforma l'ambiente diventa soggetto di tutela quale valore in sé considerato, a prescindere dal valore riflesso che ha per la vita e dalla visione antropologica che lo caratterizzava (così recependo l'orientamento della Corte Costituzionale, es. sent. n. 536/2002; n. 126/2016). La riforma ha il merito oltre che di dare rango di valore costituzionale alla tutela della biodiversità e degli ecosistemi, anche quello di cristallizzare un quadro sociale e politico in cui "ambiente" non è soltanto quanto di naturalisticamente il termine implica ma anche tutti gli elementi che, direttamente o indirettamente possono incidere sulla vita e sulla qualità della vita dell’uomo. In quest'ottica, ed a tutela delle future generazioni, è stato introdotto anche il principio del c.d. "sviluppo sostenibile", che alla luce delle modifiche dell'art. 41 Cost., da elemento distintivo di alcuni movimenti politici (e, spesso, argomento di mera propaganda) diventa ora un indirizzo politico per il Legislatore e per l'azione pubblica, nonché un parametro di legittimità anche della condotta dei privati. Chiara quindi l'importanza della riforma, che, circostanza non di minore rilievo, allinea la nostra Carta costituzionale a quelle di altri Paesi europei (es. Francia e Germania) che già da tempo contemplano la tutela dell'ambiente quale valore fondamentale della società civile.

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