24 HOURS PIZZA PEOPLE

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1. Una passeggiata tipografica Parole e foto di Simone Sbarbati

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e lettere non comunicano soltanto il messaggio che possiamo leggerci sopra. Le lettere hanno anche un sapore, trasmettono qualcosa, possono addirittura suonare: c’è una designer — Sarah Hyndman — che si occupa di psicologia della tipografia e tiene laboratori durante i quali chiede ai partecipanti di indovinare il tipo di musica incisa su un vinile, avendo come unico indizio un carattere tipografico attaccato al posto dell’etichetta del disco. E non è così difficile: ci sono lettere dure e lettere morbide, lettere jazz, lettere metallare, lettere soul. I caratteri, che siano stampati, incisi, fusi, battuti o dipinti, raccontano storie.

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ettering does not only communicate the message it spells out. The letters also have a flavour, they express something, they can even be musical: Sarah Hyndman is a designer who studies the psychology of lettering and holds workshops during which she asks participants to guess what kind of music there is on a vinyl record, the only clue being a single letter in place of the record’s original label. And it’s not that difficult: there are hard letters and there are soft letters, jazz letters, heavy metal letters, soul music letters. Letters, whether printed, engraved, cast or wrought or painted, tell a story. Bologna has gained from and given much to lettering. Bologna was home to the glossators, jurists who, between the 11th and 12th centuries, recorded legal documents in the university, adding hand written notes either in the margins or between the lines of the pages. They were so famous that still today you can admire mausoleums dedicated to them in Piazza Malpighi and in Piazza San Domenico. Bologna is also where the “Liber Paradisus” was written, the book that in 1256 abolished slavery and proclaimed - the first city ever to do so - the liberation of serfs.

LE LETTERE NON COMUNICANO SOLTANTO IL MESSAGGIO CHE POSSIAMO LEGGERCI SOPRA. LE LETTERE HANNO ANCHE UN SAPORE, TRASMETTONO QUALCOSA, POSSONO ADDIRITTURA SUONARE.

Bologna ha avuto e dato tanto alle lettere. A Bologna c’erano i Glossatori, i giuristi che tra il XI e il XII secolo, all’interno dell’Università, annotavano i testi di diritto, apponendo commenti manoscritti a margine o tra le righe della pagina. Erano talmente celebri che ancora oggi, in Piazza Malpighi e in Piazza San Domenico, si possono ammirare dei mausolei a loro dedicati. A Bologna è stato scritto il “Liber Paradisus”, il libro che nel 1256 abolì la schiavitù e proclamò — prima città in assoluto a farlo — la liberazione dei servi della gleba. Fu un Bolognese, l’orafo e punzonista1 Francesco Griffo, a inventare, a cavallo tra il ‘400 e il

Between the 15th and 16th centuries it was Francesco Griffo, a goldsmith and type puncher1 from Bologna, who invented italic typeface. Francesco Simoncini2 was also from Bologna and he desi-

1 In tipografia è l’artigiano che incide i punzoni con cui vengono battute le matrici per la fusione dei caratteri

1 In typography a craftsman engraves the stamps from which the dies are made to cast the letters

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‘500, il corsivo tipografico. Da Bologna arrivava anche Francesco Simoncini2, che progettò il Garamond Simoncini, utilizzato da Einaudi e molte altre case editrici per i loro libri. E poi ci sono le lettere della strada, quelle delle insegne e dei numeri civici, dei tombini e dei cartelli. Il designer e storico dell’arte inglese James Clough — autore del libro “L’Italia Insegna” (Lazy Dog, Milano, 2015) — le chiama scritte urbane. Tali scritte riflettono la società che le ha prodotte, parlano di una città e di ciò che è stata. Le targhe, le vetrofanie e le insegne storiche italiane, quindi, possono anche essere molto diverse da quelle di Parigi, ad esempio, di Barcellona3 o di Londra. «Le migliori insegne inglesi — scrive Clough — tendono a essere più “borghesi” e molto più prevedibili del miglior lavoro italiano». Basta passeggiare, soprattutto per il centro storico, per trovare segni del passato attraverso le lettere. Il modo in cui sono state scritte, lo stile, il colore, il supporto sul quale sono disegnate, il materiale con cui sono costruite: ogni elemento dà indizi temporali, anche molto precisi. Indizi che inevitabilmente si intrecciano con la Storia e con le storie, quella dell’arte, dell’industria e dell’economia, dell’urbanistica, della manifattura, e di tutte le persone che ci sono dietro. In questo mio viaggio nel tempo — che ovviamente non può essere esaustivo vista l’abbondanza di materiale visibile in città — ho deciso di non preoccuparmi della cronologia ma di seguire un itinerario più o meno casuale, da flaneur, tra 2 Griffo e Simoncini sono tra i protagonisti del libro illustrato “Tipi di Bologna”, di Giulia Garbin e Stefano Riba, stampato in edizione limitata da Anonima Impressori. A Simoncini, inoltre, è anche dedicato “Metodo Simoncini”, Ronzani Editore, 2017, catalogo dell’omonima mostra organizzata a Bologna presso il Museo del Patrimonio Industriale dall’Associazione Francesco Griffo da Bologna. 3 Alle insegne di Parigi e Barcellona sono stati dedicati due libri, “Graphique de la rue” e “Grafica de les Rambles”, entrambi opera della designer Louise Fili ed entrambi usciti per i tipi di Princeton Architectural Press.

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gned the Garamond Simoncini typeface, used by Einaudi and many other publishing houses for their books. And then there is street lettering, used for the numbers on buildings, manhole covers and street signs. The British designer and art historian, James Clough — author of the book “Signs of Italy” (published by Lazy Dog, Milan, 2015) — calls it urban lettering. Lettering that reflects the society that produced it, that tells the story of a city, its history. Historical nameplates, window decals and shop signs in Italy can therefore be very different from those, for example, of Paris, Barcelona3 or London. «The best British signs writes Clough - tend to be more “bourgeois” and far more predictable than the best Italian craftsmanship». A short stroll, particularly around the historic centre of Bologna, is enough to discover traces of the past through lettering. How they were written, their style, colours and background, the materials they were made with: each component provides a clue to its era, often a very precise one. Clues which inevitably also interlace with the history of the city, of art, industry and the economy, urban planning, manufacturing, and all the people who played a part in it. In this journey of mine through time—which obviously can’t be exhaustive given the vast amount to be seen in the city— I have decided not to bother with chronology but take a more or less casual route, like a flaneur, among the places that are most memorable and close to my heart, and those I have 2 Griffo and Simoncini appear in the illustrated book “Tipi di Bologna” (Types of Bologna) by Giulia Garbin and Stefano Riba, printed in a limited edition by Anonima Impressori. “Metodo Simoncini” published by Ronzani Editore, 2017 is also dedicated to Simoncini, and is the catalogue for an exhibition of the same name held in Bologna at the Museo del Patrimonio Industriale by the Associazione Francesco Griffo da Bologna. 3 There are two books on the shop and street signs of Paris and Barcelona “Graphique de la rue” and “Grafica de les Rambles”, both by the designer Louise Fili and both published by Princeton Architectural Press.

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luoghi del cuore e della memoria e quelli che più mi hanno incuriosito in anni di passeggiate per la città. Comincio dalla periferia, dal mio quartiere, il Navile. Più precisamente dal Parco della Zucca. Qui, su due lati di un palazzo signorile dell’800, si può ancora leggere TRAMVIE DI BOLOGNA, scritto in grandi lettere di metallo. In quella che all’epoca era una zona piena di orti, nel 1880 venne costruito da un’azienda belga il deposito della tramway. Prima trainati da cavalli e in seguito elettrici, i tram rimasero lì fino al 1963. L’arrivo del tram fu solo uno dei motivi di vanto della città, che tra la seconda metà dell’800 e gli inizi del ‘900 visse un grande periodo di rinascita civile, economica e artistica dopo le guerre d’Indipendenza. È allora che vennero dipinte, scolpite, soffiate, battute molte delle insegne storiche che oggi si possono ammirare in centro, sempre più spesso fotografate da appassionati e catalogate su piattaforme come Instagram.4

been most curious about in years of wandering around the city. Starting from the suburb where I live, the Navile neighbourhood. And more precisely from Parco della Zucca. Here, on both sides of an elegant 19th century apartment block you can still read TRAMVIE DI BOLOGNA (BOLOGNA TRAMWAYS), written in large metal letters. In 1880, at a time when this area was formed mostly by vegetable plots, a Belgian company built a tramway depot. Drawn first by horses and then powered by electricity the trams remained here until 1963. The arrival of trams was not the only thing the city had to boast about: between the second half of the 19th century and the beginning of the 20th century it underwent a period of great civic, economic and artistic revival, following the Wars of Independence. It was then that many of the signs in the city centre you can still see today were painted, sculpted, blown and forged and which are more and more frequently photographed by enthusiasts and documented on platforms such as Instagram.4

Nel 1860 venne addirittura istituita a Bologna una Commissione d’Ornato che, prima di essere abolita, nel 1910, aveva il compito di «tutelare gli elementi e i motivi architettonici presenti nelle strade, nelle piazze, nei palazzi», come scrive Alessandro Molinari Pradelli nel libro “Bologna in vetrina. Dall’Unità d’Italia alla Belle Epoque” (Cassa di Risparmio di Bologna, Bologna, 1994), che prende in esame proprio quegli anni. Secondo Pradelli, che ha svolto numerose ricerche e riporta nel libro disegni e fotografie, è agli artigiani che va il merito dello splendore artistico e decorativo di quell’epoca. La gran parte delle vetrine e dei manufatti è andata purtroppo perduta. Degli esempi che ancora rimangono, invece, in molti casi a perdersi è stata la memoria. Pochi, pochissimi, anche tra le rare attività che esistono ancora nei luoghi in cui sono state per decenni,

In 1860 even a ‘Committee for the Decorative’ was established in Bologna which, before being abolished in 1910, was responsible for «protecting details and architectural features in the streets, squares and on the palazzos», as stated by Alessandro Molinari Pradelli in the book “Bologna in vetrina. Dall’Unità d’Italia alla Belle Epoque” (Shop Fronts in Bologna. From the Unification of Italy to Art Nouveau, published by Cassa di Risparmio di Bologna, 1994) which examines that very period. According to Pradelli - who carried out extensive research and included drawings and photographs in his book - the artistic and decorative splendour of that era is all thanks to the craftsmen. Unfortunately many shop fronts and artefacts have been lost. And of those that

4 Segnalo il profilo @letteringdabologna, che però, ahimè, non riporta gli indirizzi delle “battute di caccia alle insegne”.

4 I recommend the profile @letteringdabologna, which unfortunately however does not provide the addresses of its old shop signs.

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ricordano la storia di quando, chi, come ha realizzato l’insegna. Quella che viene a crearsi, dunque, è una sorta di crepa temporale. Come quando, ad esempio, passando per Via IV Novembre, proprio accanto a Piazza Maggiore, l’occhio che osserva l’insegna crede di trovarsi davanti alla storica Cappelleria Dante Barbetti, ma quello che guarda la vetrina si deve accontentare di un banalissimo negozio di abbigliamento e scarpe come se ne trovano quasi in ogni città. Inaugurata nel 1821, la cappelleria ha resistito fino al 2010. Mio padre, che adora i cappelli classici, quando veniva a Bologna a trovarmi, e si usciva a passeggiare, proponeva sempre: «andiamo dai cappelli». Talvolta lo dice ancora, dimenticando che il negozio non c’è più. Per qualche istante, però, l’illusione funziona, sia per chi ha visto i luoghi originali che le insegne segnalavano, sia per chi non c’era, e può lasciarsi andare a quella che alcuni chiamano anemoia, cioè la nostalgia di qualcosa che non si è vissuto. Ciò non toglie che, per chiunque abbia la curiosità e la voglia di guardare e cercare (magari con l’aiuto della sezione “Botteghe Storiche” sul sito turistico Bologna Welcome), il viaggio nel tempo possa offrire belle soddisfazioni. Si può immaginare di entrare nell’Albergo Diurno Cosbianchi, che ha chiuso nel ‘98, ma l’insegna del 1911 con decorazioni floreali in stile liberty è tuttora al suo posto, accanto al voltone del Podestà, insieme ai prezzi per un bagno o un tavolo da scrittura. Si può poi andare a bere un caffè al Bar Vittorio Emanuele (oggi un più signorile Caffè Vittorio Emanuele) lì vicino, magari prima di andare a vedere uno spettacolo al Teatro Modernissimo, in Piazza Re Enzo, con l’insegna a mosaico, sotto la quale ora c’è un altro negozio di abbigliamento. Oppure andare, con la mente, ad acquistare i tessuti da F. G. Pasquini, nella stessa via IV Novembre della cappelleria di mio padre. O ancora, chiedere le carni bovine e ovine di Baraldi nel negozio di lusso che ora c’è al suo posto in via Clavature. Quest’ultima, e il dedalo di vie e vicoli chiamato Quadrilatero, è forse l’area a più alta densità

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remain, it is often the history of them that has been lost. Of the tiny number of businesses that have remained in the same place for decades, there are very few that remember when, how or who made their shop sign. The result is a kind of time warp. For example, when walking along Via IV Novembre, right next to Piazza Maggiore, you might catch sight of a shop sign declaring the presence of the historic Dante Barbetti hat shop. But when your gaze falls to the window display it is met with nothing more than mundane clothing and shoes, just like those found in any town. The hat shop first opened in 1821 and survived until 2010. When my father, who loves traditional headwear, visited me in Bologna he would always suggest a stroll «to see the hats». Sometimes he still says it, forgetting that the shop is no longer there. For an instant, however, the illusion works, both for those who witnessed the original shop that the sign relates to, as well as for those who didn’t and who can succumb to what some call anemoia: nostalgia for something you have never experienced. That does not take away from the fact that, for anyone with the curiosity and the desire to poke around (perhaps with help from the “Botteghe Storiche” page on the Bologna Welcome website) a trip back in time can be very rewarding. You might imagine entering the old Albergo Diurno Cosbianchi (public baths and day hotel), which closed down in 1998 but of which the original 1911 sign, with its art nouveau floral decorations, is still in place next to the Palazzo del Podestà arcade together with the price list for a bath or a place to write. You could then go and drink a coffee at the nearby Vittorio Emanuele Bar (today the more elegant Vittorio Emanuele Café), perhaps before going to Piazza Re Enzo to see a play at the Teatro Modernissimo, with its mosaic emblem, below which is now another clothing store. Or take an imaginary stroll to shop for household fabrics at F. G. Pasquini, in the same street as my father’s hat shop. Or perhaps enquire about Baraldi beef and mutton meat in the

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di lettere dal passato della città. Sono decine gli esempi, ed è sufficiente anche una breve passeggiata per accumulare stili, epoche, materiali, differenti gradi di abilità (perché non mancano gli esemplari un po’ più rozzi, ma ugualmente interessanti). Qui c’era la Cartoleria e Legatoria di Libri con Fabbrica di Registri all’Insegna del Palombo, chiusa pochi anni fa. C’erano, dal 1831, gli articoli casalinghi di Giulio Schiavi. C’era l’Ottica A. Paoletti, sulla cui insegna si può vedere quella che probabilmente è firma del pittore: Boschi Zuin. C’era la ditta Primo Garagnani, con uno splendido esempio di insegna in ceramica faentina. C’era — e c’è ancora — la Bottega della Luce, che non è l’unica ad essere rimasta al suo posto, riallineando gli assi temporali. Basta girare l’angolo in Via Drapperie per trovare l’Antica Aguzzeria del Cavallo, che esiste dal 1783 e si chiama così perché un tempo si potevano affilare le lame grazie a una mola tirata appunto da un cavallo. Poco oltre, la Pescheria Brunelli, che risale al 1924 e che James Clough, nel già citato “L’Italia Insegna”, inserisce tra le «scritte insolite ed eccentriche». E poi Atti, con le specialità bolognesi e l’ottimo pane (definito addirittura Pane di lusso sull’insegna originale dell’800), gestita dalla stessa famiglia per cinque generazioni. Subito accanto, la Ditta A. F. Tamburini, dal 1932 celebre in tutto il mondo per salumi e tortellini. Tamburini, come Atti, l’Antica Aguzzeria, la Pescheria e molte altre, ha resistito ai terribili bombardamenti che la città (una tra le più colpite) ha subito durante la Seconda Guerra Mondiale, a partire dal 1943. Di quel periodo terribile rimangono esempi di un’altra tipologia di lettering: i pittogrammi, che segnalavano i rifugi antiaerei e i numeri per chiamare le squadre di soccorso. Su alcune colonne, lungo via Indipendenza si possono ancora vedere le V che segnalavano i condotti di ventilazione. In Strada Maggiore una C sta a significare che lì c’era una cisterna temporanea, che poteva essere utilizzata dai Vigili del Fuoco. In Vicolo delle Dame una freccia indica la presenza di un rifugio in Via Castiglione. Un segnale simile, in Via Benedetto XIV, convive con

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luxury goods store that is now in its place in Via Clavature. This last street is in the maze of narrow roads and alleyways called Quadrilatero and is perhaps the area of the city with the highest density of old shop signs. There are dozens of examples and it only takes a short walk to see different styles, eras, materials and standards of craftsmanship (indeed there is no shortage of less sophisticated, but just as interesting, examples). This was once home to Cartoleria e Legatoria di Libri con Fabbrica di Registri all’Insegna del Palombo which closed down a few years ago. The Giulio Schiavi household goods shop, first opened in 1831, used to be here too. As was the A. Paoletti opticians, its sign bearing the probable signature of the sign-painter himself: Boschi Zuin. The Primo Garagnani firm had premises here, with a splendid sign in Faience ceramics. There was – and still is - the Bottega della Luce, one of those to still exist in their original premises, thus realigning past and present. From there you can pop round the corner, into Via Drapperie, to find the Antica Aguzzeria del Cavallo, which has been there since 1783 and is so called because you could once sharpen your knives there on a grindstone turned by a horse. A little further on there is the Brunelli fish shop, dating back to 1924, which James Clough, in his previously mentioned ‘Signs of Italy’, lists under «unusual and strange signs». And then there is Atti, selling Bologna’s specialty foods and excellent bread (it is actually defined as Luxury Bread on the original 19th century shop sign) and has been run by the same family for five generations. Next door is Ditta A. F. Tamburini famous throughout the world for its salamis and tortellini. Tamburini, like Atti, the Antica Aguzzeria, the fish shop and many others, all survived the terrible bombardments that the city (one of the worst hit) suffered during the Second World War from 1943 onwards. From that terrible era there are other remaining lettering examples: the pictogram that marked the air-raid shelters and the number for calling rescue services. On some of the columns along Via Indipendenza you can still

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pittogrammi ben più moderni: le tag. Altre frecce, in Vicolo Fantuzzi, avvertono della presenza di uscite di sicurezza, che venivano marcate pure con le lettere US, come quelle che si possono ancora vedere su una colonna di via Santo Stefano. Lungo la stessa via, al numero 45, vicino alla fermata dell’autobus, una scritta fornisce un indirizzo (Via Zamboni 13) e dei numeri di telefono per le richieste di soccorso. Passandoci davanti, ogni volta mi viene voglia di provare a chiamare. Chissà, qualcuno risponderà dal passato? Improbabile. Ma a parlare — lo ripeto — ci sono comunque le lettere. Parlano dai vecchi numeri civici, incisi in tanti stili differenti (compresi quelli che si possono ammirare sulla pavimentazione dei portici, davanti ad alcuni ingressi), che raccontano di una città organizzata in maniera completamente diversa rispetto a quella attuale. Parlano dalle tante fogge (e epoche) delle targhe che vietano l’affissione. Parlano dai tombini, gli anonimi tombini, anch’essi però, per chi presta attenzione, forieri di scoperte, tra pattern e lettere molto interessanti. Parlano da una bizzarra incisione — INQUILINI — sopra a un campanello in Via Castiglione 41. Parlano dalle insegne Posta e Telegrafo, alle quali quasi non si fa caso, sulla facciata del Palazzo delle Poste, inaugurato nel 1911 in Piazza Minghetti, mentre poco lontano, nell’adiacente Piazza del Francia, un orologio all’angolo con Via Castiglione ricorda le catastrofi che la grandine provocò nelle campagne bolognesi a fine ‘800. La struttura dell’orologio riporta infatti la scritta LA REALE GRANDINE, una compagnia di assicurazioni fondata proprio a Bologna nel 1891. A proposito di orologi, in via Santo Stefano c’è un negozio molto curioso, Al Pêndol, un’oreficeria e orologeria in cui lavorava l’artigiano Giuseppe Fini, che il Corriere ribattezzò l’Hugo Cabret di Bologna. Fini, infatti, che cominciò in quella stessa bottega come fattorino negli anni ‘40 e che poi rilevò l’attività, nel ‘79 ha rifatto tutti i meccanismi dell’orologio più importante della città, quello di Palazzo d’Accursio, occupandosi poi

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see the V that marked the air vents. In Strada Maggiore a letter C indicated the presence of a temporary water cistern that could be used by the fire brigade. In Vicolo delle Dame an arrow indicates the presence of a refuge in Via Castiglione. A similar sign, in Via Benedetto XIV, shares its space with decidedly more modern pictograms: graffiti tags. Other arrows, in Vicolo Fantuzzi, indicated the presence of emergency exits that were also marked with the letters US (Uscite di Sicurezza) like those still to be seen on a column in Via Santo Stefano. On the same road, at number 45 and near a bus stop, there’s a sign providing an address (Via Zamboni 13) and a series of phone numbers to call in case of emergencies. Every time I pass it I feel like trying the numbers. Would somebody from the past answer? Probably not. But, I repeat, the letters speak for themselves. They speak to us from the old street numbers, engraved in many different styles (including a few set in the portico flooring in front of some of the entrances), which tell of a city organised in a completely different way to today. They speak through the various styles (and eras) of signs prohibiting billposting. They even speak from manhole covers: those anonymous manhole covers that, to those who pay attention, herald a host of interesting discoveries from their pattern to their lettering. They speak from a bizarre engraving — INQUILINI (residents) — above a doorbell in Via Castiglione 41. They speak from the, easy to miss, Posta e Telegrafo signs on the façade of the Palazzo delle Poste, that opened in 1911 in Piazza Minghetti, whereas a little further on, in the adjacent Piazza del Francia, a clock at the corner of Via Castiglione recalls the catastrophe caused by a hail storm in the Bolognese countryside at the end of the nineteenth century: the clock supporting structure bears the sign LA REALE GRANDINE (The Royal Hail), an insurance company founded in Bologna, precisely in 1891. Speaking of clocks, there is a very unusual shop in Via Santo Stefano called Al Pêndol: a jeweller

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della sua manutenzione per decenni. Ora il negozio è gestito dalla figlia. Passato il testimone, le storie continuano. Talvolta basta entrare e chiedere. Come nell’Antica Farmacia dei Servi, vicino alla Chiesa di Santa Maria dei Servi, dove mi hanno raccontato che l’insegna è probabilmente degli anni ‘30 ma un tempo in quello stesso spazio c’era l’ingresso dei cavalli che si recavano all’interno del palazzo. Poi, prima di diventare farmacia, venne trasformato in caffè chantant. Le decorazioni sono ancora lì, e chiunque entra ad acquistare un farmaco può immaginare di riviverne l’atmosfera.

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and watchmaker shop that was once the workplace of the craftsman Giuseppe Fini, renamed by the Corriere as the Hugo Cabret of Bologna. It was Fini, who started out in this very shop as an errand boy in the Forties and eventually took over the business, who in 1979 replaced the entire mechanism of the city’s most important clock, the one in Palazzo d’Accursio, and then oversaw its maintenance for decades. His daughter now runs the shop. Having passed the baton, the stories continue. Sometimes it’s enough to pop in and ask. Like in the Antica Farmacia dei Servi, near the Santa Maria dei Servi church, where they told me that the shop sign probably dates back to the Thirties but that the space used to be the entrance for horses to the building’s courtyard. Then, before becoming a pharmacy, it was turned into a cafè chantant. The original decor still exists and anyone who happens to pop in for some aspirin can let their mind wander and relive the atmosphere.

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