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La sfida del capitale umano

La sfida del capitale umano

Dal campo all’azienda, la vera formazione è soprattutto la capacità di condividere esperienze. Sentirsi parte di qualcosa di più grande valorizza la nostra individualità.

di SAMUELE ROBBIONI, psicopedagogista sportivo e clinico, senior trainer Randstad Sport, docente Randstad Hr Solutions

Uno dei momenti più affascinanti e sfidanti di chi fa il mio lavoro, si scopre il primo giorno di ritiro ad inizio di una stagione. Quando lavori in uno sport di squadra, ti trovi davanti decine di persone, con le loro aspettative e motivazioni, che vengono da esperienze e culture diverse, con differenti età e ruoli.

In quel momento tu sai che devi fare di quel gruppo di persone una squadra, mediando i loro obiettivi individuali all’interno di un obiettivo di team che, se raggiunto, valorizza sempre la loro crescita individuale. In sintesi, devi trasformare le esperienze soggettive in capitale umano al servizio del team.

Sono convinto che la vera formazione non sia semplicemente una forma d’insegnamento ma, soprattutto, la capacità di condividere esperienze, come quella che ho avuto il piacere di vivere accompagnando venti manager di Confindustria Trento e Federmanager in uno study tour di due giorni sul tema del “capitale umano”, all’interno di una delle realtà più innovative e d’eccellenza del panorama automobilistico mondiale, la Scuderia AlphaTauri.

È stato un percorso formativo in-tenso, ideato e progettato con il pre-zioso supporto di Randstad, azienda leader mondiale nella selezione e gestione delle risorse umane e Official HR Partner del team italiano di Formula 1. Insieme alle divisioni Sport e Academy di Randstad, da anni, lavoriamo per tradurre le metafore del mondo sportivo professionistico in stru-menti e modelli di lavoro utili per le aziende e i manager nel loro percorso di carriera.

Condivido con voi cinque spunti formativi, “allenati” in aula, che non hanno alcuna pretesa dogmatica, ma semplicemente potrebbero rappresentare una preziosa bussola per passare dal “potenziale” al “capitale” umano.

Il primo, appreso da Gianfelice Facchetti, attore, scrittore, regista, ma soprattutto amico, che mi ha insegnato che la condivisione di racconti, esperienze, obiettivi e competenze è il modo più efficace per valorizzare le potenzialità delle persone che lavorano con noi. Le persone crescono, cambiano, migliorano nel momento in cui scoprono la capacità di raccontare le loro esperienze ed ascoltare quelle degli altri, la base iniziale per costruire identità di squadra. Il secondo, imparato in tanti progetti formativi vissuti insieme ad Otello Valenti, HR e Legal Director di Scuderia Alpha Tauri, da cui ho imparato che in Formula Uno a più di 300 km/h la domanda principale da farsi è: che cosa è prioritario nel mio ruolo? Prioritario, aggettivo stupendo nella sua valenza più profonda derivante dalla lingua latina: “per valore”, che non implica quindi un’urgenza immediata a cui rispondere, ma la consapevolezza di una vision di ruolo e di team a cui rimanere fedeli.

Il terzo, la vera sfida nello sport e nelle aziende non è comprare il giocatore di talento, ma valorizzare il talento dei giocatori che hai a disposizione, un concetto che ho elaborato lavorando nei settori giovanili di storici club calcistici. È importante insegnare ai giovani talenti/manager, l’importanza di passare da un mindset statico, mi alleno per vincere una partita, ad uno dinamico, mi alleno per migliorare.

Il quarto, le cicatrici che non guariscono sono quelle delle partite che decidiamo di non giocare bloccati dalle nostre resistenze. Ciò che ci spaventa di più di fronte ai cambiamenti, non è tanto la paura di non essere adeguati, ma quello di scoprirci più competenti di quello che le nostre resistenze vogliano farci credere. È importante passare dal concetto di resilienza, un rialzarci a volte meccanicamente nelle difficoltà senza per forza imparare qualcosa, al concetto di antifragilità, che parte da una domanda molto semplice; cosa ho imparato/sto imparando nelle difficoltà o sotto pressione? (pensate a quante competenze e nuove modalità professionali avete appreso negli ultimi due anni!).

Il quinto, spesso confondiamo il percorso più veloce con quello migliore. Nel calcio e nel basket, il modo più veloce per arrivare da un punto A ad un Punto B (da una porta/canestro all’altro) è tracciare una linea retta, ma non è sicuramente il migliore perché l’avversario ti intercetta palla! Conoscere i componenti del proprio team, osservando gli avversari, esplorando il campo, scoprendo nuovi schemi e competenze di gioco è il modo più impegnativo, ma anche più innovativo, per migliorare e crescere. Recentemente parlando con il grande coach Fefè De Giorgi, allenatore della Nazionale Italiana di Volley maschile, gli ho chiesto come avesse fatto nell’arco di poche settimane a prendere una squadra che arrivava dal fallimento olimpico e riportarla sul tetto d’Europa dopo 16 anni. Mi ha detto con una semplicità disarmante: “Se qualcuno si lamentava gli domandavo se quello di cui stavamo discutendo era comodo per lui o utile per la squadra”. Credo che la valorizzazione del capitale umano passi da qui, da quello che in psicologia sportiva viene definito “stato di meraviglia” cioè il sentirsi parte di qualcosa di più grande di noi che valorizza la nostra individualità.

Ed infine vi propongo un piccolo esercizio che faccio con molti atleti che seguo; “Come ti piacerebbe essere ricordato al termine della tua carriera sportiva dai tuoi compagni di squadra, i tuoi allenatori, i tuoi avversari, i tuoi tifosi?” La bellezza di quella immagine che visualizziamo dipende dalle scelte che facciamo qui ed ora, perché è la consapevolezza di ciò che siamo, diciamo e facciamo che valorizza il nostro capitale umano!

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