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economia
L’Italia deve sapersi analizzare
Se la nostra economia nel suo complesso non cresce abbastanza, è perché nei settori diversi da quelli produttivi non vi è stato nessun cambiamento sostanziale.
di DANIELE BERTI, Confindustria Trento
a inizio anno la business community prova a tirare le somme dell’anno passato e stimare alcune variabili che interesseranno l’economia di quello nuovo. Ci troviamo in una fase di profonda incertezza, dove anche il più virtuoso dei modelli previsionali può essere smentito. Tre sono gli elementi di instabilità che caratterizzano lo scenario geopolitico mondiale. Il primo riguarda le elezioni americane che avverranno in uno stato di profonda precarietà politica e con il presidente uscente coinvolto in una procedura di impeachment. Inoltre, dopo gli accordi raggiunti con la Cina, sul tavolo di Trump ci sono ora nuovi dazi nei confronti di prodotti europei (acciaio e alluminio). Il secondo elemento di incertezza riguarda la Brexit. Dopo la vittoria a sorpresa di Boris Johnson le probabilità di Hard Brexit sono sempre più alte. Cosa ne sarà di tutte le questioni aperte? Dalla questione del confine nordirlandese alla volontà della Scozia di rimestare in Europa, fino ad arrivare allo status dei migranti europei nel Regno Unito. Il terzo elemento di incertezza, che ci accompagnerà anche negli anni a venire, riguarda la necessità di trasformare il nostro intero ecosistema produttivo per renderlo sostenibile sia a livello ambientale che sociale. L’Europa si è già mossa in tal senso, il cosiddetto Green New Deal non potrà limitarsi però a un insieme di azioni isolate, ma sarà necessario venga inserito in una visione sistematica che comprenda il mercato del lavoro, la formazione di nuove competenze, e un indirizzamento della politica industriale. A livello nazionale la nostra economia subisce i forti contraccolpi dell’incertezza che si respira a livello internazionale. Nonostante questo, TIPICAMENTE
le stime del report trimestrale The European House – Ambrosetti confermano che nel quarto trimestre 2019 ci sia un moderato ottimismo tra imprenditori e amministratori delegati che ricalca il valore registrato a settembre. (+17,3% su una scala che va da -100, completo pessimismo, a +100, massimo ottimismo). Tuttavia, il Fondo monetario internazionale attesta le nostre stime di crescita per il 2020 a +0,5%, posizionandoci negli ultimi posti della classifica europea degli ultimi 9 anni. Ma non sempre i dati aggregati presi in maniera semplicistica possono spiegare davvero l’andamento reale dell’economia. Sarà necessario quindi scomporre il bilancio complessivo prendendo in considerazione i nove anni 2010-2018 per evitare conclusioni approssimative. Possiamo quindi dividere questi anni in due tronconi: un primo periodo di forte crisi (2010- 2014) e un secondo di significativa crescita (2015- 2018). Il primo caratterizzato da politiche di austerità, che pur parzialmente necessarie hanno fortemente penalizzato l’Italia e il secondo in cui l’economia italiana ha dato prova di ragguardevoli capacità di reazione nel momento in cui è stata opportunamente stimolata. Considerando la dinamica del valore aggiunto di Italia e Germania e disgregando ulteriormente i dati si ottengono chiavi interpretative sorprendenti. Se guardiamo agli interi nove anni 2010-2018, i numeri condannano effettivamente l’Italia, il cui valore aggiunto è aumentato complessivamente soltanto del 3,4%, contro il +19,2 della Germania. Ma scomponendo i nove anni in due periodi distinti, il primo periodo è caratterizzato dal solito andamento, Germania in testa e Italia ad inseguire affannosamente, mentre nel
quadriennio 2015-18 il quadro cambia. Infatti, il valore aggiunto della Germania aumenta del 7,8% e quello dell’Italia del 5%. Il distacco dunque si riduce. Ma non è tutto: in questo secondo periodo, disgregando i dati ulteriormente si nota che il settore pubblico italiano pesa negativamente dello 0,4% sul computo totale, mentre quello tedesco ha contribuito “keynesianamente” addirittura del 2,2%. Depurato del contributo del settore pubblico, l’aumento del valore aggiunto italiano nel 2015-18 è stato del +5,4%, contro il 5,6% della Germania. Alla crescita italiana di questo ultimo periodo hanno contribuito in maniera determinante l’industria in senso stretto con un 2% cumulato. In particolare, l’Italia è cresciuta molto nel triennio 2015-17, facendo registrare un valore aggiunto al netto del contributo del settore pubblico addirittura superiore alla Germania. Che cosa è accaduto? La stagione di riforme e di riduzione fiscale su imprese e famiglie, di crescita dell’occupazione e di stimolo degli investimenti (tra questi industria 4.0) avviata nel triennio 2015-17 ha determinato un cambio di passo decisivo nei settori core dell’economia reale italiana. Servono dunque analisi meno superficiali e preconcette sulla crescita italiana e sulle sue determinanti reali. Un altro esempio di mal interpretazione dei dati può essere quello sulla frenata dell’export italiano. A novembre 2019 l’Istat ha attestato una variazione dell’export del -4,2% sul mese precedente, dato peggiore dal 2011. Depurando il dato dalla volatilità delle singole rilevazioni è possibile avere un’idea più chiara della tendenza di fondo. Se calcoliamo sui dodici mesi chiusi a novembre 2019 l’andamento del commercio estero, otteniamo un valore superiore a 476 miliardi di euro (nel 2011 era 360 miliardi di euro) e un saldo commerciale positivo nel suo massimo storico superando i 52 miliardi di euro (nel 2011 era negativo per oltre 30 miliardi). Questo come ulteriore dimostrazione che c’è ancora un’Italia che produce, compete, innova e vende i propri prodotti all’estero. Non sta scritto da nessuna parte che il nostro Paese sia condannato a crescere meno degli altri. Laddove sono stati introdotti cambiamenti l’economia italiana è riuscita a superare le maggiori nazioni dell’Eurozona, in particolar modo nel settore industriale. Se la nostra economia nel suo complesso non cresce abbastanza, non è quindi colpa delle imprese manifatturiere troppo piccole o perché facciamo poca ricerca e innovazione o perché non esportiamo abbastanza, ma perché nei settori diversi da quelli produttivi non vi è stato nessun cambiamento sostanziale. Lo Stato in molti suoi ambiti rimane inefficiente ed è solo in minima parte digitalizzato offrendo servizi pubblici che creano poco valore aggiunto. Servirà quindi riprendere in mano le politiche che hanno dimostrato funzionare nel recente passato, inserendo poi numerose riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno e che molti intellettuali invocano da anni.