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Un Dio che gioca in compagnia degli uomini
di don Marcello Brunini
La tradizione cristiana, seppure in un filone minoritario, ha sottolineato la dimensione positiva del gioco e della danza, anche se in generale la Chiesa si è opposta al gioco, alla danza.
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Un teologo tedesco, già nel 1948, aveva scritto un saggio dal titolo significativo, Homo ludens, L’uomo che gioca, riproponendo riflessioni antiche che non si sono soffermate a descrivere soltanto l’homo ludens, ma un Dio capace di giocare e una Chiesa avvolta nella danza.
Mi pare degno di interesse riproporre qualche aspetto di una polis-ludens, “città giocosa”, che ritrova nel gioco una gioiosa libertà, tale da rendere i suoi abitanti e coloro che in tanti accorrono a vivere quell’evento “homines ludentes”, uomini e donne giocose.
La riflessione che permette di inquadrare la dimensione giocosa della città riflette la vostra missione educativa verso i ragazzi e i giovani, che vanno aiutati a rendere il gioco un momento significativo della loro esistenza. Per la Bibbia, il primo a giocare è Dio stesso. Il libro sacro non ha imbarazzo a personificare la Sapienza divina raffigurandola come una “fanciulla” che danza, divertendosi nel cooperare a creare il mondo. Il libro dei Proverbi (8,27-31) mette in bocca alla Sapienza divina queste parole:
Quando Dio creava i cieli, io ero là; quando tracciava l’orizzonte della superficie dell’oceano.
Quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell’abisso, quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini, quando fissava le fondamenta della terra io gli ero accanto come fanciulla io lo allietavo ogni giorno (ero la sua estasi), giocando alla sua presenza tutto il tempo, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo.
La Sapienza è figlia prediletta di Dio. Questa “fanciulla” gioca davanti a lui, come una bambina spensierata.
La Sapienza sta davanti a Dio, ma il giocodanza che preferisce è sulla terra e in compagnia degli uomini. Così la Sapienza che aveva cominciato giocando davanti a Dio e stando con lui, termina il suo percorso in compagnia degli uomini e divertendosi con loro. È il preludio di quello che i cristiani riconoscono nell’incarnazione del Figlio di Dio. Un antico autore si esprime così: “in virtù della sua origine dal Padre, il Figlio è addirittura definito “bambino”, poiché in rugiadosa freschezza e bello come un fiore che nella sua eterna gio- vinezza, gioca in ogni tempo davanti al Padre”. Colui, allora, che accetta di giocare con la Sapienza-Verbo di Dio sarà trasfigurato ad immagine del Deus-ludens e diverrà homo-ludens, uomo “giocoso”, donna “giocosa”, saggio, prudente. Al contrario colui che ne prende distanza diverrà “stolto”, si divertirà unicamente a “ordire inganni”.
Dopo Dio, il secondo a giocare è l’uomo (l’Adam) – termine che trattiene sia il maschio che la femmina.
Questi è creato a immagine del Dio che gioca, come homo ludens. Se egli fosse solo ludens rimarrebbe una sorta di giocatore d’azzardo chiuso nella sua superficialità. Se fosse unicamente homo sarebbe un disperato avvolto nella sua depressione. L’uomo autentico è homo ludens, colui che, da fine umorista serio e sereno, sa “sorridere” anche tra le lacrime, convinto che l’esistenza umana è lieta e tragica insieme: lieta perché sempre raccolta in Dio, tragica perché pericolosamente libera.
In definitiva l’homo-ludens vive “in tensione” tra semplicità e dignità. Sa giocare e usare le “cose” quotidiane senza disprezzarle sentendosi libero da esse, perché non devono essere prese troppo sul serio. L’homo ludens è consapevole che gioco e serietà, sorriso e pazienza, in definitiva non sono altro che fratello e sorella.
Insieme a Dio e all’uomo anche la Chiesa e la città sono chiamate a giocare, invitate ad essere comunità ludiche, comunità giocose. Le creature umane per fare festa si radunano in comunità. Il dolore può bastare a se stesso, ma per apprezzare a fondo la gioia è necessario condividerla.
La Bibbia invita a trasfigurare l’umana esperienza. La città di Gerusalemme pacificata sperimenta una sorta di “infantilità redenta”. Lo annuncia il profeta Zaccaria (8,4-5): “Vecchi e vecchie siederanno nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. Le piazze delle città saranno piene di ragazzi e ragazze che giocheranno sulle sue piazze”.
La comunità cristiana realizza la profezia di Zaccaria nella liturgia, vissuta come ”gioco divino”, nell’annuncio gioioso del vangelo di Gesù, nello stare insieme come “comunità gioiosa e giocosa”.
La città la esprime quando gode di sicurezza e profonda pace. Allora ragazzi, giovani, adul-
Parola di Dio
ti, anziani, liberi da “doveri”, possono festeggiare nella gioia con il gioco e la danza. Città e Chiesa sono invitate a sperimentare la serietà del gioco, sapendo – come avverte il Vangelo – che “se non diventiamo come bambini non possiamo entrare nel regno dei cieli”. In principio, dunque, era il gioco. Ma anche alla fine, quando – come nei dipinti del Beato Angelico – gli uomini intrecceranno le loro danze nei verdi pascoli del cielo, sarà il gioco, un’esplosione di festa, gaudio senza limiti, premio di vita eterna.
L’uomo-ludens è colui che attende di entrare nella danza celeste; attende di partecipare al gioco con la Sapienza divina.
Antichi testi cristiani si soffermano a descrivere la danza del Verbo incarnato. Nel Cantico dei Cantici troviamo scritto (2,8-9): “Un rumore…
Il mio amato! Eccolo viene superando d’un balzo monti e colline. Il mio amato è simile alla gazzella o al giovane cervo”. Ippolito Romano (II-III secolo) commenta: “Che immensi misteri! Che significa questo balzare? Il Verbo eterno è balzato dal cielo fino nel grembo della Vergine. Dal grembo della Madre è balzato sulla croce. Dalla croce è sceso fino negli inferi e, di là, nella carne dell’umanità, sulla terra… nuovissima risurrezione! Dalla terra è balzato nel cielo, dove siede alla destra del Padre. E di nuovo balzerà sulla terra in tutta la sua magnificenza per la redenzione finale”. Questa interpretazione, però, non è che la spiritualizzazione della danza.
Va notato che, in quasi tutti i secoli in numerose Chiese, vescovi, preti e fedeli allestivano nella liturgia delle “danze sacre”. Alcune testimonianze risalenti al XIII secolo ricordano come, vicino al Natale, vescovi e arcivescovi con i loro preti e fedeli organizzavano nel chiostro o nella sede vescovile oppure nel coro della cattedrale, un gioco con la palla o delle danze o dei canti. Questo evento veniva chiamato “libertà decembrina” perché ricordava una usanza pagana in cui, in un giorno di dicembre, gli schiavi, i pastori e le serve avevano una certa libertà anche nei confronti dei loro padroni.
Eventi simili accadevano pure nel pomeriggio del giorno di Pasqua. Un rituale della cattedrale di Besançon del 1582 dispone che dopo le tre del pomeriggio le danze abbiano luogo nel chiostro, ma se il tempo è piovoso, al centro della navata. Si canteranno alcuni inni secondo l’ordine processionale. Alla fine della danza, nella sala del capitolo, verrà offerto un sorso di vino bianco e rosso.
La festa – il gioco, anche se può apparire azzardato, si inserisce in questo alveo e, se vissuto tra sorriso e pazienza, può aiutarci a passare dall’homo-faber, che dalle cose cerca sempre un vantaggio per sé, all’homo-ludens che vive con più libertà imparando dal gioco non l’interesse, ma la fraternità, la gratuità. Il gioco autentico – quando non è vissuto come un anestetico o addirittura come un oppio – è contestazione delle ingiustizie esistenti e prefigurazione di rapporti nuovi; attraverso di esso si riconosce che le cose non devono essere come sono, ma si anticipa e si sperimenta un avvenire diverso, un nuovo stile di vita.
Come sottolinea il profeta Isaia (52,7): “Come sono belli i piedi danzanti delle donne che annunciano la pace”. Concludiamo con l’affermazione di Hermann Hesse nel suo libro
Il pellegrinaggio in Oriente: “La vita, se bella e felice, è proprio un gioco. Naturalmente possiamo anche farne tutt’altra cosa: un obbligo, una guerra, un carcere, ma non la faremo per questo più bella”.
di suor Maria Pia Mucciaccio