41 minute read
Antonio Rostagno
Antonio Rostagno (†)
Generi, contesti, esperimenti della composizione per orchestra di Mercadante
Advertisement
La produzione di Mercadante piú nota nel campo strumentale è quella dei Concerti per strumento solo e orchestra, che tuttavia non è sufficiente a testimoniare lʼimportanza di questa sezione del suo catalogo. I Concerti (per flauto o per clarinetto), sono allineati a un linguaggio convenzionale prevedibile e con scarso interesse armonico, senza sperimentazioni di scrittura dʼinsieme né particolari interessi formali; insomma produzione di consumo. Al piú tardi dal 1860, però, tutto cambia nella produzione per orchestra: subentra una mentalità diversa, dove si riduce lo spazio per la convenzione e Mercadante non si contenta piú di una comune scrittura elegante o dʼintrattenimento; si direbbe che la prodizione sinfonica inizia un processo di emancipazione dal semplice svago sonoro, non piú sufficiente né al compositore né al nuovo uditorio a cui sa di rivolgersi. Nel decennio delle società di concerti professionalizzate, subito dopo lʼUnità, la composizione sinfonica eleva immediatamente le mire, lʼambizione culturale, il livello estetico. Insomma siamo prossimi alla concezione estetico-contestuale che contraddistingue la “rinascita strumentale italiana”.
Si è discusso a lungo se questa “rinascita” sia stata un fenomeno reale o unʼinvenzione degli storiografi ex post;1 anche grazie allo studio della tarda pro-
1 Ne parlo approfonditamente in Giuseppe Martucci, un solitario e formidabile cammino, in Giuseppe Martucci. Gli autografi della Collezione Pagliara di Napoli, Lucca, lIm, 2009, pp. 11-32; ed anche nella Musica e storia della Nuova Italia attraverso la figura di Sgambati, in Giovanni Sgambati, Milano, Curci, 2018 pp. 2-37. Diviene evidente in questi scritti che i compositori strumentali e sinfonici italiani del medio e tardo Ottocento non possono essere ridotti al ruolo di semplici epigoni o pionieri, o in ritardo in anticipo (su cosa poi?), ma sempre fuori del loro tempo. Non è mai cosí: dal tardo Mercadante a Martucci sono tutte risposte a esigenze vive e attuali del cotesto, che ovviamente non è quello germanico, per cui applicando evidenze contestuali di cerchie e realtà socio-culturali diverse il risultato non può che esserne inficiato, la lettura storica falsata. Sono semmai altri i settori dove un evidente influsso germanico diviene evidente; la produzione sinfonica di Alfredo Catalani, parte di quella di Anto-
duzione orchestrale di Mercadante siamo ora in grado di fornire una risposta a mio avviso solida e attendibile, e sostenere che di vera e propria “rinascita” di può parlare, ma nella giusta prospettiva: non è stata affatto un semplice fenomeno statistico dato che in termini puramente numerici si componeva di piú nella prima metà del secolo, ma erano quasi sempre semplici brani come ouverture in tempo unico, concertoni o concerti dalla fisionomia preformata in ogni suo aspetto, composizioni destinate a una sola esecuzione, appunto da consumare in un unico ascolto e poi rinnovare ogni volta. Con il decennio delle società dei concerti (i Sessanta, appunto) la media statistica ossia il numero assoluto cala, ma si innalza progressivamente il livello e lʼambizione della composizione sinfonica, e in questo senso Mercadante è uno dei primi autorevoli testimoni di questa nuova direzione. Insomma, se di “rinascita strumentale italiana” vogliamo parlare ancora, e mi sembra del tutto legittimo, dobbiamo considerare il fenomeno sul piano della storia culturale, dobbiamo leggerlo come una svolta verso la composizione piú impegnata, una risposta a un uditorio desideroso di maggiore impegno. Non si tratta, perciò, di una semplice questione numerica o statistica.
Ecco per esempio come ne è consapevole uno dei piú acuti osservatori del momento, Alberto Mazzucato: come direttore del conservatorio di Milano, Mazzucato infatti pensa in primo luogo a migliorare la qualità dellʼesecuzione e dellʼascolto, dando al conservatorio una forma di centro attivo per realizzare un miglioramento culturale ben la di là della semplice esecuzione materiale. Nella «Gazzetta musicale di Milano» scrive un lungo saggio dʼintenti programmatici che va nella direzione stessa che stiamo delineando. Secondo Mazzucato «Biblioteca e Museo porrebbero argine alla fugacità di questʼarte»; a cui aggiunge dieci corollari (storia, tradizione italiana, prassi esecutiva di tradizione nazionale, musica religiosa, erudizione storico-letteraria, scuola collettiva ecc.) dalla cui sinergia scaturirebbe senza errori una nuova civiltà, una nuova sociabilità della musica.2
nio Smareglia, Gaetano Coronaro, certo Franco Faccio orchestrale, Luigi e il fratello Marino
Mancinelli. Per parlare di rinascita si dovrebbe assistere a una corrente alternativa e autonoma, consapevole e legata ad autorità di comune riferimento. E questo avviene in Italia piú tardi, quando Mercadante è realmente “fuori del giro”. È il “decadentismo italiano in Europa” che trova in Martucci e Puccini i suoi campioni (ANToNIo roSTAGNo, Martucci e Puccini.
Decadentismo musicale italiano, in Giuseppe Martucci e la caduta delle Alpi, a cura di Antonio
Caroccia, Francesca Seller e Paologiovanni Maione, Lucca, lIm, 2009, pp. 372-396). In ogni caso, il testo di riferimento per la mole di informazioni rimane SerGIo mArTINoTTI, Ottocento strumentale italiano, Bologna, Forni, 1971, sebbene privo di un taglio storiografico qualunque sia, attento solo a radunare disjecta membra sotto labili etichette per lo piú crono-geografiche. 2 AlBerTo mAZZuCATo, Il nuovo regolamento del Conservatorio [traggo queste notizie dalla IV puntata], «Gazzetta musicale di Milano» XX/45, 9 novembre 1862. In questo fondamentale articolo Mazzucato aveva postulato elementi di innovazione di grande rilievo: accusata la musica strumentale di essere estranea auspica premi per composizioni strumentali «almeno fino a che il cresciuto favore non accresca il valor materiale di siffatto nobilissimo genere»
Se Milano e Firenze si muovono a ritmi rapidi, Napoli non sta ferma, sebbene con iniziative di genere un poʼ diverso. La produzione di Mercadante si fa intensa, termina il lavoro come operista anche a causa della cecità e riversa le sue attenzioni sulla strumentale, tanto nel campo orchestrale quanto in quello sinfonico-corale, trovando un ambiente favorevole.
Gli anni Sessanta: nuove società di concerti, nuovi modi di ascolto
Inutile qui fare un abbozzo di catalogo di questa produzione, né individuarne capolavori dimenticati; ma la produzione del “decennio orchestrale” di Mercadante (i Sessanta) è degna di attenzione. Non fosse altro perché siamo nel decennio in cui iniziano in tutta la penisola segnali di una nuova cultura musicale esterofila, quella stessa che preoccupava Verdi:3 è il decennio delle Società del quartetto,4 a cui Verdi avrebbe voluto contrapporre “Società del quartetto vocale”. Eppure lo stesso Verdi nel 1873, non per caso a Napoli, compone il suo unico Quartetto per archi; parrebbe
segno di mutamento socio-economico. Forse un poʼ ottimisticamente, poi, constata la progressiva maturazione del pubblico. E conclude rilevando la necessità, per lʼesecuzione della musica moderna, di unʼampia cultura analitica anche nei violinisti ed esecutori concertisti e orchestrali. «Le orchestre italiane difettano di buoni violinisti. Gli allievi devono poter udire i loro lavori per orchestra» (Id., ibidem XX/54, 26 ottobre 1862, II puntata). 3 Fra le diverse lettere in cui Verdi esprime la sua contrarietà alla disseminazione delle Società del Quartetto nelle città italiane, nel suo disegno di costruzione di una cultura nazionale che non disperdesse le proprie caratteristiche, è qui sufficiente ricordare quella dellʼaprile 1878 (minuta, destinatario ignoto; I copialettere di Giuseppe Verdi, pubblicati e illustrati da Gaetano
Cesari e Alessandro Luzio, Milano, Tip. Stucchi Ceretti & C., 1913, p. 626; rist. anast. Sala Bolognese, Forni, 1987): «Dodici o quindici anni or sono, non ricordo se fu a Milano o altrove, mi nominavano presidente di una Società del Quartetto. Rifiutai e dissi: Ma perché non istituire una Società di quartetto vocale? Questa è vita italiana. Lʼaltra è arte tedesca. Era forse anche allora bestemmia come adesso, ma unʼistituzione del Quartetto vocale che avesse fatto sentire Palestrina, i migliori suoi contemporanei, Marcello etc. etc. avrebbe tenuto vivo in noi lʼamore del canto, la cui espressione è lʼopera». Per inciso, le parole di Verdi non caddero nel vuoto, poiché alla fine degli anni Settanta a Milano fu attiva precisamente una società per le esecuzioni corali, la Società del Quartetto Vocale milanese, fondata e diretta da Martin Roeder («Gazzetta musicale di Milano» XXXIII/1, 6 gennaio 1878, s.n. Alla rinfusa, pp. 6-7). Roeder dispone di voci “istruite nella musica” (non dilettanti, lʼazione del coro non è il diletto, ma la formazione culturale continua), che cantano solo polifonia a quattro parti. Roeder poi è berlinese, e questo fatto proprio negli anni del cecilianesimo italiano è un problema di carattere nazionalista. In alcune occasioni Roeder tentò il ricupero di esecuzioni a parti ridotte, con due-tre cantori per voce, anche per prendere le distanze da una seconda società corale attivissima in città, la Società Corale Milanese di Alberto Leoni, con la quale la Società del Quartetto Milanese si sviluppa anche una certa tensione o competizione. 4 Ho proposto e argomentato la divisione in decenni (i Sessanta decennio delle Società del
Quartetto, i Settanta decennio delle Società orchestrali, gli Ottanta il decennio delle grandi manifestazioni pubbliche) in La musica per orchestra italiana nellʼOttocento, Firenze, Olschki, 2003.
una casualità, ma non è esattamente cosí: Verdi aveva in mente di scrivere un quartetto almeno dal 1865, come attesta lʼepistolario con Angelo Mariani,5 quindi la decisione del 1873 non deriva solo dallʼimprevista pausa nelle prove della prima locale di Aida, ma consegue a un processo che ha origini lontane. E allora, perché proprio a Napoli? Evidentemente la piazza non aveva nulla di meno rispetto alle piú forti capitali della cultura strumentale italiana come Firenze o Milano; e questo va a merito anche del tardo Mercadante, che spese molte energie in questo settore.
La celebre “rivoluzione teatrale mercadantiana” lo aveva messo in grado di lavorare su minimi particolari, restringere lʼattenzione sui dettagli tanto della forma quanto dellʼorchestrazione. La qualità della scrittura si era molto evoluta nella direzione del trattamento motivico a volte assai raffinato nei tempi di attacco e di mezzo; con lʼesito di acuire la resa scenica, il “momento scenico”, il punto preciso che spicca dalla pagina, un traguardo agevolmente applicabile poi anche nella composizione strumentale. Dopo il culmine in tal direzione, collocabile negli anni del Bravo (1939) e del Reggente (1843), Mercadante applica i risultati anche ad altri generi e nel tardo sinfonismo troviamo molte particolarità degne del massimo interesse. Si potrebbe dire, vista la situazione, che la composizione orchestrale fosse il logico sbocco di decenni di lavoro in questa direzione, e si potrebbe dire che questa sia una mentalità a suo modo rivoluzionaria che, prendendo le mosse dal teatro, trova un suo ultimo e non minoritario sbocco nella produzione orchestrale. La conduzione armonica è del tutto inusuale, con lasciti e imprestiti che certo non possono farsi risalire allʼonda lunga appresa sui partimenti, ma direttamente dalla resa a teatro. Il fare persino gluckiano, a ben guardare, non è assente neppure in brani orchestrali monumentali come Il lamento del bardo o lʼOmaggio a Rossini, quindi non solo nelle grandi opere teatrali della maturità come La Vestale o Il Bravo.
A questa situazione personale si sposa perfettamente la condizione contestuale cittadina. Cosa accadeva a Napoli in quel momento è noto: era una città musicalmente molto attiva in concerti pubblici e nei salotti (sí da giungere spesso alla recensione giornalistica): fra lʼattività del Circolo Bonamici dal 1863 e i primi Concerti Popolari diretti nellʼestate del 1862 da Bottesini, con lʼappoggio dello stesso Mercadante.6 La penisola, dopo lʼUnità si muove abbastanza uniformemente fra i
5 Lettera di Angelo Mariani a Giuseppe Verdi, Cesena, 20 agosto 1865: «Ho letto in un giornale che tu stai componendo un quartetto ed una Sinfonia, è vero? - È una notizia che fu tolta dallʼArte Musicale di Parigi, giornale di Escudier, il che mi farebbe credere che ciò fosse vero». (SantʼAgata, Villa Verdi, Archivio Verdi, Epistolario Mariani consultabile in riproduzione presso lʼIstituto Nazionale di Studi Verdiani, Parma) 6 È la prima iniziativa in Italia a darsi il nome poi divenuto consueto di “concerti popolari”. La stagione, programmata in sedici concerti, si ridusse a soli sei concerti, nei quali Bottesini diede una pionieristica prova di sé come direttore sinfonico. I programmi erano piuttosto leggeri, con prevalenza di brani brevi e trascrizioni, fra cui spicca unʼesecuzione parziale della Seconda Sinfonia di Beethoven (reNATo dI BeNedeTTo, Beethoven a Napoli nellʼOttocento,
II, «Nuova Rivista Musicale Italiana» V/2, marzo/aprile 1971, pp. 201-241: 202.)
Sessanta, che ho chiamato “il decennio delle società del quartetto”, e i Settanta, “il decennio delle società orchestrali”:7 nel 1862 Firenze, prossima a diventare Capitale del Regno, avvia la prima Società del Quartetto stabile, che nel 1863 avvia anche Concerti popolari per orchestra (dir. Teodulo Mabellini); nel Centenario di Dante, il 1865, diverse sono le composizioni dedicate, da Pacini a Mabellini, da Carlo Romani a Gialdino Gialdini, Baldassarre Gamucci e altri. Nel 1864 apre lʼattività anche la Società del Quartetto di Milano (che include esecuzioni sinfoniche dellʼorchestra della Scala).
Sono cose note, ma non sempre è nota la musica che quellʼambiente ha prodotto, ancora nata e consumata con la mentalità dellʼeffimero, della composizione di occasione, che tanto a lungo accompagna la musica strumentale in Italia. Ancor prima che una questione di tecnica compositiva o di estetica, quindi, lʼassenza di un repertorio strumentale italiano è la conseguenza dallʼatteggiamento dʼascolto, del comportamento della società piú che dai concetti e costrutti strettamente musicali. La composizione strumentale non genera repertorio nelle abitudini italiane del medio Ottocento, perché è destinata ad Accademie Filarmoniche o concerti episodici, quindi o esecuzioni private o occasionali. Possiamo dire che la condizione della musica orchestrale italiana dellʼ800 dipende piú dalla situazione performativa che dalla sostanza compositiva.
Eppure le novità della composizione orchestrale di Mercadante lasciano il segno in alcuni allevi, per esempio Costantino Palumbo (anche suo scriba nel periodo della cecità) divenne a sua volta un apprezzato compositore sinfonico con buoni risultati come il poema sinfonico Rama, fra altri; e da questo contesto in movimento nei Settanta inizia la parabola del maggiore compositore sinfonico dellʼOttocento italiano, Giuseppe Martucci.8
La linea quindi si può tracciare con chiarezza, nel percorso che congiunge Nicola Antonio Zingarelli, Mercadante, i suoi allievi e Martucci, una linea culturale parallela, complementare ma alternativa alla tradizione dei partimenti, a cui non è possibile ridurre molti dei principi del genere orchestrale di Mercadante e del suo periodo, un genere che segue altre vie, altri indirizzi, altri obiettivi e richiede un diverso atteggiamento allʼascoltatore.
A Rossini. Sinfonia (1864)
Propongo subito un estratto dal “decennio orchestrale” di Mercadante, quando lʼormai cieco compositore (dal 1862) detta le partiture agli allievi e collaboratori; i frontespizi indicano fra essi Carlo Panara e il già ricordato Costantino Palumbo.
7 Vedi nota 4. 8 Martucci avvia il suo catalogo molto presto, nei Sessanta, ma nei Settanta attivano le prima composizioni di grande respiro come la Sonata per pianoforte, quella per pianoforte e violino e il Quintetto.
La sinfonia A Rossini (da non confondere con le quasi omonime Omaggio a Rossini, Omaggio allʼimmortale Rossini - Fantasia, Sinfonia su temi dello Stabat Mater, A Rossini | Inno | Con grandi masse vocali strumentali eseguito nei festeggiamenti della posa del busto in Pesaro il giorno 21 agosto 1864) è di indubbio interesse. Anche lʼOmaggio a Rossini, che però qui non trattiamo, presenta tutte le caratteristiche sopra indicate, brevità di motivi, sovrapposizione e deduzione di un motivo da un precedente, strumentazione sempre attenta a far risaltare il lavoro motivico anche nei particolari, alternata alla strumentazione pesante per le sezioni come la transizione fra primo e secondo tema, le zone cadenzanti, la coda.
Il deciso interesse impone di considerare la Sinfonia A Rossini un prototipo della Sinfonia nuova, non limitata allo schema di convenzione rossiniana: parlo della sinfonia ciclica, che sotto lʼapparenza di temi semplici spicca per la sua compattezza, unicità di concezione, insomma pienezza dei mezzi compositivi impiegati.
Figura 1: frontespizio della partitura (copia) della “sinfonia a grande orchestra” A Rossini eseguita in Pesaro nellʼagosto 1864. (I-NC, 41.7.31).
Figura 2: Delle feste fatte in Pesaro in onore di Gioacchino Rossini nel suo dí onomastico, 21 agosto 1864, Pesaro, Annesio Nobili 1864, (il comitato della neo-istituita “Società Rossiniana” era presieduto da Giovanni Pacini).
Esempio 1: SAVERIO MERCADANTE, A Rossini , bb. 1-6.
Dal primo elemento viene derivato il tema principale a b. 23 poi ampiamente sviluppato per tutta la sezione Andante; dal secondo si genera il tema principale dellʼAllegro con spirito (b. 57) in modo molto elegante e leggero; infine il terzo materiale, la scala discendente di quattro suoni, diviene il tessuto connettivo comune e facilmente adattabile ad ogni situazione, per esempio il tema secondario dellʼAllegro stesso (bb. 103-104, la scaletta discendente). Anche trascurando le assonanze con temi rossiniani (non è qui il citazionismo, lʼomaggio diretto che interessa Mercadante), già da questi brevi estratti si manifesta la pienezza della circolazione dei motivi esposti in inizio e continuamente variati nel carattere, sempre nella lineare semplicità di realizzazione.
Esempio 2: SAVERIO MERCADANTE, A Rossini, tema principale dellʼAndante [sviluppo melodico del motivo A].
Esempio 3: SAVERIO MERCADANTE, A Rossini, tema principale dellʼAllegro con spirito [sviluppo melodico del motivo B].
Questo è un modo di procedere comune per il Mercadante tardo, e mi pare proprio perciò degno di nota: il derivare, il dedurre varianti da nuclei non abbandonati alla loro prima comparsa, né semplicemente ripetuti dove la forma lo richieda.
Questi esempi mostrano anche come i tre motivi esposti in successione alle battute 1-6 siano sviluppati non secondo una logica costruttiva dei partimenti, ma secondo quella della continuità dialettica nellʼorganizzazione del tempo musicale: quello che prima era separato, frammentario, ora è divenuto ampia melodia e si attesta come la logica espressione di un intreccio, senza sottostare aprioristicamente a norme compositive o schemi sintattici preordinati.
Al tempo stesso questa Sinfonia è un saggio di orchestrazione mercadantiana, elogiata anche da Franz Liszt; pur lontanissimo dalla strumentazione ideale, visionaria dei grandi contemporanei, dʼaltra parte pur rimanendo legato alla prassi italiana di strumentazione a timbri puri o a raddoppi sistematici, Mercadante mostra alcune singolarità della scrittura orchestrale, che possono cosí riassumersi:
1. uso di ottoni e legni non solo solistico e non solo come ripieno armonico, ma per colorare i temi con maggior vivacità: per esempio alcune note tenute dei corni, alcuni disegni di sfondo divisi fra famiglie; 2. la scrittura di melodie e contromelodie a intarsio, sia con raddoppi episodici (per esempio trombe che accompagnano o lʼavvio o lʼapice di un tema); 3. archi impiegati in funzione timbrica indipendentemente da funzioni armoniche o da andamenti melodici: basta un esempio di una serie di raffiche puramente timbriche nellʼOmaggio allʼimmortale Rossini per mostrare lʼuso non sintattico-funzionale, ossia non finalizzato a chiarire il percorso sintattico armonico, come si faceva usualmente per esempio con i corni tenuti nelle modulazioni principali secondo la convenzionale dellʼouverture rossiniana; 4. vitalità di raddoppi o di strumentazione variata nelle ripetizioni di motivi ricorrenti, soprattutto evidente nel Lamento del bardo di cui parlo qui in chiusura.
Un poʼ di teoria della storiografia musicale
Ho voluto anticipare un esame della musica perché siano piú chiare le riflessioni storiografiche che ora avanzeremo. È il momento ora di completare lo sguardo dʼassieme, per poi chiudere con lʼesame ravvicinato di unʼultima partitura.
Nella sinfonia A Rossini, nonostante lʼelaborazione motivica quasi continua, non è difficile rintracciare i cardini della forma rossiniana; ma proprio questo è il dato che toglie anziché assegnare interesse a questa produzione, comʼè ormai chiaro. Il saggio di riferimento per questo tipo di analisi rimane ancora quello che Philip Gossett dedicò allʼargomento nel 1979.9 Nella consuetudine della sinfonia-ouverture
9 pHIlIp GoSSeTT, Le sinfonie di Rossini, «Bollettino del Centro rossiniano di studi» 19/1-3, 1979,
italiana ottocentesca Gossett insiste sulla forma a due temi senza sviluppo centrale, una “solita forma” come le altre.
È il momento di riflettere su quel saggio, e in generale sul suo concetto di “sinfonia rossiniana”, non cosí semplice e puramente tassonomico. Il punto di vista di Mercadante, che al tempo stesso conserva tanto quanto modifica il modello rossiniano, è il piú adatto per avviare questa revisione storiografica della musica per orchestra italiana del medio Ottocento al di là della “sinfonia rossiniana” nella formalizzazione di Gossett. Come tutte le “solite forme”, anche la sinfonia-ouverture è assai resistente, la sua sintassi permane a lungo grazie alla sua pronta efficacia (verso un pubblico che si accontenta di riconoscere le forme, mentre abbiamo visto che nellʼambiente napoletano si viene formando un uditorio con piú alte ambizioni), per cui è facile vederne i tardi sviluppi in Mercadante, fino alla sua liquidazione definitiva. Ma questa visione storiografica è possibile proprio grazie alla resistenza e longevità del modello schematizzato magistralmente da Gossett.
Questʼultimo, nel saggio citato, si faceva portavoce consapevole di una cultura strutturalista, una radicale riduzione dellʼindagine ai dati interni alla sinfonia e alla sua evoluzione tecnica; ben poca attenzione era dedicata al contesto storicoculturale, non al fatto che tanto i costrutti musicali quanto la grande forma siano frutto di una sociocostruzione, di una negoziazione (implicita o intenzionale) del compositore con tutto ciò che lo circonda e con la rete di relazioni in cui è immerso (lo voglia no, lo sappia o no). Una delle piú profonde avversioni di Gossett era quella che lui chiamava genericamente musicologia postmodernista, intendendo con ciò soprattutto i Cultural Studies, ai quali Gossett ha sempre voluto sottrarre la lettura di Rossini. Il saggio sulla sinfonia rossiniana, allora, non è solo un saggio su Rossini, ma anche un saggio di teoria storiografica, una testimonianza di strutturalismo musicologico e della concezione di musica assoluta sia pur riconsiderata (lo strutturalismo in tal senso non è un materialismo culturalista oggi tornato in auge, ma un idealismo basato sulla storia materiale; la distinzione è profondissima e senza di essa è inutile parlare di materiale musicale, di astrattezza strutturale, di forme o di solite forme).10
Ma se ci spingiamo oltre la visione a suo tempo necessaria impostata da Gossett, possiamo leggere la sinfonia italiana sotto un punto di vista opposto; la si può immaginare radicalmente sociocostruita, determinata da un ambiente tanto quanto frutto di impulsi personali, una simbiosi che porta frutti maturi nel Lamento del bardo, che vedremo fra poco.
È tempo di chiedersi se questa analisi sulla via segnata da Gossett, unʼanalisi astratta dalla cultura circostante, può portare a significative conclusioni nel caso
pp. 7-123. 10 La situazione viene sintetizzata in due saggi dal musicologo americano: Carl Dahlhaus and the “Ideal Type”, «19th Century Music» XIII/1, summer 1989, pp. 49-56: 52, o anche Verdi, Ghislanzoni and Aida: The Uses of Conventions, «Critical Inquiry» Dec. 1974, pp. 291-334: 321
della sinfonia italiana medio-ottocentesca. Per dirla chiara: in comunità di cultura come quelle di Vienna, Londra, Dresda o Lipsia, il compositore scrive per un pubblico che vuole dalla sinfona quella doppia finalità di profondità e grandiosità, vuole riconoscersi come ascoltatore colto, vuole che gli si parli con un linguaggio adeguato al suo livello culturale, vuole “mettersi alla prova”. Similmente Rossini sa di rivolgersi a uditori che hanno forte conoscenza dʼascolto e la sua sinfonia è un numero atteso per la quantità e qualità delle sorprese che essa riserva, pur nel quadro di riferimento sempre limpido e riconoscibile fino a Semiramide.
Ma per quale uditorio compone il musicista italiano fino alla metà del secolo? Lʼuditorio delle occasioni per cui si componeva ed eseguiva una sinfonia, il suo comportamento dʼascolto, non hanno nulla in comune con la situazione germanica, né con la situazione in teatro; come si può immaginare allora di applicare un metro di valutazione nato per quel repertorio ad una composizione che nasce con tuttʼaltri intenti e in tuttʼaltra “comunità di sentire”? Lʼesame strutturalista in sé è del tutto opposto a questa cultura e mentalità, per cui occorre tenere presente la distinzione e non cadere nellʼautoinganno, proiettando su quel materiale musicale concetti e idee ad esso del tutto estranei. Ecco che cosí si spiega come la deduzione motivica sopra dimostrata non annulli ancora del tutto la forma della convenzione rossiniana, come il compositore non si spinga ancora alla forma dettata liberamente dai motivi. Ma questo non deve mettere in secondo piano lʼeffettiva novità della scrittura mercadantiana.
Le sinfonie di Mercadante degli anni Sessanta sono ancora nate per occasioni, non per impulso dʼispirazione, sono pur sempre musica dʼoccasione per essere consumata al primo ascolto, e un ascolto non esclusivo, non attento come lʼodierno concerto: il comportamento di ascolto è sempre diverso, piú discontinuo, non assoluto; si svolge in situazioni socialmente connotate. Il concerto sinfonico, che in Germania ha la forma attuale già a fine Settecento per esempio a Lipsia, a Dresda, a Berlino e che già nei primi decenni dellʼOttocento è pratica comune, in Italia non inizia prima degli anni Cinquanta in modo del tutto episodico (ne riporto alcune anticipazioni da Milano a Napoli in La musica per orchestra nellʼItalia dellʼOttocento). Ma sarà solo con il 1870 che si apre anche per lʼItalia quello che ho chiamato “il decennio delle società orchestrali”, ossia il concerto a repertorio, con stagioni stabili e concerti a cadenza regolare, con musiche attese dal pubblico stesso, che inizia a familiarizzare con un repertorio di opere che conosce sempre meglio, e che vuole ascoltare sempre meglio.
Solo da questo momento, compositori e pubblico condividono un nuovo comportamento, una nuova intenzione di elevare la composizione e concepire ogni ascolto come un progresso, una maturazione (andare al concerto per studiare, lʼatteggiamento che piaceva a Filippo Filippi, ma che altri giornalisti attivi sulla pur ambiziosa «Gazzetta musicale di Milano» come Salvatore Farina o Antonio Ghislanzoni non mancarono di criticare). E a chiarire tali scopi ci pensò poco piú tardi Giulio Ricordi stesso quando, allʼapertura della Società dei concerti di Milano
scrisse sulla sua Gazzetta della volontà di «dotare Milano di una istituzione artistica la quale corrisponda veramente ai seguenti scopi: dilettare e commuovere, istruire ed elevare».11 Non occorrono commenti, se non che queste parole sono scritte nel 1878, quindi anche da questo punto di vista Mercadante sembra anticipare i tempi.
E lo stesso ripeteva Giuseppe Depanis a Torino quando affermava di ricercare «un identico scrupolo di equilibrio opportunistico nella composizione dei programmi. Lʼavviare il pubblico a gradi sulla buona strada senza urtarlo»12
Ma questo accade dopo la morte di Mercadante; per testimoniare la singolarità dellʼambiente napoletano e la posizione al suo interno dellʼormai anziano maestro, occorre riferirsi alle abitudini e ai comportamenti consueti prima del “decennio delle società orchestrali”, grosso modo fra il 1850 e il 1870. In questi decenni, generalizzando, le audizioni di musica sinfonica possono avvenire in tre situazioni prevalenti:
• sono concerti nelle accademie per cerchie di élite, ma élite di censo non di cultura (le vecchie Accademia Filarmoniche), che concepivano lʼesecuzione orchestrale come una autocelebrazione (e infatti spesso i soci erano anche gli esecutori) • oppure “beneficiate”, concerti nei teatri con cui un cantante si congedava da una città o uno strumentista solista si esibiva (Liszt, Paganini, Servais, Sivori,
Piatti …), concerti dove la sinfonia aveva funzione solo introduttiva, certo distratta e distraente prima del “pezzo forte” del cantante celebre, • infine cadono in occasioni sociali diverse, come commemorazioni o raduni in cui certo lʼattenzione allʼascolto è molto intermittente.
Nessuna di queste occasioni si svolgeva secondo modalità “da concerto” nel senso attuale:
e) non da parte del compositore, che scriveva con minore impegno rispetto alla composizione teatrale, f) non da parte degli esecutori: per lo piú la musica orchestrale si eseguiva a prima lettura, senza prove, e certo senza lʼimpegno che un Bellini imponeva alla Scala concertando le sue opere, come racconta di Alberto Mazzucato,13
11 GIulIo rICordI, Concerti popolare milanesi, «Gazzetta musicale di Milano» XXXIII/28, 14 luglio 1878, p. 248. 12 GIuSeppe depANIS, I concerti popolari ed il Teatro Regio di Torino. Quindici anni di vita musicale. Appunti – Ricordi, Torino, S.T.E.N., 1916, I, p. 49. 13 Alberto Mazzucato ricorda la precisione maniacale che precede la cavatina di Pollione «Meco allʼaltar di Venere» durante le prove della prima alla Scala nel 1831: «per turno, uno solo alla volta, e poi di nuovo da tutti assieme e sempre senza orchestra» (AlBerTo mAZZuCATo, A proposito di Roberto il Diavolo, «Gazzetta musicale di Milano» V/20-21 e 27, 20 e 24 maggio, 5 luglio 1846).
g) non da parte degli ascoltatori, che intendevano la funzione della sinfonia come preludio allʼAccademia, o come interludio per dare riposo a cantanti o solisti, o ancora come conclusione e congedo “disimpegnato” dellʼuditorio.
Mancando la continuità, il radicamento nelle abitudini, tali condizioni performative impongono lo stile, ma anche il comportamento e la generale concezione del sinfonismo italiano medio-ottocentesco: impongono il consumo immediato (quindi lʼassenza della formazione di repertorio), impongono un riconoscimento consumistico, impongono un ascolto poco attento e senza riflessione; ossia proprio ciò che lentamente con Mercadante inizia a modificarsi nella direzione del moderno concerto.
E giunge allora la domanda: a quale scopo studiare oggi questi prodotti? quale utilità storiografica può avere lʼindagine di tale materiale e di tali ambienti e prodotti? Ci sono molte risposte possibili, proprio perché siamo in una fase di passaggio e i compositori come Mercadante e diversi altri piú giovani avvertono i tempi nuovi e di conseguenza il loro lavoro compositivo tende verso nuovi obiettivi. Proviamo a dare risposte a quelle domande, e soprattutto a questʼultima, “qual è lo scopo di ristudiare oggi quel sinfonismo”:
h) non è la riscoperta di capolavori, piuttosto di una modifica della qualità media disseminata in una miriade di sottoprodotti di routine o di livello non elevato attraverso lʼintero secolo i) non è la particolarità di forme, non vige il principio estetico della “originalità”, estraneo alla civiltà orchestrale italiana di assai a lungo j) non è la rivelazione di genialità uniche e ineguagliabili: in Italia, attraverso il secolo, veri talenti sinfonici nel trattamento e scrittura orchestrale visionaria e innovativa o classica e solida (insomma i due estremi Berlioz e Mendelssohn,
Wagner e Brahms) non compaiono se non con la tarda eccezione di Giuseppe
Martucci (la sua Prima Sinfonia è però del 1894, unʼaltra storia) k) non è indicare avanguardie e sperimentazioni che hanno generato storia e progresso (dʼaltronde il dogma del progresso è del tutto assente nella idea di musica orchestrale italiana che stiamo delineando).
E allora perché studiare queste partiture e il loro contesto di origine e di esecuzione? Lʼunica soluzione è abbandonare la prospettiva strutturalista di Gossett, pur senza dimenticare nulla di quanto ha insegnato, ma usandolo per definire panorami culturali.
Possiamo a questo punto passare ad una diversa divisione del campo individuando allʼinterno della produzione orchestrale di Mercadante alcuni sottogeneri: la sinfonia funebre, la Fantasia sinfonica, la Sinfonia ciclica, la Sinfonia fugata; sono distinzioni di comodo, si possono modificare, ma mi paiono utili a dare un ordine
sia pur generico. Vediamoli in breve.
La sinfonia funebre è lʼomaggio che il compositore autorevole fa a un modello riconosciuto o a una figura di levatura storica non musicale. Di solito la commemorazione di un musicista implica la citazione di suoi temi famosi, il che fa assomigliare queste composizioni alle “fantasie orchestrali”. La commemorazione di un personaggio pubblico ha altre mire, ne vuole interpretare il carattere secondo la visione comune del personaggio celebrato; ma Mercadante non sembra attento a questa seconda modalità. Farò solo un esempio: quando si compone un omaggio a Garibaldi (come fa anche Mercadante nella sua Sinfonia Garibaldi, le cui partitura e parti sono conservate alla biblioteca del conservatorio S. Pietro a Majella)14 si impiegano ritmi guerreschi e armonie semplici, per lo piú in sonori accordi pieni e per lo piú girando intorno al tema dellʼInno di Garibaldi di Mercantini-Olivieri.15
Figura 3: SAVERIO MERCADANTE, Garibaldi – Sinfonia “autografo dettato”. (I-NC, 10.7.15).
14 SAVerIo merCAdANTe, Garibaldi – Sinfonia. Dedicata allʼItalia, Napoli, Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella, aut. febbraio 1861. 15 È lʼarcinota melodia sui versi «Si scopron le tombe, si levano i morti | i martiri nostri son tutti risorti».
Similmente, la celebrazione del re Vittorio Emanuele II di Savoia non si toglie di dosso invece una forte esteriorità da banda. È quanto accade anche nella Sinfonia funebre per Carlo Alberto di Mercadante (1835/6-rev. 1856), che non si modifica neppure nellʼInno a Vittorio Emanuele II del 1862.
La Fantasia sinfonica e la Sinfonia “a tema” sono categorie collegate con la precedente. Qui spesso Mercadante fa “musica su musica”, e lascia diversi esempi di come lui vede le personalità musicali piú strettamente legate a Napoli: Rossini, Bellini, Donizetti, senza dimenticare lʼOmaggio a Pacini e persino quello a Paolo Serrao, la Fantasia sul Figliuol prodigo del 1868.
Come Fantasia sinfonica prendiamo ad esempio, non interessante come composizione (anzi piuttosto convenzionale nella grammatica come nella sintassi), ma per il programma, la Fantasia descrittiva “Insurrezione polacca”. Viene “espressamente composta e dedicata” infatti a una delle nuove società concertistiche fra le piú attive nella promozione delle novità e dei nuovi generi, promuovendo fra le molte iniziative anche quella dei concorsi di composizione: è la Società dei Concerti Popolari di Firenze che proprio nel 1863 inizia la sua attività grazie ad Abramo Basevi e Teodulo Mabellini: già il fatto che questa iniziativa pionieristica in Italia, emula di un analogo e presto fallito esperimento di Bottesini a Napoli, si rivolgesse a Mercadante per una nuova composizione nellʼanno inaugurale, indica come qualcosa stesse cambiando, e proprio Mercadante fosse già considerato una personalità di spicco nel campo orchestrale.
La Fantasia si divide senza soluzione di continuità in 4 sezioni: • Parte 1a 1862 – Sacre dimostrazioni nei tempi, punite dai Russi • Parte 2a 1862 – Coscrizione – Desolazione del popolo – Grido di guerra • Parte 3a 1863 – Arrivo di volontari italiani – Combattimento – Nullo è ferito mortalmente – Ultimi momenti dellʼeroe garibaldino – Solenne giuramento di vendetta • Parte 4a 1863 – Sollevazione generale – Falciatori – Carica – Vittoria
È una grande sinfonia a programma ma del tutto sui generis: è nettamente segmentata ed ogni sezione porta un costrutto nuovo, o meglio apparentemente nuovo. La semplicità esteriore dei temi, se si riesce ad astrarre dalla grammatica spesso convenzionale nasconde tecniche già pronte per le prossime realizzazioni cicliche. Piú o meno da metà di questa grande Sinfonia a programma, infatti, cade lʼepisodio del ferimento del Colonnello Nullo (figura mitica del risorgimento non solo italiano). Eccone un sunto
Esempio 4: Ultimi momenti dellʼeroe garibaldino – Solenne giuramento di vendetta.
E inizia cosí una grande melodia del corno inglese poi intrecciati agli archi e ad altri strumenti concertanti, mentre continua il ritmo funebre. Mi limito a riportare questa notevole traccia melodica con le sue indicazioni armoniche:
Esempio 5: Ultimi momenti dellʼeroe garibaldino – Solenne giuramento di vendetta: grande melodia finale.
Dopodiché si avvia una serie di episodi che, visti da lontano, disegnano una incalzante alternanza fra una sostanza ritmica di base ed episodi in contrasto, che si giustificano sul piano narrativo, come lʼarrivo dei falciatori, che ha grande spicco. Il materiale di base è quello della sezione denominata “Sollevazione generale” e il culmine della macrostruttura è la Vittoria finale. Come è chiaro, la costruzione non ha nulla di particolarmente ricercato, a volte giungendo quasi al banale, e anche il pubblico meno attrezzato la può seguire con estrema facilità; la manifestazione esteriore degli episodi ha una semplicità persino eccessiva in alcune sue movenze; eppure emerge già lʼintenzione di estendere il racconto, la stessa che è alla base appunto della sinfonia ciclica, qui ancora in forma di descrizione narrativa.
Occorre poi tenere conto del fatto che la sinfonia a programma sta divenendo un genere a sé nellʼItalia del momento; non si contano i concorsi di composizione per sinfonie a tema, per esempio sullʼalfieriano Saul (con cui Antonio Bazzini vince il primo concorso per unʼouverture della Società del Quartetto di Firenze, voluto da Abramo Basevi nel 1869) o sullo Shakespeare ora al centro di molti interessi culturali (lo stesso Bazzini scrive una sinfonia sul Re Lear per il medesimo premio a Firenze nel 1871). Altra fonte può essere poi lʼispirazione dantesca: la SinfoniaDante di Giovanni Pacini nel 1864, ancora una volta Bazzini con Francesca da Rimini op. 77 (1878-9, rev. 1884-5). E già prima la stessa società aveva realizzato concorsi
di composizione sinfonico-corale con gran rilievo grazie allʼaiuto del Duca di San Clemente: ne troviamo un resoconto nel Boccherini di Firenze del 1865.16
I concorsi di composizione a Firenze hanno fatto sorgere molte Società per lo studio dei buoni autori, dice Meini, e un pubblico in grado di comprendere. Ciò attesta che la pratica del concorso si sta ormai diffondendo e la Firenze che si prepara a divenire capitale vuole anche in questo rappresentare un modello; e Mercadante ne è certo consapevole.
Un singolare esempio di sinfonia omaggio a mezza via con la sinfonia a programma è infine lʼOmaggio a Bellini; spendiamo solo un appunto per vedere come Mercadante costruisce la sinfonia, un dialogo che idealmente Mercadante instaura con Bellini, come a indicare un “aggiornamento” del dettato belliniano dal punto di vista della “riforma” mercadantiana.
Qualche esempio: nella seconda parte dellʼOmaggio a Bellini compaiono i temi derivati da Norma (prima erano stati citati un tema dal Pirata, uno da Capuleti e Montecchi, uno da Sonnambula). Con che criteri sono scelti e presentati? Come notava anni fa Wolfgang Osthoff a proposito del Verdi riscritto da Liszt nelle sue varie Réminiscénces, 17 anche qui la riarmonizzazione e la collocazione hanno funzione narrativa di sintetizzare o rammemorare un momento scenico, assegnandogli in tal modo una importanza narrativa. Non si tratta solo di modulare per collegare due temi altrimenti discontinui: Mercadante come Liszt sta creando/ricreando una narrazione, una sua nuova narrazione. LʼOmaggio non termina con il tema del grande rogo di Norma in cui ogni colpa trova redenzione, ma con una modulazione ad hoc sfocia nel tema del coro bellicoso «Guerra, guerra». La grande redenzione dellʼopera si aggira qui nella sinfonia fra Si e Mi maggiore, che conducono quasi come loro logica conseguenza al La minore del coro «Guerra, guerra». Il ʼmessaggioʼ finale è capovolto: dalla pace superiore, dal messaggio irenico dellʼopera, si torna alla guerra e allʼimmagine di un Bellini guerresco. In tal modo non è un percorso di ascensione dal conflitto fra popoli, religioni, individui, generi e generazioni al perdono catartico nella armonia universale, ma esattamente lʼopposto: dal crescendo che tutto purifica si ricade nella guerra, nel conflitto definitivo e insuperabile.
Siamo certi che questa scelta sia solo “da concerto”? solo un modo per chiudere rumorosamente e attirare lʼapplauso di un pubblico poco attrezzato? e non abbia invece un significato narrativo ed espressivo? E similmente, tendo a pensare che la riarmonizzazione di Mercadante, insieme e consequenzialmente al capovol-
16 VINCeNZo meINI, Antonio Bazzini a Firenze, «Il Boccherini» IV, suppl. al n. 3, 25 aprile 1865.
Per completezza dʼinformazione, il concorso del Duca di S. Clemente fu vinto da Bazzini con la sequenza Victimae Paschali Laudes. 17 oSTHoFF WolFGANG, Verdi lʼinattuale. Esempi e paragoni, «Studi verdiani» 11, 1996, pp. 13-29.
Ho ripreso questi argomenti in ANToNIo roSTAGNo, Trascrizioni, fantasie, parafrasi e réminiscences. Proposte interpretative delle tarde composizioni di Liszt su Verdi, «Quaderni dellʼIstituto
Liszt» 14, 2014, pp. 67-94.
gimento dellʼordine narrativo, sia un elemento assai eloquente di questo nuovo impegno (intellettuale prima che strettamente tecnico-compositivo). In conclusione, è lʼimmagine di un Bellini non solo lacrimevole e sentimentale, ma partecipe del processo risorgimentale, visto nei primi anni dellʼUnità appena raggiunta, del quale lo si vuole far attivo e partecipe combattente. Bellini diviene cosí un compagno di guerra, un attivo protagonista, indipendentemente da ogni sua reale intenzione.
Questa lettura si può chiedere solo a un pubblico con capacità critiche di ascolto, che non si limiti allʼascolto passivo, ma che sappia reagire e interpretare i diversi costrutti compositivi. Questo, a Napoli, è un merito che va ascritto in larga misura a Mercadante.
La Sinfonia ciclica
La piú rilevante e personale acquisizione delle composizioni sinfoniche di Mercadante nel suo decennio orchestrale (anni Sessanta) è la tecnica ciclica, sʼè detto e ripetuto. Dopo la metà del secolo è il modello prevalente per quei compositori che intendano elevare il livello della loro produzione. Ovviamente ciò non vale solo per Napoli, ma qui grazie a Mercadante questʼaffermazione avviene prima che in altre piazze. Ho già accennato a Foroni (che in ordine cronologico e per compiutezza di risultati merita la piazza di primo esempio e modello) e Bazzini, certo i due maggiori, ma gli esempi sarebbero molti.
Concentro allora il fuoco sul Lamento del bardo (1862), che a mio avviso è la partitura piú cospicua in tal senso, il sunto di molto di quanto abbiamo detto sinora. La fortuna di questa partitura è testimoniata già dalla diffusione dei manoscritti (senza contare la partitura e la riduzione per pianoforte stampate da Ricordi sparse in molte biblioteche italiane):
1. I-mC Noseda, partit. ms (25 cc., c. 1 e c. 25 vuote; 47 pp.), 22 parti ms 2. I-Fem [Finale Emilia, Bibl. Comunale], partit. ms, 26 parti ms – altra copia 36 parti ms 3. I-rF [Roma, Archivio Chiesa Nuova, Oratorio dei Filippini] (H.I.3, 30 parti ms) 4. Bari, Giovinazzo, Archivio diocesano, Capitolo Cattedrale Ms.818.1-26
Il lamento del bardo non è affatto una sinfonia fatta a collage come potrebbe sembrare. La forma esteriore conserva tracce della ripartizione rossiniana consueta, Introduzione lenta – Allego centrale – Coda con stretta. Ma la particolarità (ponendo da parte per il momento la strumentazione) è che tutte le sezioni e tutti i temi che le attraversano provengono da una sola sostanza motivica, o variata, o amplificata con elementi sonori di contorno, o in inversione, o per sviluppo melodico. Ma senza che questa tecnica non comune nella sinfonia italiana (un caso analogo è la sinfonia della Battaglia di Legnano di Verdi, o ancor piú quella immediatamente successiva della Luisa Miller anchʼessa costruita su una sostanza tematica principale continuamente
variata) diventi mai evidente e assuma caratteristiche di difficoltà tale da richiedere un ascolto faticoso, riflessivo, analitico. Ciò che Mercadante non può superare è da un lato il riferimento a una chiarezza della grande forma, comunque sempre percepibile, dallʼaltro lʼapparenza di leggerezza. Mai la sua composizione strumentale prende lʼaspetto di ascolto difficile, faticoso, esclusivo; mai traspare lʼatteggiamento del distacco dallʼuditorio, della solitudine dellʼartista (che già emerge con grande evidenza nella successiva generazione di Martucci), eppure ha concreti motivi di interesse, valori estetici che rendono il Lamento un testo di alto interesse e non solo un documento di un particolare momento storico-culturale.
Esempio 6: SAVERIO MERCADANTE, Il lamento del bardo, tabella delle derivazioni motiviche che attraversano lʼintero organismo.
In questa tabella sono riassunte le trasformazioni del motivo principale; lʼesempio mostra quindi come lʼintera sinfonia sia costruita su una sola sostanza motivica. Al di sopra di questa omogeneità sostanziale, il tema nella sua formulazione iniziale ricompare nelle diverse sezioni come elemento narrativo di superficie. E le grandi sezioni di questo racconto in suoni sono sempre molto chiaramente distinguibili dal punto di vita percettivo. Tutto ciò non è per complicare a tutti i costi un quadro che è e vuole rimanere semplice. Al contrario, questo doppio piano di lettura, motivico e formale-sezionale, serve a chiarire il doppio intento di Mercadante: offrire a un
pubblico che sta cambiando atteggiamento verso il sinfonismo un prodotto di interessante profondità compositiva, ma al tempo stesso conservare la tradizione della sinfonia descrittiva in piú sezioni immediatamente riconoscibili. Non un poema sinfonico che guardi alla tradizione settentrionale, come poco dopo faranno Antonio Bazzini, Alfredo Catalani e altri, ma neppure una semplice ripetizione di formule della ouverture descrittiva in molte sezioni indipendenti e successive.
Sia chiaro, soprattutto, che nulla in questa forma a sviluppo continuo può essere riferito alla tradizionale forma del rondò, tanto quanto sarebbe riduttivo riportarle negli argini della sola sinfonia rossiniana. Insomma il percorso formale narrativo da un lato, e la costruzione ciclica dallʼaltro sono i due nuovi parametri della composizione, con una netta svolta dalla tradizione dei partimenti, non piú considerabili lo strumento base per condurre la composizione “ideale libera”: altra grande novità della tarda produzione orchestrale di Mercadante.
Questa tecnica ciclica ha un potenziale costruttivo che esula dalla tradizione dei partimenti, poggia il pensiero compositivo su basi del tutto autonome e diverse, assegna alla composizione sinfonica unʼidentità nuova, unʼambizione culturale diversa, moderna: è un nuovo impegno per compositori, esecutori e ascoltatori. Ne abbiamo ripercorso alcune vie, alcune tracce, collocando qui al termine Il lamento del bardo (pur cronologicamente anteriore a tante altre); se ne intende in tal modo indicare idealmente la posizione centrale: si avvia con essa il decennio delle acquisizioni maggiori e i modelli di sinfonia post-rossiniana che abbiamo rintracciato in Mercadante sono in questo decennio da lui trattati tutti con risultati efficaci.
Si spiega cosí il commento di alto elogio fatto dal giovane Arrigo Boito, secondo il quale Mercadante «compié nellʼarte la piú vasta manifestazione odierna dello sviluppo ritmico».18
Come ultimo esempio, per chiudere, rimane la sinfonia fugata, ossia includente una fuga o appunto un fugato in funzione di esposizione, di sezione secondaria autonoma o di coda. Mercadante la pratica precocemente, ed è un tratto distintivo della scuola napoletana: non ci interessa tanto quanto le precedenti perché non porta novità di rilievo essendo piuttosto una forma conservatrice; ma nella trattazione occorre almeno una menzione dato che viene praticata (per lo piú come esercizio nel periodo di apprendimento) da molti nomi poi affermatisi: da Bellini a Florimo, per arrivare sin quasi alla fine del secolo a Nicola DʼArienzo e Pietro Platania.
Basti qui un estratto dalla Sinfonia in Do minore, uno dei lavori orchestrali piú interessanti del giovane Mercadante, databile ai primi anni Trenta.
Ecco come il soggetto del fugato iniziale viene variato e diventa il secondo tema di una consueta forma rossiniana:
18 ArrIGo BoITo, Concerti Noseda (“saggio storico-musicale”) e il Conservatorio, «Il Figaro» 24, marzo 1864.
Esempio 7: SAVERIO MERCADANTE, Sinfonia in Do minore, Allegro fugato.
E qui incontriamo un ulteriore motivo di attenzione: la qualità della trasformazione motivica; ma non possiamo parlare di forma ciclica, poiché le sezioni formali rimangono irrelate e nettamente separate, mancando una vera rete di derivazioni come abbiamo constatato nel Lamento del bardo.
A chiusura, riporto un ultimo esempio dalla Sinfonia fugata di Francesco Florimo, che proprio perché non continuerà la professione del compositore, segnala ancora piú fedelmente il livello medio della Napoli musicale:
Esempio 8: FRANCESCO FlORIMO, Sinfonia fugata. Allegro, primo tema.
Qui tutto il discorso sui partimenti torna a capovolgersi, nei Trenta (probabile collocazione di questa sinfonia) la nuova concezione organica della sinfonia ciclica è ancora lontana, ma è interessante sia vedere da dove parte Mercadante stesso, sia la qualità dallʼambiente professionale. E sottolineo professionale; non esiste ancora un pubblico per la sinfonia, che infatti è certamente un esercizio di scuola. Come si vede siamo agli antipodi della collocazione contestuale dalla sinfonia ciclica narrativa, e proprio questo è il dato che deve attrarre la nostra attenzione, pur riconoscendo a Florimo una sua eleganza di scritttura.
Potrei fare ancora esempi, fra altri, dalle sinfonie giovanili di Bellini. E infine interessa vedere come ancora negli anni Sessanta e fuori dellʼambiente partenopeo sia vigente il modello di sinfonia fugata di matrice napoletana. Lo dimostra questo estratto dalla ultima sezione della Sinfonia in do minore del romano Ettore Pinelli (1867; fondatore nel 1878 di quella che diverrà lʼattuale Orchestra dellʼAccademia di Santa Cecilia). È qui opportuno ricordare che Pinelli aveva studiato violino e composizione con lo zio Tullio Ramacciotti, figura chiave nella Roma del medio Ottocento, che intratteneva continui rapporti con gli ambienti napoletani, a conferma di una paternità locale del sottogenere di sinfonia fugata.19
Esempio 9: ETTORE PINEllI, Sinfonia in Do minore, coda con imitazioni (fugato).
Comʼè ora chiaro, la sinfonia fugata è un sottogenere prolifico, che ha un evidente valore didattico oltre che estetico; e di qui la sua fortuna. È impossibile che nella sua curiosità di mettersi alla prova in ogni genere e sottogenere, anche Mercadante
19 Ho ripercorso le tracce di questa formazione e del collegamento fra le due scuole in Musica riscoperta. Violinisti-compositori a Roma nel secondo Ottocento, Roma, Accademia Nazionale di
Santa Cecilia, 2010.
non riservi attenzione a questʼindirizzo. Ma il fatto che non scriva sinfonie fugate con assiduità e che anzi ne interrompa presto la pratica indica che i suoi interessi vanno verso sottogeneri ed espressioni sentite come piú attuali, vive, concretamente significative, in primis la sinfonia ciclica.
Volendo ora trarre una conclusione, sono partito dalla storia culturale e da una riflessione sulla lettura strutturalista di Gossett, ma termino con una annotazione strettamente musicologica.
Questi ultimi esempi di fugato orchestrale hanno il sapore, la sonorità dellʼantico; con essi siamo tornati indietro rispetto alla tecnica di trasformazione motivica e di ciclicità narrativa vista nei tardi lavori precedentemente esaminati. Questo percorso ha testimoniato un aspetto forse non cosí riconosciuto di Mercadante: un aspetto non affatto tradizionalista ma quasi modernista. Sebbene il suo ruolo nel portare avanti la tradizione del partimento rimanga indiscusso, nella composizione sinfonica Mercadante guarda a tecniche piú moderne e a concezioni compositive che esulano, per non dire contrastano con quella tradizione. Basare il pensiero compositivo su una narrativa motivica, realizzata dalla trasformazione continua di minime sostanze motiviche, non ha nulla della tradizione del partimento, anzi è un pensiero costruttivo, generativo, espansivo, unʼidea del tempo musicale del tutto diverso, che procede per riflessioni concentriche dalla cellula alla frase, dalla frase alla sezione, e dalla sezione alla forma completa come sviluppo unitario del tempo in grande. Appunto, lʼesatto opposto della staticità del partimento, che non ha una concezione del tempo altrettanto dinamica (certo, ha ben altri valori, ma qui non si tratta di valutare un meglio e un peggio, solo di evidenziare come si è svolto un processo storico-culturale nella composizione).
Non voglio fare di Mercadante il genio del sinfonismo italiano, ho già detto chi secondo me sono i grandi sinfonisti italiani dellʼOttocento. Ma è doveroso e storicamente fondato riconoscergli questa funzione di pioniere, sia pur moderato e senza atteggiamenti né rivoluzionari, né avanguardistici, né elitari.