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Alberto Rizzuti
Alberto Rizzuti
Giovanna dʼArco al palo.
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Storia inedita di un viaggio mai compiuto1
Prima che Schiller desse alle stampe Die Jungfrau von Orleans (1801), un dramma per musica dal titolo Giovanna dʼArco composto da Gaetano Andreozzi su libretto di Simone Antonio Sografi era apparso sulle scene italiane, prima a Vicenza (Eretenio, 1789) e poi, in versione ideologicamente corretta, a Venezia durante lʼoccupazione francese (Fenice, 1797). Nei primi ventʼanni della sua fortuna la tragedia di Schiller non fu oggetto di speciali attenzioni da parte dei compositori, eccezion fatta per le musiche di scena scritte in occasione di alcune rappresentazioni nei paesi di lingua tedesca. Allʼindomani della prima, inaccurata traduzione di Pompeo Ferrario (Milano, 1819), il successo italiano della Jungfrau fu decretato dallʼultimo coreodramma creato da Salvatore Viganò con la collaborazione di Giulio Ferrario, andato in scena alla Scala nel marzo del 1821 e replicato per un decennio in vari centri della Penisola. Su di esso si basano infatti il libretto approntato da Gaetano Rossi per il ʼmelodramma romanticoʼ di Nicola Vaccai (Venezia, Fenice, 1827; poi adattato per Napoli, San Carlo, 1828) e, con minor evidenza, quello scritto da Solera per il ʼdramma liricoʼ di Verdi (Milano, Scala, 1845).
Tra queste ʼGiovanneʼ ce ne stanno altre due: una, fallimentare, composta di fretta da Giovanni Pacini su un libretto pletorico di Gaetano Barbieri (Milano, Scala, 1830); lʼaltra, magnifica, concepita tre anni dopo da Felice Romani e mai giunta sul tavolo di Saverio Mercadante. Le circostanze finora ignote della mancata intonazione di questa Giovanna dʼArco sono lʼoggetto della presente indagine.
1 Corredato dallʼedizione del libretto manoscritto di Felice Romani esaminato al suo interno, questo studio è apparso in «Accademia delle Scienze di Torino – Memorie di Scienze Morali» 27, 2003, pp. 43-129. I curatori del presente volume ringraziano lʼAccademia delle Scienze di
Torino per la gentile concessione del diritto di riproduzione.
1. Niet
Avrà pure saputo aver io consegnato al tempo voluto dalla mia scrittura un melodramma al Sig.r Rossi intitolato Giovanna dʼArco, da lui ricusato come argomento già trattato in Venezia, quasi io fossi in dovere di conoscere tutti i melodrammi recitati in quei teatri, e non avessi la libertà di appigliarmi a qualunque soggetto che piú mi convenga.2
Quando scrisse queste righe, Romani era furioso. Il 1833 era stato il suo annus terribilis, tutto passato in casa a comporre versi per onorare gli impegni presi e a scrivere lettere per giustificare i ritardi accumulati. Oltre che uno smacco, il rifiuto di un libretto già ultimato era un danno economicamente grave. Le ragioni addotte da Giovanni Rossi, un agente milanese in quel momento deliberatario dellʼimpresa del teatro veneziano, erano per lui prive di fondamento. Un gran numero di novità, prime fra tutte i capolavori di Bellini e Donizetti, erano sfilate negli ultimi tempi sul palcoscenico della Fenice: era improbabile che, a sei anni dal debutto della Giovanna di Vaccai, una nuova Pulzella potesse spiacere a un pubblico abituato non meno di altri a soggetti ricorrenti.3 Il rifiuto aveva infatti altre ragioni. Non era la prima volta che Venezia respingeva Giovanna dʼArco, ma lʼartista che reclamava il diritto di scegliere liberamente i propri soggetti era allʼoscuro del progetto, naufragato qualche anno prima, di portare fra i canali la Pulzella silenziosa di Ferrario e Viganò.
2. Un passo indietro
Il 21 agosto 1828 lʼimpresario Giuseppe Crivelli spedí al Presidente del teatro la sinossi del coreodramma scelto per lʼapertura del Carnevale.4 Nove giorni dopo la Direzione fece sapere di non ritenere Giovanna dʼArco adatta al palco né al pubblico
2 Felice Romani a Gian Francesco Avesani, Presidente del Teatro La Fenice, Milano, 22 ottobre 1833, I-VT, Busta n. 5, ʼLibrettistiʼ, trascrizione in AleSSANdro roCCATAGlIATI, Felice Romani librettista, «Quaderni di “Musica / Realtà”» XXXVII, 1996, doc. n. 84. 3 Anche se Venezia non era una nicchia metastasiana tipo Torino, Modena o Napoli (cfr. mArCo emANuele, Lʼultima ʼDidoneʼ. Il Metastasio nellʼOttocento, in Musica e Storia VI/2, 1998, pp. 369400), analogia o identità di soggetto non erano un problema per nessuno. Oltre a ospitare varie riprese di balletti e opere di soggetto uguale (Tottola/Pacini, Alessandro nelle Indie, 19 gennaio 1828 e Viganò, Alessandro nellʼIndie, 27 dicembre 1828: Viganò, Otello ossia il moro di
Venezia, 3 febbraio 1829 e Tottola/Rossini, Otello, ossia lʼAfricano di Venezia, 20 gennaio 1833), dopo il debutto della Giovanna di Vaccai la Fenice aveva mandato in scena due opere basate su un identico libretto di Romani: I saraceni in Sicilia, ovvero Eufemio di Messina di Morlacchi (28 febbraio 1828, prima rappresentazione assoluta) ed Eufemio di Messina, ossia la distruzione di Catania di Persiani (19 gennaio 1833). 4 Le lettere esaminate in questo paragrafo sono tutte in I-VT, ʼSpettacoli 1818-27ʼ (sic, quindi nella Busta sbagliata).
della Fenice; Crivelli fu esortato a fare altre proposte, possibilmente evitando interferenze storiche con Francesca da Rimini, lʼopera commissionata per lʼoccasione a Pietro Generali.
Sul programma di Giovanna dʼArco devo far presente che fu stabilito di presenza in Milano di dare tal ballo per primo, mentre è di un tal spettacolo che non si può desiderar di piú. Io in buona fede ho dato tutte le ordinazioni opportune, ed ho formato la Compagnia espressamente, per cui non posso decampare da ciò che, ripeto, fu di presenza qui stabilito. Se mai però i dubbj che ora mi fa la Nobile Presidenza fossero prodotti da qualche osservazione del poeta S.r Pola pel carattere, questo ho già rimediato dʼintelligenza con Pola e col vestiarista.5
Il 4 settembre il Presidente confermò lʼesistenza dellʼaccordo verbale. Tuttavia, la lettura della sinossi aveva fatto temere un esito modesto per Giovanna dʼArco, causa la sua intrinseca scarsezza di eventi spettacolari. Inoltre, le limitate dimensioni del palco avevano sempre tenuto lontani i soggetti militareschi dalla Fenice. Di conseguenza, Crivelli fu invitato a concludere nuovi accordi con Giulio Viganò o a mandare in scena Alessandro nellʼIndie, lavoro che aveva tra lʼaltro il vantaggio di non interferire con Francesca da Rimini.
La risposta dellʼimpresario arrivò il 10, con lʼallegato di una lettera scrittagli da Giulio poco prima. Il coreografo, allora a Vercelli, osservava che Alessandro non poteva essere rappresentato alla Fenice e che Otello poneva seri problemi di spettacolarità.6 Aborrendo qualsivoglia alterazione nei lavori del fratello, Giulio lasciava scarsi margini ai negoziati; la decisione finale era comunque rinviata allʼindomani del suo rientro a Milano.
Chiosando lʼallegato, Crivelli sottolineò che Giulio era in grado di allestire soltanto alcuni fra i balletti di Salvatore, due dei quali – La vestale e Psammi, re dʼEgitto – già rappresentati alla Fenice; in caso di rifiuto di Giovanna dʼArco, sarebbero rimasti solo Alessandro e Otello, con tutte le loro difficoltà.7
Il soggetto della Giovanna era a piena nozione della Nobile Presidenza, essendo lʼopera di Vaccaj tracciata sul programma di detto ballo; e perciò parmi ora stranissima lʼopposizione che mi si fa, tanto piú che il gusto di un pubblico non
5 Crivelli alla Presidenza del Teatro La Fenice, Milano, 30 agosto 1828. 6 Giulio Viganò era stato ingaggiato dal Teatro Civico di Vercelli per allestirvi un divertissement aulico in onore di Carlo Felice, da rappresentarsi fra un atto e lʼaltro della Zelmira di Rossini.
Lo scenario di questo “ballo allegorico” privo di titolo si trova in 50 anni di ballo al Teatro
Civico di Vercelli, a cura di Luigi Rossi, s.i.l., Edizioni della Danza, s.a. 7 Crivelli aggiunge una terza possibilità, Gli zingari, lavoro oggi assente nellʼelenco delle opere di Salvatore. Produzione originale di Giulio, un balletto dal titolo Gli zingari di Sicilia esordí alla Fenice il 9 aprile 1836.
si può preconizzare cosí facilmente, e che sorvegliando la Nobile Presidenza alle prove, può ordinare quelle modificazioni che credesse ai combattimenti militari.8
Crivelli conclude manifestando il desiderio di non tornare sullʼargomento fino al nuovo incontro con Giulio. In mancanza della risposta, perduta, lʼinoppugnabilità delle ragioni addotte dal Presidente si può cogliere nella rassegnazione spirante dalla replica dellʼimpresario: «Rapporto al ballo della Giovanna, dietro i riflessi che Ella mi fa, ne depongo tosto il pensiero, e farò di tutto con Viganò per concertare lʼOtello per primo».9 Il 27 settembre le sinossi di Alessandro e di Otello furono cosí spedite a Venezia, dove ottennero approvazione immediata.
il che intese con sommo rammarico il sottoscritto la produzione di tali argomenti, il primo deʼ quali siccome scarsissimo dʼinteresse, scemo di danze, e dʼargomento pessimamente accolto dal pubblico nella prodotta opera dellʼanno scorso è da prevenirsi da sí giusti riflessi una caduta, o per meglio dire, un fiasco certissimo e irreparabile [...]. LʼOtello poi, il di cui argomento presta tuttʼaltro che grandiosità di spettacolo, e che termina in una stanza con alcova a mezzo palco scenico, non corrisponde punto alla magnificenza dei balli sempre mai prodotti e sempre aspettati dal pubblico veneto nel Gran Teatro la Fenice in apertura di S. Stefano. e però si lusinga che vorranno aggraziarlo quanto prima di renderlo incaricato dʼaltre loro deliberazioni onde allestirne le dovute ordinazioni.10
Lʼirremovibilità di Avesani deluse presto le speranze di Viganò. Ci sarebbero voluti Verdi, Solera e ventʼanni di tempo affinché la Pulzella riapprodasse alla Fenice. Romani non era in grado di prevedere una cosa del genere: ma quandʼanche fosse stato al corrente dei guai del balletto, nulla avrebbe potuto contro la tempesta che si andava addensando sulla sua Giovanna dʼArco. 11
8 Crivelli alla Presidenza del Teatro La Fenice, Milano, 10 settembre 1828. 9 Crivelli alla Presidenza, 20 settembre 1828, in risposta alla lettera non conservata scritta da
Avesani il giorno 16. Un confronto tra le frasi anteposte dallʼimpresario allʼimmutabile formula di saluto («con la piú alta venerazione mi rassegno...») dà unʼidea del graduale ammorbidimento di tono nelle sue lettere: 30 agosto: «Tanto di norma...»: 10 settembre: nulla; 20 settembre: «Sempre piú La ringrazio della bontà che ha per me...». 10 Viganò alla Presidenza, Milano, 8 ottobre 1828. 11 I balletti rappresentati nel carnevale 1829 suscitarono scarsi entusiasmi nei veneziani. Il 29 dicembre 1828 il critico della «Gazzetta Privilegiata di Venezia» lodò Francesca da Rimini ma affermò che Alessandro nellʼIndie non aveva soddisfatto il pubblico, freddo dinanzi alla sua natura sperimentale. Lavorando su un soggetto metastasiano Salvatore aveva inteso dimostrare che lʼazione drammatica poteva essere interamente sostenuta dallʼarte mimica, senza lʼausilio di numeri danzati. In occasione del debutto (Milano, Scala, 24 febbraio 1819) il successo era stato reso possibile dalle doti straordinarie di Antonia Pallerini; il livello non piú che ordinario dei tersicorei veneziani non poteva garantire esiti analogamente lusinghieri. Lʼarticolo
3. Due passi falsi
Fra le due bocciature intercorre un quinquennio. Vertendo sopra un oggetto noto, nel primo caso la discussione poté concernere questioni intrinseche a struttura e azione: facendo invece perno su uno in corso dʼopera, nel secondo essa restò sempre ancorata ad aspetti esterni: fino al plateale e tardo sfogo del poeta, il titolo Giovanna dʼArco non compare mai nella corrispondenza fra Rossi, Avesani, Romani e Mercadante.
Le due ricusazioni si produssero a cavallo della Rivoluzione di luglio, evento la cui repressione ebbe effetti sensibili sulla vita teatrale, inibendo a lungo i soggetti patriottici. Gli avvenimenti cardine della svolta autoritaria furono in Italia il fallimento dellʼimpresa di Ciro Menotti, il rifiuto opposto da Carlo Alberto alla proposta di Mazzini di mettersi a capo del Risorgimento e la repressione dei moti da questi ispirati, culminata con le esecuzioni del giugno 1833.12
Bellini trionfava infatti intonando libretti scevri dʼimplicazioni tendenziose, e Donizetti faceva altrettanto incentrando le sue attenzioni sul dramma individuale anche in casi ʼrischiosiʼ tipo Anna Bolena. In un clima del genere e in una città come Venezia la proposta di un ritorno della Pulzella non poteva avere, pur provenendo da un autore come Romani, grandi chances di successo.
Dopo il varo dei Capuleti e Montecchi Crivelli aveva lasciato. Nel carnevale 1831 lʼimpresa della Fenice era stata assunta direttamente dalla Direzione, mentre per quello seguente era stato ingaggiato – sulla base di un contratto quinquennale – Alessandro Lanari. Primo compositore incaricato di unʼopera nuova (Ivanhoe), Pacini aveva potuto trarre partito da una compagnia in cui spiccava Giuditta Grisi, il ʼmusicoʼ sul cui profilo Romani e Bellini avevano cesellato il personaggio di Romeo.13
Il cartellone del Carnevale 1833 fu costruito intorno al desiderio di Bellini di presentare Norma con Giuditta Pasta protagonista e di scrivere unʼaltra opera per la Fenice. Questa avrebbe dovuto essere Cristina di Svezia ma, per la prima volta
si chiude con unʼosservazione maliziosa: «In somma nel ballo non vʼha che un male: la scelta.
Ma anche questa non fu di libero arbitrio». La citazione è tratta dallʼAppendice della «Gazzetta di Venezia». Prose scelte di Tommaso Locatelli, 14 voll., Venezia, Plet, 1837, 1, p. 317. La recensione di Otello apparve sulla «Gazzetta» del 7 febbraio 1829, e riferí come nel primo caso un esito mediocre: «Il palco era troppo piccolo. Se ne perdette lʼillusione, e gran parte del diletto.
Pessime le scenografie». Anche Il noce di Benevento, altro ballo viganoviano rappresentato verso fine stagione, non ottenne giudizi favorevoli (cfr. Lʼappendice cit., I, 7 marzo 1829, pp. 324-327). 12 Appena insediato – non senza il mugugno di alcuni nobili ad appena dieci anni dallʼappoggio fornito alla rivolta costituzionalistica – sul trono sabaudo, Carlo Alberto non aveva nulla da guadagnare da una guerra con lʼAustria: per questo non aveva raccolto lʼappello contenuto nella famosa lettera aperta scrittagli da Mazzini. 13 Scritto su libretto di Gaetano Rossi, Ivanhoe fu rappresentato per la prima volta il 19 marzo 1832: la Grisi vi apparve di nuovo in un ruolo ʼamorosoʼ, quello di Wilfredo.
dallʼinizio del rapporto con Romani, il compositore pretese di mettere becco nella scelta del soggetto. Lʼentusiasmo della Pasta per un balletto a cui aveva assistito in autunno indusse Bellini a insistere con Romani affinché ricavasse un libretto dalla medesima fonte letteraria.14
Bellini arrivò in laguna lʼ8 dicembre. Oppresso dalla consegna di cinque libretti, Romani non vi giunse che ad inizio 1833. Le recite di Norma, la lentezza del compositore e alcune difficoltà impreviste congiurarono contro Beatrice. A metà febbraio il secondo atto era ancora in alto mare; tre pezzi dovettero essere adattati alla voce di Orazio Cartagenova, inopinato assegnatario del ruolo di Filippo; infine, la situazione era aggravata dalla disistima di Bellini per alcuni membri della compagnia. Temendo il peggio, Romani licenziò il libretto definendo lʼopera “un frammento”. Il 12 marzo Lanari annunciò le dimissioni. Il fiasco arrivò puntuale il 16, innescando un violento scaricabarile: dopo un mese di scontri pubblici, Bellini e Romani troncarono i loro rapporti.15
Quando le nubi si diradarono Lanari aveva lasciato da un pezzo Venezia, attratto a Napoli da unʼofferta del San Carlo. Lʼimpresario lagunare Natale Fabrici era pronto a subentrargli, ma Giovanni Rossi dichiarò la sua disponibilità a fungere da deliberatario per un impresario da nominarsi a cura del direttore amministrativo in pectore, il nobile genovese Rodolfo Pallavicini. Lʼesistenza di due proposte, entrambe indefinite, era conseguenza di una norma draconiana: la Direzione fenicea si riservava sia il diritto di scritturare in modo autonomo un cantante di suo gradimento sia quello di protestarne uno a lei sgradito già ingaggiato dallʼimpresa. La circostanza spiega sia la cautela degli impresari nellʼassumere lʼincarico sia le loro dimissioni sovente con mesi, e talvolta con anni dʼanticipo sulla scadenza dei contratti.16
Il 24 marzo Fabrici presentò la sua lista di artisti. Nel Carnevale 1834 la prima donna avrebbe dovuto essere Giuditta Pasta o Giuditta Grisi; la seconda Brigida Lorenzani o una cantante da scegliersi fra Giulietta Grisi, Eugenia Tadolini, Elisa Orlandi e Lina Roser Balfe; il tenore Domenico Donzelli o Francesco Pedrazzi; il
14 CArlo TedAldI-ForeS, Beatrice Tenda, Milano, Società tipografica deʼ classici italiani, 1825: il coreografo del balletto scaligero che aveva incendiato la fantasia della Pasta era Antonio
Monticini. Le quattro scene di Cristina di Svezia schizzate da Romani sono pubblicate in mAr-
Co mAuCerI, Inediti di Felice Romani. La carriera del librettista attraverso nuovi documenti dagli archivi milanesi, «Nuova Rivista Musicale Italiana» XXVI, 1992, pp. 397-403; sullʼinadeguatezza di Cristina allo status di eroina romantica cfr. GIoVANNI morellI, Come Cristina, regina e amante, non fu accolta nel regno delle eroine dellʼopera romantica, in Cristina di Svezia e la musica, Atti del Convegno internazionale (Roma, 5-6 dicembre 1996), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1998 (Atti dei convegni lincei, 138), pp. 239-309. 15 Questa celebre baruffa è documentata in Vincenzo Bellini. Epistolario, a cura di Luisa Cambi,
Milano, Mondadori, 1943, pp. 338-361. 16 JoHN roSSellI, Il sistema produttivo. 1780-1880, in Storia dellʼopera italiana, a cura di Lorenzo
Bianconi e Giorgio Pestelli, 6 voll., Torino, edT, 1987, 4: Il sistema produttivo e le sue competenze, pp. 77-165: 104-105.
basso Orazio Cartagenova o Carlo Moncada. Gli autori delle opere – due nuove e due nuove per Venezia – avrebbero dovuto essere Romani, Gaetano Rossi, Ferretti e Carnisio fra i librettisti, e Bellini, Donizetti, Luigi Ricci e Mercadante fra i compositori.17
I problemi piú grossi erano i compensi delle prime donne. Per mettere in cartellone il nome della Pasta, della Malibran o della Grisi gli impresari erano costretti a scritturare musici, tenori e bassi di secondo rango, formando cosí compagnie squilibrate. Il pubblico di alcune città era disposto a tollerare questo stato di cose: piú saggiamente, quello di altre preferiva ignorare i capricci delle stelle e vedere il budget ripartito in modo equo fra professionisti in grado di garantire uno spettacolo complessivamente decoroso. La perversità del meccanismo emerge con chiarezza da alcune lettere scritte da Lanari durante la tormentata gestazione di Beatrice di Tenda. Applaudita in quel momento a Parigi, la Grisi aveva avviato trattative con la Scala. Quando seppe della sua richiesta (30.000 franchi), Lanari cercò di ingaggiarla alla Fenice allettandola con un ruolo da musico in unʼopera nuova. La speranza era che lʼobbligo di cantare quattro e non sette sere a settimana inducesse la Grisi – angosciata dal deterioramento di una voce forzata per anni nel registro sopranile – a scegliere Venezia nonostante il compenso inferiore.18 Sapendo però che la Pasta non accettava mai di esibirsi per meno di 40.000 franchi, la Grisi rifiutò. Messo alle corde, Lanari non poté far altro che ammonirla con una lezione di management:
combina degli affari fuori dʼItalia, giacché in Italia le paghe che pretendi sono sogni. A Parigi in sei mesi che comprendono Autunno e Carnevale ài avuto 24 mila franchi, ed ài il corag<g>io di pretenderne 30 mila per un Carnevale ? La Pasta a Londra per la sola Primavera va a prendere cento mila franchi. Vedi in proporzione quanto è piú discreta di te verso lʼItalia.19
La Grisi ignorò il consiglio e richiese 30.500 franchi. Quando Lanari aveva lasciato da quasi tre mesi, la cantante firmò un pre-contratto in cui accettava di esibirsi a Venezia a condizione che la Fenice le garantisse il compenso entro fine giugno.20
17 Salvo diversa indicazione tutti i documenti dellʼArchivio del Teatro La Fenice (I-VT) presi in esame dʼora in poi si trovano nella Busta ʼSpettacoli 1833-35ʼ. 18 Alessandro Lanari a Giuditta Grisi, Venezia, 20 febbraio 1833, I-mS, C.A. 3259. In occasione di alcune rappresentazioni bolognesi della Straniera e di Norma nellʼautunno successivo, le parti di Alaide e di Norma destinate alla Grisi dovettero essere abbassate di una terza. Sui problemi vocali della cantante cfr. Enciclopedia dello Spettacolo, fondata da Silvio DʼAmico, 9 voll. + 2 di supplemento, Roma, Le Maschere, 1954-68, s.v., col. 1786. 19 Lanari a Grisi, Venezia, 27 febbraio 1833, I-mS, C.A. 3286. La Fenice non poteva pagare nessuna prima donna piú di 18.000 franchi, altrimenti non sarebbe stata in grado di scritturare gli altri cantanti necessari per formare la compagnia, professionisti il cui compenso si aggirava intorno ai 3.000 franchi. 20 Le informazioni sulle trattative fra la Grisi e la Fenice provengono da una memoria compilata nel 1835 dal suo avvocato (I-mS, C.A. 3265/1).
4. Giuditte
In attesa di sistemare la faccenda dellʼimpresario, La Fenice aveva incaricato Giovanni Rossi di trattare con gli artisti. Il 13 aprile lʼagente aveva informato la Direzione che un accordo pregresso obbligava Mercadante a comporre lʼopera inaugurale del Carnevale scaligero. Malgrado il virtuale completamento del lavoro da parte di Romani, questo comportava il rinvio di Giovanna dʼArco alla seconda parte della stagione.21
Nel frattempo, accogliendo il desiderio della Pasta di apparire nei panni di Semiramide o in quelli di Anna Bolena, Rossi aveva imbastito il suo cartellone: inaugurazione con titolo da destinarsi, Anna Bolena, lʼopera nuova di Romani e Mercadante e unʼaltra, nuova a sua volta, affidata a Michael Balfe; il tutto nobilitato da un cast strepitoso, comprendente entrambe le Giuditte.22
Il 21 giugno Rossi sollecitò Avesani ad approvare tutti i contratti entro la fine del mese, scadenza oltre la quale Romani e Mercadante avevano facoltà di rescindere i loro. Malgrado il preavviso, la Direzione impiegò quasi un mese per ufficializzare le sue scelte. Lʼeffetto fu il seguente:
Il corrispondente teatrale Sig.r Rossi per cui mezzo mi obbligai, mesi sono, di comporre il Melodramma che il Sig.r M° Mercadante porrà in musica il carnevale venturo al Gran Teatro della Fenice, communicandomi la nota della compagnia chʼio debbo adoperare, mi assicura che per una delle due prime donne sia scritturata la Sig.ra Grisi. Ma da varii giorni è sparsa voce che in luogo di quella abbia ad essere la Sig.ra Pasta. Cotesto cambiamento influirebbe troppo sul mio lavoro. perchʼio prosegua nel medesimo, senza curare chʼei debba servire piú per una che per lʼaltra. Mi rivolgo pertanto alla S.V. Ill.ma affinché si degni rassicurarmi con nota piú precisa. Una Sua lettera mi è tanto piú necessaria, quanto che si vocifera che alcune scritture del Sig.r Rossi non siano approvate dalla nobile Direzione: né io ho tanta fiducia nel mio valore per esser certo che la mia scrittura non possa soffrire eccezione. Prego la S.V. Ill.ma dʼaver la bontà di rispondermi a posta corrente, poiché il tempo preme; e di perdonarmi la libertà che mi prendo in grazia del motivo che mi vi spinge.23
21 Rossi ad Avesani, 12 aprile 1833, I-VT: «Spero a giorni spedirLe il libro della nuova opera, se il
Poeta mi mantiene la parola, avendolo pressoché ultimato». Lʼinformazione relativa allʼimpegno di Mercadante con La Scala proviene da unʼaltra lettera conservata in I-VT (Rossi ad Avesani, 13 aprile 1833). Lʼassoluta incidentalità della circostanza è confermata dal sollecito invio a
Venezia dei contratti degli autori e dalla loro immediata approvazione. 22 Rossi ad Avesani, 18 aprile, 21 aprile e 8 giugno 1833; Avesani a Rossi, 18 e 28 aprile 1833. Anche
Lina Roser, moglie del compositore e cantante irlandese, sarebbe stata parte della compagnia, cfr. la lettera scritta da Balfe alla Direzione il 27 giugno 1833 (documenti tutti in I-VT). 23 Romani ad Avesani, Milano, 20 luglio 1833, I-VT, in roCCATAGlIATI, Felice Romani cit., doc. n. 77.
5. Cambio
Lʼesistenza di quattro manoscritti completi dimostra che il progetto di Giovanna dʼArco naufragò in una fase ormai avanzata.24 Le copie restituiscono il lavoro in tre versioni le cui leggere differenze sono imputabili soltanto alla trasformazione dellʼoriginario ʼmelodrammaʼ in due atti nella definitiva ʼtragedia liricaʼ in quattro parti.25
Lʼautografo di Romani è perduto. Opera tutti di un unico copista, i ventidue fogli del manoscritto seriore (ms. 17/1, dʼora in poi A) contengono un lavoro in due atti. Formato da diciassette fogli opera anchʼessi di unʼunica mano, il ms. 17/2 (dʼora in poi B) manca sia del frontespizio sia della lista dei personaggi, e presenta la bipartizione dei due atti. Formato da quattordici scene, il primo è diviso in due Parti rispettivamente di cinque e di otto (ancora presente, la sesta scena è barrata per togliere alla Parte unʼinopportuna conclusione dialogica); le quindici del secondo atto sono invece separate senza tagli: sette formano la Parte III e otto la Parte IV.
Scritto tutto da una terza mano, ms. 7 (dʼora in poi C) è una copia fedele di B. Redatto in un momento posteriore, ms. 17/3 (dʼora in poi D), il documento trascritto ed editato in appendice) conta diciannove fogli. Ogni Parte vi risulta copiata da una mano diversa. Romani effettuò la revisione della quarta, introducendovi alcune varianti. Inoltre, egli redasse un frontespizio, una lista di personaggi incompleta, un nuovo frontespizio e una seconda lista, stavolta completa.26
Nellʼaprile del 1833 il musico assegnatario del ruolo di Giovanna era Giuditta Grisi, i soprani (Agnese e Isabella) Lina Roser Balfe e Carolina Lussanti,27 i tenori (Leonello e La Hire) Domenico Donzelli e Giacomo Roppa, il ʼtenore o basso bravoʼ (Carlo) Orazio Cartagenova e il basso (Dunois) Gaetano Nerozzi.
Romani aveva scelto il soggetto della Pulzella dʼOrleans contando sulla disponibilità di Giuditta Grisi. Lʼagitazione dinanzi alle voci dʼingaggio di Giuditta Pasta prova lʼimprescindibilità da parte sua di una cantante con grandi doti attoriali e con la voce brunita del musico. Avesani rassicurò subito Romani, ma fu egualmente
24 I-mAS, ʼAutografi Gallettiʼ, mss. 7 e 17/1-2-3. La collezione è descritta nelle linee generali da mAuCerI, Inediti di Felice Romani cit. Venendo a Giovanna dʼArco, lʼautore non decifra correttamente la data sul frontespizio del ms. 17/1 (aprile 1833, non 1826; una lettura corretta è tuttavia impossibile senza un esame della corrispondenza romaniana con Avesani, Mercadante e Rossi). 25 Lʼoperazione comportò il taglio di una scena alla fine di quella che divenne la Parte 1 e alcune varianti nelle didascalie della Parte IV. 26 Ambedue i frontespizi recitano semplicemente Giovanna dʼArco / Tragedia Lirica / in 4. Parti. 27 Il nome della Lussanti sostituisce quello, barrato, di una certa Ansani. Benché nessuna cantante con questo nome sia stata sinora identificata, la persona inclusa nella lista potrebbe essere stata un membro della famiglia di Giovanni Ansani, un tenore fiorentino maestro fra gli altri di Luigi Lablache e Manuel García.
chiaro riguardo alla Pasta: già approvato da Lanari, il suo contratto era stato ufficialmente trasmesso alla nuova amministrazione.
Il Rossi fino dal 12 aprile mi scriveva cosí: ʼspero a giorni di spedirLe il libretto della nuova opera, se il Poeta mi mantiene la parola, avendolo egli pressoché ultimatoʼ. Io ci ebbi molta compiacenza, perché non si rinnovassero i ritardi e le dispiacenze dellʼanno scorso; e sono sicuro che la Sua lettera non tende a questo fine mentre siamo al fine di luglio, entro il quale Ella deve dare il primo atto. Del resto la Pasta è la prima donna, e non la Grisi, checché dica e speri il Rossi, che non può per le sue mire di guadagno come sensale e di risparmio, come deliberatario dellʼimpresa per persona da dichiarare, farsi giuoco del contratto nel quale la Presidenza, temendo appunto simili giochi, ha voluto riservare a sé di trattare la Pasta, e lʼha impegnata. Di Donzelli e Cartagenova non occorre dire che sono già da gran tempo scritturati. Mi raccomando di nuovo a Lei, onde non sia ritardato il dramma: e mi pregio di protestarLe la distinta mia stima.28
La Direzione sʼera infatti giovata dellʼesclusivo diritto allʼorigine di tante tensioni con gli impresari. Lʼestromissione della Grisi fu la causa scatenante dellʼuragano.
6. Drammaturgia
Ritenuta talvolta un difetto, la natura librettistica della Jungfrau apparve a Romani un pregio, nellʼeconomia della riduzione del testo di Schiller al rango di pre-testo. Il rispetto per una tragedia la cui popolarità era stata recentemente accresciuta dalla bella traduzione di Andrea Maffei può essere unʼaltra, parziale spiegazione della fedeltà di Romani nei suoi confronti.29 Una terza potrebbe essere la personalità artistica di Mercadante, un compositore il cui stile ricco ma severo sollecitava la concezione di un libretto focalizzato essenzialmente sul dramma.30
La riconfigurazione è sintetizzabile in questi termini. Ripudiate da Schiller, le unità di spazio e tempo rimangono ignorate: la vicenda si svolge a Chinon, nellʼaccampamento alle porte di Orléans, a Reims e in un castello occupato dagli
28 Avesani a Romani, Venezia, 24 luglio 1833, minuta in I-VT, in roCCATAGlIATI, Felice Romani cit., doc. n. 78. 29 F[rIedrICH] SCHIller, La vergine dʼOrleans, Milano, Editori degli Annali Universali, 1830. 30 Prima opera di Mercadante su libretto appositamente scritto da Romani, I Normanni a Parigi (Torino, Regio, 7 febbraio 1832) possono essere considerati il momento inaugurale di una nuova fase nella creatività mercadantiana, marcata dallʼabbandono del dramma metastasiano, da una graduale emancipazione dal canone rossiniano e da un recupero deliberato di tratti spontiniani e cherubiniani (cfr. GIoVANNI CArlI BAllolA, Mercadante e il ʼBravoʼ, in Il melodramma italiano dellʼOttocento. Studi e ricerche per Massimo Mila, a cura di Giorgio Pestelli, Torino, Einaudi, 1977, pp. 365-401: 371-373.
inglesi in un arco temporale indefinito. Lʼunità dʼazione è rafforzata dallʼesclusione in blocco dei personaggi secondari e da un accorto dosaggio di opportunità sceniche per quelli principali.
Tralasciando il Prologo, Romani nega lo status di dramatis personae a sorelle, fidanzato e padre di Giovanna.31 Desideroso di andare al cuore del dramma indagando a fondo quello della Pulzella, Romani rinuncia a unʼoasi lirica di grande effetto come lʼaddio al villaggio natio e a un coup de théâtre altrettanto sicuro come lʼaccusa di stregoneria rovesciata da Thibaut sulle spalle della figlia. A parte ciò, la trama di Schiller non va soggetta ad alterazioni sostanziali. Come Barbieri, Romani mantiene la successione originale di duello e processo, invertita da Viganò e Gaetano Rossi; inoltre, accoglie nel suo lavoro Agnès Sorel, figura sacrificata sovente dai suoi predecessori.32
Oltre ad affidare a vari personaggi la descrizione dei trionfi di Johanna, Schiller fa duellare la sua eroina con quattro avversari, Montgomery e Filippo il Buono nel secondo e il Cavaliere Nero e Lionel nel terzo atto. I confronti hanno esiti diversi: Johanna sconfigge e uccide il cavaliere gallese (II, VI-VIII) ma non incrocia neppure la spada col duca borgognone, dissuaso da Dunois dal confronto in armi con una donna (II, IX-X); il Cavaliere Nero pietrifica Johanna toccandole il braccio e, dopo averle intimato di uccidere solo ciò chʼè mortale, scompare inibendo ogni sua replica (III, IX); Lionel lancia la sfida, perde la spada ed è presso a soccombere quando il suo sguardo incrocia quello della Pulzella bloccandone la furia (III, X).
Determinato a ospitare nelle sue pagine un solo duello, Romani sceglie quello di amore e morte. Lungi dal dissipare la sostanza drammatica degli altri tre, egli fonde in unʼunica scena i confronti con Montgomery e con Lionel (II, IV), contrapponendo la determinazione omicida dellʼeroina alla sua incapacità di trafiggere il cavaliere inglese nel momento decisivo. Il recitativo di Leonello e il suo scontro verbale con Giovanna derivano dal confronto con Montgomery, mentre il resto proviene dal duello originale. Romani fa incontrare Leonello e Giovanna dopo la sconfitta in cui il cavaliere inglese ha perso la spada; analogamente a quanto fa in Schiller, un attimo dopo la comparsa di Montgomery la Pulzella grida “Sei morto!”. La differenza fra il Montgomery di Schiller e il Leonello di Romani è che il primo ha deposto la spada per affrontare Johanna con le armi della retorica, mentre il secondo non ha dubbi sulla necessità di recuperare per prima cosa il ferro. In Schiller Johanna invita Montgomery a prendere lʼarma e a combattere: scartato il dialogo in cui il Gallese fa invano leva sulla sensibilità del gentil sesso, Romani è costretto
31 Anche Gaetano Rossi omette il Prologo di Schiller nel libretto per Vaccai, ma fa comparire
Raimondo piú avanti, nellʼepisodio del vagabondaggio nelle Ardenne (Schiller: V, i-iii). Assente nei lavori di Rossi/Vaccai e Romani/(Mercadante), il padre di Giovanna è presente invece in quelli di Ferrario/Viganò e Barbieri/Pacini. 32 Lʼunico a conservare il personaggio dellʼamante di Carlo VII, pur limitandone il ruolo alla donazione dei gioielli, è Gaetano Rossi (Schiller: I, iv).
a ricorrere allʼespediente, inelegante ma pur sempre efficace, del deus ex machina: il Destino interviene infatti a restituire a Leonello la spada perduta.
Un altro elemento essenziale della vicenda di Giovanna dʼArco è quello sovrannaturale. Schiller non mostra la Vergine fra i rami della quercia ma fa narrare due volte a Johanna la sua visione (Prologo, IV, addio al villaggio: I, x, autopresentazione a Carlo VII); inoltre, egli aggiunge lʼapparizione del Cavaliere Nero, il rombo del tuono durante il processo e il miracolo della rottura delle catene. Tutti i librettisti italiani cercano di sfruttare il potenziale spettacolare di questi episodi. Viganò fa apparire il Genio della Francia nel primo atto e fa ammonire Giovanna dal Cavaliere Nero nel quarto; Rossi offre a Vaccai la possibilità di creare una memorabile scena di spiriti durante il vagabondaggio, episodio da cui estromette soltanto lʼincontro coi carbonai (III, v);33 Barbieri organizza lʼIntroduzione di Pacini sfruttando solo lʼapprensione di Tebaldo durante lʼinvestitura della figlia.
Dotato di un fiuto superiore, Romani colloca la scena sovrannaturale dopo il Duetto dʼamore e morte (II, VI). In Schiller Johanna sviene fra le braccia di La Hire appena Lionel sʼallontana (III, X-XI); Romani la fa fuggire (II, IV) e quindi riempie il palcoscenico con una squadra di soldati francesi (II, V) che scompare un attimo prima del suo rientro (II, VI). Il recitativo e il dialogo di Giovanna con quella che lei crede unʼeco è unʼingegnosa rielaborazione del secondo monologo di Schiller (IV, I). La genialità della scena sta nel modo in cui lo spettatore comprende che lʼinterlocutore della Pulzella non è unʼeco. La prima volta la voce si limita a ripetere lʼultima parola pronunciata da Giovanna («Mai»). La seconda la risposta non arriva da una voce, ma da un coro di voci: il brivido che percorre la schiena di Giovanna non le impedisce di credere di avere a che fare con un interlocutore singolo. La situazione si chiarisce quando allʼaffermazione della Pulzella «Tu mi predici ancor / la mia condanna» le voci rispondono «La tua condanna»: il riorientamento del possessivo è il colpo che stronca Giovanna, facendola crollare svenuta. Efficace in sé, la scena è concepita meglio di quella di Rossi e Vaccai perché il pubblico percepisce la dannazione come pena per la mancata uccisione di Leonello. Inoltre, essa è collocata in un luogo opportuno perché precede lʼaccusa di stregoneria: i dubbi sul comportamento della Pulzella cominciano a serpeggiare tra i francesi soltanto allʼinizio della Parte III, a seguito dellʼesitazione a proposito del mantenimento della guida dellʼesercito (II, X).
Il retroterra biblico conferisce allʼatto dʼaccusa un potenziale spettacolare stolidamente ignorato dal solo Barbieri; addirittura Ferrario e Viganò non si fanno
33 Malgrado il suo valore in termini musicali, la “scena oscura” di Vaccai è drammaturgicamente mal collocata perché ha luogo prima del Duetto dʼamore e morte. Questo fa sí che Giovanna giunga al confronto col suo antagonista già gravata dalla dannazione, circostanza che macchia la sua innocenza prima dellʼinfrazione del voto di castità. Il problema è lʼinserimento da parte di Gaetano Rossi dellʼepisodio sovrannaturale su una trama meccanicamente assunta dal coreodramma di Ferrario e Viganò, lavoro che introduce la permutazione fra giudizio e duello.
sfuggire lʼoccasione di accogliere il silenzio di Johanna nel loro dramma muto. Lʼunico a escludere il padre di Giovanna era stato Gaetano Rossi, il quale aveva assegnato il compito di instillare il dubbio nelle menti dei francesi al nemico Fastolfo; scaltramente, Vaccai si guardò dallʼintonare i versi del soldato inglese, riuscendo cosí a non far abbassare la temperatura emotiva del processo.
Romani diffonde il sospetto fra i commilitoni di Giovanna, la cui angoscia collide con lʼopposizione recisa di Dunois (II, 1). Difensore della Pulzella, questi ottiene la solidarietà di La Hire in un dialogo (III, II) che prelude al Duetto dʼamor sororale fra Giovanna ed Agnese. Istanza purissima del cosidetto dramma di idee (IV, II), questa opportunità drammatica era stata trascurata da tutti i predecessori. Romani onora la sua fama di principe dei librettisti italiani di primo Ottocento non solo non ignorando una scena cosí toccante, ma anche sfruttandola in funzione del rito dellʼincoronazione. La sequenza drammaturgica di Schiller dopo il duello fra Johanna e Lionel è la seguente: monologo di Johanna (IV, I), suo dialogo con Agnese (II), sua sofferta decisione di guidare il corteo (III) e inizio della cerimonia (IV-X), culminante nellʼaccusa di Thibaut (XI). Romani colloca la scena degli spiriti (II, VIVII) prima dellʼesitazione di Giovanna nel farsi portabandiera (VIII); dopo il grande Finale, lʼincredulità di Dunois dinanzi al Coro (III, I) è seguita dalla dichiarazione di solidarietà di La Hire a Leonello (II), dal Duetto fra Giovanna e Agnese (III-IV), dal corteo dellʼincoronazione (V), dal bisbiglio dei popolani («Ella è rea», VI) e dallʼatto di autoaccusa della Pulzella (VII). Da questo momento in poi, a parte il taglio del vagabondaggio nelle Ardenne, Romani segue Schiller alla lettera.
7. Caos
Alla fine di giugno, quando Romani aveva ormai finito il suo libretto, La Fenice non era ancora in grado di assicurare alla Grisi il compenso pattuito. Il 14 luglio la cantante pretese un formale annullamento del pre-contratto. Il marchese Pallavicini non si pregiò di risponderle: anche se nei giorni dellʼabbandono di Lanari aveva mostrato un tiepido interesse per lʼassunzione della direzione amministrativa, il nobiluomo non aveva mai ufficializzato la sua scelta. Furibonda, la Grisi passò la pratica al suo avvocato.34
34 Vista lʼaria che tirava, la Grisi aveva nominato suo legale lʼavvocato Alessandro Mozzoni Frasconi sin dai giorni della lite fra Bellini e Romani (cfr. la sua lettera datata Milano, 18 aprile 1833, I-mS C.A. 3274). Alla fine di settembre la cantante ricevette una lettera in cui Angelo Coen, emissario veneziano di Lanari, la informava del fatto che il teatro stava facendo pressione su Pallavicini per fargli assumere la direzione amministrativa per il Carnevale successivo. Nondimeno, la Grisi non avrebbe potuto trarre vantaggio da questo fatto perché la Direzione aveva ingaggiato autonomamente la Pasta. A quel punto lʼidea di Coen era di indurre Rossi a lasciar libera la Grisi, in modo tale da consentirle di accettare una proposta di Lanari per Roma. Rossi accettò il consiglio di Coen e scrisse la lettera (Coen a Grisi, Venezia, 19 settembre 1833, I-mS, C.A. 3256, con dichiarazione di Rossi in allegato). Il problema era che, credendosi ingag-
Il 24 luglio Avesani confidava ancora nel fatto che, malgrado il cambio della prima donna, Romani avrebbe consegnato ugualmente Giovanna dʼArco. Rossi continuava ad agire sicuro del fatto suo, ribadendo la presenza della Grisiʼ.35 Allʼinizio di agosto il caos raggiunse lʼapice. Il fatto che Rossi non adoprasse piú la carta intestata della Fenice fece temere a Donizetti che questi avesse ormai perso il controllo della situazione.36 Impavido, il 23 settembre Rossi spedí ad Avesani i libretti per la ʼsuaʼ stagione, da inaugurare con Fausta di Donizetti (o con una ripresa dei Capuleti e Montecchi), e da proseguire con Edoardo in Iscozia, lʼopera nuova di Mercadante e una da scegliere fra la Straniera di Bellini, Caterina di Guisa di Coccia, e Parisina di Donizetti.37
Preoccupata dalle voci che circolavano in città, la Direzione Generale di Polizia chiese al teatro di sintetizzare per iscritto le trattative in corso per la stagione imminente. Datata primo ottobre, la risposta di Avesani è il documento che mette finalmente le cose in chiaro. Fino a quel momento Rossi non aveva dichiarato il nome dellʼimpresario, sostenendo che lʼatto formale competeva a Pallavicini. Il problema era che Rossi aveva esortato il marchese ad assumere personalmente il ruolo dellʼimpresario, cosa che questi non si era mai sognato di fare. Incurante del rifiuto, Rossi aveva scritturato unʼintera compagnia confidando nelle proprie capacità di convincere in un modo o nellʼaltro Pallavicini. Ribadendo lʼestraneità della Fenice a tali alchimie, Avesani sottolineò che la Direzione era ancora in attesa di conoscere il nome dellʼimpresario.
Il millantato ingaggio della Grisi contravveniva al famoso diritto di prelazione; la condotta di Rossi fu causa inoltre dellʼannullamento delle scritture della Tadolini e della Roser Balfe. Avesani continuava puntualizzando il decadimento dei contratti per le seconde parti e per il coreografo, e biasimando la perdurante vacanza di numerose posizioni tecniche (illuminatore, attrezzista, ecc.). Infine, cosa piú grave,
giata a Venezia, la Grisi aveva rinunciato allʼofferta romana. consentendo cosí a Lanari di scritturare unʼaltra cantante. Profilandosi una stagione di inattività forzata, la Grisi pretese un indennizzo corrispondente (Cristoforo Barni – futuro marito della cantante – a Mazzoni
Frasconi, Bologna, 21 settembre 1833, I-mS, C.A. 3258). La rinuncia formale di Pallavicini arrivò solo il 5 ottobre, e la Grisi ne venne a conoscenza solo venti giorni dopo, di nuovo grazie a una lettera di Coen (Venezia, 24 ottobre 1833, I-mS. C.A. 3262). 35 Rossi ad Avesani, Milano, 26 luglio 1833, I-VT. Rossi vi delinea compagnia e cartellone: prime donne Grisi e Roser Balfe; tenori Donzelli e Nerozzi; basso Cartagenova. Librettista e compositore della nuova opera Romani e Mercadante. Inoltre, tre opere nuove per Venezia: la prima avrebbe dovuto essere Edoardo in Iscozia (Gilardoni/Coccia, Napoli, San Carlo, 8 maggio 1831): le altre due avrebbero dovuto essere scelte al piú presto da un gruppo di dieci. 36 Donizetti a Ricordi, Roma, 6 agosto 1833, in GuIdo ZAVAdINI, Donizetti. Vita, Musiche Epistolario, Bergamo, Istituto Italiano dʼArti Grafiche, 1948, lettera n. 111: «Rossi passa di qui, mi avvisò il figlio, - ma le sue lettere non han piú la tiritera stampata in cima e... ohimè... che sarà.
Dice di combinare... cosa poi?» 37 Rossi ad Avesani, Milano, 23 settembre 1833, I-VT.
mancava ancora «il libretto dellʼopera nuova, appositamente scritta, che doveva essere assoggettato allʼapprovazione in Settembre».38
8. Attesa
Intento a programmare le sue nuove attività di maestro di cappella, Mercadante non aveva il piú lontano sentore delle trame veneziane.39 Il desiderio di onorare il suo impegno con Novara lo indusse a declinare ogni offerta teatrale per lʼautunno. Sperando ancora di riuscire a conciliare le incombenze, undici giorni dopo il debutto del Conte dʼEssex Mercadante aveva firmato un contratto con la Scala per lʼinaugurazione del Carnevale 1834 e aveva accettato di comporre unʼopera da mandare in scena alla Fenice nella seconda parte della stagione.40 Candidato a fornirgli i due libretti, Romani era a sua volta occupatissimo:41 ottobre era arrivato, e il ritardo incominciava ad inquietare.
Non risposi a posta corrente alla vs.a del primo di mese, poiché attendevo riscontro da Romani in proposito. Le mie lettere mai furono incoerenti, poiché in esse continuamente vi pregai interessarvi per la consegna del libro. Il detto Romani mi disse verbalmente il giorno 19 agosto che voleva avanzarsi con quello di Milano, quindi occuparsi di Venezia. ed io ero contento purché mi si desse da travagliare. Mi lagnai soltanto passati 45 giorni senza nulla poter fare, per lʼuno e per lʼaltro. Si può esigere che io abbi da comporre lʼopera senza poesia senza tempo?... in che dunque sono incoerente?... Lungi piú di voi dal voler questioni, vi partecipo che il d.o Romani oggi mi scrive dʼinteressarsi, e darmi subito qualche cosa da lavorare, vedetelo, pregatelo, e fate sí che si verifichi quanto dice. Se la cosa si riduce al punto chʼio non possa adempiere allʼimpegni presi compromettendo cosí me e lʼImpresa sono disposto a rinunziare alla scrittura di Milano, dandovi fin dʼora facoltà di
38 Avesani alla Direzione Generale di Polizia, Venezia, 1 ottobre 1833, minuta in I-VT. 39 Mercadante aveva appena sostituito Generali, morto il 3 novembre 1832, nel ruolo di direttore della Cappella del Duomo di Novara. Il concorso si era svolto nei primi mesi del 1833; il vincitore fu informato il 23 febbraio dellʼobbligo di presentarsi in città a inizio marzo. Cfr.
GuIdo BuSTICo, Saverio Mercadante a Novara, «Rivista Musicale Italiana» XXVIII, 1921, pp. [361]-396: 372; GASpAre Nello VeTro, Saverio Mercadante Maestro di Cappella in Novara, in
Saggi su Saverio Mercadante, a cura di Gian Luca Petrucci e Giacinto Moramarco, Cassano delle Murge, Messaggi [1992], pp. 147-171. 40 Il conte dʼEssex, Romani, Milano, Scala, 10 marzo 1833; il lavoro progettato per Milano era
Saffo; quello per Venezia Giovanna dʼArco. 41 Dopo il suo rientro nel 1831 dalla Penisola Iberica, dove aveva composto alcune opere su libretti romaniani precedenti, Mercadante stabili una cooperazione fissa col poeta, che dopo il successo dei Normanni a Parigi scrisse per lui sei altri libretti. Il rapporto finí solo col ritiro di Romani dal teatro e col tentativo fallito da Mercadante di affermarsi a Parigi (coi Briganti, opera su libretto di Jacopo Crescini, Théâtre des Italiens, 22 marzo 1836).
scioglierla senza sagrifizio delle due parti. Ciò vi proverà la mia onestà, ed impegno di fare il mio dovere da uomo da bene.42
In quei giorni Mercadante fu turbato anche dalla voce secondo cui per compiacere Henriette Méric-Lalande Romani aveva smesso di lavorare a Saffo e, malgrado il suo disprezzo per Victor Hugo, aveva cominciato a scrivere Lucrezia Borgia. Era vero: il 10 ottobre Romani aveva ricevuto una visita di Donizetti, che gli aveva annunciato il suo ingaggio per lʼapertura del Carnevale scaligero e il suo desiderio di comporre unʼopera tratta da Lucrèce Borgia. 43 Dopo la lite con Bellini, la prospettiva di un successo alla Scala in unʼinaugurazione con la Méric-Lalande e il compositore piú in voga del momento era allettante. Dʼaltronde, la strategia di Romani era corretta, e persino lungimirante: Donizetti poteva lavorare sul soggetto da lui richiesto, la Méric-Lalande gongolava allʼidea di apparire nei panni di Lucrezia Borgia, e Mercadante poteva dedicare ogni suo sforzo a Giovanna dʼArco. Tutto bene, in apparenza. Ma, a ben guardare, una zona oscura cʼera: quella di competenza di Giovanni Rossi.44
9. Strutture
La conferma definitiva dellʼassenza della Grisi indusse Romani a chiudere il suo manoscritto in un cassetto e ad accordarsi con Mercadante per unʼopera su soggetto diverso.45 Prima dʼabbandonare a nostra volta Giovanna dʼArco. Tuttavia, può essere utile analizzarne la struttura drammatica. Alessandro Roccatagliati conclude la sua indagine sulla morfologia dei numeri musicali romaniani sottolineando lʼabilità
42 Mercadante a Rossi, Novara, 5 ottobre 1833, I-mAS, ʼAutografiʼ 95/11, in roCCATAGlIATI, Felice
Romani cit., doc. n. 80. 43 Pubblicata allʼinizio del 1833, la tragedia di Hugo fu rappresentata il 2 febbraio nel teatro parigino della Porte St-Martin (le musiche di scena furono composte da Louis-Alexandre
Piccinni, nipote di Niccolò). A proposito della struttura drammaturgica e dellʼimportanza stilistica di Lucrezia Borgia cfr. GAry TomlINSoN, Opera and ʼDrameʼ: Hugo, Donizetti, and
Verdi, in Music and Drama (Studies in the History of Music, 2), New York, Broude Brothers, 1988: pp. 171-192. Mercadante aveva posposto il suo contratto con la Scala allʼautunno successivo, consentendo cosí al teatro di ricorrere a un altro compositore. In quei giorni Donizetti vi stava ottenendo un grande successo - 36 recite il bilancio finale - col Furioso nellʼisola di
Santo Domingo (Jacopo Ferretti, Roma, Valle, 2 gennaio 1833). 44 Romani a Carlo Visconti di Modrone ([Milano, 10 ottobre 1833]) e Mercadante al medesimo destinatario (Novara, 12 ottobre 1833), entrambe le lettere in roCCATAGlIATI, Felice Romani cit., docc. nn. 81 e 82; Donizetti a Ferretti (Milano, 9 ottobre 1833) e a Visconti di Modrone (Milano. 11 ottobre 1833), entrambe in ZAVAdINI, cit.: 336-337. 45 Romani ad Avesani, Milano, 22 ottobre 1833, cit. La conferma ufficiale dellʼingaggio della Pasta e lʼaccettazione della nuova proposta si trovano nella risposta di Avesani (Mira, 26 ottobre 1833, minuta in I-VT, ʼSpettacoli 1833-35ʼ). Il Presidente desiderava che Emma dʼAntiochia non debuttasse piú in là del 20 febbraio 1834, ma lʼandata in scena dovette essere differita sino allʼ8 marzo.
del librettista nellʼuso di forme specifiche in funzione della loro efficacia teatrale. La varietà di soluzioni esperite nel corso di una carriera non mostra unʼevoluzione rettilinea: anche nelle opere in cui confeziona numeri innovativi Romani continua a ricorrere alle vecchie Arie bipartite senza tempo di mezzo. Le poche costanti sono lʼespansione graduale della stanza (dalla quartina tradizionale a otto e perfino a dieci versi con distico finale), il frequente ricorso ad aperture non strofiche nel primo tempo dei Duetti e la comparativa diminuzione di cantabili e cabalette a due.46
Oltre che in rapporto a questi tratti, lʼoriginalità di Giovanna dʼArco può essere accertata mediante unʼindagine diacronica e unʼanalisi sincronica. La prima si concentra sulle opere esplicitamente definite “tragedie liriche”; la seconda sui libretti redatti negli anni intorno al 1833.47
Tutte scritte per compositori di prima grandezza (Bellini, Donizetti, Mercadante), le tragedie liriche di Romani sono di norma in due atti: solo Emma dʼAntiochia è in tre, mentre I Normanni a Parigi, Ugo, conte di Parigi e Giovanna dʼArco sono in quattro parti.48 Norma ha unʼIntroduzione, cinque numeri individuali e quattro Duetti, uno dei quali sfocia nel Terzetto che conclude il primo atto. Tutti i pezzi mostrano una struttura regolare, salvo il Duetto del secondo atto fra Norma e Pollione in cui
46 roCCATAGlIATI, Felice Romani cit., pp. 201-231. 47 La produzione edita di Romani conta otto “tragedie liriche”, tutte redatte fra il 1829 e il 1834 (sebbene sia impossibile effettuare distinzioni chiare rispetto ai “melodrammi seri” o ai
“drammi lirici”, selezionare lavori recanti la medesima dicitura di Giovanna dʼArco può facilitare alcuni raffronti interni alla produzione romaniana): Saul (Vaccai, Napoli, San Carlo, 11 marzo 1829; Ferdinando Ceccherini, Firenze, Filarmonico, 1843), Zaira (Bellini, Parma, Ducale, 16 maggio 1829; Alessandro Gandini, Modena, Corte, 7 novembre 1829; Mercadante, Napoli, San Carlo, 31 agosto 1831; Antonio Mami, Modena, Comunale, 25 gennaio 1845), Anna
Bolena (Donizetti, Milano, Carcano, 26 dicembre 1830), Norma (Bellini, Milano, Scala, 26 dicembre 1831), I Normanni a Parigi (Mercadante, Torino, Regio, 7 febbraio 1832), Ugo, conte di Parigi (Mercadante, Milano, Scala, 13 marzo 1832; Alberto Mazzucato, Milano, Re, 25 febbraio 1843, col titolo Luigi V re di Francia), Beatrice di Tenda (Bellini, Venezia, Fenice, 16 marzo 1833;
Rinaldo Ticci, Siena, Bianchi, Carnevale 1837: Frederico Guimarães, Lisbona, São Carlos, 29 marzo 1882, col titolo Beatriz), Emma dʼAntiochia (Mercadante, Venezia, Fenice, 8 marzo 1834:
Giovanni Bracciolini, Bologna, Comunale, 26 novembre 1838, col titolo Emma e Ruggero; Vincenzo Pontani, Viterbo, Macchi, Primavera 1852, col titolo Emma e Ruggero; Carlo Lovati-
Cozzulani, Alghero, Civico, Carnevale 1866, col titolo Emma; Ercole Cavazza, Bologna, Brunetti, 6 giugno 1877, col titolo Emma). I libretti romaniani del 1833 passati in rassegna in questa sede sono Il conte dʼEssex (Mercadante, Milano, Scala, 10 marzo), Beatrice di Tenda (Bellini,
Venezia, Fenice, 16 marzo), Parisina (Donizetti, Firenze, Pergola, 17 marzo) e Lucrezia Borgia (Donizetti, Milano, Scala, 26 dicembre). 48 Lʼunica, parziale eccezione è Saul, scritto per Vaccai: tuttavia questo lavoro, concepito come unʼʼazione sacraʼ da rappresentare a Napoli durante la Quaresima del 1826 e presentata come tragedia lirica a Milano tre anni dopo, ebbe una gestazione tormentata. Ad ogni modo, nel lasso di tempo in cui scrisse le sue otto “tragedie liriche” Romani produsse anche un ʼmelodramma tragicoʼ, quattro ʼmelodrammi seriʼ, undici ʼmelodrammiʼ, due ʼmelodrammi giocosiʼ, un ʼmelodramma comicoʼ, una ʼcommedia liricaʼ e unʼʼopera buffaʼ.
lʼandamento del dramma fa dominare il cantabile alla sacerdotessa, comportando in pratica la sparizione del tempo di mezzo. Anche Beatrice di Tenda, seconda tragedia lirica scritta per Bellini, mostra una sostanziale regolarità. La struttura dei suoi pezzi devia di rado dalla forma canonica: lʼunica eccezione è il Duetto del primo atto fra Beatrice e Filippo (settenari nella seconda parte della scena e in tutto il primo tempo, nel dialogo e nel cantabile; senari in un tempo di mezzo che contiene un dialogo e alcune stanze individuali; senari doppi nella cabaletta).49
La grande importanza di Anna Bolena nella storia dellʼopera romantica e quella piú limitata di Ugo, conte di Parigi sono state dimostrate in due studi monografici.50 I Normanni a Parigi, tragedia lirica in quattro parti come Giovanna dʼArco, non ha finora suscitato grandi attenzioni. Essa fu la prima opera scritta da Romani per Torino, città la cui corte aveva commissionato a Mercadante le ultime intonazioni metastasiane ospitate dal suo teatro. Sei Arie e cinque Duetti suggeriscono unʼanalogia con la struttura di Norma, varata a Milano sei settimane prima; tuttavia la distribuzione rigidamente gerarchica dei numeri individuali fra i personaggi, la presenza di un ʼamorosoʼ (il giovane cavaliere francese Osvino) assegnatario di unʼAria e protagonista di tre Duetti, lʼassenza di grandi ensembles oltre lʼIntroduzione e il Finale primo e, cosa dirimente, la regolarità al limite del pedantesco di ogni pezzo rivelano la natura intimamente conservatrice di questʼopera.
Il corpus drammatico mercadantiano registra altri due titoli – nessuno di essi “tragedia lirica” – fra I Normanni e Giovanna dʼArco. Opera oggi dimenticata, Ismalia (Milano, Scala, 27 ottobre 1832) ha unʼimportanza ragguardevole nella storia del teatro musicale perché è frutto della prima incursione di due artisti italiani nel dominio dellʼopera fantastica.51 Lo iato fra lʼastrusità della trama, piena di giuramenti solenni,
49 Queste osservazioni danno fondamento alla tesi formulata in TomlINSoN, Italian Romanticism and Italian Opera cit., pp. 52-54, a proposito del decremento del tasso di sperimentalismo nei libretti approntati per Bellini allʼindomani del progetto, anchʼesso abortito, di Ernani. 50 pHIlIp GoSSeTT, ʼAnna Bolenaʼ and the Artistic Maturitv of Gaetano Donizetti, Oxford, Clarendon
Press, 1985: JoHN BlACk - AleXANder WeATHerSoN, ʼUgo, conte di Parigiʼ: Its Source and the
Convenienze Teatrali which Led to Its Short Life on the Stage, [London], Donizetti Society, 1985. 51 Nella Nota introduttiva del libretto Romani afferma: «Ho voluto ridonare allʼItalia un genere di spettacolo che rapito le avevano soverchia timidezza, o lunga abitudine. Il Fausto, per tacere del Convitato di Pietra, il Bersagliere [Il franco cacciatore, NdA], Roberto il Diavolo, e tantʼaltre fantastiche produzioni Germaniche, Francesi ed Inglesi di sommo effetto in Teatro giustificano il mio intendimento». mICHAel WITTmANN, Meyerbeer und Mercadante? Überlegungen zur italienischen Meyerbeer-Rezeption, in Meyerbeer und das europäische Musiktheater, hrsg. v.
Sieghart Döhring u. Arnold Jacobshagen, Laaber, Laaber Verlag, 1999, pp. 352-385: 360-362, cita questo passo e sottolinea che prima del 1832 né Romani né Mercadante avevano avuto modo di assistere a una rappresentazione di Robert le diable; nondimeno, lʼautore sostiene che lʼeco dellʼeccezionale successo riscosso a Parigi dallʼopera di Meyerbeer (Scribe e Delavigne,
Paris, Opéra, 21 novembre 1831) potrebbe aver attirato lʼattenzione degli italiani verso il genere fantastico (la pubblicazione da parte di Ricordi dei pezzi staccati di questʼopera avvenne fra il gennaio e il marzo del 1832).
cavalieri normanni e amanti fantasmi, e il tradizionalismo delle forme poetiche e musicali mostra la distanza del melodramma nostrano dagli orizzonti estetici del teatro europeo contemporaneo. Tutti i pezzi di Ismalia (Introduzione, Finale Primo, un Terzetto, cinque Duetti – quattro dei quali fra la protagonista e il suo amante – e solo tre Arie) mostrano una struttura regolare.52 Anche quando Romani forza gli argini consueti del suo linguaggio, per esempio nel coro di maliarde (II, VI) ispirato al Valzer delle suore in Robert le diable, Mercadante non riesce a compiere un gesto altrettanto deciso.53
Melodramma in tre atti, Il conte dʼEssex (Milano, Scala, 10 marzo 1833) presenta una drastica riduzione nel numero dei pezzi individuali.54 Lʼunica Aria (regolare, peraltro) è quella del personaggio eponimo; per il resto, lʼopera consta di unʼIntroduzione, tre Duetti quasi del tutto privi dei rispettivi primi tempi e due Finali, lʼultimo dei quali comincia come unʼAria della Duchessa di Nottingham, diventa un Duetto con lʼintervento del Duca, quindi un Terzetto con quello della Regina Elisabetta e infine un ensemble con lʼarrivo degli altri personaggi. Questa tendenza verso lʼagglutinazione drammatica faceva di Mercadante il compositore ideale per unʼopera basata sulla Jungfrau; di essa sʼipotizza qui una suddivisione in numeri musicali:
52 Lʼunica eccezione è la scena e sortita di Argea (I,VII), considerabile alla stregua di episodio inaugurale del Finale Primo. 53 Radicato nella tonalità di Si minore, il pezzo in 6/8 di Mercadante non denuncia lʼassimilazione degli accenti demonici che intridono gli ottonari di Romani (p. es.: «Di nuovʼesca sʼalimenti, / si nutrisca il focolare. / Agli usati incartamenti / strano inciampo insorger pare: / freddo il vase ancor non fuma, / non gorgoglia il pigro umor». Ritornello in Re maggiore: «Bolli, bolli, spuma, spuma / qual torrente in suo furor. // Vi mischiamo i tassi neri, / le cicute ed i napelli, / le verbene dei misteri. / lʼerbe colte sugli avelli, / ed i rovi in cui la schiuma / lascia il serpe insidiator. / Bolli, bolli, etc. // Aggiungiam lʼimpura bava / del mastino sitibondo: / vi stempriam la spessa lava / chʼeruttò Vulcan profondo, / il bitume che sʼalluma / e lʼasfalto incendiator. / Bolli, bolli etc.»). Neppure il passaggio nella seconda parte ai senari doppi (testo:
«Ma pallida, languida, - la fiamma declina / lʼumor si congela, - lʼaltare rovina, / i filtri apprestati, - le magiche note / potere non hanno, - dʼeffetto son vuote; / incognita forza - maggiore dʼArgea / soltanto potea - glʼincanti turbar. / Del freddo sepolcro - fu vano il terrore ... / redento è lo spirto - per opra dʼamore, / siam vinte, siam vinte, - fuggiamo, fuggiamo / la nostra corriamo - vergogna a celar») riesce a introdurre novità di rilievo, tali non essendo il tempo (2/4), lʼindicazione agogica (Allegro) e il leggero incremento dinamico (crescendo). 54 Ambedue tradizionali in termini di forma, gli altri libretti preparati da Romani per la seconda parte del Carnevale 1833 sono Beatrice di Tenda e Parisina, opere andate in scena a un giorno di distanza lʼuna dallʼaltra, rispettivamente il 16 e il 17 marzo. Considerato il debutto del Conte dʼEssex il 10, tre nuove opere su libretto di Romani apparvero nel giro di una settimana in altrettante importanti città italiane (Milano, Venezia e Firenze).
pArTe I 1. Introduzione 1. Scena e Cavatina 3. Finale Primo (Agnese)
pArTe II 4. Scena e Cavatina con cori (Leonello) 5. Aria (Isabella) 6. Scena e Duetto (Giovanna - Leonello) 7. Coro 8. Scena e Aria (Soldati francesi) (Giovanna)
(+) 9. Finale Secondo
pArTe III 10. Duettino con coro (Dunois – La Hire) 11. Scena e Duettino (Giovanna - Agnese) 12. Aria con cori (Agnese) 13. Aria con coro (Carlo) (+) 14. Coro (+) 15. Finale Terzo
pArTe IV 16. Gran Scena e Aria (Leonello) 17. Scena e Duetto (Leonello - Giovanna) 18. Scena e Preghiera (Giovanna) (+) 19. Aria Rondò (Giovanna)
La presenza di due grandi ensembles (3, Finale Primo, de facto unʼAria di Giovanna con pertichini in occasione dellʼautopresentazione a Chinon; 15, Finale Terzo, il giudizio pubblico dinanzi alla cattedrale di Reims), in aggiunta allʼIntroduzione (1) e al vasto Finale Secondo (9), è il primo indizio utile per valutare la distanza della tragedia lirica progettata per Venezia (Giovanna) da quella composta a suon di Arie e di Duetti lʼanno prima per Torino (I Normanni). La Pulzella è anche protagonista del Finale Ultimo (19, sua Aria-Rondò) e di tutti i Duetti (6, 11, 17, due con Leonello e uno con Agnese) salvo quello fra Dunois e La Hire allʼinizio della Parte III.
Venendo ai numeri individuali, Giovanna è assegnataria di due Arie, una con pertichini inserita nel Finale Primo (3) e una nella Parte II (8); inoltre, è la protagonista assoluta dellʼultima Parte in cui, dopo il secondo Duetto con Leonello (17), intona
la Preghiera (18) e il Rondò conclusivo (19). Leonello e Agnese hanno due numeri individuali ciascuno (4 e 16; 2 e 12); i due di Carlo corrispondono ai suoi discorsi, uno allʼinizio (episodio interno allʼIntroduzione, 1) e uno al centro dellʼopera, (13); Isabella ne ha invece solo uno (5), e i cavalieri francesi nessuno.
Sorprendentemente, forse, il Duetto piú tradizionale è quello di amore e morte (6). Leonello vi esordisce intonando un buon numero di versi eroici; la scena successiva con la Pulzella prosegue in ottonari sul dialogo che costituisce il primo tempo. Il cantabile assegna a ciascun contendente una quartina di settenari da cantare da sé. Il tempo di mezzo conserva lo stesso metro e culmina con lo scambio di battute «Ti rivedrò?» – «Mai piú!» su cui scatta, ancora in settenari, la cabaletta.
Il Duettino fra i cavalieri (10) è unʼalternativa raffinata al coro che lʼuso vorrebbe collocato allʼinizio della Parte III. Il Duetto fra le due donne (11) comincia invece con un lungo dialogo seguito dal primo tempo, anchʼesso in ottonari coi personaggi che cantano a turno; dopodiché il pezzo si chiude con una breve cabaletta a due nello stesso metro. Dopo il «breve silenzio» prescritto dalla didascalia si assiste al ritorno allo stile recitativo. Lasciata sola, Agnese canta unʼAria (12) di struttura ordinaria, con un primo tempo in ottonari («Qual favella... Io temo, io gelo»), un intervento corale nel tempo di mezzo («Vieni, te sola attende», settenari) e una cabaletta nello stesso metro («Ella?... Che deggʼio credere?»).
Il secondo Duetto fra Giovanna e Leonello (17) è molto piú interessante. Esso inaugura la serie di tre pezzi che formano il Finale Ultimo. La lunga scena, il primo tempo e il cantabile a due hanno un profilo tradizionale. Il tempo di mezzo include lʼaspro confronto fra i contendenti. Nel successivo passaggio in recitativo Isabella canta in dialogo con Leonello e chiede a un soldato di vedetta sulla torre di descriverle le fasi iniziali della battaglia. Giovanna è impaziente di svincolarsi, trovare una spada e correre al campo. Palesati i suoi sentimenti, la Pulzella comincia una Preghiera in due stanze (18, cantabile I, ottonari, e cantabile II, decasillabi). Appena intuisce lʼavvenuta cattura di Carlo VII Giovanna spezza le catene che la imprigionano e sʼinvola furibonda. Fungendo da tempo di mezzo, il miracolo fa scattare la cabaletta in ottonari cantata dalla regina. Impegnata in battaglia durante lʼesibizione vocale di Isabella, la Pulzella rientra solo piú tardi, ferita a morte (19, Scena Ultima).
La fedeltà a Schiller può certo essere stata il principio-guida di Romani; nondimeno lʼassegnazione del ruolo di Giovanna a un musico ebbe unʼinfluenza decisiva sulla strutturazione del testo. In un Duetto destinato a voci a distanza dʼottava (p. es. soprano e tenore) il testo della cabaletta prevede a un dato punto un avvicendamento delle voci o un loro appaiamento privo di ripercussioni sul profilo armonico. Al contrario, due voci non a distanza dʼottava (in Giovanna dʼArco: Giovanna, mezzosoprano, e Agnese, soprano; Giovanna, mezzosoprano, e Leonello, tenore) costringono librettisti e compositori a cercare soluzioni diverse dalla classica cabaletta a due o dallʼintonazione parallela di stanze individuali: i due cantanti possono combinare i loro versi o continuare a interagire anche dopo il tempo di mezzo.
Lʼunico numero in cui Romani obbliga il compositore ad affrontare questo pro-
blema è il Duetto di amore e morte (6), pezzo impossibile da concludere senza una cabaletta a due. Questa sarebbe stata, fra lʼaltro, lʼunica occasione in cui la Grisi avrebbe dovuto forzare la voce cantando nel registro superiore; e questo avrebbe potuto essere, insieme alle tre sere di riposo a settimana, uno dei vantaggi dellʼofferta di Lanari.
La Pulzella debutta con unʼAria che lascia spazio ai pertichini in quello che è di fatto il Finale Primo (3). Giovanna appare fin dal suo esordio come il perno dellʼopera: tutti gli ensembles gravitano intorno a lei, e anche i suoi numeri individuali si dimostrano affollati. Lʼunico suo numero virtualmente solistico si trova dopo il duello (8).55 Deplorata lʼinfrazione del voto (recitativo accompagnato), la Pulzella si produce in unʼinterrogazione a distanza della campagna natia (cantabile I).56 La replica inattesa degli spiriti (seconda quartina del cantabile I e unica quartina del cantabile II) causa lo svenimento di Giovanna e il collasso della struttura formale del numero: anche se la Pulzella rinviene durante la Stretta (coro, senari), lʼonore e lʼonere della cabaletta le sono preclusi. Infatti, il pezzo fa parte del Finale secondo (9), introdotto dal grido del Coro su cui irrompono Carlo, Dunois, Agnese e La Hire.
Il primo numero di Leonello (4) ha una struttura regolare e versi progressivamente piú brevi: Coro, «Oh! nel campo felici gli estinti», decasillabi; Leonello, primo tempo, «Voi piangete!... ah! questa, amici», ottonari; tempo di mezzo, breve episodio orchestrale; cabaletta con cori, «Queste, o guerrier, si sprezzino», settenari. Anche la Gran Scena (16) ha una struttura regolare, con una Cavatina in ottonari («Perché mai serbarmi in vita»), un recitativo sfociante in un Coro nello stesso metro («È caduta la tremenda»), e un altro recitativo che conduce al cantabile in settenari («Scostati: è mio lʼesercito»). Una breve preparazione (tempo di mezzo) introduce la cabaletta in ottonari, probabilmente destinata a unʼintonazione in due parti contrastanti («La donzella affido a voi»).
Carlo è assegnatario di due numeri leggermente irregolari. Il primo è compreso nellʼIntroduzione (1), mentre il secondo è un pezzo indipendente (13). Strutturalmente, questʼultimo mostra un cantabile basato su una sestina di settenari e una cabaletta intessuta su due terzine di quinari doppi.
Agnese e Isabella sono assegnatarie di tre numeri in totale (Agnese, 2 e 12; Isabella, 5). Lʼamante del re esordisce in una Cavatina (2) che ha luogo subito dopo il
55 Lʼaltro pezzo solistico di Giovanna è la Scena Finale (19), un dialogo doloroso con gli attoniti compagni dʼarme concluso da due quartine di settenari. 56 Le due quartine cantate da Giovanna e dagli spiriti sono formate da versi in metro leggermente ma non trascurabilmente diverso: un settenario piano, due settenari tronchi rimanti e un quinario. Il Tancredi di Rossini contiene un possible antecedente di questo numero ʼin ecoʼ, il
Recitativo e Cavatina del protagonista scritti per Adelaide Malanotte («O sospirato lido!...
Dolci dʼamor parole»), pubblicato come Appendice II nellʼedizione critica dellʼopera, a cura di
Philip Gossett (Pesaro, Fondazione Rossini, 1984): Tancredi: «Dolci dʼamor parole, / io vi rammento ancor: / non sa smarrito il cor / se teme o spera», Eco: «Spera». Tancredi: «Eco, che a me rispondi, / parlami, per pietà. / Dimmi se ancor sarà / fedel comʼera» Eco: «Era».
sacrificio dei gioielli. Commosso (la donazione consente di ricompensare i neghittosi soldati scozzesi), Carlo interviene nel tempo di mezzo insieme a Dunois e al Coro; Agnese replica in una quartina di ottonari per poi passare ai quinari sdruccioli nella cabaletta.57
Il pezzo di Isabella è piú irregolare (5). La regina invoca le Furie (ottonari) dopo un violento alterco con Leonello; quindi viene sconvolta dallʼannuncio dellʼirruzione imminente della Pulzella. Prima di scappare Isabella canta unʼaltra quartina, sempre nello stesso metro. A parte il dialogo iniziale con Leonello, il numero della regina è però troppo breve (tre quartine in totale, la seconda insieme al Coro) e semanticamente unitario per autorizzare il riconoscimento di sezioni distinte.
Per concludere, Romani redasse un libretto le cui unità offrivano a Mercadante svariate opportunità di trattamento drammatico. Lʼequilibrio rispetto alle pure occasioni liriche è perfetto, ed è ugualmente accurata la plasmazione di forme congeniali allo stile del compositore. Dopo il canonico compimento dei Normanni, lʼesperimento fallito di Ismalia e il varo del meno ardito Conte dʼEssex, la nuova tragedia lirica offriva a Mercadante unʼoccasione irripetibile per dar prova del suo talento drammatico. A dispetto del desiderio di intonarla, il compositore non riuscí a leggerne un solo verso, perché sulla sponda sabauda del Ticino Giovanna dʼArco non approdò mai.
10. Emma dʼAntiochia
Il successo di Lucrezia Borgia arrivò due mesi e mezzo dopo la sostituzione di Giovanna dʼArco con Emma dʼAntiochia. Allʼinizio di gennaio Avesani martellava ancora Romani con insistenti richieste di consegna perché Mercadante, a Venezia dal giorno 2, aveva un bisogno impellente dei versi. Irritato, il librettista replicò: «V.S. Ill. ma saprà che al tempo voluto dalla mia scrittura aveva io presentato al sig. Rossi un libro da me composto a tenore della medesima per le sig.re Grisi e Balfe, e che non era piú tenuto a farne un altro per le signore Pasta e Tadolini. Esigo pertanto che lʼimpresa mi paghi e questo e quel libro».58
Col manoscritto di Emma dʼAntiochia sul tavolo, Avesani rispose il 26:
Devo esprimerLe la mia grande soddisfazione per la bella condotta, per le situazioni eminentemente drammatiche e i bei versi del Suo melodramma, che certamente sarà riguardato come uno dei Suoi capi dʼopera. lo spero che le ispirazioni, che il Maestro deve ricevere da questa bella poesia lo compenseranno del tempo perduto. Io mʼinteresserò con tutto il piacere presso lʼImpresa onde farLe
57 Il secondo pezzo di Agnese (12) è stato già descritto in quanto numero che vien dietro al Duettino con Giovanna. 58 Romani ad Avesani, Milano, fra il 7 e il 19 gennaio 1834, I-VT (datazione proposta in roCCA-
TAGlIATI, Felice Romani cit., doc. n. 105).
ottenere un compenso per lʼaltro libretto da Lei scritto dietro le sollecitazioni del Rossi, e poi dal Rossi ricusato.59
Il tono pacato lascia intendere che il pagamento dei due libretti era un obiettivo alla portata del Presidente, il cui umore aveva tratto benefici evidenti dalla fine della vicenda di Giovanna dʼArco. Incentrata su una storia dʼamore e scevra dʼimplicazioni patriottiche, Emma dʼAntiochia è unʼopera politicamente neutra.60 Meno di un anno dopo la repressione dei moti mazziniani, eventi i cui effetti furono avvertiti in maniera speciale nei territori soggetti al controllo austriaco, il mancato approdo di Giovanna dʼArco alla Fenice non fu rimpianto. Non è facile resistere alla tentazione di considerare il rifiuto opposto nel 1828 al coreodramma di Ferrario e Viganò alla stregua di un precedente istruttivo: se la Pulzella non aveva incontrato favori prima dellʼondata rivoluzionaria, difficilmente ne avrebbe potuto riscuotere a pochi mesi dallʼannegamento nel sangue delle istanze patriottiche.
11. Meyerbeer?
«Vous avez bien fait de refuser de composer un opéra pour le théatre de la Scala, finissez celui qui vous avez commencé et qui toute la France attend avec une si vive
59 Avesani a Romani, Venezia, 26 gennaio 1834, minuta in I-VT, ʼSpettacoli 1833-35ʼ, in roCCATA-
GlIATI, Felice Romani cit., doc. n. 107. 60 Figlia di Corrado di Monferrato, conte di Tiro, e moglie di suo nipote Ruggiero, Adelia sospetta che questi abbia cessato di amarla. Lei sa che prima del matrimonio lui ha avuto una relazione che non ha mai dimenticato. Vedovo da tempo, Corrado torna dalle Crociate insieme a una donna che ha intenzione di sposare: Emma. Appena questa mette piede a corte incontra il suo antico amante. Ruggiero intende avere un ultimo incontro con lei e quindi fuggire. La cerimonia nuziale comincia subito dopo il convegno segreto. Allʼinizio del secondo atto Aladino, schiavo musulmano di Emma, annuncia lʼavvenuta celebrazione del rito. Emma è agitata: Ruggiero, prossimo alla partenza, la invita a fuggire con lui. Prigioniera delle sue braccia,
Emma sta per decidersi quando irrompe Corrado. Disperata, Adelia invoca la morte. Terzo atto: Corrado entra nella cella in cui è rinchiuso il nipote determinato ad ucciderlo se lui rifiuta di partire per lʼesilio. Ruggiero accetta la proposta dello zio. Rimasta sola con Aladino,
Emma gli chiede il veleno, quindi canta il suo addio al mondo e assume la pozione. Dopo un palpitante Duetto con Adelia Emma muore prima della rivale, del mancato marito e dellʼantico amante. La recensione apparsa sulla «Gazzetta di Venezia» (loCATellI, cit., II, pp. 333-334) giustifica il modesto successo di Emma con queste parole: «Ci si vede insomma lʼinfluenza del male che pose a repentaglio i giorni del Maestro quando già stava scrivendo; la Pasta non stava bene, etc.» Nessun altro indizio di una grave infermità di Mercadante emerge dai documenti; probabilmente, si trattava di una delle solite voci che venivano messe in circolazione quando sul teatro si addensavano nubi. Cfr. la lettera scritta dal compositore a Francesco
Florimo il 25 febbraio 1834, pubblicata in SANTo pAlermo, Saverio Mercadante. Biografia.
Epistolario, Fasano, Schena [1985], p. 133: «La mia salute è del tutto buona. Il giorno 8 marzo vado in scena con la mia nuova opera Emma dʼAntiochia: si spera bene. Vedremo».
impatience».61 Quando ricevette queste righe dal suo agente parigino, Meyerbeer era a Nizza. Il primo motivo che lo aveva spinto a sud era la necessità di trovare un luogo climaticamente favorevole alla salute di sua moglie; il secondo era il desiderio di mettere un poʼ di miglia fra sé e lʼOpéra, istituzione che aveva appena finito di indennizzare con 30.000 franchi per la mancata consegna degli Ugonotti. I guai fisici di Minna non erano parsi al sovrintendente Louis Véron un motivo valido affinché il compositore si esimesse dal rispettare le scadenze. Scottato, sulle prime Meyerbeer valutò lʼopportunità di ritirare il lavoro dallʼOpéra e di adattarlo per lʼOpéra-Comique, ma poi decise di aspettare e partì.
La lettera di Gouin è la replica a una scritta dal compositore il 5 novembre da Genova, durante una sosta nel viaggio verso la Costa Azzurra. In Liguria i Meyerbeer erano arrivati da Milano, città in cui avevano soggiornato per una settimana.62 Subito dopo lʼarrivo in città, il 30 ottobre a tarda ora, Giacomo aveva annotato nel taccuino le seguenti parole: ʼʼDas Buch von // furioso. Tosi - Artaria - Basily - Ricordi - Lichtenthal - Cernuschi — Mozart.63 Malgrado o forse grazie al loro stile telegrafico, questi appunti dànno unʼidea dellʼimmediata presa di contatto da parte di Meyerbeer con lʼambiente musicale della città. Il libretto era quello dellʼopera che stava facendo la fortuna di Donizetti; i singoli nomi sono quelli di due editori, del vicedirettore del Conservatorio, del correspondente locale dellʼAllgemeine musikalische Zeitung e dellʼagente milanese di Meyerbeer. La presenza di quelli di Mozart e Tosi è un poʼ meno chiara: il primo potrebbe essere quello di uno dei due figli di Wolfgang, Carl Thomas, residente a Milano da piú di un quarto di secolo; lʼaltro potrebbe identificare Adelaide, prima interprete della Pulzella nellʼopera di Vaccai e protagonista dellʼultimo Carnevale scaligero.
In questa occasione giunse lʼofferta che secondo Gouin Meyerbeer aveva fatto bene a declinare: «Opernbücher von Romani und andern».64 La concisione dellʼappunto impedisce di identificare con sicurezza i soggetti proposti, ma sollecita una ricerca per esclusione. A parte Romani, occupato da Lucrezia e da Emma, i librettisti delle opere nuove rappresentate alla Scala nel 1834-35 sono Jacopo Ferretti, Emanuele Bidera e Gaetano Rossi. Autore del Furioso, il primo avrebbe fornito di lí a poco a Lauro Rossi il libretto per La casa disabitata, unʼopera comica destinata a esordire il 16 agosto 1834; il secondo avrebbe fatto altrettanto per Donizetti con Gemma di Vergy,
61 Louis Gouin a Giacomo Meyerbeer, Parigi, 14 novembre 1833, in Giacomo Meyerbeer, Briefwechsel und Tagebücher, hrsg. v. Heinz Becker, Berlin, de Gruyter, 1960, 2, p. 349. 62 Il calendario tascabile di Giacomo (Taschenkalender) consente di ricostruire lʼitinerario del viaggio sin dalla partenza il primo ottobre da Parigi: Baden, Karlsruhe (presenza in teatro in occasione di un allestimento di Robert le diable), Basilea, Losanna, Martigny, Briga, Sempione,
Domodossola. 63 Meyerbeer, Taschenkalender, 30 ottobre 1833, in Briefwechsel cit., 2, p. 343. 64 Ibidem.
opera inaugurale del Carnevale 1835;65 il terzo lo stesso per Luigi Ricci con Chiara di Montalbano, destinata al debutto il 15 agosto. È difficile credere che lʼautore del Crociato in Egitto potesse considerare lʼopportunità di comporre unʼopera comica per la successiva stagione dʼautunno; a prima vista, lʼidea di inaugurare il Carnevale scaligero del 1835 può apparire verosimile, ma non per un uomo nella condizione professionale e privata di Meyerbeer; è infine da escludersi lʼeventualità che questi meditasse di intonare un libretto di Gaetano Rossi senza un contatto preliminare con lʼamico di una vita. Sebbene il nome di questo compaia nellʼappunto successivo, è difficile pensare che Meyerbeer avrebbe assimilato Rossi agli “altri” distinti da Romani.66 In ogni caso, la menzione esplicita del frustratissimo autore di Giovanna dʼArco induce a considerare la sua produzione per prima.
Lucrezia era assegnata a Donizetti sin da principio, Emma era ancora a uno stadio larvale e Saffo era già stata abbandonata da un pezzo. Tenendo presenti le abitudini lavorative di Romani, sembra improbabile che il libretto della Gioventú di Enrico V, il melodramma che Mercadante avrebbe presentato alla Scala nellʼautunno successivo, fosse stato approntato con tredici mesi dʼanticipo. E comunque, Romani avrebbe fornito a Mercadante un altro libretto nel frattempo.67 Infine, un interesse di Meyerbeer per Unʼavventura di Scaramuccia, lʼopera comica allora in corso di stesura per Luigi Ricci, sembra improbabile.68
Il 22 ottobre, otto giorni prima dellʼarrivo di Meyerbeer, Romani aveva chiesto lumi ad Avesani sulle voci relative ai cambiamenti nella compagnia fenicea e il 26 aveva avuto conferma che la disponibilità della Grisi era una fantasia di Rossi. I quesiti a questo punto sono quattro: 1) con la lettera di Avesani posata accanto al manoscritto ricusato, non sarebbe venuto bene a chiunque proporre Giovanna dʼArco alla Scala? 2) La vasta reputazione di Meyerbeer e la sua condizione di ebreo tedesco sarebbero parsi elementi sufficienti, ai censori asburgici, per mettere da parte le riserve sul contenuto patriottico della tragedia? 3) Poteva il teatro che aveva tenuto a battesimo fra i tumulti di marzo 1821 il coreodramma omonimo di Ferrario e Viganò fare lo stesso con una Giovanna firmata da Meyerbeer a pochi mesi
65 La scelta di Bidera in quanto librettista di Gemma di Vergy non era ancora stata compiuta nellʼottobre del 1833. La sua paternità del libretto di unʼopera per Milano fu conseguenza delle successive trattative di Donizetti col San Carlo, il teatro per cui Bidera lavorava, cfr.
WIllIAm ASHBrook, Donizetti and His Operas, Cambridge / Mass., Cambridge University Press, 1982, p. 88; trad. it. di Fulvio Lo Presti col tit. Donizetti, 2 voll., Torino, edT, 1986-87, 1: La vita, p. 80. 66 Meyerbeer, Taschenkalender, 31 ottobre 1833, in Briefwechsel cit., 2, p. 343: «Wann Diligenza von Verona kommt und abgeht. An Rossi». Assente nel carteggio pubblicato, la lettera a Rossi a cui accenna lʼappunto potrebbe avere contenuto la richiesta dʼaiuto per la revisione del testo degli Ugonotti, un lavoro a cui i due attesero nella primavera successiva. 67 Quello di Uggero il Danese (Bergamo, Riccardi, 11 agosto 1834). 68 Milano, Scala, 8 marzo 1834.
dalla repressione dei moti? E infine, 4) come avrebbe accolto, Meyerbeer, lʼinvito a intonare il libretto di Romani?
12. The Unanswerable Question
Allʼultima domanda è impossibile rispondere. I documenti mostrano che lʼunico scrupolo professionale di Meyerbeer era il rapido completamento degli Ugonotti. Prima veniva però la salute di Minna: allʼinizio di novembre, infatti, i Meyerbeer svernarono a Nizza. Giacomo tornò a Milano solo nella seconda settimana di marzo ma proseguí subito per Verona, appunto per lavorare con Gaetano Rossi al libretto degli Ugonotti; poi tornò a Milano, da dove ripartí qualche giorno dopo in direzione dei Ducati.69 Il 25 aprile Giacomo informò da Modena la moglie dellʼesibizione della Malibran, ammirata a Piacenza nei panni di Norma. Il suo interesse per la cantante e per lʼopera era tale che egli non solo assistette alle recite successive della Malibran a Modena e a Bologna, ma andò pure a Firenze ad ascoltare il capolavoro belliniano interpretato da Giuseppina Ronzi de Begnis, e Parisina di Donizetti con Caroline Unger protagonista. Quando tornò a Milano, allʼinizio di maggio, Minna non aveva ancora recuperato; inoltre, la sua depressione era stata aggravata dalla morte improvvisa del padre.
I Meyerbeer soggiornarono a Milano altre due settimane. Prima di lasciare lʼItalia, Giacomo ricevette da uno sconosciuto autore viennese il libretto per unʼopera di soggetto sovrannaturale. Nella sua risposta egli lodò il suo interlocutore per la scelta dellʼargomento e per la qualità dei versi, ma
Allein ich habe eben in Robert auch einen phantastischen Stoff (freilich in cinem anderen Genre) behandelt. Eine der beiden neuen Opern welche ich jetzt für Paris komponire, hat ebenfalls einen phantastischen Stoff, und so gestehe ich, daß ich unmittelbar nachher nicht wieder einen phantastischen Stoff komponiren mögte. Wenn ich, namentlich für Deutschland eine Oper komponiren sollte, (welches natürlich aber nicht früher geschehen kann bis ich diese beiden jetzt unter Handen habenden Französischen Opern beendiget und zur Aufführung gebracht habe) so wünschte ich einen ächt deutschen, und womöglich volksthümlichen Stoff zu komponiren.70
69 La corrispondenza registra un vuoto fra il 13 marzo (lettera di Meyerbeer da Milano al conte
Moritz von Dietrichstein a Vienna) e il 21 aprile (lettera di Gouin da Parigi, spedita allʼindirizzo di Meyerbeer a Milano). Questa circostanza induce a ritenere che il soggiorno di Meyerbeer a casa Rossi sia durato allʼincirca un mese, da metà marzo a metà aprile. 70 Meyerbeer a un destinatario viennese sconosciuto, Milano, 14 maggio 1834, in Briefwechsel cit., 2, pp. 374-375. I lavori a cui Meyerbeer allude sono gli Ugonotti e probabilmente Le portefaix, unʼopera su libretto di Scribe cominciata nel 1831 e mai completata.
Nel futuro Meyerbeer appare deciso a lavorare su temi storici, possibilmente popolari e autenticamente nazionali: non avesse avuto due opere francesi da concludere, avrebbe accettato di comporre Giovanna dʼArco?71 Un capolavoro nel suo genere, la tragedia di Romani era lirica in termini di stile e storica in termini di contenuto: la traduzione di Maffei aveva accresciuto considerevolmente la popolarità della Jungfrau;72 tedesco al pari di Schiller, Meyerbeer era soprattutto ebreo, e unʼopera di soggetto francese come Giovanna dʼArco avrebbe dovuto debuttare sul palcoscenico di una città italiana soggetta al dominio austriaco. Per quanto si trattasse della Scala, lʼoperazione era rischiosa: inoltre, le opere per Parigi premevano, e la salute di Minna continuava a preoccupare. Meglio lasciar perdere.
Di lí a poco la carriera di Romani subí una svolta: nel gennaio del 1834 divenne redattore del «Corriere delle Dame» e nel febbraio dello stesso anno alcuni emissari di Carlo Alberto gli offersero lʼopportunità di dirigere la «Gazzetta Piemontese». Sciolte a fine giugno le riserve, il 30 luglio Romani si recò a Torino per ufficializzare il suo incarico; a metà ottobre si stabilí definitivamente ai piedi delle Alpi e il 3 novembre firmò il suo primo numero. Quando La gioventú di Enrico V debuttò il 25, lʼunico autore presente alla Scala era Mercadante. La collaborazione con Romani, tuttavia, non era finita: ritrovandosi entrambi sudditi di Carlo Alberto, era naturale che poeta-direttore e maestro di cappella destinassero a Torino il loro primo lavoro nuovo. Romani aveva pronta Giovanna dʼArco, ma sapeva che essa non avrebbe entusiasmato un ambiente dichiaratamente ostile ai soggetti patriottici. Astrale, la distanza che separa Giovanna dʼArco da Francesca Donato – lʼopera mandata in scena dai due al Teatro Regio – riesce quindi comprensibile. Logica, forse.
71 Entrambi su libretti di Romani, i due precedenti lavori di Meyerbeer per la Scala erano stati
Margherita dʼAnjou (14 novembre 1820) e Lʼesule di Granata (12 marzo 1821: le recite di questʼopera furono associate in piú occasioni a quelle del balletto Giovanna dʼArco di Viganò). 72 La graduale pubblicazione da parte di Maffei di traduzioni schilleriane nel corso degli anni
Trenta consentí agli italiani di discutere con maggiore cognizione di causa del grande poeta tedesco. Su questo argomento di veda lʼarticolo Sul dramma storico, pubblicato da Mazzini in due puntate sullʼ«Antologia» fiorentina (XXXIX, 1830, pp. 37-53 e XlII, 1831, pp. 26-55; in
GIuSeppe mAZZINI, Scritti. Edizione Nazionale, Imola, Galeati, 94 + 6 voll., 1905-47, 1, 1906, pp. 253-329).