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Francesca Martorano

carta archeologica georeferenziata di reggio calabria


Il progetto del Sistema Informativo Territoriale per le aree archeologiche (SITAR) della città di Reggio Calabria non si sarebbe potuto attuare senza la disponibilità e la collaborazione dei Dirigenti e del personale tutto degli Enti preposti alla tutela e alla conservazione del patrimonio archeologico e storico della città di Reggio Calabria. Si ringraziano in particolare: - il già Soprintendente Archeologo della Calabria dr. Piergiovanni Guzzo, per aver autorizzato la consultazione dell’Archivio storico e degli Archivi fotografico e grafico della Soprintendenza Archeologica della Calabria e per aver concesso il permesso di riproduzione di tutta la documentazione necessaria allo svolgimento del progetto (Autorizzazioni prot. n. 20954 del 17.11.2006 e n. 20864 del 18.11.2006); - la direttrice dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria dr.ssa Lia Baldissarro per avere autorizzato la riproduzione delle cartografie storiche in Archivio di Stato di Reggio Calabria e le dott. Maria Giuseppina Marra e Maria Pia Mazzitelli, per aver agevolato la ricerca della cartografia storica e la consultazione dei fondi documentali; - il direttore della Scuola di Alta formazione in Archeologia ed Architettura della Città Classica dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria prof. Felice Costabile, per aver fornito documentazione fotografica inedita su siti archeologici; - la responsabile dell’Archivio storico del Comune di Reggio Calabria dr.ssa Antonietta Labrini ed il personale tutto per la cortese disponibilità. Un ringraziamento infine alla dr.ssa Maria Stella Sarica per l’affettuosa collaborazione e alla dr.ssa Marisa Munari, responsabile dell’Archivio Storico della Soprintendenza Archeologica della Calabria, con i collaboratori Angela Triolo e Raffaele Naccarato per l’assistenza prestata nel diuturno lavoro di ricerca. Si ringraziano inoltre le istituzioni: Biblioteca dell’École Française di Roma, Deutsches Archäologisches Institut Rom, Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio, Roma. La digitalizzazione delle lastre e delle fotografie dell’Archivio Fotografico della Soprintendenza Archeologica della Calabria è stata attuata da Demetrio Messineo, che si ringrazia per l’efficiente collaborazione. Il paragrafo La componente informatica è stato curato da V. Barrile, G. Armocida, M. Cafaro, F. Di Capua, G. Salimbeni.


INDICE

Presentazioni Giuseppe Scopelliti Antonella Freno Marcello Cammera

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Premessa

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L’area archeologica e le carte precedenti

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Storia delle ricerche e suoi protagonisti L’avvio delle ricerche: Politi, Morisano, Barilla, Guarna Logoteta L’impulso di fine Ottocento: Spanò Bolani e De Lorenzo La ricerca archeologica dopo il sisma del 1908 La seconda metà del XX secolo Il Sistema Informativo Territoriale Archeologico (SITAR) Metodologia La Carta archeologica georeferenziata L’Archivio informatizzato Le Interrogazioni interattive La componente informatica Le schede La città antica e medievale Le aree di necropoli Il percorso delle mura greche Il sistema idrico di età greca e l'abitato Il sistema idrico e l’abitato in età romana L’abitato di età bizantina e le mura medievali Approfondimenti Le mura ellenistiche nel Lungomare Le terme romane I ruderi nel Palazzo ex Genio Civile L’odeon - ekklesiasterion Il santuario “Griso-Laboccetta”

21 28 30 38 43 44 50 54 58 67 363 366 370 373 383 395 397 399 401 402

Le planimetrie

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Bibliografia Referenze fotografiche

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Presentazione Riscoprire e valorizzare la storia illustre della città di Reggio Calabria è stato l’intento che ha diretto il progetto del Sistema informativo per le aree archeologiche di Reggio Calabria, che si propone di diffonderne la conoscenza. Questo volume, frutto di ricerche accurate e documentate, per la prima volta raccoglie tutta la documentazione sui siti archeologici del Comune di Reggio. Include quindi non solo la città antica, ma anche gli insediamenti sparsi del suo territorio, costituendo un risultato di non poca importanza per la conoscenza storica e urbanistica della nostra comunità. Solo attraverso la consapevolezza delle nostre radici possiamo essere coscienti della nostra identità e rafforzarne gli elementi identificativi. Siamo lieti pertanto come Amministrazione Comunale di aver avuto un ruolo importante per la pubblicazione di questo volume ricco di notizie e immagini inedite. In questi ultimi anni la produzione editoriale dedicata alle realtà reggine è stata notevole ed ha contribuito alla valorizzazione e alla diffusione dell’immagine della città. Il Sistema informativo per le aree archeologiche di Reggio Calabria, di cui questa opera rappresenta uno degli aspetti, vuole essere la risposta di una comunità che sa rapportarsi con il proprio passato ed è proiettata con entusiasmo verso il futuro. A questo intento corrisponde la gestione informatica dei dati che, consentendo l’interrogazione diretta della pianta archeologica georeferenziata della città, pone Reggio, prima fra le città calabresi, a dotarsi di tale strumento ed in grado di offrire ai turisti informazioni scientificamente accertate sul suo grande passato. Agli utenti interessati è dedicato anche il programma di approfondimento di 20 siti archeologici, illustrato tramite pieghevoli e tabelloni esplicativi. Si offre così ai visitatori la possibilità di ricordi della città legati alla conoscenza della sua importante e millenaria storia. Compiacimento va espresso, pertanto, alla promotrice dell’idea, che ha profuso il massimo impegno nella ricerca, nello studio e nella progettazione, supportata concretamente dai settori tecnici di questa Amministrazione, che ne hanno seguito con cura le varie fasi di attuazione. Crediamo nel processo di crescita della città e la Carta archeologica georeferenziata di Reggio Calabria, assieme alla struttura complessa dell’intero Sistema informativo per le aree archeologiche di Reggio Calabria, rappresenta un ulteriore e importante tassello per gli obiettivi di sviluppo che perseguiamo con fiducia.

Giuseppe Scopelliti

Sindaco della città di Reggio Calabria

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Presentazione Riscoprire la bellezza dell’antica polis attraverso la conoscenza, il recupero e la fruizione delle sue vestigia, vivere la dimensione storica nella fase moderna che accompagna il percorso di innovazione ed internazionalizzazione che riguarda la Città è l’obiettivo cui si rivolge il Sistema informativo per le aree archeologiche di Reggio Calabria, attraverso la divulgazione di tutti i dati storico-archeologici del territorio. Il volume su la Carta archeologica georeferenziata di Reggio Calabria è il segno tangibile di un incondizionato amore per la storia dell’arte cittadina, vissuta attraverso la fierezza e la memoria di beni culturali senza tempo. Francesca Martorano, attenta e documentata autrice, traccia il disegno della storia del sito, con la volontà di mettere a disposizione tutti gli elementi disponibili a nuove indagini che si potranno avvalere utilmente di questo quadro d’insieme. L’opera appare suddivisa in sette sezioni, di cui parte preponderante è la schedatura puntuale dei siti archeologici della città. Documentazione sui materiali di scavo mal noti o addirittura inediti viene qui raccolta e organizzata strutturando un nuovo e più completo quadro della città. Di grande interesse si rivela inoltre la ricostruzione della dimensione della città di Reggio in età antica e medievale, per la quale l’autrice si è giovata anche di documenti conservati negli archivi storici del territorio. Il testo è stato corredato di un Cd-rom, che consentirà di visionare in dettaglio le planimetrie tematiche. Il moderno ed aggiornato sistema di conoscenza proposto dal volume contribuisce ad offrire la dimensione puntuale di un percorso storico significativo e prestigioso, con le sue tappe più esaltanti ed i momenti vissuti che rivivono nelle tracce dei beni storici e culturali. Svelare i tesori custoditi nel tempo e nella storia significa compiere un atto d’amore nei confronti di una Città sempre più orientata a guardare oltre.

Antonella Freno

Assessore ai Beni Culturali e Grandi Eventi del Comune di Reggio Calabria

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Presentazione L’idea di dotare il Comune di Reggio Calabria di una Carta dei siti archeologici nacque nella fase di programmazione degli interventi dell’Accordo di Programma Quadro “Beni e attività culturali per il territorio della Regione Calabria”. La condivisione degli obiettivi con la Soprintendenza Archeologica per la Calabria condusse ad un protocollo d’intesa, siglato tra il Comune, la stessa Soprintendenza e la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Calabria. La priorità da perseguire fu concordemente individuata nella stesura di una Carta archeologica non “tradizionale”, aggiornata al dibattito sulla tutela e la valorizzazione, e dalle caratteristiche innovative. Le peculiarità che si ricercavano erano multiple: il prodotto, i cui contenuti scientifici dovevano essere ovviamente certi e verificati, si richiedeva fosse efficace per le esigenze di divulgazione ai fini didattici e turistici, costituendo anche il supporto tecnico per ogni possibile trasformazione edilizia del territorio. La creazione di un elaborato che sfruttasse le tecnologie informatiche più avanzate, basandosi sul Sistema Informativo Territoriale (SITco) già in possesso dell’Amministrazione Comunale, è stato pertanto il requisito di base da cui non si doveva prescindere. L’idea iniziale di “Carta archeologica” si trasformava così nel “Sistema informativo per le aree archeologiche della città di Reggio Calabria”, che doveva rispondere ai requisiti di conoscenza e divulgazione sia in termini tradizionali che innovativi. La professoressa Francesca Martorano, incaricata dal Comune della realizzazione dell’opera, ha condotto una meticolosa e scrupolosa ricerca archivistica e bibliografica, premessa indispensabile alla stesura della “Carta”. I dati da Lei acquisiti, che sono il frutto di una attenta verifica anche della storia dei rinvenimenti archeologici, ci consentono di possedere oggi le informazioni più aggiornate e attendibili sull’ubicazione dei siti archeologici del Comune. Di questo lavoro di ricerca e di studio Le siamo grati. I risultati che ha raggiunto nella progettazione del database e dell’interrogazione multimediale raccolgono il nostro completo apprezzamento. La carta archeologica di Reggio in età greca, romana e bizantina sarà messa a disposizione dei turisti e dei cittadini attraverso moderne postazioni multimediali (totem), che potranno essere interrogate direttamente in modalità touch screen per ottenere informazioni sia sui periodi storici della città che sulle tipologie dei rinvenimenti. Il Comune di Reggio Calabria si è dotato così di uno strumento moderno che, verificando quanto già edito sull’argomento, supera i limiti e le incertezze contenute nelle planimetrie sommarie, anche recenti, con ipotesi di ubicazione delle scoperte archeologiche nel tessuto del centro urbano contemporaneo. L’opera costituisce pertanto il primo esempio, nella Regione Calabria, di informazione e divulgazione della conoscenza archeologica, e quindi storica, del territorio mediante strumenti informatici, facilmente consultabile con apparati multimediali collocati negli spazi urbani. La realizzazione del progetto comprende inoltre l’illustrazione di 20 siti particolarmente significativi per l’archeologia urbana, che avverrà tramite pieghevoli e tabelloni installati nei luoghi della scoperta, e la cui linea grafica segue le indicazioni previste nella Carta per la periodizzazione cronologica. Tra essi solo 5 13


all’interno della città e 2 extraurbani conservano tracce dei ruderi, ma l’istallazione in situ dei tabelloni consentirà di ricostruire idealmente il passato in luoghi oggi profondamente mutati. La carta archeologica georeferenziata della città, sia in formato digitale che cartaceo, diviene così un mezzo di divulgazione destinato a soddisfare un’ampia fascia di utenza. Il sistema informatico che è stato realizzato si rivela molto flessibile nella gestione funzionale, permettendo le interrogazioni sui dati acquisiti sia allo studioso che al turista. Il primo può approfondire la propria conoscenza e studiare quanto è emerso dal sottosuolo della città, il secondo può avere cognizioni meno superficiali su una città profondamente trasformata nei secoli. In ultimo, e non come ultimo risultato, la “Carta” implementata nel SITco consente di esercitare future azioni di salvaguardia e tutela del patrimonio archeologico, che in diverse occasioni è andato disperso senza lasciare tracce nella storia urbana di Reggio.

Marcello Cammera

Dirigente U.O. Manutenzione L.L.P.P. del Comune di Reggio Calabria


Premessa La proposta di realizzazione di una Carta Archeologica georeferenziata del Comune di Reggio Calabria fu formulata nell’anno 2003. Con lungimiranza - e con l’obiettivo di dotare la città di uno strumento aggiornato alle moderne esigenze di informazione e salvaguardia - venne deciso di indirizzare l’attenzione verso un progetto complesso, che andasse oltre la pura conoscenza storica delle aree archeologiche del Comune e puntasse invece alla “Realizzazione del Sistema Informativo per le aree archeologiche della Città di Reggio Calabria”. Tale progetto doveva produrre tre importanti risultati: - La Carta archeologica georeferenziata del Comune, con l’individuazione dei siti di importanza archeologica per scavi effettuati, per scoperte fortuite o per ricognizioni di superficie. - La Schedatura su database dei siti. Il database doveva essere elaborato in modo da permetterne l’implementazione nel Sistema Informativo Territoriale del Comune (SITco). - L’Edizione e divulgazione dei risultati. Si desiderava realizzare non solo una “Carta” associata ad un censimento dei resti e delle emergenze messe in luce sino ad oggi, nella quale fosse compresa la ricostruzione storico - geografica del territorio comunale nell’Antichità, ma anche e soprattutto un sistema di divulgazione e informazione dei dati raccolti, consultabile anche con i moderni sistemi di interrogazione informatica. Con delibera CIPE n. 20 del 29 settembre del 2004 fu approvato il finanziamento dell’intervento denominato “Archeologia urbana e preesistenze architettoniche nella città di Reggio Calabria”1, nel cui ambito era inserita la realizzazione del SIT delle aree archeologiche comunali. L’Unità Organizzativa Manutenzione Lavori Pubblici del Comune, responsabile dell’attuazione dei progetti facenti parte dell’A.P.Q. 2000-2006, e in particolare il Dirigente arch. Marcello Cammera, il R.U.P. arch. Domenico Macrì e la dott.ssa Daniela Neri hanno accolto e seguito con competenza e passione le proposte di realizzazione, coordinando i collegamenti con le Istituzioni interessate. Questo volume costituisce uno dei risultati ottenuti con il finanziamento del progetto e cioè l’edizione a stampa della Carta archeologica georeferenziata con la schedatura dei siti, accompagnata dai testi esplicativi delle metodologie adottate per l’esecuzione e da testi di approfondimento. La storia delle ricerche, che è stata ripercorsa per lo spoglio e la verifica delle notizie sui rinvenimenti archeologici, le riflessioni sulla città antica e medievale, con le novità che scaturiscono dal censimento e dall’ubicazione esatta delle scoperte, i cinque siti archeologici interni al centro urbano, che sono i soli a conservare visibili le strutture archeologiche in essi scoperte, sono presentati in tre capitoli suddivisi in paragrafi tematici. Il CD rom allegato contiene i files con i Fogli della carta archeologica georeferenziata e le planimetrie, differenziate per tipologie ed epoche storiche. Si è preferito presentarle in formato digitale perché è stato così ottenuto un grado di dettaglio non ugualmente raggiungibile nell’edizione cartacea. 1

Francesca Martorano

La delibera faceva riferimento al POR Calabria 2000-2006, art. 3 dell’Accordo Programma Quadro "Beni e Attività Culturali per il territorio della Regione Calabria", Asse II - Beni Culturali. 15


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L’area archeologica e le carte precedenti

La carta archeologica di Reggio Calabria è stata elaborata sui Fogli aereofotogrammetrici georeferenziati in scala 1:2000 dell’intero territorio comunale. Si superano dunque i limiti territoriali della città in epoca storica perché l’obiettivo è prevalentemente gestionale: la conoscenza della storia dei siti deve orientare verso la tutela e la salvaguardia delle emergenze scoperte in tutta l’area del Comune. È dunque indifferente se trattasi di resti legati alla città vera e propria o a nuclei insediativi ad essa esterni. Sino ad oggi è mancato un analogo strumento cartografico, che consentisse una visione d’insieme delle scoperte effettuate su tutto il territorio, né è stata ancora divulgata una carta archeologica aggiornata della città. L’unico precedente è costituito dalla carta archeologica del 1893 in scala 1:5000, conservata presso l’Istituto Archeologico Germanico di Roma, che localizza le scoperte del decennio 1883-1893 e riporta anche il tracciato dell’acquedotto, nonché i siti delle numerose cisterne e dei pozzi rinvenuti all’epoca. Firmata da Giuseppe Vazzana, custode del Museo Civico, è verosimile che riproducesse fedelmente il sito delle scoperte che mons. Antonio M. De Lorenzo, vicedirettore del Museo, effettuava in città negli stessi anni. La carta fu pubblicata per la prima volta nel 1966 da Carmelo Turano1, che ne integrò la sommaria legenda con particolareggiate descrizioni dei rinvenimenti, la relativa bibliografia e l’indicazione toponomastica moderna. Tuttavia la riproduzione grafica della planimetria non è fedele: il disegno del tessuto urbano e dei tracciati viari si discosta in vari punti dall’originale, risulta omesso il percorso dell’acquedotto e l’ubicazione dei rinvenimenti viene segnalata solo numericamente, eliminandone le icone di identificazione2. Ho ritenuto di dover ovviare a tali carenze ripubblicando di recente l’originale3. Per rendere meglio comprensibile la dislocazione dei rinvenimenti ottocenteschi nella planimetria della città attuale ho proiettato l’ubicazione dei siti segnalati nel 1893 sui fogli catastali post unitari e sulla cartografia moderna. La scala ridotta dei grafici non ha consentito però un grado di approfondimento adeguato e mi sono dovuta limitare alla semplice collocazione delle scoperte, senza utilizzare alcuna simbologia che ne definisse la tipologia e l’ambito cronologico. Sintesi cartografiche, che comprendevano anche le scoperte del 1900, sono apparse in volumi editi negli anni Ottanta dello scorso secolo4, mentre è del 2002 un saggio a cura di Emilia Andronico sulla topografia archeologica di Reggio, corredato da quattro tavole5. I grafici sono però poco leggibili per la forte riduzione di scala e le ubicazioni peccano in più casi di forti imprecisioni. Diversa qualità riveste

Nella pagina precedente: Regio nel Segmento VI della Tabula Peutingeriana.

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l’analisi condotta da Laurence Mercuri sulla topografia di Reggio arcaica (dall’età del Ferro alla 1a metà del V sec. a.C.), che ubica le scoperte, per altro purtroppo poco numerose, su tre tavole6. Carte tematiche possono essere considerate le iconografie a corredo di alcuni recentissimi cataloghi di mostre. Se poco aggiungono di nuovo a quanto già edito in saggi singoli, inducono in errori fuorvianti per la scarsa attenzione rivolta ai dati cartografici, che producono planimetrie inesatte per collocazione ed estensione dei rinvenimenti. Le inesattezze sono principalmente imputabili all’errore metodologico di ubicare le scoperte del XIX o dei primi del XX secolo nel tessuto urbano contemporaneo, senza tener conto della diversità dei siti nel momento del rinvenimento7.

Note 1 2 3 4 5 6

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Cfr. Turano 1966, pp. 159-180. La riproduzione fotografica della carta è invece in Currò, Restifo 1991 p. 6 fig. 4. La carta misura cm 66 x cm 57. Cfr. Martorano 2001. Cfr. Guzzo 1982, p. 261 e la carta archeologica di Reggio in Lattanzi 1987, tav. 9, che viene riproposta senza varianti nella ristampa aggiornata (2007) del volume. Cfr. Andronico 2002, 197-245, tavv. 1-4. Cfr. Mercuri 2004, pp. 211-256. Alcune imprecisioni in cui è incorsa l’autrice nell’ubicazione dei rinvenimenti (vedi ad es. nn. 1415, 36-39) sono conseguenti alle sommarie notizie topografiche diffuse nei testi editi che segnalano le scoperte. Ho potuto ubicare correttamente i siti archeologici per aver consultato direttamente i resoconti dei sopralluoghi o degli scavi, che sono conservati nell’Archivio Storico della Soprintendenza Archeologica della Calabria, realizzando poi il riscontro dei dati con i grafici e le fotografie coeve raccolti negli Archivi Disegni e Fotografico. Cfr. Andronico 2006, tav. 1.


Le Sieur d’Hiver. Carte particulière du Fare de Messine, 1702. Il litorale reggino tra P. de l’Annunciate e la Fosse de Ravignese. 19


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Storia delle ricerche e i suoi protagonisti

L’avvio delle ricerche. Politi, Morisani, Barilla, Guarna Logoteta È dagli scritti di Marc’Antonio Politi che ricaviamo le prime preziose notizie sulle antichità reggine. Autore di una cronaca sulla città1, narra anche dei resti archeologici che venivano posti in luce durante scavi agricoli condotti ai margini della città secentesca. «Circa quest’anno fuori della porta S. Filippo, poco più di un tratto di pietra verso l’austro, in su la strada, fu nel cavar che si facea, scorto un sentiero selciato di marmi molto grandi, connessi l’un coll’altro con mirabil artificio, il quale tirava verso quel di mezzogiorno, dal quale sonosi cavati degli altri, e perché rientrava in un giardino particolare, detto di Marazza, per non danneggiarvi gli alberi non andassi più oltre. Nell’istesso giardino fu visto un quadro, di pari a quello, che da quattro lati per quattro amplissime scale fatte di opra latericia si scendea giù nel mezzo, in cui, come nel centro e cuore di mobilissimo anfiteatro, sorgea un marmoreo altare; sul quale posava una statua pur di marmo di giovanil sembiante, e senza piuma in guancia. Era per avventura l’ara dedicata ad Apollo; al cui onore fu parimenti, s’io non erro, la suddetta strada con tal magnificenza e lavoro formata»2.

L’autore descrive dettagliatamente quanto sta osservando, ma non riesce ad interpretare la tipologia dei ruderi fuori porta S. Filippo. Di questi non se ne saprà più nulla, ma ritengo facessero parte dell’impianto termale che verrà poi messo in luce alla fine dell’Ottocento presso il Carmine nuovo, con scavi condotti da De Lorenzo3. In altre pagine della Cronica ritiene di aver identificato il tempio di Apollo maggiore: «Fù … ritrovato cotal marmo così scritto [= CIL X 6] fuor della Città, in un luogo presso il Castello un trar d’arco verso l’Oriente, dove infino ad hoggi si veggono due grandi fondamenti di edifici rovinati, i quali dimostrano essere stati in figura ritonda fabbricati, l’uno all’incontro dell’altro, de’ quali l’uno è nella parte di Greco, l’altro nella parte di Africo ò Libeccio, lontani un tratto di pietra l’un fondamento dall’altro, talche si può giudicare, che sia stato il Tempio di Apolline maggiore, infino à questo luogo si vede un’antichissimo, & artifitioso aquidotto fatto di fortissima fabrica, il quale viene dal fiume Lubone (due miglia discosto dalla Città,) e passa per sotto alcuni monti, e con gran fatica viene infino a quel luogo: à che fine sia stato fatto, non è ch’il sappia, posciache in tutta la Città vi è grandissima abbondanza d’acque; e dall’altro fiume, detto di Calopinaci, viene l’acqua per infine dentro la Città agevolmente, e senza spesa, ò fatica veruna»4 .

Nella pagina precedente: Il Museo civico e le terme di piazza Caserme ai primi del XX secolo.

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Rudere di uno dei due emicicli costituenti il serbatoio idrico sopra il Castello all’inizio del XX secolo.

Politi fraintende la tipologia del rudere presso il castello perché non si spiega la necessità di un acquedotto in una città ai suoi tempi ricchissima d’acque. Anche il dottissimo Morisano, quasi due secoli dopo, non identifica la natura degli emicicli presso il castello e li interpreta anch’egli quale tempio di Apollo Maggiore, perché la divinità è citata in un’epigrafe latina ritrovata sul luogo5: «Inventum [scil. hoc marmor = CIL X 6] fuisse narrat Politus extra Urbis pomoerium, dum terra effoderetur in eo loco, ubi post majoris arcis vallum duo illa diruta aedificia in hemicycli formam, unum ad Caesiam vergens, alterum ad Africum contra posita visuntur; quo quidem loco, aut Prytaneum, aut Templum potius Apollinis Majoris, de quibus agit lapis, olim exsitisse nullus dubito».

Gli emicicli resteranno visibili sino al terremoto del 1908 , e furono gli unici ruderi che ritroviamo descritti anche nelle pagine dei rari viaggiatori che visitarono la città prima del terremoto del 1783 alla ricerca delle tracce della Magna Grecia. Johann Hermann von Riedesel così scrive l’11 maggio 1767 in una lettera all’amico Winckelmann: «...tutto ciò che ho potuto rinvenire si riduce ad alcuni vecchi muri di mattoni che sembrano essere appartenuti ad un tempio ma sono talmente rovinati che non è stato possibile stabilire se questo tempio fosse di forma rotonda o quadrata, vidi anche numerose iscrizioni greche inserite nelle facciate di varie case che affacciano sulla piazza; ce ne sono alcune murate molto maldestramente dall’alto in basso ...»6. 22


Mentre Denon nel diario, poi edito nell’opera di Saint-Non: «Per quante ricerche che avessimo potuto fare, sia nell’interno che alla periferia di Reggio, sia nei dintorni della città, non trovammo altre vestigia di antichità che due porzioni di un grande circo, che sembravano essere i resti di una grande rotonda e di un tempio che si assicurava essere stato consa-

Epitaffio di età imperiale di Fabia Sperata e di Sallustis Agathocles detto “Il Rodio”.

crato ad Apollo».

Aggiunge anche «Ci fecero vedere ancora qualche altro frammento antico, quali una piccola colonna scanalata in marmo, un altare ornato e festonato di ghirlande, un piedistallo inserito in un muro e un tronco di colonna di granito di quattro piedi di diametro. Ma non si incontrò nulla in tutti questi resti di monumenti che meritasse molta attenzione... Questa scarsità di rinvenimenti, straordinarissima in una città un tempo così potente, e che d’altronde non ha sicuramente cambiato di suolo, come molte altre della Magna Grecia, può spiegarsi dal modo come sono costruiti i muri che circondano la città e che il conte Ruggiero fece riedificare. È facile vedere, dalle enormi pietre che li compongono, dai mattoni e da tutti i vecchi materiali facili a riconoscersi, che essi sono stati interamente costruiti, in questi tempi barbari, con gli avanzi di molti monumenti antichi, può darsi preziosissimi»7.

Che questi lacerti di monumenti avessero suscitato un interesse ridotto nella spedizione è sottolineato dal fatto che non si ritenne necessario trarne alcun disegno, da riprodurre e divulgare poi con acqueforti. Le tre note incisioni su Reggio concentrano l’interesse sulle torri aragonesi del castello, sulla marina presso porta Dogana, e sui dintorni della città8. Il Morisano si occupa anche di un’altra identificazione, il santuario extraurbano di Artemide, che localizza presso la Rada dei Giunchi (odierno Lido Comunale). Così la espone9: «Verum ego de hacce Urbis amplitudine nihil sollicitus, promuntorium Regium non aliud fuisse reor, quam illud, quod vix quingentis ab Urbe passibus in Australi parte postat, non satis licet prominens, sed abunde protensum, quod vulgo Calamitium nuncupatur; … Et illud quidem magis fuisse olim in mare protensum plane ex nostris Historiis constat. Etenim anno 1562, ut narrat Politus in Chronic. pag. 66, concussis ingenti terraemotu Calabria, atque Sicilia, quoniam non saxeum, sed planum, & arenosum erat, atque aestum frequentissimis impulsibus erasum, ad mille passus circum una cum aedificiis in extremitate absorptum fuit. Atque eo facilius in hac sententiam descendo, quod Templum Dianae paullo extra Urbem a parte Septentrionum situm fuisse, in eo ipso recessu, in quo hodie aptissima navium statio est, cui ab antiquis scyrpis nunc delli Giunchi factum nomen, antiqua traditio sit. Eam exposuere anno 1543 in supplici libello Papae porrecto Reginae Ecclesiae Canonici Romam missi, ut in emendando Romano martyrologio S. Stephanus Reginorum Episcopus illi adscriberetur, picturis quoque, & moribus confirmantes Templum Dianae eo loco, & prope positum fuisse, ubi nunc Templum est S. Pauli».

Queste sue dotte osservazioni furono ancora seguite, oltre un secolo dopo, da De Lorenzo e Cotroneo10, mentre oggi questa interpretazione è superata11. 23


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Vuë de la ville e du port de Reggio avec une partie des côtes de la Sicile et de l’Etna que l’on apperçoit de l’autre côté du détroit, cm 16 x 24,5, firmata Desprez per il disegno, Bertaux e d’Embrun per l’esecuzione (partic.).

Vuë du Phare au detroit de Messine, prise du coté de la Calabre et en arrivant a Reggio, cm 16 x 24,5, firmata Chatelet per il disegno, Varin per l’esecuzione.

Vue prise dans les Environs de Reggio, cm 16 x 24,5, firmata Chatelet per il disegno, De Quevedo e d’Embrun per l’esecuzione. 25


Un’inosservata notizia dello stesso Morisano ci informa poi che, durante la costruzione della “nuova” sede episcopale, furono rinvenuti depositi sabbiosi incoerenti che il Morisano non ebbe dubbi nell’attribuire alla costruzione di valla et propugnacula ex veteri muniendi forma12. Riferendosi infatti all’area castello “aragonese” - vescovado, e designando il primo con il termine arx, egli scrive: «Omnis porro illa, quae circum arcem per clivos, & aggeres terra conspicitur, ad valla & propugnacula ex veteri muniendi forma in arcis tuitionem excitanda, progressu temporis aggesta est. Id in fodiendis nuper novi Palatii Archie(pi)scopalis fundamentis, quod a parte interiore Urbis sub arce situm est, vel ipsis oculis patuit; quum ad viginti duos prope palmos, solum neque firmum, neque consertum, sed variis terrarum stratis inspersum, mox sabulosum, mox dissociatum, numquam solidum inventum fuerit.»

Con l’espressione valla et propugnacula ex veteri muniendi forma probabilmente il Morisano intendeva riferirsi non alle fortificazioni antiche, ma a quelle del Quattro - Cinquecento attorno al Castello. Tuttavia i lavori e gli imponenti movimenti di terra possono spiegare la scomparsa o il seppellimento a quote profonde delle strutture antiche. Queste invece dichiara di aver trovato nel 1810 Federico Barilla poco più a monte dell’episcopio, nel Castello, dov’egli riconosceva l’Acropoli Reggina. Così scriveva in un manoscritto rimasto inedito13: «Poche son dunque le vestigia di antichità appariscenti. … L’altra è il superbo acquedotto che traversando diverse collinette per il corso di poco men di due miglia recava le acque del fiume Lumbone fin sotto il Regio Castello, ove secondo le scoperte, e le osservazioni da me fatte serviva a riempire l’idrico fosso dell’Acropoli Reggina, di cui ne scopersi le solidissime vestigia incastrate nelle fabbriche del sud(dett)o Regio Castello».

Al dotto Barilla14 si deve anche la planimetria dell’impianto termale scoperto nell’area dell’attuale piazza Italia. La pianta, con la ricostruzione ipotetica dell’impianto, corredata da una didascalia descrittiva, fu pubblicata da Orsi nel 192215. Il ritrovamento di bassorilievi iscritti in lingua greca, sebbene di età romana, riferibili al culto di Artemide e/o Apollo, nell’area delle terme Genoese, avevano infine indotto Carlo Guarna Logoteta16 (1851), a credere che i ruderi delle mura di cinta sul Lungomare, oggi datati generalmente al IV sec. a.C., fossero da riferire a tale santuario17. Ma con la citazione dell’opera di questo erudito locale si chiude la pur rapida rassegna sulla “ricerca” archeologica a Reggio sino alla metà del XIX secolo. Si tratta in verità, come abbiamo visto, di attenzione rivolta a manufatti, in particolare iscrizioni, che casualmente venivano alla luce: l’interpretazione delle strutture è conseguenza dei testi scoperti. L’identificazione del tempio di Apollo maggiore e del tempio di Diana sono i temi dibattuti, occorrerà giungere alla seconda metà dell’Ottocento perché ricerche archeologiche in senso proprio fossero avviate anche a Reggio.

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Pianta dell’impianto termale di piazza Vittorio Emanuele nella ricostruzione di Federico Barilla, 1810.

Frammenti iscritti dalle terme Genoese.

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L’impulso di fine Ottocento: Spanò Bolani e De Lorenzo Antonio Maria De Lorenzo (1835-1903)18 fu il promotore ed in sostanza il fondatore del Museo Civico di Reggio Calabria, antecessore dell’attuale Museo Archeologico Nazionale della Magna Grecia19. Tenne la carica di Vicedirettore, mentre Direttore ne fu invece Domenico Spanò Bolani, già dal 1883 anche Sindaco della città20. Ma era De Lorenzo a firmare le periodiche relazioni sulle scoperte archeologiche reggine, da lui puntualmente pubblicate prima sul periodico locale La Zagara21 e poi nelle Notizie degli Scavi di Antichità, edite dalla Regia Accademia Nazionale dei Lincei, cui le inviava il Direttore Generale alle Antichità e Belle Arti Giuseppe Fiorelli22. In verità il Direttore Spanò Bolani, sotto l’aspetto delle ricerche archeologiche, rimase abbastanza nell’ombra finché il De Lorenzo fu a Reggio, e continuò ad esserlo anche dopo che questi partì nel 1889 per Mileto di Calabria, dov’era stato nominato vescovo, essendo sostituito come Vicedirettore da Giuseppe Caminiti. Tuttavia lo Spanò Bolani sembra aver collaborato attivamente agli scavi ed alla stesura dei resoconti per le Notizie. Ciò si arguisce da quanto egli stesso dichiara nella prefazione al I fascicolo de Le scoperte archeologiche, da quanto scrisse il Bernabei nelle Notizie del 188623 e come dimostra una sua relazione del gennaio 1889, che illustra gli scavi di una conduttura idrica, ch’egli interpretò come fognatura, e delle mura di cinta ellenistiche24.

28


I periodici rapporti editi nelle Notizie degli Scavi furono poi raccolti da De Lorenzo in tre fascicoli pubblicati nel 1885, 1886 e 1889, sotto il titolo Le scoperte archeologiche di Reggio di Calabria nel primo (e rispettivamente secondo e terzo) biennio di vita del Museo Civico, che perciò complessivamente abbracciano gli anni 1882-1888: nel frontespizio il nome dell’Autore – probabilmente per una scelta di umiltà o forse anche perché vi sono inseriti altri contributi: quelli di Bernabei, di Caminiti e dell’Ing. Rao – non appare affatto. Rispetto alle Notizie degli Scavi i rapporti, com’è detto nell’introduzione stessa de Le scoperte archeologiche, sono arricchiti di note e di informazioni locali destinate ad un pubblico che ben conosceva la topografia della città, ma – bisogna aggiungere – anche di iconografie inedite. Contemporaneamente veniva redatta, come si è detto, la carta archeologica di Reggio, conservata oggi nel Deutsches Archäologisches Institut Rom, firmata da Giuseppe Vazzana, custode del Museo Civico di Reggio 25, e disegnata da Ferdinando Pareti. Essa localizzava puntualmente le scoperte del decennio 1883-1893, con aggiunte fino al 1895, ma utilizzava come base una planimetria non coeva. La pianta infatti riproduce la dimensione e la forma della città di metà Ottocento: in essa non appaiono né il tracciato ferroviario, già interamente realizzato nel 1886 26, né appaiono edificate le aree tra la stazione centrale ed il Calopinace27.

Nella pagina precedente e in alto: Interni del Museo civico prima del sisma del 1908.

29


La ricerca archeologica dopo il sisma del 1908 Reggio Calabria all’alba del 28 dicembre 1908 si ritrovò in macerie: una violentissima scossa sismica, seguita da un maremoto, distrusse o lesionò il 95% del patrimonio edilizio 28. Le Commissioni Reali, incaricate di redigere le norme edilizie e indicare le aree più adatte per le ricostruzioni delle città, furono sollecitamente nominate 29 e per Reggio si decise di ricostruire la città sullo stesso sito, indirizzando l’espansione verso la zona Nord e con la possibilità di occupare, qualora fosse stato necessario, le colline sovrastanti30. Venne pertanto accantonata la proposta di radere la città completamente al suolo per ricostruirla altrove31. Conseguenza di questa scelta fu la totale distruzione dei resti della città ottocentesca e dei brandelli dei sobborghi d’origine medievale che ancora ai primi del XX secolo si addensavano lungo i percorsi extraurbani. L’iter d’approvazione del Piano regolatore fu lungo e travagliato: quasi 5 anni intercorsero tra la prima approvazione da parte del Consiglio Comunale di Reggio il 6 ottobre 1909 e la definitiva conferma ministeriale nel maggio 1914 32. Anni caratterizzati da dibattiti, crisi, dimissioni e richieste di deroghe.

Reggio Calabria, pianta della città ottocentesca con sovrapposte le ubicazioni degli edifici pubblici, 1912.

La politica della ricostruzione nei primi anni successivi al 1908 fu indirizzata alla realizzazione dell’edilizia pubblica, perché si desiderava che i cittadini terremotati potessero percepire i segni di una reale ripresa delle varie attività 33. E con la rimozione delle macerie, con lo scavo di trincee per posizionare le nuove reti idriche e fognanti della città, con gli sbancamenti resisi necessari per i nuovi cantieri edilizi, con l’eliminazione insomma dei resti della città ottocentesca, incominciarono ad affiorare le tracce stratificate degli insediamenti precedenti. Le “relazioni di scavo”, conservate nell’Archivio storico della Soprintendenza archeologica della Calabria, registrano l’abbondanza dei rinvenimenti, che affioravano dal sottosuolo ogni qualvolta veni30


va rimosso il limite fisico rappresentato dal terreno con i resti delle stratificazioni successive. Oggi l’interpretazione dei dati ricavabili da queste relazioni, nonché dalle pubblicazioni ufficiali, consente solamente una restituzione parziale della topografia di Reggio per periodi storici. Il compito, non agevole, è reso difficoltoso da limiti insiti nel carattere stesso dei documenti. Anzitutto la lacunosità delle informazioni. Le relazioni sono spesso prive di riferimenti topografici esatti: si descrivono i rinvenimenti ma l’ubicazione è imprecisa, riferita a proprietà oggi sconosciute. Talora si scrive di scoperte avvenute in quartieri o rioni, cioè in aree vaste, senza uno schizzo dei luoghi, per cui in tanti casi è impossibile determinarne l’esatta ubicazione in una planimetria quand’anche storica. Altre volte è il dato storico ad essere impreciso: ad es. si parla di tombe greco-romane o addirittura “cristiane”, ed è evidente come sia oggi difficile attribuirle ad un contesto storico preciso. Inoltre non è irrilevante il fatto che a Reggio non esisteva un ufficio periferico del Ministero: sede della Soprintendenza alle Antichità era Siracusa, da cui dipendeva la Calabria, e dove risiedeva Paolo Orsi, Soprintendente della Sicilia Orientale e della Calabria, che periodicamente visitava gli scavi di Reggio. Ad Orsi facevano riferimento Francesco Morabito Calabrò, professore di disegno, dal 1911 nominato Ispettore Onorario per le Antichità e Belle Arti, e Nicola Putortì, direttore del Museo civico. Questi era stato affiancato da Orsi a Morabito per “coadiuvarlo efficacemente soprattutto nella parte scientifica” e nominato nel 1911 dal Ministero Ispettore F.F 34. Orsi visitava periodicamente gli scavi reggini e, nei casi più complessi, qualora fossero necessari rilievi accurati delle strutture, inviava da Siracusa i disegnatori35. Gli scavi erano finanziati dagli scarsi mezzi del Ministero della Pubblica Istruzione e talora venivano impiegate anche somme procurate da Umberto Zanotti Bianco, fondatore dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia (A.N.I.M.I.)36 ed autore di varie iniziative di promozione della ricerca archeologica nell’Italia meridionale 37. Spesso, come si evince dai carteggi, veniva sollecitato l’aiuto degli Enti impegnati nella ricostruzione 38 o quello delle ditte che operavano nella realizzazione dei progetti.

Il piano regolatore De Nava con evidenziati i progetti realizzati o in corso di approvazione nel 1917.

31


Tale situazione era conseguenza di un altro e potente limite, quello economico, che non consentiva di rimunerare funzionari in loco e mantenere un’equipe efficiente che seguisse con rigore la tumultuosa ricostruzione cittadina. Gli scavi - se tali possono essere definiti - si realizzarono prevalentemente nei cantieri pubblici. Si spiega così perché il corredo iconografico allegato alle relazioni sia estremamente contenuto. Disegni esistono solo in rapporto a rinvenimenti di notevole importanza. I resoconti che Morabito Calabrò inviava periodicamente a Orsi contengono spesso il conteggio minuzioso delle spese affrontate per gli scavi e delle condizioni salariali, meno remunerative rispetto ad altri cantieri, che gli operai tuttavia accettavano, dato che veniva garantita continuità di lavoro39. Morabito si rivela un entusiasta, pronto talora anche ad anticipare denaro di tasca propria pur di avere l’autorizzazione a proseguire gli scavi, come nel maggio 1918 quando, avendo esauriti i fondi a disposizione per lo scavo nell’area del futuro palazzo del Genio Civile, ed avendo identificato l’edificio romano per la lunghezza di m 32, desiderava metterlo in luce completamente 40. Nei suoi scritti le scoperte vengono talvolta anche enfatizzate, allo scopo di suscitare l’interesse scientifico di Orsi, indurlo a visitare gli scavi e destinarvi fondi, nella generale ristrettezza economica. I ruderi romani nell’area del palazzo dell’ex Genio Civile, 1918. Foto con annotazioni di mano dell’Ispettore onorario Francesco Morabito Calabrò.

Orsi desiderava creare un nucleo di funzionari al fine di promuovere la formazione del Museo Archeologico Nazionale e per tale motivo si era assicurato la collaborazione di Morabito e Putortì..Tuttavia i rapporti tra i due furono sempre difficili, tanto da sfociare presto in un aperto dissenso che ebbe come esito l’allontanamento definitivo di Putortì a fine 1916. Per quanto qui interessa, sia l’uno che l’altro inviavano a Orsi bollettini quindicinali con l’elenco delle scoperte e dei rinvenimenti avvenuti in città 41, i cantieri poi 32


erano seguiti con grande interesse e passione da Morabito. Che comunque tra i due reggini non ci fosse mai stata intesa è confermato anche dall’ingegnere Gino Zani, funzionario del Genio Civile e responsabile della III sezione dell’Ufficio Terremoto42, che scrive della gelosia reciproca 43: “Avevo cominciato ad interessarmi di archeologia quando l’ingegnere Marchi mi aveva incaricato di fare assaggi nel sottosuolo di Reggio per giudicarne la natura e constatare a quale profondità si trovasse il terreno vergine. Facevo scavare pozzi quadrati di circa due metri per lato e li spingevo fino a trovare lo strato di sabbia compatta. Ricordo che in una zona della città, quando credevo di aver raggiunto il letto di sabbia vergine, mi accorsi che ancora affioravano frammenti di fittili. Approfondii lo scavo e attraversai uno strato archeologico con frammenti di terrecotte e qualche moneta greca. Mi appassionai alle ricerche e gli scavi che facevo avevano per me più lo scopo di ricerca archeologica che lo studio della formazione del suolo. Due esperti divennero i miei amici e mi incoraggiarono nel lavoro: il prof. Morabito, ispettore onorario per le antichità e belle arti di Calabria ed il prof. Putortì, direttore del museo, i cui cimeli erano ancora accatastati e confusi in alcuni magazzini rimasti in piedi dopo il terremoto. Venivano molto spesso dove io lavoravo e furono i miei maestri. Ma erano gelosi uno dell’altro e ciascuno mi raccomandava di consegnare a lui personalmente gli oggetti che scavavo. Ciò nonostante erano due brave e dotte persone. In seguito acquistai la simpatia del prof. Orsi, senatore del Regno, sovrintendente per le antichità e belle arti della Calabria e della Sicilia, ordinatore del superbo museo di Siracusa. Le Terme Romane negli anni '30 del XX secolo.

33


Il senatore Orsi, che vedevo qualche volta accompagnato dal giovane Zanotti Bianco, anch'egli appassionato archeologo, era un mago dal fiuto infallibile, dalla conoscenza profonda della preistoria e della protostoria della Magna Grecia. Assomigliava un poco al mio vecchio prof. Zannoni dell’Università di Bologna: alto, con abbondante pizzo, se male non ricordo, trascurato nel vestire, calzava un paio di robuste scarpe chiodate che parevano due barche. Con l’incoraggiamento del senatore mi appassionai sempre maggiormente alle ricerche archeologiche e durante tutti i miei lavori fatti in Calabria, anziché nascondere e mascherare i ritrovamenti come facevano tutti i miei colleghi e gli imprenditori di opere pubbliche e private per evitare l’ingerenza dei soprintendenti e perdite di tempo ed intralci nei lavori, io stesso mi improvvisavo archeologo, estendevo gli scavi oltre le necessità delle costruzioni, raccoglievo cimeli, denunciavo ogni ritrovamento”.

Il primo progetto di sistemazione della via Marina, 1912.

Scoperta di muro nei pressi del nuovo palazzo della Prefettura. 34

Zani tratteggia bene in quale clima si operasse a Reggio e come la passione per l’archeologia si fosse sviluppata anche in lui. Anche le pagine relative ai rinvenimenti archeologici nel cantiere del palazzo della Prefettura danno il senso concreto della ricchezza dei dati e del clima con cui venivano seguite in città le scoperte.


“Le fondazioni del palazzo della Prefettura parevano una miniera di archeologia. Non meno di sette sovrapposti strati di macerie furono riscontrati. Sotto le rovine del recente terremoto apparvero quelle de XVIII e più precisamente dell’anno 1783 e gli avanzi di un convento di monache. Impressionanti erano le tombe. Appena sollevato il coperchio di pietra i cadaveri apparivano intatti nelle loro vesti: poi, per l’azione dell’aria, si afflosciavano e diventavano polvere attorno agli scheletri. Restavano solo i capelli, intatti, dai quali si poteva arguire l’età del cadavere. Sotto le rovine della città settecentesca, altre città medievali distrutte mostravano i loro avanzi. Strati di sabbia si alternavano con macerie annerite, ceneri, carboni che testimoniavano formidabili incendi: marmi, frantumi di statue erano sparsi ovunque, ed alla profondità di circa cinque metri poderosi rocchi di colonne di granito che appartenevano forse ad un tempio romano rovesciato dai moti tellurici. Sotto le rovine romane comparvero avanzi di costruzioni greche, ed in basso una massicciata stradale, un sottofondo di pavimento in calcestruzzo di calce e polvere di mattoni di epoca greca. Forato il calcestruzzo salivano nello scavo le acque freatiche. Le monete erano di guida per distinguere i vari strati, monete di tutti i secoli, bizantine, romane, greche. Specialmente le monete bizantine erano assai numerose: sembrava quasi che qualcuno le avesse seminate. E gli operai, intelligenti anche se rozzi, avevano imparato a distinguerle e le nascondevano per farne commercio anziché consegnarle ai dirigenti di cantiere”.

I documenti d’archivio confermano l’impegno di Zani per la tutela archeologica: nel 1911 non esita a licenziare una squadra di operai che aveva sottratto e rivenduto monete recuperate negli scavi44, nel 1918 Morabito dichiara a Orsi di essere stato “molto agevolato dagli egregi funzionari e miei carissimi

Il cantiere di scavo delle mura greche scoperte nel 1914. 35


amici del R. Genio Civile45, nel 1921 si prodiga per la conservazione dei ruderi nell’area del palazzo del Genio Civile46, dal 1920 al 1922, come direttore dell’Ente Edilizio dispone immediatamente la conservazione dei resti della cavea di un probabile odeon all’interno di un edificio47. Nella documentazione d’interesse archeologico sono ovviamente meno presenti i Soprintendenti ai Monumenti, Adolfo Avena e poi Francesco Valenti, responsabili anche della Calabria, le cui sedi erano rispettivamente Napoli e Palermo48. Tuttavia emergono come funzionari attenti ed impegnati a far rispettare le leggi di tutela e a coadiuvare Orsi nella battaglia per la conservazione dei ruderi49. Un limite alla conservazione delle scoperte, più generale e diffuso e dipendente dalla cultura del tempo, scaturiva poi dalla concezione dell’archeologia come antiquaria, il che portava a focalizzare l’attenzione più verso l’oggetto in sé che sul contesto di rinvenimento, e anche a trascurare i periodi cosiddetti “oscuri” rispetto alle vestigia di età greca o romana. Ne fu conseguenza nefasta la distruzione, senza che ne sia rimasta traccia scritta o grafica, degli strati relativi alla Reggio bizantina o medievale. È il caso ad esempio sia delle murature medievali rinvenute nell’area destinata al palazzo del Banco di Napoli50, distrutte per recuperare reperti greci o romani reimpiegati, sia della bizantina torre Dascola51 sia delle mura medievali e spagnole, eliminate per portare alla luce le mura d’età ellenistica, senza che alcuna foto o disegno documentasse lo stato di fatto52. Fuori il centro urbano, sulle pendici collinari, nel 1915 a Terreti furono demolite le strutture superstiti della chiesa di S. Maria Théotòkos, ultime tracce dell’abbazia medievale, la cui antichità dal Comune non fu ritenuta sufficiente per la conservazione53. Morabito nel novembre del 1915 scrive ad Orsi dichiarando di aver raccolto frammenti architettonici ed una scultura appartenente alla prima chiesa54. Anche il castello veniva sacrificato per prolungare a Sud la via Aschenez: di esso furono risparmiati soltanto i due torrioni circolari di età aragonese55. Quel che emerge dopo il 1908, e che era prima completamente sconosciuta, è la dimensione della città romana. Il numero degli edifici identificati è notevole e si può anche osservare come essi si concentrino lungo la fascia meridiana e bassa del centro urbano: lungo la via Plutino - poi via Marina, oggi corso Vittorio Emanuele III - vennero identificate con sicurezza ben cinque terme: Istituto d’Igiene, Piazza Caserme (già scoperta nell’Ottocento e oggi l’unica rimasta in luce), Istituto Tecnico, Prefettura, Miramare, mentre nelle fondazioni del Genio Civile vennero rintracciate strutture laterizie identificate dall’Orsi come facenti parte di horrea o di un macellum. Altre terme furono riscoperte (erano già state identificate nell’Ottocento) durante lo sbancamento per la platea di fondazione della Banca d’Italia. E inoltre fu identificato il foro romano nell’area tra l’odierna Piazza Italia ed il Palazzo della Provincia, e case e mosaici. Il numero così fitto d’impianti termali venuto in luce lungo il litorale conferma il dato cartografico della Tabula Peutingheriana, che segnalava la città con la vignetta caratteristica di questo impianto ed è “indizio di civiltà raffinata e di prosperità” per usare le parole dell’Orsi. Anche in relazione alla città greca ed ellenistica i rinvenimenti furono interessantissimi. Anzitutto fu identificato il limite occidentale della città con la scoperta delle mura lungo la via Marina. Di esse era emerso qualche brano a fine Ottocento, scambiato però per “gradinate o platea di tempio”56. A partire dalla fine del 1912, e per tre anni, si scavarono trincee che ne fecero affiorare ampi tratti. Nel 1920, durante lo scavo per la costruzione di alcuni isolati dell’Ente Edilizio, furono poi scoperti i resti 36


di un “Odeon” presso l’area di santuario, nota sin dall’Ottocento come GrisoLabocetta e Taraschi-Barilla. I rinvenimenti relativi a questo santuario furono anche molteplici: terrecotte votive, frammenti architettonici e, verso oriente, un muro ad assise di blocchi squadrati. Inoltre emersero, sparsi in tutto il centro urbano, resti d’abitazioni, pozzi e cisterne, che confermavano l’interpretazione che del sistema idrico di Reggio il De Lorenzo aveva dato a fine Ottocento, con la parte alta della città rifornita da cisterne, mentre la zona intermedia (tra le attuali vie Filippini e Demetrio Tripepi) era servita da un sistema misto di pozzi e cisterne57. La conoscenza topografica di Reggio greca e romana era tuttavia, prima del 1908, limitata alle aree che, a partire dall’età medievale, non erano più urbanizzate: la città, infatti, nel periodo post-classico si era fortemente contratta. Nella seconda metà dell’Ottocento riprese l’espansione, che consentì scoperte e ritrovamenti. Grazie al terremoto del 1908, come paradossalmente potremmo dire, divenne visibile anche il cuore della città classica. Ma la sorte di tante scoperte fu segnata dalla decisione di ricostruire sullo stesso sito e da un ultimo limite, quello umano, che induceva a difendere, per motivi d’interesse o per ignoranza, strenuamente la proprietà privata. I rinvenimenti erano prontamente occultati, oppure non si esitava a ricorrere a pressioni insistenti affinché le strutture messe in luce fossero ricoperte. Dei numerosi edifici identificati si mantennero in vista solo un lungo tratto delle mura ellenistiche, poiché insisteva all’interno della fascia verde prevista tra i due assi viari che costituivano la nuova via litoranea; l’impianto termale di Piazza Caserme, perché anche questo era possibile conservarlo nella fascia attrezzata a verde; i resti dell’odeon, che furono inseriti in un ambiente al piano terra di case per impiegati dello Stato e le strutture romane, forse horrea o un macellum, all’interno del piano seminterrato del palazzo del Genio Civile58.

Lo sbancamento dell’area destinata al Museo Nazionale e la scoperta di una struttura in blocchi isodomi, anni trenta del XX secolo.

37


La seconda metà del XX secolo

Il Museo Nazionale in costruzione.

38

Con la costruzione del Museo Nazionale di Reggio Calabria può considerarsi conclusa la fase più impegnativa della ricostruzione post-terremoto59. Questo cantiere viene qui ricordato perché occasione di conoscenza e contemporanea distruzione del patrimonio archeologico: nel profondo sbancamento per le fondazioni dell’edificio venne scoperta, come è noto, una vasta necropoli di età ellenistica, che dopo essere stata indagata accuratamente fu quasi totalmente distrutta60. La sorveglianza ai cantieri edili era ormai cessata da tempo ed il sopraggiungere del secondo conflitto mondiale bloccò del tutto la ricerca archeologica in città. Occorre giungere agli anni Cinquanta, perché con il soprintendente De Franciscis61 venisse attuata una ripresa nelle investigazioni: fu identificato il limite settentrionale della città con la scoperta del percorso del muro di cinta, furono messi in luce due nuclei di deposizioni, che dimostrarono


come la necropoli del Museo fosse ben più ampia e proseguisse seguendo due direttrici a Nord ed a Est, si arricchì la conoscenza del sistema idrico greco con l’identificazione di nuove cisterne62, vennero effettuati scavi nell’area del cosiddetto santuario Griso-Laboccetta, identificando strutture ed un sacello63. In seguito a questi scavi l’area fu vincolata ed oggi costituisce uno dei piccoli parchi archeologici interni al centro urbano. Lo scavo tuttavia, a differenza degli altri citati, rimase inedito64, ed è ancora attesa l’auspicata edizione dei materiali. L’area Griso Laboccetta costituì tuttavia un’eccezione, in quanto scavo preventivo ad un cantiere pubblico che non venne poi realizzato 65, mentre in tutti gli altri casi si trattò di interventi d’urgenza con la procedura di fermo lavori, che si esauriva a scavo completato. Tale prassi è quella che da allora fu utilizzata, con l’aggravante che molto spesso i cantieri del centro urbano non vennero per nulla controllati e ciò ha prodotto nella ricostruzione a partire dagli anni Sessanta danni irreparabili al patrimonio archeologico della città e alla sua conoscenza storica66. Inoltre, tranne isolate eccezioni come Mauro Cristofani, ispettore archeologo a Reggio alla fine degli anni Sessanta, che puntualmente pubblicò le scoperte effettuate durante la sua breve permanenza presso la Soprintendenza Archeologica della Calabria67, i pochi scavi rimasero inediti, venuta meno anche la consuetudine di presentarne un resoconto su «Notizie degli Scavi»68. Solo da alcune sintetiche rassegne, periodicamente divulgate, possiamo ricavare la notizia delle scoperte, prive tuttavia di adeguato commento. È da lamentare inoltre che non sia stato mai approntato un piano di ricerca, che si ponesse temi da indagare ed approfittasse delle aree ancora non edificate per verificare le ipotesi formulate, senza inseguire occasionali cantieri.

Veduta degli scavi nell’area del santuario Griso-Laboccetta, 1959-60.

39


92


QUADRO D'UNIONE

Foglio 6010820

Parco Caserta

3

2

1

4

5

6

93


1 2578200

FOGLIO 6010820 | Parco Caserta

ZE

83.52

100.25

TRE

MULINI

85.71

RB

I

79.55

97.29

82.51 86.23 94.57

S.S.

10

0

87.50

0

E RAC BOR

ERM A

VICO SACCO

79.43 75.45

CE

74.40

67.02

64.34

69.55C

ASER

ALE

70.61

VIA 88.02 82.97

ARO

73.02

78.77

76.44

80.63

90.04

83.25 83.37

82.30 PO R

63.10

87.62

TANO

VA 85.96 88.79

IONICA

N.106

88.61

102.85

RIONE

79.18

SAN GIOVANNELLO

82.63

S.S.

70.29

91.91

94.54 97.73

81.40

100.83

103.52

87.44 92.17

94.54

72.48

VIA

0.35 VIA 70

100.05

89.10

79.32

107.43

97.70 94.63

87.90 85.64

100.84

96.26 85.46

76.18

98.49

96.22

87.82

74.16

100.71

96.32

87.90

72.16

100.21

91.79

88.19 87.82

67.95

106.91

97.07

91.52

87.82

GENN

100.53

97.85 98.41

TA

66.28

CARDIN

O CR

92.09

82.96

E

71.62

67.75 VIA

87.98

78.53

61.54 64.16

QUADRO

81.43

IA

63.60

101.66

99.19

CEV

VIA

87.85 66.76

110.04

A ASERT

IA 87.98 82.78 V

75.44

107.23

103.52

CRO

63.03

C

89.28

87.64 81.27

91.41

CROCEVIA

99.79

95.24

BORRAC

58.69

93.00

85.29

VICO SACCO

71.50

102.85

102.09

CAR G

VIA

CAS

87.44

75.47

101.27

SVINCOLO REGGIO CALABRIA NORD VIA CARDINALE PORTANOVA

83.67

66.76

100.64

100.99

86.73

62.69

VIA

10

85.98

106.62

103.13

90

87.09 87.42

56.32

108.09 112.92

62.14

5.25

58.97

111.39

87.06

72.74

108.68

87.14

65.63

REG

122.58

114.67

106.62

0

106.68 86.59

BORRACE

VIA

86.95

TRAV. PRIV .

11

CASERMA

61.64 57.81

105.18

112.70 0

88.57 86.97

66.71

61.70 56.93

103.65

12

72.36

VIA

102.32 102.80

0

59.09

115.06

100.14

101.13

86.48

108.06

98.26

11

62.23

6.62

86.47

IONICA

2 2a

80

70.38

98.63

97.78

N.106

57.87

57.03

CROCEVIA

92.45

57.13

40

VIA

VIA

76.15

CR O CE

PA

15째39'58"

85.27

RAM

4219000

79.10

71.14

67.98

BORRACE

65.51 VIA

38째07'08"

84.39

89.01 91.56

74.90

89.47 88.22

NE

91.32 92.57

LO

82.87

103.35

107.55

93.77 88.37

VA L

100.83

90.31

94.60

78.90

74.38

97.53

VALLO

94 72.59

94.48

87.06

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2

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43.58 42.14

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74.

73.33 77.54

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FOGLIO 6010820 | Parco Caserta 38째07'08"

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43.06

58.85

46.02 48.62

TRA V. I

VIA

MAZ IA 45.95

65.03 73.55

MEL

ACR IN

L CO

O

84.33 54.66

LIN

57.03

A

58.40

51.44

106.72

77.34

VIA S.

86.84

LUCIA

64.37

111.97 104.72

DE GL

MELACRINO

112.21

I 67.97

SANT'

57.83

AN

TO N

64

68.79

IO

69.28

109.39

110

VIA

LI 73.08 78.46

75.35

91.84

S. Antonio

68.52

111.52

80

90

94.55

CA

100.98

ORIO

Opera Antoniana Don Orione

103.94

104.20

DA 104.66 82.53

99.29

91.44

PRIV.

93.77

LAR

IZZ

A

88.85

114.68

VITARESI

O

RG 89.20

100.98

96.90

SAN

104.54

100.87

103.73

100.92 108.15

VIA

DON

93.50

94.87

93.94

92.83

BO

VIA

91.04 113.65

VIA

90 100

97.91 88.50

83.76

TA

80

88.15

85.86

85.84

91.25

86.15

9

0

77.64

101.49

LUCIA

RA

ST

78.40

104.12

82.50

79.91 85.87

82.08

88.94

102.53 102.74

113.36

96.67

88.74

11

I ELL

CCIN

NE

U

PP

87.50

89.51

0

79.75

74.05

97.35

90.90

10

86.03

91

98

100

90

77.44

SAL

76.25

105.98

86.57

76.79 80.28

116

105.46

82.60

72.57

79.42

ITA

118.58

114

86.99

88.13

E

71.05

72.64

91.09

ON

GE

AN

61.86 68.95

IAV

97.28

69.31

68.62

SCH

114.79

92.97

108.04

93.02


89.10

85.64

79.32

5.85

88.61

SAN GIOVANNELLO

82.63

S.S.

70.29

102.85

RIONE

79.18

N.106

67.95

91.91

94.54 97.73

81.40

100.83

103.52

87.44 92.17

94.54

VIA

72.48

6

84.39

91.56

74.90

89.47

97.53

VALLO

68.20

NE

70.35 VIA 70.70

MA R

82.87

E

102.78

96.65

97.21

99.27 106.37

RA RA

94.79

105.71

86.74

A 92.53

103.64

89.13

98.61

85.60

90.09

86.61

106.42

115.09

105.73

117.62

VIA

118.52

90.58

92.79

SVINCOLO VIA PETRARA

89.63

L VA

105.39

PER

88.37

93.42 106.13

103.94

110.96

A

81.71

95.14

102.02

PIANO FICARRA 85.60

84.21

99.27

108.53

91.38

79.13

87.25

- Il re - Il re - L'eq

104.52 97.46

97.53

85.31

83.51 84.14

0

ZO

95.90 93.59

T PE

80.79

107.55

AZ

89.97

76.52

80.72

IAN

A

92.57

LO N

103.35

93.77 91.32

88.37

VA L

100.83

90.31

94.60

78.90 72.59

78.08

94.48

87.06

88.22

74.38

FOGLIO 6010820 | Parco Caserta

89.01

108.06

N LO

98.91

92.27

93.89

E

106.72

120.83

93.20 107.17

111.97

PE

94.66

AR A

96.96

99.12

96.80 109.39

94.89

118.58

114.39 94.56 110

116.96

127.09

107.79

99.06

118.62

124.93

A IONIC

S.S.

102.99

CAMPI

123.15

128.66 106.48 126.76

Cimitero Vecchio di Condera

124.03

VIA

100

123.25

105.64

110

97.35

118.13

100

111.52

N.106

95.25

0

100.23

IL RESP

124.64

101.13

105.46 105.98

124.96

107.79

96.95

FRANCESI

NE

113.67

107.74

TR

98.98

112.21

Conven

122.62

94.11

109.67 104.67

124.11 124.12

124.12

127.91

92

106.07

124.39

95.04 121.00

125.09 125.40

120

124.41 125.04 125.23

104.12

128.23 124.92

110.97

125.98

97.91 88.50

126.41 93.50

126.69

111.41

125.98

126.46

128.16 128.03

124.96 114.78

96.90

112.24

125.63

114.27

93.98

91.04

126.12 126.84

116.69

126.90 100.87

103.73

93.02

118.09

126.80

115.06 123.17

15 108.04

117.83

126.23 127.49

116.55

4218200

94.66

125.36 125.36 125.42

127.71 107.88

128.59

99

15째39'58"

113.24 113.36

96.67


Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via ModalitĂ di acquisizione ProfonditĂ rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

1 R.C. Rione Borrace, isolati 62, 63

62 63

scavo di sbancamento 18.6.1927, 16.7.1927 no

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici

Osservazioni

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

tombe

III sec. a.C. no

Il sito tra le vie Torrione, Tommaseo, Archimede e Parini. ArSt. Cartella XXIX pos. 19 prat. 8. Nel giugno del 1927 fu scoperta una tomba coperta con volta a botte, lunga m 1,20, larga m 0,60 ed alta m 1,00 al colmo. Nel mese successivo furono scavate altre tre sepolture, costruite in mattoni, di cui una coperta a tegoloni ed una a volta. Tutte e tre le tombe erano prive di corredo. F.M. 30.10.2006 planimetria, schizzo

1

100


Foglio

6010820

Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

2 R.C. Contrada Borrace

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

2a R.C. Contrada Borrace

scavo di sbancamento 1908, primavera 1912 no

Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici

Osservazioni

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

1908, primavera 1912 no

Tipologia rinvenimento

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione

scavo di sbancamento

Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione

necropoli

IV-III sec. a.C. no

Il sito corrisponde all’area delimitata dall’attuale via Cardinale Portanova e via Quartiere Militare. NSc. 1909, 314-318; NSc. 1913, 316. ArSt. Cartella XXIX pos. 19 prat. 8. In occasione della costruzione di un baraccamento sulle colline a N-E di Reggio furono scoperti 8 sepolcri di varie tipologie. Su alcuni mattoni erano impressi i bolli dell’officina laterizia Memnone. I corredi funebri comprendevano balsamari a fuso, scodellette, uno skyphos. Nel 1913 fu poi effettuato uno scavo sia a destra che a sinistra dell’ingresso ai baraccamenti militari, nel terreno del barone Bartolo Sacco, e furono messi in luce altri due sepolcri di età ellenistica. F.M. 3.11.2006

lamina iscritta

III sec. a.C.

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

presente Museo archeologico R.C., inv. n. 1635c. Il sito corrisponde all’area delimitata dall’attuale via Cardinale Portanova e via Quartiere Militare. NSc. 1913, 316; D’Amore 2007, 45. ArSt. Cartella XXIX pos. 19 prat. 8. In una delle tombe scavate nel 1913 nel fondo Sacco fu ritrovata una defixio (lamina di bronzo) iscritta. F.M. 3.11.2006 foto

Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

3 R.C. isolato n. 112 angolo via Minniti e via XXIV Luglio scavo di sbancamento m 4,70 di profondità dal p.c. 2006 no

Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici Osservazioni

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito

2a

Bibliografia Dati archivistici Osservazioni Nome compilatore Data di compilazione Allegati

strutture

no

Il sito corrisponde all’isolato ta le vie Cannizzaro, XXV Luglio e Mons. De Lorenzo. ArSt.. Cartella XXIV pos. 16 prat. 4 sub 2. In un saggio di scavo di m 5 x m10, a m 4,70 di profondità, sotto uno strato alluvionale, sono emerse le assise di fondazione di strutture d’età ellenistica. Ai margini del saggio vi è traccia del probabile muro di argine del torrente Caserta. F.M. 29.11.2006

101


Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

4 R.C. vico IV Caserta scavo m 4 di altezza sul piano stradale di via D. Tripepi. 3 luglio 1957 si

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici

tomba

si buono, restaurato

Il sito corrisponde all’isolato tra via Demetrio Tripepi, via Cardinale Portanova e via cardinale Tripepi. NSc. 1957, 395.

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

Fu rinvenuta una tomba a camera con volta a botte realizzata in laterizi. Oggi l’area ha destinazione a parco. F.M. 3.11.2006 foto

Foglio

6010820 [scheda vincolo]

Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo

4 Reggio Calabria rione Caserta vecchia tra via Demetrio Tripepi, via Cardinale Portanova e via cardinale Tripepi. F. 122: part. nn. 9, 10, 11, 23, 24, 25, 26, 27, 38, 39, 40, 41, 86. Comune di Reggio Calabria

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

5 R.C. Contrada Borrace

A.R. 14.03.1985 No D.M. 5.10.1995 Planimetria

Tipologia rinvenimento

Osservazioni

Via Particelle Anagrafica N° vincolo Data notifica Ricorsi Variazioni Atto Allegati

4

Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici Osservazioni Nome compilatore Data di compilazione Allegati

102

scavo per rete fognante fine anni Ottanta no

frammenti di tegole

no

Il sito corrisponde all’area su via Quartiere Militare, oggi occupata dal palazzo della Regione. Ar. Disegni. Furono rinvenute, a quota 51 m s.l.m., frammenti di tegoloni, probabili tracce di sepolcri. F.M. 23.11.2006


Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

6 R.C. via 3 Settembre 1943 davanti il palazzo Guarna scavo per rete fognante m 4 di profondità dal p.c. 13.5.1977 no

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici

Osservazioni

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

8 R.C. Rione Scordo Traversa C/Gerocarni scoperta fortuita aprile 1939, 25.9. 1939 no

Tipologia rinvenimento tomba

no

ArSt. Cartella XXX pos. 20 prat.1. Vennero trovate le tracce di una tomba di età ellenistica costruita con blocchi squadrati di pietra tufacea disposti a secco. Si accertò che probabilmente dopo il 1908 la tomba era stata distrutta ed i blocchi riadoperati, assieme ad altri frammenti architettonici moderni, per eseguire un condotto fognante. F.M. 25.11.2006

Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

7 R.C. Palazzo Associazione Mutilati e Invalidi di guerra via Tripepi, via Don Minzoni, via Amendola scavo di sbancamento

Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici

Osservazioni

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

tombe

no

La via è oggi denominata Gramsci. ArSt. Cartella XXV pos. 17 prat. 2. La prima tomba, a tegoloni, fu scoperta in occasione dell’apertura della traversa C o Gerocarni (maggio 1939). Nella necropoli erano presenti varie tipologie: a cassa, con blocchi di pietra di Siracusa, a cappuccina, a mezza botte. Alcuni mattoni erano dotati di bolli. Nel settembre successivo in via Prolungamento Torrione, sotto la traversa Gerocarni, furono rinvenuti altri blocchi in calcare e mattoni con marchi. F.M. 30.10.2006

luglio 1955 – marzo 1956 no

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici Osservazioni Nome compilatore Data di compilazione Allegati

necropoli

no

Il sito corrisponde alla vie Prolungamento Tripepi, Don Minzoni, Amendola. De Franciscis 1957, 392-396. ArSt. Cartella XXIV pos. 16 prat. 4 sub.1 n. 34. Furono rinvenute 10 tombe di varie tipologie. Tra il corredo funebre anche una laminetta orfica. F.M. 3.11.2006 pianta

7

103


Foglio

6010820

Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

9 R.C. La Terrazza Santa Lucia

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

10 R.C. Acquedotto “Lumbone”

scavi Museo civico autunno 1982 - marzo 1883, settembre 1884, maggio 1886 no

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

settembre 1883, settembre 1886 no

Tipologia rinvenimento necropoli

no presente Museo archeologico R.C. Area a monte della via Prolungamento Aschenez, in corrispondenza del rione Scordo. NSc. 1883, 95 = De Lorenzo Scoperte, I, 10-11; NSc. 1884, 286 = De Lorenzo Scoperte, I, 51; NSc. 1886, 138, 242 = De Lorenzo Scoperte, II, 43-44; Turano 1966, 162 = Turano 2001, 49; Andronico 2006, 9 (ma con errata ubicazione).

Dati archivistici

Osservazioni

scavi Museo civico

Durante le tre campagne di scavo, effettuate nella proprietà Candela dal 1883 al 1886, fu scavata una vasta necropoli in parte già manomessa. Alcune tombe erano costruite con anelli fittili di pozzi greci. Precedentemente nel sito era stata scoperta un’urna cineraria fittile che fu donata al Museo civico. Una seconda, di cm 34 di diametro ed uguale altezza, fu messa in luce con gli scavi. Cadaveri interrati si rinvennero ad 1 m di profondità, a profondità maggiore le tombe. Fu scavata anche una tomba “a libro” ai piedi della necropoli, in un fondo irriguo di proprietà Migliorini. I muretti del loculo erano costruiti con mattoni di cm 32 x 17 x 9 di spessore, mentre i tegoli di copertura lunghi 86 cm erano larghi cm 26, metà del consueto. F.M. 28.10.2006 planimetria ricostruttiva del sito

Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia

acquedotto

no

Coincide con l’area tra i rioni Schiavone e Scordo. NSc. 1883, 351 = De Lorenzo Scoperte, I, 20-23; Turano 1966, 164 = Turano 2001, 49; Martorano 1998, 11-15; Martorano 2001, 17-18.

Dati archivistici Osservazioni Nome compilatore Data di compilazione Allegati

L’acquedotto, ritenuto dal De Lorenzo di età greca, era in realtà attribuibile al periodo romano. La descrizione dettagliata del De Lorenzo ha permesso di ricostruire graficamente la sezione dello speco (F. Martorano). F.M. 28.10.2006

Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

11 R.C. Contrada Schiavone, proprietà Mazzitelli scoperta fortuita m 1,20 di profondità dal p.c. 7-9.12.1914 no

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici Osservazioni Nome compilatore Data di compilazione Allegati

104

lamina iscritta

II sec. d.C.

presente Museo archeologico R.C., inv. n. 3548. L’area è tra le vie Melacrino e S. Lucia. Orsi-Comparetti 1915, 3-6; Buonocore 1989, 76. ArSt. Cartella XXIX pos. 19 prat. 17. La laminetta, rinvenuta tra il materiale di scarico della cisterna, misura cm 12 x 7,4. Si tratta della defissone, scritta in greco, che riguarda due personaggi: Scribonio e Pelagiano. F.M. 25.11.2006 disegno, foto


Foglio

6010820

Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

12 R.C. Contrada Schiavone, proprietà Mazzitelli

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

13 R.C. hotel Excelsior

scoperta fortuita m 0,80 e m 1,20 di profondità dal p.c. 7-9.12.1914 no

Tipologia rinvenimento

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici

Osservazioni

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

scavo di sbancamento m 1,50 di profondità dal p.c. 19.11.1960 no

cisterna

no

L’area è tra le vie Melacrino e S. Lucia. ArSt. Cartella XXIX pos. 19 prat. 17. Il 7 dicembre 1914, presso i “Campi Francesi” in contrada Schiavone, venne rinvenuta a m 0,80 di profondità una cisterna già semidistrutta. Una seconda cisterna, che misurava m 4,80 di diametro, si trovava invece alla profondità di m 1,20. Essa era stata utilizzata come granaio e vi fu rinvenuta una laminetta iscritta. A poca distanza le tracce dell’acquedotto già segnalato nell’Ottocento dal De Lorenzo. F.M. 25.11.2006

Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici Osservazioni Nome compilatore Data di compilazione Allegati

frammento colonnina età non determinabile

no

Hotel Excelsior tra via V. Veneto e Lungomare. ArSt. Cartella XXIV pos. 16 prat. 4 sub. 1 n. 22. Nell’area oggi occupata dall’hotel Excelsior fu rinvenuto a m 1,50 di profondità un frammento di colonnina lungo m 1,40. F.M. 6.12.2006

Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

14 R.C. hotel Excelsior scavo di sbancamento m 2,50 di profondità dal p.c. 19.11.1960 no

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici

Osservazioni

11

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

2 tombe

no

Hotel Excelsior tra via V. Veneto e Lungomare. Lattanzi 1987, 81. ArSt. Cartella XXIV pos. 16 prat. 4 sub. 1 n. 22. Nell’area oggi occupata dall’hotel Excelsior durante i lavori per la costruzione dell’edificio furono rinvenute due tombe ellenistiche a cassetta. A m 4 di distanza dalle sepolture frammenti a vernice nera ed 1 vasetto grezzo. Furono scoperti anche frammenti di ceramica della prima metà del VII sec. a.C. Le tombe misuravano una m 0,85 di lunghezza e m 0,58 di larghezza, l’altra m 1,75 di lunghezza, m 0,85 di larghezza e m 0,85 di altezza. F.M. 6.12.2006

105


Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

15 R.C. Hotel Palace via Vittorio Veneto scavo di sbancamento m 7 di profondità dal p.c. 1970 no

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici

Osservazioni

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

necropoli

II sec. a. C. no

Il sito sull’inizio della via Vittorio Veneto, angolo via Romeo. Costabile 1980, 14-16, 24-25. ArSt.. Disegni. La necropoli di età ellenistica ha restituito tipologie note: tombe a camera - sia con copertura a botte che con lastre -, a cassa, a cappuccina. Tra queste apparve un sepolcro a cassetta di embrici con copertura a doppio spiovente, primo esempio a Reggio del tipo. Erano presenti anche due ustrina. F.M. 30.10.2006 disegni, foto

15

106


Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

16 R.C. via Vittorio Veneto, via 3 Settembre scavo di sbancamento giugno-dicembre 1972 no

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici

15

Osservazioni

15

Foglio

6010820

Codice Luogo rinvenimento C.da/quartiere/toponimo Via Modalità di acquisizione Profondità rinvenimento Data rinvenimento Vincoli

15a R.C. Hotel Palace

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

necropoli

no

Foti 1972, 131. Gli scavi di sbancamento, per la realizzazione del palazzo dove ha sede il cinema Odeon, misero in luce il proseguimento della necropoli settentrionale, già individuata nell’area dell’albergo Palace. Furono scoperte 13 tombe, a camera, con volta a botte in mattoni e talora con nicchie laterali. Vi erano anche sepolcri a cassa di mattoni coperti a lastroni piani o a cappuccina. Furono recuperati i consueti capitelli fittili. Il corredo era costituito da vasetti in vetro, ceramica acroma, terrecotte figurate. F.M. 30.10.2006 foto, disegni

scavo di sbancamento m 7 di profondità dal p.c. 1970 no

Tipologia rinvenimento Strutture Materiali Fase Datazione documentata Datazione attribuita Presenza Stato di Conservazione Situazione del materiale Luogo di conservazione Sintesi interpretativa sito Bibliografia Dati archivistici

Osservazioni

Nome compilatore Data di compilazione Allegati

capitelli fittili, vasellame, askoi, orecchini.

IV/III - II sec. a. C. 16

presente Museo archeologico R.C. Il sito sull’inizio della via Vittorio Veneto, angolo via Romeo. Costabile 1980, 14-16, 24-25. Furono rinvenute ceramiche italiote di argilla cinerognola, a vernice nera con sopradipinture rosse e bianche, vasetti plastici (askoi a porcellino, gallo, anatra). La ceramica del tipo “Campana C” e a vernice rossa (II sec. a.C.), fu ritrovata all’esterno dei sepocri. F.M. 30.10.2006 16

107


362


La città antica e medievale

Le aree di necropoli Le necropoli ellenistiche e romane di Reggio, le uniche sinora note non essendosi ancora scoperte le necropoli classiche ed arcaiche, furono identificate già a fine Ottocento da De Lorenzo. La prima ad essere esplorata fu la necropoli del rione S. Caterina e quella allora detta Terrazza (vie Melacrino-Dalmazia e a monte della via prolungamento Aschenez, scheda n. 9 foglio 6010820). Un’altra necropoli venne in luce a Pentimeli, allora sobborgo extraurbano ed oggi del tutto inglobato nella città, e tombe sparse altrove, come nel rione Modena. De Lorenzo descrive accuratamente nei suoi testi le tipologie sepolcrali delle tombe, come quelle a semicoppi ricavati dagli “anelli” fittili di pozzo, o quelle con imponente copertura di embrici disposti a taglio, che si sogliono definire “a libro” e che gli capitò di incontrare per primo, mentre successivamente furono scavate anche da Galli nell’area dell’attuale Museo Nazionale1. La stessa necropoli2 è stata poi riconosciuta – in scavi pubblicati fra il 1942 ed il 19803 – in tutta la sua estensione, dall’attuale via Vittorio Veneto fino a via Dalmazia. Il sepolcreto fu in uso soprattutto fra il III ed il II sec. a.C. e si distribuiva lungo due percorsi subito fuori delle mura di cinta settentrionali: uno risaliva la collina verso l’interno (vie Romeo – Melacrino – Dalmazia), l’altro era quasi litoraneo (via Vittorio Veneto). Dopo circa 500 m/1 km di distanza, era ancora fiancheggiato da tombe nella zona di S. Caterina, corrispondente all’area dell’ampliamento del moderno porto dopo il terremoto del 1908. In questa parte della vasta necropoli, che si è di seguito esplorata ancora fino a tempi recenti con scavi rimasti quasi tutti inediti4, si continuò a seppellire fino all’età imperiale romana (almeno I-II sec. d.C., ma probabilmente anche oltre)5. Nella necropoli di Pentimeli il De Lorenzo trovò poi due sepolture eccezionali: la prima era una tomba a camera affrescata, che sembra databile al III-II sec. a.C., della quale commissionò all’Ing. Porchi un rilievo ed un acquarello a colori, rimasto all’epoca inedito ma di cui dà notizia6 e che fu poi riprodotto in varie copie a stampa7; l’altra era una «originalissima urna … di terracotta che presenta la forma precisa delle vasche di lamina metallica, che qui in Reggio si usano pei bagni domestici. È ricurva di dietro e piatta da piedi, dove a mezz’altezza è un foro di forma circolare».

Nella pagina precedente: Sviluppo lineare acquerellato e rilievi della tomba a camera con volta a botte di contrada Pentimeli, 1884. 363


Sarcofago a vasca e tomba a camera con volta a botte, necropoli INPS. In alto: Sarcofago a vasca da Pentimeli.

Planimetria con gli espropri da effettuare per la realizzazione del tracciato ferroviario in contrada Pentimele, 1881.

364

Questo genere di sarcofago a lenos fu trovato successivamente in altre necropoli reggine (area INPS): gli esemplari, compreso quello del De Lorenzo, si conservano oggi nel Museo Nazionale e sono stati recentemente studiati nell’ambito del contesto tipologico di appartenenza8. Ho potuto accertare quale fosse l’area denominata nell’Ottocento Pentimeli tramite la carta geografica 1:10.000 del 1844, conservata a Roma presso l’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio (ISCAG), constatando che non risulta perfettamente coincidente con l’attuale denominazione. Inoltre una planimetria che ho identificato presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, permette di proporre una possibile ubicazione della necropoli9. La planimetria redatta nel 1881, come allegato alle perizie di esproprio per il tracciato ferroviario, indica con esattezza i siti di proprietà Genoese Zerbi e Plutino presso cui De Lorenzo nel 1883 scavò la tomba e scoprì le cisterne, poi riutilizzate come deposizioni10. La necropoli di Pentimeli potrebbe riferirsi a un sobborgo normalmente abitato fuori dell’area propriamente urbana, così come quella di Condera (quest’ultima è oggi area del moderno Cimitero e regione soprastante) dove le ceramiche d’uso comune rinvenute si ascrivono al II sec. a.C. Nell’area della necropoli S. Lucia-Terrazza sono state trovate nel secondo dopoguerra anche «considerevoli quantità di ceramica campana C e di ceramiche a vernice rossa, con stampi logori di fregi ornamentali a figure umane»11 attribuibili al II sec. a.C. e che sembrano riferibili a vasellame d’uso comune. Tali ceramiche non provengono da tombe, ma sono state recuperate fuori contesto nell’area della necropoli: pertanto si è pensato che possano essere associate ad un abitato più o meno sparso fuori delle mura di cinta12. L’identificazione del sepolcreto S. Lucia-Terrazza ha permesso di conoscere il limite Nord della città antica. L’intuizione si deve a De Lorenzo, che comprese esattamente trattarsi della necropoli della città ellenistica e tale sua valutazione appare tanto più apprezzabile in quanto successivamente, nel 1942, il Galli13, scavando la parte verso mare della stessa area cimiteriale, nell’area dell’attuale Museo Nazionale che si andava allora costruendo, credette di poterla attribuire ad un sobborgo periferico, lontano dal nucleo urbano di Reggio, che egli riteneva essere stato molto ristretto e limitato alla zona centrale. L’area urbana fu invece ben circoscritta da De Lorenzo, che dal lato settentrionale considerò la necropoli come limite. Per il versante meridionale si avvide che il corso medievale-moderno del fiume Calopinace (antico Apsìa?) non era quello antico, perché sotto quell’alveo ormai secco trovò strati archeologici greco-romani intatti, e pensò che il fiume antico sfociasse all’incirca nell’area Piazza Garibaldi - Stazione Centrale14.


Necropoli ellenistiche si estendevano anche nelle aree della Caserma Borrace (oggi Palazzo della Regione presso via Cardinale Portanova), in località Condera (al di sopra del moderno cimitero) ed ai piani di Modena, ma si tratta probabilmente di necropoli extraurbane riferibili ad insediamenti di villaggi o di ville. La necropoli che venne scavata tra il 1906 ed il 1913 a Modena, presso il bivio con la strada consortile Reggio-Cardeto, restituì 23 sepolcri. Già individuata da De Lorenzo nel 1888, che aveva messo in luce nel “campo militare” sei sepolcri15, fu edita nel 1907 e poi nel 1913 su «Notizie degli Scavi». L’estensione di questa necropoli doveva superare di molto i limiti definiti ai primi del Novecento ed allungarsi verso Est, proseguendo lungo la direttrice ReggioCardeto, se interpretiamo correttamente le recenti scoperte di sepolcri sulla strada di Condera. Anche in direzione Ovest (in c.da Petrillina, lungo le pendici che digradano nella pianura di Sbarre Superiore, attuale viale Europa), sono stati rinvenuti sepolcri16. È recente (2004) la scoperta di una necropoli ellenistico - romana nell’area della chiesa di S. Giorgio extra: costituita da 32 deposizioni su tre livelli era probabilmente molto più estesa e profonda, perché non completamente indagata prima della completa distruzione. Le tipologie dei sepolcri sono del tutto simili a quelli già rinvenuti in altre aree urbane, trattandosi di tombe a fossa, con copertura a libro, con semianelli, a cappuccina17. è stata interpretata, nonostante la povertà dei corredi, come pertinente al nucleo abitato urbano18. A questa necropoli potrebbe appartenere l’iscrizione funeraria del I-II d.C. di Fabio Colendo, recuperata alle collezioni statali nel 1982, ma di cui Il tratto di costa tra la contrada Santa Caterina e la fiumara non fu accertata se non una generica provenienza da tale area19. Torbido nella Carta topografica del Faro di Messina, 1844.

365


Il rito di sepoltura prevalente a Reggio, sia in età greca che romana, è l’inumazione in posizione supina, con il corredo deposto ai lati del corpo. Le tipologie, come si è detto, sono diverse: sono state trovate tombe a camera con volta a botte interamente costruite in mattoni, databili al III sec. a. C, con volta realizzata con semicilindri fittili, a cassetta di embrici con copertura a spiovente, a muretti di mattoni con copertura di embrici disposti «a libro» o anche a falsa volta, ma si contano anche sepolture più povere in semplice fossa. La cremazione è accertata in pochi casi: un bambino (necropoli dell'hotel Palace), un adulto semicombusto deposto in una cassa lignea adornata con bucrani, rosette e capitelli policromi in terracotta (III sec. a. C., necropoli hotel Palace), una sepoltura in combustione parziale nell’area dell’attuale palazzo Spinelli. I testi ottocenteschi riferiscono di un’urna cineraria dalla necropoli Terrazza ed altre due dal Porto. Va anche ricordata la tomba arcaica di S. Gregorio, dove le ceneri furono deposte in un grande cratere laconico a vernice nera con ricco corredo funebre20.

Il percorso delle mura greche

Lo scavo della necropoli di S. Giorgio Extra, 2005. In alto: Lo scavo delle tombe a camera con volta a botte della necropoli di Modena, 1913.

366

Le prime tracce delle mura di cinta della città greca emersero alla fine dell’Ottocento, ma non furono riconosciute. De Lorenzo e Spanò Bolani fraintesero infatti le strutture murarie in blocchi isodomi di arenaria nell’area del Lungomare reggino (attuale fascia a verde) e le attribuirono al tempio di “Diana Fascelide”21. Già dall’età umanistica esisteva a Reggio una tradizione, tràdita anche da Giuseppe Morisano22, che aveva, ben prima del De Lorenzo, localizzato l’Artemision extraurbano presso la Rada dei Giunchi (odierno Lido Comunale). Il ritrovamento di bassorilievi iscritti in lingua greca, sebbene di età romana, riferibili al culto di Artemide e/o Apollo, nell’area delle Terme Genoese (attuale isolato delimitato dalle vie B. Camagna, Zaleuco, Palamolla e corso Garibaldi) aveva infine indotto gli eruditi locali, a partire da Carlo Guarna Logoteta23 (1851), a credere che i ruderi delle mura di cinta sul Lungomare, oggi datati generalmente al IV sec. a.C., fossero da riferire a tale santuario24. Nel 1892 Giuseppe Caminiti così si esprimeva: «… nel punto ove è ora il valloncello di s. Lucia, così detto dalla vicina chiesa (oggi angolo Corso Garibaldi / via S. Vollaro) … apparve, a poca profondità, un angolo di muro, a grossi massi tufacei sovrapposti senza cemento …Non pare che questo avanzo di antichissima costruzione, possa accennare alla cinta della città, perché è ormai accertato che le mura escludevano il famoso tempio di Diana, situato a circa m. 400 lontano dal suddetto avanzo»25.


Il pregiudizio esegetico, nell’interpretare i resti delle mura di cinta come pertinenti all’Artemision extraurbano, era dunque così radicato, da indurre ad escludere l’esatta interpretazione del rudere d’angolo della fortificazione urbana. Del resto, ancora nel 1958, Georges Vallet seguiva le orme degli studiosi dell’Ottocento sulla localizzazione del santuario di Artemide, oggi nuovamente discussa dalla Mercuri26. Anche Roberto Spadea, che nel 1980 diresse gli scavi nell’area Stazione Lido e scavò un muro greco in blocchi squadrati, ritenne di aver identificato il muro di sostegno del tempio di Artemide27. Ma questa ipotesi non mi sembra sufficientemente supportata, anche per l’assoluta mancanza di favisse votive che caratterizzano abitualmente i siti archeologici di santuari. Ma, soprattutto dopo le scoperte di Orsi e di De Franciscis, lo studio della Tropea Barbaro ed infine il ritrovamento di tratti delle mura urbiche nelle zone Collina degli Angeli – Trabocchetto28, conosciamo abbastanza bene il percorso e le tecniche costruttive della cinta muraria nel tratto antistante la costa e sul lato settentrionale, dove esse si allontanavano dal mare ed affrontavano l’erta della collina. I ritrovamenti ottocenteschi appartengono perciò alle mura di cinta e non al tempio. I due brevi tratti, scoperti negli anni 1965 e 1968 ai lati della via XXIV maggio, confermano l’andamento delle mura lungo il litorale e permettono di ipotizzare anche la presenza di una torre, ad essi accostata29. Più problematica è sempre stata la ricostruzione del tratto meridionale, dove sono mancate scoperte archeologiche altrettanto inequivocabili. Giuseppe Morisano (1770) ci informa che, durante la costruzione della "nuova" sede episcopale, furono rinvenuti depositi sabbiosi incoerenti, che egli attribuì alla costruzione di valla et propugnacula ex veteri muniendi forma30. Con questa espressione probabilmente intendeva riferirsi, come già detto, non alle fortificazioni antiche, ma a quelle medievali e rinascimentali attorno al Castello. Tuttavia i lavori e gli imponenti movimenti di terra possono spiegare la scomparsa o il seppellimento a quote profonde dei resti antichi. Questi invece dichiara di aver trovato nel 1810 Barilla31 poco più a monte dell'episcopio, nel Castello, dov'egli riconosceva «l'Acropoli Reggina, di cui ne scopersi le solidissime vestigia incastrate nelle fabbriche del sud(dett)o Regio Castello».

Reggio Calabria, rione Santa Lucia, 1905. Il cerchio rosso individua il sito di scoperta del muro. Disegno del tratto di muro scoperto presso il ponticello S. Lucia, 1892.

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394


Approfondimenti

Le mura ellenistiche nel Lungomare Il fronte occidentale delle mura ellenistiche fu messo in luce tra il 1913 ed il 19161. Il settore compreso tra le vie Plebiscito e Amalfitano (oggi Vitrioli e Valentino) fu scoperto nel 1914, dopo la demolizione delle mura cinquecentesche e medievali2, ed immediatamente si dovette affrontare il problema della conservazione dei ruderi, dato che erano già in atto i lavori di sistemazione della via Marina3. Le mura spesse circa m 7, costituite da due filari di blocchi squadrati di pietra, distanti tra loro in media 5 m, potevano essere conservate all’interno della fascia a verde tra le due vie, che erano tracciate a differente quota. Tuttavia l’Ufficio Tecnico Speciale per il Piano Regolatore pose diversi ostacoli affermando che si rendeva necessaria l’esecuzione di un grosso muro di sostegno, la cui realizzazione mostrava però forti limiti estetici ed economici4. La posizione d’iniziale rifiuto dell’Amministrazione comunale fu tuttavia superata per il fermo atteggiamento di Paolo Orsi che, coadiuvato dal Soprintendente ai Monumenti Adolfo Avena, fece dichiarare le mura Monumento Nazionale ai sensi della Legge

Nella pagina precedente: Veduta delle mura greche.

Il progetto di conservazione delle mura greche, planimetria.

395


Il progetto di conservazione delle mura greche, sezioni.

Veduta delle mura greche negli anni Venti dello scorso secolo.

396

n. 364 del 29 giugno 19095. Fu elaborata nell’aprile del 1915 una perizia addizionale ai lavori di via Marina, che prevedeva il mantenimento delle strutture nella fascia arborea, e quest’ultima sarà poi la soluzione attuata con i fondi messi a disposizione dal Comune6. Delle mura era stato messo in luce un tratto lungo m 807, che non era disposto parallelamente al tracciato delle nuova via Marina alta (oggi corso Vittorio Emanuele III) ma distava da essa a Sud circa 2 m, mentre a Nord si addentrava nella sede stradale per circa 90 cm. Inoltre era sottostante ad essa in media m 6,50. Era necessario permettere l’intera visibilità del rudere e nel contempo non ridurre la sede stradale che andava sostenuta con un alto muro. La soluzione a tutti questi vincoli fu trovata in una struttura a sbalzo da poggiare sul muro di sostegno della carreggiata, che avrebbe permesso di mantenere continua la larghezza del marciapiede e nel contempo la libera circolazione al piede del muro. Per ragioni d’economia si preferì adottare piuttosto che strutture murarie d’enorme spessore un sistema di muri a cassone di cemento armato. I setti dei cassoni furono fatti sporgere 60 cm dalla faccia vista e furono collegati alla soletta sovrapposta, in modo da raggiungere uno sbalzo di m 1,20 di profondità, che altrimenti non sarebbe stato consentito dalle norme tecniche in vigore. Si movimentò la lunga linea del parapetto superiore con due sporti di forma semiesagonale, prospicienti sui gradini ad anfiteatro in cui furono trasformate le scarpe dei terrapieni laterali, mentre per l’altro fronte si realizzava un semplice muro di sottoscarpa in pietrame listato ed una zona di giardinaggio, utile anche a rinsaldare la


scarpa. L’accesso era garantito da scalette, che dal fronte inferiore a Ovest raggiungevano la quota archeologica a m 0,80 sul livello del mare8. Nel febbraio del 1916, sul lato interno delle mura ellenistiche, in corrispondenza del palazzo del Genio Civile, vennero poi scoperti da Morabito Calabrò una serie di pilastri in connessione alle mura, che costituivano i resti di un maestoso portico9. Orsi si batté anche per la conservazione di queste strutture ma, dato che esse coincidevano con il tracciato stradale, dovette cedere alle pressanti richieste degli Uffici comunali e accettarne la demolizione.

Le terme romane L’impianto termale fu scoperto nel 1886 in occasione della demolizione del bastione S. Matteo, che aveva costituito l’angolo Sud-Ovest della cinta urbica cinquecentesca, e del fabbricato Nesci. Tale demolizione si era resa necessaria per l’ampliamento della via Marina, ridottasi in larghezza dopo lo spostamento Le terme negli anni immediatamente successivi al sisma del 1908.

397


L’impianto termale con al centro il pavimento a mosaico dell’apodyterium.

della linea ferrata negli anni 1884-85. Le terme oggi visibili si trovarono sotto la colmata della piazza delle Caserme. Furono scavate da De Lorenzo, che si fece inviare dal Ministero della Pubblica Istruzione l’Ing. Giuseppe Rao del Commissariato di Palermo, al quale si deve il rilievo planimetrico e la dettagliata relazione tecnica, che fu ospitata nel terzo ed ultimo fascicolo de Le Scoperte Archeologiche10. Le terme, che il De Lorenzo credette pubbliche, sembrano essere più probabilmente nate come terme private di una domus affacciata sul mare. Esse furono in uso certamente per diversi secoli, e subirono trasformazioni edilizie di cui già il De Lorenzo ed il Rao non mancarono di accorgersi, e che sono state anche modernamente e dettagliatamente analizzate11. Una datazione assoluta delle strutture, comunque attribuibili all’età imperiale, non è stata mai data, mentre è stato ovviamente più facile stabilire una sequenza cronologica relativa fra alcune strutture, in base alla intersezione e sovrapposizione delle une sulle altre. Il De Lorenzo riteneva inoltre che la scoperta di un capitello bizantino nell’area di un ambiente absidato delle Terme autorizzasse l’ipotesi della sua riutilizzazione come chiesa in età medievale12. Dopo il 1900 l’impianto termale s’interrò per scarsa manutenzione e nel 1908 fu ricoperto dal fabbricato delle Scuole Industriali che vi crollò sopra13. Nel 1916 si decise di ripristinarne l’accesso: nella relazione illustrativa si accenna al necessario trasferimento della Scuola Industriale e dell’edificio delle Verginelle e si afferma che “si sarebbe dovuta esplorare una parte del rilevato stradale previsto dalla futura via”14. Il 398


riferimento è al tracciato confinante della nuova via Marina, che non venne tuttavia esplorato con scavi archeologici. Segue nel 1917 il “progetto di sistemazione” e la notizia di uno stanziamento di fondi per la “pulizia dei ruderi e la migliore sistemazione di essi”15. Il progetto, che prevedeva la conservazione delle strutture, inserendole nella fascia a verde del lungomare con la protezione di una recinzione in c.a., si sviluppava in tre fasi: la pulizia dei ruderi con la rimozione delle macerie, il consolidamento delle murature e “le opere idonee a garantire il mosaico”, infine la modifica del parapetto sul quale si elevava la cancellata d’accesso lato mare e la realizzazione di due scalette all’interno delle terme, necessarie perché i ruderi venivano a trovarsi al di sotto del piano stradale della nuova via Marina progettata dall’Ufficio Piano Regolatore. Nel 1918 il progetto fu attuato anche con il concorso economico del Comune16. L’ing. Abatino, funzionario della Soprintendenza ai Monumenti, inviato da Napoli alla cui sede era aggregata la Calabria, ne fu l’autore17. Nell’attuazione del progetto fu sacrificato alla vista solo un piccolo settore dell’impianto termale, cioè una parte della vasca ovoidale scavata nell’Ottocento, che fu coperta da una struttura a sbalzo in c.a. in corrispondenza del marciapiede di via Marina bassa18.

Rilievo ottocentesco (1887) dell’impianto termale e dei frammenti in esso rinvenuti.

I ruderi nel palazzo dell’ex Genio civile I rinvenimenti archeologici nell’area interessata dagli sbancamenti per la realizzazione del palazzo furono effettuati tra il 1918 ed il 1922. È in quest’intervallo di tempo che si svolsero gli scavi e il dibattito sulla conservazione dei ruderi messi in luce, ruderi che tuttavia saranno conservati solo parzialmente19. Come si evince dalle relazioni, furono dapprima scoperti 32 metri di un muro con i suoi due angoli, “lo sperone che finisce come una specie di esedra” ed un frammento di pavimento a mosaico romano, poi, dopo una lunga pausa durata sino al settembre 1920, emersero due ambienti intatti affiancati, con porta e coperti a volta, che ricadevano nel corpo centrale tra i due cortili20. Orsi chiese ai funzionari del Genio Civile che gli ambienti messi in luce fossero conservati negli scantinati dell’edificio da costruire e che fosse eseguito un buon rilievo dei ruderi. Per quanto riguardava il mosaico scavato la Soprintendenza non aveva a disposizione fondi per distaccarlo e quindi se ne potevano conservare soltanto frammenti. Sulle richieste di Orsi si innestò un fitto carteggio, che durò sino al gennaio del 1922. Da una parte l’ufficio del Genio Civile, rappresentato dall’ing. capo Guggino, che tentò con vari espedienti di ignorare le richieste, dall’altra Orsi e il Soprintendente ai Monumenti21 che si battevano per la documentazione delle scoperte e la loro conservazione. I due 399


Palazzo del Genio Civile: Corpo su via Marina, 1921.

400

Soprintendenti operavano direttamente o tramite i loro funzionari, che li informavano continuamente degli sviluppi della situazione22. Il 14 agosto del 1921 il Soprintendente Valenti, avendo avuto segnalato l’uso improprio degli ambienti antichi come fossa per calce23, effettuò un sopralluogo, constatò la demolizione di alcuni muri e firmò un “verbale di constatazione” che è in realtà un fermo lavori. Fu il passo decisivo per le scelte finali24, che rappresentano comunque una mediazione e un cedimento da ambedue le parti. Guggino fece modificare parzialmente le strutture di fondazione del fabbricato, per consentire la conservazione dei ruderi nelle strutture dirimpetto via Marina Alta, con la soluzione ideata da Gino Zani25, i Soprintendenti accettarono una conservazione soltanto parziale dei ruderi. Furono redatti i rilievi delle strutture, ma il nucleo con i due ambienti, che si trovava tra i due cortili, fu distrutto26. La scoperta di quattro pithoi nel settembre 1927, uno accanto all’altro nell’angolo Sud-Est dell’atrio del palazzo e a m 3,80 di profondità dal piano di calpestio27, segnò a cinque anni di distanza, dopo un lungo silenzio, che non può che lasciarci pieni d’interrogativi, l’ultimo atto sulle vicende archeologiche del palazzo.


L’odeon-ekklesiasterion Nell'agosto del 1920 furono scoperti e poi scavati da Morabito Calabrò i resti di un edificio greco28, che erano sopravvissuti ad uno spoglio antico e radicale, dato che nessun’altra struttura emerse nell’ampio scavo. Orsi richiese immediatamente un rilievo e dalla risposta ricevuta apprendiamo che, a differenza di altri casi, non si ebbe dubbi sulla conservazione del rudere. Infatti già nel dicembre del 1920 si era deciso di inserirlo in un ambiente al pian terreno delle case per impiegati, che l’Ente Edilizio stava per costruire su via Tribunali (corrispondente all’attuale via Tripepi)29 e Morabito Calabrò proponeva di decorare il vano “con colonnine, dipingerlo ad olio con fregi greco-italici e conservarvi in vetrine i cimeli greci e romani rinvenuti”. Tuttavia nel 1922 non si era ancora deciso come sistemare il locale, tanto che Zani richiese alla Soprintendenza proposte concrete30. Zani nella corrispondenza firma come direttore dell’Ente edilizio31, e come tale s’impegnava a lasciare in dono al magazzino statale le terrecotte architettoniche rinvenute nello scavo32. Nel 1925 gli edifici erano oramai costruiti e il rudere ben visibile all’interno di un vano seminterrato, ma non solo non vi era più traccia degli oggetti e dei frammenti scoperti33, ma soprattutto era già iniziata la manomissione e l’uso improprio del rudere. Edoardo Galli denunciava tale situazione chiedendo la consegna alla Soprintendenza dell’ambiente34, ma occorrerà giungere al 1984 perché ciò si attuasse35. A quasi un venticinquennio di distanza da questo passaggio di competenze ciò ha prodotto soltanto la fine dell’occupazione abusiva del vano, ubicato all’interno di un cantinato dell’isolato 181 tra via Torrione, via XXIV maggio, via Tripepi e via S. Paolo, mentre il degrado e l’abbandono permangono. Per quanto riguarda l’interpretazione del rudere il rilievo del monumento, accompagnato da un disegno ricostruttivo e dal commento, fu pubblicato da Orsi nel 1922. Le scarse tracce dell’edificio greco in blocchi squadrati di arenaria furono da lui identificate, per l’esigua profondità delle fondazioni della

“Odeon”: veduta laterale del rudere. Foto con annotazioni di mano dell’Ispettore onorario Francesco Morabito Calabrò e assonometria.

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Finito di stampare nel mese di Dicembre 2008 presso la Tipolitografia Iiriti di Reggio Calabria


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