Enigmi delle civiltà antiche dal Mediterraneo al Nilo

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FELICE COSTABILE

ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO ATENE LA MAGNA GRECIA L’IMPERO DI ROMA

Volume I

dalla preistoria all’età ellenistica



Università Mediterranea di Reggio Calabria Scuola di Alta Formazione in Archeologia e Architettura della Città Classica Dipartimento di Scienze Storiche e Giuridiche – Facoltà di Giurisprudenza Università «Magna Græcia» di Catanzaro Dipartimento di Diritto dell’Organizzazione Pubblica, Economia e Società Università di Messina Facoltà di Giurisprudenza


Paulo ac ElvirĂŚ parentibus


Felice Costabile

ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO Atene La magna grecia L’impero di roma

Volume I

DALLA PREISTORIA ALL’ETà ELLENISTICA con contributi di Ida Caruso, Marina Lykiardopoulou, Francesca Martorano, Valeria Meirano, Theophani Mitsakou, Vincenzo de Nittis

Reggio Calabria 2007


In copertina Salvador Dalí, L’enigma senza fine (1938). Olio su tela (114×146 cm). Collezione privata. In risguardo Ch. Barbant, Athénes. La nécropole du Céramique. Acquaforte (fine XIX secolo). In antiporta Giovanni Paolo Panini, Predica di una Sibilla (1751). Particolare dell’olio su tela (98 × 134 cm). Graf Harrach’sche Familiensammlung, Schloss Rohrau. Grafica di copertina Enrico Iaria Impaginazione Ignazio Andrea Federico ©2007 Iiriti Editore Via del Torrione, 31 89125 Reggio Calabria Tel. 0965.811278 www.iiritieditore.com ISBN 978-88-89955-46-8


CONSPECTVS OPERIS

Volume I. dalla preistoria all’età ellenistica Al lettore (di F.C.) ...................................................................................................................................................

Presentazione (di M. Berti, A. Filocamo, O. Licandro, V. de Nittis, S. Romeo) ......

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Preistoria e Protostoria La prima stazione neolitica stentinelliana in Calabria: Prestarona in Comune di Canolo. Relazione preliminare ..................................................................................................................... » La necropoli protostorica di Calanna in Calabria ...........................................................................

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Età classica Il tempio ionico di Marasà a Locri Epizefiri. Per un Atlante dell’architettura samia di Occidente [con Vincenzo de Nittis e Francesca Martorano] .............................................. » Santuari e culti a Locri Epizefiri . ................................................................................................................

Strateghi e assemblea nelle politei/ai di Reggio e Messana ................................................

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Scena di Elettra su uno specchio locrese. Influssi della tragedia attica a Locri e a Medma [con una nota tecnica di Ida Caruso] ................................................................................... » Il viaggio dell’anima verso l’Ade e le aparchai degli eidola alati nelle terrecotte di Locri, Kaulonia e Medma [con una nota di Valeria Meirano] .............................................. » La triplice defixio dal Kerameikós di Atene. Processo e norma libraria attica nel V-IV sec. a.C. ............................................................................................................................................................. » Defixiones dal Kerameikós di Atene. Andocide, l’atimia, Natyrinos, i generali macedoni, maledizioni sopra la tomba di Lissos ............................................................................ » L’archivio finanziario di Locri Epizefiri ed il basileus ...............................................................

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ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

Dalla Magna Grecia all’Italia romana Le Origines dei Tauriani e dei Mamertini nel Bruzio. Fonti e dati archeologici ....

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I principes Locrensium e l’atteggiamento filoromano delle aristocrazie italiote nella tradizione liviana (216‑205 a.C.) ................................................................................................... »

Recensione a: Maria Caltabiano, Una città del Sud tra Roma e Annibale. La monetazione di Petelia, (Kleio, Studi storici a cura di Salvatore Calderone), Sophia editrice, Palermo 1977 ...................................................................................................................... » Petelia: una polis bruzio-italiota alleata di Roma. Commistione etnica e ibridazione costituzionale ............................................................................................................................................................. » Il S.C. de Bacchanalibus e la condizione giuridica dell’ager Teuranus ......................

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La lex Osca Tabulae Bantinae. Il problema cronologico ed istituzionale nell’interpretazione testuale ............................................................................................................................ » Frammento di tabella opistografa di contenuto giuridico dai Bruttii (Nicotera) ....

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La Lex municipi Tarentini: il problema dei quattuorviri e dei duoviri . ..........................

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Un nuovo apporto epigrafico alla storia di Locri Epizefiri in età romana . ..................

Abbreviazioni bibliografiche .......................................................................................................................... Volume II. l’italia e le provincie. historia stvdiorvm Dalla fine della respvblica al Principato Grecità e romanità in Magna Grecia: dalle poleis ai municipia.

Salvidieno Rufo e la Legio X Fretensis nella guerra navale tra Ottaviano e Sesto Pompeo (42‑36 a.C.). Le Res Gestae di C. Cornelius Gallus nella trilingue di Philae.

Tessera Paemeiobrigensis: addenda al nuovo editto di Augusto dalla Spagna.

Opere di oratoria politica e giudiziaria nella biblioteca della Villa dei Papiri: i PHerc. Latini 1067 e 1475. I nongenti siue custodes nella Tabula Hebana.

Una dedica a Tiberius Iulius Germanicus da Copia Thurii ed il progetto di successione dinastica di Tiberio. 6

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Conspectus operis

Lo status di Euander e Niger trierarchi a Regium Iulium. Contra meretricium ancillae domni.

Il ritratto di Terentius Neo con gli instrumenta scriptoria ed alcuni tituli picti pompeiani. Il proconsole G. Arinius Modestus nell’epigrafe di un tempio a Creta.

La dedica del tempio di Hermes a Sybritos (Creta) ed il problema ermeneutico del ruolo proconsolare. Il signaculum di Zosimus Q. Rupili Zosimi a Herakleion (Creta).

Un librarius notarius ed un paedagogus a Regium Iulium: l’epitaffio di M(arcus) Fabius Colendus. Un edile a Scolacium (Bruttii).

Reliquie di mosaici romani a Mileto di Calabria. Tardoantico ed età bizantina Mosaico agonistico severiano a Regium Iulium [con Clementina Flesca].

Due miliari da Decastadium (Bruttii) e la damnatio memoriae di Licinio e Liciniano. Testimonianze paleocristiane e giudaiche da Leucopetra (Regium Iulium). Iscrizioni dall’ager Trapeianus (Bruttii) e l’abate Fantinus nel 575 d.C. «L’acqua di Crini». Nota di toponomastica bizantina calabrese.

Recensione a: Franco Mosino, Note e ricerche linguistiche. Prefazione di Giuliano Bonfante, «Historica», Reggio Calabria 1977. Historia Stvdiorvm in età moderna Per una lettura della più antica «carta archeologica» di Locri Epizefiri (redatta da Francesco Bieliński nel 1791). Giuseppe Morisano (1720-1777): un Muratori della Calabria.

Paolo Orsi (1859-1935) in Calabria: un libro per il cinquantenario della morte [con Maria Mariotti]. Alfonso de Franciscis (1914-1989) e gli studi di storia costituzionale e finanziaria della Magna Grecia.

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ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

Paolo Enrico Arias (1907-1998) in Calabria.

Margherita Guarducci (1902-1999) testimone e protagonista degli studi epigrafici e archeologici del Novecento. Dia/logoj peri\ qana/tou: Carmelo Restifo (1925-2005).

Carmelo Turano (1923-2007) e gli studi epigrafici sul Bruzio.

Praetorium Speluncae: presentazione al volume di Bernard Andreae (1994).

Mario Amelotti ottuagenario: un profilo biografico per gli studi di papirologia giuridica (2003).

Preistoria di una ricerca: le “pagine scomparse” delle Institutiones di Gaio e la riscoperta di Filippo Briguglio (2006). Civica Abbandono e rovina dei monumenti bizantini in Calabria (1973).

La pubblicazione delle scoperte archeologiche in Italia: dall’abuso al diritto.

Sapere l’antico: la domanda degli adolescenti (presentazione a F.P. Bianchi, Publius Ovidius Naso, Reggio Calabria 2002). Alle «radici» classiche dell’Europa: dall’Epitaphios di Pericle alla concezione pagana della ciuitas tardoantica. Bibliografia di Felice Costabile Abbreviazioni bibliografiche Indici (a cura di Monica Berti) Fonti Autori moderni Archaeologica Epigraphica

Conspectus Operis tematico Conspectus Operis topografico 8


Al lettore

A proposito di un saggista e critico caduto nel dimenticatoio, Sergio Romano si è chiesto «perché non sia maggiormente ricordato, giungendo alla conclusione che la ragione di questa dimenticanza è la straordinaria varietà dei suoi interessi. La sua carriera letteraria fu una successione di innamoramenti … In un mondo dove quasi tutti gli intellettuali conquistano il territorio della loro specializzazione e vi piantano la loro bandiera, egli passava instancabilmente da una passione all’altra senza mai sostare il tempo sufficiente per diventare il maestro riconosciuto di un genere o di una disciplina»1. Penso che questa raccolta di scritti in due volumi (del resto non esclusivamente miei ma anche di Ida Caruso, Vincenzo de Nittis, Clementina Flesca, Maria Mariotti, Francesca Martorano e Valeria Meirano, con due note di Theophani Mitsakou e Marina Lykiardopoulou) sarà utile a molti lettori per le ragioni che i curatori si sono presi la briga di spiegare, e quanto meno perché vi ho pubblicato qualche inedito e molti articoli aggiornati con l’evoluzione del dibattito critico. A me, invece, la raccolta gioverà forse ad essere dimenticato un po’ meno di quel saggista, cui sospetto mi accomuni, al di là degli innamoramenti, anche il non essere «maestro riconosciuto di un genere o di una disciplina». Sarà per questo che, in ciascuna, i non pochi discepoli, che hanno avuto la ventura di incorrere in tale maestro, si sono ben presto emancipati: non me ne dolgo però, ed anzi me ne rallegro, perché penso che questa sia infine la funzione di ogni magistero. Ne ho invitato, per scrivere la prefazione a quest’opera, quanti sono professori universitari o hanno già un titolo accademico ed un carnet di pubblicazioni, graziando così qualche autorevole, ma nel caso malcapitato conlega maior, cui infine, com’è uso, non sarebbe stato facile sottrarsi all’onere. Difatti penso che, se qualcosa rimarrà di valido dell’insegnamento che ho cercato di dare, vivrà ed opererà anzitutto attraverso di loro. Nessuno dei quali è poi esclusivamente mio allievo, segno di quella “interdisciplinarietà” da loro sottolineata nelle successive pagine e che, in chi ha seguìto a sua volta diversi docenti, non può suscitare la gelosia tipica nel piccolo mondo della nostra grande respublica studiorum, che almeno in questo ha superato ogni frontiera, essendo uguale a se stesso da Tokio a New York.

«La capacità di durare nel tempo è la prova più autentica della qualità di un libro … È questa l’unica ragione per cui spero che i miei lavori continuino ad essere letti anche dopo la mia morte, perché significherà che ho scritto buone storie in grado di reggere il peso del tempo». Ken Follet, in Panorama XLV (2007) 38, p. 136.

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ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

Locri, tempio Marasà (1966). Al centro F.C. (in giacca) con C. Restifo (in pantaloni neri), autore della Grammatica Greca della Le Monnier.

Da sinistra: F.C., il giudice I. Rizzo, A. de Franciscis (1970, al tempo del recupero della “testa del filosofo” di Porticello).

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I prefatori hanno anche colto nei miei scritti una tensione etica, di cui non m’ero accorto, ché anzi sempre mi sono piuttosto considerato “amorale” (almeno) nella produzione scientifica. Vuol dire che mi sbagliavo: certo in articoli sicuramente molto tecnici quella tensione etica dev’essere non poco implicita e, se è vero che c’è, sono stati abili a scovarla. Vorrà dire che loro mi conoscono meglio. Del valore, invece, della Einheit der Geschichtswissenschaft der antiken Welt ho sempre avuto piena coscienza: tuttavia, ad esser sinceri, ciascun saggio l’ho scritto semplicemente per impostare o risolvere «enigmi» determinati ovvero per pubblicare documenti inediti. «La riconoscenza è un fiore che non si estingue col tempo, ma cresce nella memoria del momento felice di creazioni e di intuizioni emergenti dalla ricerca scientifica»: questa frase così alta e commovente di Paolo Enrico Arias non rammentavo – e probabilmente non ho mai saputo – fosse stata scritta, né tantomeno per me. Per paradossale che possa sembrare, la causa della mia ignoranza sarà stata che non mi inviò un estratto: non ho mai potuto ringraziarlo e mi fa piacere che i curatori mi abbiano riservato ora tale sorpresa. Perciò in questa occasione, nella quale mi sono trovato inopinatamente a fare i conti con il mio passato in anticipo sul tempo che si conviene, vorrei ricordare i miei Maestri. Anzitutto quelli scomparsi: Arias, appunto, ed Alfonso de Franciscis, grandi archeologi e direi inoltre “antiquari”, le cui lezioni seguii da adolescente rispettivamente a Pisa ed a Napoli al di fuori di qualsiasi obbligo accademico, e per la storia antica Salvatore Calderone, che ascoltai invece anche a Messina. Il tempo non ha lenito il senso della perdita né attenuato la gratitudine per quanto intellettualmente mi hanno dato. Ed essa va parimenti ai miei Maestri di diritto romano, Mario Amelotti e Nicola Palazzolo: al primo, pontifex de iure romano maximus, mi inviò in Genova il secondo, accademicamente il mio Maestro in senso proprio, per apprendere la papirologia. Egli stesso mi impartiva invece alle pendici dell’Etna – non saprei con quanto successo – la lezione del metodo giuridico. Ma una lezione che certo non credeva di darmi appresi da lui come il più valido principio della ricerca, ché lui cattolico e comunista non esitò ad adottare come suo primo allievo un ateo “liberale cavourriano”, con scarso senso – certo – dell’attualità politica, eccellente sì, ma nelle classifiche darwiniane dei primati in via di estinzione. Da tutti loro, senza differenze, ho appreso la lectio magistralis del rispetto della libertà di idee e di valori in chi si trova in posizione subordinata. Ma vorrei qui ricordare anche due viri inlustres et clarissimi degli studi sul mondo classico, che mi hanno onorato della loro amicizia, alla cui proposta devo la cooptazione nel 1995 fra i Korrespondierende Mitglieder del Deutsches Archäologisches Institut


Al lettore

e nel 2001 fra gli )Epi/tima Me/lh dell’ )Arxaiologikh/ (Etairei/a )Aqhnw½n: Bernard Andreae e Georgios Dontas, che ne erano all’epoca, rispettivamente, il primo Direttore nell’ Abteilung Rom, ed il secondo Presidente. Ringrazio infine le diverse istituzioni accademiche delle Università di Reggio Calabria, Catanzaro e Messina2, che hanno patrocinato quest’opera. In quelle Università ho svolto, in ordine inverso, il cursus honorum e ad ognuna di esse è legato un momento formativo indimenticabile dell’esperienza scientifica ed umana che finora ho vissuto nella ricerca sull’antico. F.C.

Note

La laboriosa correzione delle bozze è dovuta ai miei allievi: anzitutto al curatore Andrea Filocamo, quindi a Tiziana Amodeo, Loredana Lofaro, Barbara Maduli, Patrizia Trunfio, Lucia Zavettieri.

Da sinistra: F.C., P.E. Arias, l’Assistente degli scavi di Locri U. Serafino, P. Costabile (1974).

S. Romano, ne Il Corriere della Sera 20 luglio 2007, p. 23, su Giuseppe Lo Duca.

1

La Scuola di Alta Formazione in Archeologia e Architettura della Città Classica, e il Dipartimento di Scienze Storiche e Giuridiche, nonché la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria; il Dipartimento di Diritto dell’Organizzazione Pubblica, Economia e Società dell’Università «Magna Græcia» di Catanzaro; la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Messina.

2

La scuola romanistica di Nicola Palazzolo, secondo da destra (e discendenti). 11


Matita acquarellata di Renato Amodeo (1980).


presentazione

Per lo più la raccolta degli scritti di uno studioso si pubblica alla fine della sua carriera o in età avanzata, benché questa regola soffra alcune eccezioni. Fra esse andrà annoverata anche questa ristampa, nata anzitutto dall’intento dell’Autore di abbracciare in un unico sguardo d’insieme l’oggetto di quaranta anni delle sue ricerche in vari settori della scienza dell’antichità. Benché egli sia nato nel 1952, il primo articolo risale infatti al 1968 e questo spiega perché alcuni saggi siano oggi difficilmente reperibili al di fuori delle grandi biblioteche europee specializzate sul mondo antico. La ristampa ha offerto perciò, nello stesso tempo, l’occasione di dar loro nuova diffusione e soprattutto di apportarvi modifiche, rese necessarie da nuovi dati e dai naturali progressi scientifici. L’Autore interviene spesso – con sovrano sprezzo della disperazione dei curatori – mediante note di aggiornamento all’esposizione originaria più o meno estese e profonde, di volta in volta segnalate a fine testo, rendendo l’opera ben diversa da una semplice ristampa, anche perché alcuni saggi sono del tutto inediti. Trovano posto, inoltre, significativi excerpta da monografie, ormai irreperibili, su tematiche in sé compiute. Sicché infine appare un quadro non soltanto dell’impianto analitico della ricerca scientifica dell’Autore, ma anche dei principi che ne sono scaturiti nella formazione del suo pensiero storico. Allievi ed amici, non potremmo accampare la pretesa di obiettività ed è per noi più comodo rifugiarci in ben più autorevoli giudizi. Fin dall’esordio monografico, nel 1976, sul municipium romano di Locri, fu rilevato il «tema notevole affrontato dal Costabile, ed affrontato con dottrina, saggezza, misura, sicché … ogni studioso di cose italiote gli dovrà essere senza dubbio particolarmente grato» (Alfonso de Franciscis)1. Diciassette anni dopo, in occasione della pubblicazione del volume sui ninfei locresi2, questa gratitudine sarebbe stata ribadita da un “patriarca” dell’archeologia classica3 del Novecento con queste parole: «È molto difficile, per me … esprimere adeguatamente i sentimenti di riconoscenza che si confondono a ricordi di cose e di persone che appartengono ad un passato di cinquanta e più anni … Eppure, come non

«Le barriere che sussistono pervicacemente tra le varie discipline … sono un portato delle divisioni di carattere accademico universitario e finiscono con il produrre una sorta di incomunicabilità tra di esse e sono nefaste per una autentica conoscenza storica, la quale per essere tale non può che avere per oggetto l’unità del mondo reale». Francesco De Martino, Roma e il Mediterraneo orientale: istituzioni ed economia, in Diritto, economia e società nel mondo romano, IV, Napoli 2003, p. 14.

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ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

Reggio Calabria 1996: inaugurazione della Mostra sugli scavi italo-tedeschi a Locri del 1889: con l’Ambasciatore di Germania Dieter Kastrup (dx.), il Sindaco Italo Falcomatà (a sin.) ed il Rettore dell’Ateneo reggino Rosario Pietropaolo (al centro).

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sottolineare con forza … che oggi non saremmo qui ad occuparci di questi monumenti del passato remotissimo dell’antica Locri Epizefiri se … una persona non si fosse messa al tavolo e non avesse deciso, in tre anni e più di lavoro intenso, di riprendere il tema che si era proposto tanti anni or sono chi vi parla? Arricchendo, inoltre, il quadro scientifico con tenacia e fresca intuizione di una infinita serie di problemi sulla vita religiosa e giuridica della colonia italiota? La riconoscenza è un fiore che non si estingue col tempo, ma cresce nella memoria del momento felice di creazioni e di intuizioni emergenti dalla ricerca scientifica. Questo fiore, nato da un senso di amicizia rarissima, l’ho raccolto soltanto in questi anni. È stato, silenziosamente, il segreto inespresso della mia vita, dopo aver lasciato gli scavi locresi. Non mi era mai riuscito … di riaprire quel libro locrese che ritenevo chiuso per sempre. Ci voleva la costanza intelligente ed affettuosa di Felice Costabile … perché tutto questo si verificasse» (Paolo Enrico Arias) 4. Certo, la natura saggistica di quest’opera non si presta a cogliere appieno il senso generale di un’attività dedicata globalmente alla conoscenza dell’antico, che emerge forse più compiutamente dalle monografie, ma quasi per paradosso, ci sembra che a questa raccolta si attaglino bene alcune parole del Luraschi proprio su un volume del Nostro: «opere simili non si possono riassumere; per capirne sino in fondo il valore e l’originalità bisogna non perdere una parola, una nota, bisogna seguirne le argomentazioni per i mille sentieri in cui si snodano, tutti importanti, tutti da percorrere attentamente. Anzi, ad una prima lettura si potrebbe perfino ricavarne una impressione di frammentarietà e di disorganicità, ma questa è la prova più evidente che l’A. ha operato nella maniera migliore, senza cedere alle lusinghe di facili e più gratificanti generalizzazioni … Quello infatti che, di solito, nelle storie generali appare, più o meno dichiaratamente, come una premessa ideologica, qui invece è l’esito di una somma di fatti precisi e concreti, che solo ex post trovano una loro coordinazione»5. Una caratteristica che colpisce immediatamente è quella dell’interdisciplinarietà e dell’eterogeneità dei saggi, che testimoniano ancor di più la chiara volontà di “possedere” l’antico, in ogni aspetto e sotto varie forme. Anche specifiche questioni tecniche riferite a tematiche architettoniche sono affrontate con acribia e lo stesso avviene per l’analisi puntuale e felice delle componenti stilistiche ed estetiche dei monumenti indagati. È una proiezione continua nel passato vissuta e condotta indagando con metodo induttivo le testimonianze dell’antichità, alle quali sono attribuiti valori di esatta uguaglianza. Romanista, epigrafista e papirologo, archeologo, storico dell’arte e dell’architettura:


Presentazione

sempre con un’ampiezza di visione e una capacità di governare con rigore critico settori di ricerca afferenti ad ambiti disciplinari, in qualche modo distanti dalla sua formazione principale. La capacità di penetrare la complessità dell’antico nasce da un approccio metodologico che considera il fine della costruzione dommatica non come pura forma logica della scientia iuris, ma come oggettiva risultante di un confronto di fonti e tra fonti, che muove però, sempre e secondo l’autentico modus operandi dei prudentes, dall’oggetto, dal caso, dalla prassi. Una tale maniera di considerare il fenomeno del diritto, come punto d’arrivo e non di partenza, consente al Costabile di cogliere la realtà dell’esperienza giuridica romana nella sua interezza e di ricostruirla nell’armonica considerazione degli elementi di fatto e di quelli normativi. E mai un argomento è fine a se stesso, ma sempre capace di illuminare in qualche modo episodi, istituzioni, personaggi della Storia, sia essa locale, greca o romana. Ma una raccolta così diversificata ha finito col porre ai curatori un problema peculiare: quello del suo ordinamento. Dividere i contributi per materia sarebbe stata una scelta comunque difficile, data la natura interdisciplinare di molti studi. Inoltre studi appartenenti a differenti discipline spesso riguardano una stessa città, suggerendo dunque di adottare un metodo topografico di ordinamento dei saggi. E per converso essi possono “leggersi” in una sequenza cronologica relativa alle diverse età storiche, da quella arcaica fino alla bizantina. Anzi questo criterio è sembrato prestarsi più degli altri a riflettere la varietà disciplinare dei saggi e la concezione globale della civiltà classica, che ne scaturisce. E per questo alla fine lo abbiamo adottato nell’ordinare i saggi nella pubblicazione. Non abbiamo però voluto rinunciare agli altri due criteri, e così abbiamo compilato tre indici: uno cronologico, uno tematico ed uno topografico, che consentiranno al lettore diverse “visioni d’insieme” di una produzione scientifica certamente “anomala” in un mondo, come quello contemporaneo, chiuso entro le barriere ferree delle specializzazioni e, certo per molti aspetti, da esse anche limitato. Questa concezione di studio traspare fin d’ora nel fatto che noi allievi e colleghi, che frequentiamo l’Autore, apparteniamo a distinti ed anche lontani settori specialistici dell’indagine sull’antico. Già la fondazione di un periodico quale Polis. Studi interdisciplinari sul mondo antico, più ancora di Minima Epigraphica et Papyrologica, è segno di questa vocazione. È sintomatica la citazione che Costabile fa, nella pagina di presentazione di Polis6, di un passo del Wilamowitz del 19217: «L’esistenza di discipline distinte come la filologia,

Con gli allievi della Scuola Archeologica dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria a Kaulonia (2002).

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ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

Caricatura di F.C. infertagli dal collega catanese Francesco Musumeci (1983).

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l’archeologia, la storia antica, l’epigrafia e la numismatica, ora anche la papirologia, è giustificata soltanto dai limiti delle capacità umane e non deve soffocare, neppure nello specialista, la coscienza dell’insieme». L’appartenenza ‘ad un altro secolo’ fu percepita dal suo Maestro di archeologia, Paolo Enrico Arias, che di lui così scriveva fin dal 1987: «Costabile, con ‘felice’ intenzione di romanista ha voluto darci, dopo una breve introduzione storica, l’editio princeps, in latino di chiara momseniana memoria, delle quattro ghiande missili iscritte … col nome di Q. Salvidienus …». Gli apparati critici delle defixiones attiche da lui pubblicate in lingua latina negli anni Novanta-Duemila, sull’orma del Wünsch, ravvivano ancora questa tradizione. Appare da questa raccolta l’intento di cogliere, attraverso lo studio di singoli materiali, i fondamenti che una stessa civiltà mediterranea ha espresso in varie forme nel corso della sua evoluzione storica. L’uso non solo di moderne metodologie, ma anche di tecnologie avanzate, tesse la trama di una ricerca esposta sempre in termini essenziali e con una laconicità «encomiabile in un’epoca di prolissità incontrollata e quasi sempre strumentale»8. Ma oltre ai risultati che discendono dai contenuti e all’apporto di conoscenze che consegue da una serie di temi magistralmente trattati, resta un insegnamento prezioso nel metodo e nei procedimenti di uno studioso, che affronta con lucidità e rigore ciascun argomento, sottoponendo ogni ipotesi, anche la propria, a spietate verifiche e mostrando un’onestà intellettuale che dovrebbe costituire la norma, ma che non sempre si riscontra nel mondo scientifico. Anche da questo deriva, per noi, il privilegio e la responsabilità di esserne allievi. Invano si cercherà in questi scritti tecnici un rapporto astorico con il presente: la visione “attualizzante” ed i condizionamenti ideologici sono lontanissimi dal modo di fare ricerca qui testimoniato. Tuttavia alcuni scritti giornalistici (“Panorama” e “Corriere della Sera” ed anche due testimonianze di Giorgio Bocca9) sulla persistente ispirazione ai valori della civiltà classica nei problemi etici e civili più dibattuti nell’Europa contemporanea, dimostrano quanto alla asetticità e tecnicità degli scritti specialistici resti sottesa la tensione morale di una convinzione identitaria non conformista. Ed essa fu colta già vent’anni fa da Giorgio Luraschi, nel recensire una monografia: «… sempre vado cercando le motivazioni ideali che inducono a scrivere di storia e mi persuado ogni giorno di più che solo con la massima forza e consapevolezza del presente è possibile interpretare il passato. Ebbene questa forza, questa tensione ideale,


Presentazione

che io apprezzo in sommo grado e che sempre dovrebbe guidare lo storico, il quale deve essere fino in fondo uomo del suo tempo, l’ho trovata nel lavoro di Costabile. È bastata una frase inserita quasi furtivamente nell’ultima pagina del volume per convincermene e per indurmi a vedere sotto una luce profondamente diversa l’intera produzione del Nostro. Lo spunto gli viene dato da alcune epigrafi che ricordano il testamento di Manio Megonio Leone, un ricco notabile di Petelia, vissuto nell’età degli Antonini, il quale onorò il municipio della sua generosa munificenza, secondo una prassi largamente invalsa nelle città dell’impero (basti ricordare la beneficenza di Plinio il Giovane a favore di Como). Era a gente come Megonio e Plinio, al loro sincero e disinteressato amor patrio, che si doveva la tenuta, anche in tempi che si annunciavano difficili, dell’apparato periferico dello Stato. Il motto di Plinio era “rei publicae suae negotia curare … laude dignissimum est” (ep. 7.15.2); gli fa eco Megonio, il quale nella chiusa del suo testamento invita ad essere munifici erga patriam (ILS 6468 lin. 19). Ed a Costabile non pare vero di annotare con grinta encomiabile (p. 194) “Consapevolmente Megonio Leone tramanda ai posteri un messaggio di etica civica, che suona sideralmente lontano dalla funzione di lucro personale in cui è degradata presentemente la realtà politica del Paese, che fu suo, e che a noi posteri è toccato ricevere in eredità senza beneficio d’inventario”»10. Non sfugge a questa analisi di un libro del 1984 quanto a noi è sembrato “sommerso” nell’intera produzione saggistica dell’autore: che l’approccio sistemico è volto intrinsecamente a ribadire il «valore fondativo del classico proprio mentre il posto della cultura classica nei percorsi educativi e nella cultura generale si restringe ogni giorno di più»11. L’uso che Felice Costabile ne fa è quello di cercare «la varietà e la complessità dell’esperienza storica», cosa che necessariamente richiede «l’interrogarsi a fondo sul possibile significato e futuro del classico nella scuola, nell’università, nella cultura condivisa dei cittadini»12. Infine, ci appare questo il senso più profondo ed il significato unitario, la Weltanschauung, che bisogna cogliere in una così poliedrica raccolta di scritti. Monica Berti Andrea Filocamo Orazio Licandro Vincenzo de Nittis Stefania Romeo

Con René Van Compernolle, già Rettore dell’Université Libre de Bruxelles, nel 1993.

Con il Rettore dell’Ateneo reggino Alessandro Bianchi e con Mario Amelotti, Emerito nell’Università di Genova (2000).

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ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

Note A. de Franciscis, Locri in età romana, Klearchos XVIII (1976) 69-72, p. 136.

1

F. Costabile (a cura di), I ninfei di Locri Epizefiri. Architettura, culti erotici, sacralità delle acque, Rubbettino ed., Soveria Mannelli (Catanzaro) 1992; ma anche, nello stesso luogo ed anno e per gli stessi tipi, il volume Polis e Olympieion a Locri Epizefiri. Costituzione, economia e finanze di una città della Magna Grecia.

2

La definizione è di E. Lattanzi, in I ninfei di Locri Epizefiri, citato a nota precedente.

3

P.E. Arias, Ritorno a Locri, Ostraka II (1993) 1, p. 169.

4

G. Luraschi, Aspetti giuridici della romanizzazione del Bruzio (a proposito del volume “Istituzioni e forme costituzionali nelle città del Bruzio in età romana”), SDHI 62 (1986), pp. 501, 509.

5

Polis. Studi interdisciplinari sul mondo antico, I, 2003, 01, p. 7 ss.

6

U. von Wilamowitz Moellendorf, Geschichte der Philologie, Leipzig-Berlin 1921, p. 1 (citato nella traduzione del Costabile).

7

Luraschi cit., p. 500.

8

Corriere della Sera 26.05.2004 e 7.11.2004; Panorama 2.12.2004, p. 22. Cfr. anche quanto su Costabile scriveva G. Bocca, In che cosa credono gli italiani?, Longanesi ed., Terni 1982, p. 148 s.; e quindi in L’inferno. Profondo Sud, male oscuro, Mondatori ed., Milano 1992, p. 55 s.

9

Luraschi cit. p. 515 s.

10 11

S. Settis, Futuro del classico, Torino 2004, p. 104. Ibidem p. 106.

12

18


La prima stazione neolitica stentinelliana in Calabria PRESTARONA IN COMUNE DI CANOLO RELAZIONE PRELIMINARE

La frequentazione preistorica del territorio sito a sud di Agnana e a nord di Gerace, in provincia di Reggio Calabria, fu accertata nel corso del 1972, ma non era certo ignota alle persone del luogo1. Nel rilievo collinare del comune di Canolo infatti, fra la SS 111 (km 45) e la fiumara Novìto, i lavori agricoli non di rado portavano alla luce – a detta dei contadini – straci signati e vitru niru chi tagghia, vale a dire frammenti ceramici con impressioni a crudo ed utensili o schegge di ossidiana. L’appezzamento, nel quale tali reperti erano stati rinvenuti e dispersi, è celato all’interno di una formazione calcarea del mesozoico (giurassico), che si erge a mezza costa del versante orientale dell’Appennino, isolata morfologicamente fra le valli che le fanno corona (figg. 3, 17) e geologicamente fra rocce granitiche e terreni argillosi. A chi dunque percorra le valli circostanti, il nostro insediamento apparirà perfettamente nascosto da ogni lato (fig. 4). Pure, l’area interessata dai reperti, a giudicare dall’esame superficiale del terreno, si estende per un migliaio di mq, trovandosi per intero nella contrada Mandrere, al di sopra del vallone di Prestarona, da cui abbiamo tratto il nome della stazione2 (fig. 2). Le prime ricerche, curate dall’Associazione Amici del Museo di Reggio Calabria, furono concentrate nel vigneto del Sig. Domenico Gangemi, grazie alla cortesia ed alla disponibilità dimostrate dall’anziano proprietario. Proprio in questo vigneto mi fu possibile osservare, già nei muretti a secco di limite o di terrazzamento, la messa in opera, assieme alle pietre, di diversi frammenti di intonaco di capanna, recanti l’impronta dei pali e delle canne e consistenti in un impasto granuloso cotto a fuoco aperto (figg. 6-7). Ma fu la raccolta che restituì i reperti più interessanti: ossidiana in abbondanza, con qualche scheggia litica, e frammenti di ceramica d’impasto sia a superficie liscia che impressa. Tutto materiale affiorato, come abbiamo detto, in seguito ai lavori agricoli e pertanto avulso da qualsiasi contesto stratigrafico e talvolta esposto a lungo agli agenti atmosferici. Fortunatamente però i lavori non si erano spinti dappertutto né a tale profondità da distruggere completamente la stratigrafia: assistendo infatti allo scasso del terreno per la piantagione di nuovi vitigni,

Fig. 1a. Prestarona nel Sud Italia.

Fig. 1b. Distribuzione delle aree di frequentazione neolitica nella Calabria Ulteriore (1972). 19


ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

ho potuto osservare, a circa 50 cm di profondità, uno strato scuro e compatto, mai rimosso, che ha restituito qualche frammento di ceramica e di ossidiana, con tracce inequivocabili di terra bruciata e legni carbonizzati – probabilmente un focolare – sconvolti però dallo scavo stesso. Questo strato, a detta del Sig. Gangemi, si incontra in diversi punti del suo vigneto ed è probabilmente quanto rimane dei diversi fondi di capanna del villaggio. *** Fig. 2. Fo 255 II S.O. sez. C. L’angolazione in basso dà il punto da cui è stato ritratto il paesaggio di fig. 3; quella in alto il paesaggio di fig. 4. Il circolo, il quadrato ed il triangolo sono punti di riferimento per le foto 3 e 4.

Fig. 3. Prestarona (quota 360).

Fig. 4. Prestarona: villaggio (coordinate brevi) e quota 416 (coordinate lunghe). 20

La facies di questa stazione appare tipicamente stentinelliana ed i frammenti impressi recuperati possono ascriversi alla prima ed alla seconda classe di ceramiche di quella cultura3. Si distinguono altresì, da un unico tipo d’impasto, ricco di inclusioni calcaree granuliformi, diverse qualità di cotto, riconducibili l’una ad un colore mattone, l’altra alla terra cupa o al nero. Tra i frammenti ho distinto diversi gruppi, in base ai motivi decorativi4. Della classe più rozza (figg. 8-9): I gruppo: impressioni ungueali o unguiformi. a) Orlo di coppa fonda; b) fr. ricco di inclusioni micacee; c) fr. con impressioni ungueali. II gruppo: motivo del pizzicato. d) Orlo con piccole tacche esterne e linee oblique impresse o incise; e) orlo con duplice seguenza di pizzicato. III gruppo: decorazione a zig-zag. f) Piccolo frammento con zig-zag e solchetti; g) fr. senza curvatura; h) fr. forse di grande situla, recante una bugna; i) altri frammenti a zig-zag. Si collocano a parte il fr. l, con impressioni arcuate disposte in sequenze verticali, ed il fr. m, con solchi paralleli profondamente incisi o impressi, interrotti da uno trasversale (visibile a d. in basso, p. 22 fig. 9). Nei frammenti della seconda classe le impressioni sono da punzone e presentano una sintassi decorativa più complessa e movimentata. In due frammenti (fig. 11, n1-n2) si conservano tracce di un’ingubbiatura biancastra, mentre la lunga esposizione alle intemperie non ha preservata la lucentezza originaria. Fra le vigne è stato rinvenuto anche un piede di fruttiera, di un bel rosso mattone (p. 22 fig. 10).


La prima stazione neolitica stentinelliana in Calabria

IV gruppo: impressioni prevalentemente a zig-zag con decorazioni accessorie diverse (fig. 11). n) Orli decorati con denti, gocce e talvolta piccoli rombi, o più semplicemente con solchi paralleli, tutti motivi secondari soprastanti la fascia principale a zig-zag. V gruppo: impressione di rombi, accompagnati da altri motivi (figg. 12-13). o) Fr. con impressione di solchi profondi terminanti in tre fregi paralleli di rombi con punto centrale; p) fr. simile al precedente, con lieve curvatura: dei rombi è superstite solo il primo ordine; q) orlo con un ordine di rombetti impressi: seguono in fascia risparmiata, due ordini di rombi a rilievo, quindi un reticolo, che ospita nel bel mezzo uno zig-zag profondamente impresso e marginato; r) fr. che doveva somigliare al precedente o appartenere allo stesso recipiente: la sequenza già descritta qui ha però termine in uno zig-zag a rilievo; s) orlo rombo-dentato a diversi ordini orizzontali; t) orlo con sequenze oblique di rombetti con punto centrale; u) fr. di orlo con tre ordini romboidali, di cui gli ultimi due in sequenza binata; v) fr. con reticolo e sequenze verticali di rombetti con punto centrale. L’industria dell’ossidiana è rappresentata abbondantemente da lame e lamette in genere non ritoccate, alcune schegge, di cui due carenate ed una ritoccata, qualche nucleo ed un raschiatoio (fig. 14 nr. 3). L’industria litica si avvale delle rocce granitiche delle zone circostanti e costituisce pertanto una produzione schiettamente locale: la rappresentano due schegge ed uno scheggione in granito rossiccio (fig. 14 nr. 1). Si tratta, come si è visto, di materiale molto omogeneo tipologicamente e culturalmente. La sua appartenenza alla cultura di Stentinello costituisce un nuovo dato per la preistoria calabrese. Infatti in questa regione tutte le altre attestazioni del neolitico inferiore sono di ceramica semplicemente impressa, talora con elementi di Molfetta, se facciamo eccezione per una sola località, sita nell’agro di Bova Superiore (fig. 1), che resta ancora sconosciuta, ma che non dispero di riuscire ad individuare5.

Fig. 5. Vigneto Gangemi e contrada Perarella.

*** Il villaggio di Prestarona è sito in zona elevata (quota 360), adagiato in un lieve declivio, circondato dalle pendici estreme del Monte S. Iunio (contrada Perarella) e da rilievi calcarei che si ergono di trenta-quaranta metri, e perciò stesso invisibile

Fig. 6. Vigneto Gangemi: muro a secco. 21


ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

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Fig. 7-10. Ceramiche dal vigneto Gangemi. 22

alle piste che lambiscono le odierne Agnana e Gerace (figg. 3-16). Una simile posizione postula da sé un collegamento con la fiumara Novìto e con la via istmica fra il Tirreno e il Jonio, via che doveva avere, in buona parte, approssimativamente lo stesso percorso della SS 111. Questo collegamento è possibile arguirlo sulla traccia degli antichi tratturi ancora in uso o usati nel recente passato, ma ancora identificabili nei rilievi topografici e, talvolta, anche decifrabili nelle più recenti aerofotografie. La fiumara Novìto era verosimilmente raggiunta attraverso la contrada Imbonello, che si è dimostrata ferace di antiche presenze (neolitico medio ed eneolitico), pertanto sull’orma del tratturo che termina al Frantoio, partendo dalla SS 111 (quota 364). Altri sentieri, per lo più abbandonati, abbiamo poi stimato di probabile origine preistorica perché raggiungono, o raggiungevano, a partire dal tratturo Frantoio – SS 111, o il vicino corso d’acqua del vallone Favàra o la stessa contrada Mandrere, che ospita il villaggio. Per raggiungere i Passi della Zita e del Mercante, ci si doveva servire sia di un tracciato ligio alle curve di livello, in posizione dominante sui torrentelli, come oggi la Statale, sia, nella buona stagione, dei tratturi che, tagliando i numerosi valloncelli, evitano il Passo di Ropola ed abbreviano il percorso. Scendendo invece verso il Jonio, la via preistorica doveva seguire il Novìto, discostandosi dalla SS 111 nel punto in cui il fiume diventava navigabile, cioè più o meno nel tratto da Imbonello a Gerace. Questa ricostruzione (figg. 16-17)6 ha naturalmente soltanto valore orientativo, ma ci sembra suffragata da qualche punto fermo (insediamento di Prestarona, frequentazione di Imbonello, corso del Novìto) e da molti indizi non trascurabili7. Certo è, pur nello stato iniziale delle ricerche, che il villaggio di Prestarona si estingue nell’arco del neolitico antico, mentre lo stesso non può dirsi della via transappenninica nel cui seno è sita la nostra stazione. Infatti il recupero di un’olletta di impasto grezzo, con anse a rocchetto, in località Imbonello (fig. 15) distante un centinaio di metri dalla fiumara Novìto a neanche un’ora di cammino, per i tratturi montani, dalla nostra stazione, sembra attestare anche la cultura di Diana (I fase) lungo la via istmica sulla quale l’insediamento di Prestarona si affaccia. Non ci meraviglierà d’altro canto la continuità di frequentazione nell’età neolitica8, se consideriamo che nella stessa località Imbonello fu rinvenuto, alcuni anni or sono, un ripostiglio di asce di bronzo andate distrutte o disperse in collezioni private. Ma


La prima stazione neolitica stentinelliana in Calabria

ancora in età protostorica ed in piena età storica è attestato un non minore interesse per la via istmica che congiungeva la costa locrese con la pianura del Petrace e del Mesima9. Questa via, da Locri al Passo del Mercante, quasi sulla displuviale appenninica, doveva seguire un’unica direttiva, ramificandosi poi nella pianura di Gioia Tauro10. Secondo questi lineamenti generali è stata spesso oggetto della considerazione degli studiosi, mai però è stata esaminata puntualmente nel suo percorso materiale, se non per qualche tratto, frequentato in età greca, prossimo a Locri Epizefiri, né si è mai prestata attenzione al binomio possibile, che in questa via si riscontra, viabilità fluviale – valichi della dorsale appenninica11. Del resto, della via verso il Tirreno si era parlato per lo più in relazione alla storia della polis locrese e non se ne era postulata, se non vado errato, la frequentazione neolitica. La scoperta di Prestarona, oltre a precisare l’itinerario preistorico rispetto al greco, ci porta dunque a considerare questa strada di antichità ben più remota di quanto non si sospettasse e lascia intravedere interessanti sviluppi della ricerca sulla sua continuità prei-protostorica e sulle eventuali ‘oscillazioni’ dei suoi tracciati. La Calabria dell’età neolitica dové conoscere anche una via marittima attraverso le difficoltà dello Stretto12, senza la quale difficilmente si spiegherebbero gli insediamenti neolitici, attestanti il commercio dell’ossidiana insulare, distribuiti lungo l’arco jonico, ma in quella remota età dovè anche esistere un itinerario terrestre, mediato probabilmente dalle popolazioni locali, e può pensarsi che non pochi dovessero essere i suoi capisaldi, anche se le nostre notizie su di essi si esauriscono oggi a Prestarona e Taureana. Non minore importanza delle piste di terra dové però rivestire nella zona istmica la viabilità fluviale, per la fitta rete dei fiumi grandi e piccoli. Tenendo presente questa, diciamo così, dicotomia viaria terrestre-fluviale, non sarà inopportuna un’accurata descrizione del percorso istmico. La via ha uno sbocco in entrambi i mari che bagnano la Calabria, slargandosi nella pianura di Gioia Tauro ed affrontando singolarmente l’Appennino. Seguendo a ritroso il fiume Petrace, che sfocia nella suddetta pianura, si può risalire, sul ciglio delle susseguenti vallate, al Marro, che costituisce l’alto corso del Petrace, ed al Razza, che del Marro è affluente. Il Razza sorge alle falde occidentali della displuviale appenninica, prossimo al Passo che, a ricordo della sua persistente funzione commerciale sino ad età recente, è detto del Mercante. Quindi, attraverso il Passo

10 cm

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Fig. 11-13. Ceramiche dal vigneto Gangemi. 23


ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

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Fig. 14. Industria litica e dell’ossidiana dal vigneto Gangemi.

Fig. 15. Olletta d’impasto da Imbonello. 24

della Zita, si giunge proprio al vallone di Prestarona (figg. 1, 16, 17), che è lambito dalla fiumara Novìto. Questa diviene di consistente portata già all’altezza di Gerace. È naturale che questa situazione idrografica, in una zona istmica ed in una regione dalla morfologia tormentata, abbia favorito le comunicazioni. Se poi consideriamo le mutate condizioni climatiche, a favore di un ambiente più secco, e che il dissesto idrologico calabrese è relativamente recente13, dovremo raffigurarci nel V millennio un’idrografia eminentemente fluviale, di cui riconosciamo le vestigia nel bacino del Petrace14, ed un regime più regolare delle acque. Perciò sarà lecito supporre che, a seconda delle esigenze di viaggio e di trasporto, alla navigazione del basso e medio corso dei fiumi anzidetti, si sia sostituita nell’alto corso, laddove più impetuosa è sempre stata la corrente e gli alvei si restringono nelle montagne, la viabilità terrestre, agevole per i valichi della dorsale appenninica. Non a caso poi eravamo stati indotti dalla sporadica attestazione della cultura di Diana lungo la nostra via a sospettarne la frequentazione anche nel neolitico medio: infatti allo sbocco tirrenico, nel sito di Taurianum, recentissimi scavi hanno appurato la presenza di una stazione neolitica, che ha restituito ceramica nera lucida del II periodo eoliano, associata in stratigrafia a qualche frammento semplicemente impresso15. Di questa via evidente appare dunque, con una certa continuità temporale nell’ambito dell’età neolitica, il ruolo, del resto non esclusivo, di mediazione commerciale (ossidiana) fra il Tirreno ed il Jonio16. In questo quadro, i ritrovamenti sporadici disseminati un po’ dovunque nella provincia di Reggio e l’indubitabile esistenza di notevoli insediamenti alla fiumara Calopinace, a Salto della Vecchia, a Bova Superiore, a Prestarona ed a Taurianum valgono ad attestare gli stretti rapporti che nel neolitico legarono la Calabria alle Eolie ed alla Sicilia, e che si svolsero via mare, attraverso lo Stretto, e per via terrestre-fluviale attraverso i fiumi e le piste del nostro percorso istmico. Determinare la durata, l’intensità, le mediazioni ed insomma le vicende di questi rapporti è oggi impossibile. Quel che è certo è che il nostro insediamento, vicino ancor oggi ad alcune sorgenti, è attestato in prossimità, ma a rispettosa distanza, dal Novìto, cioè da un fiume che non piccola parte aveva nella viabilità del tempo. Questa situazione ci induce a considerare Prestarona una stazione fortificata naturalmente e – potranno dimostrarlo gli scavi – fors’anche ad arte, lungo l’ultima delle vie istmiche dell’Italia meridionale.


La prima stazione neolitica stentinelliana in Calabria

Pubblicato in Klearchos XIV (1972) 53-56, pp. 5-27.

Note 1

2

3 4

5

Le prime notizie risalgono al marzo 1969 ed ai mesi seguenti (Pratica n. 10, pos. 64, ogg.: Scoperte archeologiche del comune di Canolo in prov. di Reggio Calabria, in Archivio della Soprintendenza alle Antichità della Calabria), tuttavia esse non furono suffragate da alcun elemento concreto, nonostante le indagini dell’Arma dei Carabinieri, per essere stati i reperti subito celati in diverse collezioni private, dalle quali proviene anche qualcuno dei pezzi presentati, di cui almeno si è riusciti a fare la fotografia, senza poter arrivare ai proprietari. La pratica fu dunque conclusa con esito negativo, per essere però riaperta nel 1972 in seguito alla documentata segnalazione degli Amici del Museo Nazionale di Reggio Calabria, ai quali la notizia dell’antico insediamento fu data dal Sig. Salvatore Galluzzo, conoscitore entusiasta dell’archeologia calabra, la cui profonda conoscenza dei luoghi si è più volte mostrata utile alla ricerca [successivamente nominato Ispettore Onorario alle Antichità dal 1980 al 1987, data della sua scomparsa]. Le spedizioni di accertamento promosse dalla Sezione Giovanile degli Amici del Museo, grazie alla partecipazione dei soci Domenico D’Agostino, Antonio Femiresa, Franco Labate, Francesco Musolino, Giuseppe Restifo, Fulvio Rizzo, Domenico Tripodi e di chi scrive, assicurarono alla Soprintendenza alle Antichità informazioni topografiche precise ed il materiale che in questa sede in parte si presenta (verbale di consegna 15.XII.72). Dal giornale di spedizione, curato da Restifo e Rizzo, si dà notizia di una grotta, detta di Cao, facente parte di un sistema complesso, contigua al vigneto Gangemi, l’ingresso della quale è oggi ostruito. Da una piccola apertura si trovò però il modo di accedere alla prima sala, dove si rinvenne a fior di terra qualche blocco scalpellato, manufatto probabilmente recente. La presenza di una bomba a mano, residuo di un deposito d’armi della Seconda Guerra Mondiale, interruppe le ricerche. Altre notizie, da assumere con beneficio d’inventario, in Barillaro 1972, p. 268 s.v. Canolo e p. 326 s.v. Prestarona.

Fig. 16. Aerofotografia nr. 19657 IGM conc. 255. A destra, vicino al centro della foto, la città di Gerace. A destra in alto la fiumara Novito.

Il F° 255 II S. O. sez. c della Carta d’Italia 1/10.000 riporta il nome di contrada Mandrere, ma gli abitanti usano il toponimo Cao. Questo è fatto erroneamente ricorrere dai cartografi in tutt’altra zona, presso il Monte S. Iunio, la cui estrema pendice, in contrada Perarella, e la quota 395 delimitano il nostro insediamento, sito a quota 360. Per la classificazione delle ceramiche valgano Orsi 1890, p. 186 e Bernabò Brea 1956, p. 167.

Dato lo stato frammentario dei reperti, con la classificazione in gruppi ho inteso solo dare all’illustrazione un assetto sistematico, avvalendomi dei motivi che nei singoli frammenti appaiono più rilevanti, senza alcuna pretesa di individuare i motivi conduttori di una sintassi decorativa quanto mai varia, rappresentata da pochi esemplari e pervenuta in condizioni miserevoli per la sua integrità. Per alcuni riscontri sui singoli frammenti, fra i molti che potrebbero trovarsi, cfr. Bernabò Brea 1960, tav. VII, 6, 7 e p. 31; Mayer 1904, pp. 59-60, ove sono esposte alcune acute considerazioni sul motivo a zig-zag, e p. 66 fig. 28; Orsi 1890, tav. VI, 18 e VII, 3; Radmilli 1963, p. 307 II e III fila dal basso.

Ho potuto vedere alcuni bellissimi frammenti stentinelliani con l’indicazione generica di provenienza «Bova Superiore», nella collezione del Museo di S. Paolo di Reggio Calabria, per la cortesia di Mons. Francesco Gangemi. Altri rinvenimenti neolitici – in qualche caso potrebbe però trattarsi di manufatti eneolitici di tradizione neolitica – sono stati segnalati in passato in diversi punti della provincia di Reggio (fig. 1), anche se talvolta

Fig. 17. Il sistema di trazzere attorno a Prestarona e Imbonello. 25


ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

consistenti in un solo reperto litico (un’ascia, un martello etc.), come a Castellace di Oppido, ma talaltra in veri e propri insediamenti. Tali località sono: Ortì, Reggio Calabria (ossidiana, 1971), Colline ad est di Reggio, Monte Basilico, Calopinace (villaggio sulla riva meridionale), Mosorrofa, Trunca (neolitico medio: industria litica e dell’ossidiana), Bagaladi, Roccaforte del Greco, Saltolavecchia (villaggio), Bova Superiore (villaggio), Africo Vecchio, Prestarona, Imbonello, Caulonia (villaggio?), Tresilico, Castellace di Oppido, Sinopoli, Palmi, Taureana (villaggio?), Scilla. Per la maggioranza cfr. BPI: III pp. 36-37; IV pp. 34 ss.; VI p. 16; XXXVIII pp. 181 ss.; inoltre Orsi 1916, p. 26 e Topa 19272, pp. 11, 23, 29 ss., 43 ss., 50, 56-57, 75, 79, 82, note da 2 a 7. Tutti questi insediamenti jonici postulano un collegamento con le Eolie attraverso lo Stretto di Messina, mentre gli insediamenti interni fanno sospettare l’esistenza di piste di alta quota, relative sia alle reciproche comunicazioni, sia, probabilmente, all’itinerario istmico Tirreno-Jonio.

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Fig. 18. [Aggiunta all’articolo del 1972] Industria litica e dell’ossidiana dal vigneto Gangemi, da foto pubblicata da B. Ragona, Gl’Itali di Canolo, «Magna Græcia» IV (1969) 1, p. 17.

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È mio desiderio ringraziare il Prof. Salvatore Settis, che mi ha sollecitamente procurato l’aerofotografia di fig. 18, nonché il Geom. Piero Giangreco, che con perizia ha riconosciuto sull’aerofotografia i tratturi, spesso ridotti dall’abbandono a tracce evanescenti, che avevamo individuati sulla fig. 17. Un ringraziamento vada anche alla Società Cartografica Aerofotogrammetrica di Reggio Calabria.

Non bisogna comunque dimenticare che negli scorsi secoli esistevano, nella zona di Prestarona e lungo lo stesso costone ove si apre la grotta di Cao (v. nota 1), cave di pietra che hanno lasciato sul posto grandi quantità di detriti e schegge di lavorazione. Tale attività doveva riferirsi particolarmente a Gerace, dove infatti si conservano, nella cripta del Duomo, alcuni marmi locali, che si dicono estratti da Prestarona. Pertanto alcuni tratturi della nostra ricostruzione potrebbero essere vecchi soltanto di alcuni secoli, come potrebbero però ricalcare orme più antiche, anche per il forte condizionamento esercitato dall’orografia su questi tipi rudimentali di reti viarie. Per la controversa questione delle migrazioni e dell’origine del neolitico nell’Italia meridionale v. Laviosa Zambotti 1947, pp. 243-244 (in particolare per la genesi della cultura di Stentinello); Bernabò Brea 1956, pp. 193 ss.; Mayer 1904, pp. 126 ss. e pp. 189 ss.; Rellini 1934, p. 92: «Concordo pertanto con l’Orsi nel vedere una prima ondata di civiltà risalente da sud verso il nord, anzicché come vorrebbe il Mayer una discesa di Balcanici nelle Puglie e nella Sicilia che per ora, non si appoggia a fatti concreti».

Cfr. Pais 1908, p. 65, Dito 1934, p. 206; Bérard 1941, p. 226; Vallet 1958, p. 169; de Franciscis 1960, p. 64. In Atti del II Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Napoli 1963, vedi D. Adamesteanu 1963 pp. 55-6, G. Foti, interv. p. 75, Kirsten 1963, p. 142: «Sarebbe dunque necessario di studiare le possibilità di vie in questo territorio che ha ancora oggi comunicazione tra Gerace e Cittanova-Taurianova», T. Ebner, interv. p. 175, che riscontra lungo la via tra Locri e il Tirreno l’antichissimo morbo della thalassemia. Settis 1965, pp. 117-8; Dunbabin 1948, p. 209 (vede due possibili itinerari: l’uno sulla traccia della SS 111, l’altro della SS 281); Napoli 1969, pp. 272 ss.; de Franciscis 1971, p. 9. Per rinvenimenti protostorici a Gerace v. Foti 1970, p. 159; infine Barillaro 1972. A battuto già consegnato al tipografo leggo il ms del lavoro di S. Settis, Nuove note medmee, (Settis 1972) che il lettore troverà in questa Rivista pp. 29-81. In tali note il Capo II è interamente dedicato alla via Locri-Medma-Hipponio ed ivi apprendo della tesi di laurea del Dr. G.P. Givigliano, tuttora inedita, dove si ipotizza «un sistema ‘a spina di pesce’, formato da una serie di vie ascendenti, in corrispondenza delle singole vallate, su ciascuno dei due versanti, ionico e tirrenico, e convergenti tutte sulla dorsale aspromontana». Il Givigliano individua cinque possibili tracciati: I) Bovalino Marina – Platì – Oppido Mamertina – Varapodio


La prima stazione neolitica stentinelliana in Calabria

– Torrente Marro – Gioia Tauro. II) Locri Epizefiri – Antonimina – Zòmaro – Cittanova – Piana – Medma. III) Dorsale appenninica sino a Medma tramite S. Giorgio Morgeto e Melicucco. IV) Strada Limina-Giffone. V) Via corrispondente all’attuale SS 111.

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In età greca esistevano probabilmente due distinti tracciati che risalivano l’Appennino dalla costa jonica: il primo, più a sud del Novìto e probabilmente sulla traccia della strada Locri-Antonimina, non era molto lontano dalla direttiva preistorica e, collegando Locri a Metauro, deve essere stato legato alle alterne vicende di quella città, il secondo, di gran lunga più importante, è individuabile solo a tratti, a monte della SS 106, sul mosaico aerofotogrammetrico dell’IGM, ma lo si può agevolmente ricostruire da Locri Epizefiri sino al fiume Tòrbido. Lungo il suo corso si dipartiva dal dromo un sentiero, che risaliva il fiume più o meno come la SS 281. Quest’ultima via è stata interamente percorsa sino a Rosarno-Medma, dal Sig. Salvatore Galluzzo, che, pedibus calcantibus, ne ha riscoperto gli antichi tratturi, battuti ancor oggi dai montanari. Vedi de Franciscis 1960 e Settis 1965 e l’aggiunta finale alla nota 9 (Settis 1972).

A. D’Arrigo, nell’intervento conclusivo, in Atti cit. a n. 9, p. 230: «... nel programma di questo secondo Convegno, se non vado errato, erano previste le strade terrestri ed anche le strade fluviali, oltre alle strade marittime. Io non ho sentito su queste strade fluviali dire alcunché». Sulle vie istmiche in rapporto allo Stretto di Messina v. in Atti cit. a n. 9, A. de Franciscis pp. 168-9, B. Bilinski pp. 177-178 (anche sulla necessítà di prendere in considerazione le vie fluviali).

All’inaridirsi del clima molto hanno contribuito i disboscamenti sistematici iniziati in età romana e proseguiti sino all’evo moderno. Per l’antica situazione boschiva cfr. Virgilio, Georg. III 220 ed En. XII 715; Dionigi d’Alicarnasso XX 15-16, Strabone VI 1-9; Plinio III 10,3. Naturalmente i disboscamenti hanno agevolato il degrado degli ecosistemi originari, con trasformazione del regime fluviale in torrentizio, trasformazione già in atto per cause naturali (cataclismi, natura carsica della regione). Plinio III 96 indica ai suoi tempi fra Locri e Crotone: amnes ibi navigabiles Carcinus, Crotalus, Semirus, Arogas, Thagines. Cfr., fra i moderni, de Franciscis 1971, pp. 7-8; in Atti cit. a n. 9, A. D’Arrigo, interv. pp. 101-102 ed ivi E. Ciaceri (dissesto idrologico, boscosità del Bruttium), E. Aletti, interv. pp. 103 ss. (navigabilità dei fiumi), Q. Punzi, interv. pp. 106 ss. (mutamenti idrologici), A. D’Arrigo, interv. pp. 181 ss. (navigabilità dei corsi e la testimonianza di Edrisi sulla boscosità della Calabria ancora nel sec. XII d.C.). Sulla situazione recente cfr. invece Gambi 1965, pp. 51 ss. e 79 ss.; Leone-Paganelli 1971, pp. 67 ss. Si sogliono identificare il Petrace col Metauros e il Novìto col Buthrotus; v. Magini 1621; Blaed 1662; G. Giambonio, Graecia Maior (sec. XV, ried. sec. XVIII); il Parisio (1589, rist. del ‘92) confonde invece il Novìto con il Merico; Th. Aceti, In Gabriel. Barii ... De antiquitate et situ Calabriae etc.; Roma 1737; 1, 3, XII; Mazzella 1601. Cfr. anche Rohlfs 1965, p. 118.

Mi è stato possibile esaminare un campionario dei reperti preistorici dello scavo condotto dal Dr. Adriano Maggiani a Taurianum (1971), grazie alla cortesia del Rag. Nicola De Rosa, Ispettore on. alle Antichità di Palmi. I prodotti deperibili, alimentari e non, che certamente erano oggetto di commercio con l’ossidiana, sfuggono completamente all’indagine. Gli scavi venturi potranno mettere in luce gli eventuali manufatti litici e le eventuali ceramiche d’importazione. Per il Nicolucci, in BPI II pp. 81 ss, l’ossidiana pugliese, lucana e calabra è di provenienza eoliana, come quella della Sicilia settentrionale ed occidentale, mentre nelle altre contrade della Sicilia l’ossidiana proverrebbe anche da Pantelleria.

Fig. 19. [Aggiunta all’articolo del 1972] Ceramiche dal vigneto Gangemi, da foto pubblicata da B. Ragona, cit. 27


Fig. 2. Le tombe protostoriche e il camminamento (freccia) sullo sfondo del paesino di Calanna (1953).

Fig. 3. Calanna. Tombe a grotticella sul fianco della montagna (1953).

Fig. 4. Calanna. Tomba V a grotticella artificiale con due gradini di accesso dopo lo scavo (1953).

Fig. 5. Calanna. Particolare del camminamento con le tombe aperte sul fianco della montagna (1953).


La Lex mVnicipi tarentini il problema dei quattuorviri e dEi duoviri

Napoli, Reggio, Bantia, dall’89 a.C., sono municipia dotati di costituzioni con caratteri peculiari, tali da non poter essere compresi nella normativa uniforme di una supposta lex generale. Gli statuti municipali napoletano, reggino e bantino postulano dunque leges datae per ciascuna città, leges delle quali una sola, quella di Bantia, ci è parzialmente pervenuta. Ma pure riconoscendo l’esistenza di queste tre leges datae, potremmo, in ipotesi, ancora pensare a deroghe ad una lex generale. Se pertanto gli ordinamenti atipici sono conferiti con leges datae, gli ordinamenti tipici dovrebbero essere invece conferiti appunto da questa lex generale. Sappiamo però che Petelia, pur avendo un ordinamento tipico, ha avuto conferito il proprio statuto quattuorvirale con una lex data, che non possediamo, ma della quale conosciamo il nome, la lex Cornelia. Pertanto l’ipotesi di un sistema costituzionale uniforme, legislativamente previsto, incomincia ad essere molto problematica. In questo contesto appare determinante il caso di Taranto, città per la quale non solo conosciamo i quattro magistrati superiori, due giusdicenti e due edili, ma possediamo anche la lex istitutiva del municipium1. L’ordinamento costituzionale del municipium Tarentinum, infatti, è eccezionalmente noto da una lex data, della quale è parzialmente pervenuto il testo epigrafico. Da questo apprendiamo che, diversamente da Napoli e da Reggio, Taranto non conserva le istituzioni elleniche. Esiste infatti un senatus e regolari comitia eleggono annualmente i magistrati del municipium, edili e duoviri. Duouiri quinquennales censoria potestate sono inoltre diversamente attestati nell’epigrafia tarantina2, per cui sembrerebbe facile concludere che, benché Taranto sia municipium e non colonia, la suprema magistratura civica sia il duovirato. La situazione non è però così semplice. Infatti la lex municipi Tarentini nomina anche dei quattuorviri, ed usa talora la formula IIIIuir IIuir, inversa a quella che abitualmente si incontra nei testi epigrafici. Il Mommsen, seguito dal Manni e dal Gabba3 ha pensato trattarsi di 417


ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

un collegio quattuorvirale distinto in due coppie, quattuorviri duouiri e quattuoruiri aediles, mentre il De Petra, il Riccobono e il Degrassi4 hanno pensato che la legge epigrafica sia stata redatta copiando un testo generale sporadicamente adattato al municipium di Taranto. Cosicché ci troveremmo di fronte non alla indicazione della magistratura tarantina, ma alla previsione astratta della somma magistratura civica romana, che poteva essere appunto il quattuorvirato o il duovirato5. Mentre mi sembra che a questa tesi possa opporsi l’obiezione che, nel caso di previsione generale, l’ordine di citazione delle magistrature è esattamente inverso (IIuiri IIIIuiri), più coerente con l’attestazione della legge epigrafica appare la spiegazione del Mommsen6. Ma il successivo rinvenimento di due iscrizioni che menzionano duouiri quinquennales censoria potestate7 fa insorgere dei dubbi anche in questa ipotesi: ci aspetteremmo infatti di trovare piuttosto dei quattuoruiri quinquennales censoria potestate, se quattuoruiri duouiri fosse l’equivalente dei due quattuoruiri iure dicundo. Mi rendo conto che non è sempre la logica che presiede alle scelte costituzionali e tantomeno alla terminologia invalsa in un linguaggio tecnico, ma, prima di dare ragione al Mommsen, non posso fare a meno di domandarmi perché quattro magistrati municipali dovrebbero essere chiamati quattuorviri duoviri ed edili. Se il collegio fosse unico, costituito da quattro membri, ci aspetteremmo quattuorviri giusdicenti e quattuorviri aedilicia potestate. Trattandosi invece di due distinti collegi, costituiti ciascuno da due membri, dovremmo avere semplicemente duoviri ed edili. È questa aporia nella spiegazione dei Mommsen, che mi induce ad esaminare con favore la soluzione proposta dal Sartori. Questi si è fondato sulle ll. 7-9 della legge epigrafica: IIIIuir(ei) aedilesque, quei h(ac) l(ege) primei erunt, quei eorum Tarentum uenerit, / is in diebus XX proxumeis, quibus post h(anc) l(egem) d(atam) primum Tarentum uenerit, facito ... Il Sartori si dichiara convinto che qui non si tratti dei normali quattuorviri ed edili, «ma dei primi che sono tali in forza del presente statuto», non eletti nei comizi ma istituiti probabilmente dal potere centrale romano, come già aveva ritenuto il De Petra, per l’organizzazione del nuovo municipio, e provenienti da Roma8. Si tratterebbe 418


La lex municipi Tarentini

dunque di quattro commissari con funzioni transitorie eccezionali sia per nomina sia per titolatura. A riprova di ciò il Sartori osserva che quando la legge epigrafica tratta, alla l. 14, delle elezioni comiziali ordinarie, queste si svolgono per i duoviri e gli edili, non per i quattuorviri. Il Gabba9 ha obiettato che la provvisorietà del quattuorvirato contrasta con il fatto che alla l. 39 della lex questo ricorra in un contesto riferibile ad una situazione normale, quale la costruzione di vie, fosse, cloache: sei quas uias fossas clouacas IIIIuir IIuir aedilisve eius municipi caussa / publice facere immittere commutare aedificare munire uolet ... Come può vedersi, la l. 39 menziona anche i duoviri e gli edili, non solo i quattuorviri. Credo pertanto che la frase debba intendersi nel senso che le operazioni sulle vie fosse o cloache possano essere disposte dai quattuorviri o dai duoviri o dagli edili, intendendo con il Sartori che l’enclitica ne distingua tre e non due magistrature10. Non comprendo perché la previsione legislativa non dovrebbe contemplare l’eventualità che i menzionati lavori possano svolgersi nel periodo, sia pure transitorio, del quattuorvirato, considerando che si sarà trattato di un tempo comunque valutabile, come diremo fra breve, nell’ordine di anni. L’obiezione al Sartori che, a l. 7, la frase, riferita ai quattuorviri e agli edili, quei h(ac) 1(ege), primei erunt, presuppone «che altri magistrati simili a quelli ivi nominati ... seguiranno, poi, regolarmente» è certo più ardua da superare11. Ma, considerato nel suo complesso, il passo della legge epigrafica non appare da interpretare univocamente in termini di così rigorosa consequenzialità logica: IIIIuir(ei) aedilesque, quei h(ac) l(ege) primei erunt, quei eorum Tarentum uenerit / is in diebus XX proxumeis, quibus post h(anc) l(egem) datam primum Tarentum uenerit, facito .. La più semplice ed immediata interpretazione è che il passo voglia indicare colui il quale, fra i quattuorviri e gli edili, che in base alla legge saranno i primi magistrati romani a governare Taranto, vi si recherà per la prima volta, nei venti giorni 419


ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

successivi alla datio legis. È infatti da notare che quei h(ac) l(ege) primei erunt si riferisce non solo ai quattuorviri, ma anche agli edili. Se ai primi succederanno i duoviri, ai secondi ne seguiranno invece altri venti con la stessa titolatura di edili. Basterebbe tanto a giustificare comunque la dizione della lex anche in presenza di un quattuorvirato transitorio. Ma ciò che più di ogni altra considerazione mi convince dell’esattezza della tesi del Sartori è il passo mutilo, per noi malauguratamente conclusivo della legge epigrafica, nel quale sembra si conceda di allontanarsi da Taranto a quel municeps che non riveste una posizione debitoria verso la città, stabilendo una restrizione di sei anni per il cambiamento di domicilio di coloro che avranno ricoperto il duovirato o l’edilità, a decorrere dall’anno della magistratura (l. 43 s.). Quei pequniam municipio Tarentin[o] non debebit, sei quis eorum quei / municeps erit neque eo sexsennio [p]roxumo, quo exeire uolet, duouirum / a[edilisue fuerit ex municipio Tarentino exeire uolet id ei sine fraude sua facere liceto Mo. Anche indipendentemente dalla convincente integrazione del Mommsen12, il passo prevede comunque che i municipes tarentini possano adire il duovirato, non il quattuorvirato. Questo passo, finora non esaminato sotto questo profilo, mi sembra decisivo sia in sé sia, soprattutto, se considerato insieme a quello che prevede le elezioni comiziali dei duoviri. Non vedo dunque perché, come ha fatto recentemente il Sartori cambiando la precedente opinione per aderire a quella del Gasperini, debba pensarsi che i quattuorviri vadano «riportati a una legge generale o statuto-modello, da applicare a seconda delle singole città»13. Se esaminiamo i passi in cui la lex municipi Tarentini nomina dei magistrati, constateremo che essi possono spiegarsi coerentemente con l’interpretazione che si è sostenuta. Il primo paragrafo pervenuto nomina generalmente magistratus, quei quomque in municipio erit, cui compete perseguire nel quadruplo i casi di peculato14. Il secondo paragrafo contempla la garanzia dei praedes praediaque prestati dai IIIIuir(ei) aedilesque, quei h(ac) l(ege) primei erunt15, che giungeranno a Taranto, 420


La lex municipi Tarentini

evidentemente da Roma, come si è osservato sopra. Qui siamo di fronte ad una previsione così specifica, che riesce veramente arduo pensare che la menzione di IIIIuir(ei) sia «sfuggita», salvandosi da un modello generale che doveva prevedere IIIIuir(ei) IIuir(ei) e da cui si sarebbero dovuti copiare solo i secondi. È invece ribadito che anche i primi magistrati inviati da Roma sono tenuti alla garanzia per la loro amministrazione. Naturalmente da tale garanzia non saranno esentati i candidati alle elezioni duovirali che seguiranno, ed ecco infatti che la legge, alla l. 14 ss., contempla quique quomqu[e] comitia duouireis a[ed]ilibusue rogandeis / habebit. La consequenzialità di queste disposizioni, se si pensa ad un quattuorvirato transitorio non elettivo, cui succede un duovirato annuale elettivo, è così stringente, che non vedo come la si possa infirmare. Il paragrafo terzo riguarda l’obbligo di una casa entro il territorio municipale per i decurioni. Anche il quarto paragrafo non ci interessa, poiché prevede il caso di lavori edili, nominando genericamente magistratus. Il quinto paragrafo è già stato esaminato. Prevede diversi lavori pubblici alle uiae, fossae, clouacae da parte di IIIIuir IIuir aedilisue. Ho sostenuto che il significato della disposizione è chiarissimo. I lavori potranno avvenire non solo nel futuro, quando la città sarà retta ordinariamente da duoviri, ma anche nel periodo transitorio del quattuorvirato che ha inizio con la legge municipale. È infine perfettamente logico che il paragrafo sesto, che contempla il cambiamento di domicilio dei municipes, ponga delle restrizioni a chi ha ricoperto il duovirato; non certo avrebbe potuto farlo verso i quattuorviri transitori inviati da Roma, che non sono municipes e che a Roma ritorneranno. Aggiungo infine che storicamente, una commissione transitoria incaricata di organizzare la vita pubblica cittadina è cosa del tutto normale nell’esperienza istituzionale romana. Liu. XXXIV 45.1 ci informa, per esempio, della commissione triumvirale transitoria, cui è attribuito un imperium triennale, inviata a Vibo per la deductio della colonia latina. La triennalità dell’incarico dei triumviri, cui nella colonia seguiranno ordinari duoviri, può costituire un termine di raffronto per la durata della commissione quattuorvirale tarantina. In conclusione, possiamo constatare che esiste sempre una precisa ratio che presiede, nella lex municipi Tarentini, alla citazione dei quattuorviri o dei duoviri 421


ENIGMI DELLE CIVILTÀ ANTICHE DAL MEDITERRANEO AL NILO

separatamente o congiuntamente. In nessun caso questa ratio legis viene violata e mai accade che, assumendo il criterio interpretativo del quattuorvirato transitorio, si incontri a sproposito una citazione di quattuorviri o di duoviri o di entrambi. Pubblicato alle pp. 144-150 del mio Istituzioni e forme costituzionali nelle città del Bruzio in età romana, Napoli 1984. È ora apparso il saggio di U. Laffi, Osservazioni sulla lex municipi Tarentini, in Colonie e municipi nello stato romano, Roma 2007, pp. 191-231, che non mostra di conoscere il mio saggio. La spiegazione del Laffi, che ipotizza un errore epigrafico, non mi convince, per quanto acuta, perchè contraddetta dal contesto del frammento legislativo.

Note Cfr. CIL I, 22, 590; ILS, 6086; FIRA I, 18; Les lois des Romains, IV, 2. Ivi bibl.

1

Cfr. Degrassi 1949, p. 330; Sartori 1953, p. 92 n. 45; Gabba 1973, p. 607; Gasperini 1971, pp. 144-149; Gasperini 1971B, pp. 135-140.

2

Mommsen 1903, p. 6 = Gesammelte Schriften. Juristische Schriften I,1 Berlino 1905, p. 155; Manni 1947, p. 189 n. 1; Gabba 1973, p. 609.

3

Scialoja-De Petra 1895, col. 418 n. 1; Riccobono, in FIRA, I, pp. 161 ss.; Degrassi 1949, p. 330.

4

Per quattuorviri e duoviri nelle città romane cfr. Hardy 1924, pp. 286 ss.; Rudolph 1935, pp. 94 ss.; Laffi 1973, pp. 40 ss.; De Martino 1966, pp. 344 ss.; Manni 1947B, pp. 172, 188, 201 ss.

5

Cioè di un collegio quattuorvirale distinto in due coppie (quattuorviri duoviri e quattuorviri edili): cfr. supra.

6

Cfr. n. 2.

7

Scialoja-De Petra 1895, cit. a n. 4, Sartori 1953, p. 94.

8

Gabba 1973, p. 609.

9

Sartori 1953, p. 92, n. 44.

10 11

Cfr. Gabba 1973, p. 609. Mommsen 1903, p. 10.

12

Sartori 1975, p. 120; Gasperini 1971, pp. 151 ss.

13

Cfr. ll. 5 ss.

14

Cfr. ll. 43 ss.

15

422



Felice Costabile (1952), ordinario di diritto romano dal 1993, dirige il Laboratorio di epigrafia e papirologia giuridica e la Scuola di alta formazione in architettura e archeologia della città classica nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Ha insegnato negli Atenei di Catanzaro «Magna Græcia» e di Messina ed è stato funzionario della Soprintendenza Archeologica della Calabria. È socio dell’Istituto Archeologico Germanico, membro della Società Archeologica di Atene e del consiglio direttivo dell’Istituto Italiano per la civiltà egizia, deputato di Storia Patria per la Calabria. Ha condotto indagini archeologiche e storiche in Italia, Grecia, Spagna ed Egitto con progetti del Ministero dell’Università e del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

L’Occidente si confronta da sempre con le fonti del suo sapere attraverso le diverse discipline che costituiscono la scienza dell’antichità. E dell’antico questa raccolta di saggi illustra il diritto e la politica, la religione e la magia, come anche l’architettura e l’arte. Ora la volontà eternata nel marmo e nel bronzo di imperatori e proconsoli, ora la quotidianità delle vite effimere di sconosciuti, sono indagate quali esperienze umane comunque degne dell’attenzione dello storico. Atene, la Magna Grecia, l’Italia romana furono teatro della civiltà classica. Il Mediterraneo ne fu veicolo per le province dell’impero: un ecumenismo esteso dall’Europa, all’Asia e all’Africa, dal corso ispanico del Duero fino alle cataratte del Nilo. Ma il naufragio del mondo antico pone lo storico di fronte all’enigma senza fine 1 di doverne interpretare i frammenti 2 , lembi di civiltà scomparse emergenti come isole da terre sommerse. «È ad una crociera tra gli scogli di questo mondo enigmatico che ora invito il lettore»3 . 1 2 3

Salvador Dalí, 1938, in copertina. Cornice della porta del tempio ionico di Locri (a sin. in alto). R. Van Compernolle, ASNP VI.2, 1976, p. 330.

ISBN 978-88-89955-46-8


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