Guida della Calabria

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Guida

della

CALABRIA


SOMMA Il territorio

Testi di Luigi Bilotto Roberta Schenal Pileggi Redazione e coordinamento editoriale Daniela Liconti Antonino Sorgonà Immagini Antonio Renda Antonio Sollazzo Fabio Barbieri Adros Studio Archivio Iiriti

Parchi archeologici

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Cenni storici

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Progetto grafico Enrico Iaria

Castelli e fortezze Santuari e luoghi di pellegrinaggio 43

© 2011 Iiriti Editore 89125 Reggio Calabria Via del Torrione, 31 Tel. 0965 811278 Fax 0965 338385 www.iiritieditore.com

Parchi e aree protette 51 Sport estivi e invernali 71

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ISBN 978-88-6494-067-0 Nell’eventualità che brani, citazioni o foto di competenza altrui siano riprodotti in questa guida, l’editore è a disposizione degli aventi diritto che non si sono potuti reperire. L’editore porrà inoltre rimedio, in caso di cortese segnalazione, a eventuali non voluti errori e/o omissioni nei riferimenti relativi. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, utilizzata o trasmessa in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo tecnologico senza previa autorizzazione. Ci scusiamo per eventuali errori e omissioni.

Gastronomia

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Artigianato

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ARIO

Cosenza e la sua provincia

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Dal Pollino alla Sila Itinerari tra i centri albanesi Versante ionico Riviera dei Cedri

CATANZARO e la sua provincia

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Lo Ionio catanzarese Tra Ionio e Tirreno

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REGGIO CALABRIA e la sua provincia

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Costa Viola Dal Tirreno verso l’interno Alto Ionio Riviera dei Gelsomini Area Grecanica

178 190 204 214 224

CROTONE e la sua provincia

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Marchesato crotonese

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VIBO VALENTIA e la sua provincia

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Serre vibonesi 266 Versante tirrenico vibonese 272

104 116 120 130


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Il territorio Il territorio All’estremo sud dell’Europa continentale, la Calabria si estende per 250 km tra il mar Tirreno ad ovest e lo Jonio ad est, mentre a sud lo Stretto di Messina la separa dalla Sicilia. Con una superficie totale di 15.080 kmq, i suoi 730 km di costa sono pari al 20% del totale nazionale. L’Appennino l’attraversa per intero, tanto che le zone sotto i 200 m d’altitudine non raggiungono il 10% del totale.


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La varietà e l’estrema versatilità dell’offerta territoriale, che consentono di apprezzare e vivere il mare e la montagna allo stesso tempo, fanno della Calabria una regione godibile tutto l’anno. Un territorio generalmente montuoso (circa il 60% al di sopra dei 300 m slm) segnato da oltre mille corsi d’acqua e una lunga fascia costiera di 730 km che si distingue per i promontori marini alternati a litorali sabbiosi. In particolare sul versante jonico si generano due sistemi territoriali diversi morfologicamente, ma ancor più per le realtà socio-economiche e culturali dei propri centri. Per la sua felice posizione geografica, la Calabria ha conosciuto il sovrapporsi e l’intersecarsi di elementi naturali molto diversi tra loro. Sin dall’era delle glaciazioni, la catena appenninica è stata la via di penetrazione da nord di specie animali che, con le loro migrazioni, hanno stratificato una biodiversità unica e complessa. La singolare morfologia della regione è modellata dai rilievi: il Pollino e la Sila a nord, la struttura montuosa Sila-Aspromonte costituita dalle Serre al centro, dal tavolato del monte Poro e dell’Aspromonte a sud, il sistema vallivo del fiume Crati e le aree livellate dalle piane di Sibari, Lamezia e Gioia Tauro.


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Numerose le grotte, la più profonda (680 m), denominata “l’abisso del Bifurto”, nei pressi di Cerchiara (Cs); altre sono d’interesse religioso, come quella di Monte Stella a Bombile (RC) o della Madonna a Praia a Mare (Cs), che ha restituito reperti archeologici di rilievo, e la Grotta del Romito di Papasidero (Cs) lungo il fiume Lao, in cui sono stati individuati i graffiti di bos primigenius e sepolture paleolitiche. Alcune di queste grotte sono collegate a sorgenti, utilizzate per bagni termali fin dal periodo greco. I centri più celebri sono le terme Luigiane a Guardia Piemontese (Cs); ad Antonimina (RC) le antiche acque sante locresi; a Cassano allo Jonio (Cs) le terme sibarite; a Galatro (RC) le fonti di Sant’Elia, altre a Spezzano Albanese (Cs). Nel Medioevo erano in voga i bagni di Sambiase, presso Lamezia Terme, oggi noti come terme Caronte. Tra i numerosi corsi d’acqua, sul versante tirrenico è il Noce, che segna in parte il confine regionale a nord, con la foce tra Maratea in Basilicata e Lido di Tortora, primo abitato della Calabria tirrenica; il Lao, detto Mercuri, che nel suo corso alto segnava anticamente il confine a nord della Calabria, è caratterizzato da strette gole dove si pratica il rafting. E ancora il Savuto, l’Amato, che nasce da sorgenti poste intorno a Decollatura (Cz); l’Angitola, che forma un lago artificiale e un delta, oggi parco tutelato dal WWF; il Mesima, il più importante della fascia tirrenica, e il Petrace, nelle cui acque, secondo la leggenda, Oreste, figlio di Agamennone si purificò dal matricidio.


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Da Bagnara a Capo d’Armi il regime dei corsi d’acqua è divenuto torrentizio a causa della deforestazione intensiva della Sila saltus, antica denominazione latina in cui era compreso l’Aspromonte. Se ne contano 33, di cui 12 principali un tempo navigabili, come l’Amendolea, La Verde e Bonamico. Nel letto del Turbolo, quando era detto Sagra, si combatté una celebre battaglia, materia di poesia epica nell’evo antico. Sul versante jonico da Crotone verso nord, il fiume Neto nasce da Botte Donato (1928 m), la cima più alta della Sila, ed ha tra i suoi affluenti l’Arvo e l’Ampollino che formano gli omonimi laghi artificiali. Il Crati, il più importante della regione, riceve il Busento sotto Cosenza e secondo la leggenda, nel VI secolo sarebbe stato deviato per celare la tomba di Alarico, re dei Visigoti, che vi sarebbe ancora sepolto con il suo tesoro. Ancora il Mucone, emissario del lago di Cecita; il Coscile, o Sibari, l’Esaro e il Rosa, che sull’Orsomarso nei pressi di San Sosti, scorre sotto terra. Il Raganello nasce dal Pollino e per 13 km scorre in una gola stretta e profonda; il Ferro nella zona più settentrionale della regione. La regione è priva di laghi naturali; quelli artificiali di una certa importanza sono il Cecita e l’Ampollino, entrambi sull’altopiano della Sila, che alimentano centrali idroelettriche. In Aspromonte si segnala il lago Costantino, formatosi a seguito di una frana sulla fiumara del Buonamico.


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Calabria

Cenni storici

In basso Il Codex Purpureus Rossanensis, Rossano (Cs) Complesso abbaziale del Patirion, Rossano (Cs) Chiesa abbaziale florense, zona absidale della cappella settentrionale, San Giovanni in Fiore (Cs)

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a Calabria fu abitata sin dal Paleolitico, come dimostrano rinvenimenti quali il Bos Primigenius inciso nella Grotta del Romito a Papasidero (Cs), da genti mediterranee, poi da nuclei di stirpe ibero-ligure. Sin dall’inizio della sua storia, in questa terra si sono intrecciate le più diverse etnie che, mescolandosi con gli autoctoni, hanno dato vita a culture nuove e feconde. Dalla ricerca archeologica sembra evidente che le popolazioni fossero dislocate a macchia di leopardo. È possibile delineare una partizione est-ovest tra Enotri sulle coste joniche e Ausoni sulla fascia tirrenica (tra 1600 e 1800 a.C.). Un’ulteriore suddivisione nordsud riguardava Choni, Siculi, Itali e Morgeti. Nel periodo italico la Calabria fu abitata anche dai Bruzi (o Brettii), popolo di origine indoeuropea stanziatosi nel nord-ovest. Tra IX e VIII secolo a.C., sulle coste joniche sbarcarono i primi coloni greci che avviarono

rapidamente la fondazione di fiorenti colonie quali Sibari, Crotone e Locri, cui seguirono Kaulon, Medma e altre ancora. Furono i Greci a chiamare questa parte della penisola con il nome Italia, in quanto al tempo popolata dagli Itali, e quando Augusto l’incluse nella III regione (Lucania e Brutium), il nome Italia si estese a tutta la penisola. Dopo le invasioni gotiche e vandaliche del V secolo, la Calabria tornò a fare parte dell’Impero romano. A metà del VI secolo, i Bizantini presero il sopravvento e dominarono sino all’XI secolo. Fortificata per resistere alle razzie saracene, diventò rifugio di comunità religiose cristiane e ortodosse in fuga da tutto il bacino del Mediterraneo a seguito dell’espansionismo musulmano. Nel IX e X secolo fu scenario di scontri sanguinosi tra Bizantini e Arabi stabilitisi in Sicilia. Paradossalmente, per le arti e la cultura fu un periodo d’oro: fiorirono monasteri, luoghi di

Sima con doccioni a testa leonina da Kaulonia, V sec. a.C., Museo nazionale di Reggio Calabria

In basso Il Bos Primigenius, Grotta del Romito, Papasidero (Cs)


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A destra Tapisserie del castello di Pirou, Normandia: la Calabria si sottomette a Roberto il Guiscardo In basso Privilegio di Federico II d’Aragona

culto, seminari e congregazioni, a tutela dei riti, valori e patrimonio storico delle diverse culture, con attività di documentazione, frutto del lavoro meticoloso di scrivani ed epigrafisti, come nel caso dello splendido Codex Purpureus Rossanensis conservato a Rossano (Cs). Arabi e Longobardi riuscirono a depredarla ma non ad assoggettarla. Alla lunga contesa arabo-

bizantina misero fine i Normanni nel 1061 con Roberto il Guiscardo e Ruggero, rispettivamente duca e conte di Calabria. Quando il loro dominio si estese alle Puglie, i Bizantini uscirono definitivamente di scena. A loro seguirono gli Svevi di Federico II, il quale unì le regioni del sud Italia in uno degli stati più civili e prosperi dell’epoca: il Regno del Sole. Negli anni della dinastia normanno-sveva emergono due tra le figure più rilevanti del monachesimo e della Chiesa: Gioacchino da Fiore all’Abbazia di S. Giovanni in Fiore (Cs) e Bruno di Colonia alla Certosa di Serra S. Bruno (VV), fondatore dell’ordine dei certosini. Nel 1264 il Regno cadde in mano agli Angioini, che introdussero il feudalesimo per controllare i sudditi e il territorio; seguirono gli Aragonesi e gli Spagnoli, che divisero la Calabria in Citra ed Ultra; poi gli Austriaci e i Borboni. Nel XVIII secolo una terribile carestia e il disastroso terremoto del 1783 piegarono la Ca-


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Calabria

Cenni storici

Gioacchino Murat

labria borbonica. Ci si avvicina così all’età delle rivoluzioni: nel 1815 Murat venne giustiziato a Pizzo Calabro; a metà del 1844, nel vallone di Rovito, furono fucilati i fratelli Bandiera e nel 1862 Garibaldi attraversò lo Stretto e fu ferito in uno scontro con truppe lealiste a Gambarie d’Aspromonte (RC). Nel 1861, al momento dell’Unità d’Italia, la Calabria era dotata di una sola strada che l’attraversava da nord a sud e una rete ferroviaria inesistente: il 90% dei comuni era tagliato

fuori da ogni possibile scambio. Povertà e miseria assieme ad altre cause favorirono il brigantaggio e la popolazione, costretta ad emigrare in tutto il mondo, si dimezzò. I primi cenni di ripresa si ebbero solo dopo la Seconda guerra mondiale, quando vennero adottate misure straordinarie per ridurre il gap economico, sociale ed infrastrutturale col resto del Paese. Solo dagli ultimi decenni è in atto un tentativo di recupero e valorizzazione dell’immenso patrimonio

La Certosa di Serra San Bruno (VV)

culturale del territorio, anche puntando su risorse naturali, turismo, colture e artigianato di qualità.

Il destino del coraggioso generale francese Gioacchino Murat è legato alla Calabria ed a Pizzo (VV) in particolare, dove venne catturato e fucilato il 13 ottobre 1815. La cittadina ricorda l’evento con le “Giornate Murattiane”, rievocazione storica in costume e armi dell’epoca conservate presso il castello aragonese, noto anche come castello Murat, oggi museo. Nato nel 1767 a LabastideFortunière nel sud della Francia, figlio di un albergatore, studiò in un collegio religioso; espulso per insubordinazione, si arruolò nell’esercito francese, dimostrando subito le sue doti militari. Una carriera lampo lo portò, grazie ai suoi meriti e al sostegno di Napoleone, al grado di generale. Fedele all’imperatore, che accompagnò nelle sue trionfali campagne, ne sposò la sorella Carolina e nel 1808 venne nominato Re di Napoli. In tale veste, avviò un programma di opere pubbliche che comprendeva l’introduzione dell’illuminazione stradale a Reggio Calabria


Pizzo, litografia di Th. Du Moncel

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I fratelli Bandiera

e l’impegno per la tutela dei beni storico-artistici del sud Italia. Si trasferì in Calabria, nella frazione Piale di Villa San Giovanni (RC), per comandare le operazioni militari contro le truppe inglesi che proteggevano la Sicilia e il deposto re Ferdinando I di Borbone. Fece costruire le fortificazioni di Torre Cavallo, Altafiumara e Campo Piale, dotando quest’ultima di un telegrafo. Fu militarmente sconfitto, ma la sua popolarità crebbe presso il popolo. Le ingenti perdite subite durante le ultime campagne napoleoniche dall’esercito del Regno di Napoli, favorirono il ritorno dei Borboni e Murat fu costretto a fuggire prima a Rodi Garganico, poi la sua audacia lo spinse a raggiungere Napoli nel tentativo di riconquistare il trono. La sua flotta dovette riparare nel Golfo di Sant’Eufemia e Murat decise di ripartire da Pizzo Calabro. Ma la città era in mani borboniche e l’appoggio popolare su cui faceva leva, venne a mancare.

Così, Gioacchino Murat venne arrestato e rinchiuso nel castello, processato da un tribunale militare e condannato alla fucilazione. Nelle sale del castello di Pizzo è stato realizzato un percorso che ripropone gli ultimi, drammatici momenti della sua vita. Murat è raffigurato nella sua cella intento a scrivere la lettera alla moglie, fino al sommario processo militare che lo condannò alla pena capitale. Coraggioso e audace fino all’ultimo, Murat ottenne di poter comandare il suo plotone d’esecuzione e, prima di dare l’ordine, chiese ai soldati di mirare al cuore risparmiando il viso. Mancarono tutti il bersaglio la prima volta, e Murat dovette dare nuovamente l’ordine. Le sue spoglie sono conservate nella chiesa di San Giorgio Martire di Pizzo Calabro.

“Cara Carolina del mio cuore, l’ora fatale è arrivata, morirò con l’ultimo dei supplizi; fra un’ora tu non avrai più marito e i nostri figli non avranno più padre. Ricordatevi di me e tenetemi sempre nella vostra memoria. Muoio innocente e la vita mi è tolta da una sentenza ingiusta. Addio mio Achille, addio mia Letizia, addio mio Luciano, addio mia Luisa. Mostratevi degni di me; vi lascio in una terra ed in un regno pieni di miei nemici; mostratevi superiori alle avversità e ricordatevi di non credervi più di quel che siete, pensando a ciò che siete stati. Addio, vi benedico. Non maledite mai la mia memoria; ricordatevi che il più grande dolore che provo nel mio supplizio è di morire lontano dai miei figli, da mia moglie e di non avere alcun amico per chiudermi gli occhi. Addio, mia Carolina, addio figli miei; ricevete la mia paterna benedizione, le mie calde lacrime e i miei ultimi baci. Addio, addio, non dimenticate affatto il vostro infelice genitore”. Pizzo, questo 13 ottobre 1815 Joachim Murat



Parchi archeologici

Kore in bronzo da Centocamere, Antiquarium di Locri

Da sempre oggetto di conquiste per via della sua posizione strategica, delle particolarità di un territorio ricco di rilievi e vegetazione, per la sua natura generosa, la Calabria accoglie i coloni Greci, grazie ai quali raggiunge il suo massimo splendore. La fondazione delle colonie, tra le più potenti della Magna Grecia più tardi dominio romano, ha lasciato moltissime testimonianze leggibili in parchi e siti archeologici, musei, ma più di tutto nella cultura regionale più profonda.

Nella pagina precedente Pinax fittile con scena di offerta, 470-460 a.C., dal santuario della Mannella di Locri Epizefiri, Museo nazionale di Reggio Calabria

Frammento da Antiquarium di Locri

Locri (RC) C.da Marasà - Tel 0964 390023

Locri Epizefiri è fra le poleis magnogreche della Calabria una delle maggiormente note, per le numerose notizie storiche trasmesse dalle fonti letterarie antiche e per le testimonianze archeologiche di eccezionale risalto e completezza. Fondata intorno alla fine dell’VIII secolo a.C., la città ben presto fu organizzata con rigidi ordinamenti di impronta aristocratica, sanciti dal codice di leggi attribuito a Zaleuco, forse il più antico del mondo greco e della cultura europea. La deduzione sul versante tirrenico delle subcolonie di Medma (oggi Rosarno) e Hipponion (oggi Vibo Valentia) intorno al 600 a.C. e la successiva clamorosa vittoria su Crotone nella battaglia del fiume Sagra, segnarono la massima fioritura di Locri in età arcaica. Nel V secolo a.C. le ripetute ostilità con Reggio rinsaldarono l’alleanza con la potente Siracusa, che nel IV secolo si trasformò in vera e propria dipendenza; la violenta cacciata da Locri del tiranno siracusano Dioniso II segnò l’introduzione di un regime democratico. In seguito Locri entrò nell’orbita romana, divenendo municipium nell’89 a.C. In età imperiale rimase il centro principale del territorio, nel quale si svilupparono grandi proprietà terriere facenti capo ai complessi agricolo-residenziali delle villae. Le incursioni arabe e la diffusione della malaria causarono l’abbandono delle

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Parchi archeologici Parchi archeologici

Antefissa fittile a testa femminile, Museo nazionale di Reggio Calabria

fasce costiere e gli abitanti si rifugiarono nell’interno, a Gerace, destinata a diventare il centro principale della zona. La città greca si sviluppava su una vasta superficie di oltre 230 ettari, in parte nella fascia costiera pianeggiante, in parte sulle colline retrostanti, ed era definita da un circuito di mura urbiche lungo circa 7 km. All’esterno dell’area urbana si trovavano le necropoli; sempre al di fuori della città, non lontano dalle mura, sorgevano le aree sacre: il santuario della Mannella dedicato a Persefone; il santuario di Grotta Caruso, fiorito attorno ad una sorgente d’acqua naturale e sede di un culto delle Ninfe; il santuario di Demetra in contrada Parapezza; il santuario di Afrodite in contrada Centocamere. All’interno della città ne sorgevano altri, dotati di edifici di grande impegno architettonico quali il tempio ionico di Marasà ed il tempio dorico di casa Marafioti. Degli edifici pubblici è noto il teatro, sorto al limite tra piana costiera ed alture sfruttando una concavità naturale; non lontano doveva sorgere l’agorà, la grande piazza del mercato e della vita pubblica. Nel settore pianeggiante, l’abitato era organizzato secondo uno schema urbanistico regolare, con strade rettilinee incrociantesi ad angolo retto. Il parco archeologico di Locri Epizefiri si trova a circa 4 km a sud dall’odierno centro di Locri e gravita attorno al Museo Archeologico nazionale, accessibile dalla S.S. Jonica 106. Dietro l’edificio museale prende avvio un primo percorso che fiancheggia il tratto di fortificazioni che cingeva la città antica verso est e permette la fruizione del settore extraurbano occupato dalle aree sacre di Zeus Saettante e Demetra Tesmophoros, ricadenti nella contrada Parapezza, sino a raggiungere il santuario urbano di Marasà con i resti del tempio ionico. Un secondo percorso parte sempre alle spalle del museo e segue le mura parallele alla linea di costa, in

Statuetta fittile di dea stante del tipo a leggio, 550-530 a.C., Museo nazionale di Reggio Calabria


Santuari e luoghi di pellegrinaggio Storia, arte, devozione Il rapporto fra i calabresi e la religiosità è strettissimo. In ogni angolo della regione vivono riti e tradizioni legati alla celebrazione del sacro, a sottolineare la tangibile devozione di un intero popolo che, forse spinto dalla precarietà economica, deponeva ogni speranza nella fede. Una visione che ha lasciato sul territorio un prolifico e pregevole patrimonio artistiscoculturale.

Nella pagina precedente Statua della Madonna della Montagna (1560), santuario di Polsi (RC) Cella di S. Francesco, Paola (Cs)

In provincia di Cosenza, alle falde del monte Sellaro (1384 m) si trova Cerchiara di Calabria, con il vicino santuario della Madonna delle Armi (dal greco tòn armòn, della grotta), edificato su un preesistente romitorio basiliano, uno dei tanti rifugi abitati dai monaci nei secoli IX-X e in seguito arricchito di opere d’arte. La chiesa, in parte scavata nella roccia, ha una cappella rivestita di marmi policromi, sul cui altare è una teca in argento del ‘700 contenente una pietra graffita con l’effigie della Madonna. L’altare maggiore è opera di maestranze napoletane della seconda metà del ‘700; la volta e alcune pareti della navata sono affrescate dal pittore Joseph de Rosa di Castrovillari. Sono opere pregevoli la tavola cinquecentesca della Visitazione, le due tele raffiguranti i volti dell’Addolorata e del Cristo, i confessionali settecenteschi e uno stipo ligneo con pannelli dipinti. Meta di migliaia di pellegrini è Paola (Cs), con il grande complesso del santuario di S. Francesco edificato nel luogo in cui il Santo, all’età di tredici anni, aveva scavato una grotta nella roccia per ritirarsi in meditazione. La grotta, oggi inglobata al santuario, ac-

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Santuari

San Francesco da Paola, incisione Particolare del portale del santuario di San Francesco

coglie una statua seicentesca del Santo in preghiera. L’esempio di vita eremitica di Francesco fu seguito da molti, desiderosi di condividerne l’esperienza mistica. Nel 1436 furono realizzate la cappella di S. Francesco e poche celle, nucleo attorno al quale prese vita l’ordine dei Minimi. L’eremo si sviluppò con la costruzione del chiostro, della chiesa e di spazi conventuali che furono teatro dei primi eventi miracolosi, come la fonte scaturita dal tocco del bastone del Santo, le cui acque sgorgano ancora. La fama di Francesco e dei suoi prodigi giunse alla corte di Luigi XI di Francia il quale, colpito da grave malattia, ne richiese la presenza per ottenere la guarigione. La mediazione del Papa convinse Francesco a raggiungere il re che, attraverso la preghiera, trovò la pacificazione dell’anima. Nel 1507 Francesco morì in Francia confortato dalla vicinanza dei suoi frati; in seguito i suoi resti furono distrutti da un incendio provocato dagli Ugonotti al quale scamparono miracolosamente alcune reliquie portate a Paola nel 1935. Il complesso monastico oggi è il risultato di ampliamenti iniziati a partire dal Quattrocento. La basilica dedicata alla Madonna degli Angeli è composta da due navate e fu rimaneggiata in epoca barocca. Un affresco quattrocentesco raffigurante la Madonna degli Angeli orna la parete absidale. Tra gli arredi sacri, un coro ligneo del 1659, le statue lignee di S. Francesco di Paola e S. Michele

Arcangelo, un dipinto della Madonna con Bambino di fine ‘500, quattro pale d’altare di G. Pascaletti e dipinti settecenteschi tra cui un Ecce Homo attribuito a G. B. Caracciolo. Interessante la cappella del Santo (cappella Spinelli) del 1595, con le reliquie e il busto reliquario argenteo seicentesco di S. Francesco e l’effigie del Santo attribuita a Dirk Hendricksz. Annesso alla chiesa è il grandioso convento, dal cui chiostro quattrocentesco è possibile accedere alla biblioteca dotata di un consistente fondo ricco di pergamene, manoscritti e volumi rari. Nell’alta valle del Crati, a Paterno Calabro (Cs) sorge il secondo santuario francescano (XV sec.), che, oltre ad alcune reliquie, conserva pregevoli opere d’arte. L’inizio della costruzione del convento o dormitorio e della chiesa risale al 1472, quando S. Francesco individuò nel sito il luogo ideale per il suo secondo monastero. La chiesa è a due navate, con il campanile del ‘500 dotato di quattro campane. Di notevole interesse il chiostro, con un corridoio abbellito da affreschi del ‘600 e raffigurazioni di Minimi, il refettorio e un’ampia sala con due file di colonne corinzie ed archi a sostegno di un soffitto rivestito di tavole arabescate. Sulla parete di fondo vi è una raffigurazione cinquecentesca de L’Ultima Cena. Da visitare la fornace, la grotta, l’oratorio, le edicole dei miracoli. Tra gli


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Complesso del santuario di S. Francesco, Paola Cappella del Santo e busto reliquiario argenteo, Paola

oggetti appartenuti al Santo, un cappuccio, un cordino, calzari in stoffa e due suoi codici liturgici, la pentola utilizzata per la cucina del convento e la pietra sulla quale, partendo per la Francia, lasciò impresse le sue orme. Sul versante jonico della regione troviamo il santuario dell’Ecce Homo di Mesoraca (Kr). La prima fondazione dell’area cenobitica da parte dei monaci basiliani risale al IV secolo; nel 1419, passata ai Minori osservanti, furono edificati un nuovo convento e una chiesa dedicata a S. Maria delle Grazie. Successiva è la denominazione data al convento, dovuta a una statua del Cristo flagellato custodita nel santuario, attribuita a Fra’ Umile da Petralia. La facciata della chiesa conserva il portale in pietra; l’interno ha copertura a volta, decorata con stucchi settecenteschi. Sull’altare maggiore domina la statua marmorea della Madonna col Bambino di A. Gagini; l’abside è impreziosita da un coro intagliato del 1767. Alle pareti, dipinti con scene della vita della Vergine, tele di C. Santanna e dipinti ottocenteschi raffiguranti scene della Passione. A pochi chilometri da Mesoraca e non molto distante dal centro di Petilia Policastro (Kr), si trova il santuario della SS. Spina, annesso al convento dei Minori Osservanti, in origine romitorio basiliano. La facciata è seicentesca. Sono attribuibili a C. Santanna otto riquadri raffiguranti scene della Passione di Cristo e altre opere


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Santuari e decorazioni. L’altare maggiore in marmo è opera di S. Troccoli (1764). Si conservano una monumentale icona-reliquario in legno dorato e il prezioso reliquario d’oro contenente una spina della Croce di Cristo, donata nel 1523 dalla regina Giovanna di Valois al suo confessore, cardinale Dionisio Sacco: un astuccio con iscrizione e corona reale incastonato in un tabernacolo decorato con dodici teste di angeli, opera di oreficeria francese del Quattrocento. A Serra San Bruno (VV), a metà strada tra Jonio e Tirreno nel cuore delle Serre calabresi e immersa in un paesaggio boschivo di grande fascino, si trova la certosa, prima fondazione dell’ordine in terra di Calabria. Con la sua organizzazione claustrale fondata su rigide regole, la Certosa ha inteso preservare la purezza dei luoghi immersi in una natura intatta come apparve al monaco tedesco Bruno di Colonia alla fine dell’XI secolo. Ancora oggi

Medaglione raffigurante il Beato Lanuino dello scultore serrese Giovanni Scrivo, Museo della Certosa di Serra San Bruno (VV) Figura marmorea di Santo, chiesa dell’Addolorata di Serra San Bruno (VV)

Petilia Policastro (VV), santuario della SS. Spina, soffitto ligneo dipinto con al centro L’Assunta, opera del 1772 di C. Santanna


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la vita dei padri, consacrata alla contemplazione, rappresenta la grande testimonianza del messaggio spirituale bruniano. Poco rimane dell’antica chiesa, probabile opera di J. Del Duca, allievo di Michelangelo, colpita dal terremoto del 1783 e successivamente depredata degli arredi. La ricostruzione ottocentesca, che ha recuperato alcuni ambienti dell’antica certosa, riproduce la tipologia dei monasteri certosini, con il grande chiostro e spazi comunitari quali il refettorio, il capitolo e la biblioteca, all’interno della quale sono conservati antichi volumi. La chiesa odierna, di dimensioni ridotte, custodisce un busto argenteo con le reliquie di S. Bruno e un’urna con i resti del suo successore, il beato Lanuino. Da vedere il Museo della Certosa. Poco distante da Serra San Bruno, il convento di S. Domenico a Soriano Calabro (VV) rappresenta uno dei luoghi più importanti della spiritualità e dell’arte calabrese, purtroppo oggi non più visibile nel suo originario splendore. Alla fonte storica che ne fissa l’edificazione intorno al 1510 è legata una tradizione leggendaria che vuole la fondazione ad opera di Fra’ Vincenzo da Catanzaro, incoraggiato dall’apparizione di S. Domenico che lo esortava alla costruzione di un convento. La visione del Santo patriarca fu uno dei primi episodi prodigiosi che alimentò la spiritualità popolare. L’importanza del convento è testimoniata da un’incisione della prima metà del XVIII secolo con la rappresentazione dell’intero complesso, costituito dall’area conventuale su quattro chiostri, e dall’imponente chiesa affiancata da cappelle. Per i reperti artistici, alcuni conservati all’interno del nuovo convento, un Museo dei Marmi con opere barocche di grande pregio; importante è il ruolo delle maestranze forestiere, tra cui lo scultore romano G. Calcagni. Antonio Corradini, giunto a Soriano nel 1750 per l’esecuzione delle sculture del nuovo altare, riuscì a realizzare solo un angelo, oggi custodito all’interno del convento. Dagli innumerevoli frammenti recuperati dopo il sisma del 1783, è evidente la complessità e la ricchezza delle decorazioni che investivano l’interno, in particolare i piloni della navata centrale, secondo il modello berniniano di S. Pietro. L’influenza del Facciata del convento di San Domenico a Soriano Calabro (VV)


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Santuari Altare della Basilica del Beato Angelo di Acri (Cs) Il duomo dedicato a S. Maria della Serra a Montalto Uffugo (Cs)

Santuario della Madonna della Montagna di Polsi (RC)

Bernini è chiaramente presente in una delle opere recuperate: il busto marmoreo di S. Domenico, attribuito al Finelli. A Paravati, frazione di Mileto (VV) che per decenni ha attirato migliaia di credenti da ogni parte d’Italia per via della presenza della mistica Natuzza Evolo, è in fase di costruzione la chiesa dedicata al Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime. Ad Acri (Cs) è la basilica del Beato Angelo, le cui spoglie sono oggetto di quotidiana venerazione. A Montalto Uffugo (Cs) il duomo è uno degli edifici di culto più celebri della regione, con gradinata e balaustra in tufo del roglianese N. Ricciulli e statua di Santa Maria della Serra (XV sec.). Nella piccola frazione di Polsi del comune di San Luca (RC), nel cuore dell’Aspromonte, sorge a 800 m di altezza il santuario della Madonna della Montagna. Stando alla leggenda, un giovane pastore ritrovò nel bosco il suo vitello smarrito, inginocchiato in adorazione di una croce appena dissotterrata e la Madonna, apparsa al pastore, gli avrebbe detto che occorreva costruire una chiesa in quel luogo. Il passaggio dal rito greco a quello latino diede inizio al periodo di giurisdizione del santuario da parte dei vescovi di Gerace, e nei primi del ‘700 venne fondata una comunità, denominata Monaci di San Paolo I’eremita, dedita alla preghiera, al lavoro manuale e alla diffusione del culto mariano. La Croce di Polsi è oggetto di particolare venerazione; un tempo veniva portata in processione in caso di calamità, mentre oggi, una volta l’anno, è ospitata da una delle parrocchie spiritualmente più vicine a Polsi.


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Nel santuario è la statua della Madonna col Bambino, probabilmente opera siciliana. L’interno è decorato da stucchi e ha un soffitto a cassettoni con inserti dorati. L’abside è occupata dall’altare in marmi policromi, opera messinese del 1737, e ospita una tela di ignoto raffigurante il Buon Pastore. Dalla navata sinistra della chiesa si accede al chiostro, dove si aprono le celle oggi adibite a ricovero dei pellegrini. Al piano superiore sono gli spazi residenziali, archivio, biblioteca e refettorio, nel quale è stato allestito un piccolo spazio museale. Il rito spesso comporta l’accesso dei pellegrini alla chiesa scalzi o in ginocchio e il sacrificio di agnelli poi consumati sul posto. I festeggiamenti iniziano a fine agosto con la Novena e una grande veglia di preghiera, e si concludono il 2 settembre con la processione della statua della Madonna. A Conflenti (Cz), sul monte Reventino, nel santuario di Maria SS. della Quercia si custodisce il tronco dell’albero nei pressi del quale la Madonna apparve a un pastore. Nella stessa provincia, a Gimigliano, è il santuario della Madonna di Porto, la cui effigie viene portata in processione nella Vara dalla chiesa Madre di contrada Porto fino al santuario, dove avviene la “Cunfrunta”, ossia l’incontro tra la Madonna e S. Giuseppe. Tra i tanti luoghi del sacro divenuti meta di pellegrinaggi, si segnalano ancora il santuario della Madonna delle Grazie a Torre di Ruggiero (Cz), di S. Francesco di Paola a Corigliano Calabro (Cs), della Madonna della Catena a Dipignano (Cs), della Madonna del Pettoruto a San Sosti (Cs), della Madonna dello Scoglio a Placanica (RC), della Madonna del Monserrato a Vallelonga (VV) e della Madonna Nera a Seminara (RC), che custodisce la più antica statua lignea della Calabria, una delle tre statue esistenti in Italia dipinte in nero e rivestite in oro zecchino, secondo i canoni arabo-bizantini.

La Croce e la statua della Madonna della Montagna di Polsi (RC)


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Parchi e aree protette A

lla complessità dei paesaggi calabresi si accompagnano le testimonianze di una storia umana altrettanto articolata che parte dal Paleolitico, passa per la Magna Grecia e i luoghi di culto bizantini e medievali, fino ai centri grecanici e agli insediamenti di origine albanese. Questo grande patrimonio, in cui natura e cultura appaiono elementi indissolubili, è oggi tutelato da un ragguardevole sistema di aree protette regionali e parchi, con ecosistemi e habitat naturali rappresentativi della biodiversità dell’Italia meridionale. La rete comprende il Pollino, la Sila, le Serre e l’Aspromonte, il tratto di costa della Riserva di Capo Rizzuto e importanti zone umide: le riserve del Lago di Tarsia, della Foce del Crati e dell’Angitola.

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Parco Nazionale 52 del Pollino Ente Parco Nazionale del Pollino (Cs e PZ) Sede operativa Calabria Palazzo Gallo C.so Garibaldi - Castrovillari (Cs) www.parcopollino.it Tel. 0981 26575 Come arrivare Linee ferroviarie tirreniche e joniche; autostrada A3 SA-RC uscite Lauria nord e Spezzano. Punti d’interesse Centri visita, attività sportive ed escursioni guidate, Gola del fiume Lao, eco-ostelli, prodotti di agricoltura biologica e della gastronomia locale certificati con marchio di qualità del Parco, lavorazione artigianale della ginestra, del ferro battuto, rame, legno. Da vedere La grotta del Romito e il santuario di Maria SS. di Costantinopoli a Papasidero, il santuario della Madonna delle Armi a Cerchiara di Calabria, il santuario della Madonna del Pettoruto e il sito archeologico dei Casalini a San Sosti, il santuario delle Cappelle a Laino Borgo, il patrimonio culturale della comunità Arbëreshë, San Lorenzo Bellizzi e il suo canyon, il patrimonio della Valle dell’Esaro (vedi Dal Pollino alla Sila). Musei Museo Naturalistico del Pollino via delle Frecce Tricolori Rotonda (PZ) - Tel. 0973 667321 Centro Studi Naturalistici del Pollino”Il Nibbio” - vico II Annunziata, 11, Morano Calabro (Cs) Tel. 0981 30745 www.ilnibbio.it Riserve naturali Valle del fiume Lao, Gole del Raganello, S. Lorenzo Bellizzi, Valle del fiume Argentino, Orsomarso.

C

on i suoi 192.565 ettari e 56 comuni, di cui 32 in territorio calabrese, è l’area protetta più estesa d’Italia e si sviluppa a cavallo tra il versante calabrese e quello della Basilicata, abbracciando il massiccio del Pollino (situato al centro del parco) e a sud-est il complesso dei monti dell’Orsomarso. Il Pollino è il gruppo montuoso più elevato dell’Appennino meridionale, con rilievi che superano i 2000 m come Serra Crispo, Serra delle Ciavole, Serra del Prete e il Pollino stesso, la cui cima più alta è Serra Dolcedorme (2266 m). Da qui nasce l’impervia valle del torrente Raganello - che corre verso lo Jonio con spettacolari pareti di roccia in cui nidifica l’aquila reale - e la gola del fiume Lao, selvaggia e incontaminata, ideali per rafting, kayak, canoa e torrentismo. I monti dell’Orsomarso sono compresi nella zona meridionale del Parco e sono collegati con il massiccio del Pollino dall’altopiano


53 A destra Ruderi del Convento di Colloreto a Morano Calabro (Cs) Al centro Vista di Laino Borgo (Cs)

Il Pino loric ato Emblema del Parco, è l’albero che cresce sulle creste più impervie e sulle pareti di roccia: un vero fossile vivente contorto e robusto che può raggiungere un’altezza di 40 metri e un diametro di oltre un metro. Gli esemplari presenti sul Pollino rappresentano il 50% dell’estensione nazionale e alcuni sono lì da centinaia di anni; il millenario Patriarca del Pollino sul Pollinello è tra i più vecchi d’Italia. L’origine del nome si deve alla particolare corteccia, le cui fessurazioni la rendono simile alla lorica, corazza a squame dei legionari romani.

carsico di Campotenese e dalle cime di Cozzo Pellegrino, monte Palanuda e la Montea, dove nessuna cima supera i 2000 m di quota. È l’ultimo rifugio del capriolo autoctono appenninico, il capriolo di Orsomarso, e di recente è stato reintrodotto il cervo. Le ampie foreste secolari di faggio e di altre latifoglie, con pini loricati e pini neri e, alle basse quote, esemplari di grandi dimensioni di leccio e alloro, sono l’habitat dell’aquila reale, della coturnice, del picchio nero, del lupo appenninico, del gatto selvatico e del falco pellegrino. Alla varietà ambientale si accosta anche una grande diversità culturale, con i nuclei di lingua e tradizione italoalbanese accanto alle vestigia archeologiche di diverse

Falco pellegrino



Sport estivi e invernali Per la sua conformazione, la Calabria offre possibilità infinite agli amanti degli sport, anche di quelli la cui pratica richiede, oltre a condizioni particolari, impianti ben attrezzati.

Nella pagina precedente Windsurf a Punta Pellaro

La montagna

La Calabria regala d’inverno maestosi paesaggi innevati, con strutture ricettive in grado di competere con blasonate località sciistiche. I centri principali del Pollino, della Sila e dell’Aspromonte accolgono tutto l’anno i turisti che fanno della montagna la loro meta di vacanza. Lorica, che a 1315 m slm si affaccia sul lago Arvo, in località Cavaliere, offre piste da sci che ne fanno una delle mete turistiche più ambite, per la possibilità di praticare lo sci alpinismo e lo sci escursionismo, il bob e lo snowboard. La stazione sciistica di Ciricilla, nel comune di Taverna, dispone di sciovia e pista di 2000 m percorribile anche dai meno esperti. Quello che contraddistingue la località appenninica sono le condizioni ideali per lo sci nordico, grazie a due anelli per complessivi 25 km, con le piste di fondo Buturo e Tirivolo accessibili a esperti e non. Vi sono inoltre una pista coperta di pattinaggio su ghiaccio e una di bob artificiale su scivolo d’acciaio, la prima del genere in Italia. A 1300 m d’altitudine e a breve distanza dal lago Cecita, Camigliatello Silano, nel comune di Spezzano della Sila, è dotata di impianti di risalita, piste da sci e di una nuovissima ovovia. È possibile sciare su due diverse piste (blu e rossa), entrambe con innevamento programmato.

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sport estivi e invernali

Gambarie d’Aspromonte

Palumbo Sila, nei pressi di Cotronei, si affaccia sul lago Ampollino, alle pendici del monte Gariglione. È un vero e proprio villaggio turistico a ridosso delle piste di sci, dove si può anche pattinare all’interno del palaghiaccio e destreggiarsi con canoa e kayak. Dispone di una seggiovia, 2 skilift e sette piste di diverso impegno. La stazione sciistica La Pagliara sulle pendici del monte Scuro a 1633 m slm, è provvista di un nuovo impianto di seggiovia biposto con portata oraria di 800 persone per piste di due chilometri, l’unico dotato d’illuminazione per lo sci notturno. L’impianto comprende un anello per lo sci di fondo lungo 15 km. La località montana di Carlomagno, nel cuore della Sila, è meta di un turismo attratto dalle ampie possibilità di praticare fondo e sci estremo su tre anelli a 1500 m slm, tra conifere e panorami mozzafiato sulle sottostanti vallate. I tracciati fuoripista sono l’ideale per i più spericolati snowboarder. Gambarie, a quota 1360 m nel comune di Santo Stefano in Aspromonte, è un centro turistico montano noto per la pratica dello sci già negli anni ‘30, che offre il relax di passeggiate nei boschi, escursioni su ben 200 km di sentieri segnati, da perlustrare a piedi, a cavallo, in mountain bike e in inverno con racchette o sci da fondo, ed ancora birdwaching e visite all’interno del Parco Nazionale. Le sei piste da sci, di diversa difficoltà, sono servite da due seggiovie biposto e skilift. L’intero impianto gode del supporto di

un moderno sistema d’innevamento artificiale che assicura il protrarsi della stagione sciistica sino a primavera inoltrata. L’abbondanza di percorsi consente la pratica dello sci estremo, le emozioni dello sci alpinistico ed escursionistico e per gli snowboarder percorsi sempre nuovi da esplorare.

Dal rafting al parapendio

Lasciamo le piste innevate per indicare alcune pratiche sportive che negli ultimi anni stanno registrando crescente gradimento. Il rafting è pratica diffusa sul fiume Lao, che propone uno dei più turbinosi itinerari di tutta Italia. Qui si può praticare l’hydrospeed, con istruttore ed attrezzatura sul posto. ll canyoning puó diventare sport estremo in condizioni metereologiche particolari, ma il fiume Lao da Laino Borgo resta percorribile anche nei mesi estivi in canoa e kayak. Sempre nel cuore del Pollino, rafting d’autore tra i canyon e le cascate delle Gole del Raganello nel comune di Civita. Chi ama arrampicarsi sulle rocce (climbing) può fare riferimento ai siti attrezzati nel territorio di Orsomarso, con istruttori esperti certificati dalla Federazione Arrampicata Sportiva Italiana del CONI. Sorgenti cristalline e ruscelli, cascate, canyon, boschi centenari e laghi fanno della Calabria uno dei paradisi per gli appassionati di trekking. Sono così tanti gli itinerari e i percorsi offerti che


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è impossibile farne un elenco anche parziale. Si può giusto segnalare la vallata del fiume Argentino, la fiumara dell’Amendolea, il torrente Vitravo, le cascate del Menta, lo Zomaro, Motta S. Aniceto, la valle delle Grandi Pietre (monoliti nel comune di San Luca con la mitica Pietra Cappa) ed ancora il varco del Palombaro a San Sosti, la grotta del Romito, il passo della Limina, Mongiana (vedi Parchi e aree protette). Deltaplano e parapendio rappresentano la realizzazione di uno dei sogni primordiali dell’umanità. Escursioni con voli turistici in parapendio biposto e deltaplano possono essere effettuate in diverse località, quali Scalea, Pizzo Calabro, Nicotera, Palmi e Bagnara.

Rafting sul fiume Lao


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Artigianato Un patrimonio di saperi e metodiche antiche, una risorsa di eccellenza che non è mai venuta meno, da riscoprire e valorizzare.

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ai Bretti ai Greci sino agli ultimi dominatori, le foreste della Sila e dell’Aspromonte hanno fornito il legname necessario per la costruzione di fortificazioni, palazzi, luoghi di culto, villaggi, flotte, armi e altro ancora. Con il legno dei boschi silani sono stati realizzati, fino a tutto l’Ottocento, arredi sacri per le chiese calabresi e non solo; ancora oggi gli intaglitori ed ebanisti della scuola di Rogliano sono molto attivi e apprezzati.


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U

n discorso a parte meriterebbe il legno di ulivo lavorato a mano, con cui vengono prodotti pezzi rari, resi unici dall’aroma, durata e dal loro straordinario aspetto. Il ciocco, ricavato dalle radici dell’erica arborea, è il materiale base per la produzione di pipe , una delle attività artigianali tradizionali più antiche ancora oggi universalmente celebrate, con pezzi unici per raffinatezza ed eleganza, ricercati dai più sofisticati cultori del genere e dalle più rinomate aziende specializzate del mondo. Altro punto di eccellenza è l’ arte degli strumenti musicali , con i liutai di Bisignano, l’artigianato delle chitarre di Delianuova, del tamburello, dell’organetto, dell’antica lira risalente alla civiltà magnogreca e delle zampogne di San Giorgio Morgeto, mentre a San Luca e Platì è ancora attiva la creazione degli zufoli in canna, che vede a Sant’Onofrio un’antica bottega organaria. I fratelli De Bonis di Bisignano, discendenti di un’antica famiglia di liutai, realizzano pezzi unici per qualità dei legni, proporzioni, colle e soprattutto per una vernice - la cui composizione è un segreto gelosamente custodito - che non influisce sulla vibrazione dello strumento. Fin dalla sua istituzione, all’antica bottega si sono rivolti i più grandi musicisti di tutti i tempi. Molto originali il mandolino ad arpa e la chitarra battente, tipica della regione, frutto di un’arte sapiente per la tutela della quale è stata istituita proprio a Bisignano la Scuola regionale di liuteria.


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Artigianato

Più che un accenno merita la cosiddetta arte dei pastori , ancora attiva nella Sila Greca ma diffusa in tutti quei centri dove si conservano memorie ancestrali sulla produzione di oggetti e utensili di uso comune: cucchiai, ciotole, bastoni intarsiati e altri manufatti. Notevole la produzione di mobili e porte intagliate, realizzate soprattutto in castagno, e quella delle sedie impagliate. I seggiari - famosi quelli di Serrastretta e Castelsilano - continuano a fabbricare con estrema cura i telai e ad intrecciare, per l’impagliatura, i fili di vuda, pianta ormai quasi introvabile che cresce solo in prossimità di paludi. Adeguatamente trattata, la vuda fornisce un filo di grosso spessore che, sapientemente maneggiato, consente la creazione di disegni molto complessi. L’ arte del vimini consiste nella manifattura di panari, merguliddi, cistielli in piccole fabbriche di cestai a conduzione familiare a Cosenza, Soriano Calabro, San Giorgio Morgeto, Delianuova, Vibo Valentia, Polistena. La ceramica artistica si esprime con una simbologia legata alla mitologia e alla magia degli antichi popoli che qui hanno messo radici, ed è certamente unica per la qualità delle argille locali, che le conferiscono uno speciale cromatismo, e gli arcaici processi di lavorazione. A Bisignano continua la tradizione millenaria delle terrecotte smaltate, caratterizzate dalla vernice gritta usata per la decorazione, con gli originalissimi giallo e verde che ormai costituiscono un vero e proprio marchio di fabbrica.

Opera del maestro Paolo Condurso, Seminara


Pentedattilo, opera in terracotta realizzata dal laboratorio artigianale “Arghillà”

Molto richieste le riproduzioni, create da abili mani, di pastori in ceramica, alcuni anche animati e con abiti in tessuto, eseguite a Tropea e nel circondario. In tutta la regione, nelle botteghe dei ceramisti di Altomonte, Belcastro, Squillace e Palmi, solo per citare alcuni dei centri più attivi, si modellano al tornio contenitori per acqua, vino e olio, quartare e lucerne, salaturi e cuccume, tegole e vasi di diverse fogge. Celebri le maschere apotropaiche in cui si riconoscono le espressioni più classiche del teatro greco e i cosiddetti babbaluti, ovvero bottiglie la cui parte superiore ha le sembianze del cattivo di turno: il Saraceno, lo Spagnolo, il Borbone. Uno dei centri più attivi è Seminara, famoso ben oltre i confini regionali per la produzione di manufatti, maschere e babbaluti di matrice magnogreca. L’arte della tessitura e del ricamo è tra le più diffuse e radicate di tutta la regione, dove un tempo in ogni casa c’era un telaio e le madri praticavano i segreti della filatura e del ricamo, soprattutto per confezionare la dote nuziale. Ancora oggi vengono tessuti i drappi serici a Catanzaro, Feroleto Antico e San Pietro Apostolo. Notevoli i ricami a tombolo di Tiriolo e gli scialli (vancali) in seta o in lana, a fondo nero con fasce coloratissime; gli arazzi e le coperte a telaio e ricamate di Longobucco; i tappeti di ispirazione orientale di San Giovanni in Fiore; i costumi tradizionali delle donne di Firmo, Lungro, Spezzano Albanese, la fusione fra tradizione e design promossa dal più antico opificio della Calabria a Soveria Mannelli, un’azienda-museo che usa antichi impianti e telai per produrre tessuti e manufatti di gusto contemporaneo. I damaschi



gastronomia gastronomia

L

La cucina calabrese, punto di sintesi della scuola napoletana e siciliana, anche grazie alle particolari produzioni del territorio, offre una notevole eterogeneità di preparazioni e tipicità.

a tradizione risente ancora oggi della contaminazione di elementi propri del mondo greco e romano, con significativi innesti da parte di Arabi e Normanni, Spagnoli, Austriaci e Francesi, Turchi ed Albanesi, di usanze ebraiche e del quaresimale cibo dei monasteri. Il risultato, anche per l’accorto uso di spezie, è una cucina forte e gustosa, avente come base comune ingredienti semplici ma ricchi di sapori decisi, completata da un un’arte dolciaria esaltata dalle suggestioni visive e aromatiche d’Oriente. Tra le produzioni tipiche che vedremo più nel dettaglio in seguito, si annoverano la ‘nduja di Spilinga, la rosamarina di Crucoli, la cipolla rossa di Tropea, il murseddhu di Catanzaro, il pecorino del Poro, il caciocavallo silano, il butirro, il bucchinotto di Mormanno e il tartufo gelato di Pizzo, il pomodoro di Belmonte, il cedro di Diamante, le clementine della Piana di Sibari e il bergamotto del reggino, il pane di grano, il passito e il Mantonico di Bianco e di Saracena, la bottarga e il tonno rosso, la produzione degli oli extravergine d’oliva D.O.C. e D.O.P. che interessa tutto il territorio regionale. Per quanto riguarda i primi piatti, i maccarruni ‘i casa e la fileja sono paste fatte a mano con farina di grano duro e girate attorno a un giunco per dare la particolare forma. Le preparazioni tipiche includono ‘a pasta ‘ncasciàta (maccheroni conditi con ragù, salumi, uova sode, caciocavallo e melanzane fritte), la posa di fagioli,

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gastronomia gastronomia

i bucatini con il pesce stocco, la zuppa ‘i cipudduzzi con pane e cipolle selvatiche. E ancora ‘i friscatuli gioiesi (a base di broccoli, sugna e polenta), pasta e patate al forno alla cosentina e brodo chjino con uovo e pecorino, i cannaruozzi ‘ncipuddhati, pasta col finocchio selvatico, struncatura c’a muddica e alici o bottarga, i gustosi scialateddi alla cirotana e ‘u màccu (macco), fave bollite ridotte a purea condite con olio e finocchietto selvatico. Una vasta scelta riguarda i piatti unici e le pietanze come le frittole (cotenna, interiora e parti callose del maiale bolliti nel grasso dell’animale) e i curcuci; il soffritto alla crotonese (a base di interiora di maiale, cipolla e peperoncino), l’aspromontano suffrittu con interiora di manzo, agnello, capretto e maiale; i bucalàci (lumache), la cervellata e la stigghiolata. Per gli ovini, la capra bollita con cipolle, sotterrata e cotta sui carboni ardenti nella sua pelle rovesciata, agnello e capretto, il soffritto d’interiora. Vanta numerose ricette il pescespada, pescato sulle coste del basso Tirreno da aprile a giugno. Il pesce stocco o stoccafisso, in


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particolare quello di Mammola, considerato tra i piatti di maggior rilievo della gastronomia calabrese, viene cucinato in vari modi: con funghi, con fagioli, crudo con olio, limone e prezzemolo, arrostito o al sugo, fritto e con patate, come ripieno di ortaggi e ravioli. Particolari i ventricelli di stocco ripieni, un vero e proprio peccato di gola. E ancora il tonno e la sardella (pasta cremosa a base di sarda o bianchetto con sale, peperoncino e spezie varie). Grande spazio al pesce azzurro con le costardelle al sugo o fritte, le alici, la spatola. La produzione tipica di ortaggi, legumi e verdure, comprese le conserve, include l’asparago selvatico di Calabria, broccoli di rapa, cicorie selvatiche sott’olio, il fagiolo di Caria e poverello, ceci abbrustoliti (càlia), i funghi di Giffone e i porcini silani anche sott’olio, germogli di pungitopo e melanzane sott’olio, olive alla calce, in salamoia, infornate, schiacciate e sotto sale, origano, panicilli, pa-

tata della Sila, peperoncini piccanti, ripieni e sott’olio, il peperone roggianese, i pomodori secchi, ripieni e sott’olio. Varie le portate a base di questi prodotti, come i cardi fritti, finocchi stufati, rape saltate, zucchine in agrodolce, insalate d’agrumi, peperonate e caponate varie, le melenzane alla parmigiana, ripiene e a polpette, peperoni ripieni, peperoni essiccati che vengono fritti così da risultare molto croccanti, la peperonata. Come si nota, in Calabria si conserva di tutto: dalla carne di maiale in budello (soppressate e capicolli) ai pomodori secchi, le melanzane sott’olio, le olive e i capperi, i carciofini, i funghi porcini e le gallinelle, i cardoncelli e i peperoncini. L’arte di preparare creme e salse proviene dalla tradizione casalinga di rielaborare e aggiungere sapore agli alimenti più poveri e semplici. Se dire bottarga è dire Pizzo Calabro, dire sardella è dire Crucoli, anche se Amantea, Cariati, Cirò e Trebisacce rivendicano eguale attenzione. La sardella o rosamarina o caviale calabrese, è la più piccante, saporita, straordinaria conserva ittica del Mediterraneo, una preparazione dal gusto forte che nasce dal matrimonio, quanto mai riuscito, tra la neonata di sardine, peperoncino e aromi selvatici. Con i formaggi, l’eccellenza si ha con il pecorino crotonese, del Monte Poro e del Pollino, il caprino della Limina e la ricotta di capra affumicata di Mammola, la ricotta affumicata del crotonese, il ricottone salato e le ricottelle salate ed essiccate da grattuggiare. Tutta l’arte casearia trova una sintesi nel caciocavallo silano, in origine



Cosenza Cosenza

e la sua provincia


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COSENZA


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La città dei Bruzi sorge a 238 m di altezza tra le catene montuose paolana e silana. La città antica si trova sulla riva sinistra del Crati, separata dalla parte moderna dal fiume Busento.

Veduta del centro storico e la statua di Bernardino Telesio in piazza XV Marzo

I Bruzi avevano scelto Cosenza come propria capitale dandole il nome di Consentia o Cosentia, dal consenso espresso da tutte le città del Bruzio nel 356 a.C. Nel 204 a.C. occupata dai Romani, diviene un’importante stazione della via Popilia che collegava Reggio a Capua. Nell’VIII e IX secolo è un gastaldato longobardo, poi passato sotto il dominio dei Bizantini che non riescono a proteggerla dai saccheggi saraceni. Con la monarchia normanno-sveva la città viene

ridisegnata dal punto di vista urbanistico dopo il rovinoso terremoto del 1184. Verrà completato il duomo, consacrato nel 1222 alla presenza dello stesso Imperatore che in quell’occasione, secondo la tradizione, donerà all’arcivescovo la famosa Stauroteca, preziosa croce reliquario. Il dominio angioino segna un momento particolare per Cosenza, che viene abbellita, ampliata e beneficiata da particolari privilegi. Nel XV secolo la città primeggia nel campo del diritto e delle scienze umanistiche. Possiede una propria cartografia, conosce l’arte della stampa, darà vita a due celebrate Accademie: la Parrasiana, fondata dall’erudito Aulo Giano Parrasio, e l’Accademia Cosentina, diretta filiazione della


COSENZA

la città

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Chiesa di San Francesco d’Assisi

Pagina seguente Palazzo dell’Accademia e della Biblioteca Civica, sullo sfondo il castello svevo

prima, grazie al filosofo Bernardino Telesio, definito il “Primo degli Uomini Nuovi” per la rottura con l’aristotelismo imperante. Comincia poi un periodo buio, scandito dal sisma del 1638, dalla peste del 1656, dalla carestia del 1671 e da una nuova pestilenza del 1764. Nel frattempo il Viceregno spagnolo cede il posto al dominio austriaco. Nel 1734 Carlo di Borbone conquista il trono di Napoli; intanto anche a Cosenza cominciano a insinuarsi le idee della Rivoluzione Francese, anche se la resistenza cosentina non riesce a fronteggiare il cardinale Ruffo, che riconquista il trono. Nel 1820 la città vive i primi Moti carbonari, la prima Costituzione e gli effetti disastrosi di una tremenda carestia. Nel 1844 gli entusiasmi del

Regno Italico Costituzionale s’infrangono nella più dura repressione e nella condanna a morte dei fratelli Bandiera, fucilati nel 1844 presso il Vallone di Rovito. Un monumento commemorativo ricorda i due eroi veneziani. Il terremoto del 1854 provoca lutti e miserie. Dal secondo conflitto mondiale alla fine degli anni ‘50, la città conosce un grande mutamento urbano: lo spopolamento del centro storico e la nascita di una nuova Cosenza al di là dei fiumi. Il cuore del centro storico custodisce i giardini pubblici, o Villa vecchia, il monumento a Bernardino Telesio e il Monumento ai Martiri del 1844 in piazza XV Marzo, su cui affaccia il Teatro Rendano, edificato alla fine dell’800 e ricostruito nello stesso stile neoclassico. A seguire il


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Catanzaro Catanzaro e la sua provincia


Catanzaro

la città

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C

apoluogo della regione e suo centro amministrativo e politico, si sviluppa su tre colli solcati dai torrenti Fiumarella e Musofalo. Il territorio comunale ha un’estensione che raggiunge i 600 m slm, incontrando verso nord il confine visivo della catena montuosa della Sila Piccola. Sull’origine della città sono state avanzate diverse ipotesi; la più attendibile fa risalire la prima fondazione all’epoca bizantina, tra il IX e il X secolo. Lo confermerebbe il toponimo Greca con il quale viene indicato un quartiere del centro storico in cui è possibile rinvenire la maglia viaria con l’arteria principale dell’antica via Mesa che, attraversando il castrum, collegava le porte urbiche maggiori. La storia di Catanzaro è simile a quella di gran parte degli insediamenti calabresi quando, soprattutto in età alto-medievale, inizia il fenomeno dell’ incastellamento, che si inquadra nella più generale ripresa italiana ed europea intorno all’anno Mille; nel territorio avrà grande incidenza con l’occupazione normanna, che tenderà a rafforzare le strutture difensive dei castra bizantini. Le poche testimonianze del castello-fortezza eretto dai Normanni, presumibilmente su preesistenze bizantine, sono visibili all’interno del complesso di S. Giovanni, in origine il punto più estremo e più alto dell’insediamento e, in seguito, della città fortificata. Tracce della presenza araba prima dei Normanni sono state individuate nella trama urbana di alcune aree del centro e in

rinvenimenti di iscrizioni che confermerebbero l’ipotesi dell’istituzione di un emirato. Il periodo normanno-svevo fu tra i più floridi per la fioritura di arti e mestieri, in particolare la lavorazione della seta, che aprì la città a importanti scambi commerciali, determinandone la crescita economica e urbana. Nel 1445 diviene città demaniale e nel 1528 Carlo V le conferirà il titolo di “Fedelissima” per essersi difesa dall’assedio francese. Un periodo prospero che dura sino al 1668, quando una grave pestilenza si abbatte sulla città, già in fase di decadenza economica a causa dalla forte pressione fiscale e dall’incauta amministrazione della Corona spagnola. Il terremoto del 1783 fu anche per Catanzaro un evento tragico, che portò alla distruzione di una parte considerevole del patrimonio architettonico. Il periodo napoleonico diede inizio a una fase di rinascita che proseguì durante il regime borbonico, quando fu elevata a capitale della Calabria Ulteriore. L’importanza che stava assumendo come capoluogo, determinò l’esigenza di una nuova pianificazione urbanistica, affidata al piano regolatore del 1864. Questo prevedeva il tracciato di un’asse principale, l’odierno corso Mazzini che, dal complesso di S. Giovanni sino alla chiesa di S. Francesco di Paola, in prossimità della zona panoramica di Bellavista, divide l’area del centro storico, che conserva l’impianto medievale originario.


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Piazza Matteotti

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Tribunale

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Fontana del Cavatore

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Piazza Duomo

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Museo Provinciale

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Biblioteca

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Teatro Masciari

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Convitto Nazionale

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Parco della BiodiversitĂ

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Catanzaro

Fontana del Cavatore e complesso monumentale di San Giovanni

Piazza Matteotti è il cuore della città; qui prospetta la facciata neo-manierista del palazzo del Tribunale, mentre la fontana monumentale Il Cavatore, scultura in bronzo dell’artista calabrese Giuseppe Rito che celebra i lavoratori, occupa un lato del complesso di S. Giovanni, oggi importante polo espositivo gestito dall’Amministrazione comunale. Edificato a partire dal XV secolo sui resti del castello normanno, ospitò prima la Congrega dei Bianchi di Santa Croce e successivamente i padri Teresiani Scalzi, i quali costruirono un convento adiacente all’originaria chiesa di S. Giovanni, con facciata tardo-cinquecentesca rimaneggiata nel corso dei secoli, arricchita nell’Ottocento da una doppia scalinata. La nicchia sovrastante il portale accoglie una statua seicentesca del Battista, di scuola napoletana. La piccola chiesa bizantino-normanna di Sant’Omobono è attigua al settecentesco palazzo Ferrari, con portale lapideo a motivi ornamentali, mentre su corso Mazzini, l’imponente edificio del Convitto nazionale “P. Galluppi”, edificato sul sito


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dell’antico Collegio dei Gesuiti, e il palazzo in stile eclettico della Prefettura, costituiscono le quinte di piazza Rossi, dove sorge la chiesa dell’Immacolata. L’interno ha stucchi settecenteschi, altari in marmi, opera anche dei napoletani G. e S. Troccoli, statue e tele di rilievo come la seicentesca Immacolata. Nei pressi della chiesa si notano i palazzi Longobucco, Menichini e Mancusi, caratteristici per i decori dei portali lapidei. In posizione leggermente elevata si estende la zona del duomo, contraddistinta da edifici ottocenteschi come palazzo Grimaldi, con doppia fascia di balconi dalle ringhiere in ferro battuto e i settecenteschi palazzo Marincola e palazzo Cavallo-Schipani. Palazzo Alemanni è un grande edificio a corte centrale e portale in granito con imponente scalone decorato. La chiesa del Monte dei Morti e della Misericordia, fondata nel ‘600 e riedificata nel 1715, custodisce due cantorie lignee ai lati dell’altare maggiore, con icona in stucco contenente una tela settecentesca napoletana della Madonna del Suffragio. Non lontano è il monastero di S. Maria della Stella, edificio cinquecentesco danneggiato dal terremoto del 1783, al cui interno si conser-

vano un altare e un organo in legno con dorature e decorazioni floreali. Nell’area gravitano la chiesa della Maddalena, la chiesa di S. Rocco, chiesa e convento del Rosario, costruzione quattrocentesca rimaneggiata, come si evince anche dalla facciata in stile neorinascimentale. L’impianto si compone di otto cappelle intercomunicanti, impreziosite da altari marmorei e tele di rilievo, come la Madonna del Rosario e dei Misteri, opera del 1615 attribuita a Dirk Hendricksz. La cattedrale di S. Maria Assunta conserva l’impianto basilicale dell’originaria struttura normanna. Nella prima metà dell’800 venne riedificata in stile neoclassico; in seguito ai bombardamenti del 1943 che causarono la perdita della torre campanaria, l’edificio fu quasi completamente ricostruito con facciata “a torre” che svetta sull’agglomerato del centro storico. Tra le testimonianze artistiche di rilievo, una Madonna con Bambino, opera marmorea datata 1595; una tela settecentesca di scuola napoletana raffigurante la Madonna Assunta e alcune statue. È annessa al vicino palazzo Episcopale. Attraverso i vicoli che conducono verso l’antica

In alto Piazza Matteotti Chiesa del Monte dei Morti e della Misericordia, particolare della facciata Altare della chiesa dell’Immacolata



Reggio Calabria Reggio Cala e la sua provincia


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REGGIO CALABRIA



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REGGIO CALABRIA


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Nella pagina precedente Statua di Athena del monumento a Vittorio Emanuele III sul Lungomare Particolare del mosaico della Cappella Maggiore del Seminario arcivescovile

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urono i Calcidesi provenienti dall’isola greca di Eubea su indicazione dell’oracolo di Delfi che, sbarcati sulle coste nel 730 a.C., sottomisero le popolazioni autoctone e fondare Reghion, da sempre prospera per la sua posizione strategica. Nel corso del III secolo a.C. fu alleata di Roma e ne accolse usi e costumi, pur conservando a lungo l’uso della lingua greca. Importante base navale, partecipò alla Prima guerra punica e fu attaccata dai Cartaginesi guidati da Annibale nel 211 a.C. Divenne città federata con il nome di Rhegium. Nell’89 a.C. fu municipium romano con il nome di Rhegium Julium, e in questo periodo si arricchì di sontuose architetture, palazzi, ville e edifici termali. Con la caduta dell’Impero romano, vi giunsero gli Ostrogoti, finché a metà del V secolo Bisanzio ne assunse il controllo facendo tornare Reggio al suo antico splendore. Mori, Bizantini, Normanni (che la designano capitale della Calabria), Svevi, Angioini, Aragonesi, Austriaci, Spagnoli, Francesi e Borboni combatterono per la città e il suo dominio.

Dopo il disastroso terremoto del 1783, la città si espande. Con l’Unità d’Italia scompaiono le porte e la cinta muraria per lasciar posto a un’estensione urbana incontrollata fino al 1908, quando un devastante sisma provoca danni incalcolabili risparmiando solo resti di epoca romana, parte del castello e alcune chiese e palazzi. Il piano De Nava, predisposto nella fase di ricostruzione successiva al sisma, prevedeva l’ampliamento dell’impianto a scacchiera, la realizzazione del Lungomare e, soprattutto, l’edificazione con tecniche antsismiche. Oggi Reggio è nota come la città dei Bronzi,



Crotone Crotone

e la sua provincia

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Posta sul versante orientale della regione, è capoluogo di provincia dal 1992. Le sue origini risalgono al 710 a.C., quando coloni Achei vi fondarono un primo insediamento denominato Kroton, destinato a diventare uno dei centri più importanti della Magna Grecia, espandendosi a sud sino a Locri e, in seguito, a Sibari. Nel 532 a.C., Pitagora di Samo scelse Crotone come sede della sua scuola filosofica aperta agli influssi d’Oriente. La città diede i natali al campione olimpico Milone ed ai medici Democede ed Alcmeone (IV-V sec. a.C.).

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a sua storia si intrecciò con quella di Roma che, nel 277 a.C., la assoggettò al proprio dominio, avviandone il declino. In epoca bizantina costituì un importante centro strategico per le guerre tra Goti e Bizantini; con l’avvento degli Angioini, nel 1284, fu ceduta in feudo ai Ruffo, che nel 1390 elevarono il feudo a marchesato. Durante il viceregno spagnolo, a causa delle incursioni turchesche, vennero rafforzati il castello e la cinta muraria, divenendo importanti baluardi difensivi del versante jonico. Per la sua importanza strategica, venne potenziato anche il porto, fattore che contribuì a dare impulso alle attività di scambio. Dal nucleo più antico della città, costituito da una fitta trama di vicoli stretti, emerge l’imponente

Il castello di Crotone e la cattedrale


CROTONE

la città

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La cattedrale di Santa Maria Assunta e la cappella di San Dionigi

Nella pagina seguente Piazza Pitagora

Portale di palazzo Lucifero

mole del castello, a pianta poligonale con torrioni cilindrici angolari (vedi Castelli e fortezze), oggi sede della Biblioteca comunale. Un ponte lo collega a piazza Castello, sulla quale prospettano palazzo Barracco, che si sviluppa attorno a una corte, e palazzo Morelli, risalente alla fine del Settecento. Dello stesso periodo palazzo Lucifero, ristrutturato nell‘800, con balconi sorretti da mensole bulbiformi e portale in pietra con stemma nobiliare. In asse con il castello, la cattedrale di S. Maria Assunta, ricostruita tra il 1508 e il 1523. La maestosa facciata con tre portali, affiancata da una torre campanaria, venne eretta nel ‘700 e successivamente rimaneggiata. La sua notorietà è dovuta alla Madonna di Capo Colonna, opera bizantineggiante risalente al XV secolo circa, ma di interesse risultano anche le tele settecente-

sche, in particolare la rappresentazione della Visita di Gesù ai dottori e S. Dionigi, e un busto seicentesco dello stesso Santo che occupa l’altare della cappella a lui dedicata. Al XVIII secolo appartengono la cantoria con organo, il coro ligneo dell’abside, i confessionali e gli stipi della sacrestia, decorati da capitelli e cimase dorati. Attigui alla cattedrale, il cinquecentesco palazzo vescovile e il quartiere della pescheria, in cui si alternano ruderi di antichi edifici e piccole unità abitative; palazzo De Mayda, rifatto alla fine del ‘700, con tracce di costruzioni precedenti, e palazzo Grimaldi, di cui rimangono pochi elementi superstiti, come la balconata d’angolo sorretta da mensole. Altri edifici significativi sono la chiesa dell’Immacolata, probabilmente risalente all’inizio del XVII secolo, riconfigurata in forme barocche nella


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Vibo Valentia Vibo

e la sua provincia

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ondata dai Greci con il nome di Hipponion, divenne colonia romana nel 192 a.C., assumendo la denominazione di Valentia (vedi Parchi archeologici). In età bizantina fu potenziato il sistema difensivo della città per fronteggiare gli attacchi dei Saraceni che, intorno al X secolo, la rasero al suolo. Federico II di Svevia la ricostruì col nome di Monteleone. La posizione strategica del centro, attraversato dalla via Popilia, antica arteria romana, e collegato al porto tirrenico di Bivona, era assicurata dalla presenza del castello che dominava il golfo di Sant’Eufemia e permetteva il controllo di una vasta area dell’entroterra. Come sede episcopale è documentata già nel 465, sino a quando, nel 1073, Gregorio VII trasferì la diocesi a Mileto. A partire dal 1420 divenne

feudo dei Caracciolo, poi della famiglia Brancaccio e infine possedimento dei Pignatelli. Nel XIX secolo i Francesi la elevarono a capoluogo della Calabria Ultra; allo stesso periodo risale l’istituzione del Real Collegio Vibonese, l’odierno Convitto Filangieri. In epoca fascista, la città fu interessata da numerosi lavori pubblici, tra cui la costruzione di nuovi quartieri che hanno determinato le direttrici dello sviluppo urbano. La città si compone di un nucleo più antico sorto attorno al castello, imponente costruzione di epoca normanna, ampliata in età angioina e aragonese, caratterizzata da due torri angolari cilindriche e da una vasta corte interna (vedi Castelli e fortezze). Attualmente è sede del Museo archeologico nazionale “Vito Capialbi”, dove sono esposti reperti provenienti da siti archeologici

Sorge a 476 m slm, su un colle che domina la pianura di Sant’Eufemia e la vallata del fiume Mesima. Il nucleo di Vibo Marina rappresenta l’appendice costiera della città ed è dotato di un porto attrezzato e di strutture turistiche. Antica incisione di Vibo


itinerari

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Vibo Valentia Chiesa di Santa Maria Maggiore e San Leoluca e particolare del portale bronzeo di G. Niglia

del vibonese che integrano le collezioni Capialbi, Cordopatri e Albanese già in deposito al museo. Documentato il culto di Kore-Persefone da numerose tavolette votive chiamate pinakes. Degna di nota una preziosa laminetta aurea del V-IV secolo a.C. Il piano superiore contiene reperti protostorici e preistorici provenienti dalle necropoli di Briatico e Torre Galli. Nei pressi è possibile visitare il monastero di S. Chiara, rimaneggiato in epoca fascista, che conserva la chiesa tardo-cinquecentesca, come testimonia anche il portale lapideo. Palazzo Capialbi è contraddistinto da un avancorpo con balconata, che custodisce la ricca biblioteca privata dello studioso e archeologo vibonese. Chiesa di San Giuseppe

Non molto distante è il convento dei Padri Agostiniani, edificato nel 1423, gravemente danneggiato in seguito al terremoto del 1783, e rimaneggiato, che conserva un chiostro seicentesco. Nelle vicinanze si affaccia palazzo Sacco Romei, con il prospetto contrassegnato da un portale lapideo sormontato da balconcino con inferriata a petto d’oca, dal quale si accede a una corte aperta. Attraversato il palazzo Cordopatri, in stile tardo-settecentesco, che ospita una collezione archeologica del periodo greco-romano, si giunge al convento e chiesa dei Cappuccini fondati nel ‘600, che conserva brani di affreschi, una pregevole pala d’altare della seconda metà del XVII secolo e una Madonna con Bambino attribuita a Luca Giordano. Percorrendo le vie del centro storico, si osservano la chiesa di S. Michele, fondazione quattrocentesca ricostruita nel ’500, al cui interno, dopo recenti restauri, è stata allestita una raccolta di opere d’arte. Le case palaziate del centro sono abbellite dai


263 Interno del duomo e palazzo d’Alcontres

motivi ornamentali dei portali di epoca barocca, periodo a cui risale la costruzione del collegio dei Gesuiti, che si sviluppa attorno a una grande corte e il cui prospetto principale presenta un portale in pietra. La chiesa annessa al collegio è impreziosita da altari marmorei, con opere pittoriche di artisti soprattutto settecenteschi. La chiesa del Carmine, a pianta ellittica coperta da cupola, presenta opere risalenti al XVIII secolo. Infine palazzo Gagliardi, sul cui retro si estende un grande giardino, con percorsi, ninfei e costruzioni porticate. Recentemente restaurato, è destinato a diventare polo culturale della città. Nei pressi sorgono il complesso conventuale dei Minori Riformati, oggi sede del Convitto Filangieri, e la chiesa di S. Maria degli Angeli, a navata unica con cappelle laterali, risalente alla seconda metà del ‘600. Sull’altare maggiore è collocato il gruppo ligneo del Cristo degli Angeli; sono custodite inoltre due opere di seguaci di L.

Giordano raffiguranti L’Immacolata e una Madonna con Bambino, oltre a una statua lignea attribuita a M. Naccherino. Di rilievo anche le opere lignee seicentesche conservate nella sacrestia. Non molto distante si trova la chiesa di S. Maria di Gesù, detta la Nova, costruzione cinquecentesca, come si evince anche dal portale marmoreo, annessa al complesso conventuale dei Minori Osservanti. L’interno è ricco di opere pittoriche, come il ciclo di F. A. Coratoli raffigurante gli Apostoli, la tela dell’altare di Sant’Antonio attribuita a F. Guarino e la Presentazione al Tempio di Teodoro D’Errico. Alla fine di via P. Colletta si eleva il convento dei Minori Conventuali, con la chiesa del SS. Rosario, fondata nel 1284 e costituita da una sola navata, con coro quadrangolare coperto da volta a crociera. Nell’interno, decorato da stucchi e tele settecentesche, la cappella trecentesca della famiglia De Sirica. Nelle vicinanze si trova la sede del Conservatorio di musica “F. Torrefranca”, di antica tradizione. In piazza S. Leoluca domina la facciata del duomo, la chiesa di S. Maria Maggiore e S. Leoluca, compresa tra due torri campanarie. Eretta a partire dal 1680, ha una volta a botte con dipinti di E. Paparo. Di notevole rilievo artistico è il dossale d’altare marmoreo contenente tre statue di A. Gagini raffiguranti S. Giovanni Evangelista, la Madonna delle Grazie e la Maddalena, eseguite nel 1524. Sull’altare maggiore è la statua marmorea della Madonna della Neve di A. Caccavello. Considerevoli gli stalli lignei del coro e gli

Busto di S. Leoluca



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