Mino Reitano Oh, Salvatore! romanzo milanese
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Mino Reitano
Oh, Salvatore! romanzo milanese
Š2011 Iiriti Editore Via del Torrione, 31 89125 Reggio Calabria Tel. 0965.757780 www.iiritieditore.com info@iiritieditore.com ISBN 978-88-6494-064-9 Per gentile concessione della EDIZIONI VIRGILIO s.r.l.
INDICE
Prefazione . ............................................................................................................................................................ 7 Ringraziamenti .......................................................................................................................................... 13 Capitolo 1 ............................................................................................................................................................ 17 Capitolo 2 ............................................................................................................................................................ 29 Capitolo 3 ............................................................................................................................................................ 45 Capitolo 4 ............................................................................................................................................................ 59 Capitolo 5 ............................................................................................................................................................ 73 Capitolo 6 ............................................................................................................................................................ 97 Capitolo 7 ........................................................................................................................................................ 127 Capitolo 8 ........................................................................................................................................................ 137 Capitolo 9 ........................................................................................................................................................ 167 Capitolo 10 .................................................................................................................................................... 177 Capitolo 11 .................................................................................................................................................... 195 Capitolo 12 .................................................................................................................................................... 211 Capitolo 13 .................................................................................................................................................... 229 Capitolo 14 .................................................................................................................................................... 247 Capitolo 15 .................................................................................................................................................... 267 Capitolo 16 .................................................................................................................................................... 279 Capitolo 17 .................................................................................................................................................... 295 Capitolo 18 .................................................................................................................................................... 323
Prefazione
Il 1976 è un anno fondamentale della mia vita. Il 22 aprile nella chiesa parrocchiale di Saline corono il sogno d’amore con la mia Alba. Durante la cerimonia religiosa Mino Reitano, nostro padrino delle fedi, esegue con il suo magico violino l’Ave Maria di Schubert. Ma questo 1976 è anche l’anno della “scapigliatura” di Mino, certificata da una sortita letteraria sorprendente. Infatti “scapigliatura” sta per trasgressione, per divagazione sul tema, per avventura a tutto cuore. Con la mia giovane moglie trascorriamo alcuni giorni della luna di miele nel villaggio di Agrate Brianza, ormai regno indiscusso della famiglia Reitano. Una mattina Mino mi chiama e mi invita nella sua stanza. “Ti voglio confidare un segreto”, mi dice. Penso alla musica di una nuova canzone. E invece no, tira dal cassetto un voluninoso manoscritto. Lo coccola con gli occhi dolci e teneri come fa un bambino davanti a un barattolo di nutella: “Sto scrivendo un romanzo, ho la trama dentro da tempo, è una storia che sento mia. Piacerà”. Leggo 7
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qualche pagina. “Come va?”, sussurra. “Benissimo - gli rispondo -, la storia intriga, il ritmo della prosa incalza, avrà successo”. Mi abbraccia felice e mi rivela: “Sai, mi sta aiutando Maurizio Seymandi, che sin da subito ha approvato il progetto”. Seymandi era all’epoca un giornalista di “Tv Sorrisi e canzoni”, il settimanale più “in” (e forse lo è pure adesso) dello spettacolo. Il romanzo, pubblicato dalle edizioni Virglio di Milano, si è rivelato un successo non solo perchè Mino all’epoca era un cantautore sulla cresta dell’onda ma soprattutto per la qualità dell’opera che è stata tra le finaliste del “Premio Bancarella 1977”. Da apprezzare il nobile gesto di Gegè Reitano che, grazie all’intraprendenza di un giovane editore reggino, Leo Iiriti, entrato in punta di piedi ma con interessanti prospettive nel mercato milanese, ha deciso di ripubblicare “Oh, Salvatore!”, che rappresenta uno dei “gioielli” più cari di Mino. E proprio in coincidenza con l’uscita del romanzo (anno 1976 appunto), Mino incontrava l’amore della sua vita, Patrizia, che sposava poi in pompa magna il 9 marzo del 1977 nella chiesa di Agrate Brianza. Non è opportuno soffermarsi sulla trama del romanzo anche per non privare i lettori della sorpresa. Anticipo soltanto che si tratta (e non poteva essere diversamente) della storia di un emi8
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grante, nel quale Mino si rivedeva. In fondo la strada che lo ha portato al successo è stata sempre in salita, come la stessa vita dell’”uomo e la valigia”, sino a quando, questa indimenticabile “ragazzo di Fiumara” non ha trovato, assieme a tutta la sua famiglia, fissa dimora tra i fumi e le luci della ricca Brianza. “Oh, Salvatore!” è un romanzo da tenere in biblioteca o da leggere anche sotto l’ombrellone: è un’opera particolare, un gioiellino, che conferma le capacità di adattamento in più ruoli dell’immenso artista che, vittima in vita dell’ostracismo di una certa critica con la puzza sotto il naso, ha avuto il suo meritato riconoscimento solo dopo il 27 gennaio del 2009, solo dopo cioè che è volato tra gli angeli del cielo, ponendo fine alle sue sofferenze fisiche provocate dal terribile male. Non è stato però così per la gente, per milioni e milioni di persone che lo hanno sempre amato e seguito, sino a renderlo tra i nazionalpopolari più cari dello spettacolo e del costume del nostro Paese. Questa avventura letteraria di Mino è rimasta unica, per questo è preziosa. Il suo tempo era in gran parte dedicato alle sue principali professioni, che erano quelle di cantare, di comporre, di recitare. Ma non solo: Reitano è stato un artista a tutto tondo: cantautore, attore cinematografico (chi non 9
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ricorda “Povero Cristo” portato al successo alla Mostra internazionale di Venezia), protagonista di fiction, programmi televisivi. E proprio in tv si poteva misurare la sua straordinaria popolarità. Mino era l’autentico... ascensore dell’audience. Il “picco” di un programma coincideva quasi sempre con gli attimi della sua esibizione anche negli show condotti dal mostri sacri come Celentano e Morandi. Agli inizi della sua straordinaria carriera, nel 1962 ad Amburgo, si esibisce con il suo complesso composto in gran parte dai suoi fratelli, assieme ad un gruppo musicale di Liverpool che rivoluzionerà la musica leggera. Racconterà poi Mino: “Cantavo con i Beatles e non lo sapevo”. Allora, infatti, gli “scarafaggi” si chiamavano “Quorryman”. Familiarizzava con tutti ma John Lennon era diventato il suo migliore amico. Da artista famoso, festeggia il Capodanno 1974 a Miami, accanto a Frank Sinatra. “Ho avuto il grande onore di duettare con The Voice”, ripeterà commosso. Questi sono forse i due momenti più “particolari” dell’eccezionale percorso artistico di un uomo vero, di un testimonial unico della Calabria, di un personaggio generoso, che ha lasciato musiche e canzoni, interpretazioni cinematografiche, teatrali e televisive, che ha regalato concerti a folle oceaniche e che forse rivive in diversi passaggi della sua gran10
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de umanità in Salvatore, il protagonista del suo romanzo. Nella conclusione a lieto fine dell’opera, nel semplice ma sublime sogno d’amore tra Salvatore e Paola ci sono tracce profonde dell’indossolubile love story tra Mino e Patrizia perchè certe storie vanno scritte più con il cuore che con la penna. E Mino parlava sempre con il cuore in mano. Buona lettura. Tonio Licordari
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Ringraziamenti
Si ringrazia per educazione, per gratitudine, spesso soltanto per abitudine. Io ringrazio Maurizio Seymandi innanzitutto perchè mi è amico, e lo è a tal punto da sopportare il mio modo ossessivo e asfissiante di esserlo e manifestarlo. Ma io sono totale e assoluto nel darmi. Se questo libro c’è, se sono felice perchè c’è, se voi, dopo averlo letto e vissuto sarete soddisfatti, il merito sarà suo. Se non lo sarete, sarà colpa mia, che non l’ho curato come e quanto lui mi aveva indicato. Maurizio ha la fortuna di essere un ragazzo di 38 anni, di essere sposato, di avere tre figli e di essere contento di tutto questo. Io ho avuto la fortuna di essere stato adottato da lui per questo “romanzo milanese”. So che la mia adozione gli è costata pesanti sacrifici, perchè il suo lavoro di giornalista presso il settimanale più letto d’Italia, e cioè “TV Sorrisi e Canzoni”, e la sua attività di autore radiotelevisivo lo impegnano molto. Il povero Seymandi è stato quindi costretto a distrarsi faticosamente per coordinare l’opera prima di uno scrittore in erba...molto verde come il sottoscritto. Devo dire che mi ha coordinato senza farmelo troppo pesare e 13
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ricorrendo in continuazione alla sua inesauribile riserva di spirito e di umorismo. Grazie a questa sua insostituibile dote, è sempre riuscito a mantenere ben lubrificati i meccanismi della mia fantasia, a recuperarmi dai profondi stati depressivi in cui precipitavo, a darmi l’entusiasmo (e ce n’è voluto a tonnellate) per credere nell’impresa folle in cui mi ero imbarcato. Ma come, Mino Reitano, il cantante strappalacrime, lacrimoso lui stesso, il fratello di cento fratelli, l’autore di canzonette misericordiose, quel povero cristo con la faccia da emigrante in disgrazia, con gli occhi grandi da “terrone” sperduto, sempre spalancati a elemosinare il buon cuore del suo prossimo perchè compri il suo dischetto, lui, proprio lui, ha scritto un libro? Ma a chi la vuole dare a intendere? Chi c’è alle sue spalle? Fuori l’autore! So che molti punti esclamativi e interrogativi mi pioveranno addosso. Per questo ringrazio qui Maurizio Seymandi, che mi ha costretto ad andare a letto con la grammatica, a trascorrere i miei week-end con la sintassi, ad affrontare meno partite di calcio e più congiuntivi, a scegliere con cura oltre ai vini anche qualche lettura, a consolarmi per la fine di “Un disco per l’estate” e la conseguente tre giorni di Saint-Vincent con una visita alla libreria di Renzo Cortina. Con questo non voglio dire che mi abbia trasformato 14
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in un topo di biblioteca, ma mi ha fatto scoprire il piacere di leggere e la gioia di scrivere quello che si sente facendolo vivere in una storia. Grazie, Maurizio. Mino Reitano
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Capitolo 1
Aria stanca e rilassata del sud, una chiara domenica mattina, ancora sul presto, giugno in Calabria. Dentro, fra le mura spoglie dello stanzone rettangolare fitto d’ombra, Vincenzo, vecchio semianalfabeta che mugugna e si muove a scatti artritici, riordina senza entusiasmo, su vecchi tavoli, scritti, moduli, verbali, carte per lo più ingiallite e avvizzite. Qualcuna, Vincenzo tenta di leggerla, ci prova e ci pena, ma poi, regolarmente, rinuncia. «E scrivono e scrivono, parole, parole e parole, fatica di lettere per nessuno, cosa che a niente serve, solo a chi scrive, solo a chi si sfoga e poi, magari, si mettesse almeno tranquillo». L’occhio sbiadito gli sbanda verso la finestra quadrata e scorge, oltre il grigio fosco dei vetri (polvere appena rigata, all’esterno, dall’alto al basso, da sbaffi di pioggia recente) la piazza ancora deserta, di dove fuggono via, a rintanarsi nel buio, strettoie che sembrano troppe. Vicoli vuoti. Vincenzo brontola, biascica, una spalla gli sussulta nervosa, ma pensa sia ora di darsi da fare e con 17
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una scopa spelacchiata, a colpi superficiali e brevi, prova a ripulire il pavimento fra le seggiole di legno pieghevoli allineate, e a stracciare, su in alto, agli angoli del soffitto, qualche ragnatela. Quindi si ferma e si compiace, si guarda intorno e borbotta: «Adesso sì che anche quelli della cultura, puliti puliti, si possono accomodare. E parlare e parlare come gli pare. Tanto, asini siamo e asini resteremo. Ma quelli pensano che è col parlare che si accomoda tutto». Si fa sull’uscio, accende la mezza sigaretta scovata con le grosse dita nel taschino della giacca, e appoggiato alla scopa resta a osservare la piazza che a poco a poco si anima. Qualche bicicletta è in vista, qualche motoretta pure, una macchina e un furgone. Qualcuno arriva a piedi, chi solo, chi in gruppo. E tutti, prima di salire i quattro gradini e affrontare lo sguardo scettico di Vincenzo (che si è fatto da parte con dubbia umiltà), all’ingresso della palazzina di un rosa spento alzano gli occhi alla scritta che sovrasta la porta, lettere pennellate a bianco su fondo celeste: «Sezione locale Cultura Regione Càlabra». «Buondì cumpare». Chi apostrofa Vincenzo è un giovane bruno che gli parla con intenzione affabile, «Sempre in guardia, eh, anche il giorno di festa, e di mattino». 18
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«Altro che di guardia, picciotto, qui stiamo sempre a lavorare, e proprio per voi, che sapete soltanto parlare. Ce l’avete mica, piuttosto, una sigaretta sana?» «Ma che fumate a fa’, cumpare Vincenzo, alla vostra venerabile età?» risponde il ragazzo, ma intanto gli porge sorridente un pacchetto strapazzato di Nazionali, e il vecchio, svelto, ne approfitta subito. «Fatemi pure accendere, Salvatore. E poi alla mia età, sapete, l’unica cosa che tira è rimasta proprio la sigaretta. Anche questa mi volete levare?». Ma Salvatore già non lo ascolta più. È dentro, nello stanzone, tutto calato nei propri pensieri, mescolato alle persone di ogni età che sopraggiungono a riempire ogni spazio disponibile, bene ostentata un’aria di convinta concentrazione, se non d’importanza. Sulle facce di tutti, l’espressione più evidente è quella di una cocciuta serietà, che reprime i segni della sveglia forzata. Ma è la bandiera dell’impegno che domina o, perlomeno, che si sforza di dominare. Una sorta di maschera austera copre il viso dei convenuti, e li fa simili gli uni agli altri, compresi nel compito che li attende. A stanza colma, e solo allora, il vecchio Vincenzo se ne va, non senza aver prima cercato e trovato un sorriso, un saluto, un cenno di riscontro in ognuno dei presenti. Dopotutto – pensa – il me19
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rito di quella riunione è suo, quella stanza è sua: la cultura no, ma quella interessa pochi - e nemmeno buoni del tutto - secondo lui. «Non fate casino, picciotti» si raccomanda, allontanandosi ingobbito. Nicola Patritti, un omaccione dalla fronte bassa, i capelli ricciuti e forti quasi congiunti alle sopracciglia indivise, lo sguardo nero e brillante infossato sopra gli zigomi lucidi, prende la parola per primo e tutti se l’aspettano. «La Regione ha bisogno di noi e ci ha consultati, per questo siamo qui. Bene. Siamo in tanti e ve ne ringrazio. Perché la Regione Càlabra ha bisogno di noi? Perché è ora che la cultura dia una mano giusta alle cose ferme che ci circondano; smuova, solleciti, stimoli. E che sia più che opportuno, noi ne siamo convinti. Ma dobbiamo convincere gli altri. Dobbiamo mettere nella testa dei nostri compagni ...» «... e anche dei nostri amici, fratelli, parenti», interviene dal centro un giovane cattolico. «Come vuoi tu, compagno» gli risponde il Patritti, provocatorio e ironico, ma divertito. «L’importante è mettere nella testa della gente che imparando si va avanti, ignorando si sta fermi, e chi sta fermo non è che torna indietro, ma precipita fino in fondo, nei burroni del niente storico». 20
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«Ma alla Regione, e alla nostra sezione, quali mezzi sono stati dati per operare e fare? Perché la cultura è una bella parola, ma oggi tutto costa e la buona volontà, a stomaco vuoto, non funziona». L’intervento, calmo e preciso, è del giovane Salvatore. «Siamo qui per questo» ribatte Patritti «per studiare e proporre come distribuire cultura in modo da farla arrivare al maggior numero di persone, nella nostra zona soprattutto, s’intende. Abbiamo sufficiente autonomia per proporre soluzioni nostre, e se marciano, potrebbero essere riprese e adottate anche altrove. Oltretutto, è un’occasione per fare bella figura». Alle ultime parole di Patritti fa seguito un acceso bisbigliare di commenti e riflessioni. Sono in molti quelli che vogliono inserirsi nel dibattito, anche se la cosa più difficile è trovare un buon punto di partenza. Alla riunione sono convenute le forze più vive e giovani della zona, tutte in gara, come in vetrina, a misurare capacità, intuizioni, soluzioni, intelligenze, trovate. Salvatore ha un’idea precisa, ma decide di aspettare, di ascoltare prima gli altri. Così, china la testa sopra la sua idea, e aguzza le orecchie. Con voce fessa, ma impostata, chiede la parola Antonio La Cava, pallido, asciutto, capelli a spaz21
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zola: «Io sarei per la costituzione di un teatro stabile, o meglio, sì, forse meglio, semi-stabile. Potrebbe sorgere una compagnia composita, con elementi raccolti fra Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza, e appoggiarsi localmente a centri come il nostro. Un teatro che interessi i giovani, che li coinvolga, che li renda partecipi e protagonisti, attori e spettatori nello stesso tempo. Un teatro, almeno nelle intenzioni, moderno e vitale, che ci comprometta ed esponga, se necessario. Sarà indispensabile utilizzare anche compagnie professionali, allacciare rapporti altrove, imparare... L’importante è che il repertorio sia giusto per noi, che affronti argomenti e temi alla portata dei giorni in cui viviamo, e che ci aiuti a viverli meglio, cioè a capirli. Teatro, teatro, teatro: pensate alla nostra tradizione antichissima, alla Magna Grecia. È una tradizione che va resuscitata, magari con Brecht». «Cinema, cinema, cinema, scusa se mi butto così» si giustifica un signore sulla cinquantina, completamente calvo, «ma per me cultura oggi vuol dire soprattutto cinema. Fra l’altro, pare che sia uno strumento anche meno dispendioso e più pratico, di facile attuazione, e più popolare. Una rete di cineteche, non vi pare che con un po’ di buona volontà la si possa organizzare? Cultura è vita e il cinema (non tutto, ma il nostro lavo22
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ro sta appunto nel saper scegliere) cos’è se non vita, vita filtrata, pensata, pesata, rivissuta in termini attuali? E non si ha nemmeno l’impressione dell’impegno a tutti i costi, si evita la diffidenza preconcetta del pubblico quando sente parlare di cultura ...». Correnti precostituite e scelte del momento hanno già creato fazioni di sostenitori del progetto teatro e di quello sul cinema, quando chiede la parola Salvatore che, con lo sguardo fisso nel vuoto, senza perdere un intervento, fino ad allora ha tamburellato con le dita su un libro: «E il libro?» dice ad alta voce. «Stiamo dimenticando il mezzo più maneggevole, più facile da diffondere, fondamentale». «Ma il libro fa paura, occorre leggerlo» interviene un po’ ridanciano il sostenitore del cinema, al quale fanno eco i mormorii dei suoi simpatizzanti. «È proprio la paura che bisogna superare, sconfiggere» insiste Salvatore «perché è il libro l’inizio della cultura, e dunque è il libro che deve essere diffuso per primo; farlo diventare un’abitudine bisogna, una necessità, un bene di consumo quotidiano come la radio, la televisione, i giornali, che anche quelli mica si leggono troppo e bene». Le parole di Salvatore, per l’assemblea che ascolta, hanno valore anche per come sono dette. La convinzione che hanno dentro è sua, calda e au23
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tentica, e lui riesce a manifestarla agli altri senza farle perdere intensità e corpo. È categorico e pratico: «È di qui che si parte, dal libro. Come, in che modo, dobbiamo vedere e studiarlo insieme, una volta che lo si sia scelto come obiettivo prioritario». Nella stanza che la Regione Càlabra ha messo a disposizione degli attivisti locali della cultura, comincia a diffondersi un certo interesse per l’idea, convincente proprio perché elementare, suggerita da Salvatore. Il fatto che non sia ancora una proposta organica, un progetto articolato e compiuto, permette a tutti di dire la loro, di impossessarsene di colpo, di entrarci in qualche modo; e tanto basta ad allargare i consensi. Salvatore lo capisce, e continua: «Come rendere scorrevole, facile, logico e naturale, l’approccio con il libro? Come si conquistano i clienti i venditori, se non con gli sconti, le facilitazioni e, ancora di più, con gli omaggi? E noi vendiamo merce ineccepibile, essenziale al progresso civile...». «Troppo comodo regalare per imporre, e poi, qualcuno all’inizio dovrà pur pagare ...» oppone, senza malanimo, quello della proposta sul teatro. «Certamente sì, ed è qui che nasce, che deve nascere l’idea. Intanto possiamo cominciare a pensare che a pagare sia più di qualcuno. Dividere le spese è già un’idea» ribatte Salvatore. 24
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«Ma la Regione ha bilanci suoi, non può pensare di...» tenta ancora il sostenitore del teatro. Ma Salvatore è sull’onda dell’entusiasmo: «E non lo deve pensare, perché se ha bilanci suoi ha pure uomini suoi, come noi. Usiamoci. Una via potrebbe essere questa. Vado a braccio, cercate di seguirmi. Dato per scontato che la Regione non ha la possibilità di caricarsi di oneri troppo pesanti, occorre l’aiuto di chi...? Della grande editoria, per esempio: aiuto che non può essere chiesto come un’elemosina, ma suggerito come un’operazione intelligente, sì. E la grande editoria deve essere penetrata, posseduta, non aggirata. È indispensabile entrare nei suoi ingranaggi e, per questo, occorre conoscerli». «Per corrispondenza, magari?» ride quello del teatro. «Hai messo il dito nella piaga e fai bene a ridere: perché siamo al punto...» «Certo, cosa vuoi che gliene fotta alla grande editoria, come dici tu, che è tutta del nord, di noi sprofondati quaggiù?». E l’oppositore si guarda in giro ammiccando, con aria furba e saputa. «Proprio perché non gliene fotte niente bisogna comprometterli, coinvolgerli... far loro intravedere che anche qui da noi può svilupparsi un mercato domani, se ci aiutano oggi. È pure nel loro interesse...» 25
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«Vai avanti, Salvatore, vai avanti che tu sai dove vuoi arrivare» lo incoraggia adesso, stringendo gli occhi furbi, Nicola Patritti. «Al nord voglio arrivare. O io o un altro, non importa, ma è Milano, la capitale del libro, che va raggiunta; ed è lì che occorre crescere dentro l’editoria che conta. Conquistare credito ed esperienza, fare proposte serie, convincerli a muoversi...» «Sì, a mano armata» dice sempre quello spiritoso del teatro, che a Milano piacerebbe andare anche a lui, ma per Giorgio Strehler. «Fai l’umorista, Gassman, che poi dovrai recitare sì, ma il mea culpa» butta là, secco secco, Salvatore. La frecciatina coglie nel segno il nervo più sensibile dell’assemblea, e una risata distensiva si diffonde fra i presenti, benevola e benefica, tanto che Salvatore riprende slancio, e con una carica di convinzione ancora più forte, torna a battere il suo chiodo: «Strappare contratti quasi regalo per avviare una rete di distribuzione capillare nel sud, in Calabria: penso a questo. È chiaro che non ci si può arrivare dall’oggi al domani, ma bisogna partire oggi». «E tu parti domani. Prendiamo subito contatti con compare Rocco, che è del tuo paese e che si è fatto una posizione, a Milano. Ti darà una mano 26
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per la prima sistemazione. Conosce e sa» conclude Patritti autorevole, e Salvatore, appoggiato, persino travolto dalla quasi unanime assemblea, accetta la missione. Sarà coperto da un mensile esiguo, specialmente per una città come Milano – cinquantamila lire più le spese di viaggio in seconda classe – al momento la magra cassa della sezione non concede di più. Ma Salvatore è ugualmente eccitato. Gli si disegna dentro una voglia d’avventura che va di colpo al di là degli stessi scopi che si prefigge. Certo, si batterà e rischierà, per la cultura dei suoi compaesani, non c’è il minimo dubbio. Ma anche per sé, per scoprire chi è, per misurare le proprie risorse. Mentre la gente sfolla, e qualcuno gli batte affettuoso la mano sulla spalla, e qualcuno gli dice parole d’augurio, non vede, non sente, non ascolta più niente. È già tutto proiettato avanti, raccolto nella sua emozione, la mente attraversata da vaghe fantasie: tra il dire e il fare, deve essere proprio vero, che c’è un gran mare. Ma non c’è mare che non sia navigabile, per chi ci crede, per chi ha la testa dura.
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Perchè ho scritto questo libro? Perchè era una cosa che non avevo mai fatto, ma ci avevo sempre pensato. Ogni volta che nella testa mi girano delle fantasie o che rifletto su quello che ho fatto, su quello che mi è accaduto, alla mia vita, a quella degli altri, mi piace immaginare che sia già storia scritta. Mi piacciono le storie e mi è capitato di alzarmi al mattino convinto di aver scritto un libro, un romanzo. Le facce dei protagonisti sono di gente che conosco, ma si muovono in trame diverse, forse desiderate soltanto. Un giorno ho provato a mettere nero su bianco, mi è costata molta fatica, però mano a mano che scrivevo mi sentivo più libero. Ne ho parlato al mio amico Maurizio Seymandi che mi ha consigliato d’intensificare la cura. Il processo di liberazione funzionava, una bella valvola di scarico. Inoltre mi succedeva di partire da uno stato d’animo triste, malinconico, pessimista, da un’idea negativa e di arrivare a rasserenarmi, di finire con il raccontarmi cose che da me non mi sarei mai aspettato. Sono trascorsi molti giorni, molto più di un anno e anche di due. Ecco perchè ho scritto questo libro. E poi, l’idea di essere scrittore mi eccita. Ma perchè ho scritto questo libro se ora non ci dormo la notte?!