inSide Sicilia agosto - settembre 2011

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Lampedura, l’isola dei conigli - foto Stefano Giudici -


EDITORIALE

Sole, Mare, Caldo… per noi siciliani queste tre parole sono sinonimi; io aggiungerei Bellezza e Sorriso. Agosto e settembre, più che giugno e luglio sono l’estate vera, quella delle vacanze con tanto di partenze, quella del riposo perché ad agosto, si dice, nessuno lavora, anche se tutti sappiamo che non è così. Settembre con il suo scirocco, comincia ad incrinare la quiete sognata delle vacanze: con quella pigrizia a riprendere la routine dovuta proprio al permanere del sole, del caldo e del mare sempre presenti in ognuno di noi, anche in quelli che vivono nell’entroterra, nelle terre aride e gialle che sembrano proprio anelare la limpida frescura marina. La bellezza è dovunque, anche là dove sembra prevalere il brutto e lo sporco; noi non riusciamo a disgustarci perché subito si impone il dispiacere nel constatare cotanto ben di Dio abbandonato, sciupato o ancora ignorato e quindi profanato. Il sorriso risiede principalmente nella Natura che è comunque presente, quasi nascosta nella consapevolezza che il bel tempo non ci tradisce, che la natura benigna può trasformare ogni dolore prima in Rabbia ed infine in Amore. Un pensiero per assonanza va all’isola di Lampedusa, ai suoi abitanti. È per questo che dedico l’editoriale alla fondazione O’Scià, sostenendo con vigore e consapevolezza l’edizione 2011. Vera Corso

NONA EDIZIONE 27, 28, 29, 30 SETTEMBRE, 1 OTTOBRE 2011 LAMPEDUSA L'edizione 2011 di O'SCIA' - la rassegna di arti e musiche dedicata all'integrazione culturale - si svolgerà, come tradizione - a Lampedusa, isole Pelagie, da martedì 27 settembre a sabato 1 ottobre prossimi. Lo rende noto la Fondazione O'scia', che, pur avendo annunciato la fine della manifestazione nel 2010, raccoglie il pressante invito di vasti settori dell'opinione pubblica, alla luce degli avvenimenti accaduti, e si appresta ad organizzare il nono evento di un'iniziativa di respiro internazionale, unica nel suo genere, che vanta la partecipazione e la testimonianza di trecento artisti italiani e stranieri. "Quella di quest'anno - ha dichiarato Claudio Baglioni, ideatore e promotore della manifestazione - sarà un'edizione se possibile ancora più appassionata e intensa, con la quale cercheremo di ribadire l'accoglienza ai profughi, la riconoscenza ai soccorritori e la solidarietà agli isolani, che vivono una delle ore più difficili della loro non facile storia, tra il cronico abbandono del passato, la drammatica minaccia della guerra in Libia e la grave crisi in cui versa l'unico comparto su cui si fonda la fragile economia isolana: il turismo". "Ci auguriamo - ha concluso Baglioni - che l'appello degli artisti e del pubblico giunga a destinazione e che la politica europea e italiana non si voltino dall'altra parte, ma facciano il loro dovere perché quest'area e il Mediterraneo tutto ritrovino la pace e la serenità necessarie a coltivare l'incontro e non lo scontro tra civiltà, quale unica strada in grado di garantireun futuro di crescita e sviluppo per tutti". La Fondazione O’Scia’ ringrazia la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno, Ministero del Welfare, Ministero dell’Ambiente e tutela del Territorio e Mare, Presidenza Regione Siciliana, Assessorato alle Risorse Agricole e Alimentari, Assessorato alle Attività Produttive, Assessorato dei Beni Culturali e Identità Siciliana, Assessorato del Territorio e Ambiente, Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo, Assessorato Pesca.


N. 13 - AGOSTO - SETTEMBRE 2011 Tribunale di Siracusa 20/07/2009 Registro della Stampa n. 13/09

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Foto di copertina: La Scala dei Turchi - Realmonte (AG) di Stefania Giudice

Stampa Tipolitografia Priulla srl - Palermo

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sommario 14 82

STORIA E TRADIZIONI Carini: Festival fra medioevo e rinascenza 68° anniversario della battaglia di Sicilia

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ITINERARI Il complesso rupestre del Poggio dei Santi Il monastero di Santa Teresa a Scicli Ci su grutti attornu a Chiaramunti

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ATTUALITÀ Vacanze d’estate a Taormina Cento Eventi per l’estate siracusana Dai paramenti sacri agli abiti del Settecento: a Catania mille anni di memoria pubblica e privata “Un casco vale una vita” Sviluppo territoriale: non solo “bello e tutelato” ma anche “buono e produttivo” 16° Festival internazionale del Jazz a Canicattini Bagni Competenza, passione, idee chiare per incidere sul territorio siracusano Conferenza regionale sul turismo Fruire il mare... el mar, la mar... Vittoria al Vittorini! Saper lavorare per il sapere si può I giovani e il futuro dalle ali spezzate

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CURIOSITÀ 29 58 74

“Oro bianco” di Sicilia Le meraviglie del mandorlo Luci e ombre su Salvatore Giuliano

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DI RICORDI E DI RICETTE 7 agosto 1952: una giornata a mare

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I licheni degli Iblei Fari e guardiani

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SPECIALE

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Ahiii!!!

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Vacanze d’estate a Taormina: un luogo unico dove la bellezza ristora il corpo e nutre lo spirito


- foto Gnuckx -

di Lisa Bachis città c’è un’atmosfera seducente. La luce che avvolge i palazzi, le chiese, la vegetazione e le persone, è carica d’energia. La pelle odora di cocco e ogni oggetto intorno, invia vibrazioni intense ed estive. Si ha voglia di star fuori, a vagare, sperimentando una sana pigrizia; si ha voglia di spegnere il motore della propulsione lavorativa. E la mente in perfetta sintonia con il corpo, invoca, anela spasmodicamente al relax! Al tramonto, seduti al tavolo di un bar al centro, per assaporare un aperitivo dall’aroma fresco e fruttato, si è rapiti dall’idea che qui si è in Sicilia ma si è già altrove. Lingue differenti, provenienti dal resto del mondo si mescolano all’idioma locale. La città, in questo periodo, è pienamente vissuta da numerosi stranieri ed italiani che apprezzano l’opportunità di godere del sole e delle spiagge ma che hanno già da tempo programmato questa vacanza perché desiderosi di immergersi nelle suggestioni oniriche regalate dal fascino senza tempo del Teatro Antico. La stagione di Taormina Arte si è già aperta con successo ed il cartellone eventi di questo 2011, continua a stupire per la ricchezza e la qualità degli spettacoli in programma. Agosto è il mese del teatro e della lirica e il Direttore Artistico Enrico Castiglione, come è suo costume, non ha voluto deluder gli esteti cercatori del Bello Assoluto. “Nabucco” di Giuseppe Verdi andrà in scena il 5, 9 e 13 agosto, mentre “Aida”, sarà nuovamente riproposta – dopo il successo del 2009 – il 7, 10 e 12 agosto. Entrambe queste preziose perle della Cultura rientrano nella sezione “Musica & Danza”, dedicata quest’anno al tema del “coraggio” per celebrare il 150˚ Anniversario dell’Unità d’Italia. In particolare, “Nabucco” vuol esser un omaggio al Risorgimento Nazionale con un’opera che è tra le più risorgimentali di Verdi. La regia e le scene dei due eventi sono di Enrico Castiglione ed i costumi come da tradizione, sono di Sonia Cammarata. Per la sezione “Danza” invece andranno in scena i dancers della New York City Ballett, che il 17 agosto si esibiranno per rendere omaggio al grande coreografo russo-americano George Balanchine. E per gli amanti del teatro – con la direzione artistica affidata a Simona Celi – sono da annotare gli eventi in scena al Palazzo dei Congressi, tra cui “Lady Grey” di Will Eno con Isabella Ragonese, il 6 agosto; “Poco… poco show”, regia di Walter Lupo con Francesca Reggiani, l’11 agosto; Radio “Argo-on air”, di Igor Esposito, interprete e regista Peppino Mazzotta, il 20 agosto; “Amleto” con l’adattamento e la regia di Maria Grazia Cipriani, il 25 agosto ed il “Jazzirat El Ahlam”, un progetto “Mondi Teatrali” in collaborazione con il Festival Internazionale del Teatro di Casablanca e il Festival Internazionale del Teatro Università di Marrakech, il 30 agosto.

In

La città è pittoresca, collocata sulle pendici di un colle che domina il mare e si conclude coll’imponente promontorio su cui sorgono le rovine, meritatamente giudicate fra i più splendidi spettacoli d’Europa. La località è mirabilmente adatta al teatro e pare che l’avallamento in cui sorge sia di formazione naturale. (Peter De Wint, Paesaggi di Sicilia, Londra 1823)

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Ritorna il “Settembre in Villa”! Il Parco Duca di Cesarò è tornato ad essere location indiscussa per eventi di grande spessore artistico e culturale. Il parco – in cui aleggia la discreta presenza della sua antica proprietaria, Lady Trevelyan Trevelyan – offre i suoi arborei profumi, rilassa con colori vegetali unici e delizia lo sguardo con le sue finissime architetture esotiche. Dopo il successo del “Taobuk Festival”, il primo Festival internazionale del Libro che ha visto protagonisti tantissimi nomi importanti della Letteratura Nazionale ed Internazionale; dopo la stupefacente seconda edizione del “Taormina Jazz Festival”, che ha eletto Taormina tra i luoghi ispirati e perfetti per ospitare l’anima ed i ritmi jazz; e dopo aver ospitato alcune delle tappe del “Primo Festival Internazionale delle Orchestre a Plettro”, l’Assessorato al Turismo e Spettacolo rappresentato da Mario Italo Mennella, ancora una volta apre il parco alla Manifestazione “Settembre in Villa” che ospiterà il “Teatro dell’Opera dei Pupi”, i concerti di musica tradizionale siciliana e perfomance teatrali, sotto lo splendido cielo taorminese che farà da volta alla magia delle arti sceniche.

Città di Taormina - ASSESSORATO AL TURISMO Promozione Piano Strategico ed Innovazione Turistica Sport e Spettacolo - Marketing Territoriale Memoria e Archivio Storico - Sviluppo Economico Verde Pubblico e Arredo Urbano

INFO Per informazioni su spettacoli ed eventi, andare sul sito:

www.taormina-arte.com oppure rivolgersi all’Ufficio Turismo Città di Taormina, Piano Terra di Palazzo Corvaja,

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o andare sul sito:

www.ufficiodelturismo.it


- foto Scott MacLeod Liddle -

I consigli per trascorrere una giornata al mare “alternativa” Il mare, il sole, la spiaggia, sono un’attrazione irresistibile in questo particolare periodo dell’anno e un soggiorno nei mesi estivi non può ignorare la possibilità di apprezzare le spiagge di Taormina. Per questo si suggerisce di cogliere al volo, l’idea di viver la giornata al mare, iniziando da un’escursione naturalistica all’Isola Bella. L’isolotto da cui si può ammirare lo scenario fantastico dell’intera baia di Taormina, è separato dalla terraferma da un breve tratto sabbioso percorribile a piedi con la bassa marea. L’isola, sembra sia stata donata alla città da Ferdinando I di Borbone nel 1806, in concomitanza di una sua visita taorminese. Ma esso fu anche di proprietà di Lady Trevelyan Trevelyan, nobildonna inglese che sposò il medico Salvatore Cacciola ed innamorata di Taormina rese Isolabella e il Parco Duchi di Cesarò, oasi tanto accoglienti quanto originali. Proprio di recente, infatti, è stato aperto al pubblico il Museo all’interno di Villa Bosurgi, edificio costruito negli anni ’50 dalla famiglia di industriali messinesi e proprietari dell’isolotto in quel periodo. La villa, si compone di padiglioni realizzati in modo da confondersi con il terreno roccioso circostante. L’essenza del progetto, portato avanti con successo dal Direttore del Parco

Archeologico di Naxos e Taormina, Mariacostanza Lentini, è quella di far visitar un’isola – acquisita dall’assessorato beni culturali nel 1990 e riserva naturale orientata dal 1998 – in cui immergersi nella Natura a due passi da un mare incontaminato. Questo museo naturalistico è aperto al pubblico tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 9 sino ad un’ora prima del tramonto. Il biglietto d’ingresso – costo 4 euro – è comprensivo della visita al Parco Archeologico di Giardini Naxos allargando in tal modo l’offerta dell’escursione naturalistico-archeologica. Tanto che la dott.ssa Lentini, sta predisponendo un altro itinerario, in cui sarà incluso lo spostamento in barca da Naxos a Isola Bella e la visita al Museo Bosurgi. La giornata al mare, allora, diventa l’occasione ideale per sgranchirsi le gambe e non incollarsi alla sdraio. E magari, dopo aver ammirato le bellezze paesaggistiche ed archeologiche, si può continuare la giornata, in uno dei tanti lidi tra Taormina e Mazzeo, passeggiando spensierati sull’incantevole lungomare e poi… fermarsi ad attendere il tramonto e cenare circondati da uno scenario indescrivibile, proseguendo la serata con un tuffo nella “Movida Taorminese”. Ma, solo dopo la Mezzanotte…

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CENTO EVENTI PER L’ESTATE SIRACUSANA è vero che la stagione degli spettacoli classici dà a Siracusa una risonanza sempre crescente come testimoniato sia dalle presenze registrate in città che dall’alto livello di giudizio critico ricevuto, dall’altra non è da trascurare il grande sforzo per far sì che alla fine delle rappresentazioni classiche, continui a persistere a Siracusa e nei 20 comuni della provincia, quell’offerta culturale che è il filo conduttore, il perno attorno a cui organizzare l’immagine della città stessa. È questo l’obiettivo che si propone la Provincia Regionale di Siracusa, tanto negli uffici della presidenza quanto nelle stanze dell’assessorato alla cultura e del V settore dei servizi socio-culturali, tutti al lavoro al fine di proporre un cartellone di eventi capace di interessare non solo il turista che ubriaco di mare, la sera desidera un momento di intrattenimento, ma anche i numerosi residenti che possono così trascorrere liete serate estive assaporando un’elevata qualità ed eterogeneità di spettacoli realizzati da artisti sia internazionali che locali. Se la stagione estiva degli eventi si è aperta con la XVI edizione dell’ormai noto premio letterario Vittorini, la cui premiazione è avvenuta il 20 giugno scorso con una bella serata di spettacolo e cultura coniugate all’interno della magica cornice del teatro greco, è con il programma chiamato “Cento Eventi” che la Provincia regionale di Siracusa prosegue il suo lavoro di promozione culturale; sono previsti infatti ben 170 eventi distribuiti in tutti i comuni della provincia e, giunta ormai al suo secondo anno di vita, la manifestazione si è arricchita ancor di più nei contenuti, nella qualità e nel numero di spettacoli grazie al rigore nei conti tenuto dall’amministrazione che oggi può investire sull’intrattenimento estivo ben 400 mila euro. “L’intrattenimento non è solo un modo, per altro importante, di far trascorrere liete serate ai residenti e ai turisti - afferma il presidente Bono - ma anche volano di sviluppo economico in quanto consente, nei siti sede di manifestazioni, di promuovere tutte le attività commerciali e turistico-alberghiere”. Appuntamenti ormai storici come il Med Fest a Buccheri, il Festival del Jazz a Canicattini, la regata dei quartieri storici a Siracusa, si trovano inseriti all’interno di una programmazione sempre più attenta alla qualità e alle peculiarità del territorio. L’assessore provinciale alla cultura, Aurelio Basilico ha espresso soddisfazione sia per l’offerta degli spettacoli proposti all’amministrazione, che per le scelte effettuate

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16ª edizione Premio Vittorini. Da sin. Sebastiano Lo Monaco, Leo Gullotta, l’assessore Basilico e Ruggero Cappuccio (ph. Luigi Carnera)

Da sinistra l’editore Arnaldo Lombardi, il prof. Enzo Papa, la dott.ssa Clelia Corsico e il dottor Francesco Madeddu (ph. Luigi Carnera)

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L’assessore Aurelio Basilico e Giorgio Calabrese (ph. Luigi Carnera)


secondo criteri di qualità ed eccellenza. “Sono tutti spettacoli di pregio – ha detto l’assessore Basilico - e tra questi la Notte Bianca di Floridia si conferma una notte bianca ben rodata, vetrina culturale d’importanza, la realizzazione di un evento che non risponde solo alla esigenza della popolazione locale, ma anche alla richiesta che proviene da visitatori e turisti”. Il Presidente della Pro Loco Davide Gozzo ha dichiarato: “Il tema dell’evento è essenzialmente il 150° anniversario dell’Unità d’Italia ripercorso tuttavia attraverso un viaggio storico-artistico-culturale e musicale. Il clou della serata è stato sicuramente il connubio Paolo Belli e Q-beta che ha concluso un giusto mix di eventi riferirti ad un tema impegnativo, non dimenticando che la notte bianca ha un obiettivo turistico commerciale con il rilancio dell’intero paese e dell’economia stessa”. Molto ampia l’area che ha accolto le diverse locations. “Non una sola notte – specifica Gozzo - ma una settimana con la maratona fotografica che ha visto la selezione di 60 scatti mostrati nell’apposita sala del centro Ierna; la novità quest’anno è stata la partecipazione dei Musei e dei commercianti convinti dall’offerta culturale e dalle innovazioni tecnologiche che hanno trovato il clou nel Visual Mapping, con luci e suoni che sabato sera hanno dipinto visivamente la chiesa madre di Floridia”. Per quanto riguarda gli incontri musicali sicuramente degno di nota è il concerto di Andromeda Turre e il Quintet Soul/jazz a Rosolini in cui troviamo artisti come Featuring Mr. Stacy Dillard, saxofonista che vanta tra tra le sue collaborazioni Steve Wonder, e ancora Mr Darrell Green tra i più apprezzati batteristi jazz al mondo, sul palco anche Nico Menci al piano e Marco Marzola al basso. La cantante americana Andromeda Turre, figlia d’arte di Steve Turre e Akua Dixon inizia la sua carriera professionale con Ray Charles e subito dopo collabora come il cantante per la J.C. Hopkins Biggish Band. Ha tenuto concerti da New York a Los Angeles cantando standard jazz ed è stata premiata con la J.C.’s Grammy award per le musiche originali con i brani “Rose” in his play “Rose does Rico”. Andromeda Turre ha lavorato nel Woody Allen’s “Murder Mystery Blues” al Midtown Theater di New York in qualità di cantante, ballerina e pianista. Grande successo internazionale, lo ha avuto nel “Queen of the Blues” singing with the Jazz Big Band at Tokyo Disney in Giappone. Oggi vive a New York City, continua ad esibirsi con il suo gruppo, non tralasciando il ruolo di insegnante, compositore, arrangiatore, produttore, portando la sua voce in tutto il mondo.

“Poter ospitare il concerto di una cantante così importante, afferma l’assessore provinciale alla cultura Basilico, è stata un occasione da cogliere al volo in quanto concerti di questo livello, dovrebbero essere una costante per una provincia con cosi’ tanti siti Unesco, che si propone come una delle mete piu’ ambite del turismo mondiale. Tutto questo può essere coadiuvato anche dalla scelta di musica di qualità”.

L’attenzione ad artisti nostrani, che tali sono solo per nascita, ma non certo per fama, ha portato alla scelta del concerto del maestro Terranova che è il fondatore della Euro-Sinphony-Orchestra, con la quale ha realizzato l’allestimento di “Cavalleria Rusticana” e l’opera lirica inedita “La Lupa” composta da lui stesso, utilizzando solisti e coro del Teatro dell’Opera di Roma e del Teatro Bellini di Catania; ed è proprio con l’orchestra di fiati Bellini che si impone all’attenzione nazionale, la cui originalità insiste nell’essere composta da fiati e ritmica, e di spaziare i diversi generi musicali nell’ambito dello stesso concerto, con un repertorio che va dal sinfonico (eseguendo le sinfonie dei maggiori musicisti dell’ottocento) all’operistico (accompagnando cantanti lirici di fama nazionale e internazionale) al moderno, rivisitando il mondo del blues, dello swing, del latino americano e della canzone, fino ai giorni nostri in forma strumentale proponendo arrangiamenti sempre apprezzati dal pubblico che da semplice spettatore diventa parte integrante dello spettacolo.

Regata dei quartieri con il tradizionale “buzzettu” siracusano organizzata da “Il Gozzo di Marika”

Infine e non da ultimo, l’assessore provinciale alla cultura Aurelio Basilico vuole sottolineare l’importanza della Regata Storica organizzata dall’associazione “Il Gozzo di Marika” che propone tutta una serie di iniziative utili alla conservazione e alla promozione della tradizionale barca da pesca siracusana “il gozzo siracusano” detto anche “buzzettu”, le cui misure variano dai 27-28 palmi (7 metri) per la pesca con le reti e le nasse, ai 32 palmi (8 metri) per la pesca con il conzo. I Buzzetti hanno una sagoma piuttosto sfilata per ben tagliare le onde basse e lunghe del mare di Scirocco ed hanno a prua una coperta per ripararsi degli spruzzi di Grecale. Il primo obiettivo dell’associazione è stato quello di riprendere la tradizionale costruzione del “buzzetto”, seguendo le indicazioni costruttive lasciate in eredità


Per il teatro, “Mirra” per la regia di Tatiana Alescio, domenica 7 agosto, presso l’Arena di Castello Maniace All’amore non c’è limite o quiete fuorchè la morte” è il sottotitolo dello spettacolo che dopo il successo di pubblico ottenuto l’anno scorso con “La morte di Agamennone”, conferma Tatiana Alescio - regista nel 2009 di “Le Supplici”, il terzo dramma in cartellone per il XLV Ciclo delle rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa - una regista capace e impegnata in una delicata e difficile tragedia di Vittorio Alfieri, uno dei più grandi autori italiani. Cinque gli attori in scena: nel ruolo del re Ciniro vedremo Riccardo Zini, recentemente impegnato in uno spettacolo al fianco di Paola Gassman, Edoardo Siravo e Luciano Virgilio. La regina Cecri sarà impersonata da Elena Polic Greco, da diversi anni impegnata come una delle prime voci dei cori delle tragedie messe in scena dall’INDA. Da destra, Tatiana Alescio (scene Vestirà i panni della giovane Mirra invece Evelyn Famà, attrice poliedrica e impegnata sia e costumi) e Auretta Sterrantino sul fronte teatrale che televisivo. La sua nutrice, Euriclea, sarà Carmelinda Gentile, (consulente alla drammaturgia) recentemente coprotagonista di Edipo a Colono. Pereo, il principe promesso sposo di Mirra, sarà invece Emilio Zanetti, dell’Accademia del Piccolo di Milano, con alle spalle esperienze con registi del calibro di Luca Ronconi e attori come Antonio Zanoletti, che proprio l’anno scorso ha calcato la scena del Maniace nei panni di Agamennone. Rivive sulle scene un testo tutto basato sulla parola, profondamente diverso dalle versioni del mito di Mirra, e al contempo perfettamente aderente alla poetica alfierana: la protagonista è, infatti, imprigionata tra ciò che sente e ciò che dovrebbe e vorrebbe sentire. Lo spettacolo si fonda su una precisa volontà di modernizzazione dell’espressione, senza tradire però in alcun modo il verso originale, in modo tale da lasciar trasparire quanto di nuovo e vicino al nostro sentire il testo contenga. La regista conferma dunque la coraggiosa scelta di Alfieri e conferma altresì al suo fianco un cast tecnico tutto siciliano e in maggioranza siracusano: musicisti, sarti, truccatori, direttore di scena e dell’allestimento (Antonio Paguni), autrice dei bozzetti di scena (Rita Ann Susino), il tecnico per riprese e montaggio (Fabio Fortuna), il grafico (Chiara Trovatello). La consulenza drammaturgica è ancora una volta di Auretta Sterrantino, i costumi e i gioielli di scena sono stati realizzati, così come le scene, da Mary Accolla. Le musiche di scena sono state composte ed eseguite anche dal vivo da Claudio Giglio, e sulle sue partiture intoneranno le loro voci i componenti del Coro Polifonico Europeo “Giuseppe De Cicco”. Completa il titolo un verso delle Metamorfosi di Ovidio, a sottolineare la volontà di recuperare la forte suggestione che Alfieri subì, da parte dell’autore latino, al momento della stesura dell’opera.

dagli ultimi calafatari. A Siracusa gli artigiani che si occupano della costruzione e riparazione delle imbarcazioni in legno sono appunto detti “calafatai”: calafatare si intende l’operazione per rendere stagna con l’introduzione di un trefolo di stoppa, la giunzione fra una tavola e l’altra del fasciame che riveste una imbarcazione di legno. Calafataro è quindi l’artigiano che sa calafatare una imbarcazione in legno ma, generalizzando, si intende anche chi la sa costruire e riparare. Lo spunto e l’occasione per la costruzione del “buzzetto”, è stato quello di organizzare una regata tra i quartieri di Siracusa, utilizzando gozzi della stessa dimensione e peso. È dal 1981 che si tentava di rilanciare una tradizionale gara tra i gozzi siracusani, abbinata ai cinque quartieri storici dell’antica pentapoli, in cui i protagonisti principali, i rematori e i quartieri, fossero tutti nella stessa condizione di partecipazione agonistica. Alla regata dei quartieri partecipano appunto i quartieri di Acradina, Epipolis, Neapolis, Ortigie e Tyche con equipaggi composti da quattro rematori ed un timoniere. L’obiettivo è quello di creare una manifestazione capace di coinvolgere la marineria siracusana e nel tempo anche altre marinerie. Le regate degli anni precedenti dal 2007 al 2009

svoltesi sempre nell’ultima settimana di agosto hanno seguito un programma generale pressoché simile, con qualche sostanziale miglioramento per la seconda edizione, dove è stata arricchita la sfilata del corteo storico, in cui al corteo degli equipaggi si sono aggiunti i figuranti con vestiti marinari e dove è sfilata la prima barca che l’associazione ha fatto costruire dai calafatari siracusani. La scorsa edizione del 2010 ha avuto un grande successo, si è svolta in tre giornate e ha visto coinvolta oltre a tutta la marineria siracusana anche numerose società sportive ed ha dato spazio a stand dedicati alla degustazione dei sapori tipici della cucina mediterranea. La regata di quest’anno che si svolgerà dal 24 al 28 agosto si svolgerà in cinque giorni e vedrà, oltre alla regata storica anche una regata velica, una gara di nuoto, una group cycling conventon, l’Acquathlon Aretusa (combinata di nuoto e corsa), esibizioni e lezioni proposte da nmerosi gruppi sportivi.

Provincia Regionale di Siracusa

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Assessorato Beni Culturali – Cultura Sport Edilizia Sportiva - Spettacolo - Scambi Euromediterranei ed Internazionali – Sistemi Turistici Locali - Trasporti - PRA


FESTIVAL FRA MEDIOEVO E RINASCENZA CARINI 10-11 SETTEMBRE 2011

Festival fra Medioevo e Rinascenza anno 2009 - i Commedianti di Urbino in un momento dello spettacolo - Prometeo

Il Festival fra Mediovo e Rinascenza (edizione 2011) vuole avere le caratteristiche del rilancio dell’immagine di una parte della storia della Sicilia rimasta ingiustamente sommersa rispetto al quadro della cultura medio-rinascimentale italiana ed europea. In questo senso intende porsi in una prospettiva internazionale, rispetto alla quale saranno chiamate a confronto anche alcune realtà storiche dell’area euro – mediterranea. Su questa stessa linea uno spazio fondamentale sarà dedicato alla promozione agroalimentare del Made in Sicily attraverso una serie di iniziative che fanno parte del secondo settore di questo progetto.

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Come arrivare a Carini Carini sorge su una collina a 162 metri sul livello del mare, all’interno della catena dei monti Ericini che dalla punta Lilibeo vanno fino a Capo Gallo. Distante circa 26 Km da Palermo. Autostrada Autostrada A29, Palermo- Mazara del Vallo, uscita Carini e Villagrazia di Carini (20 km da Palermo). Aereo Aeroporto Falcone Borsellino - Punta Raisi (10 km da Carini). Ferrovie Linea Palermo-Trapani, Stazione di Carini. Metropolitana Linea Palermo-Aeroporto Falcone-Borsellino, fermata Piraineto.

Primo settore: spettacolo, la storia, l’arte Corteo storico delle ambascerie dei castelli e dei comuni di Sicilia, con presenza di musici, sbandieratori e tamburi di tradizione. Presentazione delle delegazioni ospiti e saluto dei Sindaci a seguito. Sfilata dei cavalieri di Carini e dei territori limitrofi in costume d’epoca. Spettacolo di giocoleria, fuochi e mascherate di un gruppo di teatranti /trampolieri di livello nazionale (a cura dei Commedianti di Urbino o di un gruppo di pari livello).

Festival fra Medioevo e Rinascenza anno 2008 - momento di esibizione degli Sbandieratori di Orte


Festival Medioevo 2006 -Esposizione del Galeone da Regata dell'Antica Repubblica Marinara di Pisa con un gruppo di rappresentanti dell'Associazione Marinai d'Italia sezione Carini

Festival Medievale carinese 2006 - gruppo Artisti di Strada

Spettacolo curtense nel cortile del castello la Grua – Talamanca e nello spazio del Borgo Medievale antistante . Mostra degli stemmi dei casati della rinascenza siciliana. La mostra, in date successive assumerà carattere itinerante e sarà montata nei più prestigiosi castelli della Sicilia. Gigantografie ragionate raffiguranti, a dimensione naturale, i protagonisti della storia euro-mediterranea, dell’età medio – rinascimentale. La centralità della mostra spetterà alle immagini della battaglia di Lepanto. Essa consentirà approcci con prestigiosi istituzioni europee: dal Museo Marittimo di Barcelona , alla Galleria Colonna di Roma, dall’Arsenale di Venezia alla Scuola di Guerra della Marina Militare Italiana. Per l’occasione il centro storico di Carini sarà imbandierato a festa.

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Città di Carini


Festival fra Medioevo e Rinascenza anno 2009 - gruppo storico La Corte dei La Grua Talamanca e l'Attrice Katiuska Falbo in un momento di danza

Festival fra Medioevo e Rinascenza anno 2008 Gruppo storico La Corte dei La Grua Talamanca

Festival fra Medioevo e Rinascenza anno 2008 Gruppo tamburi e sbandieratori di Vicari


Festival anno 2005 - Corte dei Principi della Rovere - Mondavio - momento di danza con figure coreutiche

Secondo settore: promozione della produzione agroalimentare siciliana Scenari agroalimentari al Borgo Medievale realizzazione di siti promozionali dei prodotti tipici con distribuzione di materiale divulgativo e pubblicitario; degustazioni dei prodotti agroalimentari; integrazione della promozione istituzionale e commerciale delle produzioni agroalimentari in un contesto di integrazione con le risorse artistico– culturali e ambientali offerte dalla città di Carini: Castello, Borgo Medievale, centro storico e architetture artistiche, panorami e belvedere; animazione del territorio con interventi di musici, trampolieri, sbandieratori, personaggi in costume rinascimentale.

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Il sindaco di Carini, rag. Giuseppe Agrusa - Š foto ottica Amato



I licheni degli Iblei

Nei tratti di costa meno disturbati, tutte le rocce affioranti sono ricoperte di licheni


foto e testo di Giovanni Bellina Vivono tra noi in modo dimesso, quasi invisibili. Danno un contributo importante alla composizione dell’aria e alla formazione dei suoli. Dal loro aspetto dipende il colore dominante di molti paesaggi. Le pietre che rivestono, respirano come foglie. Vivono di sola luce, acqua e aria e abitano qualsiasi superficie che permetta loro di stare bene esposti al Sole. Sopportano impunemente temperature estreme e condizioni climatiche proibitive per la maggior parte dei viventi ma, da buoni “selvaggi”, soffrono la “civilizzazione” e se esposti alle fumose e maleodoranti meraviglie della tecnologia, si ammalano, deperiscono e muoiono. Sono i licheni, esseri viventi nati dall’incontro tra un fungo furbo e un’alga servizievole. Da quest’alleanza, fondata sull’interesse reciproco e sullo sfruttamento, è nato un ibrido capace di vivere a qualsiasi latitudine, in qualsiasi ambiente, robusto e longevo. Il lichene con la sua biologia sembra sfidare la morte e si sospetta che alcuni ben posizionati e poco disturbati siano lì da millenni. Affascinati da questa preziosa caratteristica alcuni scrittori, in passato, si sono inventate storie con elisir di lunga vita ricavati da licheni miracolosi. L’uomo è stato da sempre incuriosito dalla stranezza di questi esseri e ha trovato modo di usarli come coloranti, insetticidi, cosmetici, medicamenti e, in alcune regioni, perfino come cibo e come foraggio. Malgrado questa lunga frequentazione ne ha ignorate la biologia e la vera natura. Per questo bisognerà arrivare al 1867 quando i progressi dell’ottica e dei metodi d’indagine permisero al naturalista Simon Schwendener di scoprire che il lichene non è un single ma una coppia ben assortita. Schwendener trovò che in ogni lichene convivono insieme, secondo strutture variamente organizzate, un fungo e un’alga verde. Il fungo che costituisce l’involucro, provvede al fabbisogno idrico e si occupa della riproduzione. L’alga, alloggiata all’interno del fungo, evita il disseccamento e, posizionandosi opportunamente, riceve la luce per sintetizzare composti organici. Detto ancora più semplicemente, il fungo alloggia, si

I licheni possono vivere anche su strutture di metallo ben esposte alla luce

Le facce a vista dei muri a secco più antichi sono interamente ricoperte di licheni

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Su una roccia prospiciente il mare, le croste di alcune “Caloplache flavescens”

potrebbe dire alleva l’alga per ricavarne nutrienti. Entrambi i componenti in questo modo si affrancano dalla necessità degli scambi con il suolo. La cosa comunque non è così semplice e idilliaca anche perché la simbiosi lichenica va di là dalla reciproca convenienza e spesso non è per nulla pacifica. Spesso avvengono separazioni e fughe che finiscono inesorabilmente con la morte di uno o di entrambi i simbionti. Nel corso delle indagini sulla biologia dei licheni si è scoperto che in aggiunta, o dovremmo dire connesse con le loro funzioni strettamente nutritive, essi producono interessanti e in parte ancora misteriose sostanze licheniche. Molte di queste sostanze sono state, come detto prima, usate, ma di alcune se ne stanno scoprendo le qualità solo adesso e il loro studio costituisce uno dei settori più promettenti della lichenologia. Un bianco “Diploschistes Ocellatus” e alcune “Xantorie calcicole” arancioni

Rametti di Prunus ricoperti da licheni del genere “Xantoria”

I rami di un Prunus Spinosa fittamente lichenizzati. Quelli giallo/verde sono “Xantorie parietine”, il cespuglietto è una “Ramalina”

Al centro un “Diploschistes ocellatus”. I bottoncini neri sono gli apparati riproduttori


Una “Parmelina tiliacea” ospita alcune piantine di “Umbilicus rupestris”

Una grigia “Parmelina tiliacea”, una “Xantoria” arancione e alcune “Xanthoparmelie” marrò molto scuro

Un esemplare di “Ramalina Fraxinea” che mostra il punto di ancoraggio

Mosaico su roccia formato da “Lecanora rupicola” e ”Lecidea fuscoatra” Le areole giallo/verde sono dei “Rizocarpon geographicum” I calici di una “Cladonia pixidata” emergono da un tappeto di muschi

Una rara ”Ramalina fraxinea” attaccata alla corteccia di un vecchio pero “Diplotomma epipolium” forma croste candide e aderenti sulla pietra. Le areole grigie sono altri licheni immersi nello strato roccioso


La parte sommitale di Monte Lauro ospita un’interessante e ricca flora lichenica

I licheni affidabili bioindicatori Un uso generalizzato che adesso è ampiamente praticato si basa sulla sensibilità dei licheni nei confronti degli inquinanti. Questa tragica peculiarità li ha resi degli affidabili bioindicatori. La loro presenza e buona salute certifica un ambiente pulito e viceversa lo scadente stato vegetativo o l’assenza denuncia un ambiente sicuramente inquinato. Se in un luogo, aperto e ben esposto alla luce, i licheni sono completamente assenti e si determina quello che è chiamato “deserto lichenico” si deve temere per la nostra salute e cercare di traslocare altrove. Quasi tutte le metropoli e molti centri urbani sono dei “deserti lichenici”, soprattutto nelle parti vicine al suolo, dove si svolge il traffico veicolare e si accumulano i composti più pesanti dell’aria. In queste zone i licheni sono scomparsi e purtroppo nessuno, anche se preoccupato, può facilmente permettersi di trasferirsi in luoghi più salubri. Vivere in luoghi insalubri è uno dei “mali necessari” derivanti dall’uso dei carburanti come fonti energetiche. Il territorio ibleo con l’estesa rete di muri a secco e le

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I rivestimenti arancioni sono delle “Xantorie calcicole” e, date le dimensioni, hanno un’età plurisecolare

Comunità di piante vascolari, muschi e licheni


Folto popolamento di “Ramaline polimorphe� simili a verdi cespuglietti fogliosi

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Il grigio degli Iblei è dovuto agli innumerevoli licheni che lo abitano

ampie superfici rocciose a vista costituisce una dimora ideale per molte specie di licheni e la loro permanenza è facilitata dall’assenza di eccessive fonti d’inquinamento e sconvolgimenti delle superfici che li ospitano. Fanno eccezione i centri urbani più densamente urbanizzati. Qui i licheni, un tempo presenti su intonaci, parapetti, facciate e tetti delle vecchie abitazioni, sono quasi scomparsi, soprattutto dopo la diffusione degli impianti di riscaldamento e della motorizzazione privata. Per godere ancora della loro presenza basta spostarsi nelle periferie o frequentare i sentieri che percorrono le campagne. In queste oasi li troviamo dappertutto. Rivestono le superfici di calcari e basalti, intonaci tradizionali e murature a vista. Sono insediati sulla e dentro la corteccia degli alberi, su suoli poco disturbati e perfino sui cladodi dei fichi d’india. È possibile trovarli anche all’interno degli abitati, basta salire in alto. Qui, ai piani più elevati delle costruzioni, sulle cuspidi dei campanili, sulle vetrate e sulle antiche

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Vista ravvicinata di muro per visualizzare i licheni che lo ricoprono



La frangia di un tendone parasole ospita una folta comunità di licheni (foto di Angelo Tidona)

campane delle chiese sopravvivono colonie di licheni. In condizioni adatte alcune specie possono vegetare perfino sulle recinzioni di ferro e su alcune strutture in ghisa di scale e parapetti. Stranamente prediligono l’eternit per cui li possiamo facilmente trovare su vecchi recipienti dell’acqua esposti sui tetti più alti o sulle tettoie di alcune case di campagna. Alcuni s’insediano sui tendoni frangisole di tela esposti con continuità all’acqua, all’aria e alla luce solare. Dal lontano 1867 gli studi sui licheni sono andati avanti per merito di appassionati lichenologi che ne hanno apprezzati le virtù e i difetti. Studiosi che amandoli ne hanno indagato i modi di vivere, affascinati dalle somiglianze e dalle differenze col nostro modo di vivere. Dalla conoscenza di questi strani e misteriosi compagni di viaggio potrebbe venire la soluzione del problema, irrisolto, che nasce dall’impossibilità di coniugare una crescita illimitata con risorse sicuramente limitate.

Lapide secolare ricoperta dai licheni. Quelli neri sono delle “Verrucarie”

Manufatti in pietra colonizzati dai licheni


“ORO BIANCO” DI SICILIA Sapore di Sale tra storia, mulini a vento, fenicotteri e aironi

di Giuseppe Nuccio Iacono Lungo la costa occidentale della Sicilia, tra Trapani e Marsala, una strada lunga 29 km attraversa il paesaggio irreale delle saline più importanti d’Europa. Un percorso che attraversa e collega la Riserva delle Saline di Trapani e Paceco e lo Stagnone di Marsala, luoghi fantastici e carichi di preziosità ambientali dove la natura incontaminata fonde il mare con la terra. Qui da sempre l’uomo lavora per conquistare l’oro bianco: il sale. L’atmosfera ha tutte le note del fiabesco. Le vasche si ripetono a perdita d’occhio e disegnano una immensa scacchiera dove troneggiano alcuni mulini a vento e bianche montagne di sale. Elementi riflessi nelle acque che sotto la luce del sole assumono tutti i cromatismi di una tavolozza indescrivibile. Al calar del sole aumenta la bellezza e si ripete lo spettacolo dei colori e dei giochi di riflessi con tutte le sfumature di rosa, rosso, arancio, viola e dorato. Tutto contribuisce a dar vita ai tramonti più romantici e suggestivi di Sicilia.

- foto Neville Rossi -


La Storia Le saline sono una delle più importanti risorse storiche dell’economia siciliana. I fondali piuttosto bassi del mare, il clima caldo e ventoso sono peculiarità che attrassero le antiche popolazioni che del sale fecero tesoro. Era certamente un prodotto pregiato e utilissimo. Era sale, era ”oro bianco” quello che i Fenici estrassero lungo la zona costiera fra Trapani e Marsala. Segno di ricchezza e prosperità per le antichissime popolazioni. Permetteva la conservazione degli alimenti (carne e pesci) che potevano finalmente essere consumati anche nei periodi di penuria garantendo spesso la sopravvivenza di gruppi sociali. Usato come moneta di scambio, il sale era anche utilizzato per pagare alcune prestazioni d’opera (da qui deriva il termine “salario”). Il commercio delle pelli dipendeva in buona parte anche dal sale che non poteva mancare nella concia. Nel Medioevo il sale “condiva” anche la ritualità della superstizione: allontanava i demoni, le maledizioni e la sfortuna. Era anche il mezzo per sottolineare condanne: ad esempio dopo aver distrutto le case dei nemici era uso cospargere il suolo con del sale per “maledire quella terra” che da quel momento diventava “sterile”. Il territorio delle saline fu prezioso per tutte le dominazioni che si susseguirono nei secoli: Federico II impose sul sale il monopolio di Stato e nei secoli seguenti re e vicerè cercarono sempre di aver un certo controllo sul prodotto. L’attività di estrazione del sale si perfezionò e divenne (in particolare tra il ’600 e il ’700) una risorsa fondamentale per l’economia di Trapani. Alla fine del XIX secolo resistevano ancora una quarantina di saline. Il rischio dell’abbandono e del degrado è stato per fortuna scongiurato da alcuni privati e dall’APT di Trapani che hanno scommesso sul futuro del sito: prova ne è il recupero dei vecchi mulini a vento, l’istituzione di alcuni musei didattici, la riattivazione di alcune saline con relativo rilancio di una produzione di qualità e la promozione di una realtá naturalistica che, tutelando flora e fauna, favorisce l’economia e la produzione di sale di alta qualità.

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- foto vento di grecale -

- foto vento di grecale -

- foto Davide Salvato -


Riserva Naturale “Saline di Trapani e Paceco” Armonia tra uomini e natura La Riserva Naturale Orientata “Saline di Trapani e Paceco” istituita nel 1995 per proteggere una delle più importanti zone umide costiere si estende da sud di Trapani fino alla frazione di Salina Grande, nel territorio comunale di Paceco. I 986 ettari di territorio, suddivisi in zona A di Riserva (707 ha) e zona B di Pre-Riserva (278,75 ha) sono gestiti dal Wwf Italia. Il sito detiene una pluralità di “virtù ambientali” dove le notevoli qualità biologiche della flora e della fauna convivono con le importanti valenze etno-antropologiche e le reminiscenze architettoniche e storiche. L’altissimo pregio naturalistico è stato anche segnalato dall’Unione Europea che ha voluto includere questa riserva tra le I.B.A (Important Bird Areas), ossia tra le aree umide che garantiscono un habitat ideale per la sopravvivenza di alcune specie (anche rare) di uccelli. La Riserva è anche la reale testimonianza di come sia possibile la sinergia tra tutela dell’ambiente e attività economiche. Sono decine le saline gestite da imprenditori privati che dall’ambiente tutelato traggono i benefici per la produzione del sale. Il risultato: in un anno circa 80 mila tonnellate di sale di altissima qualità (prodotto in ambienti salubri) sempre più richiesto dal mercato nazionale ed internazionale. - foto Davide Salvato -

- foto Davide Salvato -


Il ciclo di lavorazione Il lavoro dei salinari si divide in due fasi: nella stagione calda, da aprile a settembre, la vera e propria produzione del sale e nella stagione fredda i necessari lavori di manutenzione delle vasche. L’estrazione del sale si ottiene per evaporazione dell’acqua di mare contenuta in bacini artificiali. In quest’opera giocano un ruolo fondamentale l’elevata concentrazione di sale contenuta nel mare Mediterraneo e le ottimali condizioni climatiche: sole, vento e scarse precipitazioni atmosferiche favoriscono l’evaporazione che genera l’aumento progressivo della concentrazione salina dell’acqua fino al raggiungimento della saturazione che genera poi i cristalli di sale. Le saline sono costituite da un insieme di vasche contornate da argini in tufo e si suddividono in gruppi in base alla funzione che hanno all’interno del ciclo di produzione. Sommariamente, le vasche si dividono in due gruppi principali: quelle che “accolgono” durante l’alta marea le acque del mare al fine di chiarificarle e aumentarne la concentrazione salina e le altre che agevolano il processo di evaporazione per ottenere la separazione e il deposito del sale. La prima vasca, detta “fridda” (fredda), ha una altezza compresa tra il livello della bassa e alta marea. Ed è proprio durante l’alta marea che viene fatta entrare l’acqua del mare azionando opportunamente le paratie a tenuta stagna (dette “purtedda ’a mare”). Dalla vasca “fridda”, l’acqua viene poi immessa nelle vasche dette “vasi cultivo”, poste ad una altezza superiore. Per “travasare” l’acqua nel vicino “vasu cultivu”, una volta si ricorreva ai mulini a vento; oggi il loro lavoro è sostituito dai motori. La pendenza fa passare poi l’acqua dei “vasi cultivo” nelle vasche dette “mediatrici”. Si tratta di un settore intermedio tra le vasche che hanno la funzione preparatoria (“fridde” e “vasi Cultivi”) e quelle evaporanti dette “Caure” (Calde) destinate a fornire l’acqua matura per la deposizione del sale. Queste ultime, per aumentare la temperatura e la densità salina dell’acqua, sono caratterizzate da una progressiva riduzione della loro profondità e superficie. Alla fine si trova la vasca “sintina”, ossia un bacino che serve a regolare la distribuzione dell’acqua matura nelle “Casedde”: le vasche salanti. Il sale viene poi raccolto dai salinari, ammassato in montagnole (dette “munzedda”) lungo i margini delle vasche e ricoperto da tegole per proteggerlo dalle intemperie.

- foto Davide Salvato -

- foto vento di grecale -

- foto Davide Salvato -

- foto Andrea Parisse -


Goliardicamente “GOLA” Tutto pronto per la XVI edizione del MEDFEST, che si terrà dal 19 al 21 agosto 2011 a Buccheri. La manifestazione è diventata appuntamento fisso e consolidato per gli innumerevoli visitatori, turisti ed appassionati della Sicilia. La quiete del piccolo centro montano prospiciente alle pendici del Montelauro, cede il passo, per tre giorni, alla freneticità artistica, al folklore, all’arte ed alla cultura, dimenticando la quiete che durante i mesi freddi impera, incontrastata, a Buccheri. Il Medfest, promosso dall’amministrazione comunale di Buccheri guidata dal sindaco Gaetano Pavano e magistralmente organizzato dall’assessore al Turismo e alla Cultura, Liliana Nigro, nella veste anche di direttore artistico, è stato patrocinato dalla Provincia, dall’assessorato regionale al Turismo, Identità siciliana e dall’assessorato regionale dell’Attività produttive e da diversi sponsor, con le sue molteplici variegazioni avvolge tutti, dalle istituzioni ai singoli in un rito catartico, produce un interscambio fedele solo al divertimento, alla cultura storica, sociale e gastronomica. La sedicesima edizione è caratterizzata anche da proposte nuove ed alternative che si amalgamano omogeneamente con i più antichi stilemi ed usanze popolari. La “contaminatio” giunge al suo culmine quando gli artisti internazionali di varie etnie coabitano nei giorni dell’evento nelle tortuose vie del castello, luogo deputato alla manifestazione. I reticenti e curiosi abitanti, ormai abituati, lasciano volare volontariamente il loro quieto vivere. I produttori locali attenendosi severamente alla cucina tipica medievale propone pietanze desuete ed antiche, ma pregne di tempi e tradizioni lontani. Si lega al cibo, ai piatti, alle ricette, ai gusti e ai sapori il tema di questo anno “La Gola“, intesa non come peccato, ma come capriccio, come delizia con un pizzico di sensualità. Il Medfest è il più importante e funzionale veicolo pubblicitario legato ad un così piccolo centro. I visitatori provenienti da ogni parte e di qualsiasi grado culturale e sociale propagandano l’evento, tramite un “mantra” di promozione. Nei tre giorni Buccheri indossa la veste “dell’internazionalizzazione”, diventa: provincia del mondo, capoluogo di città, cerca una location ricca di arte, musica, spettacolo e cultura. Tre giorni che quest’anno saranno aperti, venerdì sera, con il Primo Festival medievale di Tamburi.


Dai paramenti sacri agli abiti del Settecento: a Catania mille anni di memoria pubblica e privata Sul filo del ricordo le “stanze della memoria”, l’originale e visionario allestimento di Marella Ferrera frammento del mantello di Arrigo VI, padre di Federico II ai paramenti liturgici del 1700, dalle antiche carte da tarocchi agli abiti da collezione. Dal 22 luglio al 22 ottobre il Museo Civico Castello Ursino di Catania ospita “Pezze di Storia”, mostra che per la prima volta - da quando nel 1934 sono confluite nella raccolta del museo cittadino – espone le straordinarie collezioni tessili delle wunderkammer, le “stanze delle meraviglie” dei Principi Biscari e dei Padri Benedettini, che già dopo l’Unità d’Italia cedettero tutti i beni della loro congregazione al neonato demanio statale. La mostra, organizzata dal Comune e dalla Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Catania, nasce da un progetto di Marella Ferrera, già assessore comunale alla cultura e attuale consulente del sindaco Raffaele Stancanelli. La direzione scientifica di “Pezze di Storia” – evento patrocinato dall’Assessorato Regionale per i Beni Culturali e dell’Identità Siciliana - è frutto della sinergia fra le storiche dell’arte Luisa Paladino, dirigente della Soprintendenza di Catania, e della funzionaria Carmela Cappa e propone un allestimento originale progettato dalla stessa Marella Ferrera in qualità di concept creator realizzato nei laboratori del Teatro Stabile di Catania. Un catalogo raccoglie e documenta tutti reperti esposti con le schede redatte dagli esperti della Soprintendenza e con il contributo particolare della storica dell’arte Carmela Costa nella ricostruzione della festa religiosa del Sacro Chiodo. In mostra oggetti di raffinata fattura provenienti dalle Wunderkammer, delle “enciclopedie tattili” che gli aristocratici come i Principi Biscari esibivano ad ospiti privilegiati, come i viaggiatori stranieri in Italia per il Grand Tour tra il XVII e il XX secolo. Dalla collezione dei Padri Benedettini provengono paramenti sacri e manufatti artistici di grande bellezza. Documentano la passione di mecenati illuminati e collezionisti privati che compravano dal mercato antiquario pregevoli manufatti frutto della sapienza manuale e dell’estro creativo di artigiani del passato. Tutti i pezzi in esposizione sono stati sottoposti ad un complesso lavoro di pulitura e conservazione eseguito, lungo il 2009, da specialisti del restauro tessile che operano a Siena sotto la guida di Grazia Palei. Fra le curiosità in mostra uno dei tre frammenti del mantello di Arrigo VI, padre dello Stupor Mundi Federico II di Svevia (gli altri sono custoditi al British Museum di Londra e nella Cattedrale di Palermo), un curioso fermabaffi da notte; le collezioni “profane” di Carte da Tarocchi

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A sinistra, Franco Buzzanca (teatro stabile) e Marella Ferrera (ph. Valerio D'Urso)

Sala 1, Piviale in velluto rosso HD (ph. Valerio D'Urso)

e quelle “sacre” di paramenti liturgici finemente ricamati in oro e argento; abiti e biancheria da collezione del Settecento e infine il sontuoso baldacchino utilizzato in occasione della processione del Sacro Chiodo, la reliquia della croce donata ai Benedettini dal re Martino, venerata dai cittadini di Catania con devozione pari a quella di Sant’Agata. Fra le curiosità anche la “Stanza del Cucito”, un omaggio a Donna Felicia Biscari, arredata con tutti gli strumenti per filare, cucire e ricamare e l’ostensorio portato in processione per Catania in occasione della Celebrazioni del Sacro Chiodo, festa raccontata da De Roberto nel suo romanzo “I Vicerè”. Originale ed evocativo l’allestimento progettato da Marella Ferrera: grandi cubi in legno diventano volumi espositivi, visionarie “stanze della memoria”, giganteschi telai dove i fili della narrazione di “Pezze di Storia” tracciano trama e ordito e cascate di tulle grigio si trasformano in patina del tempo che proietta ogni reperto in una dimensione spaziotemporale lontana dal presente.


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Il complesso rupestre del Poggio dei Santi di Giuseppe Nuccio Iacono - Foto Giulio Lettica -

Una piccola storia scavata nella roccia tra Vizzini e Monterosso Almo



colle detto “Poggio dei Santi” conserva uno dei più interessanti complessi rupestri della Provincia di Catania. Nonostante appartenga al territorio di Licodia Eubea, il sito dista pochissimo da Monterosso Almo, delizioso paesino del ragusano. Raggiungibile seguendo la strada statale 194 che collega Vizzini a Ragusa, a circa 6 km da Monterosso Almo, in contrada Alia, un sentiero conduce al complesso rupestre. Lungo il percorso, piacevole e agevole, si svela tutta la bellezza di un paesaggio selvaggio e incontaminato. Ad ogni passo la natura racconta la storia di quel luogo, storia poco nota perché storia semplice. Dal pianoro, sulla sommità del poggio, si domina una magnifica vista; lo sguardo spazia tra i profili sinuosi delle colline e si addentra nelle silenziose vallate per poi andare indietro nel tempo. Quel tempo remoto e quel luogo antico sono ancora oggi dominati dal Poggio dei Santi. Il colle, con quelle sue grotte che sembrano occhi, continua a scrutare e osservare fiero dall’alto dei suoi 630 metri ciò che resta di un passato. Tutto si concentra nel poggio, nella cava dei Volaci e nel torrente Amerillo. Chi si reca in questo luogo, dovrebbe fermarsi un attimo per ascoltare i suoni della Sicilia arcaica. Un unico suono, risaliva dal fondo valle: si univano il gorgoglio dello scorrere delle acque del fiume Amerillo (oggi ridotto, nei giorni di “Giove pluvio” a semplice torrente) e le voci di coloro che si stanziarono in questo sito ideale, nei secoli del Tardo Impero e durante il dominio bizantino. Anche qui come in gran parte della Sicilia sud orientale sorsero villaggi rupestri, necropoli e luoghi di culto. Sul lato meridionale del Poggio la caratteristica naturale del terreno e le esigenze dell’uomo si incontrarono e diedero vita al complesso rupestre “Grotta dei Santi”. Il terreno costituito da tufi calcarei, ossia rocce poco consistenti, disgregandosi sotto l’effetto di pioggia e vento, diede origine a grotte naturali e anfratti che gli uomini poi ampliarono, adattarono e abbellirono con pitture.

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In tarda età romana, le grotte furono adibite a catacombe (dove una tomba a baldacchino pare accogliesse la sepoltura di un “santo”) e successivamente, dopo vari secoli, un piccolo gruppo cenobitico si stabilì nel sito trasformando parte del complesso in un oratorio rupestre. Il luogo divenne così un importante punto di riferimento di culto per le popolazioni rurali del territorio circostante. Dopo secoli è possibile ritornare in questo mondo non più vissuto! Il sentiero conduce ad un primo terrazzamento dove si trova il primo gruppo di camere ipogeiche. Alcune manifestano gli evidenti segni dei pesanti rimaneggiamenti mentre altre mostrano ancora qualche traccia delle primitive sepolture e degli arcosoli scavati nelle pareti. Passando al secondo terrazzamento, si raggiunge la parte sommitale e monumentale del complesso rupestre. Qui troviamo una delle camere sepolcrali, fra le meglio conservate. L’ingresso si distingue per avere un’apertura centrale, affiancata da altre due di minor ampiezza, che probabilmente risalgono ad una epoca successiva (e oggi parzialmente chiuse da una struttura muraria). L’interno

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presenta quattro sepolcri a sarcofago scavati nella roccia e sei tombe a “baldacchino”. Sopra gli archetti di queste ultime, si notano le tracce di riquadri pittorici con fondo scuro e cornice rossa che dovevano probabilmente accogliere alcune figure di santi. Da questa teoria di santi derivava probabilmente il nome del complesso ipogeico. Accanto a questo primo ambiente, si trova la grotta della “Crocifissione”. La sua originaria destinazione cimiteriale appare alquanto modificata dai diversi rimaneggiamenti che agirono fortemente sugli elementi strutturali per adeguare lo spazio alle nuove funzioni di un oratorio. L’area absidale si trovava in corrispondenza dell’arcosolio orientale dove è ancora possibile ammirare il pannello pittorico raffigurante la “staurosis”: la Crocifissione. La scena mostra al centro un Cristo con aureola crociata mentre ai lati, raffigurati in dimensioni ridotte si trovano, a destra, la Madonna addolorata e, a sinistra, San Giovanni seduto e con il volto poggiato sulla mano destra. Di dimensioni ancora più ridotte è Longino dipinto nell’atto di trafiggere il costato del Cristo, dal quale fuori-



esce abbondante sangue. Nella parte superiore della scena, nella sezione che accoglie il cielo, appare un viso rotondo piuttosto insolito per le iconografie del tempo: un angelo o la personificazione del sole? Con molta probabilità, sotto l’episodio della Crocifissione, in corrispondenza della parete (alquanto rovinata) dove si apre la nicchia, vi erano alcuni piccoli pannelli raffiguranti alcuni Santi. Per quanto riguarda la datazione della “Staurosis”, l’analisi stilistica delle figure colloca l’opera tra il XI e il XII secolo. Dopo alcuni secoli, e precisamente intorno alla metà del ’400, iniziò a calare sul complesso della Grotta dei Santi il graduale abbandono. Calò il silenzio su quelle grotte e pian piano svanirono le antiche pitture. Accanto al Cristo morto qualcuno volle incidere una data: 1445. Poté farlo perché in quell’anno i religiosi avevano già abbandonato il luogo. Con gli anni le grotte attirarono la curiosità dei soliti vandali; esseri anonimi che per eternare la propria stupidità hanno bisogno di attestare la loro “inutile” esistenza incidendo le pareti con il proprio nome. Per fortuna, il sito è da alcuni anni maggiormente tutelato e attenzionato e non sono pochi i lavori di salvaguardia (anche se esteticamente discutibili) intrapresi dagli enti preposti a tramandarci la memoria del territorio.

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Siracusa 22 aprile 22 giugno 2010 - Mostra l'Arma per l'arte in Sicilia Caserma sede della Sezione del TPC Siracusa all'interno del Castello Maniace

Fra i tanti obiettivi del Comando provinciale Carabinieri uno di largo impatto sociale: “Un casco vale una vita” “Mettere in ordine e sicurezza la provincia di Siracusa, facendo conoscere nel contempo la missione e le finalità della Benemerita” questo in sintesi il pensiero del colonnello Massimo Mennitti, che dopo cinque anni di permanenza nella città di Archimede lascia l’incarico di comandante provinciale dei Carabinieri

ativo dell’Alto Adige cinque anni fa venne trasferito per dirigere il Comando provinciale di Siracusa. Ora se ne va, trasferito ad un incarico più prestigioso, consapevole di aver contribuito a dare ai suoi collaboratori e alla cittadinanza tutta il meglio della sua missione nell’Arma Benemerita. Attraverso i suoi discorsi ufficiali e le sue azioni improntate al controllo del territorio, alla gestione non certo facile di una provincia che sta agli

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Siracusa 26 marzo-26 aprile 2011. Mostra “Tesori sommersi - l’Arma a difesa del patrimonio culturale subacqueo” Il Prefetto di Siracusa, Elda Floreno, taglia il nastro all'inaugurazione

29 maggio 2009 - Inaugurazione nuova caserma dell’Arma di Carlentini, con il comandante interregionale Culqualber Gen C.A. Stefano Orlando

Palazzolo A., 27 maggio 2011 - concorso un casco vale una vita - terza edizione - Il Comandante Provinciale premia un gruppo di alunni vincitori L’evento in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Provinciale

Siracusa 27 maggio 2010 - Progetto di educazione alla legalità Un casco vale una vita - seconda edizione Il Comandante Provinciale premia gli alunni vincitori

antipodi dell’Alto Adige, mediterranea, frontaliera, dove la gente è ancora affezionata ai Carabinieri, il comandante Mennitti ha saputo essere un chiaro punto di riferimento. Diverse volte lo abbiamo sentito affermare: “Ogni giorno bisogna fare qualcosa di positivo!” E ciò, per dare continuità e regolarità alla missione e alla funzione che i Carabinieri hanno in questa nostra Italia e quindi anche a Siracusa. Durante i suoi interventi pubblici e privati, conversazioni con il mondo dei media e altre attività specifiche, il colonnello Massimo Mennitti ci ha sorpreso perché ha avuto sempre parole di stima per i suoi collaboratori definendoli “seri professionisti” e poi perché ha saputo trovare nei cinque anni di permanenza a Siracusa “la giusta dimensione fra le direttive dell’Arma e le esigenze del territorio”. In effetti egli ha capito la gente, ha capito lo “spirito siracusano” agendo di conseguenza, forte del suo intuito, della sua cultura e della sua esperienza pratica che lo ha portato a superare percorsi difficili: d’altronde “tenere in ordine un territorio provinciale di 400.000 mila abitanti, con un apparato lavorativo-economico in affanno, non è cosa di tutti i giorni”. Il mondo dei media e la gente comune gli dice “Grazie!” In apertura accennavamo alle molteplici attività promosse del Comando provinciale dei carabinieri: sono state tutte molto seguite, positive, esaltanti.

Rosolini 6 marzo 2009 - inaugurazione stele ai caduti di Nassiriya

Siracusa, Palazzo Bellomo Mostra l'Arma e le Armi 4-21 novembre 2010 - Sciabole, Scimitarre e moschetto mod X. 91 e 38


Specialmente quelle indirizzate al mondo della scuola con il propositivo concorso “Un casco vale una vita”, al quale hanno partecipato ben 12.000 alunni e alunne delle Medie di tutta la provincia. Ne sono stati premiati 600 che con il loro esempio hanno creato una coscienza popolare, scolastica e cittadina, impensabile qualche lustro fa. La nostra rivista sintetizza alcune delle più importanti iniziative di questo quinquennio a cui Mennitti ha saputo conferire un taglio istituzionale e senza dubbio di prestigio. Le proponiamo ai lettori perché fanno ormai parte del nostro vissuto e del solco che, a nostro parere, ci lascia un comandante semplice, non protagonista, dotato di princìpi morali solidi, sempre disponibile all’ascolto, al dialogo, benvoluto da tutti e innamorato del capoluogo e di tutte le sue immense ricchezze e bellezze storiche e archeologiche. “Ad maiora!” colonnello Mennitti. Giuseppe Aloisio

Siracusa 24 aprile 2009 - Vertice G8 Ambiente e Carosello Storico Memorabile ed emozionante esibizione alle delegazioni straniere del Carosello storico dei Carabinieri. Uno spettacolo di grande fascino e interesse come evento collaterale a conclusione del G8 Ambiente con ministri, deputati, autorità nazionali e locali e cittadini. Circa 15.000 spettatori convenuti nell’Ippodromo del Mediterraneo

Teatro greco - Esibizione della banda musicale dei Carabinieri Da sin.: il maestro direttore, Massimo Martinelli, Mimmo Contestabile, il comandante Mennitti, due mascotte e la presentatrice Lucina Campisi

Siracusa 22 aprile 22 giugno 2010 - mostra l'Arma per l'arte in Sicilia Il Gen. C.a. Lucio Nobili assieme al comandante Mennitti e al sovrintendente di Siracusa, Mariella Muti



Il Monastero di Santa Teresa a Scicli Tra preghiere e peccati di gola di Giovanni Portelli antico Monastero di Santa Teresa, poi sotto titolo di Santa Chiara, non rimangono che le tracce di alcune mura perimetrali arditamente inglobate in più moderne costruzioni, e l’adiacente omonima Chiesa, ultimo segnale e indizio, tuttora esistente, di un vetusto splendore. Un lungo cordone di caseggiato disposto a ferro di cavallo racchiudeva al suo interno un vasto e ubertoso giardino che impegnava le casse del monastero per parecchie onze l’anno, sia per mantenere il lavoro del giardiniere che per comprare l’acqua per l’irrigazione. Le antiche celle si snodano, oggi, all’interno di una dimora civile, come la serpentina di un labirinto, più volte interrotto dai ripetuti rimaneggiamenti secondo varie e più attuali occorrenze. Un lungo muro rinnovato nell’intonaco separa i dormitori dal corridoio; si arresta anzitempo per finire in un

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tramezzo posto di traverso, quasi volesse nascondere un’antica onta di là oltre quel confine. Muri sventrati lasciano comunicare le celle sovvertendo l’originale riserbatezza che, un tempo, custodivano al loro interno. Due finestre chiuse dai neri e fini ricami delle grate consentivano alle claustrali di assistere alle funzioni religiose, lasciando, nel contempo, trapelare lo splendore della luce custodita all’interno della chiesa. Per quelle anguste eppur tanto bramate vie, saliva anche, ogni giorno, un intenso odore di incenso che inebriava gli animi delle religiose e ne mitigava, pure, le terrene passioni. Fondato nel XVI secolo in una delle vie che ancora si inerpicano su per uno dei colli della città di Scicli, fu distrutto dal terremoto nel 1693. Un anno dopo venne dato mandato di cercare il terreno per la nuova fabbrica, questa volta in un’area più a valle. La scelta cadde sull’ultimo tratto di quella che di lì a pochi anni diventerà via del Corso, stradina che, allora, terminava


nei giardini del contado, suggellando a suo modo il confine della città. Tra le fondamenta della costruzione si pensò di celare segreti vani e cunicoli che consentissero di muoversi da un punto all’altro del fabbricato. In uno di quegli ambienti veniva riposta la neve che si comprava, ogni anno da maggio ad agosto, nei vicini paesi montani. Il magazzino era ben curato e tenuto sempre pieno, grazie, anche, alle ricche rendite e donazioni di cui il monastero godeva. Quasi tutte le quindici o diciotto suore di Santa Teresa provenivano dalle principali famiglie nobili del paese e le prime ad essere ammesse nel nuovo monastero di via del Corso furono tre sorelle della potente e ricca famiglia Grimaldi, della vicina Modica. Ad assorbire gran parte degli esiti c’erano le spese per l’acquisto di alimenti facilmente conservabili. Nel secondo decennio del ’700 il Monastero acquistava soprattutto frutti di mandra, ovvero formaggio, oltre quattro quintali all’anno, ricotta

salata (1 quintale l’anno) e scaldate (90 rotoli in un anno). Da Trapani facevano arrivare ogni anno due quintali di tonnina che poi provvedevano a salare. Considerevole era il consumo annuale di legumi: circa 4 tumuli di fagioli, 8-10 di fave e 4 di ceci. Non mancava la frutta secca, come mandorle, noci e nocciole, per il quantitativo, rispettivamente, di circa tumuli 6, 10 e 4. Tra le spese c’era anche l’acquisto di mosto, vino e aceto. Una quota a parte era riservata per la compera di alcuni ingredienti per preparare dolci, quali miele, zucchero e poi maiorca, cannella, garofano, zafferana. A Natale era concesso il torrone e la cubbaita, questa presente anche tra le carte degli esiti del 1663. A partire dal 1768 un bordonaro portava ogni anno la cioccolata ordinata a Palermo, proprio come avveniva negli stessi anni in casa Grimaldi. Fu proprio dieci anni dopo l’apparire di quest’ultimo stravizio che il vescovo di allora volle mettere un freno alle monachelle per

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lo smodato consumo di alimenti. Con una nota segnata il 27 aprile nell’anno domini 1778, a conclusione della sua visita, il revisore dei conti, Don Saverio Petrinaci, fece rilevare come gli introiti del monastero superassero solo di 18 onze la somma degli esiti. “Si incarica - scrive l’irreprensibile estensore - al tesoriere suddetto e reverenda madre Priora d’aver un po’ più di riguardo nello spendere, da poiché s’è veduto qualche esorbitanza nelle provvigioni annuali, cioè nella compra dell’olio, formaggio, legni, carbone, cera e frumento, e specialmente in certi mandati troppo caricati pell’occorrenze straordinarie, e però si previene alla reverenda madre Priora acciocchè nell’avvenire regolasse ogni cosa, e che non si possa comprar più di salma una di frumento in ogni anno per ogni religiosa ed altre salme due che se ne assegnano di soprapiù in ogni anno, per tutte l’occorrenze extraordinarie che si potessero dare. Il superiore richiamo non ebbe buona sorte tra le conventuali mura al punto che, dopo appena otto anni, un altro revisore, tale Giovanni Domenico Del Servo, fu costretto nuovamente a riprendere per iscritto la reverenda priora. Questa volta l’esito aveva superato di oltre 69 onze gli introiti dell’anno, con un consumo eccedente di frumento, musto, vino, oglio, legni ed ogni altro. Il fedele revisore affida, naturalmente, alla benevolenza del reverendissimo

monsignore vescovo l’assoluzione dalle pene e censure in cui era incorsa la mala amministrazione della Priora Suor Teresa di Santa Maria Zisa e del reverendo preposito Don Raffaele Papaleo, ma dispone che intanto sia il monastero a recuperare le somme fuoriuscite e non introitate. Allo scopo di riportare modi e misure entro confini di discreta morigeratezza ordina, quindi, alle suore di rispettare alcune regole negli acquisti delle provviste: “frumento alla ragione di salma una per ciascuna religiosa ogni anno da passarsi in comunità; vino alla ragione di salma una per ciascuna religiosa ogni anno, proibendosi la provigione di musto per vino, e soltanto si permettono salme due di musto dolce ogni anno per tutta la comunità; oglio quintali quattro ogni anno per servigio di tutta la comunità, chiesa ed ogni altro; legni grossi, frasche, carbone e nozzolo onze trenta ogni anno; cacio quintali due, caciocavallo rotoli cinquanta, e ricotta quintale uno ogni anno; tonno salato rotoli ottanta ogni anno; miele rotoli ottanta ogni anno; zuccaro rotoli venti ogni anno; lenti tumoli due, fagiole tumoli due, fave tumoli sei, noci tumoli quattro, ed amandorle tumoli quattro ogni anno; once quattro ogni mese per coffa; cera in tutto rotoli ventidue ogni anno ed once trenta ogni anno per ogni qualsiasi occorrenza giornaliera e non altrimenti”.


Ad aver attirato l’attenzione del buon revisore pare sia stata, soprattutto, la dismisura con cui alcuni alimenti erano stati consumati nel corso dell’anno. Così viene additato l’eccessivo uso di frumento ma anche l’abuso di vino, a tal punto da imporre che la provvista annua sia di una sola salma per religiosa e che il mosto venga acquistato solo per farne mosto dolce e non vino. Cinque anni dopo, per l’esatto dire il 14 maggio del 1803, il vescovo di Siracusa Gaetano Bonanno si congratula con la madre Priora per la visita spirituale e temporale delle monache. Gli introiti avevano nuovamente superato gli esiti e il consumo di alcuni alimenti era stato diligentemente fatto rientrare secondo le precedenti imposizioni. Ma un nuovo e

molto più grave problema faceva capolino tra i fogli delle carte. Forse a seguito dell’esistenza di alcuni non gradevoli avvenimenti, il severo revisore consiglia al sacerdote di tenere un libro delle messe celebrate e di applicare le pene contenute nelle leggi Sinodali a quelle religiose che ordiranno parlare oltre le esterne grate. Impone che dalla porta della clausura potranno entrare ed uscire solo quelle cose che non possono passare dalla Ruota. Dà incarico alle religiose di custodire bene la clausura: potranno passare per la via più breve del Monastero solo il medico e le decane sotto il controllo del Reverendo Sacerdote. Ma di questi e altri avvenimenti sarà bene riferire lungamente altrove.

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SVILUPPO TERRITORIALE: non solo “bello e tutelato” ma anche “buono e produttivo” Un marchio garantisce la genuinità dei prodotti agroalimentari delle Riserve Naturali della Provincia di Ragusa produzioni agroalimentari coltivate all’interno delle La concessione avrà durata annuale e saranno effettuati Riserve Naturali Iblee adesso hanno un Marchio che controlli periodici al fine di garantire il rispetto delle ne identifica la provenienza. Un’iniziativa, questa, disposizioni contenute nel Capitolato d’uso e tutelare fortemente voluta dall’Assessore al Territorio, Ambiente e l’immagine dell’Ente. Protezione Civile della Provincia Regionale di Ragusa, Salvo A sostegno dell’iniziativa è stata effettuata, inoltre, una Mallia. Due i marchi istituiti e precisamente “Prodotto campagna informativa mediante l’utilizzo di materiale nella Riserva Naturale Pino D’Aleppo” e “Prodotto divulgativo ed è stato organizzato un incontro con i nella Riserva Naturale Macchia Foresta del Fiume produttori locali ai quali, attraverso la consulenza di un Irminio”. esperto in marketing territoriale, sono state fornite le “Il marchio - spiega Mallia - si presenta come uno dovute delucidazioni non solo per ottenere il rilascio del strumento di identificazione per le aziende marchio ma anche sulle opportunità che esso agricole che producono o allevano con metodo rappresenta per le produzioni locali. biologico certificato, all’interno delle Nell’epoca della globalizzazione e di internet, riserve naturali della nostra provincia. infatti, il valore dei marchi è senza dubbio Adottarlo significa permettere al consuaumentato. Considerando che i consumatori matore il riconoscimento delle caratteristiche scelgono quasi esclusivamente marchi qualitative di queste produzioni. Ma non solo. conosciuti e affidabili, è chiaro che la Attraverso questa istituzione stiamo cer- Provincia Regionale di Ragusa competitività di un’impresa, oggi più che mai, è cando di incentivare sempre più una strettamente legata al suo nome, alla agricoltura orientata ad un modello di sviluppo sostenibile riconducibilità ad essa dei suoi prodotti e alla fiducia che che, utilizzando i metodi della produzione biologica, il consumatore ripone nel marchio e nella qualità di un garantisca la salvaguardia e la valorizzazione delle risorse, prodotto. il rispetto dell’ambiente, del benessere animale e della “Ecco perché - conclude Mallia - come amministratore, salute di chi consuma. Adottare questo marchio significa consapevole delle difficoltà che il comparto sta quindi anche fare una scelta di responsabilità”. attraversando, sono fermamente convinto che l’istituzione Punti di forza sono dunque: la valorizzazione dei prodotti del marchio, anche se può sembrare un piccolo gesto, tipici e dei luoghi di produzione, la tutela dell’ambiente, il rappresenterà per i produttori quel valore in più in grado rafforzamento dell’immagine delle singole aziende, di rafforzare la genuinità dei loro prodotti”. considerato che oggi il consumatore non valuta soltanto il prodotto acquistato ma l’organizzazione nel suo complesso. Ed ancora la promozione del territorio attraverso la conoscenza dei prodotti tipici, in termini di freschezza, genuinità, stagionalità ma anche di storia del cibo che si porta in tavola e la promozione di uno stile di vita caratterizzato dall’attenzione per l’ambiente e le sue risorse. Secondo quanto previsto dal regolamento il Marchio verrà rilasciato gratuitamente a tutte quelle aziende ricadenti all’interno dei confini amministrativi delle riserve, pre– Il Direttore delle Riserve, dott.ssa Maria Carolina Di Maio, l'assessore riserva compresa, e in possesso di certificazione biologica. Salvo Mallia e il Presidente della Provincia on. Francesco Antoci

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QUANDO UNA TRANQUILLA CITTADINA SUGLI IBLEI, CANICATTINI BAGNI, DIVENTA PALCOSCENICO INTERNAZIONALE DEL GRANDE JAZZ di Gaetano Guzzardo uasi ventanni di storia ed una esperienza in crescendo nata alla fine degli anni ’80 attorno ad uno dei gruppi emergenti del panorama jazzistico italiano, Amato Jazz Trio (i fratelli Alberto, Elio, Sergio Amato) che affondano le proprie radici musicali nella cittadina di origine, sugli Iblei, Canicattini Bagni, 7000 anime in provincia di Siracusa, definita “città della musica”, con i suoi 140 anni della Banda Musicale ed una Scuola Comunale di Musica, dove anche gli Amato hanno studiato, frequentata ogni anno da oltre un centinaio di ragazzi. Al gruppo si aggiunge uno di questi ragazzi, anche lui innamorato del Jazz, il sassofonista Rino Cirinnà, che ha avuto modo di perfezionarsi e insegnare in America, a Boston. Nasce così nei primi anni ‘90, grazie alla collaborazione con il Comune di Canicattini Bagni che lo sostiene, il Festival Internazionale del Jazz, che nel 2004, dopo l’improvvisa scomparsa (13 dicembre 2003) a causa di un incidente stradale del batterista Sergio Amato (sostituito nel gruppo dal fratello minore Loris), diventa, dedicandoglielo: Festival Internazionale del Jazz “Sergio Amato”. Un appuntamento musicale che da sempre ha avuto sul palcoscenico il meglio del Jazz italiano e mondiale (da De Paula, Fresu, Rava, Gatto, Giammarco, Tamburini, King, oltre ad una schiera di giovani artisti siciliani, come Dino Rubino, Seby Burgio, Peppe Tringali, Alberto Fidone, vere e proprie eccellenze che si stanno affermando a livello nazionale ed internazionale) e l’attenzione della stampa specializzata e di settore. Ad organizzare il Festival, da alcuni anni, accanto al Comune di Canicattini Bagni e all’Associazione Otama, si sono aggiunte anche le Associazioni Anthea e Sabatù, e da un paio d’anni ad arricchire questa straordinaria struttura organizzativa è arrivata anche l’Associazione Freecom per la Comunicazione, oggi tutti rappresentati in un’unica struttura associativa: “Yhan - La Sorgente della Musica”. Lo scorso anno, a conferma della validità e dello spessore

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Nathalie Blanc & Petrucciani Brothers

Rino Cirinnà e Orazio Maugeri

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culturale ed artistico raggiunto (ospiti musicisti del calibro di: Omar Harim, Paola Milzani, Nathalie Blanc e Petrucciani Brothers, Marco Tamburini, Maurizio Giammarco, Peter King, Gabriele Comeglio, Sanem Kalfa, Tony Arco, Stefano Bagnoli, Marcello Pellitteri, Silvio Barbara, Seby Burgio, Dino Rubino, Alberto Fidone, Nello Toscano, Lucio Terzano, Claudio Angeleri, Peppe Nicosia, e naturalmente gli Amato Jazz Trio), e i riconoscimenti ottenuti, che ne fanno uno degli appuntamenti più ambiti nel panorama jazzistico nazionale ed internazionale, il Festival di Canicattini Bagni è stato inserito dalla Regione Siciliana tra gli eventi del Circuito del Mito e da quest’anno nella programmazione dei “Grandi Eventi”. Un riconoscimento che è motivo di orgoglio per il sindaco di questa cittadina, Paolo Amenta, per la sua Amministrazione che, contrariamente ad un immaginario collettivo che vorrebbe la “Cultura” poco utile per creare sviluppo e la crescita economica di un territorio di inestimabile valore paesaggistico, storico ed ambientale, incastonato sugli Iblei tra i siti Unesco di Siracusa, Pantalica, Noto e Palazzolo Acreide, ha proprio deciso di “investire” in un grande progetto culturale che pone al centro proprio la Musica quale strumento di comunicazione e contaminazione multiculturale e multietnica. Motivo di soddisfazione anche per gli organizzatori storici del Festival, il direttore artistico Alberto Amato, il direttore organizzativo Saro Acquaviva e per Rino Cirinnà, direttore dei Seminari di approfondimento strumentale, che ogni anno, in concomitanza con il Festival (dal 5 al 15 agosto), vede arrivare a Canicattini Bagni giovani musicisti provenienti da tutta Italia, che la sera animano la vita della cittadina e degli intenditori. Sono sempre tre i momenti caratterizzanti del Festival Jazz “Sergio Amato” di Canicattini Bagni: il concerto sul palco, intorno alle ore 22, nel cuore del centro storico, nella

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Nathalie Blanc - Louis e Philippe i fratelli Petrucciani

Arco, Pillitteri, Bagnioli

grande Piazza XX Settembre, diventata ormai con il Jazz, e con gli altri percorsi musicali che prendono vita ogni anno in città, il Festival Etnico (fine luglio) e il Raduno Bandistico (dall’1 al 4 settembre) un vero e proprio crocevia di ritmi e sonorità diverse. A seguire, intorno alla mezzanotte, le jam session che si svolgono al chiuso, nel suggestivo Jazz Club realizzato ogni anno nelle sale a piano terra di Palazzo Messina-

Alberto Amato e Marcello Pellitteri


Carpinteri, sempre in via XX Settembre, con nuovi artisti. Un progetto musicale e culturale quello di questa cittadina, Canicattini Bagni, porta orientale degli Iblei, città del Liberty e della Musica in provincia di Siracusa, che il sindaco Paolo Amenta ha voluto fortemente legare al territorio, catalizzando l’interesse e la collaborazioni di tante professionalità e associazioni, come l’Ente Fauna Siciliana, per meglio accompagnare il visitatore nel suo viaggio attraverso lo straordinario e suggestivo territorio ibleo, per conoscerne la storia, la cultura, le tradizioni, gli odori e i sapori. Panorami e scenari incontaminati, da Siracusa all’entroterra, oggi patrimonio dell’Unesco, al centro del quale è incastonata Canicattini Bagni con l’archeologia dei luoghi e delle cave che la circondano, testimonianze del passaggio di civiltà passate. Una concentrazione di beni storici, artistici e paesaggistici da conoscere e da vivere, che quest’anno, in occasione del Festival Internazionale del Jazz “Sergio Amato”, grazie alla collaborazione con le guide naturalistiche dell’Ente Fauna Siciliana e del Museo del tessuto – Casa dell’Emigrante di Canicattini Bagni, diventano escursioni, da Pantalica a Vendicari, da Cava Grande del Cassibile, al Liberty e al Parco Archeologico dell’altopiano canicattinese, e ancora Siracusa e il barocco di Noto e Palazzolo Acreide. Questa cittadina, diventata laboratorio progettuale di sviluppo e vetrina culturale tra le più rappresentative nel panorama nazionale ed internazionale, ha scelto quindi la Musica quale linguaggio universale per dialogare con il mondo e valorizzare le sue risorse, diventando luogo d’incontro e crocevia di sonorità e contaminazioni che arrivano da tutto il mondo. E lei come sempre non fa mancare il calore dell’accoglienza della sua gente.

PROGRAMMA 16ª EDIZIONE 5-15 AGOSTO 2011 ORE 22,00 PIAZZA XX SETTEMBRE 5 agosto - Amato Jazz Trio - Steve SwallowAdam Nussbaum/Giovanni Mazzarino 6 agosto - Eddie Gomez with Salvatore Bonafede & Joe La Barbera “We love la faro” 7 agosto - Hilario Duran Quartet; 8 agosto - Jean-Pierre Como Band; 9 agosto - Claudio Angeleri Quartet “tripudio alla musica di Jimi Hendrix”; 10 agosto - Pietro Tunolo Quartet; 11 agosto - Franco Ferguson & John Tchicay; 12 agosto - Seven Steps About “Carmen” di Bizet; 13 agosto - Frank Tiberi Quartet “Tiberian Mode”; 14 agosto - Maurizio Giammarco, Orchestra Jazz del Mediterraneo “Cieli di Sicilia”; 15 agosto - Jazz Cultural Exchange - Paul Abela Quartet (Malta); - Rui Caetano Trio (Portogallo); - Amato Jazz Trio JAZZ CLUB - ORE 24,00 PALAZZO CARPINTERI 5 agosto - ROBERTA MARCHESE QUARTET; 6 agosto - CALOGERO MARRALI QUARTET; 7 agosto - FULVIO ALBANO QUARTET; 8 agosto - BRUNO LOMBARDI, CESARE CARBONIBI TRIO “tributo a Claude Bolling”; 9 agosto - CAMILLO BALCONE TRIO; 10 agosto - TONY ARCIO REAL TRIO; 11 agosto - SERGIO ORLANDI JAZZ QUINTET; 12 agosto - MALACRIDA QUARTET; 13 agosto - CAMILLA BATTAGLIA JAZZ ENSEMBLE; 14 agosto - ALBERTO AMATO/MAURIZIO DIARA DUO - RAFFAELE GENOVESE QUARTET SEMINARI-CORSI DI PERFEZIONAMENTO 7-14 AGOSTO 2011 - TONY ARCO - batteria - CLAUDIO ANGELERI - pianoforte - musica d’insieme - LUCIO TERZANO - basso - contrabasso - PAOLA MILZANI - tecnica vocale e interpretazione jazzistica - RINO CIRINNA’ - sassofoni - tecnica improvvisazione - SERGIO ORLNDI - tromba - trombone - MAURIZIO FRANCO - clinics tecniche di giornalismo musicale e il mercato del jazz in Italia

Lucio Terzano

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foto Salvatore Zuccarello

Meraviglie del Mandorlo di Giuseppe Nuccio Iacono riginario dell’Asia centrale e coltivato presumibilmente già nell’età del bronzo, il mandorlo fu introdotto nel bacino Mediterraneo attraverso l’Asia minore. In Sicilia giunse con i Greci. Il frutto conosciuto dai romani come “noce greca” fu considerato come un ottimo rimedio contro l’ubriachezza… se mangiato prima dei banchetti. Per le sue qualità nutritive, la mandorla ebbe una grande diffusione nel medioevo diventando uno degli ingredienti immancabili della cucina. Non solo. Esaltato per le sue

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proprietà curative, assunse anche tutte le valenze legate ai poteri afrodisiaci. Presente nei filtri d’amore e prescritta dai medici per rinvigorire l’attività sessuale, la mandorla si caricò presto anche di un valore simbolico sacro e profano. La forma del frutto era collegata a quella dell’organo femminile che genera la vita. Da qui il concetto di fecondità, prosperità e vigore era consequenziale. È chiaro il riferimento alla fertilità presente nell’antica consuetudine di offrire confetti in occasione di matrimoni. Né si può dimenticare la fortuna nell’arte medievale e rinascimentale del soggetto “Madonna della


Mandorla”, dove la vergine inserita in uno spazio a forma di mandorla sottolineava la “maternità” che aveva generato con la “nascita” del Redentore anche la “rinascita” dell’umanità. Ma il trionfo della mandorla segna soprattutto la storia della gastronomia. Negli antichi monasteri siciliani, le suore che bene sapevano unire la virtù delle preghiere ai peccati di gola, elaborarono diverse ricette dove la mandorla era l’ingrediente principe. L’elemento “principe” diede vita alla famosa “pasta reale”, ossia quel “impasto di mandorle” che ancora oggi viene utilizzato nella preparazione di tanti dolci della pasticceria siciliana (cassate, biscotti, frutta martorana, marzapane, ecc…). Si ricavò anche il famoso “latte di mandorla”, impiegato in origine nella cucina come fondo di cottura per brodi e come addensante di salse e… successivamente apprezzato per essere una gustosa bevanda. Uno dei prodotti tipici che non può mancare in estate nelle località siciliane. Una bevanda rinfrescante che se servita ghiacciata diventa una squisita granita. Nella Sicilia sud-orientale, in alcuni comuni delle Province di Siracusa e Ragusa è coltivata e tutelata la qualità di una mandorla che eccelle per le sue mille virtù: è la famosa “mandorla di Avola”. Quel guscio “pizzuto” racchiude un tesoro per la nostra salute.

I l mi to del l’ a t t es a d i Fi ll i de Il mandorlo è per antica tradizione legato al concetto di attesa. L’immagine simbolica, già evidente nelle Sacre scritture per la stessa assonanza tra “shaked” (mandorlo) e “shakad” (veglia), trovò la sua massima fortuna nella mitologia greca. Il mandorlo assorbito dal mito divenne così il protagonista finale della triste e tenera storia d’amore della principessa Fillide. Secondo il racconto tramandato (con alcune varianti) da illustri poeti latini, Demofoonte, figlio di Teseo e di Fedra, durante uno dei suoi viaggi verso Troia, approdò sulle coste della Tracia. Qui tra l’eroe greco e Fillide (la figlia del re) nacque un profondo amore e una promessa di matrimonio. Purtroppo il destino ostile iniziò a tramare contro i sogni e le speranze dei due amanti. Demofoonte costretto a tornare ad Atene, lasciò Fillide promettendole di tornare entro breve per le nozze. La principessa attese invano il ritorno dell’amato. Sentendosi abbandonata e tradita nella speranza fu colta dalla disperazione e si uccise. La dea Atena per compassione tramutò il corpo di Fillide in un albero che non fioriva e non aveva foglie. Quando, dopo varie peripezie, Demofoonte poté ritornare… fu informato della triste fine della principessa. Seppe della sua trasformazione e corse verso l’albero per poterlo abbracciare. Le sue struggenti lacrime di dolore commossero l’Olimpo. Gli Dei fecero fiorire i rami dell’albero che da quel giorno tutti chiamarono “mandorlo”. La ricca fioritura che anticipa nel tempo quella delle altre piante è in effetti una sorta di ricompensa per quell’attesa fatale.

Il mito di Fillide - dipinto di Edward Burne Jones (1833-1898)


lettera d i sp era ta di fil lide

Ricca di vitamina E (importante antiossidante) la mandorla di Avola si distingue per il suo alto contenuto di magnesio, per i grassi insaturi, il calcio e per le ottime proteine vegetali. Oltre ad essere un buon antinfiammatorio naturale e un prezioso integratore viene indicato come un utile elisir che favorisce la calcificazione delle ossa in gravidanza e menopausa. Non solo. Attenua i disturbi mestruali ed è un ottimo coadiuvante contro i disturbi del sistema cardio-circolatorio. Un elenco per il benessere che le ricerche del CNR hanno evidenziato e che viene garantito dal Consorzio di tutela e miglioramento della filiera Mandorla di Avola.

Enoturismo, al via “Il circuito di Bacco nelle cantine di Venere”

Vino, cultura, musica e spettacolo tutto al femminile. Sono questi i temi a cui si ispira la seconda edizione de "Il Circuito di Bacco nelle Cantine di Venere" promossa dall'assessorato regionale al Turismo e dall'Istituto Regionale della Vite e del Vino. La manifestazione itinerante, inserita nel Circuito del Mito, si propone di presentare dei percorsi all'interno delle cantine vitivinicole siciliane in cui le donne svolgono un ruolo dirigenziale o d'immagine. Ognuno di questi percorsi sarà la cornice di rappresentazioni musicali e artistiche legate al vino come comune denominatore.

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“Questi è colui che sedusse con l’inganno la donna che lo amava e che lo aveva ospitato”. (Ovidio, Heroides): Ovidio nel suo racconto consegna tutta la tragedia nella lettera che Fillide scrive a Demofoonte. *** Io, la tua Fillide [.....], io che ti accolsi, o Demofoonte, lamento che tu stia lontano più del tempo avevi promesso. Avevi convenuto di tornare a gettare le ancore alle mie sponde quando le corna della luna si fossero riunite una prima volta a formare il disco completo. [.....] Spesso ho ingannato me stessa a tuo favore, spesso ho creduto che i venti tempestosi respingessero le tue bianche vele. Ho maledetto Teseo, perché non voleva lasciarti partire, ma forse non fu lui a ritardare il tuo viaggio. [.....] Ma tu ti attardi lontano, non ti riportano indietro i giuramenti fatti sugli dèi e il nostro amore non ti sprona a tornare. Demofoonte, tu hai sciolto ai venti le vele e le tue promesse [.....] E non rimpiango di averti aiutato concedendoti approdo e rifugio: ma [.....] mi pento di aver aggiunto alla mia ospitalità il letto coniugale, coprendomi di vergogna, e di aver unito il mio fianco al tuo. Preferirei che la notte precedente a quella fosse stata l’ultima per me, quando io, Fillide, potevo morire ancora onorata [.....]. Osasti abbracciarmi e, abbandonato sul collo di chi ti amava, unire strettamente a lungo le nostre bocche nei baci e confondere le mie lacrime con le tue e rammaricarti perché la brezza era favorevole alle vele e, sul punto di partire, dirmi con le tue ultime parole: “Fillide, ti raccomando, aspetta il tuo Demofoonte!”. [.....] Spesso ho sete di veleni, spesso vorrei finire la mia vita con una morte sanguinosa, trapassata da una spada; vorrei anche stringermi un laccio attorno al collo, perché si è offerto alla stretta delle tue braccia infide. Tu sarai indicato sulla mia tomba come l’odioso responsabile e sarai ricordato per questo epitaffio o per uno simile: “Demofoonte causò la morte di Fillide, lui, suo ospite, fece morire lei che lo amava; egli fornì la causa della morte, lei la mano”.....



FARI E GUARDIANI

di Giovanni Bonfiglio

e guardiani due parole che racchiudono in sé molti significati. I Fari per il navigante rappresentano il conforto, la luce, l’aggrappo al suolo, il riparo, l’ancoraggio, la terra, la casa. Per altri ancora i fari sono colonne, templi, monumenti e in molti casi anche l’identità e il simbolo di intere popolazioni. Il Guardiano è l’essenza del faro, una figura che per decenni ha colpito l’immaginario collettivo, un uomo “sospeso tra mare e cielo, padrone di una nave ancorata al terreno, uomo di terra ma in realtà marinaio, reso schivo dalla solitudine ma coraggioso e innamorato del mare al punto da poter vivere dentro un faro, a contatto con esso e da considerarlo un privilegio”.

Si ringrazia per la collaborazione l’ufficio stampa e il Comando di Zona Fari Sicilia della Marina Militare

Fari

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Guardiani e famiglia del Faro di Capo Scaramia (1954)


Il Guardiano del Faro Non si può parlare di fari senza parlare del Guardiano del faro, questo personaggio sospeso tra mare e cielo, padrone di una nave ancorata al terreno, uomo di terra, ma in realtà marinaio, di solito un uomo reso schivo dalla solitudine, ma coraggioso, capace di assistere alla più terribili tempeste, ed alle volte eroe, quando gli capita di salvare dei naufraghi di un vascello che si è schiantato ai piedi del suo faro. Quest’uomo è spesso così innamorato del mare da poter vivere dentro un faro, a contatto con esso e da considerarlo un privilegio.

I guardiani del faro di San Rainieri sul terrazzo della torre (1895)

Impianto a vapori di petrolio (1916)

I primi fari costruiti dopo l’Unità d’Italia funzionavano ancora con combustibili diversi, alcuni addirittura con olio d’oliva, paraffina, vapori di petrolio, acetilene, fino all’arrivo graduale dell’elettricità ai primi del 1900 e la presenza dell’uomo era indispensabile per il funzionamento della lanterna. Questi primi fari prevedevano almeno tre appartamenti per un guardiano capo, un assistente ed una terza persona sottoposta per tutte le altre mansioni. In quell’epoca i guardiani portavano con sé le famiglie, anche se in zone isolate e disagiate. Si creava così una piccola comunità dove anche le donne avevano le loro mansioni, come ad esempio fare il pane, nel forno di cui molti fari erano dotati, ed a volte sostituivano i mariti o addirittura ne acquisivano l’incarico in caso di malattia o decesso. La figura del guardiano era necessaria perché le lanterne dei fari dovevano essere accese e spente a mano e continuamente alimentate, i vetri andavano tenuti puliti, qualunque fosse il combustibile usato, il congegno ad orologeria doveva essere caricato ad ore precise per non fermare la rotazione della lanterna, all’interno della quale si trovavano spesso delle tende, che andavano chiuse durante giorno perché il sole non danneggiasse l’apparato lenticolare, e tutto questo richiedeva la presenza di più di un uomo. Nonostante la tecnologia e l’automazione abbia preso il sopravvento, per i Guardiani ancora in servizio è un punto d’orgoglio mostrare le scale a chiocciola della torre ben pulita, gli ottoni lucidi, i vetri della lanterna luccicanti, l’apparecchiatura ad orologeria, ormai inservibile, ma sempre al suo posto, tenuta in ordine come se da un momento all’altro la manovella dovesse essere manovrata per far scendere il peso che faceva girare tutto l’apparato illuminante. Chi va per mare si augura che queste magnifiche strutture e i Guardiani dei Fari non debbano mai sparire. La navigazione di piccolo cabotaggio, i diportisti, i pescatori, ma anche le grandi navi contano ancora molto su di loro, perché la tecnologia può subire un’avaria, un qualsiasi tipo di blackout, ed allora cosa meglio della vista di quella luce lontana e rassicurante, di quell’occhiolino benevolo, quella luce che si accende quasi miracolosamente ogni sera e che dice cosa fare e dove andare. Chi va per mare si augura di vederli funzionare per molti anni ancora.

Il guardiano e le bombole di gas acetilene disciolto (1916)

Tipi di fanale e illuminatori a gas (1916)

Ottica rotante e orologeria


Il servizio fari nazionale Il Servizio dei Fari e del Segnalamento Marittimo opera, nel settore degli ausili per la navigazione, a favore di tutti i naviganti che transitano nelle acque prospicienti le coste italiane e nei porti di interesse nazionale. La responsabilità del servizio è affidata, per legge, alla Marina Militare dal 1911. Per l’assolvimento dei compiti di istituto, il Servizio dispone di personale, militare e civile, e di mezzi navali e terrestri per assicurare il supporto tecnico logistico dei segnalamenti ovunque essi siano ubicati. L’Ispettorato per il Supporto Logistico e dei Fari, con sede in Roma, è l’organo direttivo centrale ed ha responsabilità di studio, pianificazione, direzione e controllo nell’ambito delle funzioni di natura tecnica e logistica. Inoltre rappresenta l’Autorità nazionale che si esprime sulla adeguatezza della segnaletica marittima alle esigenze della navigazione e nell’ambito della Organizzazione Internazionale del Segnalamento Marittimo. L’Ufficio Tecnico dei Fari, con sede in La Spezia, opera alle dirette dipendenze dell’Ispettorato per lo svolgimento delle funzioni tecniche e logistiche a beneficio dell’intera rete nazionale dei segnalamenti marittimi e degli ausili per la navigazione. Il Comando Zona Fari della Sicilia, con sede a Messina, è un organo alle dirette dipendenze del Comando Militare Marittimo Autonomo in Sicilia con sede ad Augusta (SR) e viene impiegato per assicurare l’efficienza operativa del servizio di segnalamento nell’ambito della propria competenza territoriale. Il Comando Zona Fari della Sicilia è responsabile dei segnalamenti ricadenti sul territorio Siciliano, delle isole minori, degli arcipelaghi e di parte della Calabria per un totale di 151 segnalamenti dei quali 49 sono i fari principali. Dal Comando Zona Fari dipendono direttamente le Reggenze dei Segnalamenti Marittimi che sono gli organi operativi periferici del Servizio Fari, costituiti secondo necessità, in modo da ricoprire complessivamente la totalità delle coste nazionali. L’organizzazione territoriale servizio fari La rete nazionale dei segnalamenti marittimi si sviluppa nei porti principali e lungo le coste della penisola e delle isole per un totale di 829 ausili per la navigazione costituiti da 161 fari e 668 fanali (comprese mede e boe). Il Servizio dei Fari ha inoltre il compito di fornire ad enti pubblici e privati e gestori di segnalamenti minori, le necessarie prescrizioni circa le specifiche caratteristiche che tali segnalamenti debbono possedere. L’elenco di tutti i segnalamenti marittimi, gestiti e non dal Servizio Fari, è pubblicato e tenuto aggiornato dall’Istituto Idrografico della Marina Militare. A partire dalla metà degli anni ’80 è stato avviato un programma di ammodernamento e rinnovamento del Servizio dei Fari e del Segnalamento Marittimo, ancora in corso, con l’obiettivo di garantire la massima affidabilità, qualità ed efficienza del servizio fornito, impiegando apparecchiature ed impianti all’avanguardia nel settore, tecnologicamente evoluti e completamente automatizzati.

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LANTERNA DEL MONTORSOLI (MESSINA) La Torre della Lanterna fa parte di un ampio sistema di fortificazioni difensive realizzato in Sicilia tra il XVI ed il XVII secolo. Situata nella zona falcata, la penisola a forma di falce che delimita il porto della città di Messina, fu costruita sopra una antica preesistenza e così denominata in seguito a quanto riportato da antichi documenti del XII secolo quando Raineri, un monaco eremita di ritorno dalla terra santa, che a quel tempo faceva vita solitaria in quel luogo, tutte le sere accendeva dei fuochi dalla spiaggia per allertare i naviganti dei pericoli che correvano quando si navigava per quelle coste. Dopo la sua morte, i Monaci Basiliani del Monastero di San Salvatore de’ Greci vollero dedicargli una Cappella, e la costruirono nello stesso luogo dove successivamente fu edificata la Torre del Faro. La Cappella dedicata al Monaco, fino al 1400 circa, aveva sulla sommità del piccolo campanile un braciere che veniva acceso di notte, soprattutto quando davanti quella lingua di terra si formava e si forma tutt’oggi un vortice, un gorgo pericolosissimo per le imbarcazioni dell’epoca, chiamato volgarmente “Garofalo” dagli antichi marinai, o Cariddi come fu descritto da Omero nella sua Odissea. La Lanterna, sino al 1814 e forse più tardi, restò di proprietà comunale: il Senato vi manteneva un custode, curava le riparazioni ed accendeva a sue spese il fanale. Per sopperire a tali spese riscuoteva la gabella detta “del Faro”, quella gabella cioè destinata a mantenere le vedette a custodia della costa contro i corsari. Durante il Regno delle due Sicilie, fu costruita sulla sommità una torretta di forma prismatica a pianta ottagonale ed esattamente il 15 luglio del 1857, la lanterna fu attivata ufficialmente e dotata di una caratteristica propria, che la distingueva dagli altri fari della zona.


FARO SUL CASTELLO MANIACE (SIRACUSA) Nel porto di Siracusa, all’estremo meridionale dell’isola di Ortigia, si trova il Faro realizzato nel XVI sec. sul Castello Maniace. Riportato nella carta Siragosa dalla parti di levanti del 1584, è stato oggetto di numerose ricostruzioni e di conseguenti variazioni formali testimoniate dalla cartografia storica esistente. Queste ricostruzioni si resero necessarie per i crolli dovuti sia al terremoto del 1693 che ad un esplosione del deposito delle polveri del Castello avvenuta nel 1704. Il manufatto attualmente esistente venne attivato per la prima volta nel 1858 e nuovamente nel 1912. Costituito da una torre a pianta circolare ha una sezione tronco-conica ed è alta circa 7 metri. Addossato ad un edificio più basso a pianta rettangolare che consente l’accesso alla struttura. La torre è di sezione tronco-conica, attraversata da una scala a chiocciola ed è stata ricostruita in cemento armato nel periodo post–bellico. Il Faro di colore verde, è posto sul torrione sud-ovest del Castello, uno dei poli estremi più importanti, insieme al Castello di Augusta, del sistema difensivo Federiciano. Assieme al Faro di Punta Castelluccio segna l’ingresso al porto di Ortigia.

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FARO CAPO MURRO DI PORCO (SIRACUSA)

Portolano Capo Murro di Porco (1877)

Faro di atterraggio attivato nel 1859 situato sul Capo all’estremità orientale della penisola della Maddalena che poco dopo il porto Grande della Città di Siracusa delimita il Golfo di Noto, sul mar Jonio. La penisola, denominata anticamente Plemmyrium, si configura con una costa alta e rocciosa che possiede un forte valore naturalistico e ambientale. La torre del faro a pianta decagonale di colore bianco è addossata nel lato Est ad un edificio. Appare molto alta e

slanciata per la rastremazione in prossimità della cima, delineata da una cornice sporgente con ringhiera in muratura. La lanterna fu sostituita nel 1945, come testimonia un’iscrizione collocata in un gradino della scala di accesso. Internamente la torre è percorsa da una scala a chiocciola in pietra calcarea. L’intera struttura è stata realizzata con una muratura continua di blocchi di pietra calcarea che le conferisce un aspetto di maggiore solidità.


FARO CAPO SCALAMBRI (RAGUSA)

Portolano Capo Scalambri (1877)

Sul Capo detto anche Capo Scaramia, poco distante dalla marina di Ragusa e dalla località di Punta Secca, il Faro fu attivato nel 1859 per la prima volta e poi nel 1892. La torre slanciata è molto prossima alla battigia imponendosi per le sue dimensioni rispetto alle abitazioni adiacenti. La forma tronco-conica della massiccia struttura muraria è percorsa internamente da una scala a

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chiocciola che conduce alla Lanterna. Inserita in posizione assiale rispetto all’edificio del Guardiano a pianta rettangolare ad un solo piano di colore giallo, presenta alla base un piccolo vano aggiunto. Elevandosi per una altezza di circa 35 metri la torre bianca per la sua monumentale imponenza analoga alla maestosità di una colonna classica, si pone tra gli elementi di caratterizzazione di questa parte del paesaggio costiero della Sicilia.


FARO SCOGLIO PORCELLI (TRAPANI)

Costruito su uno scoglio affiorante a pelo d’acqua al largo del porto di Trapani, il Faro fu attivato per la prima volta nel 1905 e si configura come una torre a pianta circolare dalla struttura massiccia alta 24 metri. La struttura si innalza su 3 piani, per ogni piano una stanza dove vi erano allocati il magazzino, la camera di veglia, la camera di ispezione per il personale di passaggio e la loggetta della lanterna con le apparecchiature necessarie per il funzionamento, oltre alla cisterna che veniva rifornita con le navi provenienti da Trapani. Una cornice marcapiano delimita il ballatoio che consente l’accesso da terra alla quota intermedia del Faro e la copertura a falda inclinata determina il restringimento della pianta circolare fino al piano della Lanterna.


A cuore aperto con Francesco Latino, assessore provinciale all’Agricoltura, Comunità montane, Caccia, Pesca, alla Programmazione comunitaria e al Coordinamento dei G.a.l.

Competenza, passione, idee chiare per incidere sul territorio siracusano Provincia Regionale di Siracusa Assessorato Agricoltura - Caccia - Pesca Programmazione Comunitaria - Por 2007/2013 PIT, PIOS, PIST, PISU - Coordinamento Gal

breve intervista ci ha fatto conoscere più da vicino il vulcanico assessore provinciale Francesco Latino. Un politico e un amministratore dalle idee chiare e che porta sul tavolo discorsi concreti e progetti già andati in porto, dai quali si desume il forte legame che egli ha con il territorio, con la gente e con le categorie di lavoratori e di cittadini che abitano l’intera provincia siracusana. Non usa frasi roboanti ma elenca i tre progetti andati in porto di cui si mostra fiero e ai quali riconosce la spinta determinante del deputato nazionale on. Pippo Gianni, leader del suo Partito, del presidente dell’amministrazione provinciale on. Nicola Bono e di tutti i suoi collaboratori. È fiero delle sei rubriche a lui assegnate e dei progetti in itinere; infatti sta operando affinché, nei limiti del possibile e dei fondi assegnati, ne possa portare a termine la maggior parte. Accenna ai progetti finanziati dalla Comunità europea, iniziati dal suo predecessore Nunzio Dolce e che ora sono in fase di completamento: quello di Partenariato Sicilia-Tunisia sulla pesca, il “Panacea” che coinvolge tra l’altro Palermo, Siracusa le Aree marine Protette del Plemmirio. Malta e altre aree marine del Mediterraneo e il “Green way” per piste ciclabili verdi nel territorio della Val d’Anapo.

Una

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Il primo focus dell’intervista che ha concesso alla nostra rivista ha riguardato il “problema carcasse”. “Da pochi mesi le difficoltà dello smaltimento delle carcasse di animali morti non è più un problema; – sottolinea l’assessore provinciale Latino – infatti, prima un allevatore doveva pagare ben 360 euro per carcassa, aggiungendo al danno economico per la morte dell’animale anche la beffa di una somma elevata da pagare. Ora, dopo il protocollo da noi attivato con i 21 Comuni siracusani, solo undici hanno detto SI al progetto che abbatte di molto i costi, con solo il 25% delle 200 euro complessive più IVA a carico dell’allevatore. Nulla vieta che gli 11 firmatari del Protocollo possano coinvolgere gli altri Comuni mancanti”. Il secondo progetto andato in porto, afferma Latino, riguarda il Canile provinciale. Un esempio di ordine, di civiltà e di responsabilità sociale, in quanto saranno operativi due canili gestiti dalla Provincia regionale di Siracusa, uno nella zona Nord e uno in quella Sud. “Diamo quindi risposte a delle esigenze pratiche di civiltà che provengono da più parti. Penso sia questo il compito di noi amministratori provinciali”, ha commentato Latino. È veramente orgoglioso del terzo Progetto che spiega nei dettagli: il T & T, cioè Tipicità e Tradizione, già sottoscritto dalle Province regionali di Verona, L’Aquila e Siracusa e che ha un testimonial di eccezione: l’esperto di enogastronomia e nutrizionalista, ormai un personaggio televisivo, Giorgio Calabrese, di Rosolini come l’assessore Francesco Latino.

20 giugno 2011- I presidenti Giovanni Miozzi e Nicola Bono firmano il protocollo di intesa fra le province di Verona e Siracusa, sotto l’occhio compiaciuto del rosolinese Giorgio Calabrese

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Le delegazioni dopo la firma del Protocollo d’intesa fra le Province regionali di Verona e di Siracusa. Dal secondo, da sinistra: Giovanni Miozzi, presidente Provincia Verona, Nicola Bono presidente Provincia Siracusa, Giorgio Calabrese e l’assessore Francesco Latino

“Questo innovativo Progetto T&T, oggetto di un protocollo d’intesa fra gli enti firmatari - afferma l’assessore provinciale – è già operante al 70% e rappresenta un magnifico volano di sviluppo per tre Regioni italiane (Veneto, Abruzzo e Sicilia) che saranno le tre regioni capo-fila che aiuteranno economicamente i loro territori, coinvolgendo produttori, consumatori, aziende, infrastrutture, turisti, terziario, in un crescendo di iniziative volte alla valorizzazione di tutte le risorse esistenti”. Con gli occhi che gli brillano particolarmente e con affermazioni convinte, Francesco Latino conclude così: “E ciò, nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, per me, i miei collaboratori e l’Amministrazione che mi onoro di rappresentare, ha un significato particolare e gratificante. Ma si può fare ancora tanto di più: la volontà non ci manca. Noi, come Provincia regionale di Siracusa, abbiamo aperto un viottolo, mi auguro che possa diventare una bella autostrada verso un tangibile sviluppo economico di tutto il Siracusano. E perché il famoso e mondiale VinItaly di Verona non potrà essere organizzato, anche in piccolo, nella nostra Siracusa, terra di vini e di prodotti di assoluta eccellenza?”.

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L’ultima domanda speriamo vada a finire nella stanza dei bottoni della Politica. Sarà tutto più facile. Giuseppe Aloisio


giorni di analisi e proposte da parte di esperti, tecnici e operatori per dibattere su turismo, sport e spettacolo ma soprattutto la possibilità di approfondire e rafforzare il dialogo con gli operatori. Ha centrato il suo obiettivo la prima Conferenza regionale sul Turismo indetta dal Dipartimento dell’Assessorato Regionale al Turismo guidato da Marco Salerno che ancora una volta ha voluto incontrare gli addetti ai lavori. “La concertazione - ha sottolineato Marco Salerno - è fondamentale, anche nella programmazione degli eventi e degli interventi. Abbiamo consacrato un percorso di dialogo con gli operatori che avevamo avviato da mesi con gli Open Forum nelle nove province siciliane insieme a sicilia.travelnostop.com e ora la Conferenza del Turismo diventerà un appuntamento annuale“. Del resto la Conferenza si era aperta con alcuni dati incoraggianti. Quarantamila arrivi in più in Sicilia nel 2010 rispetto al 2009, ovvero lo 0,9%, e 697.913 presenze in più, con un aumento del 5,2%. E anche per previsioni ottimistiche da parte degli operatori: in base a un sondaggio telefonico che ha coinvolto 258 strutture alberghiere, il 32% prevede un trend positivo, il 39% stabile e il 29% negativo. “Permangono comunque - ha rilevato Maurizio Giannone, funzionario dell’Osservatorio Turistico regionale – degli elementi di criticità. Gli arrivi di stranieri sono calati del 9,4% e le presenze del 22%”. Inoltre, l’isola, negli anni scorsi, ha sofferto anche del calo delle presenze di visitatori nei siti culturali dell’isola. “In tre anni - ha raccontato Francesco Cascio, presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana ed ex assessore regionale al Turismo - realizzammo 50 mila posti letto, riqualificando al contempo le strutture. Ma il problema ora è di riempirli fuori stagione. Non possiamo accontentarci di 5 mesi di turismo all’anno”. Spazio anche ai distretti turistici. Per Giuseppe Cassarà della Fiavet rappresentano “l’ultimo treno per lo sviluppo del turismo siciliano”. Per Nicola Farruggio, presidente di Federalberghi Palermo, il problema sta nella legislazione attuale. “Il quadro normativo non è più adeguato - ha sottolineato - se il castello del turismo siciliano deve essere costruito o ricostruito, allora dobbiamo partire dalle fondamenta, ovvero regole certe e una normativa a vantaggio delle imprese con fiscalità di vantaggio e snellimento burocratico”. A tal proposito Andrea Corso di Assoturismo Confesercenti ha posto l’accento “sull’impossibilità del matrimonio tra pubblico e privato”. Ma Salerno non ha dubbi: “il distretto turistico è il cuore della programmazione regionale. Manca ancora poco per il definito via libera. Ma si tratta di uno strumento aperto, già dall’anno prossimo potremo rivederne alcune parti. Ora dobbiamo continuare il dialogo tra le parti”. Passando allo sport, Mariella Antinoro, dirigente del Servizio regionale Sostegno alle attività sportive e impiantistica sportiva - Osservatorio Sport, ha illustrato alcuni bandi per il settore che mostrano chiaramente come lo sport può incidere positivamente anche sul turismo. Inoltre, così come in ambito turistico, anche nel settore delle attività teatrali e musicali, l’assessorato regionale punta a una programmazione triennale in modo da fornire maggiori certezze economiche alle associazioni che beneficiano di contributi da parte della Regione. Sul teatro, invece, è stato proposto un consorzio regionale di teatri intermedi, da circa 450 posti, per offrire possibilità concreta di contrattazione con il resto della Penisola e nuove opportunità alle compagnie della regione visto che il 50% della produzione teatrale dovrà essere dedicata alla Sicilia. Sul cinema, infine, è stata annunciato la prossima approvazione del disegno di legge “per il recupero delle sale cinematografiche nei centri storici e nelle aree montane”.

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Conferenza Regionale sul Turismo L'unione degli intenti è la forza del successo

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di Alice Pepi alvatore Giuliano tiene la pistola calibro nove nel suo scarpone, quando incontra, in contrada Quarto Mulino di S. Giuseppe Jato, a 30 km dal paese in cui viveva, (Montelepre) due carabinieri: Antonio Mancini e Renato Rocchi. È in questo pezzo di Sicilia che Turi Giuliano, fa la borsa nera del grano. Quel giorno, il 2 settembre 1943, ne trasporta 120 kg sul suo cavallo. L’uomo si ferma al posto di blocco dei carabinieri, e consegna per sempre il grano e la sua carta d’identità. Alle domande insistenti dei due carabinieri su chi gli ha dato il grano, Giuliano non risponde e approfitta della venuta di un altro borsanerista, che li distrae, per darsi alla fuga. Un colpo d’arma da fuoco di uno dei carabinieri colpisce Giuliano, che ferito, spara e uccide il carabiniere Antonio Mancino. È qui che comincia la storia di Salvatore Giuliano, bandito per caso e per passione, la storia della sua pistola, della sua banda, di un uomo carismatico che, costretto a vivere da latitante, ruba ai ricchi per dare ai poveri, che si coprirà della colpa di delitti atroci e si discolperà di altri, la cui vita verrà narrata dai cantastorie nelle piazze siciliane e da giornalisti famosi su testate nazionali ed internazionali, i cui sogni ambiziosi di riscatto personale e della sua terra, verranno osannati e al tempo stesso usati dalla politica di uno Stato che, aveva eletto già chi sacrificare, se non si fossero esauditi. Come possa un bandito essere diventato tutto questo, soprattutto in tempi come quelli in cui visse Turiddu, come lo chiamavano gli amici, è quasi un miracolo. Nel 1943 in Sicilia, quando il pane era un lusso, come poteva un uomo, per di più un bandito, diventare un eroe romantico, rimanendo quasi al di sopra, sempre distinto dagli eventi e dalle forze che lo coinvolsero: i carabinieri, la sua banda, il movimento separatista, la strage di Portella della Ginestra, la mafia, lo Stato, i traditori. Salvatore Giuliano ci riuscì. Dall’alto delle montagne in cui si nascondeva e dalle quali guardava, con il suo binocolo, quasi come se lo volesse proteggere, il suo paese Montelepre, riuscì a tornare, a Natale, a casa dell’amata madre Maria e dalla sorella Mariannina e c o n t e m p o ra n e a m e n t e , senza lasciarsi scoraggiare dagli imprevisti, elaborare da lì a pochi giorni un piano per l’evasione dal carcere di Monreale, del cugino Giacomo Lombardo arrestato per favoreggiamento proprio quella notte, insieme al padre che fu però portato a Palermo, e di altri galeotti che diventeranno i suoi primi “picciotti”.

S


Luci e ombre su SALVATORE GIULIANO, al di là del Bene e al di là del Male

Panoramica di Montelepre - la casa della famiglia Giuliano è indicata dalla freccia bianca

Aveva la capacità di muoversi da solo Giuliano, come certi leaders sanno fare. E i grandi leaders hanno anche grandi idee, e le grandi idee hanno bisogno di grandi poteri per essere realizzate. Questo Salvatore Giuliano lo sapeva e per questo motivo, quando in Sicilia nacque il movimento separatista, al

quale guardavano con simpatia gli Americani per rafforzare la loro posizione nel Mediterraneo, il bandito abbracciò la causa e fu nominato colonnello dell’Evis, l’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia. Accettò perché il movimento separatista nasceva come uno strumento di riscatto di quella Sicilia relegata all’ultimo posto nell’Italia del dopoguerra, accettò perché

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Gaspare Pisciotta e Salvatore Giuliano

Salvatore Giuliano

quell’ultimo posto, in quella Sicilia, tanto amata, il bandito Giuliano lo occupava, in quelle montagne nelle quali si nascondeva, le stesse che gli avevano dato la salvezza e fama ma dalle quali voleva scendere a testa alta. In quelle montagne vi era salito per caso, perché attaccato dai carabinieri, costretto dalla fame a fare la borsa nera del grano, per colpa di quello Stato che ora combatte, ma in cui vuole comunque giocare un ruolo. Colonnello bandito, impegnato in una sua personalissima lotta contro il governo, impersonato dai carabinieri, sferra loro attacchi nelle caserme di Bellolampo, Grisì, Pioppo, Borgetto e Montelepre, fa sì che vengano chiamati rinforzi da Palermo e attacca gli autocarri sulla strada incendiandoli con le bombe a mano, ruba le armi, brucia gli archivi e dipinge i manifesti dei separatisti apponendo la sua firma. Giuliano firma le sue “opere” perché credeva in quel progetto e aveva capito quali fossero gli strumenti per portarlo a compimento: attacchi alle caserme ed elezioni. E quest’ultime, Salvatore Giuliano, riusciva ad influenzare e soprattutto a farle vincere. Sicuramente ebbe un ruolo centrale nell’elezione di alcuni separatisti, alle elezioni del 2 giugno 1946 e nella vittoria della DC quando si votò per il Parlamento nel ’48. In tutti e due i casi, si dice che non fu ricompensato. Il 22 giugno del 1946, l’amnistia firmata da Togliatti, riguardò solo i reati e delitti politici dei giovani dell’Evis ma non fu previsto nessuno sconto per quelli commessi da Giuliano e i suoi picciotti prima dei fatti dell’Evis. Il 17 luglio del 1948 Giuliano, uccise, nella piazza di Partinico, il mafioso Santo Fleres che doveva mediare e non l’aveva fatto, con i politici democristiani del tempo per ottenere la cancellazione dello stato di bandito. La perenne ricerca di una redenzione sociale sembrava avere un prezzo troppo alto per Giuliano, condannato a rimanere bandito. Ma Salvatore Giuliano non fu né mai sarà un bandito qualunque e la gente di ora e di allora sembra averlo già perdonato. Anche nell’episodio più brutto della sua vita, la strage di portella della Ginestra, i “riflettori popolari” gettano poca luce sulla sua figura. Si sparò il 1 maggio del 1947, sui contadini che festeggiavano la festa del lavoro e mentre cominciava a parlare Giacomo Schirò, segretario della sezione socialista di S. Giuseppe Jato, morirono undici persone e numerosi furono i feriti. Fu Giuliano ad essere il mandante della strage? Fu la mafia? C’è chi dice che Giuliano, pur essendo coinvolto non sparò, chi disse che era stata la mafia del feudo, spaventata dal comunismo, come il dirigente comunista Li Causi, chi sostenne facilmente il contrario e facilmente fu creduto, come il capo dell’ispettorato di Polizia Messana.

Montelepre, anni ’40


Basterebbe ricordare che a Portella della Ginestra si sparò sui comunisti, per introdurre qualche ragionevole dubbio. Ma la vita di un bandito che voleva arrivare in America con la sua Sicilia, che rubava ai grandi proprietari terrieri la ricchezza di una terra che doveva sfamare anche i suoi figli più sfortunati, adorato dai bambini, dalle donne più raffinate, fossero esse duchesse o giornaliste, non può non essere avvolta nel mistero. E se qualche volta il mistero si crea grazie a circostanze di luoghi e persone magiche, come le montagne, il coraggio e gli ideali, spesso si cela nel malaffare di uomini che tradiscono gli amici, i valori, uomini come Gaspare Pisciotta, che uccise Giuliano nel sonno, la notte tra il 4 e il 5 luglio 1950, quella in cui dormì nel letto accanto al suo, a casa dell’avvocato De Maria, a Castelvetrano e lo consegnò nelle mani dei carabinieri, inscenando uno scontro a fuoco in cortile di cui Giuliano doveva apparire vittima. In un vero scontro a fuoco, forse Giuliano non sarebbe mai morto, forse Aspanu, così Turiddu chiamava affettuosamente Pisciotta, che portava la stessa fibbia d’oro dell’amico perché Giuliano gliela aveva fatta fare uguale da un artigiano di Palermo, non sarebbe mai riuscito ad uccidere l’amico guardandolo negli occhi, forse i carabinieri non lo avrebbero preso mai, forse è ancora vivo, come sostiene chi recentemente ha fatto riesumare il suo cadavere, e vive chissà dove in Sicilia o in America. Forse neanche il tradimento poteva uccidere Salvatore Giuliano, che era rimasto inafferrabile anche da morto,

Portella delle Ginestre. Il luogo dell'eccidio (foto di medalabpie)

anche se aveva perso le sue guerre più importanti. Perché questo fu Giuliano, un uomo che combatté una guerra per se stesso e per la sua terra, e anche se ogni guerra deve essere condannata, non c’è guerra senza eroi. Ma nello stesso tempo, Salvatore Giuliano fu anche l’opposto e il contrario di un eroico personaggio; fu un bandito che non ebbe pietà, un uomo che collaborò con i poteri mafiosi. Fu visto e percepito o come luce o come ombra. Come un Robin Hood che inorgoglì le fiabe popolari o come un “fuorilegge criminale” che macchiò la storia della Sicilia. Fu comunque un uomo che al di là del bene e al di là del male continua a far parlare di sé nel bene e nel male.

La tomba di Salvatore Giuliano

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FRUIRE IL MARE …EL MAR, LA MAR….

di Marzia Scala dello spagnolo Rafael Alberti l’idea di sottolineare le due anime del mare, mascolina e femminina, avvalendosi dei due articoli determinativi di genere opposto, per dar vita a una delle descrizioni più concise, piene ed essenziali che mai si siano usate per render giustizia al Regno di Nettuno. El mar, la mar! El mar, Solo la mar: cosa significa? Che senso racchiude? El mar... è l’abisso, sono le onde frastagliate che si schiantano sugli scogli o muoiono silenziosamente sulla battigia; sono i pescatori in difficoltà, le maree che non permettono il ritorno, la pesca infruttuosa; sono le orche e gli squali a caccia di prede, le fiocine che infilzano le carni. La mar... è un tappeto che brilla di rosso al tramonto, di aranciato all’alba; è un profumo che inebria e ubriaca, una carezza salata sul corpo; è un delfino che nuota sinuoso e si immerge e riemerge; è una medusa violacea, un cavalluccio marino, l’eco delle conchiglie. E tu dal mare cosa vuoi? Che ti aspetti da una giornata trascorsa tra sabbia o scogli?

È

foto Carlo Moncada



foto Andrew Hitchcock

Andare a mare assomiglia, a volte, a una gita stressante con tanto di pacchi e pacchetti e stress da parcheggio; appare come una perdita di tempo o una faticosa strategia di convincimento dei partecipanti. Direi proprio che non è il caso! Riempirsi d’esso significa rigenerarsi con un mix di adrenalinica energia e soddisfacente relax. E tornare a casa appagati. L’ideale sarebbe partire con solo telo da bagno e solari, guidare con tranquillità senza ansia da parcheggio e, direi, che è già un successo! Fare due passi in un vicoletto alberato per arrivare in un angolo da sogno e affidarsi totalmente a qualcuno dai modi gentili disposto ad assecondare ogni tuo desiderio, prima ancora di esprimerlo, con un perenne sorriso sulla bocca. Sdraiarsi su un lettino e godersi quella vista mozzafiato che da sola val la pena qualche chilometro. Immergersi in acque tonificanti per farsi avvolgere da un velo cristallino che mostra pesciolini diversi muoversi accanto a te. E se si è super sportivi? Una invitante cyclette sotto un gazebo arieggiato e fresco non sarebbe male!

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Soprattutto se la sua efficacia può essere coadiuvata dall’effetto di un idromassaggio: è chiedere troppo? E nel frattempo la gola esige refrigerio e, come per magia, ecco arrivare un prosecco accompagnato da succose fragole. Un’altra ora al sole e... lo stomaco si fa sentire. Contemporaneamente un altoparlante avvisa che il pranzo è servito e tu stenti a credere che non hai atteso un nano secondo seduta a tavola a soffocare i brontolii della fame. Ti si presentano bruschette alla polpa di ricci, scampi crudi su un letto di cubetti di ghiaccio, pepata di cozze fumante e un bianco scelto tra una pregiata carta dei vini. Così puoi scegliere se smaltire le calorie con una vogata in canoa o sdraiarti ancora un po’ sotto il sole delle 15. Poi, per rendere frizzante il risveglio, che ne pensi di un giro in moto d’acqua? Wow, questa si che è vita! È giunto il crepuscolo e c’è strada da fare: doccia, cambio abiti in un camerino pulito e confortevole e un latte di mandorla prima di ripartire. Soddisfatta? Questo è el mar! Solo la mar!



68° ANNIVERSARIO DELLA BATTAGLIA

DI SICILIA

Era il 10 luglio 1943 quando l’apocalisse si abbatté sulle coste ragusane

di Giovanni Iacono Referente dell’Associazione Culturale Lamba Doria per la provincia di Ragusa

10 luglio scorso, in occasione del 68° anniversario della battaglia di Sicilia, in un suggestivo scenario, offerto dalla scogliera di Punta Braccetto (in provincia di Ragusa) è stata celebrata una sobria ma sentita cerimonia in memoria di due finanzieri, Antonino Carnemolla e Salvatore Tribastone, nonché dei soldati caduti durante lo sbarco alleato in Sicilia del luglio 1943. La cerimonia, organizzata dall’Associazione Culturale di Storia Patria Lamba Doria, che ha lavorato in perfetta sinergia con la Prefettura, i Comuni di Ragusa e Santa Croce Camerina ed il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ragusa, ha visto la partecipazione di numerosi cittadini, di una folta rappresentanza della Guardia di Finanza e dell’Esercito Italiano, nonché di diverse Associazioni Combattentistiche e d’Arma provenienti da tutta la Sicilia. La commemorazione ha visto gli interventi del Sindaco di Ragusa Nello Di Pasquale, di Santa Croce Camerina Lucio Schembari, del Comandante provinciale della Guardia di Finanza di Ragusa Colonnello Francesco Fallica, del Professor Miccichè di Santa Croce Camerina, del Referente dell’Associazione Lamba Doria per la Provincia di Ragusa Giovanni Iacono, nonché di Monsignor Ferraro che ha impartito la benedizione prima della deposizione di una corona di fiori presso una postazione scavata nella scogliera e risalente a quel periodo. Ci sono stati momenti di commozione, quando sono state consegnate delle targhe ricordo ai discendenti dei finanzieri Carnemolla e Tribastone, del Carabiniere Francesco Cascone e del soldato Gaetano Licitra.

Il

Associazioni presenti alla cerimonia


Associazione Bersaglieri, sez. di Niscemi

In un secondo momento la cerimonia si è spostata in contrada Camemi, dove alla presenza delle autorità e del figlio del soldato Rinaldi, morto in quel luogo nel luglio del ’43, è stata deposta una corona d’alloro su uno dei bunker che, grazie all’opera di recupero svolta da Salvatore Marino, Referente dell’Associazione Lamba Doria per la città di Ragusa, da alcuni abitanti del luogo e dal Sindaco di Ragusa Nello Di Pasquale, da poco è stato reso fruibile al pubblico. Sono trascorsi ben 68 anni da quando anche la Sicilia, e con essa la provincia di Ragusa, entrò nel vivo del Secondo

Conflitto Mondiale. Era il 10 luglio del 1943, quando l’apocalisse si abbattè sulle nostre coste. In quella data infatti gli americani attuarono la più grande operazione anfibia mai tentata fino ad allora, ancora più imponente per numero di uomini e mezzi impiegati, di quella che verrà attuata quasi un anno dopo in Normandia. Morti e feriti, si contarono a centinaia anche nella nostra provincia, soprattutto lungo la costa tra Scoglitti e Punta Braccetto, dove sbarcarono le truppe della 45ª Divisione di Fanteria statunitense, che si scontrarono con i militari italiani del 123° reggimento costiero comandato dal Colonnello Primaverile, il cui Comando aveva sede a Scicli. I soldati delle Div. costiere, in gruppi di 30-35 dovevano controllare uno o due di chilometri di costa, e si trovarono a dover fronteggiare un dispiegamento di forze enormemente più grande di loro. Ma molti di questi soldati, nonostante avessero un equipaggiamento inadeguato per fronteggiare l’offensiva alleata, nonostante avessero avuto la sensazione di aver perso ancora prima di iniziare a combattere, rimasero fedeli al giuramento prestato, difendere la patria anche a costo della propria vita. Così fecero i finanzieri Salvatore Tribastone e Antonino Carnemolla che si opposero al nemico e caddero sulle spiagge di Punta Braccetto, o il soldato di Acate Licitra Gaetano che parimenti fece sulle spiagge di Scoglitti, o il carabiniere Francesco Cascone, Medaglia d’Argento al Valor Militare, che da solo ingaggiò un accanito combattimento contro il nemico appena sbarcato a Santa Teresa di Longarini, o come il Ten. Giunio Sella con tutto il suo plotone che trovarono la morte nel caposaldo di Contrada Camemi. Si potrebbe andare avanti per ore a citare le centinaia di nomi di

Foto d'insieme delle Autorità presenti alla cerimonia


soldati morti affrontando con estremo coraggio le soverchianti forze nemiche. Uomini comuni, spesso appartenenti a classi anziane, che richiamati alle armi, nell’ora del dovere non si tirarono indietro, compiendo gesta da eroi, che oggi devono essere ricordati e tramandati alle nuove generazioni, per rendere loro onore dopo tanti anni di oblio. A tal proposito mi sovviene una frase dettami durante un’intervista da un reduce che aveva combattuto a Gela, l’artigliere padovano Bruno Causin, classe 1922, che con veemenza mi disse : “bisogna ricordarle queste cose. Io le dico una cosa sola, dopo la guerra, dovevano fare come hanno fatto con la guerra mondiale ’15’18, perché io mi ricordo che quando andavo a scuola leggevo la storia d’Italia, i nostri soldati come hanno combattuto dal Piave al Grappa ecc.., invece noi siamo stati dimenticati da tutti, nonostante avessimo fatto il nostro dovere di soldati fino in fondo. Questo lo dico ad alta voce e non ho paura di essere smentito da nessuno”. L’Associazione Lamba Doria, ritiene sia necessario ed importante riportare alla memoria questi avvenimenti, soprattutto per le nuove generazioni, per far sì che certi orrori non si ripetano mai più, perché soltanto ricordando si crea quella memoria storica che permette la crescita morale di una società. E proprio affinchè tale crescita morale sia completa, bisogna ricordare anche i caduti delle altre nazioni coinvolte nel secondo conflitto mondiale, senza distinzione alcuna di colore della pelle o di bandiera, perché nel nostro territorio non dobbiamo dimenticare che trovarono la morte anche molti soldati americani, tedeschi, canadesi ed inglesi. La cerimonia di quest’anno è stata un primo passo per ricordare degnamente questi uomini, nella speranza che ogni anno che passa veda il coinvolgimento di un numero sempre maggiore di cittadini e di istituzioni locali.

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Contrada Camemi. Discorso del sindaco di Ragusa Nello Di Pasquale

Contrada Camemi. Discorso del Capitano Manconi, del Comando Provinciale della GDF di Ragusa


interventi

Il dott. Giovanni Iacono, referente dell'Ass. Lamba Doria per la Provincia di Ragusa

Il Colonnello Fallica Cte Prov. della GDF di Ragusa

Il sindaco di Ragusa, Nello Di Pasquale

Il Prof. MiccichĂŠ, storico di Santa Croce Camerina

Il sindaco Santa Croce Camerina, Lucio Schembari

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Vittoria al Vittorini! Saper lavorare per il Sapere si può! La Sicilia sale sul podio nazionale grazie all’Istituto Comprensivo di Cava d’Aliga di Giancarlo Tribuni Silvestri - foto Antonello Sammito oggi Cava d’Aliga, graziosa cittadina costiera del ragusano, a pochi chilometri da Scicli, viene ricordata per essere un luogo di eccellenza. Qui una piccola scuola si fa grande e viene indicata come esempio per la sua vitalità didattica. La sinergia che distingue l’ottimo lavoro svolto dal personale scolastico e dal dirigente e che coinvolge gli alunni, raggiunge fantastici (e più che evidenti) risultati. Qui nell’Istituto comprensivo “Elio Vittorini”, si scrive il futuro delle prossime generazioni con la “maestria” di chi non solo crede nell’innovazione della didattica ma la mette in pratica (anche tra le mille difficoltà e sacrifici cui la scuola italiana va incontro). Ed è proprio per questo “sapere lavorare” per il “Sapere” che

Da

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all’Istituto Comprensivo “Elio Vittorini” - Scuola dell’infanzia di Cava d’Aliga, è stato aggiudicato il prestigioso premio per l’innovazione didattica. Il progetto realizzato dall’Istituto, in gara per la categoria “giochi educativi”, è stato selezionato su 534 candidature giunte da ogni parte d’Italia, nell’ambito del concorso “innovascuola”, promosso dal Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e dal Ministero dell’Istruzione, in collaborazione con Forum PA 2011. Il premio è stato consegnato lo scorso 12 maggio alla Nuova Fiera di Roma, personalmente dal Ministro alla Pubblica Istruzione, Renato Brunetta al Dirigente scolastico, Maria Grazia Pipitone, accompagnata dall’insegnante referente del progetto, Marcella Giulia Pace. Il lavoro diretto dalle insegnanti Rossella Zisa, Lucia Mazza e Marcella Giulia Pace si è concluso con la produzione di un video di animazione dal titolo “3 Ciak” (realizzato dall’insegnate Pace). Il nome “3ciak”, che ha assonanza con la parola “treccia” (tre-ccia), nasceva inizialmente come progetto rivolto ai tre gradi di istruzione dell’istituto comprensivo: scuola per l’infanzia, scuola primaria e scuola secondaria di primo grado. La collaborazione dei tre ordini avrebbe dato origine ad un “intreccio” (sarebbe da scrivere “in-3-ccio”!) coinvolgente per tutti gli allievi del plesso. Però per motivi organizzativi si è rivolto solo agli alunni dell’infanzia ed è diventato il “doc-video” di animazione dimostrativo del progetto denominato “Con le mani creo”. La prima parte del clip mostra i bambini durante la fase di realizzazione di oggetti fatti a mano e previsti dal progetto gemellato “con le mani creo” delle insegnanti Rossella Zisa e Lucia Mazza, con l’ausilio della collaboratrice Lina Alfieri. Nella seconda parte gli stessi oggetti, con la tecnica dello “stop motion” si animano e danzano sulle note di “Nasca Patasca” del gruppo musicale dei Talhè. Come afferma Marcella Giulia Pace: “I bambini sono molto coinvolti dalle immagini dei cartoni animati. Le immagini sono sempre più realistiche rispetto alle storie che vengono raccontate tanto che spesso i bambini confondono il proprio vissuto con ciò che vedono. È bene svelare loro “il trucco” e riconsegnarlo come una vera magia. Ossia la magia di poter creare degli oggetti che si animano e rivederli dietro uno schermo, lo

Il ministro Brunetta tra la dirigente scolastica Pipitone e l'insegnante Pace

Momento della consegna della targa nella festa di fine anno scolastico. A sinistra il sindaco di Scicli, Giovanni Venticinque Foto a sinistra: nella stanza del sindaco di Scicli

Foto di gruppo dei lavori fatti dai bambini e animati nel video


stesso che trasmette il cartone preferito. Il “trucco” sta nello “stop motion”: stabiliti i movimenti finali, i bambini han mosso passo dopo passo i loro personaggi davanti l’obiettivo della macchina fotografica creando così una sfilza di circa 150 fotogrammi che successivamente son stati lavorati al computer con un apposito programma. Il video è stato dedicato all’assistente amministrativo Gianni Arrabito, appassionato di cinema, che tutti conoscevano nel plesso e che è scomparso prematuramente durante l’anno scolastico”. Grande festa di fine anno scolastico dunque per condividere insieme ai bambini e ai loro genitori questi momenti di gioia. Il 9 giugno nei locali della scuola elementare le autorità locali hanno consegnato direttamente ai bambini la targa del “premio Innovascuola” insieme ad alcuni attestati. Tra le autorità presenti: la dott.ssa Giovanna Criscione del Provveditorato, la dott.ssa Giusy Di Benedetto responsabile dell’ufficio scolastico, il Sindaco di Scicli Giovanni Venticinque e il dott. Nifosì funzionario del Comune. Il sindaco dopo aver sottolineato l’importanza dell’obiettivo raggiunto, ha definito questo evento come un momento storico per la frazione di Cava D’Aliga e ha consegnato uno scritto dove ufficialmente è manifestato l’orgoglio di tutto il Comune per questo risultato. A conclusione di queste giornate, tutti i bambini sono stati invitati a visitare i locali del municipio di Scicli. Un susseguirsi di interventi che hanno avuto come spettatori non solo i genitori degli alunni ma anche la fondata speranza che questo riconoscimento risvegli la dovuta attenzione delle amministrazioni a provvedere

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con urgenza ai lavori di ristrutturazione che la scuola dell’infanzia richiede da tempo… da troppo tempo. Speriamo che con il nuovo anno scolastico la famosa targa sia ospitata in un ambiente più adeguato alle esigenze didattiche, con particolare attenzione alla messa in sicurezza e all’ammodernamento della struttura. Altrimenti sarebbe una iattura o uno schiaffo ai valori dell’eccellenza. Puntare sulla qualità e sull’innovazione didattica significa dar vita ad un Paese migliore e anche la più piccola e periferica delle scuole, come ha dimostrato Cava d’Aliga può scrivere la parola Italia con una grande I maiuscola. Che al merito segua ora la gratitudine!

La targa

Visita al Comune di Scicli



Ci su grutti attornu a Chiaramunti -preesistenze senza date-

- Foto Giancarlo Tribuni Silvestri -

di Gianni Morando 1593 esistevano 170 grotte, regolarmente censite... un numero enorme che potrebbe essere la testimonianza di un abitato bizantino o addirittura risalente ad epoche precedenti, come ha ipotizzato Samuele Nicosia, primo storico di Chiaramonte. Chiaramonte, nel 1593, contava 1.719 case e le grotte erano il 9,9% delle abitazioni. A Monterosso, anch’esso paese di montagna, la percentuale delle grotte, nel 1593, era appena dello 0,5% (795 case e 4 grotte). A Ragusa nel 1624, la percentuale delle grotte era l’1,5% (2.225 case e 34 grotte). Dai dati accumulati, attraverso il lavoro di ricerca effettuato presso l’archivio di stato di Palermo, è stato possibile conoscere il numero delle grotte chiaramontane che si trovavano in ciascun quartiere, nel 1593. Nell’area denominata Villaggio a sud si contavano ben 238 case con un 19,3% di grotte. Un’altra zona ricca di grotte era quella del Curso (57 case e 23 grotte) ...oggi tutte scomparse!

Nel

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“Ci su di grutti attornu a Chiaramunti, chi a firriarli nun ci basta un misi, parti scavati a scianchi di lu munti, parti scavati sutta lu paisi ...”


Il nucleo di grotte della zona “Villaggio a sud” ha tutte le peculiarità di un abitato rupestre che poteva esistere benissimo in epoca sicula o preistorica e riutilizzato successivamente in epoca bizantina ed araba. Il fitto nucleo di grotte nella zona dell’attuale corso, invece, doveva essere la necropoli dell’abitato rupestre! La corretta distanza fra abitato e necropoli, nonché l’esistenza di un percorso che li collegava sarebbero ulteriori prove di questa antichissima preesistenza. Pertanto, quando il Conte Manfredi I decise di fondare Chiaramonte non scelse una località a caso... il luogo era stato certamente già prescelto da altra gente e probabilmente era stato abitato in diverse epoche precedenti. Il Villaggio a sud offre un’ulteriore prova della sua preesistenza tramandando toponimi di origine araba, come Cuba, Balati, Balatella, Bunecu. Altri toponimi del “Villaggio a sud”, come Cugnu, Aira di lu ventu, Cunfirenti, Furrieri si distinguono dai toponimi del resto del paese, in gran parte dedicati alle chiese che furono costruite dopo il 1310. È straordinario che tutti questi antichi toponimi, si trovino in un’area estesa soltanto un settimo dell’intera superficie del paese! La morfologia dell’ambiente richiama l’antica cultura medievale che si manifesta attraverso conformazioni fortemente condizionate da antiche origini. Il tessuto urbano e le strade seguono forme e dimensioni, quanto mai varie, dovute al terreno spesso accidentato. Il retaggio medievale è evidente nelle costruzioni emergenti da rocce rimaste fortunatamente ancora intatte, nella tortuosità delle vie e nelle suggestive gradinate. L’impianto moderno nella zona del “Villaggio a sud” si è sovrapposto su quello preesistente, lasciando immutate le irregolarità di precedenti fondazioni e dal tessuto stradale si evince la predominanza del trasporto a dorso di mulo. Di certo Chiaramonte doveva avere altre grotte non dichiarate nei riveli oltre alle 170 censite, anche perché monsignor Corallo nella “Storia di lu Signori ritruvatu” scrisse nel 1876: “Ci su di grutti attornu a Chiaramunti, chi a firriarli nun ci basta un misi, parti scavati a scianchi di lu munti, parti scavati sutta lu paisi...” Si deve supporre che le piccole grotte della necropoli (zona del Corso) siano state utilizzate successivamente per ricovero di animali o magazzino, e alla fine distrutte, ristrutturate o coperte per far posto a costruzioni più efficienti e moderne. Un’altra prova sorprendente riguarda i percorsi che dal borgo rupestre portavano alla necropoli. Infatti, i relativi tracciati, rimasti tortuosi ed irregolari nel tempo, sono avulsi dal contesto della rete stradale, sorta fra il ’400 e il ’500.

Chiaramonte 1593 - La particolare dislocazione delle grotte conduce all’ipotesi di una necropoli nella zona del Curso

Villaggio a sud - suggestive gradinate, retaggio di antichi e accidentati percorsi

Villaggio a sud - tre grotte emergono dal crollo di una grotta più vasta


- foto Donato Tundo -

I Giovani e il futuro dalle ali spezzate

di Francesca Bocchieri Giovani e futuro, quante volte abbiamo sentito pronunciare questo binomio. Eppure l’impressione che si ha è che ci si è tanto concentrati a pensare al futuro dei giovani che alla fine si è perso di vista il loro presente. Un presente che oggi si fa fatica ad accettare perché privo di sogni, ambizioni e speranze. Essere un giovane nel 2011 vuol dire tutto e niente. Un tutto fatto di sogni nel cassetto, di aspirazioni, di vita da vivere e un niente in cui tutto diventa vano e lasciarsi andare in balia degli eventi sembra l’unico modo per sopravvivere. Se da un lato ci sono giovani che nonostante tutto continuano a trovare la forza di lottare, dall’altro, la stragrande maggioranza, sembra non riuscire a reagire e vive in uno stato di totale rassegnazione. Per raccontarvi come vivono i giovani non occorre che io vada lontano, perdonate la modestia ma anche io rientro ancora in questa fascia, nella categoria giovani laureati in cerca di occupazione. E mi rendo perfettamente conto che, oggi, credere in qualcosa ma soprattutto in se stessi non è facile. Se da un lato sei spinto da un’incessante voglia di riscatto, dall’altro sei costretto a fare i conti con una realtà che fa di tutto per spezzarti le ali. E c’è chi purtroppo si lascia travolgere dagli eventi e si rassegna alla cruda realtà, convinto che nulla potrà mai cambiare. “Eppur qualcosa si muove”, ad insegnarmelo l’esperienza maturata negli anni. Nonostante tutto continuo a credere che i sogni possano realizzarsi. Per molti questa affermazione sembrerà utopia, per me è lo stimolo ogni giorno a superare le difficoltà che strada facendo s’incontrano. E come me tanti sono i ragazzi che credono ancora nella forza delle loro idee ed è di loro che ogni tanto si dovrebbe parlare, perché possano essere d’esempio, quell’esempio positivo che oggi nella nostra società viene a mancare.


Ma spiegateci come possiamo credere in un futuro se non riusciamo a vivere il nostro presente?

Troppo facile dire i giovani di oggi non conoscono il sacrificio, sono solo dei bamboccioni! - foto Pieter Morlion -

Giovani che lavorano anche 12-14 ore giornaliere e la cui retribuzione è un semplice rimborso spese ed una promessa (difficilmente mantenuta) di un contratto futuro. Giovani pronti ad apprendere e che raramente dicono di no, giovani che non piangono miseria e che si accontentano di una pacca sulle spalle quando il loro lavoro viene apprezzato, immaginando il giorno in cui riceveranno la loro prima gratificazione economica. Giovani che continuano a credere di poter costruire il proprio futuro. Giovani che hanno perso il diritto di essere giovani. Giovani adulti che giornalmente si spendono per la comunità in cui vivono, ancorati ad una morale che li rende rispettosi e dignitosi del proprio e dell’altrui essere. Di loro si dovrebbe leggere nelle cronache giornaliere, dei loro sforzi e della loro forza di volontà in barba a chi generalizzando li definisce “bamboccioni e svogliati”. Nonostante le numerose umiliazioni, i mille compromessi, la totale abnegazione, questi ragazzi sono pronti a scendere in campo e a mostrare quanto valgono, contribuendo giornalmente a sfatare il mito delle raccomandazioni ed a conquistarsi, gradatamente, ciò che spetta loro di diritto. Se si vuole far davvero qualcosa per i giovani e il loro futuro è davvero ora che si inizi seriamente a pensare al loro presente. C’è bisogno di positività, c’è bisogno di credere nella possibilità delle cose, c’è bisogno di credere in se stessi, c’è bisogno di amare questa vita in tutto e per tutto. Per far questo l’impegno deve venire da tutti. Agli adulti il compito di ascoltare la voce dei ragazzi, di comprendere le loro motivazioni e di spiegare loro il bello e il brutto di

questa vita, aiutandoli giorno per giorno ad apprezzarla sempre più, ai giovani lo sforzo maggiore, credere in se stessi sempre. Perché ognuno di noi ha un talento nascosto, sia esso intellettuale o pratico. La vita non va subita, va vissuta costruendola mattone per mattone. Se vogliamo una vita degna d’esser vissuta abbandoniamo le scorciatoie e impariamo ad assaporare il gusto dolce della vittoria e l’amaro delle sconfitte, solo così possiamo essere pronti ad affrontare tutte le sfide che incontreremo lungo il cammino.

Già, sopravvivere, i giovani oggi sopravvivono. Ma poco importa bisogna pensare al loro futuro

Ho trent’anni o poco più, avevo un sogno nel cassetto lo stesso per cui ancora imperterrita continuo a lottare. Come me tanti altri ragazzi che giornalmente si mettono in gioco

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7 agosto 1952 - una giornata al mare «Bobabba, bobabba», disse il piccolo Zuddu chiamando la sorella il cui nome Rosalba veniva così affettuosamente stravolto, «bobabba, bobabba», continuò a chiamare. La sorella sentì tra un esercizio e l'altro al pianoforte la voce del fratellino e già sapeva la causa di tale stato di eccitazione: papà aveva annunciato che il giorno dopo si sarebbe andati al mare, a Donnalucata. Per lei il mare invece rappresentava la certezza di una scottatura, la fastidiosa sabbia che s'infilava dappertutto e temeva più di tutto il viaggio in auto che lei e la mamma pativano tanto; senza contare quella fastidiosa lana del costume che intrisa di salsedine diventava abrasiva sulla sua pelle così delicata. Maruzzedda e l'autista Nino già discutevano su come organizzare il carico di tutto ciò che occorreva alla famiglia Moncada per trascorrere in maniera confortevole un'intera giornata al mare. Due le auto in partenza: un'Ardea Lancia verde oliva guidata da papà e un'Augusta blu guidata dall'autista. Quest'ultima era quella in cui si caricava tutto l'occorrente: dai teli ai vestiti di ricambio, dagli unguenti per le scottature ai secchielli e palette per il piccolo Zuddu, dai libri da leggere alle riviste; parte dello spazio veniva riservato alle ceste che accoglievano piatti, bicchieri, posate, tovaglia e tovaglioli; altre ceste custodivano il vettovagliamento adeguato alla lunga e stancante giornata al mare: uova sode, polpette di carne, polpette di melanzane, le patate ’ncupunate, frutta, qualche dolcetto di mandorle. Tale insieme veniva poi integrato dalle “arancine di Santino Sampugna”, il quale in occasione del periodo estivo lasciava la sua rosticceria vicino al Tribunale e trasferiva al mare la sua sapienza ‘arancinesca’ per la felicità di tanti modicani. Arrivati a destinazione, preso possesso delle cabine e delle sdraio prenotate, si creava un angolo accogliente così Zuddu, Rosalba e le altre due sorelle maggiori, Concetta e Giuseppina, giocavano e leggevano in tutta tranquillità. Dopo qualche bagno arrivava l'ora di pranzo. Il papà per l'occasione aveva riservato metà di uno chalet che si trovava sulla spiaggia in modo da poter pranzare in totale tranquillità; ecco che in un attimo le assi grezze del tavolo

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venivano coperte dal lino bianco e resistente della tovaglia e bicchieri, posate e piatti venivano sistemati; posizionati al centro, i piatti di portata venivano scoperchiati. Da essi si sprigionavano i profumi di tutto quel cibo che, zitto zitto, era rimasto lì a riposare dalla mattina, quando all'alba, Maruzzedda e la cuoca l'avevano preparato: l'odore solforoso delle uova, l'aroma della buccia di limone misto all'aglio delle polpette e quell'odore ricco e corposo delle patate ’ncupunate preparate personalmente dalla mamma già la mattina per avere il tempo di prendere tutto il sapore del condimento. Dopo pranzo tutta la famiglia cadeva in un sonno fatato, con lo sciabordio del mare in sottofondo. Zuddu rimaneva sveglio, aspettava di poter fare ancora un bagno... quant'era lunga l'attesa e quant'era invitante quell'acqua azzurra e trasparente dove già da così piccolo con l'aiuto del papà, sgambettava felice e spensierato.

[

PATATE 'NCUPUNATI 2 kg di patate un cipollotto olio extravergine d'oliva mezzo cucchiaio d'aceto sale prezzemolo, origano, menta Lessate le patate in poca acqua e con la buccia. Lasciatele raffreddare, sbucciatele e fatele a pezzi. Tritate finemente il cipollotto. In una ciotola sciogliete il sale con l'aceto sbattendo con una forchetta, aggiungete l'olio quindi il prezzemolo tritato fine e l'erbette, in ultimo il cipollotto e continuate a mescolare. Aggiugete alle patate e girate un po' per condire bene. Io ne faccio una versione con un condimento un po' diverso e comunque buono. 1 scalogno 1 cucchiaino da the di miele un bel po' di erba cipollina mezzo cucchiaio di succo di limone timo fresco,origano, maggiorana fresca, menta scorza grattuggiata del limone olio extravergine d'oliva


natur a mica

Rubrica a cura del dottor Corrado Cataldi, farmac ista titolare dell’omonima farmacia www.farmaciacataldi.com

Ahiii!!! da ragazzini, siamo venuti a Sin sperimentare,in modo alquanto doloroso, l'esistenza dei "lividi". Quante cadute dalla bicicletta, quante spinte giocando a pallone ci hanno costretto a fare i conti con il problema dei lividi. Molto più scientificamente descritto come EMATOMA, Il trauma che fà seguito ad una caduta, una botta o ad un urto, determina la rottura dei vasi capillari. Se l'ematoma è di lieve entità si presenta con un gonfiore violaceo e azzurrognolo della parte interessata che virerà al giallo man mano che si effettuerà il riassorbimento del liquido interstiziale che si era riversato a causa della lesione dei vasi. Il primo soccorso che daremo all'accaduto, è l'utilizzo di ghiaccio che apporterà un effetto anestesizzante e fisico riducendo la fuoriuscita di sangue, per via della conseguente costrizione dei muscoli della parete vasale. Per una risoluzione più veloce, possiamo ricorrere a dei rimedi naturali. Ad esempio: l'arnica montana, l'ippocastano e l'ananas. L'arnica montana, appartenente alla famiglia delle composite, cresce ad una altitudine che va dai 500 mt ai 1800 mt e presenta particolari fiori gialli dall'odore aspro. Molto utile è il preparato gel che grazie alla sua particolare assorbibilità permette ai suoi principi attivi: lattoni sesquiterpeni, di raggiungere gli strati profondi del derma, esprimendo una azione antinfiammatoria pari a quella dei fans. Componente importante sono anche i flavonoidi, che inibiscono il meccanismo a cascata dell' infiammazione e svolgono azione protettiva sui vasi sanguigni. L'Aesculus Hippocastanum porta in sè principi attivi quali l'Escina e l'Esculosina. Il primo importante per il rafforzamento della parete vascolare, l'altro utile per incentivare l' assorbibilità del liquidi fuoriusciti. L'ananas infine, con la sua bromelina è contemporaneamente antinfiammatorio e anti edemigeno, permettendo la riparazione della parete vasale e il riassorbimento dei liquidi. Arrivederci… alla prossima botta… scusate… alla prossima volta.

Arnica montana

Ippocastano

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