inSide Sicilia luglio - settembre 2012

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ANNO IV NUMERO 15 - luglio / settembre 2012 - free quality press

A Ragusa dove la vita è un autentico teatro Inno al fasto e all’opulenza del tardobarocco Unesco

I mille mari di Sicilia

tra spiagge, scogliere, aree marine protette L’Essenza di Sant’Andrea di Buccheri



Stasera pago io! Ristorante •Pizzeria • Sala trattenimenti

Charme viennese. Tipica cucina mediterranea. Pizza cotta in 2 forni a legna. Ampio cortile esterno di 550 m.quadri.

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Oro di Sicilia- foto Sonia Modeo


Oro di Sicilia “A megghiu parola è chidda ca nun si dici”

“L

a miglior parola è quella che non viene pronunciata”. La parola non detta è quella che, per il fatto stesso di essere trattenuta, lascia al silenzio il compito di esprimere pienamente un concetto, una descrizione, una sensazione. La bellezza dell’immenso patrimonio culturale, artistico e ambientale può lasciarci non solo senza parole ma persino senza fiato. Senza fiato perché anche la leggerezza del respiro può disturbare il silenzio dell’emozione. Nel nostro patrimonio si aggiunge anche la bellezza dei sapori di una enogastronomia che ha radici lontane. Per descrivere il bello basta la “parola ca nun si dici” così come ci insegnano i sordi che hanno la capacità di ascoltare con il cuore e i ciechi che vedono oltre i nostri limiti o i muti che con uno sguardo esprimono un mondo. Quale parola potrebbe descrivere l’armonia degli edifici tardobarocchi del Val di Noto? Quale potrebbe includere il fascino dei mille mari di Sicilia? Con quale termine è possibile definire la ricchezza della semplicità della chiesa di Sant’Andrea di Buccheri? Esiste una voce per racchiudere la gioia spensierata e le timorose speranze delle nuove generazioni che animano le notti estive delle borgate marinare? Si può descrivere l’equilibrio di sapori e profumi di piatti tipici come la Pasta cà Norma o l’inebriante gusto di vini e la squisitezza dei gelati? Sono tutte domande che in questo numero di InsideSicilia, gli autori dei testi si sono posti per affrontare i tanti e inesauribili e, per certi versi, anche inediti argomenti che ruotano attorno all’essenza della nostra Isola. È una sfida, un lavoro non certamente facile che raccogliamo con umiltà e orgoglio. La sfida è anche quella di condividere con i lettori la bellezza dell’immenso patrimonio siciliano che possiamo ben definire “Oro di Sicilia”. Una miniera di ricchezza mai abbastanza sfruttata dall’economia locale. Un Oro che va visto e che vale una escursione o un viaggio. Non a torto, Goethe scriveva: “Se vuoi essere migliore, caro amico viaggia”. D’altronde il viaggio è l’essenza stessa della vita da quando è scoccata negli esseri umani la scintilla della ragione. Una gita fuori porta o un viaggio per l’isola saranno sempre una preziosa occasione per scoprire sia le bellezze più celebrate che quelle in penombra per non parlare di quelle sconosciute. Quell’oro splende sull’isola dove il crogiuolo delle civiltà che si sono susseguite hanno saputo esprimere e continuano ad esprimere la grandezza che nasce solo dal confronto tra culture. Solo così i tramonti avranno quei riflessi dorati e solo così continueremo a trattenere dentro di noi l’emozione della “megghiu parola” che è proprio “chidda ca nun si dici”. Giuseppe Nuccio Iacono


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N. 15 – LUGLIO/SETTEMBRE 2012

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Editore Kore & C. sas Siracusa – Tel 0931- 35068 Ragusa – Tel 0932- 228326 www.insidesicilia.com info@insidesicilia.com Direttore editoriale Giuseppe Nuccio Iacono n.iacono@insidesicilia.com Direttore responsabile Giuseppe Aloisio info@insidesicilia.com Pubblicità e Marketing Siracusa - Vera Corso Tel 320- 2713534 v.corso@insidesicilia.com Ragusa - Giancarlo Tribuni Silvestri Tel 349- 4931363 g.tribuni@insidesicilia.com Account Giovanni Gurrieri info@insidesicilia.com

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Promozione e distribuzione Kore & C. sas Progetto e impaginazione grafica Kubeitalia.it - Gruppo Computerline - Catania Stampa Tipolitografia Priulla srl - Palermo In copertina: Lipari - foto di Peter Fuchs

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Hanno collaborato: Gaetano d’Albafiorita, Walter Baudon, Corrado Cataldi, Sergio Cilea, Vera Corso, Alice Fulgenzi, Giovanna Giallongo, Stefano Gurrera, Gaetano Guzzardo, Gianni Iacono, Gianni Latino, Giulio Lettica, Giovanni Portelli, Rosaria Privitera, Saro Sallemi, Antonio Siviero, Danilo Tomasi, Giulio Tribastone, Marina Tufigno Reitano. Registrazione: Tribunale di Siracusa 20/07/2009 Registro della Stampa n°3/09 ROC n° 20932 del 28/03/2011 © Kore & C. sas Proprietà letteraria riservata. È vietata ogni riproduzione integrale o parziale di quanto è contenuto in questo numero senza autorizzazione dell’editore. L’editore si dichiara disponibile a regolare gli eventuali diritti di pubblicazione per le immagini di cui non è stato possibile reperire la fonte. Sfoglia la rivista sul Web www.insidesicilia.com Seguici su

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Piazza Armerina, capitale della cultura del centro Sicilia Una profezia che si avvera. Nasce il Teatro Siciliano Dialettale

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Broken Consorts. Un ensemble d’eccezione A Ragusa dove la vita è un autentico teatro Estate 1837 la storia negata di Siracusa L’essenza di Sant’Andrea di Buccheri La nobile Carini tra arte, profumi e sapori La festa patronale di San Giacomo Apostolo I mille mari di Sicilia


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Piazza armerina capitale della cultura del centro Sicilia

dal 2012 è una realtà

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La bandiera blu sventola sulla qualità del mare 20.000 anni fa un gruppo di uomini abitò il sito di “Fontana Nuova”

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Artigianato Il fascino di Taormina d’estate in un’atmosfera da sogno Canicattini Bagni capitale del jazz mediterraneo Moda e costumi nel settecento Il linguaggio criptato del ventaglio “Chista è ‘na vera Norma!” Bellezza di un’isola riflessa tra calici di vino Un viaggio con Planeta nella Sicilia sud-orientale Donnafugata tra i 35 protagonisti Il lago di Lentini uno dei trentasette laghi siciliani Il porto di Catania sfida la crisi InSide Sicilia The Night: tendenze musicali nella costa iblea Natura amica. La palma della salute


foto di Alvise Nicoletti

Piazza armerina capitale della cultura del centro Sicilia

dal 2012 è una realtà

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iazza Armerina, capitale della cultura del centro della Sicilia. Questo è l’obiettivo che la comunità si è data dal 2008 per avviare un percorso di sviluppo durevole capace di creare economia sta-

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bile a partire dal patrimonio culturale, da quello ambientale e dagli eventi artistici e culturali. Il protagonismo della Città si è sviluppato negli anni più difficili dal Dopoguerra per il comparto locale del turismo, messo in difficoltà dalla crisi internazionale, ma anche da problemi locali: la indisponibilità di buona parte del patrimonio storico

e artistico nel centro storico e, soprattutto, i lunghi lavori di restauro e nuova musealizzazione della Villa romana del Casale, monumento riconosciuto 15 anni fa dall’Unesco Patrimonio dell’umanità. La parziale chiusura della Villa per cinque lunghi anni ha visto scendere i visitatori del monumento dai 415 mila del 2007 ai 250 mila del


210, risaliti ai 275 mila nel 2011, ma ha anche consentito a sviluppare una costante azione di recupero, restauro, valorizzazione e socializzazione del centro storico e dei beni in esso contenuti e di promozione di tutto ciò che era messo in ombra dalla eccessiva notorietà e attrattiva della Villa. Grazie a queste azioni le presenze

nelle strutture ricettive sono cresciute dal 2009 al 2011 attestandosi nuovamente ai dati del 2005, con un notevole incremento in percentuale ai visitatori della Villa. Conclusi i lavori di restauro dei mosaici della Villa e sostituita quasi per intero la copertura di ferro e perspex realizzata negli anni Sessanta, causa di disagio per i vi-

sitatori e di danni ai mosaici, Piazza si offre a turisti e viaggiatori per l’estate 2012 come uno scrigno pieno di tanti gioielli. Innanzitutto la grande dimora romana del IV sec. d.C. (tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00) diventa un gioiello imperdibile anche per chi l’avesse visitata più volte: i mosaici completamente restaurati

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foto di Alvise Nicoletti

sono tornati allo splendore di 50 anni fa, le pareti hanno rivelato decine di metri quadrati di affreschi di cui non si conosceva l’esistenza, la imponente basilica diventa fruibile al pubblico per la prima volta, ma, soprattutto, il nuovo sistema di percorsi accessibile anche ai diversamente abili e la penombra che crea la nuova struttura valorizzano in maniera straordinaria i pavimenti mosaicati. Entrando nella Villa, in cui anche il peristilio diventa finalmente accessibile, si ha davvero la sensazione di entrare nella ricchissima dimora di un potentissimo personaggio della Roma tardo imperiale. Il nuovo allestimento offre, inoltre, per la prima volta, tutti i venerdì, sabati e domeniche di agosto, la possibilità della visita notturna e, in contemporanea, eventi artistici e musicali dalle 21,30 alle 23,00 secondo un programma voluto dal Direttore del Parco, denominato “Artesiana”, crasi dei termini ‘arte’ e Philosophiana,

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nome del latifondo al centro del quale fu costruita la Villa. Ma lo scrigno conserva altri preziosi gioielli: nel centro storico il Comune ha costituito il SiMPA, Sistema Museale di Piazza Armerina con la Pinacoteca comunale accanto a piazza Cattedrale (tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle 10.00 alle 18.00), la Mostra del Libro antico nel Collegio dei Gesuiti (tutte le mattine dalle 9.00 alle 14.00, esclusi i festivi), la Mostra permanente della civiltà dello zolfo (in via Garibaldi, tutti i giorni dalle 10.00 alle 20.00). La Regione ha restaurato il Palazzo Trigona della Floresta in piazza Cattedrale, sede del Parco della Villa romana del Casale e la Diocesi ha aggiornato l’allestimento del Museo Diocesano che riaprirà a settembre. E poi molte piazze sono state oggetto di interventi di riqualificazione importanti. Le tre chiese degli ordini militari medievali -Gran Priorato di S. Andrea, Commenda dei Cavalieri di S. Giovani di Rodi e chiesa

del Carmine- sono state integrate nel ‘Cammino dei cavalieri’, visite guidate su prenotazione. Infine una importante politica di eventi: al famosissimo Palio dei Normanni che si svolge dal 12 al 14 agosto, con la spettacolare quintana che assegna il labaro al quartiere vincente tra i quattro in cui è suddivisa la città storica, a Piazzajazz, evento che si svolge nell’ultima settimana di luglio con corsi di alto perfezionamento in tutti gli strumenti musicali e decine di concerti, soprattutto nel centro storico, dal pomeriggio alla notte inoltrata, a ‘Libri sotto il gelso’, presentazioni pomeridiane di opere letterarie nel chiostro seicentesco di S. Anna. Per l’estate 2012, in particolare, la città offre il concerto di Danilo Rea, piano solo, ‘Tributo e Fabrizio De André’, il 26 luglio alle 22 nel chiostro dei Gesuiti e il concerto conclusivo di Piazzajazz, all’1 di notte tra il 29 e il 30 luglio con Javier Girotto e Giovanni Mazzarino che suoneranno in un luogo straor-


Ulisse e Polifemo

dinariamente magico: lo Xistus della Villa romana del Casale che per la prima volta sarà visitabile al pubblico in notturna. Tra gli scrittori più importanti presenti a ‘Libri sotto il gelso’:Clara Sereni il 3 agosto, Roberto Balzani l’11 agosto e Silvano Nigro il 20 agosto. Piazza, capitale della cultura del centro Sicilia. Dal 2012 è una realtà.

Scorcio della Cattedrale

Per informazioni: turismo@comunepiazzaarmerina.it Tel. 0935 - 98.22.46

Un momento di Piazzajazz - foto di Mario Noto

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UNA PROFEZIA CHE SI AVVERA

Nasce il Teatro Siciliano Dialettale di Marina Tufigno Reitano

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Broken consorts Un ensemble d’eccezione

L’ di Vera Corso

ensemble “Broken Consorts” è nato dalla collaborazione di musiciste professioniste già ampiamente affermate sia in ambito solistico che in seno a varie formazioni cameristiche e lirico-sinfoniche. La voglia di fare musica d’insieme e di effettuare una continua ricerca nelle diverse culture musicali le ha spinte a costituire un gruppo ed a dedicarsi

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ad un repertorio che spazia dalla riscoperta di danze medievali e rinascimentali alle ballate popolari di origine irlandese, da brani di grande suggestione spagnola ad atmosfere musicali mediterranee grazie alla collaborazione con giovani e valenti compositori siciliani. Il gruppo ha al suo attivo numerose partecipazioni a manifestazioni musicali nazionali tra le quali: il Premio “Brancati”, il Gemellaggio Europeo Lions Italia-Regno Unito, la Stagione dell’”Atelier Internazionale della musica”, la

manifestazione “Estate a Catania 2009” al Castello Ursino, gli “Eventi sul mare di Ognina” con il concerto “Il mare racconta”, lo spettacolo “Sicilia ieri e oggi” in collaborazione con la compagnia Danzamica, la partecipazione al Convegno su Martoglio “Una città ritrovata” organizzato dall’Università di Catania, l’Evento “Broken Consorts – Donne del Mediterraneo” al Teatro Zo di Catania, l’esibizione al Premio Internazionale “Al-Cantàra” presso l’auditorium “De Carlo” Monastero dei Benedettini di Ca-


tania, la partecipazione all’evento “Puisia –Premio Al-Cantàra a Etta Scollo” al Cortile Platamone di Catania, i Concerti al “Med fest” di Buccheri, il XXXI° Premio “Targa d’argento- Castagno dei 100 Cavalli”; finaliste al concorso “Canevel music lab”. Hanno partecipato inoltre alla XXIII Edizione del Festival Musicale delle Nazioni Concerti del Tempietto “Notti romane al Teatro di Marcello”. Interverranno alla IV Edizione del Festival “Insulae: la musica in mezzo al mare”. Ultimamente le musiciste si sono fatte promotrici di una serie di progetti culturali e musicali intitolati “Mediterrando”, “L’isola delle sirene” e “Tanaurpi”: un percorso tra ritmi, suggestioni e atmosfere musicali della cultura mediterranea, collaborando attivamente con compagnie di danza e di prosa e vantando anche il prezioso contributo della compositrice catanese, nonchè direttore d’orchestra, M°Carmen Failla, autrice di numerosi brani compo-

sti per l’ensamble. Le Broken Consorts hanno al loro attivo la pubblicazione di tre CD - “Antiche Danze”, “Carolan’s Dreams” e “Tanaurpi”. Attual-

mente, nell’ottica di un openband in continua evoluzione si avvalgono della collaborazione alle percussioni di Riccardo Gerbino.

Dioniso in scena Vino teatro e poesia di Stefano Gurrera

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l teatro, nel mondo greco-romano, è stato non solo lo spazio destinato allo spettacolo, ma il luogo dove si metteva in scena il mito. E il teatro stesso diventava un’area sacra al centro della quale emergeva l’altare di Dioniso. Nel mondo fantastico dei politeisti può succedere che il dio del vino, Dioniso, scenda dai suoi altari, e incontrando Apollo, dio della poesia, nel mezzo della ribalta, nasca una legittima unione artistica e culturale.

C’è voluta però la “vis” di Martoglio e la genialità di un vigneron catanese Pucci Giuffrida, affinché questo artifizio diventasse una concreta realtà. Martoglio ha portato in dote la sua poesia dialettale e il vigneron il suo vino doc dell’Etna che, ovviamente, anch’esso parla in dialetto, come il must del suo catalogo, e che si chiama infatti “’O Scuru ‘o scuru”. Poi, è arrivato un altro soggetto divino, contemporaneo e vivente, una donna maestosa e mortale, dal nome poco mitico ma molto musicale, Carmen Failla. Ispirata da

arie, suoni e canti mediterranei ha punteggiato il suo pentagramma per portare alla luce una suggestiva colonna sonora. L’atto unico che ne è nato prende il titolo da uno dei sonetti più popolari del poeta catanese e si chiama, come il vino, “‘O scuru ‘o scuru”. Martoglio e la musica dei vicoli nascosti. Più che un’opera teatrale, il musical è un arazzo coloratissimo di suoni canti e umani paesaggi che il poeta ha dipinto con toni vivaci, a volte densi e ombrosi, spesso annaffiati in versi con buon vino e talvolta sfumati ed intrisi di malinconia. Una città, la sua

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Catania, sinonimo di musica: e Carmen Failla, ne ha colto l’anima tra le voci dei venditori ambulanti e quelle dei suoi mercati, tra le ninne nanne delle mamme, e l’intimo brusio dei suoi vicoli nascosti, tra le piazze assolate e i quartieri bui e degradati dove c’è “sulu ocche luci luci”. Poesia, musica e vino racchiuse in tre anime educative (anche il vino si accolla il mandato di promuovere la cultura di Bacco e del bere consapevole) ma espres-

Dalla felice intuizione che un buon vino è “poesia”, e per farlo ci vuole “arte” nasce la cantina Al-Cantàra. Seppur giovanissima, è riuscita in poco tempo ad affermarsi sul mercato sia per il connubio, unico e prezioso nel suo genere, tra uva, versi e pastelli, sia per la qualità dei vini, riconosciuta con alcuni premi di portata nazionale e internazionale: fra questi il Vinitaly e la Douja D’or nel 2008, nonché Pramaggiore e la selezione del Sindaco nel 2009. L’azienda prende il nome dal fiume che lambisce la Contrada Feudo a Randazzo (Ct), presso la quale si trovano i vitigni. La scelta del nome Al-Cantàra non solo per sottolineare il legame con la terra siciliana, ma soprattutto perché “al-cantàra”

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si da un unico linguaggio quello che riesce ad affrescare “l’ambiguo distinguo” sempre discusso ma mai risolto di cosa sia per la Sicilia, la sua identità, quali le sue radici, quale il mistero del genius loci di questa terra tanto benedetta quanto poco definita. Un copione stupendamente celebrato dagli attori Egle Doria ed Emanuele Puglia. La voce e il canto di Francesca Laganà, Loredana Sollima al flauto, Cinzia Condorelli al violino, Natalina Messina al vio-

in arabo significa “ponte”: e proprio come con un ponte, tradizionale simbolo di unione, l’azienda vuole collegare arte, vino e poesia. Il ponte, che collega un volto femminile con l’acqua fiumana, ne è peraltro diventato il logo. Ogni bottiglia è intrinsecamente “letteraria”, martogliana per la precisione, nella sua denominazione e artistica nella sua etichetta, ed è proprio sull’aspetto culturale dei vini in cui l’azienda crede molto. In appena un anno sono stati stampati ben quattro libri da cui sono state tratte le idee per le denominazioni, e in ogni cassetta di vini, in cui sono contenute quattro bottiglie, ciascuna in un elegante astuccio, ne è contenuto uno. Otto prodotti (di cui un olio, anch’esso “martogliano”), un unico, deciso messaggio, peraltro assurto a slogan dell’Azienda: un buon vino è “poesia” e per farlo ci vuole “arte”.

loncello, Angela Minuta all’arpa e Riccardo Gerbino alle percussioni, evocano sulla scena magie musicali e seducenti atmosfere. Insieme al doc dell’Etna, “‘O scuru ‘o scuru” dell’azienda di Pucci Giuffrida, “Al-Cantàra”, saranno protagonisti l’1 agosto nel suggestivo e ben noto scenario del Lido dei Ciclopi di Acitrezza, operazione culturale di estremo valore dato che il lido è un bene confiscato alla mafia.


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Evidente musicalità architettonica - foto di Fernando Martinez

A Ragusa dove la vita è un autentico teatro

Inno al fasto e all’opulenza del tardobarocco Unesco di Giuseppe Nuccio Iacono

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n Italia dove è conservata il 70% dell’arte mondiale risalta l’inno al fasto e all’opulenza del Tardobarocco del Val di Noto. In quest’area sud orientale della Sicilia tra le 8 città che possono fregiarsi del riconoscimento Unesco, Ragusa è quella che custodisce il maggior numero di edifici classificati come Patrimonio dell’Umanità. Ben 18 monumenti brillano tra le vie

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e le piazze scenografiche del capoluogo ibleo. Con La Valle dei Templi di Agrigento (1997), La Villa Romana di Piazza Armerina (1997), Le Isole Eolie (2000), Le Città barocche del Val di Noto (2002), Siracusa e la Necropoli di Pantalica (2005) la Sicilia è fra le regioni italiane con il maggior numero di siti presenti nella World Heritage List (Lista del patrimonio dell’Umanità). Era il giugno del 2002 quando a

Budapest, il Comitato Scientifico Internazionale inserì nella Lista Unesco le otto città del sud-est della Sicilia: Caltagirone, Militello in Val di Catania, Catania, Modica, Noto, Palazzolo, Ragusa e Scicli. Furono tutte ricostruite dopo il 1693, nello stesso luogo o vicino alle città esistenti al tempo del terremoto. E come fu sottolineato dalla commissione Unesco, queste città “rappresentano una considerabile impresa collettiva portata con suc-


cesso ad un alto livello di architettura e compimento artistico. Custodite all’interno del tardo Barocco, esse descrivono pure particolari innovazioni nella progettazione urbanistica e nella costruzione di città”

Dalla Tragedia nacquero capolavori Strano a dirsi ma fu proprio una catastrofe che fece germogliare un raro

ed eccellente tardobarocco. Il terremoto del 1693, distrusse gran parte delle città della Sicilia sud-orientale e mieté più di 60.000 vittime. Alla tragedia si reagì con la fiducia verso il futuro e questo fervore si concretizzò nella grande opera di ricostruzione settecentesca. Aristocrazia e nuova borghesia fecero a gara per edificare palazzi e ville che riaffermassero, in quella nuova era, il loro potere. E accanto si innalzarono chiese e conventi e si progettarono vie e

piazze atte a contenere la teatralità urbana delle nuove città. Ragusa rappresenta di per sé un esempio clamoroso di doppia ricostruzione urbana “a regola d’arte”. L’antica nobiltà scelse di esternare il proprio potere nei palazzi della storica Ibla e la nuova borghesia preferì impiantare le nuove costruzioni sul pianoro vergine. La ricostruzione aveva quindi due anime distinte che usavano però lo stesso linguaggio stilistico. Ibla puntava

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sull’affermazione della propria storia, mantenendo l’impianto urbano medievale. E affidava l’esaltazione e la conferma di antichi privilegi alle facciate tardo barocche di chiese e palazzi. Ragusa Nuova, invece, per sottolineare il potere della nuova classe di borghesi e imprenditori inserì le nuove architetture all’interno di un tracciato viario a scacchiera. Più razionale e in linea con i principi di antisismica urbana. Le due soluzioni adottate per la ricostruzione usavano lo stesso vocabolario, le stesse parole ossia uno stile comune, stesse forme e dettagli decorativi. Quello che invece era diverso era il modo di esprimere lo stesso concetto di teatralità.

I segreti del tardobarocco Ibla faceva leva sugli scorci e sulle piazze che si aprivano all’improvviso e scenograficamente sulle quinte barocche delle costruzioni. Ragusa puntava invece sull’effetto della prospettiva e delle linee di fuga che le strade dritte e le piazze squadrate garantivano. E che sia teatralità architettonica e scenografia urbana lo chiariscono la cura dei decori scultorei che si concentravano sulle facciate. Gli interni dei palazzi non rispecchiano mai il movimento e il decoro delle facciate così come la maggioranza delle chiese si limitano a concedere solo alle facciate il compito di trasmettere la supremazia del cattolicesimo. Gli spazi interni di palazzi e chiese continuavano a dimostrare l’immobilità del potere assunto. La distribuzione squadrata e semplice delle stanze dei palazzi e la predilezione per la tradizionalissima pianta a croce latina nelle chiese (tranne pochi esempi come nella Chiesa di San Giuseppe di Ibla) sono sintomatiche. Insomma tutto cambia fuori ma resta uguale dentro e, per certi versi, questa dualità non fa che preannunciare le parole del Gattopardo “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.” Il Barocco, in sostanza, si proclama innovatore per continuare a

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Particolare di scorcio di Palazzo Battaglia - foto di Ilaria


essere conservatore. Le innovazioni non devono provocare l’alterazione della scala sociale.

Ragusa delle 18 meraviglie A Ragusa, i 18 monumenti Unesco sono altrettante punte di diamante di un più ampio tesoro riversato in tutti gli angoli dei quartieri. Bisogna soffermarsi in questa città, per apprezzare l’essenza del chiaroscuro generato dai raggi del sole sull’architettura. La scoperta più grande, quella che i visitatori spesso non sanno e che le guide ignorano è che la materia prima delle opere barocche non è tanto la pietra quanto la luce. Il barocco a Ragusa sprigiona originalità. Le architetture si ispirano ad esempi internazionali (Boemia, Austria e Praga e Baviera) mantenendo, grazie alle abilità delle maestranze locali, una forte autonomia. A Ragusa con una passeggiata è possibile inoltre coniugare tutte le

voci barocche del verbo stupire, meravigliare, stupefare. Per le strade il visitatore diventa spettatore e viene coinvolto da emozioni che solo l’apparenza barocca può regalare. Le cose comunemente non passano per ciò che sono, ma per ciò che appaiono. Le sorprese sono continue ed improvvise. A Ibla appare il Duomo di San Giorgio che sfida il cielo dall’alto della sua leggiadra scalinata. Le sue colonne sembrano canne di un organo, che oltre a movimentare la forma della facciata ne armonizzano musicalmente le varie parti. Il motto dell’architettura qui è “tenere sospeso l’animo”. Un sorta di riduzione ritmica di questo effetto è data dalla non lontana chiesa di San Giuseppe, che ha la particolarità di introdurre con forza a Ragusa la pianta ellittica. Altre chiese “incoronate” dall’Unesco sembrano esistere per stupire l’uomo. Sono edifici che per un attimo trasformano tutto il reale in mistica gloria religiosa. Trionfano così le chiese delle Anime del Purgatorio, di S. Filippo Neri,

dell’Idria, di San Francesco all’Immacolata, di S. Maria del Gesù, mentre nell’isolata periferia di Ibla si trova un altro gioiello che, con la sua semplicità e con il silenzio, ha saputo rompere l’omertà stilisticoarchitettonica del tardobarocco: Chiesa di S. Maria dei Miracoli. Salendo nella Ragusa settecentesca, conquista l’imponenza della cattedrale di S. Giovanni Battista. Tutta la forza di contemplazione che si accumula ammirando la facciata si scatenerà con massimo vigore appena si varca uno dei portali. La potenza della facciata è soprafatta dalle dimensioni dell’interno, dagli stucchi, dagli ori e dal contrasto tutto ragusano tra il nero della pietra pece e il bianco del calcare del pavimento. Il visitatore scoprirà che la folla di angeli e i puttini ridenti che animano gli altari lasciano le chiese per aggrapparsi alle straordinarie mensole dei balconi dei palazzi. Ed è attorno ai portoni e alle finestre, negli angoli e nei mensoloni dei palazzi che si

Mensole figurate di Palazzo Cosentini - foto di Antonio Felleca

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San Giorgio - foto G. Tribuni Silvestri

addensa una serie di fantasiose raffigurazioni umane e di motivi e forme floreali. Questa esuberante fantasia continua a dire, per chi non lo avesse ancora capito, che “l’uomo nasce servo, o principe, o contadino, malgrado i suoi sentimenti e la sua volontà”.

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Sono le parole delle pietre vibranti dei palazzi cha accanto al loro antico stemma nobiliare hanno ricevuto quello universale dell’Unesco. I Palazzi Menfi di Sant’Antonino (conosciuto ora come Zacco) e Floridia (Bertini) della Ragusa “sangiovannara” si uniscono in coro con

quelli di Ibla: Palazzo della Cancelleria, Palazzo Cosentini, Palazzo Sortino-Trono Palazzo Battaglia e Palazzo La Rocca. La perfetta ed equilibrata fusione di sacro e profano dei monumenti Tardobarocchi ci ricordano che la vita è un autentico teatro.


Cattedrale S Giovanni Battista - foto G. Tribuni Silvestri

ll documento Unesco cita indirettamente 16 monumenti (9 chiese e 7 palazzi). Il Palazzo Vescovile e la Chiesa di S. Maria delle Scale (peraltro di stile gotico catalano) sono stati aggiunti dal Piano di Gestione legato al sito Unesco.

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[

food

&

drinks

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insidesicilia.com

Non vedo, non sento, non parlo.

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Ragusa @ Centro Commerciale le Masserie


Il Duomo di Siracusa in una incisione del 1807

Estate 1837

La storia negata di Siracusa di Sergio Cilea

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Siracusa una giovinetta bella come la Madonna, la quale ballava sui cavalli ammaestrati in teatro, e andava spargendo il colèra con quel pretesto, era stata uccisa a furor di popolo. La gente insospettita stava a vedere, facendo le provviste per svignarsela dal paese, al primo allarme, e spiando ogni viso nuovo che passasse”. Questo drammatico episodio tratto dal romanzo “I Malavoglia” di Verga ricorda in realtà con crudo realismo una triste vicenda avve-

nuta a Siracusa nell’estate del 1837 in cui vennero massacrati dalla furia popolare decine di ignari cittadini, accusati di spargere il morbo del colera per le vie della città. Apprendiamo dalle cronache del tempo che tutto ebbe inizio con la funesta notizia che nella lontana Asia un morbo pestifero stava mietendo migliaia di vittime e che rischiosamente si avvicinava all’Italia. Le autorità governative del Regno delle due Sicilie si attivarono prontamente per cercare di contenere il propagarsi del morbo. Furono imposti i cordoni sanitari, cioè gruppi di uomini armati posizionati in baracche di legno distanti un miglio l’una dall’altra lungo le coste il cui

compito era di evitare lo sbarco non autorizzato di possibili appestati. Si attrezzarono ospedali per il ricovero dei contagiati, venne dato alle stampe già nel 1835 un opuscolo per volere del Marchese della Cerda intitolato “Brevi e precisi precetti pratici e curativi sul cholera morbus asiatico.” A Siracusa il timoroso Intendente Vaccaro sollecitò la costruzione di portantine per il trasporto dei malati, fece dissotterrare “antichi sepolcri da riutilizzare” e ordinò di fabbricare vasche da bagno per le immersioni curative dei contagiati. L’epidemia di colera si propagò in Francia ed Inghilterra nel 1831, giunse in Spagna nel 1834 e nel 1835 si manifestò in Italia. In Sicilia i

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primi casi colerici si manifestarono a Palermo nel 1837. Nonostante la grande attenzione posta dal governo borbonico affinché il male non penetrasse in Sicilia, il comportamento scellerato di alcuni marinai a Palermo permise il contagio del morbo al popolo siciliano. Le navi che giungevano nelle rade per disposizione regia dovevano stazionare a largo della costa per quaranta giorni per la cosiddetta quarantena. Purtroppo i due marinai palermitani, guardie sanitarie del governo, vennero meno moralmente al loro impegno ed intrufolatisi illegalmente per rubare sul brigantino Archimede che stazionava a largo di Palermo furono contagiati dal male morendo in pochi giorni dopo averlo diffuso sulla terra ferma. Il cholera morbus si sarebbe poi rapidamente propagato nei borghi palermitani, e con una incredibile velocità in tutte le città siciliane. Nonostante gli accorgimenti messi in atto il colera alla metà di giugno del 1837 giunse anche a Siracusa. Inizialmente, nel tentativo di non terrorizzare la popolazione, le autorità nascosero le reali cause di morte di alcuni appestati dando la responsabilità a cause naturali. I primi a morire furono alcuni bambini e si disse che la causa era l’eccessivo caldo stagionale; una donna morì improvvisamente vicino la Fontana Aretusa e si dichiarò che si trattava di una apoplessia. Nel quartiere della chiesa di San Benedetto un uomo morì negli stessi giorni assalito da dolori intestinali, vomito e diarrea, chiari segni del colera, ma si disse che la causa era stata una indigestione per aver mangiato troppa frutta acerba. Seguirono altre morti con gli stessi sintomi nelle contrade e fu a questo punto che i medici non potendo più nascondere il male dovettero ammettere che la causa delle morti era ascrivibile al colera. Lo sfortunato Andrea Vaccaro, da poco nominato Intendente di Siracusa, quasi a presagire ciò che doveva accadere, giorno 22 giugno mandò alle stampe un bando in cui raccomandava di evitare “la rea abitudine di molti abitanti in luoghi

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Rivoluzione di Messina in occasione del colera del 1837


meridionali della nostra provincia a commettere con delle barche maltesi il contrabbando...” tuonando che “la possente mano della giustizia graverà inesorabilmente su di essi.” Ribadì l’Intendente nello stesso manifesto che la città si stava preparando al meglio per ricevere il pericoloso morbo richiamando le precedenti disposizioni date per l’organizzazione degli ospedali, per la pulizia e per gli eventuali rimedi. Infine invitò i benestanti a concorrere con generose offerte ad apprestare quei mezzi che si sono altrove con tanta filantropia e patrio amore somministrati. In teoria, per usare un termine odierno, la macchina della protezione civile era stata messa in moto, ma l’Intendente Vaccaro non aveva considerato alcune varianti che avrebbero fatto fallire ogni sua disposizione. Una mesta atmosfera avvolse in

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pochi giorni la città; al silenzio dello sbigottito ed impaurito popolo per la conferma della presenza del colera ben presto si unirono per le strette vie di Ortigia i lamenti ed i pianti che giungevano da ogni casa. Si cominciarono a contare decine di morti che venivano seppelliti in fosse comuni coperti da calce viva. Vero eroe di quei nefasti giorni fu il Sindaco, chiamato allora Patrizio, Emanuele Pancali che con l’audacia di un vero condottiero mise a rischio la propria incolumità pur di alleviare le sofferenze dei suoi cittadini. Il Pancali era un liberale convinto ma questo non fece venir meno i suoi obblighi nei confronti delle autorità regie, che rappresentò in maniera ineccepibile durante quei terribili giorni. Andava personalmente per le vie della città facendosi accompagnare da due medici per cercare nelle case i possibili appestati per far somministrare loro le cure del caso. Il popolo aveva molto rispet-

Ronde di popolani armati giravano per le vie di Ortigia foto di Luca Robinson

to per il Patrizio e fu grazie a questo sentimento che le conseguenze nei giorni successivi non furono ancora più pesanti. Col diffondersi del colera, presto i benestanti e le autorità cittadine abbandonarono le loro case ed i loro uffici per rifugiarsi nelle dimore di campagna nel tentativo di evitare il contagio. Seguirono questo esempio l’intendente Vaccaro ed il commissario di polizia Vico, delegando vigliaccamente al Patrizio Pancali le proprie responsabilità. La fuga verso la campagna delle autorità pubbliche diede valore alle voci popolari che il colera non aveva origine naturale ma che la propagazione era voluta dal governo borbonico attraverso i cosiddetti untori. Il popolo, convinto di queste ragioni, stava attento ad ogni movimento sospetto soprattutto coma già detto nei confronti di chi rappresentava l’autorità regia, compreso l’intero corpo di polizia.

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Ronde di popolani armati giravano per le vie di Ortigia nella speranza di individuare i possibili untori per mettere fine al devastante morbo che aveva portato il lutto in ogni famiglia. L’epidemia sarebbe cessata con l’arrivo delle piogge a fine agosto, dopo aver mietuto centinaia di vite e rientrava nei normali eventi naturali a cui è soggetto l’essere umano nel corso della sua esistenza. Così sarebbe stato se il Patrizio Emanuele Pancali non fosse stato costretto dal furore popolare a firmare un documento, contro la sua totale volontà, scritto da uno stimato avvocato siracusano in preda alla folle visione del veleno-colera nel cui testo venivano indicati nominalmente alcuni untori siracusani.*

Fine prima parte. *Vista l’importanza delle notizie storiche, anche inedite, riportate con meticolosità dall’autore, la seconda parte dell’articolo sarà pubblicata sul prossimo numero. L’editore desidera così evitare una riduzione del testo a discapito dell’integrità delle ricerche.

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S

in ide

icilia

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Facciata originaria

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Veduta Nord - a destra l’arco che conduce al sagrato

L’Essenza

di Sant’Andrea di Buccheri di Giuseppe Nuccio Iacono foto di Giulio Lettica

A

8 km da Buccheri, tra valli rocciose e antichi ulivi, il territorio conserva gelosamente un tesoro dell’architettura medievale: la chiesa di Sant’Andrea. Dopo aver seguito la segnaletica e posteggiato l’automobile, il visitatore prosegue per una stradina che lo introduce in un paesaggio agreste incantevole.

L’atmosfera ha la grazia del silenzio tipico dei luoghi di pace. Qui, è proprio la Natura ad accoglierci e a guidarci come una antica confidente che vuole svelare i suoi grandi misteri. Come sempre, ci prenderà per mano e ci soffierà sensazioni di storia, sensazioni d’arte e sensazioni di Sicilia. E la sorpresa è lì. Quella architettura che parla di medioevo si presenta come uno scrigno di pietra isolato e poggiato su un campo fiorito che d’estate il sole tramuta in distesa

d’erba dorata. In questo scenario di pace, le chiome degli ulivi sono come pennellate argentate che ingentiliscono tutto. Non si può negare il fascino emanato dalla semplicità della chiesetta di Sant’Andrea. È “orfana di conoscenza” per la scarsità di notizie storiche ma resiste da secoli per parlare di medioevo, per rievocare mondi passati ed epoche dimenticate o sconosciute. Certe domande restano senza risposta; e non è detto che sia un male.

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La sua storia leggendaria La chiesa con annesso convento fu edificata, intorno al 1225, dai frati cistercensi dietro sollecitazione (pare) dello stesso Federico II. Era una operazione sia religiosa che politica atta a controllare un territorio dove era ancora forte la presenza di comunità musulmane. Il forte legame tra Cistercensi e Templari, è uno dei motivi che porta alcuni studiosi (ma non tutti) a pensare alla presenza di quell’ordine di cavalieri in questo luogo. La loro permanenza più o meno stabile e prolungata si riferiva alla rete templare che ruotava attorno alla Commenda del territorio di Buccheri e a vari possedimenti in terra di Lentini: Catalicciar-

Portale laterale

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do, San Giovanni, S. Lio, S. Leonardo Soprano, S. Leonardo Sottano, Trigona e Bullito. Tutti feudi che dopo la “cacciata dei Templari” risultano essere incamerati dagli Ospedalieri, ossia dall’Ordine dei Cavalieri di Malta. L’ipotesi di una presenza templare troverebbe così alcuni interessanti indizi sui muri della chiesa dove alcuni graffiti riproducono simboli ben evidenti (croci, nodo di Salomone triplice cinta, ecc…). Altri graffiti, di carattere religioso e alcune date che risalgono ad epoche successive ci fanno capire come, nel tempo, le mani dei pellegrini, dei fedeli o dei semplici passanti hanno voluto lasciare traccia della loro esistenza. La chiesa costituiva parte di un complesso più ampio che prevedeva un piccolo convento e alcune strutture connes-

se all’economia agricola. Tutto (pare) dipendesse dall’antica abbazia di S. Maria di Roccadia in Lentini. Si trattava di un fulcro religioso ed economico legato anche al vicino e antico abitato di Rahalmeni (toponimo arabo); ed è con la scomparsa di questo borgo-casale che iniziò il lento declino e l’abbandono di Sant’ Andrea. Si fa risalire al 1576 la costruzione di un piccolo convento per ospitare la sempre più numerosa comunità di monaci. A questo si riferirebbe, secondo alcuni, Don Pietro Manrinche, abate di S. Maria di Roccadia quando chiese di erigere in abazia il convento di Buccheri, con l’assistenza dei monaci. Malauguratamente quell’intervento sfiorì dopo 20 anni, quando nel 1596 il convento risulta essere abbandonato. Le cospicue rendite della chiesa


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Il portale originario murato dopo l’inversione dell asse liturgico


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Abside


di Sant’ Andrea, erano intanto passate dalle mani dei monaci a quelle del clero secolare di Buccheri che doveva garantire sia l’esercizio delle sacre funzioni nei giorni festivi sia la manutenzione e riparazione delle fabbriche. Il Privilegio fu poi trasferito, nel 1778, dal vescovo Alagona al Capitolo della Cattedrale di Siracusa. Nel 1856, il parroco di Buccheri, don Francesco Petruzzello denuncia in una lettera, indirizzata al vescovo di Noto, lo stato di incuria in cui versava la chiesa: “di fronte alla doviziosa rendita stava la meschinità della chiesa di Sant’ Andrea che presentava muri screpolati, pavimenti consunti, tetto logoro e sfondato che lasciava entrare nel tempio l’acqua piovana”. I lavori di restauro furono avviati l’anno successivo e si conclusero il 4 novembre quando la chiesa risultò “tinta di bianco al par di neve in tutto gaia e bella”. La legge del 1866, che rimpinguò le casse dei Savoia a danno del patrimonio e dei beni ecclesiastici, coinvolse anche il complesso di Sant’Andrea. Sfrattato il sacro da quel luogo, le costruzioni furono destinate a scopi agricoli e poi abbandonate al degrado. Il recente restauro ha poi reso giustizia a questa preziosa testimonianza del periodo svevo.

Arco che conduce al sagrato

L’ipotesi di una presenza templare troverebbe così alcuni interessanti indizi sui muri della chiesa dove alcuni graffiti riproducono simboli ben evidenti

La forma del Simbolo L’orientazione si rifà alla simbologia cristiana che voleva l’abside e l’altare a est e il portale d’ingresso ad ovest. Così, in quest’asse liturgico lo sguardo dei fedeli era rivolto là dove sorge il “sole” (ossia dove “risorge” Cristo). E persino i sa-

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Portale laterale e monofora

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cerdoti officiavano la SS. Messa girando le spalle ai fedeli e consacrando l’Ostia alzando gli occhi ad est. L’ingresso principale (ora murato) in origine dominava, con semplicità di linee, il piccolo sagrato largo quanto la facciata (m.7,50) e con un profondità di appena m.3,50. In questa sorta di cortile chiuso da muri, si accedeva da nord oltrepassando un arco ogivale allineato con il fianco nord della chiesa. Il sagrato collegava dunque sia la chiesa che le altre strutture (convento, depositi per il raccolto, ecc…). Il sagrato, col tempo, divenne uno spazio sempre più “privato” per i monaci mentre l’ingresso principale alla “domus ecclesiae” per i fedeli si concentrò in quel bellissimo portale ad arco acuto costruito sul lato nord dell’edificio. La chiesa a pianta rettangolare (m. 14 X m. 8) e navata unica, subì alla fine del Seicento, una modifica che ne sconvolse totalmente lo spirito. Il suo asse liturgico che, da ovest a est, portava dal mondo del peccato al mondo della redenzione, fu ribaltato di 180°. Fu distrutta la simbologia del percorso e anche snaturata l’essenza compositiva dell’edificio. L’abside fu sventrato per aprire il nuovo ingresso e l’altare fu spostato nel lato opposto dove si murò il portale originario. Nell’architettura sacra del medioevo la forma materiale è in funzione della forma spirituale, intangibile. L’anima dell’edificio traspare nel simbolismo. Per certi versi, la chiesa di Sant’Andrea fu “sconsacrata” nel momento in cui fu svuotata del suo significato: la simbologia dello spazio. Forse quelle mura isolate nella campagna stanno ancora a lamentarsi per questa ferita.


Il nodo di Salomone Sulle pareti della chiesa sono presenti vari graffiti che hanno fatto ipotizzare un legame con i Templari. Tra la triplice cinta, alcune croci e segni derivati dal primo cristianesimo (come il pesce) troviamo il cosiddetto Nodo di Salomone. Si tratta di un elemento geometrico “permeato di significati esoterici” tipico e molto in uso nelle “decorazioni” degli edifici templari. Il Nodo di Salomone, formato da anelli schiacciati ad ogiva e concatenati tra loro a mò di croce, è un segno apotropaico che porta il nome del re di Israele, ricordato per aver fatto costruire il Tempio di Gerusalemme e per la sua proverbiale capacità di discernere il Bene dal Male. La forma chiusa del Nodo indica ciclicità e eternità e simboleggia il Patto tra Dio e l’Uomo. È un segno che vincola al Bene e protegge dal Male. Come affermato da Giuseppe Pitrè, nella Sicilia dell’Ottocento, il Nodo di Salomone fu considerato persino come “il segno che curava gli orecchioni”. Bastava disegnare il nodo con del carbone su due cocci di ceramica e, dopo averli riscaldati dovevano essere applicati dalla parte del disegno sul gonfiore. Come facessero a credere a metodi che non trovavano riscontro in medicina resta un altro “nodo” da sciogliere.

Graffiti Nodo di Salomone

Croce

Pesce

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1996 / 2012 DICIASSETTESIMA EDIZIONE

comune di Buccheri

Punto di incontro di culture e civiltĂ . Unione mistica di religioni, riti e leggende. Alchimia di lingue, colori, ritmi e suoni. Tutto questo fu il medioevo siciliano: ventre del Mediterraneo e ancora piĂš su, fino ai Longobardi e ai Normanni. Oggi potremmo definirle prove tecniche di globalizzazione, in un mondo (quello medioevale) che nel Mediterraneo aveva il suo centro, e nella Sicilia il suo ombellico.

Buccheri 17/18/19 Agosto 2012 Liliana Nigro Direzione artistica gaetano Pavano Sindaco di Buccheri

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Comune di Buccheri piazza Toselli, 1 T. +39 0931.880359 F. +39 0931.880559

www.medfest.it


la noBIle carInI tra arte, profumi e sapori

P

er la sua posizione geografica, per la sua storia plurimillenaria, Carini gode di tradizioni profonde e di un ricco patrimonio artistico - culturale che, unito alle bellez-

ze del suo paesaggio, ne fanno un rinomato e ricercato luogo di soggiorno, che l’Amministrazione comunale valorizza al massimo organizzando, annualmente, eventi di forte richiamo turistico. La particolare conformazione geografica del territorio, una pianura circondata a ferro di cavallo da

montagne, ricca di sorgenti e torrenti, ha reso da sempre l’area di Carini. un territorio di amena bellezza che ha attratto fin da sempre gente autoctone e forestieri fin dal 10.000 a.C., come testimoniano resti preistorici (graffiti, disegni rupestri, ceramiche), all’interno delle Riserve Naturali Integrali del-

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la Regione Siciliana, che da oltre 15 anni sono meta di migliaia di visitatori. Chi si appresta a percorrere la via che collega l’interland trapanese a quello palermitano non può che notare l’imponente mole che domina la Città di Carini, ossia il sontuoso maniero La Grua Talamanca, nucleo del terzo agglomerato urbano della città dopo quello sicano e quello greco-bizantino. Il Gran Conte Ruggero d’Altavilla assegnò, l’antica fortezza insieme al feudo di Carini, a Rodolfo Bonello nel 1072. Nel 1154 il geografo arabo Idrisi la descrive così: “Qarinis, paese piacevole, grazioso… sovrastato da una fortezza di recente costruzione…”. Dichiarati “felloni” i Bonello, sotto la dominazione sveva, Carini viene affidata a Palmerio Abbate. La borghesia dell’Università di Carini ebbe in quel periodo quattro rappresentanti, a testimonianza della crescente importanza che la cittadina andava acquisendo. Gli Abbate dureranno fino al 1393, quando saranno sconfitti insieme ad altri nobili siciliani nella guerra per la successione del titolo di Re di Sicilia. Il nuovo sovrano, il catalano Martino I, affiderà nel 1397 il feudo di Carini al suo fidato “miles panormitano” Ubertino La Grua. Questi ebbe un’unica figlia, Ilaria, che sposando il consigliere del Re Martino, Gilberto da Talamanca, darà vita al casato La Grua Talamanca che manterrà la signoria di Carini fino alla fine del feudalesimo nel 1812. E’ con il barone Vincenzo II La Grua Talamanca che Carini ha il massimo sviluppo urbanistico: vengono pianificati interi quartieri e contestualmente vengono costruiti i principali edifici. È sotto la sua baronia che il Castello assume l’aspetto che ancora oggi presenta. Anche il territorio trova l’assetto che manterrà fino alla fine del 1800, con la divisione del feudo in grandi fondi affidati ad importanti famiglie nobili palermitane che vi si insediano con la realizzazione dei caratteristici “bagli”.

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Alessandro Allori - Adotrazione dei pastori


Sotto l’impulso del barone i principali artisti siciliani realizzano importanti opere statuarie e pittoriche nelle nuove chiese e conventi di Carini; l’intera famiglia Gagini (Antonello, Giacomo, Giovanni, Fazio, Nibilio) realizza opere per i La Grua Talamanca e per le Confraternite religiose. La famiglia possedeva persino un esteso vigneto a Villagrazia di Carini, dove oggi sorge l’elegante Villa Tagliavia. Con l’abolizione del feudalesimo, Carini diventa focolare dei moti risorgimentali. Già nel 1848 i carinesi si distinguono nelle prime schermaglie contro i borboni, mentre nel 1860 diviene sede dei principali comitati rivoluzionari: il Convento dei Carmelitani . Oggi meravigliosa sede del Museo Civico e della

Biblioteca Comunale che ospita nel loro interno preziose testimonianze storico-culturali. Con la seconda metà del novecento le attività agricole si adeguano ai nuovi processi di produzione. Prende avvio la coltivazione di limoni e la loro commercializzazione: attività che oggi si tende a rivalutare e promuovere, nella fattispecie del “femminello” varietà tipica locale insieme alla preziosa “zagara bianca”. Il profumo della zagara ancora inebria l’area circostante l’agglomerato urbano. La campagna si stende in tutta la sua bellezza naturale e paesaggistica fino a lambire il suo bellissimo mare. Nel centro storico della Città, specie nella stagione estiva, è possibile soffermarsi con i sapienti anziani che popolano la piazza

o magari gustare prelibate granite a base di limoni, presso i tanti bar che sono il fiore all’occhiello della produzione dolciaria locale. Produzione che spesso si lega alle tradizioni festive che nel corso dell’anno si susseguono, con spettacolari riti religiosi. Altri prodotti tipici locali, sono la base di diverse mostre/mercato che si contestualizzano nel territorio carinese. Tutte le meraviglie che Carini offre al visitatore fanno di questa cittadina una tappa fondamentale e da non mancare. A rendere poi particolarmente gradevole il soggiorno contribuisce la possibilità di soggiornare nelle diverse strutture ricettive, alberghiere ed extra alberghiere.

...il geografo arabo Idrisi la descrive così: “Qarinis, paese piacevole, grazioso… sovrastato da una fortezza di recente costruzione…”.

Chiostro del Carmine

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Carini

è facilmente raggiungibile con vari mezzi. Favorita dalla posizione geografica, si trova a meno di 10 Km dall’aeroporto internazionale “Falcone-Borsellino” e a circa 20 K da Palermo e dal suo Porto. Collegamento facilitato anche dalla rete ferroviaria (Palermo-Trapani) e dalle corse metropolitane Palermo-Aeroporto “Falcone Borsellino”, che effettuano fermate a Carini e a Piraineto. Raggiungibile tramite l’autostrada A29 Palermo-Mazara del Vallo, uscite Carini e Villagrazia di Carini. Il Centro Storico è servito dalle linee autobus AST con collegamenti con Palermo e i paesi viciniori del versante ovest. Presentazione di Maria al tempio - Affresco - Chiesa Agonizzanti

Oratorio serpottiano del Ss. Sacramento

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foto Andrea Annaloro

LA FESTA PATRONALE DI SAN GIACOMO APOSTOLO

24, 25, 31 luglio e 1° agosto

“L

a Festa di San Giacomo” costituisce il momento in cui tutta la città rende omaggio al Santo Patrono. San Giacomo apostolo venne pro-

clamato “Protettore della Città di Caltagirone” dal Conte Ruggero il Normanno nell’anno 1090 a seguito della vittoria sui Saraceni che avvenne il 25 luglio di quell’anno, nel giorno della festa religiosa. Egli fece erigere la Basilica dedicata al Santo fuori dalle mura verso ovest, dove tutt’oggi è ubicata. Il disastroso

terremoto del 1693 distrusse quasi per intero la Chiesa che venne prontamente restaurata. Si narra che in quella occasione il popolo si fosse portato nella basilica che subì forti danni, ma che conserva ancora oggi completamente integra la cappella che custodiva la “Cassa Argentea ed il Fercolo del Santo”.

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Ecco perché la tradizione vuole che San Giacomo oltre ad aver salvato la Città dalle varie dominazioni, la preservi ancora oggi dai “terremoti”. Ed ancora oggi, la benché minima scossa di terremoto a Caltagirone suscita nel popolo l’invocazione a “San Giacomo – Protettore”. Nel XV sec. per opera di un illustre concittadino – Giovanni Burgio- Vescovo di Manfredonia-, col beneplacito di Papa Callisto, venne portata la “reliquia” del Santo consistente in un pezzetto dell’osso del braccio. A seguito di tale avvenimento fu realizzata la “Cassa Argentea”, un “vero” capolavoro degli artisti argentieri come Nibilio e Antonuzzo Gagini, il figlio Giandomenico ed altri che si succedettero nel corso di tanti decenni necessari al compimento dell’opera. Il grandioso Fercolo di San Giacomo venne realizzato in legno dorato e argento, alla fine del ‘500 dallo scultore napoletano Scipione Di Guido. E’ composto da sei angeli –tre per lato- con al centro la Statua del Santo, realizzata dallo scultore Vincenzo Archifel nel 1518. Il modello originario del fercolo è oggi conservato al Museo Civico presso il Carcere borbonico. Il nuovo fercolo che riproduce fedelmente il modello originario è stato realizzato in bronzo ed oro, tranne la statua del Santo che è rimasta la stessa. La festa religiosa, come detto ricorre

il 25 luglio di ogni anno, ma la Città di Caltagirone la vive con diversi appuntamenti. I festeggiamenti infatti iniziano il 23 Luglio con spettacolari fuochi piromusicali presso la Villa Comunale a conclusione di un concerto bandistico; proseguono il 24 e 25 luglio con la maestosa e famosissima Scala S.Maria del Monte che per l’occasione viene “illuminata” con i tradizionali coppi ad olio e riporta un disegno unico per tutta la distesa, ispirato alla Città o al Santo Patrono. Tale avvenimento è di grande suggestione per quanti giungono ad ammirare un capolavoro di arte e luci. La sera del 25 luglio mentre la Scala è “illuminata” giunge in Piazza Municipio la processione accompagnata dal Corteo Storico del Senato Civico e dalle Autorità civili e religiose. In quel momento la Città offre il massimo tributo dei Festeggiamenti in onore al Santo Patrono San Giacomo. Tutti i cittadini e visitatori sono assiepati in ogni angolo della Piazza del Municipio mentre il Vescovo si affaccia dalla Loggia centrale del Palazzo Municipale per la solenne benedizione con la Reliquia del Santo. Il Corteo Storico del Senato Civico è costituito da figuranti in costume secentesco; esso si suddivide lungo tutta la processione tra la “Cassa Argentea” con la Reliquia e il Fercolo di San Giacomo, al seguito delle Autorità civili e religiose e in ultimo la banda che suona a festa.

In tutto il percorso attraverso le vie cittadine una moltitudine di gente tra cui tantissimi turisti giunti per l’occasione, partecipa e ammira con molto interesse la ricchezza ed il fascino di tutta la processione. Il 25 luglio la processione percorre alcune vie del centro storico, sostando in Piazza Municipio come ampiamente detto. Il 31 luglio – Ottava della Festa- il Corteo, sempre al completo, accompagna nuovamente la Reliquia e il Fercolo del Santo, in solenne processione nella zona nuova della Città, per sostare nella Chiesa di Santa Maria di Gesù sino alla sera successiva. Infatti il 1° Agosto la processione riprende per accompaganre il Santo nella propria Chiesa, a conclusione dei festeggiamenti. Oggi, nella Basilica è possibile ammirare il grandioso Fercolo di San Giacomo posto al centro del presbiterio, dietro l’altare maggiore, mentre la Cassa Argentea (unitamente al padiglione ed alla campana –simboli della parrocchia) viene custodita nella cappella di San Giacomo, posta sul lato sinistro del presbiterio. La Festa è poi arricchita da una serie di manifestazioni cittadine collaterali, come mostre, concerti e spettacoli vari che si svolgono dentro il Giardino Pubblico o in diversi luoghi della città.

BASILICA DEL SANTO PATRONO SAN GIACOMO Il 25 luglio dell’anno 1090, il conte Ruggero il Normanno, sconfitti i Saraceni in una favorevole battaglia, entrò a Caltagirone da trionfatore ed a ricordo della vittoria volle erigere un tempio a San Giacomo Apostolo al quale affidò la protezione della Città. Questo si legge in un’epigrafe latina posta lateralmente all’ingresso della Basilica. Più volte ricostruita a causa di forti terremoti ed anche dai bombardamenti dell’ultima guerra, la Basilica di San Giacomo presenta una elegante facciata barocca con porta in bronzo in arte contemporanea. Alla fine dell’ottocento è stata arricchita da un campanile ornato da quattro statue che raffigurano i quattro evangelisti. Importanti le opere d’arte e le reliquie che si conservano in questo luogo sacro. La devozione calatina al Santo Patrono si esprime, da secoli, in modo sontuoso e solenne nei giorni del 24, 25, 31 luglio e 1° agosto, soprattutto con la tradizionale “Scala Illuminata”.

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Al sole nella Scala dei Turchi con mare turchese - foto Italo

I mille mari di Sicilia

tra spiagge, scogliere, aree marine protette di Giuseppe Nuccio Iacono

T

re mari, il Tirreno, lo Ionio e il Mediterraneo, circondano per 1040 km un’isola dove le coste si snodano in mille paradisi (con le isole minori diventano 1500 Km).

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Acque cristalline e limpide, mare incantevole incorniciato da spiagge per lo più libere e incontaminate. Scogliere, falesie e sabbia finissima. Le coste di diversa natura hanno i colori della perfezione: dal bianco caraibico, passando dai riflessi dorati dell’ocra si arriva all’incanto del

nero vulcanico. Sabbia, ghiaia, sassi, scogliere, isolotti, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Non mancano le aree protette da riserve naturali e dopo un bel bagno, dopo il relax pomeridiano, a poca distanza è possibile visitare borghi marinari, città d’arte, siti archeologici unici. E la notte?


Per chi lo cerca, il mare regala sempre meraviglie. Per far un solo esempio… Esperienza indescrivibile, unica e irripetibile è garantita a coloro che si recheranno alla “Scala dei Turchi” quando la luna piena “accende” la bianchissima scogliera che d’incanto si riflette in un mare d’argento. Partendo dall’estremità occidentale, alla scoperta di luoghi eccellenti della costa siciliana la prima tappa è San Vito Lo Capo, graziosa località marinara tra più rinomate e frequentate del trapanese. Praticamente 3 km di candida sabbia finissima, bagnata da un mare brillante e trasparente da far invidia ai più rinomati paradisi tropicali. Non lontano, la caletta di Scopello è un luogo di grande scenografia naturale. Una caletta e un mare intensamente blu caratterizzato da maestosi faraglioni e da fondali rocciosi ricchi di flora e fauna marina. A completare il quadro, una bella tonnara, oramai in disuso. Uno degli ambienti più integri del Mediterraneo è costituito dalla Riserva Naturale Orientata dello Zingaro. 7 km di costa rocciosa ritmata da tante calette e da falesie a strapiombo su un mare turchese dai fondali ricchi di coralli. A piedi, seguendo i viottoli che conducono al mare, da non perdere: Cala Marinella, Cala Beretta e Punta della Caprera. Nel palermitano, sono regine del mare Capo Gallo e Mondello, la spiaggia per eccellenza. A Cefalù, la storia arabo-normanna è accarezzata da un litorale di sabbia fine dorata e da superbi scogli. Tra i Nebrodi e le Madonie, dall’alto di uno sperone (730 m) si trova Pollina, ultimo avamposto della provincia palermitana dove l’incanto del mare e della costa sono poesie. Ed è certamente poetica Capo d’Orlando, in provincia di Messina, di fronte alle isole Eolie,

San Vito Lo Capo foto di B. Kevin

Scopello foto di Stefa

Una caletta dello Zingaro. foto Grimmo

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che ispirò il giovane cantautore genovese che qui scrisse una canzone intitolata “Sapore di sale”. Un inno all’amore che si lega ancora oggi al mare incontaminato di questa località ricca di insenature. Proseguendo verso levante, incastonate lungo la costa, troviamo le perle di Gioiosa Marea e Capo Calavà. La costa ionica è la più variegata: strette spiagge di ghiaia, insenature e baie, scogliere laviche, ampie spiagge di sabbia e piccoli fiordi fino a Capo Passero. Una zona riviaresca tra le più rinomate al mondo si concentra attorno a Taormina: Taormina

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mare, Mazzarò, Capo Sant’Andrea, Capo Taormina. E che dire della meravigliosa Isola Bella? E della suggestiva spiaggia di Giardini Naxos? Nella provincia di Catania, nei secoli, le frequenti eruzioni dell’Etna hanno modellato il profilo della costa. Qui l’arte del fuoco si incontra con la bellezza del mare. Nei pressi di Acireale troviamo la scogliera denominata La Timpa che si innalza fino a superare i 100 metri. Un vero spettacolo davvero unico creato da un susseguirsi di colate laviche. A pochi km, troviamo Acitrezza, il borgo marinaro che ci ricorda i Malavoglia del Verga e dove i mitici fara-

glioni danno vita alla Riviera dei Ciclopi, oggi Riserva naturale Orientata e Area Marina Protetta. L’orgoglio del Siracusano è a 25 chilometri dalla città. Qui infatti sorge Fontane Bianche, così chiamata per le fonti naturali di acqua dolce e per il particolare colore bianco della spiaggia che si estende per 3 km. A poca distanza, dove si vedono le scogliere, i sub troveranno il loro paradiso marino. Paradiso che diventa maestosamente suggestivo nella Area marina protetta del Plemmirio, dove tra l’altro è possibile osservare coralli e la Pinna nobilis (la conchiglia più grande del Mediterraneo).


Golfo di Mondello. foto Davide X

Acque cristalline nel Palermitano foto Pietro Columba


Egadi -favignana foto Emmaquadro

Cala Rossa a Favignanafoto Cannizzo

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Nelle vicinanze di Noto, in un territorio ricco di storia e bellezze naturali, il litorale è costituito da stupendi arenili. A sud, si trova il piccolo golfo di Cala Mosche (“Funni Musca”), che sembra custodire gelosamente tra due promontori un mare di indescrivibile bellezza. Proseguendo, ecco uno dei più selvaggi e incontaminati luoghi di Sicilia: l’Oasi di Vendicari. Negli stagni della riserva Naturale e faunistica, sostano aironi, fenicotteri, cicogne, folaghe e germani e lungo la costa si ammirano la Torre sveva, una ex salina e una antica tonnara. Tutto sembra sospeso tra mare e cielo. I surfisti saranno gratificati nella punta sud della Sicilia dove trionfano mare, vento e correnti. A largo di Porto Palo (il paese più a sud d’Italia) emerge l’isola di Capo Passero e non lontano dove lo Jonio incontra il Mediterraneo si staglia l’isola delle Correnti. Il litorale meridionale si distingue, invece, per una costa pre-


valentemente bassa e sabbiosa. L’aspetto selvaggio e naturale è sottolineato da dune e da ampie spiagge, talvolta interrotte da costoni rocciosi color ocra o da suggestive scogliere bianche. Per il piacere di chi sceglie le mille “sfumature siciliane del Mar africano” si entra in territorio ragusano. Dopo le suggestive falesie di Punta Ciriga e le distese sabbiose di Santa Maria del Focallo e di Sampieri, in un susseguirsi di dune, speroni rocciosi, calette e spiagge dorate si arriva alla riserva naturale dell’Irminio. Subito dopo si è accolti dagli arenili incantevoli di Marina di Ragusa, una delle località balneari più animate e “à la page” dell’Isola, dove da anni sventola la bandiera blu. Nel golfo di Gela, per 30 km il mare turchese accarezza le spiagge ricordate da Quasimodo per quella sabbia “colore della paglia”. Qui, da fanciullo, si stendeva “in riva al mare antico di Grecia con molti sogni nei pugni stretti nel petto”. È nel territorio di Butera, dove il Ca-

Lo Zingaro. foto Pietro Columba

Cefalù foto A Rosino

Pollara -Isola salina foto di T. Urnes

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Particolare Isola Bella foto Bricke

i faraglioni di Acitrezza foto. Giovanni Greco


stello di Falconara domina la costa, che il paesaggio diventa ancora più suggestivo. Nell’agrigentino, vicino Realmonte, tra spiagge incantevoli si trova la Scala dei Turchi, una delle scogliere più “surreali” del mondo (è in corso il suo riconoscimento tra i beni dell’Unesco). Il suo colore bianco si fonde all’azzurro del cielo e al blu trasparente del mare. E non c’è da stupirsi se in questo luogo da sogno, qualcuno afferma di aver visto una roccia di panna montata che ha l’aspetto di una bianca prua di nave fatta di nuvole candide che si riflettono nel mare trasparente. Frasi del genere potranno essere riservate anche per l’inebriante atmosfera della riserva marina di Torre Salsa, 6 km falesie e spiagge tutte da sognare. I sogni non sono solo desideri…. Sono anche realtà! E la realtà ridiventa sogno nelle numerose isolette degli arcipelaghi siciliani.

Lipari. foto Peter Fuchs

Riserva di Vendicari

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Dall’alto in basso nella foto: bandiera della Marina Italiana, bandiera blu (mare pulito), bandiera rossa (mare mosso, divieto di balneazione), bandiera gialla (vento).

foto di Rossella de Amici

La Bandiera Blu sventola sulla qualità del mare di Antonio Siviero

L’

edizione 2012 delle Bandiere Blu premia 246 spiagge italiane. Rispetto all’anno precedente 13 nuove entrate.

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Delle cinque località siciliane che hanno ricevuto quest’anno questo importante riconoscimento, la costa ragusana è quella che ha il primato per il numero di bandiere. Infatti, a Lipari/Vulcano (Messima) e a Menfi (Agrigento) si uniscono le località balneari di tre comuni iblei: Marina di Ra-

gusa, Santa Maria del Focallo/ Ciriga (Ispica) e Pozzallo. Le bandiere blu sventolano sui litorali che hanno superato una difficile selezione e che sono stati oggetto di periodiche visite di controllo sulla qualità delle acque, delle spiagge e dei servizi offerti. Il riconoscimento assegnato dalla


FEE, “Foundation for Environmental Education” (Fondazione per l’educazione ambientale) in pratica non punta sulla bellezza delle spiagge ma sulla qualità ambientale complessiva della zona e sulla sua vivibilità. Per questo, l’obiettivo principale del Programma Bandiera Blu, consiste nel promuovere nei Comuni rivieraschi un processo di sostenibilità del territorio attraverso indicazioni che mettono alla base delle scelte politiche, l’attenzione e la cura per l’ambiente.

I Criteri per l’assegnazione La qualità delle acque di balneazione è un criterio imperativo: solo le località, le cui acque sono risultate eccellenti nella stagione precedente, possono presentare la candidatura. Per quanto riguarda la depurazione, solo le località con impianto di depurazione almeno con trattamento secondario possono procedere nel percorso di valutazione. Per quanto riguarda la raccolta differenziata, recentemente è stato richiesto un

incremento nella percentuale di raccolta differenziata minima per l’accesso alle valutazioni. La massima vivibilità del territorio si manifesta inoltre attraverso una serie di interventi che riguardano il contenimento del traffico veicolare, anche attraverso l’istituzione di aree pedonali, piste ciclabili, parcheggi, e bus–navetta; la cura dell’arredo ed il decoro urbano; la sicurezza ed i servizi in spiaggia (tra cui la possibilità di accesso al mare senza limitazioni per tutti).

La Bandiera Blu è un riconoscimento internazionale, istituito nel 1987 Anno europeo dell’Ambiente, che viene assegnato ogni anno in 41 paesi, inizialmente solo europei, più recentemente anche extra-europei, con il supporto e la partecipazione delle due agenzie dell’ONU: UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) e UNWTO (Organizzazione Mondiale del Turismo) con cui la FEE ha sottoscritto un Protocollo di partnership globale. Menfi Porto Palo

Costa ragusana foto di Antonio Tumino


20.000 anni fa

un gruppo di uomini abitò il sito di “Fontana Nuova” Testo di Giulio Tribastone foto di Giancarlo Tribuni Silvestri

A

pochi chilometri da Marina di Ragusa, si trova il “riparo sotto roccia”, uno dei più antichi siti preistorici siciliani che precede come datazione persino le celebri grotte francesi di Lascaux. Considerato, fino a non molti anni fa, come la stazione paleolitica più antica della Sicilia, il riparo sotto roccia di Fontana Nova è una cavità naturale, ampliata artificialmente che garantiva ai gruppi di cacciatori nomadi di trovarvi rifugio. Per raggiungere questa località, bisogna lasciare l’auto in una piazzo-

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la di sosta appositamente realizzata e proseguire per un sentiero. Sorvoliamo sull’assenza di segnaletica e dei pannelli informativi (divorati dai vandali e non sostituiti dagli Enti preposti). Pazientiamo per la vegetazione che cresce lungo il percorso per mancanza di manutenzione. Succede in Italia dove al taglio dell’erbaccia si preferisce il taglio alla Cultura e al Turismo. In ogni caso i tesori vanno scoperti e visitati.. per cui con attrezzatura da trekking si segue un viottolo per circa 300 metri. Prima impressione: il panorama stupefacente e gli odori di essenze spontanee. Tutto immerso nel silenzio. Alla fine si raggiunge il riparo. Un sito semplice come la preistoria, inserito in uno spettacolare anfiteatro naturale.

In attesa che venga ripristinato il pannello informativo in situ ne riportiamo il testo: “A Fontana Nuova il riparo sotto roccia fu abitato nel Paleolitico Superiore nell’Aurignaziano medio, e solo in parte scavato da Luigi Bernabò Brea, nel febbraio del 1945. Tra la gran quantità di reperti recuperati (212 pezzi, di cui 136 strumenti finiti e 35 residui di lavorazione) mancano le lame a dorso abbatuto, i microliti e le punte d’osso, strumenti che invece sono comunissimi nelle altre stazioni Paleolitiche siciliane. Vi compaiono, di contro, molti altri utensili alquanto comuni come vari tipi di grattatoi , i bulini, le troncature, le lame (a ritocco e strozzate), i raschia-


toi, le lame a dorso. Nel deposito archeologico è stato pure ritrovato un cilindrettto in calcare con una serie di tacche relative forse al numero di animali uccisi. Il primo tentativo di collocazione cronologica dei reperti litici di Fontana Nuova fu fatto da Laplace nel 1964. Più recentemente Patrizia Gioia (1987) ha tentato un confronto con altri siti italiani e francesi, pervenendo a una sistemazione cronologica dell’intero complesso di Fontana Nuova che si daterebbe così all’Aurignaziano I francese.

Consiglio:

Questa visita va associata con un ulteriore itinerario nella zona; una escursione nella vcina Riserva Naturale della Foce dell’Irminio, una sosta relax nel vicino mare (bandiera blu) e, perché no, una tappa al fantastico Museo Archeologico di Ragusa che illustra nella sua prima sala, il complesso paleolitico di Fontana Nuova.

Ma sia Palma di Cesnola (1994) che Martini (1997), molto più prudentemente, hanno assegnato il deposito archeologico di Fontana Nuova ad una facies periferica e attardata dell’Aurignaziano o, piuttosto, ad una facies regionale.

I reperti archeologici, rinvenuti nel 1994, furono successivamente donati dal Barone Vincenzo Grimaldi di Calamenzana al Museo Archeologico Paolo Orsi di Siracusa dove sono tuttora esposti”.


artIgIanato

l

di Gianni Iacono

immenso patrimonio artigianale che la Sicilia possiede, è il segno di un’arte popolare che ha saputo prendere, interpretare e tramandare nei secoli, prodotti e tecniche di lavorazione dalle varie culture e civiltà che hanno influenzato la regione. L’anima dell’artigianato siciliano è quindi una eredità millenaria che porta l’impronta di fenici, greci, arabi, normanni e di tante altre dominazioni. È senz’altro il simbolo di ciò che di bello può nascere dall’incontro tra culture di vari popoli. Osservando i vari prodotti dell’artigianato possiamo comprendere il vero valore dell’oggetto lavorato a mano. Un valore che in certi casi

sarebbe impagabile per la fattura, l’estro e la personalizzazione. Con questi nuovi occhi si potrà osservare la storia nascosta o sfacciatamente espressa nelle famosissime ceramiche di Caltagirone, Stefano di Camastra (Messina), Sciacca e Burgio (Agrigento). Stupirà a Catania e palermo la tradizione dei Pupi, mentre quella dei presepi ricorda ancora una diffusa abilità manuale, consolidata dal ‘700. Anche la natura ha offerto spunto al genio creativo. La pietra lavica è stata plasmata dalla fantasia di chi l’ha mutata in oggetti raffinati, anche d’arredo. Gli oggetti di oreficeria, trovano espressione in vari materiali e in mille lavorazioni. Il corallo, di cui sono ricche le coste da il suo contributo anche all’oreficeria di Piana degli Albanesi, dove si producono battipetto con cuori di corallo, orec-

chini in oro dalla caratteristica forma a barchetta, o le splendide cinture in argento. Il mondo del ricamo con lo sfilato siciliano, uno dei passatempi più popolare, resiste all’estinzione in varie località. Meno note ma altrettanto preziose le trappite del trapanese (tappeti intessuti con strisce di stoffa colorata). Ovunque, invece, gli oggetti ottenuti con le foglie di palma intrecciate, come ceste, panari, borse, gerle e quant’altro. In area siracusana si può ancora acquistare la carta ottenuta dall’antica lavorazione del papiro. Nelle città, nei paesini, nei borghi siciliani la scoperta di tantissimi altri prodotti dell’artigianato è assicurata. Basta essere attenti e rifiutare le cineserie che uccidono il valore della tradizione e invadono non solo l’isola.

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Il fascino di Taormina d’estate in un’atmosfera da sogno di Alice Fulgenzi

L’

estate è entrata nel vivo. I turisti girano con aria trasognata per le vie del centro storico o occupano sdraio e lettini sulle spiagge più rinomate di Isola Bella e Mazzarò. C’è voglia di vacanza, di spensieratezza e quest’energia effervescente si trasmette dai visitatori,

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agli operatori commerciali ed alberghieri. In fondo, chi fa dell’accoglienza non solo un lavoro ma una passione, esce contagiato dal buonumore e dal senso di serenità che portato da chi giunge a Taormina per soggiornare. La sera in particolare, con il favore di tramonti acquerellati, e suggestioni ottiche date dalle luci che diffondono morbidi effetti sui monumenti e sulle “pietre parlanti” del borgo medievale, ci si

lascia trascinare in un sogno ad occhi aperti, fatto a passi lenti ma leggeri col desiderio di scoprire cosa potrebbe riservarci la serata ma con l’unica condizione dello “star fuori”. Del viver sino all’ultimo secondo, la sera che scivola in notte, in compagnia e senza altro pensiero che quello di restar lontani dalla routine e dal tempo che insegue. Il Festival del Cinema ha inaugurato la stagione degli eventi estivi,


foto di Giacomo Carena

e il pacchetto di offerte culturali e di spettacoli, proposto da Taormina Arte e dall’Assessorato al Turismo e Spettacolo comprende il periodo sino a fine Settembre. Le locations sono come oramai da lunga tradizione: il Teatro Antico, la Villa Comunale per gli spettacoli e le rassegne ma anche gli spazi dei siti storici come il Palazzo dei Duchi di S. Stefano e l’ex Chiesa del Carmine per l’esposizione di opere d’arte visi-

ve. Qui di seguito, una carrellata degli eventi previsti in cartellone. E per tutte le informazioni sugli spettacoli in programma, si può visitare il sito www.taormina-arte.com • Dal 17 al 22 luglio 2012, nel suggestivo scenario della Villa Comunale, la terza Edizione del Taormina Jazz Festival. La città si trasformerà nella capitale del jazz siciliano, proponendo al pubbli-

co una performance dal sapore internazionale che vanta la presenza di prestigiose band d’oltre oceano intercalate dai protagonisti made in italy, che hanno fatto conoscere ed apprezzare nel mondo il loro modo di interpretare questo genere musicale. Un evento che vede il Patron Nino Scandurra, proseguire con successo, assieme al Direttore Artistico Toti Cannistraro, un’iniziativa tesa a promuovere il jazz

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foto di Mutelot

foto BF

come forma d’arte con il duplice obiettivo di esaltarne gli aspetti più innovativi, mantenendo intatti e celebrandone i variegati standard tradizionali. Il programma completo dei sei concerti ad ingresso libero, è disponibile sul sito: www.taorminajazzfestival.it • Il 29 luglio, al Teatro Antico, in collaborazione con Palermo Classica, il concerto di Valentina Lisitsa. Primo appuntamento di un festival del pianismo internazionale che, con il supporto della sicilianissima Mediterra-

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foto di Liam

nea Chamber Orchestra, sotto la guida di direttori come John Neschling, proseguirà il 4 e il 31 agosto. Nella prima data, il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 di Tchaikovsky, solista Valentina Lisitsa, direttore d’orchestra John Neschling. • L’1 e il 2 agosto, al Teatro Antico, il Gran Galà dell’Operetta con un’edizione ridotta de “Il pipistrello” di Johan Strauss jr e “Sangue viennese”, un mèlange dei migliori brani estratti dall’intensa produzione del grande compositore

austriaco nell’interpretazione della Wiener Operettensommer. Ed ancora il 4 agosto, un nuovo appuntamento di prestigio con Ivo Pogorelich, che eseguirà il Concerto n. 2 in Do minore op. 18 di Rachmaninov. Questo virtuoso croato della tastiera, da oltre trent’anni, applica il suo motto-timone “utilizzare sempre la perfezione tecnica come qualcosa di estremamente naturale”. • Dal 6 al 10 agosto, al Teatro Antico, la seconda edizione del Festival Internazionale delle Orchestre


a Plettro, memore del successo dello scorso anno, vedrà coinvolte alcune delle più note ed antiche formazioni mandolinistiche italiane ed europee. • Il 22 agosto, sempre al Teatro Antico, torna la danza classica con il Russian Classical National Ballet in “Don Chisciotte”, balletto tratto dall’omonimo romanzo di Cervantes, coreografie di Marius Petipa e musica di Léon Minkusil. • Il 31 agosto, al Teatro Antico, concluderanno le tre pagine beethoveniane scelte da Marc Yu, il ragazzo prodigio di Macao che già da alcuni anni stupisce le pla-

tee di tutto il mondo. L’artista eseguirà il Concerto n. 2 in Si bemolle op. 19, l’Ouverture “Die Ruinen von Athen” op. 113 e la Sinfonia n. 5 in Do minore op. 67 del grande genio di Bonn. • Il 5 settembre, al Teatro Antico grande appuntamento con Salvatore Accardo e l’Orchestra da Camera Italiana, musiche di Paganini, Rossini e Britten. • Infine, dal 22 al 28 settembre, nella splendida location della Villa Comunale, attesissima, la seconda edizione del Taormina Book festival, nato da un’idea di Antonella Ferrara, che ne è anche il Presi-

dente. Taobuk, è l’unico Festival Internazionale del libro in Sicilia, e quest’anno coniugherà l’incontro con gli scrittori del bacino mediterraneo con l’esperienza multi sensoriale data dagli odori, dai sapori e dai suoni del paese di provenienza di ciascuno di loro, per gettare il lettore dentro il vissuto quotidiano dell’autore. Inoltre, la rassegna avrà delle sezioni dedicate alla letteratura in sinergia con l’arte, la fotografia,il teatro e la musica. Per info, www. taobuk.it

Arti visive

A partire dal 9 giugno e fino il 29 luglio, l’Assessorato alla Cultura del Comune di Taormina, con il patrocinio dell’Assessorato dei beni culturalli e dell’identità della Regione Sicilia, della Provincia di Messina, in collaborazione con Taormina Arte e la partnership del MACA – Museo d’Arte Contemporanea di Acri (Cs) – organizza presso lo spazio espositivo dell’ex Chiesa del Carmine un’importante mostra dal titolo Glass Mixture che raccoglie una selezione significativa della produzione più recente dell’artista e maestro del vetro Silvio Vigliaturo. La mostra propone le riflessioni sviluppate da Vigliaturo su alcuni aspetti della realtà contemporanea, attraverso un unico filo conduttore, quello della Mescolanza. Le maestose e variopinte sculture in vetro e i sinuosi dipinti, fungono da vettori di messaggi appassionati che l’arista indirizza allo spettatore per ridestarlo alla vita. L’abilità propria di Vigliaturo nell’esprimersi efficacemente attraverso l’uso di più media artistici è già in sé sintomo di una riuscita mescolanza di tecniche. Un evento di grande prestigio dedicato ad Antonio Nunziante arrichisce la sezione Arti Visive del cartellone di Taormina Arte 2012. In programma, due mostre a cura di Giuseppe Morgana e Rossella Farinotti, allestite nello spazio espositivo dell’Ex Chiesa del Carmine (Panorami di luce, 4 agosto - 30 settembre) e del Palazzo Duchi di Santo Stefano, sede della Fondazione Mazzullo (Viaggio a Taormina, 4-30 agosto). In questo splendido palazzo del XIV secolo saranno esposte opere create dal Maestro Nunziante appositamente per Taormina: un ciclo ispirato dal recente soggiorno in Sicilia e culminato nell’opera divenuta immagine-simbolo dell’avvenimento “la Centauressa”.

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canIcattInI BagnI caPItale del Jazz medIterraneo

Musica, storia, paesaggi e tradizioni iblee

P

di Gaetano Guzzardo

Cambia la formula ma non il progetto e soprattutto i tempi, così come il luogo, che resta sempre quello straordinario palcoscenico naturale di Piazza XX Settembre, nel cuore del centro storico di Canicattini Bagni, città della musica e porta orientale degli Iblei, in provincia di Siracusa. Quest’anno, infatti, il Festival Internazionale del Jazz “Sergio Amato”, giunto alla sua 17 edizione, si arricchisce e per la prima volta nella sua storia, ha un’anteprima di grande spessore dal 6 al 13 agosto, “JAZZ HAPPENING”, per poi richiamare gli appassionati, sempre in Piazza XX Settembre, a metà settembre, con tanti altri grandi artisti per rendere omaggio all’indimenticato batterista dell’Amato Jazz Trio, “Sergio Amato”. Un progetto, quindi, che mantiene inalterato il suo obiettivo culturale, quello costruito negli anni con l’Amato Jazz Trio e continuato assieme al Comune di Canicattini Bagni e, in questi ultimi anni, con l’in-

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traprendenza del suo sindaco, Paolo Amenta, che da ragazzo studiava il flicorno contralto ed ha basato il suo progetto amministrativo proprio sulla valorizzazione della cultura e delle risorse del territorio, ad iniziare dalla musica, per far crescere una manifestazione che oggi vanta l’inserimento in circuiti internazionali e tra i “Grandi Eventi” della Regione Sicilia, e prestigiose collaborazioni con altri festival come Malta Jazz, Piazza Jazz, Notti di Luce Bergamo, Cdpm, Civica Jazz di Milano, Hot Jazz Club Lisbona. Un progetto che ha aperto le porte ad altri momenti, oltre al tradizionale ed ultratrentennale Raduno Bandistico (31 agosto e 1-2 settembre), come Creativamente, il 3 agosto, già alla 4° edizione, organizzato dai ragazzi di Pensiero Canicattinese, dove si ascolta musica ska, e poi l’altro appuntamento internazionale legato alla stessa organizzazione del Festival Jazz, “Il Festival Etnico – Yhan la Sorgente della Musica”, del quale a fine luglio (21-22 luglio) si è celebrata la terza edizione, e si st sempre più proiettandosi in quel sud d’Europa che è il Mediterraneo. Dunque, si sdoppia l’appuntamen-

to canicattinese con il grande Jazz internazionale, per la gioia dei tanti appassionati e dei “viaggiatori” che approdano nella cittadina iblea. Dal 6 al 13 agosto “Jazz Happening Canicattini 2012” trasformerà ancora una volta Piazza XX Settembre nella capitale del Jazz mondiale. Il via sarà dato dalla conferenza su “Cinema e Jazz”, con la proiezione del film di Franco Maresco, “Io sono Tony Scott”, per passare alla musica di benvenuto dei padroni di casa, i tre fratelli dell’Amato Jazz Trio (Elio, piano e flicorno, Alberto, contrabbasso, e Loris, percussioni) e di Marco Gotti. Da martedì 7 agosto protagonisti saranno artisti quali Ray Mantilla, che presenterà il suo progetto chiamato “Vinage” con Edy Martinez al pianoforte (Mantilla, Martinez, Tavolazzi, Pasini, Elder); Mike Melillo, pianista di Sonny Rollins, con Antonio Tosques (Tosques, Melillo, Gallo, Carpentieri); la cantante newyorkese Joyce Yuille; e la Jazz Cultural Exchange Malta-Sicily Franco Zerafa quintet. Con loro, com’è tradizione, i nomi italiani che hanno fatto la storia del Jazz nel nostro Paese, “italian all stars” li definiscono: Enrico Rava (Rava,


Petrella, Guidi, Evangelista, Sferra), Enrico Intra (Intra, Terzano, Arco, Yuille), Daniele Scannapieco (Scannapiego, Diara, Amato, Rotolo), Giulio Visibelli con il suo “Tribute oto Ornette Coleman”. Senza dimenticare le “eccellenze” della terra di Sicilia, ad iniziare dal sassofonista internazionale Francesco Cafiso (Cafiso, Gibellini, Bassi, Sferra), il pianista Giovanni Mazzarino con la sua “Suite siciliana” (Mazzarino, Ionata, Bonaccorso, Angelucci); Giuseppe Mirabella (Mirabella, Rubino, Fioravanti, Bagnoli); e il progetto patchwork del contrabbassista Nello Toscano (Toscano, Cirinnà, Rubino, Cattano, Burgio, Bagnoli), e naturalmente i padroni di casa, l’Amato Jazz Trio (Elio, Alberto e Loris), che da sempre aprono e chiudono gli appuntamenti jazzistici canicattinesi. Due, quest’anno, le produzioni di questo “Jazz Happening 2012”, “A Love Supreme” di John Coltrane, con arrangiamenti del maestro Gabriele Comeglio, con una formazione di 16 strumenti ad arco, sezione ritmica e sax solista, un concerto che verrà registrato per la produzione di un Cd destinato al mercato. E il tributo a Conrad Gozzo, leggendario trombettista di origine canicattinese di H Mancini, e F. Sinatra, prima tromba di B. Goodman e G. Miller, ma anche di Dean Martin, Ella Fitzgerald, tanto per citarne alcuni, che ha suonato nelle colonne sonore di film che hanno fatto la storia del cinema, come Ben-Hur e Cleopatra. Per l’occasione verrà premiato il trombettista Emilio Soana. Poi come sempre, ad agosto, c’è la parte riservata alla formazione e allo studio, con workshop e clincs. I Campus, giunti al terzo anno di attività, richiamano a Canicattini Bagni giovani musicisti provenienti da tutta Italia e da Malta, e oltre alle classi individuali, quest’anno, avranno i corsi di big band, coordinati da Jamil Sheriff del Music College of Leeds, e Musica d’Insieme, con la preziosa e puntuale collaborazione del CdPM di Bergamo. Una esperienza ormai consolidata quella dei Jazz Campus, con insegnanti tra i migliori formatori, già

impegnati nei più prestigiosi Conservatori italiani, con alle spalle un lungo bagaglio di collaborazioni con i più conosciuti musicisti italiani ed internazionali: il batterista Tony Arco; il contrabbassista Lucio Terzano; la cantante Paola Milzani; il trombettista Sergio Orlandi; il pianista Claudio Angeleri; il sassofonista Rino Cirinnà; con le clinics del sassofonista Giulio Visibelli e del batterista Stefano Bagnoli. La filosofia resta sempre la stessa, full immersion, un concentrato di attività che hanno l’obiettivo di educare i giovani, e non, verso la cultura della musica jazz attraverso lezioni mirate individuali, d’insieme e all’ascolto. Senza dimenticare che ormai da qualche anno il Jazz di Canicattini Bagni fa rete con altre realtà, esportando questa esperienza fuori dalla Sicilia, favorendone l’inserimento nei circuiti nazionali ed internazionali. Nascono così importanti collabora-

zioni con vari Festival, tra cui Malta Jazz, Piazza Jazz, Notti di Luce Bergamo, Cdpm, Civica Jazz di Milano, Hot Jazz Club Lisbona, veicolando, attraverso un catalogo, i progetti discografici degli artisti siciliani. A fare da corollario a questo progetto, intrecciandosi ed integrandosi, ci sono la cultura, la storia, le tradizioni, l’enogastronomia e le bellezze del paesaggio ibleo, all’interno del quale trova collocazione Canicattini Bagni, pronta ad aprirsi ai viaggiatori e a far sentire tutto il calore dell’accoglienza della sua gente, accompagnati dagli operatori del locale Museo del TessutoCasa dell’Emigrante, con Paolino Uccello, guida naturalistica, etnologo e scrittore, più volte collaboratore di trasmissioni televisive quali Geo&Geo e Linea Blu. Un progetto culturale da conoscere e … da vivere.

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Andrienne

Robe à la Francaise - 1768

moda e costumi nel Settecento

dall’Archivio Storico dell’Opera Pia Carpentieri di Scicli di Giovanni Portelli e Giovanna Giallongo

I

l 19 dicembre del 1796, alla presenza di alcuni testimoni, Don Giuseppe Sgarlata, notaio nella città di Scicli, legge l’inventario dei beni mobili e immobili posseduti da Francesco Carpenteri, sorpreso dalla morte, neanche

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trentenne, appena quattro settimane prima. I convenuti ascoltano in devoto silenzio la lettura di quel lungo, quasi infinito, elenco di possessioni, talvolta scandendo e talaltra borbottando e farfugliando quei selvaggi nomi di terre, vigne, vignazze, contrade e paesi. In quella fredda ricogni-

zione, si passa dai beni immobili “rusticani” e urbani agli oggetti rinvenuti, stanza per stanza, angolo per angolo. Le ultime volontà di Francesco delineano un ritratto accurato di luoghi e oggetti che, insieme, facevano da contesto e cornice


Abito settecentesco

alla vita quotidiana di fine Settecento in quella minuta cittadina siciliana. Tralasciando dettagli, curiositĂ e minuzie del vasto resoconto notarile, addentriamoci solo in alcuni degli aspetti moda e del costume. Francesco abitava a Scicli, con la moglie e il piccolo Stanislao,

nella casa ereditata dal nonno materno, Don Mariano Sgarlata. Nella stessa casa palazzata dormivano, pure, Donna Carmela Sgarlata, vedova di Don Stanislao, e la sorella, signorina Donna Concetta Sgarlata, rispettivamente madre e zia di Francesco. Affollavano le sale del palazzo,

poi, numerosi servitori, tutti distintamente vestiti secondo il ruolo e il grado gerarchico che occupavano. I piÚ eleganti erano gli staffieri e i volanti a cui era affidato il notevole ruolo di mostrare all’esterno quanto ricca e potente fosse la famiglia al cui servizio era legata la loro esisten-

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za. Indossavano livree di colore rosso con fodera di stamigna verde e sottovesti di panno, pure di colore verde, con mostrine di gallone d’argento. Componevano il guardaroba degli staffieri anche giamberghe (con gli stessi colori delle livree); un gileccone in panno verde foderato di tela e mostrine rosse, un paio di calzoni e un cappello bordato di gallone d’argento. Il volante indossava anche calzoni e corpetto in panno color bottiglia e collaretto cremisi, ornato con un piccolo bordo d’argento e fodera di stamigna verde, gilecco e calzone di riganello bianco.

Il raffinato guardaroba di Francesco

L’inventario del notaio ci riporta, pure, il ricco e raffinato guardaroba dei padroni di casa. Il giovane Francesco indossava, quasi sempre, un abito completo composto da giamberga, calzone e sottoveste. Le giamberghe erano in velluto di seta riccio rigato, pichè di seta, panno, cammellotto e nei più svariati colori, dal blu soprafino ai ricami in oro, dal tortora cangiante al lilla, allo scarlatto, al moscato fino anche al nero. Erano i colori più alla moda in quello scorcio di fine Settecento, poco prima che sfarzo e colori tramontassero definitivamente dal guardaroba maschile per cedere il posto alla sobrietà “in nero” dell’uomo borghese. In stoffe pregiate erano pure le sottovesti, spesso in raso o pichè d’argento ricamato in oro, seta, lustrino, drappetto o velluto. Sopra l’abito indossava, quand’era necessario, una sopragiamberga in panno di color cenere o un ferraiolo di panno color verde misto a seta rossa. In un taschino teneva, poi, una tabacchiera con l’effigie di una dama artisticamente pitturata sul coperchio. Sottoveste maschile -1735

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Giamberga 1775-1785


L’ eleganza di Donna Carmela Al confronto, meno interessante e ricco era il guardaroba di Donna Carmela, la giovane moglie di Francesco, la quale poteva vantare di possedere un mantellone di lustrino color carne, ornato con una fettuccina fastuchina, un manto con sua fadiglia, un montino di velo con fettuccia rigata di vari colori, una vestina di molla color scarlato, un cappelletto di raso celeste con fettuccia di Francia color rosa, un cappello di panno verde, alcuni voli per braccia e un paio di scolli di velo con ornamenti di fettucce nere. L’abito femminile più in voga era però il cantuscio, altrove noto anche come andrienne, presente in altri inventari locali dello stesso periodo. Molto spesso in drappo damascato, questo abito

si allargava sui fianchi per una sottostruttura composta da larghi panieri in bacchetta, dando alla figura femminile un aspetto tanto maestoso quanto goffo. A suggello dell’eleganza e ad integrazione dell’abbigliamento, la donna sfoggiava tra le mani un ventaglio. Accessorio per sopportare la calura estiva, in realtà svolgeva un ruolo fondamentale nel linguaggio non verbale a cui molte donne, volentieri, ricorrevano. La nostra Donna Carmela poteva contare su un paio di ventagli, uno in taffettà ricamato e uno in carta con stampa alla cinese. E se molta attenzione veniva data all’apparire e alla cura esteriore della persona, così come risulta dalla varietà e ricchezza del guardaroba fin qui esaminato, altrettanto non si poteva dire per l’igiene personale, almeno a giudicare dal contenuto delle casse

e dei bauli rinvenuti ed esaminati dal notaio. Cultre, frazzate e cottonine, assieme a lenzuoli, coscini e giraletto costituivano gran parte della biancheria conservata. Numerose erano pure le tovaglie, per faccia o per tavola, salviette, pagliazzi da cocina, fasce per cingere donna, fasce per bambini. I fazzoletti erano distinti in quelli per uso di tabacco, per naso, per sudore e per collo.

In odor di nobiltà?

Componevano, infine, la biancheria intima soltanto quattordici paia di calzette, tre mezze dozzine di camicie di Don Francesco e sei camicie d’orletto. Nessun altro indumento intimo venne segnato sulla lista, lasciando all’immaginazione di noi posteri quanto remota fosse ancora, in quei lontani anni,

Le ultime volontà di Francesco delineano un ritratto accurato di luoghi e oggetti che, insieme, facevano da contesto e cornice alla vita quotidiana di fine Settecento in quella minuta cittadina siciliana.

Ambiente settecentesco

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l’idea della buona e odorosa igiene personale. Del resto rari erano gli inventari che, in quel secolo, contenevano tra gli elenchi anche le mutande. In Francia questo articolo di biancheria cominciò ad essere apprezzato solo a partire dai primi decenni del Settecento e a farne uso, per primi, furono alcuni esponenti delle classi

più agiate. Pare, perciò, che uno dei problemi più assillanti, fino a quegli anni, fosse proprio la scarsa igiene personale ed il conseguente cattivo odore che inevitabilmente si intrometteva nelle relazioni umane. Ma si sa che prima di cambiare, stravolgendo il corso delle cose, si prova a trovare rimedi. E così, se lerciume e fetore erano stati considera-

Vizio e virtù della tabacchiera Tabacchiera in oro e smalto 1785

Nobiluomo con tabacchiera

ti fino ad allora una condizione quasi inevitabile del vivere quotidiano, nel Settecento divennero la spinta verso la ricerca di grandi rimedi, senza però riuscire, mai, a cambiare nulla. Sarà il secolo successivo a vedere la scoperta dell’acqua, per la cura dell’igiene personale, e il definitivo trionfo ... delle mutande.

Oggetto tra i più raffinati e preziosi della produzione orafa dell’epoca, la tabacchiera era un elemento che integrava e completava l’abito rococò. Il fiuto di tabacco era, allora, uno dei vizi più diffusi al pari della cioccolata, con la quale, del resto, condivideva origine e cultura. L’usanza partì, infatti, dalla Spagna per trovare immediata e favorevole accoglienza nella corte francese dove divenne elemento distintivo della classe nobiliare, al punto da far scrivere a Diderot che il vero padrone non poteva fare a meno di tre cose: la tabacchiera, per fiutar tabacco, l’orologio, per guardare l’ora, e il servitore, da tempestare di domande. Fiutar tabacco fu ben presto occupazione prediletta, anche, tra prelati e monaci. Nemmeno un divieto papale riuscì ad impedire ai preti in Spagna di continuare ad annusare tabacco persino durante la celebrazione della messa. Molti signori e nobiluomini, ma anche dame e preti amavano farsi ritrarre con la propria tabacchiera tra le mani o in uno dei diversi atteggiamenti del rituale seguito per fiutar tabacco. Usato quasi come un intercalare nei più lunghi e ponderati discorsi, segnava i passaggi importanti e decisivi nelle estenuanti riflessioni locali. Lo stile rococò impose, oltre alla cioccolata e alla tabacchiera, anche il fazzoletto per uso di tabacco. Ad ogni presa di tabacco si usava portare, infatti, intorno al naso un fazzoletto di raso colorato, custodito in petto, in uno dei recessi della sopraveste. Il gesto lento e affettato serviva a dare maggiore enfasi alle ultime parole, sospendere il corso dei pensieri e accrescere l’attesa prima della conclusione che sarebbe suonata, a parte il poco gradevole rumore dello sternuto, quasi come una sentenza.


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Il lInguaggIo crIPtato del ventaglIo

La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva

m di Giuseppe Nuccio Iacono

olière definiva il v e n taglio come il “paravento del pudore”, sottile strumento per sedurre e provocare. Diffusosi nelle corti europee del

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XVI sec., questo importante accessorio del costume di dame e signore titolate era considerato come il segno distintivo di chi seguiva la moda. E il “bon ton” voleva che si utilizzasse un ventaglio diverso e idoneo per ogni occasione: feste, teatro, passeggiate ecc… Nel corso del XVII e XVIII sec.,

ebbe una importanza tale da diventare un evidente oggetto di lusso e talvolta anche d’arte. Ci fu persino chi, come la regina Marie Antoinette, “perse la testa” nell’affannosa ricerca di collezionarne a iosa. Dietro un ventaglio di merletto, pizzo, tulle, seta o carta dipinta e attorno al loro valore spesso ostentato come piccola opera di oreficeria e intaglio, si celava l’anima femminile del barocco. Ma era solo con il movimento che l’oggetto prendeva vita. Un movimento sinuoso e articolato che raggiungeva l’apice della destrezza nella penisola iberica e che Proper Mèrimèe, autore della novella “Carmen” (che Georges Bizet trasformò in una delle opere più popolari del Mondo), descrive in maniera eccezionale: “il ventaglio che si apre, si ferma, rigira tra le dita così vivamente, così leggermente che un prestidigitatore non potrebbe fare meglio” Il ventaglio divenne un fantastico mezzo di comunicazione, soprattutto in Spagna e nei regni di “tradizione spagnola”, come la Sicilia, dove la libertà di espressione con l’altro sesso era fortemente limitata. E… dove si ferma la parola cresce la “gestualità che parla”. Nel Settecento si perfezionò il linguaggio criptato e segreto del ventaglio con una mimica ben codificata e tale da esprimere una molteplicità di sensazioni e sentimenti. Tutto dipendeva dalla gestualità, dalla posizione e dall’orientamento del ventaglio, dalla sua apertura o dalla sua chiusura. Era importante osservare il ritmo più o meno rapido del movimento e bisognava stare attenti quando era tenuto con la mano destra o sinistra.Guai a chi si distraeva quando il ventaglio sfiorava l’orecchio, il petto, la guancia o quando celava gli occhi o parte del viso. Una gestualità veramente barocca ma che sopravvivrà in parte fino alla scomparsa del ventaglio!


Il Codice del Ventaglio

Tendere con grazia il ventaglio aperto verso l’interlocutore = “benvenuto”. Tenerlo chiuso con la mano destra di fronte al viso = “seguimi”. Tenerlo chiuso con la mano sinistra di fronte al viso = “vorrei conoscerti”. Poggiare l’estremità del ventaglio sulla bocca = “attenzione, ci ascoltano”. Sfiorare continuamente la bocca con il ventaglio chiuso = “posso parlarti in privato?” Tenere il ventaglio nella mano sinistra difronte al viso = “voglio un appuntamento”. Coprirsi l’orecchio destro con il ventaglio aperto= “non rivelare il nostro segreto”. Coprirsi per un po’ l’orecchio sinistro = “vorrei che tu mi lasciassi in pace”. Toccare il bordo superiore con un dito = “Vorrei parlarti”. poggiare il ventaglio chiuso sull’orecchio destro = “ti ascolto”. Poggiarlo sulla guancia destra = “Si”. Poggiarlo sulla guancia sinistra = “No”. Lasciarlo scivolare sulle guance = “Ti voglio bene!” Nascondere gli occhi dietro il ventaglio aperto = “ti amo”. Mostrarlo chiuso e fermo = “Mi ami ?” Far scivolare il ventaglio sulla guancia e fermarlo sul mento = “ti adoro”. Farlo ruotare con la mano destra = “amo un altro!” appoggiarlo chiuso sul cuore = “Avete conquistato il mio amore”. Guardare il proprio ventaglio chiuso = “penso sempre a te”. Poggiare il ventaglio chiuso sulla tempia sinistra = “cessa di essere geloso”. Lasciarlo scivolare sulla fronte = “sei cambiato”. Lasciarlo scivolare sugli occhi = “Vattene, per favore”. Chiudere il ventaglio toccandosi l’occhio destro = “quando ti potrei incontrare?” Chiudere il ventaglio molto lentamente = “accetto tutto”. Chiuderlo a metà sulla destra e sulla sinistra = “Non posso”. Sventagliarsi lentamente = “Sono sposata”. Sventagliarsi rapidamente = “Sono già promessa in sposa, fidanzata”. Aperto al massimo ma coprendo la bocca = “Sono libera”. Aprirlo molto lentamente con la destra = “Aspettami”. Aprirlo e chiuderlo lentamente più volte = “Sei crudele!” Farlo ruotare con la mano sinistra = “ci osservano” Cambiarlo alla mano destra = “ma come osi?” Appoggiare il ventàglio aperto sulle labbra = “Baciam!” Il ventaglio aperto a metà poggiato sulle labbra = “mi puoi abbracciare”. Intrecciare le mani attorno al ventaglio chiuso = “dimenticatemi”. tenere il ventaglio con il mignolo aperto e teso = “arrivederci”. mettere il ventaglio dietro la testa = “non dimenticarmi”. ventaglio tenuto aperto a mani unite = “perdonami”. Alzare il ventaglio verso la spalla destra = “non ti sopporto”. Abbassare il ventaglio chiuso verso il suolo = “ti disprezzo”. Sollevare il ventaglio con la mano destra = “mi sei fedele?” Abbassare il ventaglio e lasciarlo pendere = “noi saremo amici”. Indicare un numero di stecche del ventaglio = “a questa ora”. Indicare il suolo con ventaglio chiuso = “avvicinati”. Scorrere l’estremità del ventaglio sul palmo della mano = “ti scriverò una lettera”. Colpirsi la mano sinistra con il ventàglio chiuso = “Scrivimi”. Appoggiare il mento sul ventaglio chiuso = “sono arrabbiata”. Appoggiare il mento sul ventaglio aperto = “smettila, sei insopportabile”. Tenere tra il palmo delle due mani un ventaglio chiuso = “esigo una risposta”. Mostrare più volte la fronte con il ventaglio chiuso = “tu sei pazzo?” Passare con fretta il ventaglio chiuso da una mano all’altra = “sono molto inquieta”. Passarlo aperto dalla mano destra a quella sinistra e farlo ruotare = “i miei genitori non vogliono”. Colpire con il ventaglio chiuso le dita della mano sinistra = “interrompiamo la nostra conversazione”. Sospendere il ventaglio chiuso nella mano destra = “addio, arrivederci”. Nella foto pagina accanto: G.N.Iacono, “Donna Senza Ventaglio”, 2005, olio su tela

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Nino Martoglio

Vincenzo Bellini

Angelo Musco

“cHISta è ‘na vera norma!”

Il primo capolavoro della cucina catanese di Monsù Gaetano d’Albafiorita

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asta, pezzi di melanzana fritta, pomodori, basilico e ricotta salata sono le semplici note per una delle composizioni gastronomiche più celebri della tradizione siciliana. Una armonia, una sinfonia di ingredienti di primissima qualità, tutti provenienti dalla terra siciliana per una specialità catanese che tenta i peccatori di gola: la pasta alla Norma. Paragonando questo piatto all’opera di Vincenzo Belllini, gli anziani di un tempo amavano dire che, come ogni capolavoro, quel piatto doveva essere assaporato con calma, piano piano, per essere apprezzato. E per far comprendere meglio si ricordava l’anno 1831, quando, subito dopo la prima della “Norma”, ac-

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colta con freddezza alla Scala, Bellini dichiarò: “Fiasco, fiasco, solenne fiasco”. Fu infatti nelle serate successive che il pubblico si rese conto di trovarsi al cospetto di un capolavoro, trasformando il musicista in una delle personalità più ricercate di Milano. Ma cosa unisce questo gustoso piatto di pasta al nome della celebre opera del compositore catanese Vincenzo Bellini? Sembrerebbe che a dare il nome “Norma” alla ricetta sia stato Nino Martoglio, il noto comico e commediografo catanese. La nascita ha un luogo e una data ben precisa: Catania, via Etnea presso l’abitazione Musco-Pandolfini, autunno 1920. In quel palazzo il celebre attore (ancora celibe) Angelo Musco viveva con la “dilettissima” sorella Anna e il cognato Giuseppe Pandolfini.

La coppia aveva due figli, Turi (noto caratterista) e Janu, attore di teatro, sposato con Saridda D’Urso. Quella sera d’autunno, nell’appartamento di Janu e Saridda, troviamo riuniti lo zio Angelo Musco e gli amici Nino Martoglio, Pippo Marchese e Peppino Fazio. Quando Donna Saridda portò a tavola un appetitoso piatto di pasta condita con salsa di pomodoro fresco, melanzane fritte, foglioline di basilico e scaglie di ricotta salata i commensali furono inebriati prima dal profumo e poi conquistati dal sapore. Nino Martoglio che era noto anche per essere un buongustaio,esclamò: “Signura, chista è ‘na vera Norma”. Volle così sottolineare la squisitezza e la bontà del piatto paragonandola all’opera di Bellini. La frase si diffuse per tutta via Etnea e diede il nome alla ricetta.


rIcetta Per 4 PerSone Ingredienti: una grossa melanzana, 350 gr di maccheroni, 600 gr di pomodori da sugo, ricotta salata semistagionata da grattugiare, uno spicchio d’aglio, olio extravergine d’oliva, basilico.

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reparazione: lavate la melanzana, asciugatela e tagliatela a cubetti di circa un cm di spessore. Salate i cubetti e lasciateli gocciolare in uno scolapasta per circa 40 minuti. Lavate nel frattempo i pomodori, tagliateli a dadini e privateli dei semi. Fateli

rosolare in padella con uno spicchio d’aglio, sale e 3 cucchiai di olio extravergine d’oliva. Scolate le melanzane e friggetele in olio d’oliva. Quando sono cotte appoggiatele su della carta assorbente. Cuocete i maccheroni, scolateli e condite con il sugo di pomodoro fresco, aggiungete un’abbondante manciata di foglie di basilico. Versate nei piatti, aggiungete su ciascuna porzione le melanzane e la ricotta grattugiata.


Il Bacco di Caravaggio in una interpretazione fotografica di Ilenia Rubino.

Bellezza di un’isola riflessa tra calici di vino

“chi usa vino è civile, chi non ne usa è un barbaro”, dicevano i greci

I

di Giulio Tribastone

n un calice di buon vino si sprigionano aromi e sapori che si legano alla storia e al mito. Frutto del lavoro dell’uomo, è la bevanda che più si avvicina all’essenza divina. Idolatrato nella mitologia, assunse poi un’aurea privilegiata anche nel culto cristiano. Per gli antichi greci il vino, dono degli dei, era identificato con uno dei più “allegri” figli di Zeus: Dionisio. Costui fu ampiamente (e a ragione) adorato per aver introdotto la coltura della vite tra gli uomini. Per questo suo dono, fu confermato nella pienezza dei suoi “titoli divini” anche dai Romani che lo chiamarono Bacco. La bevanda degli dei, “donata ai mortali” fu introdotta così dai Greci e dai Fenici nella civiltà occidentale. Fu presentata persino come “antidoto per ogni dolore” e non a caso, Euripide asseriva che “senza vino l’amo-

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re non vive e ogni altra gioia muore”. Sciascia affermava che il turista che arriva in Sicilia può degustare il vino insieme al Barocco, e nelle Eolie può apprezzare la Malvasia che si sposa al mare, mentre ad Agrigento il vino incontra la Magna Grecia. Niente di più vero! La Sicilia, terra del sole, unisce il vino con la sua storia, con il suo paesaggio e con la sua arte. La Forza del più grande vulcano d’Europa si “riversa” nel sapore dei vini rossi, rosati e bianchi dell’Etna DOC. I grappoli d’uva pietrificate sulle dorate colonne barocche si armonizzano con il vino giallo oro del Moscato di Noto e del Moscato di Siracusa. Il trionfo del barocco del Val di Noto prosegue più a sud e viene celebrato con il Nero d’Avola che si unisce al Liberty che brilla nel Cerasuolo di Vittoria. Dalle terre cariche di storia di Agrigento, Sciacca, Selinunte, Mazzara del Vallo ed Eraclea fino ai lembi normanni di Monreale ed oltre domina

l’Inzolia, uno dei vitigni più antichi, citato da Plinio con il nome di Inzolia. E nei luoghi di produzione del Marsala nessuno può ignorare quel vino dolce che, invecchiato, ha la capacità di conquistare i palati più raffinati. E lontano, nel mare, l’infinita bellezza dell’isola pantesca trova un inno DOC tutto suo nel Moscato e nel Passito di Pantelleria e nello Zibibbo. Il turista che percorre la costa occidentale non può che restare ammaliato dalle suggestive località dove viene offerto un ottimo bicchiere di Alcamo. E se prosegue verso Messina sarà accolto dal quel tipico vino che è il Marmettino che si divide tra le coste tirreniche e ioniche. Potrà inoltre sorseggiare il Faro, vino delle colline dello Stretto di Messina. Da lì alle Eolie il tragitto è breve, soprattutto per chi vuole abbinare all’incanto di un mare perfetto il gusto sublime della Malvasia delle Lipari. Insomma in Sicilia in un bicchiere di vino si rispecchia un mondo. Anche gli dei lo sanno.


Dorilli (Vittoria)

Le Case Sparse, edifici rurali ristrutturati e arredati con materiali di recupero dall’artista designer Costanza Algranti

Buonivini (Noto)

un vIaggIo con Planeta

nella Sicilia sud-orientale “Guardo il calor del sole che

si fa vino Giunto a l’amor che dalla vite cola.” Così, in un passo della Divina Commedia, Dante concentra tutta l’essenza del vino. Tra il sole e la terra il vino è sempre stato protagonista di antiche culture e, in Sicilia, dove i vigneti hanno segnato i profili del paesaggio, il vino è tradizione. Qui nelle “terre” ad alta vocazione vitivinicola Planeta emerge come uno dei produttori di vino più attenti al rispetto della storia e del territorio. Le attività agricole di Planeta risalgono al 1500. Cresciuta tra Sambuca di Sicilia e Menfi, oggi Planeta è impegnata su sei fronti. Sei territori, sei modi diversi di essere. Sei luoghi dove il vino si racconta e ci emoziona. Sei tenute nelle quali si produce vino, ciascuna con uno specifico progetto di ricerca e valorizzazione: Ulmo a Sambuca di Sicilia (Ag); Dispensa a Menfi (Ag); Dorilli a Vittoria (Rg); Buonivini a Noto (Sr); Sciara Nuova sull’Etna a Castiglione di Sicilia (Ct); e, infine, La Baronia a Capo Milazzo (Me). Tutti luoghi di rara bellezza, dove il paesaggio si colora col fascino dei vigneti che si estendono a perdita d’occhio e, dove nelle Cantine Planeta è possibile assaporare vini

dai profumi e dai sapori inebrianti. Planeta appare, dunque, come un viaggio attorno alla Sicilia e ai suoi vini più grandi. I contenuti sono innovativi, contemporanei, tuttavia coerenti con un’interpretazione storica e rituale del vino che altrove risulta ormai quasi dimenticata. E lungo questo viaggio nei territori dove i vini Planeta dialogano con il paesaggio, il percorso trova due tappe fondamentali nelle cantine Buonivini a Noto e Dorilli a Vittoria.

La Cantina Buonivini Noto (Siracusa) Situata nei pressi delle città tardo-barocche di Noto e Modica e a pochi chilometri da Marzamemi, la Cantina Buonivini prende il nome dall’antica contrada nella quale è ubicata. Le varietà coltivate sono Nero d’Avola e Moscato Bianco che compongono rispettivamente i vini Santa Cecilia D.O.C Noto e Passito di Noto D.O.C., vinificati in loco all’interno della “Cantina Invisibile”, sotterranea per non stravolgere la dolcezza del paesaggio collinare. A punteggiare il vigneto, le Case Sparse: piccole abitazioni rurali, di colore rosso amaranto dove poter vivere una vacanza in pieno relax e a contatto con la natura.

La Cantina Dorilli Vittoria (Ragusa) A pochi km dal Castello Donnafugata, da Kamarina e da Ragusa, la Cantina Dorilli, è frutto di un intervento di ristrutturazione di un’antica cantina e di un casale risalente al primo Novecento. È posta al centro di vigneti di Nero d’Avola e Frappato, due vitigni che rappresentano la base dell’uvaggio del Cerasuolo di Vittoria D.O.C.G.. Due i vini prodotti: il Cerasuolo di Vittoria D.O.C.G. e Dorilli, Cerasuolo di Vittoria Classico D.O.C.G.. Il Cerasuolo di Vittoria, dalle origini antiche sale all’apice della piramide di qualità, nel 2006, quando ottiene (primo in Sicilia) la DOCG. Con questo vino rosso rubino intenso, non potremo dimenticare la Sicilia sud orientale dove tra il sole e la terra, direbbe Dante, si può osservare “il calor del sole che si fa vino”.

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Gusto ed eleganza

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Oslo - Panorama

Donnafugata tra i 35 protagonisti

Le case della memoria sotto i riflettori internazionali di Walter Baudon

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irenze 18/20 Maggio.

“La Sicilia partecipa con il Castello Donnafugata ad una serie di importantissimi eventi legati alla promozione della cultura a livello mondiale”, con queste parole, il consulente siciliano per l’As-

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sociazione Nazionale delle case della Memoria, Giuseppe N. Iacono, esprime la sua massima soddisfazione. Il coinvolgimento del monumento ragusano, dove vissero il fervido politico Corrado Arezzo e il brillante economista Gaetan De Lestrade, è l’evidente risultato di una amministrazione comunale che punta con lungimiranza sulla cultura e sul turismo. Si punta sulla qualità che crea

qualità a tutto beneficio dei cittadini per aprirsi “poi” verso nuovi e più ampi orizzonti. Il Sindaco Nello Dipasquale e l’assessore alla cultura di Ragusa Sonia Migliore, investono, quindi, in ciò che presto sarà il fiore all’occhiello di una rete museale (già si sta configurando). La rete infatti prevede di potenziare Donnafugata con il raggiungimento della triade di case della memoria (aperture della casa mu-


seo della poetessa Mariannina Coffa e di quella dello scienziato Giovan Battista Hodierna). Una realtà di alto livello, che si fonderà con altri musei locali per poi proiettarsi oltre. A questo fermento locale, si aggiungono le recenti richieste di adesione di alcune case museo private e pubbliche di altre province. Intanto, InsideSicilia ha contribuito a diffondere l’immagine del

Castello Donnafugata nella Prima Fiera Internazionale dedicata al turismo culturale, Art&Tourism. La rivista, con articoli dedicati, è stata distribuita nello stand dell’Associazione Nazionale Case della Memoria. Tre giornate alla Fortezza da Basso di Firenze segnate dal successo. La prima edizione “che ha fatto dialogare il mondo dei viaggi e quello della cultura”, ha visto 300 espositori,

di cui il 20% straniero, 50 eventi e 3.220 incontri prefissati tra operatori. A questi numeri, si aggiungono gli oltre 4.500 ospiti registrati come operatori e buyers ed le migliaia di visitatori. In attesa del secondo appuntamento che si terrà dal 12 al 14 aprile 2013, l’Associazione Nazionale, non si è fermata. Anzi ha varcato i confini per raggiungere Oslo.

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Oslo 17/20 Giugno. Il presidente dell’Associazione Nazionale Case della Memoria, Adriano Rigoli ed i consulenti Francesca Allegri e Massimo Tosi, hanno partecipato ad Oslo al Convegno Internazionale di ICLM (Comitato Internazionale per i Musei Letterari e Musicali) che fa parte di ICOM (Associazione Internazionale dei Musei), una sezione dell’UNESCO. Al convegno svoltosi nella capitale norvegese hanno preso parte circa 50 direttori e conservatori di musei in rappresentanza di diversi paesi di tutto il mondo. Nella prima seduta il presidente ha parlato degli obbiettivi che l’Associazione conta di raggiungere nel prossimo futuro per rendere sempre più efficiente la rete delle case-museo italiane, composta attualmente da 35 realtà in sei regioni italiane. In questa occasione è stato presentato al pubblico un video su tutti i personaggi delle case museo associate. Interessanti contatti sono stati presi con il Museo Letterario Petőfi di Budapest (il 2013 sarà l’anno dei rapporti Italia-Ungheria) e con il direttore della Casa dei fratelli Grimm a Kassel in Germania. “Thanks for your wonderful organization”, ha detto alla delegazione italiana il presidente di ICLM Lothar Jordan. In Norvegia i partecipanti al convegno ICLM hanno potuto visitare, tra altri monumenti, il Museo e la casa dedicati al celebre drammaturgo e premio Nobel Henrik Ibsen, la Casa della Letteratura, il Museo etnografico di Asker, le case museo degli scrittori e premi Nobel Sigrid Undset e Bjørnstjerne Bjørnson. Importante momento è stato il ricevimento presso il municipio, ospiti del Sindaco Fabian Stang: lo stesso palazzo dove due giorni prima era stato consegnato il premio Nobel per la pace alla dissidente birmana Aung San Suu Kyi, 21 anni dopo la sua attribuzione nel 1991. “See you next year in Rio de Janeiro!” è stato l’augurio e l’appuntamento per tutti i convenuti.

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Oslo - Municipio - foto di J.M Muggianu

Fabian Stang, sindaco di Oslo

Oslo - Le Delegazioni davanti alla casa della Letteratura Firenze- Convegno Art & Tourism sulle case della Memoria


Il lago di Lentini

Uno dei trentasette laghi siciliani Testo e foto di Rosaria Privitera

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he immensità! Ebbe a dire Edrisi (cartografo Arabo): - “Lentini ha da ponente un vastissimo territorio, i cui confini si estendono molto lungi nella pianura”. Quel territorio oggi possiede tre

bacini: del Simeto, del Gisira e del Pantano – San leonardo – Biviere. Tutti i versanti che vanno da Scordia, Militello, Francofonte e Vizzini, trenta chilometri quadrati, formano un bacino idrografico, dove scorre, alimentato da altre acque, il fiume Trigona o Galici. Questo fiume si converte poi nel Biviere di Lentini, uno dei trentasette

laghi siciliani: non sembra vero, ma è così! L’origine del lago ci tuffa nelle acque della storia mitologica. La leggenda narra che Ercole, recando in dono a Cerere la pelle del leone Nemea, si fosse innamorato dei luoghi facendo nascere un lago che da lui avrebbe preso il nome. Come poteva Ercole non innamo-

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rarsi di un territorio cosi meraviglioso! Intorno al lago nascono altre leggende. Si narra che anche i Templari ebbero a che fare con il Lago di Lentini. Ma oltre alla mitologia e alla leggenda ogni lago che si rispetti, ha la sua storia. Un cenno storico sul lago ci viene fornito da un documento del 1300, dove si legge che fu concesso come feudo a Ugonetto di Lazzaro. In un diploma concesso dalla regina Costanza, sposa di Federico, in data 13 gennaio1363 e confermato dallo stesso re in data 25 marzo 1363, si parla della concessione dell’elemosina del pesce del Biviere alle monache di Santa Chiara di Lentini. D’altronde le acque del lago sono note per essere ricche di tinche, muletti, anguille. Il feudo del Biviere – lago , conosce numerosi eredi. Il 16 settembre 1666 ne ebbe investitura Don Giuseppe Branciforti; morto, questi, senza figli legittimi il Lago passò al nipote Don Carlo Caraffa, ultimo dei Principi della Roccella e di Butera, primo Barone del Regno di Napoli e Grande di Spagna, il quale il 5 aprile 1676 ne prese l’investitura. Il lago di forma allungata comprendeva due isole. L’isola grande

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e l’isola piccola; uno sperone chiamato Cannedda di San Francesco. Vi erano la casa per pesare il pesce, un piccolo porto il pozzo, la casa per la paglia, il magazzino …. Una chiesa intitolata a San Andrea, patrono dei pescatori lentinesi. Purtroppo oltre ad offrire lavoro e aldilà della bellezza dei suoi paesaggi, il Biviere portò anche febbri malariche, febbri talassemiche. Nel 1876 , con il Barone Beneventano e l’ingegnere Pisano, nasce un progetto di risanamento. Le opere di bonifica cominciarono negli anni ‘30 per essere completate solo negli anni ‘60. Purtroppo la scomparsa del lago, se da un lato eliminava alcuni problemi dall’altro ne generava di nuovi (carenza di acqua, grande siccità e le gelate notturne). Negli anni ‘70 Si pensò ad una “ricostituzione” del lago. Più piccolo e più profondo, il nuovo lago raccoglie ora le acque del fiume Simeto e San Leonardo, e, vengono utilizzate per scopi agricoli e industriali. Ha una circonferenza di 14 km e una capacità d’acqua di 130 milioni cubici. La fauna torna ad abitare il lago. Si vedono gli aironi bianchi, le cicogne, le anatre, le oche, il cormorano, il falco pescatore …. Le tinche, i muletti …. Torna a rivivere, anche, la vegetazione palustre.

Non è più quello di una volta, ma , anche questo dona, un fascino particolare. Non si può viverlo come lo si viveva ieri ….... ma, con i dovuti permessi, si può respirare la magia che solo un lago sa donare. Il profumo della natura, il verso degli animali, la carezza di un sole cocente, la dolcezza di un tramonto ….. E se si chiudono gli occhi, se si sgombra la mente dai frastuoni della modernità, si sente in lontananza il canto dei pescatori di ieri, il loro richiamarsi, lo sciabordare tranquillo dell’acqua. Poco distante dal lago troviamo l’antica casa Biviere del XVII secolo. Le terre circostanti, che una volta contenevano il lago, ospitano un bel giardino Mediterraneo. In questo meraviglioso Eden dove era nato l’amore tra i principi Scipione e maria Carla Borghese, si conserva la memoria e la storia del Lago – Biviere di Lentini. Sono tante le idee per rilanciare il lago di Lentini. Fino a d oggi sono rimaste solo idee. Per attuare quello che si desidera servono: onestà, coerenza, abnegazione, amore verso il proprio territorio. Non servono tornaconti personali ed egoismi…. Serve coerenza e unione tra i Sindaci dei territori limitrofi al Lago. Serve unione tra la gente del Lago.


Lentini e Carlentini

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icilia Nostra Catering organizza eventi curando con raffinatezza tutti i dettagli. Catering e banqueting di Lentini, Siracusa, offre la possibilità di scegliere tra ambienti alternativi, ville immerse nel verde, luoghi insoliti. Dalla location al menu, tutto viene personalizzato secondo le proprie esigenze affinchè ogni evento abbia uno stile unico. Una varietà di soluzioni che rendono ai vostri momenti migliori un’atmosfera amorevole e suggestionante. Il suo ideale di ristorazione, in controtendenza rispetto alla moda attuale dove la creatività degli chef tende troppo spesso a mistificare e snaturare i veri sapori, si concretizza con la proposta di pietanze ad alto valore nutrizionale e con un’alta qualità intrinseca al fine di esaltare la genuinità. Tutto questo è possibile grazie ad anni di accuratissima ricerca e selezione delle materie prime oltre che ad una lavorazione scrupolosa nel rispetto delle nostre tradizioni culinarie e culturali.

Azienda nata nel 1890 a conduzione familiare che è in grado di fornire pane di ogni tipo, conservandone i sapori tipici locali. Il Pane di Lentini e Carlentini, miscele di farine siciliane di semola rimacinata lavorate con acqua, sale e pasta acida (crescente), lasciate fermentare senza l’aggiunta di lieviti chimici e cotte in forno di pietra a legna; il Pane di Leontinoi, ottenuto da grano autoctono, dalla molitura a pietra, dalla pasta acida e da una cottura in forno di pietra a legna. L’uso della pasta acida, nel processo di panificazione, richiede tempi di fermentazione più lunghi, ma permette di ottenere pane con caratteristiche organolettiche percepibili, (profumo e sapori).

Via Etnea, Lentini 96019 (Siracusa) Tel. +39.095.7838582 - Cell. 320.3720980

Via dello stadio, 17 96013 Carlentini (SR) - ITALY Tel. +39.095.993126

Pizzeria Alaimo

Il piatto italiano più amato del mondo. Il vero gusto della vera pizza.

Gli addobbi floreali più belli per rendere magici i momenti speciali.

La frutta più fresca e gustosa. Consegna a domicilio.

Via Conte Alaimo, 220 Lentini (Siracusa) Tel. +39.0931.945746 - Cell. 334.2065286

Via Conte Alaimo, 84 Lentini (Siracusa) Tel. +39.095.945369

Via Conte Alaimo, 39 Lentini (Siracusa) Tel. +39.095.941393

Trasparenza, Qualità e Affidabilità della Nostra Lumaca Iblea

Carlentini

L’azienda Elicicola “La Lumaca Iblea” sorge sul territorio di Pedagaggi fraz. della città di Carlentini (SR), è un’azienda che nasce con lo scopo di valorizzare le antiche tradizioni legate al nostro territorio. Tra queste “LA LUMACA” protagonista indiscussa di piatti prelibati. Via Regina Margherita, 24 - Pedagaggi, Carlentini (SR) CHIAMATE DIRETTAMENTE Alfredo cell. +39 339 1154650 - Sebastiano cell. +39 345 1827501 https://www.reteimprese.it/lalumacaiblea email: lalumacaiblea@alice.it Seguici su Facebook: http://facebook.com/lalumaca.iblea


Il Porto dI catanIa SFIda la crISI

Intervista al presidente dell’Autorità Portuale, Santo Castiglione

l di Vera Corso

a congiuntura internazionale da oltre due anni ha stretto in una morsa le economie dei principali paesi industrializzati e l’anno 2012, a detta degli esperti, dovrebbe rappresentare il culmine della crisi mondiale.

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In questo scenario, quali sono le ripercussioni sull’attività del porto di Catania? Mentre tutti i principali indici hanno registrato una flessione, in controtendenza, il porto ha confermato ogni anno un costante incremento nella movimentazione delle merci. Tutto ciò è merito della capacità di diversificare i traffici; siamo

riusciti, infatti, a garantire a tutta l’economia che gravita intorno al porto il mantenimento degli standard di sviluppo acquisiti. Per un soggetto pubblico, che ha come obiettivo quello di sostenere la crescita socio-economica della città, registrare un trend positivo e dimostrare contestualmente una capacità di risparmio nei costi di


gestione, è un segnale forte contro il pessimismo, anche se la luce alla fine del tunnel non è ancora comparsa. La nascita di nuovi traffici è il migliore antidoto contro la crisi. Esattamente, negli ultimi due anni abbiamo sviluppato un traffico di auto nuove, fino a 50.000 l’anno, che ha bilanciato la perdita di altri comparti del cluster marittimo. Grazie al potenziamento delle tratte esistenti della TTT Lines e della Tirrenia ed a nuovi collegamenti con la Compagnia Grimaldi, da Catania si raggiungono i principali scali nazionali (Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli, Salerno, Ravenna etc…) e da lì anche Francia, Spagna, Grecia, Malta e Tunisia. I dati quindi continuano ad essere positivi. Si, l’anno scorso il traffico merci ha fatto registrare un incremento a due cifre, quello passeggeri ha abbondantemente superato quota 400.000. Il comparto crocieristico è in ascesa, nonostante gli ultimi incidenti verificatisi; quest’anno il porto di Catania ospiterà più di 130 navi da cro-

ciera, con un incremento del 25% rispetto all’anno scorso. Verrà soprattutto migliorata la logistica dei servizi offerti ai passeggeri che, non appena sbarcati o subito prima di salire a bordo, verranno ospitati per le operazioni di checkin all’interno di uno spazio appositamente ricavato nell’edificio della Vecchia Dogana, splendida location finalmente aperta alla città Per quanto concerne, invece, il traffico dei traghetti, a che punto sono i lavori della darsena? Abbiamo consegnato a marzo i lavori della darsena commerciale a servizio del traffico RoRo e containers. Ci tenevo molto ad avviare questi lavori prima di terminare il mio mandato perché si tratta dell’opera che cambierà il volto dello scalo etneo. Realizzeremo una struttura in grado di ospitare fino a cinque navi contemporaneamente e movimentare fino a 3.000 semirimorchi al giorno. Potremo delocalizzare le navi traghetto e containers aprendo alla città tutto il fronte portuale che si trova sulla via Dusmet, ovviamente dopo che il Comune avrà dato il via libera al P.R.P. presentato già da tempo. La

darsena, però, sarà anche l’opera che segnerà il rilancio dell’economia etnea: in un momento di crisi come questa per tutti gli operai del comparto delle costruzioni sarà una vera boccata di ossigeno. Inoltre quest’opera consentirà, in accordo con la Soprintendenza, il Ministero dell’Ambiente e il Genio Civile, una riqualificazione e rinaturalizzazione del torrente Acquicella, che farà bene a tutti. Ma il nuovo sistema di security consentirà ancora di entrare in porto? Certamente si. Abbiamo realizzato un sistema di controllo accessi e videosorveglianza perché la comunità internazionale ha varato norme restrittive in campo di security cui il porto di Catania aveva l’obbligo di attenersi. Ma stiamo approntando un sistema, insieme alla Capitaneria di Porto a tutte le amministrazioni e le forze di polizia operanti in porto, che consenta un corretto equilibrio fra la necessità di sicurezza e la voglia dei cittadini di vivere il porto come altresì il desiderio di quest’ultimo dimettersi a disposizione della città.

Santo Castiglione


tendenze muSIcalI di stagione in stagione nella costa iblea

e

di Saro Sallemi e Danilo Tomasi

state 2012, come ogni biennio il mondo dei giovani deve confrontarsi con un Campionato del Mondo o d’Europa di Calcio. Manifestazioni del genere si legano, da sempre, ad un fenomeno musicale che rievoca, più o meno, i suoni e la cultura del luogo in cui si svolgono. Che fortuna per l’artista scelto per questo compito. Successo Garantito! Da Gianna Nannini a Ricky Martin a Shakira fino ad arrivare quest’anno alla meno nota Oceana, che farà un balzo verso il successo con Endless Summer, colonna sonora di EURO 2012; sonorità tipicamente dance e balcaniche, un ritornello

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facile da ricordare, e la hit è servita. Come non ricordare, tra le hit esplose grazie al mondo dello sport, Michel Telò con la sua Ai Se Eu Te Pego che è stato il successo di questo inverno (tutto partì dai video su YouTube dove calciatori brasiliani canticchiavano e ballavano al ritmo di questa canzone). Il dj si sbatte giornalmente alla ricerca delle novità che possano stupire il pubblico, pensa di averne sempre di nuove quando, ad agosto inoltrato la ragazza di turno (sono sempre loro ad essere attratte maggiormente dai tormentoni) si avvicina in console per chiedergli: “ce l’hai la hit dell’estate?”. Parliamo ora di musica; di ciò che piace ai giovani camaleonti della notte in questa

seconda decade del 2000: le ultime generazioni, da circa 4 anni, iniziano a scrollarsi di dosso la solita minestra più che riscaldata di serate tutte uguali ogni anno, copincollate a dovere in discoteca senza soluzione di continuità. Il venerdì dedicato alla musica degli anni 70 e 80 sta finalmente lasciando posto ad altre tipologie di serate e di discoteche, giardini sonori che propongono prodotti quantomeno di tendenza, giusto per non fare ascoltare a giovani di 20 anni la stessa musica che ha visto innamorare i loro genitori. Sarebbe dovuto avvenire già da un po’ di tempo ma, come in tante altre cose, anche nella musica e nella movida siamo rimasti abbastanza indietro. Il mercoledì


alcuni pionieri stanno riproponendo una fusione tra hip hop e rnb “old school” dagli anni 80 ai primi 90 con le novità del momento di questo filone black che ritorna ad essere di tendenza, non solo a livello internazionale e nazionale, dopo essere diventato pienamente commerciale tra la fine degli anni 90 e la prima parte degli anni 2000 grazie ad artisti come 50 Cent, Eminem, Alicia Keys e che si è poi eclissato, lasciando spazio al pop dance, nel quale molti di questi artisti black si sono fiondati. Questa fusione tra artisti RnB e Djs di tendenza del panorama internazionale ha portato alla nascita di un nuovo prodotto, che fonde le voci calde dei vari Ne-Yo, Usher, Kelly Rowland, con i suoni elettronici che sono un must delle notti di tendenza e delle radio che si rivolgono ad un pubblico under 30. Tornando alla movida ragusana, il sabato è dedicato alla musica dance, con quasi tutte le discoteche orientate verso un prodotto semplice che piace quasi a tutti e, dove il filone balcanico e quello pop dance si intrecciano creando un mix talmente semplice che probabilmente la figura del dj ne esce quasi ridimensionata, essendo in pochi a proporre davvero qualcosa di diverso, di nuovo. Per chi è alla ricerca di musica di nicchia ci sono i drinkbar sparsi per la provincia. Propongono dj set di qualità per un pubblico più interessato al buon bere e magari anche ad ascoltare quel brano di cui difficilmente conosce il titolo (e che cercheranno di scoprire), o quel nuovo remix funkyhouse del loro disco preferito. La domenica ragusana probabilmente resterà, almeno per le discoteche, dominata dalla notte italiana, oppure dalle sonorità fresche e tipicamente estive dei lidi sparsi per il litorale da Scoglitti a Marina di Ragusa che proporranno, chi più chi meno, i classici della musica dance dagli anni 90 ad oggi.

Drink e i Cocktail point

Un cocktail può essere presentato e servito in svariati modi, i più classici sono in coppa senza ghiaccio (“UP”) o in bicchiere con ghiaccio (“On the rock”). Ogni drink ha la sua storia e ha una sua evoluzione fatta di varianti e cambiamenti degli ingredienti. Tutto dipende anche dalla zona e dall’estro di chi lo miscela, un po’ come si fa con la musica e i suoi generi miscelati dal dj. Esistono varie tipologie di bar o cocktail point: American Bar, ambiente raffinato ed elegante, specializzato nel “bere miscelato”, grazie ad un Personale molto qualificato nella conoscenza dei distillati, della merceologia e della cura del prodotto finale da presentare al consumatore. Disco Bar, riflette l’ambientazione della discoteca, ma sostanzialmente non è la stessa cosa. È un locale attrezzato e virtuoso per il divertimento dove, insieme ai giovani, musica e drink colorano la serata. Bar Discoteca, punto di aggregazione

all’interno della discoteca dove si offre un servizio veloce e non tanto ricercato. Questa tipologia di bar è spesso il luogo ideale per i barman flair e free style, capaci di evoluzioni che lasciano il pubblico a bocca aperta, quasi si trattasse di giocolieri più che di addetti al servizio bar. Autore e attore principale di tutto ciò è il bartender (barman), colui che si occupa della preparazione dei cocktail e della miscela di bevande e intrattiene il cliente al banco, spesso firmando con gusti personali le varie versioni dei drink. Negli ultimi 10 anni la cultura del bere è cambiata notevolmente, anche se oggi si sta ritornando a lavorare in stile old style. Tornano ad essere richiesti drink che andavano di moda negli anni della belle epoque.. Bere dei drink in un pub o in una discoteca colora la serata, senza dimenticare di bere sempre con responsabilità e di non bere prima di guidare. Buona musica, buon drink e... buona estate!




La Palma della salute

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erenoa repens o Sabal serrulata è il nome di una palma che cresce negli stati affacciati sulla costa atlantica meridionale degli Stati Uniti, nel sud Europa e nell’Africa del nord. Questa piccola palma produce delle bacche di colore rosso scuro, di dimensioni simili alle olive, esse ne costituiscono la droga che risulta molto ricca di grassi a catena media, sia saturi che insaturi, come l’acido oleico, l’acido laurico, l’acido miristico, l’acido palmitico,ecc. Queste molecole sembrano essere le responsabili principali dell’azione inibitoria attuata nei confronti dell’enzima 5-alfa-reduttasi deputato alla trasformazione dell’ormone testosterone nella forma DHT o diidrotestosterone, forma più potente per la sua forte valenza androgenica, rispetto al testosterone da cui deriva. La potenza androgena dell’ormone risulta addirittura quintuplicata, aumentando di molto l’affinità per i recettori androgeni. L’enzima 5-alfa reduttasi è molto concentrato nella cute, nel fegato, nel sistema nervoso centrale (dove è presente soprattutto l’isoforma di tipo 1) e nella prostata (dove si

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concentra l’isoforma di tipo 2). Se prodotto in eccesso, il diidrotestosterone, in virtù del suo forte potere androgeno, favorisce la comparsa di acne, accelera la caduta dei capelli e causa ipertrofia prostatica. Da qui l’utilizzo della piccola palma perché capace di bloccare l’enzima 5-alfa-reduttasi e di ridurre la produzione di DHT. I risultati clinici confermano l’efficacia della serenoa repens nell’alleviare i sintomi dell’ipertrofia prostatica, con un miglioramento della qualità di vita e un riequilibrio del flusso urinario e nell’impedimento del legame del DHT con i recettori delle cellule dei follicoli piliferi. La serenoa è dotata anche di effetti antifiammatori e spasmoltici sui muscoli delle vie urinarie, ricalcando, in questo senso, l’azione di un’altra categoria di farmaci utilizzati nel trattamento dell’ipertrofia della prostata e chiamati alfa-bloccanti. La contrazione dei muscoli prostatici favorisce infatti l’ostruzione dell’uretra, responsabile dei disturbi di minzione. La sommatoria di tutti questi effetti sarebbe responsabile dell’efficacia clinica della serenoa nel ridurre la sintomatologia associata all’ipertrofia prostatica, con un’azione paragonabile a quella della finasteride (farmaco di sintesi). La tollerabilità della droga sembrerebbe, invece, addirittura superiore. Gli effetti collaterali asso-

ciati all’utilizzo di serenoa sono infatti generalmente rari e comunque lievi; essi comprendono: prurito, cefalea, ipertensione, disfunzione erettile, calo della libido e problemi gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea, stitichezza). L’azione della serenoa negli studi clinici più accreditati è stata valutata con estratti titolati e standardizzati in acidi grassi liberi e fitosteroli all’8595%, al dosaggio di 320 mg/die. La natura, ancora volta, viene in soccorso delle nostre imperfezioni riuscendo a mitigare quanto sfugge al nostro controllo!


Foto di Elena di Guardo

TRE INDIZI PER SCOPRIRE UN LUOGO 1

Tra le vie tortuose del centro storico, si trova questo tipico sottopasso con locale-deposito (“catoju”= dal greco catageon). Il Catoio introduceva ad un cortile di pertinenza ad un gruppo di famiglie e costituiva uno spazio protetto.

2

Il lastricato e le costruzioni sono in pietra lavica.

3

La mitologia attribuisce la fondazione della città ad un ciclope. La soluzione nel prossimo numero di InsideSicilia.


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