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corriere MENSILE DI ECONOMIA E ATTUALITÀ DI SETTORE

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o r t o f r u t t i c o l o THE FIRST ITALIAN MONTHLY ON FRUIT AND VEGETABLE MARKET |

ANNO XXX Nuova serie Maggio 2016 Euro 6,00

daily news: www.corriereortofrutticolo.it PROTAGONISTI Fabio Massimo Pallottini Il manager che vuole rilanciare i mercati PAG.27

INCHIESTA • PAG.17 AFRICA/2 West Africa da scoprire, ma non per i pionieri FIERE • PAG.31 IL TERREMOTO Milano con Verona. Nel 2017 due fiere negli stessi giorni TENDENZE • PAG.37 I CONSUMI Bio e innovazione ridanno fiato al mercato interno

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GEMMA EDITCO SRL - VIA FIORDILIGI, 6 - 37125 VERONA - I - TEL. 0458352317 /e-mail:redazione@corriereortofrutticolo.it / Poste Italiane Spa Sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/04 n.46) Art. 1, comma 1, DCB VR




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RETATURA SEMPRE FORTE E COMPATTA


Fiere, l’ora delle imprese ✍ Lorenzo

Dunque: nel 2017 sono previsti due saloni dedicati all’ortofrutta del Belpaese: uno a Milano (Fruit&Veg Innovation, abbinato a Tuttofood, frutto della nuova alleanza fieristica Milano-Verona) e il tradizionale Macfrut a Rimini. Due fiere in contemporanea (a maggio) quasi negli stessi giorni. E’ possibile, è credibile? Ovviamente no, roba da manicomio, però al momento le cose stanno così. Si può tornare alla ragionevolezza, al buon senso? Forse, però bisogna che qualcuno prenda l’iniziativa. Chi? Non gli enti fieristici coinvolti che vanno ognuno per la sua strada e fanno, legittimamente, i loro interessi. La politica? C’è un nuovo ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, che in tempi non sospetti aveva detto chiaramente: niente soldi, nessun sostegno a chi non fa squadra. Si occuperà Calenda delle due fiere dell’ortofrutta che si pestano i piedi? Mah, forse ha altro di più importante a cui pensare. Magari se ne potrebbe occupare in prima battuta il ministro direttamente competente, cioè Maurizio Martina. Ma non ci sembra il tipo che prende a mano grane del genere se non messo con le spalle al muro. E forse è anche difficile metterlo con le spalle al muro. Quindi a chi spetta prendere l’iniziativa perché la politica si decida ad aprire un tavolo attorno a cui far sedere e ragionare i player del settore? Tocca al settore, cioè alle imprese, se non a chi? Intanto il mondo delle mele (Assomela), uno dei più organizzati, ha fatto sapere che se le cose non cambiano, non parteciperà a nessuna fiera italiana nel 2017. Ci risulta che altre realtà associative stiano pensando la stessa cosa, ad esempio Fruitimprese e il mondo dei Mercati. Ma sono reazioni istintive, quasi stizzose di fronte ad una situazione chiaramente sfuggita di mano a tutti. Perché vi racconto queste cose? Perché quando noi del Corriere abbiamo sollevato per primi il problema della mancanza di una cabina di regia per il mondo dell’ortofrutta italiano, in concomitanza dell’ultima assemblea di Fruitimprese, non abbiamo voluto aprire un dibattito teorico, sui massimi sistemi, ma parlare proprio di questo. Se la politica latita, chi si deve preoccupare dei problemi delle imprese se non le imprese stesse, nella persona delle loro rappresentanze, ovviamente. Sul tavolo di una (possibile) cabina di regia ci dovrebbe stare il problema delle fiere, così come altri punti prioritari, dai consumi, all’export, alle barriere fitosanitarie, al costo del lavoro, ai rapporti con la Gdo (art.62 in primis), alla fantomatica Rete del lavoro di qualità con i suoi demenziali burocratismi… Un luogo dove la filiera converge per tentare di risolvere i tanti problemi che affliggono il settore, tutto qui. Niente di strano, nulla di eccezioFrassoldati

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nale. Quasi una cosa di routine, se non fosse che nel nostro Paese ragionare in un’ottica di sistema è l’eccezione e non la regola. Però altri si muovono. Prendete il mondo della carne. I consumi sono in picchiata, vegetariani e vegani (veri o presunti) dilagano. La filiera (dagli allevatori, ai mangimisti, ai salumifici, ai macellatori, ai commercianti) si è rivolta unitariamente al Governo , da Renzi ai vari ministri interessati (ma il ministero dell’Agroalimentare dov’è finito?), per chiedere un intervento urgente e un sostegno. Il comparto da tempo è sotto attacco dei media (la carne fa male, ecc ecc) e i player del settore chiedono una cabina di regia ministeriale che faccia chiarezza, dia informazioni corrette al consumatore, valorizzi le produzioni italiane di qualità, ecc. Ormai la comunicazione fa più danni delle crisi di mercato o dell’embargo russo. Nell’agroalimentare poi i danni sono esasperati dalla impreparazione/ignoranza dei giornalisti, dalla voglia di fare allarmismi a tutti i costi (ricordo ancora una puntata di Ballarò dove il conduttore esordì con tono grave: “Sta arrivando l’olio tunisino”, come stesse arrivando un flagello biblico), dagli interventi di cuochi e associazioni consumatori che quasi sempre parlano a vanvera. Tra carne e ortofrutta c’è un curioso parallelismo all’incontrario. Anche l’ortofrutta viene maltrattata dai media col singolare paradosso che invece ovunque si scrive e si dice che l’ortofrutta fa bene. Ma nonostante questo il comparto finisce sempre sotto accusa per i prezzi, i “pesticidi”, le agromafie, i controlli, e altre amenità varie. Tant’è che , nonostante le varie campagne all’acqua di rosa che vorrebbero incentivare i consumi, “il cavallo non beve”, cioè le famiglie non comprano. Di una cabina di regia per l’ortofrutta c’è bisogno, assoluto bisogno, non c’è più tempo da perdere. Alla nostra proposta hanno aderito finora Fruitimprese, i Mercati (Italmercati), i grossisti di Fedagro, una Unione nazionale (Italia Ortofrutta). Non basta. Per partire serve la cooperazione, da cui attendiamo un segnale. Una regia dell’ortofrutta non solo servirebbe come formidabile strumento di pressione sulla politica e sull’opinione pubblica ma anche per fare chiarezza e comunicare gli interessi del settore, in sostanza per fare

EDITORIALE

CORRIERE ORTOFRUTTICOLO

segue a pag. 32

PUNTASPILLI

BLACK LIST Grande interesse in Rai per la black list dei cibi più contaminati presentata dalla Coldiretti: broccoli cinesi, prezzemolo vietnamita, basilico indiano. Se ne parlerà in una puntata di “Chi li ha visti?” *

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5 GEMMA EDITCO SRL - VIA FIORDILIGI, 6 - 37125 VERONA - I - TEL. 0458352317 /e-mail:redazione@corriereortofrutticolo.it / Poste Italiane Spa Sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/04 n.46) Art. 1, comma 1, DCB VR

Direttore responsabile: Lorenzo Frassoldati Redazione: Emanuele Zanini Hanno collaborato: Chiara Brandi, Lucio Bussi Sede operativa via Fiordiligi, 6 37135 Verona Tel. 045.8352317-Fax 045.8307646 e-mail: redazione@corriereortofrutticolo.it Editore Gemma Editco Srl Coordinatore editoriale Antonio Felice Comitato di indirizzo Lucio Bussi, Antonio Felice, Lorenzo Frassoldati, Corrado Giacomini, Claudio Scalise (coordinatore), Luciano Trentini Sede legale e amministrativa: via Fiordiligi, 6 37135 Verona E-mail: redazione@corriereortofrutticolo.it P.IVA 01963490238 Fotocomposizione e stampa: Eurostampa Srl - via Einstein, 9/C 37100 Verona Autorizzazione Tribunale di Verona n. 176 del 12-1-1965 Spedizione in abb. postale comma 26, art. 2, legge 549/95 La rivista viene distribuita in abbonamento postale c/c n. 11905379 Abbonamento annuo: 70 euro per due anni: 100 euro abbonamenti@corriereortofrutticolo.it Chiusura in redazione il 25.05.2016

Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

Profilo: Corriere Ortofrutticolo si è affer-

mato come rivista “di filiera” del settore ortofrutticolo italiano. La rivista collega chi produce, chi commercializza e chi vende al pubblico, oltre ai settori connessi (dai macchinari ai trasporti). La diffusione è capillare in Italia, dove si è allargata alla grande distribuzione alimentare e al dettaglio.

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AFRICA MERCATO DEL FUTURO. Seconda puntata: West Africa

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RUBRICHE

MONDO

EDITORIALE Fiere, l’ora delle imprese

Freshfel spinge l’Europa a rafforzarsi nel Mercosur

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Polonia nel mirino: missione con focus ortofrutta a settembre

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Perpignan, il coraggio di aprirsi agli investimenti stranieri

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Mondo flash

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GENTE&FATTI Il CSO allarga la base Bruni resta presidente

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Pari: “La GDO creda ancora di più nel biologico”

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NOTIZIARIO

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ATTUALITÀ Primo Piano Africa mercato del futuro West Africa da scoprire

SCHEDA PRODOTTO

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Primo Piano Africa mercato del futuro FOCUS. Ghana, Costa D’Avorio e Senegal sono le locomotive economiche dell’ECOWAS

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Copertina - Protagonisti FABIO MASSIMO PALLOTTINI Il rilancio dei Mercati

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TERREMOTO FIERE. Accordo Milano-Verona

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Made in Italy, 10 anni di declino nel commercio mondiale

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Nel trend dei consumi ‘esplode’ l’innovazione. Bio +20,3%

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Pesche, nettarine e albicocche: il clima taglia la produzione

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CILIEGIA

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FRAGOLA

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MELONE

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GENTE &

FATTI

CORRIERE ORTOFRUTTICOLO

Il CSO allarga la base Bruni resta presidente Il 22 aprile il CSO di Ferrara ha rinnovato i vertici, ha ritoccato il nome, ha accolto nuovi membri e tenuto una tavola rotonda sulla filiera dell’ortofruta nel mercato globale. Paolo Bruni (nella foto) è stato confermato alla presidenza così come Cesare Bellò di OPO Veneto e Carlo Manzo di Ortofruit Italia alla vice presidenza. In consiglio di amministrazione è entrato Fabio Massimo Pallottini in rappresentanza di Italmercati Rete d’Imprese e del CAR di Roma, entrambe new entry nel Consorzio. Al nome CSO è stato aggiunto ‘Italia' con l’opzione di utilizzare - come è subito dopo avvenuto - il nome 'CSO Italy' per le iniziative all’estero e di internazionalizzazione. “Il CSO - ha dichiarato il presidente Bruni introducendo la tavola rotonda successiva all'assemblea - è una realtà unica in Italia che associa 65 imprese tra produzione e filiera con le quali si attuano progetti e strategie per la

crescita e lo sviluppo del settore. Oggi abbiamo riunito importanti protagonisti e istituzioni del comparto ed insieme abbiamo condiviso le necessità e le strategie più urgenti. Serve una spinta all’innovazione e serve un’internazionalizzazione vera delle imprese attraverso la conquista di nuovi spazi sui mercati del mondo. Ma non solo, serve un’aggregazione sempre più stretta, serve razionalizzazione della logistica ed una voce univoca che chieda infrastrutture e investimenti in sostenibilità”.

Santambrogio sostituisce Pugliese in ADM Cambio di poltrona alla presidenza di ADM, l’Associazione della Distribuzione Moderna. A Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad, succede Giorgio Santambrogio (nella foto), amministratore delegato di Gruppo VéGé, di VéGé Brands e Direttore Generale di VéGé Retail. Pugliese ha, infatti, deciso di rassegnare le dimissioni dalla carica che ricopriva dal 2013, rimarrà negli organi direttivi dell’associazione come vice presidente. L’indicazione di Giorgio Santambrogio, 51 anni, è stata unanime da parte dei tre soci emeriti, Federdistribuzione, Ancc-Coop e Ancd-Conad, e ratificata dagli

Dieci anni positivi per Rijk Zwaan in Italia Rijk Zwaan Italia, la filiale della multinazionale olandese leader nella ricerca, produzione e commercializzazione di sementi da orto, ha raggiunto i suoi primi 10 anni. Era il gennaio del 2006 quando Alessio Pigozzi tagliava il nastro inaugurale delle sede di Calderara di Reno (BO), alla presenza dei partner e dell’organizzazione italiana nonché dei responsabili delle altre sedi europee. Nella splendida cornice di Napoli, in una location sul lungomare della Chiaia, i direttori di Rijk Zwaan Italia Alessandra Brini e Alessandro Silvestrelli hanno

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evidenziato i successi e la crescita della società da dieci anni a questa parte, festeggiando l’importante momento insieme ai colleghi del team. “Questo percorso, positivo e a tratti in salita, è stato un vero e proprio arricchimento per tutti noi. Siamo molto fieri di dove siamo arrivati e degli ambiziosi obiettivi raggiunti” hanno dichiarato i direttori. “Questi primi dieci anni rappresentano un importante traguardo della storia che stiamo scrivendo, giorno dopo giorno.” L’impegno è di continuare su questa strada.

organi di Adm. L’Associazione Distribuzione Moderna è l’organismo che rappresenta il settore della Distribuzione Moderna Organizzata (DMO) nei confronti della produzione e persegue il miglioramento continuo della filiera, all’interno del mondo GS1, dando impulso e favorendo l’efficienza nei rapporti tra gli operatori, coordinandosi costantemente con Federdistribuzione, AnccCoop, Ancd-Conad, che, insieme alle proprie aziende associate, compongono la grande maggioranza di Adm stessa.

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Pari: “La GDO creda ancora di più nel biologico” “La GDO sta rispondendo alle sollecitazioni del mercato e con le sue private label ha indubbiamente accelerato la crescita dei consumi del biologico. Un ulteriore balzo dei consumi è possibile con un cambio di impostazione: invece di limitarsi a rincorrere il mercato, assorbendo proposte e novità come sta facendo, la GDO potrebbe mettere in piedi una vera e propria strategia per il bio, strutturata per category ed aprire con maggiore coraggio ai marchi dei produttori”. Così Paolo Pari (nella foto), direttore di Almaverde Bio, al debutto al Cibus di Parma il 7 maggio. Un’esperienza fieristica che Pari

giudica positivamente. Il primo trimestre 2016 di Almaverde conferma la crescita a due cifre che ha caratterizzato il 2015 (+17% a fine anno con un valore al consumo di 67,6 milioni di euro). “Stiamo assistendo – afferma il mana-

ger – ad una crescita diseguale. Il settore del fresco conferma una crescita costante ma ci sono settori che stanno letteralmente esplodendo. Mi riferisco ai prodotti di quinta gamma e a tutte le innovazioni che abbinano prodotto e servizio. Il biologico è oggi una fucina di innovazione. Ogni sei mesi almeno, in molte aziende, succede qualcosa di nuovo in termini di proposte di nuovi prodotti. Il settore è creativo. Non dobbiamo però dimenticare la cosa più importante: mantenere alto il livello di garanzia per il consumatore, non possiamo deluderlo”. Accanto alla GDO, Almaverde Bio sta sviluppando la distribuzione nel normal trade e nell’horeca. In crescita la quota export, focalizzata in particolare su Germania, Francia e Svezia.

Radicchio IGP di Chioggia: sì a Boscolo

Distretto agrumi: le nuove cariche

Scarpellini al Mercato di Cesena

Giuseppe Boscolo Palo (nella foto) è stato confermato per acclamazione presidente del Consorzio di Tutela del Radicchio IGP di Chioggia. Come previsto dal nuovo statuto, sarà affiancato da un vicepresidente, il produttore e confezionatore Patrizio Garbin. L’assemblea del 26 aprile ha confermato in consiglio Michele Boscolo Nale, Roberto Boscolo Bacchetto, Claudio Ferro, Cesare Bellò e Roberto Pavan, e nominato i nuovi consiglieri Vittorio Agostini ed Emanuele Baldin. “Questo nuovo gruppo dirigente – ha dichiarato Giuseppe Boscolo – è costituito da persone fortemente motivate e decise ad agire”.

Rinnovate le cariche del Consorzio Distretto Agrumi di Sicilia. L’assemblea dei soci ha confermato alla presidenza Federica Argentati e alla vicepresidenza Giuseppe Pasciuta, presidente dell’Arancia DOP di Ribera. Questi i consiglieri per il prossimo triennio: Luca Ferlito, presidente della IGP Arancia Rossa di Sicilia, Fabio Moschella, presidente della IGP Limone di Siracusa, Attilio Interdonato, presidente della IGP Limone Interdonato di Messina, Giovanni D’Agati, presidente del Consorzio Tardivo di Ciaculli. In rappresentanza del biologico Francesco Ancona, della OP Agrinova Bio. Riconfermati Ivan Mazzamuto, Franco Tumale, Salvatore Imbesi Salvatore Battiato. Nuovo eletto Pascal Giuliano.

Domenico Scarpellini (nella foto) è stato confermato presidente del Mercato Ortofrutticolo di Cesena. La conferma è avvenuta in occasione dell’assemblea dei soci. Anche nel 2015 si è superata la quantità di 100 mila tonnellate di prodotto commercializzato così suddiviso: frutta fresca (40.722,2 tonnellate), ortaggi (45.079,3 tons), frutta secca (1.067,6 tons), Agrumi (13.377,3 tons) per un totale di 100.296,4 tonnellate. A breve partiranno i lavori per la nuova viabilità interna. Il tutto per migliorare l’efficienza e diminuire gli sprechi. È allo studio l’ampliamento della piattaforma per la distribuzione.

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GENTE

FATTI &

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Italmercati: anche Cagliari è entrato nella Rete Dopo Roma, Milano, Torino, Firenze, Napoli, Bologna e Verona, anche Cagliari fa parte della Rete d’Imprese Italmercati. L’annuncio è stato dato al termine del Comitato di Gestione svoltosi il 5 maggio a Verona, a margine di Fruit&Veg System, dal presidente Fabio Massimo Pallottini: “Abbiamo ritenuto di accettare in Italmercati questo grande mercato regionale, forte di 70 operatori, che ci aveva chiesto lo scorso aprile di aderire alla Rete. E penso che la soddisfazione sia reciproca. Il Mercato di Sestu, che movimenta in un anno oltre 150 mila tonnellate di ortofrutta, ed ha una gestione completamente privata, è infatti un altro tassello di un disegno nazionale che deve portare la nostra Rete ad essere il vero baricentro del sistema mercatale italiano, che oggi ha bisogno di farsi conoscere e riconoscere per quello che vale, una realtà fondamentale della filiera agroalimentare e ortofrutticola in particolare. Siamo entrati nel WUWM, siamo entrati nel CSO, intendiamo essere e siamo una realtà aggregante e propositiva – aggiunge Pallottini. La realtà dei Mercati italiani va razionalizzata e semplificata, bisogna aggregare. Cagliari, che per il 50% vive di traffici regionali ma che per il restante 50% è interessato a flussi commerciali nazionali e internazionali, rappresenta un’ulteriore

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tappa significativa in questa direzione”. Il Comitato di Italmercati, nella riunione veronese, ha toccato anche altri argomenti. Tra questi, la relazione del presidente sull’incontro avvenuto all’Ufficio centrale dell’Agenzia delle Entrate sull’IMU. Il vicedirettore generale dell’Agenzia, Gabriella Alemanno, ha chiesto a Italmercati di ricevere una ‘fotografia’ della situazione dei vari Mercati della Rete come premessa alla predisposizione di un provvedimento ad hoc. “E’ stata una riunione positiva – ha commentato Pallottini -, stiamo portando all’evidenza il concetto che i Mercati svolgono una funzione di pubblica utilità e in quanto tali le aree interessate dalle loro attività vanno esentate dall’IMU”.

azioni di sostegno per le imprese interne in questo periodo di difficoltà”. Ad illustrare i dati del Mercato patavino è stato il presidente Fausto Dorio. La relazione sulla gestione ha evidenziato i principali investimenti, le manutenzioni sulla struttura (per circa 420 mila euro) ed una crescita (+1%) dell’ortofrutta commercializzata, a fronte di un’attività di esportazione che raggiunge circa il 55% del fatturato globale espresso dagli operatori. Il presidente del MAAP si è soffermato sugli aspetti gestionali: le attività per missioni economiche all’estero incrementate rispetto al 2014, l’aumento di azioni di marketing per ampliare il proprio bacino di clientela, la realizzazione di nuove attività per l’ottimiz-

NOTIZIARIO

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Presto al MAAP una nuova piattaforma logistica Il MAAP, Mercato agroalimentare di Padova, ha approvato il bilancio 2015 nell’annuale assemblea dei soci. I numeri parlano di un patrimonio netto a 9 milioni 750 mila euro, segnando un +3% rispetto al 2014 con un valore alla produzione di 5 milioni 365 mila euro, il 10% in meno rispetto all’anno precedente, con un utile ante imposte di 512.292 euro, che segna un calo del 38% sul 2014. “Un ribasso voluto e controllato - ha spiegato il direttore Francesco Cera -. Abbiamo infatti dedicato parte dell’utile ad

zazione energetica, l’ampliamento dell’impianto di videosorveglianza interno, la rimessa a nuovo di impianti di sicurezza anti incendio, la messa in sicurezza anti sismica di tutto l’immobile. E' di prossima definizione la costruzione di una nuova piattaforma logistica interna nonché di ulteriori infrastrutture attrezzate in

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Buoni per natura e l’aria pura Fragole, lamponi e ciliegie dell’Alto Adige

In Alto Adige le fragole maturano da giugno a fine settembre, i lamponi da giugno a ottobre e le ciliegie da fine giugno a fine agosto. Crescono in montagna e all’aria pura. Per questo hanno un sapore più intenso, sono profumati, genuini e ricchi di vitamine. www.fragolealtoadige.com, www.ciliegiealtoadige.com


particolare per dare supporto logistico a nuovi clienti acquirenti. “Questo - sottolinea una nota del MAAP - a testimonianza di un Mercato, primo in Italia per capacità di export, che non si ferma nella propria attività, anzi la persegue con passione e tenacia”.

Primo treno Fresh Corridors da Venezia a Rotterdam È partito dal Porto di Venezia il primo treno “pilota” del Fresh Fruit Corridors che vede impegnata l’Autorità Portuale di Venezia, lo spedizioniere VLS Veneta Lombarda e l’operatore ferroviario Rail Cargo Austria nella realizzazione della prima catena logistica per container refrigerati e merci deperibili destinate ai mercati europei. Un sistema interamente intermodale che fonde assieme nave e treno, cofinanziato dall’Unione Europea con 10 milioni di euro (di cui 1,5 milioni investiti a Venezia) con l’obiettivo di sostenere, sperimentare e implementare servizi di trasporto veloce per i prodotti alimentari freschi provenienti da Israele, Giordania e Palestina. Sono sbarcati a Venezia i primi 30 containers refrigerati contenenti patate provenienti da Israele, dopo i controlli fito-sanitari e le formalità doganali di transito, gli stessi sono stati instradati via ferrovia e

NOTIZIARIO

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spediti a Rotterdam su un treno a temperatura controllata, la vera innovazione del progetto.

Pesche precoci: il Sud può competere con la Spagna “L’Italia ha tutte le carte in regola per competere alla pari con la Spagna sulle produzioni precoci di pesche e nettarine. La grande distribuzione italiana prenda coscienza di questo fattore determinante”. Lo afferma Marco Eleuteri, responsabile commerciale dell’AOP Armonia di Battipaglia (Salerno), una delle principali realtà del Mezzogiorno nella produzione e commercializzazione di drupacee e non solo. “Anche l’Italia riesce ad anticipare le produzioni in maniera eccellente e migliore della Spagna”, sottolinea. Le nettarine precoci italiane stanno prendendo piede. “In Campania abbiamo terminato le produzioni sotto serra della varietà precoce acida Flariba, con i primi stacchi iniziati il 29 aprile”, rivela Eleuteri. “In pieno campo siamo partiti ill 13 maggio”. Un netto anticipo sulla media. E sempre il 13 maggio è partita la raccolta della varietà subacida Alice coltivata sotto serra. Anche qui un evidente anticipo rispetto al 2015 quando all’AOP Armonia si era partiti il 22 maggio. “E i calibri sono importanti: AA-A e B”, pre-

cisa Eleuteri che lancia un segnale forte alle catene distributive. “I buyer delle insegne italiane riflettano sul fatto che oggi per la grande distribuzione diventa meno strategico puntare sulle produzioni precoci di pesche e nettarine spagnole. C’è la concreta possibilità di coprire tutta la stagione con prodotto italiano”. All’estero sembra abbiano già intuito questa possibilità. “Nella settimana 19 abbiamo esportato 60 mila chili di pesche e nettarine in Germania”. Il 14 maggio è partita la raccolta dei primi volumi di pesca Saturnia, con una previsione produttiva di 13 mila quintali complessivi (il 25% in Campania e il 75%, da fine maggio-inizio giugno, nelle Marche), con un +15% sul 201 grazie all’introduzione di nuovi impianti. (e.z.)

Uva da tavola: in Italia nel ‘17 il Simposio mondiale Un appuntamento inclusivo di tutto il mondo della viticoltura, dai ricercatori ai tecnici fino ai

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produttori. È questo lo spirito con cui il Comitato organizzatore dell’Ottavo Simposio Internazionale dell’Uva da Tavola (ITGS 2017) sta cercando di definire i dettagli dell’evento in programma dal 3 al 7 ottobre 2017. Nell’ottica di una maggior partecipazione dei professionisti interessati la manifestazione è stata presentata, a più di un anno dall’apertura dei lavori, durante una tavola rotonda tenutasi il 6 maggio al Fruit&Veg System di Verona. Al tavolo, tra gli altri, i tre coordinatori dell’evento: Vittorino Novello, professore all’Università di Torino, Laura De Palma, professoressa all’Università di Foggia, Rosario Di Lorenzo, professore all’Università di Palermo. Il Simposio è un summit itinerante a cadenza quadriennale di rilevanza mondiale. Viene organizzato in location di primo piano in fatto di produzione di uva da tavola: nel 2014 si

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svolse in Australia e ora toccherà all’Italia. Sarà un’edizione sui generis poiché anticipata di quasi un anno (inizialmente era prevista per luglio 2018), così da svolgersi in contemporanea con Agrilevante, creando un link tra le manifestazioni e fare sistema. Un obiettivo raggiunto anche grazie alla volontà delle OP di produttori, che a loro volta hanno in animo di organizzare un Salone dell’uva da tavola proprio nella stessa settimana. Il calendario delle giornate è già stato definito: convegni, seminari, visite in campo e workshop sono in programma nei luoghi maggiormente rappresentativi per la ricerca e la produzione italiana in Puglia e Sicilia. Negli ultimi anni l’Italia ha perso importanza nel panorama internazionale dell’uva da tavola, la volontà degli organizzatori è affermare che possa tornare un Paese all’avanguardia.

Patate: il punto e le previsioni. Regge il Sud Italia

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“L’osservatorio Cepa, seppur con i suoi limiti, è uno strumento importante in grado di consentire agli operatori del settore di fare valutazioni importanti in un’ottica di maggior organizzazione del mercato. Migliorando in questo senso si potrebbe colmare quel gap di offerta tale per cui in Italia si è costretti a importare patate da altri Paesi”. Con queste parole Luciano Trentini, coordinatore del Centro Documentazione per la Patata, ha sintetizzato l’utilità dell’analisi presentata durante il convegno dal titolo “Patate da consumo fresco: la situazione produttiva e commerciale in Europa e Italia”, tenutosi il 6 maggio nell’ambito del

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L’ortofrutta a ‘Report’ Obiettivo mancato

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Da “la Coop sei tu” a “la banca sei tu?”. Aggiornando il popolare slogan della prima catena distributiva nazionale di matrice cooperativa, il magazine televisivo Report di Rai3 ha messo in onda la sera del 9 maggio l’inchiesta sulla vicenda Coop-Celox che noi del Corriere Ortofrutticolo avevamo per primi raccontato in esclusiva sul nostro notiziario on line. Va detto subito che – dal punto di vista del settore ortofrutta – l’inchiesta (andata in onda alle 23, dopo un interminabile servizio sulla vicenda migranti) è stata una delusione. Si è persa un’occasione preziosa per parlare di ortofrutta dal punto di vista delle imprese, accendendo i riflettori su temi (i rapporti tra fornitori e Gdo, i prezzi, le condizioni imposte dalle catene, l’art. 62) che il cittadino-consumatore ignora quando si aggira tra i banchi del supermercato. Tanto più che la troupe di Report si era spinta fino a BerlinoFruit Logistica (evento mai capitato finora) quindi aveva a disposizione, dal vivo, i protagonisti del comparto. La vicenda Coop-Celox, nata dalla sentenza dell’Antitrust ai danni di Coop per violazione proprio dell’art. 62, è stata solo il pretesto per parlare di quello che era il vero focus dell’inchiesta: la finanza cooperativa, la gestione del prestito sociale, la surrettizia attività di banca che la Coop svolge all’insaputa di Banca d’Italia (così almeno pare…), i con-

trolli affidati al ministero dell’Economia che li affida a Legacoop (!!??), gli investimenti sbagliati in Monte dei Paschi, il crack di due cooperative di consumo in Friuli dove i soci prestatori hanno perso decine di milioni di euro, i bilanci Coop tenuti in piedi più dalla finanza che dall’attività caratteristica… Tutti argomenti interessanti ma che con l’ortofrutta hanno poco a che fare. L’art. 62, voluto fortemente dal Ministero su pressione del mondo produttivo, doveva risolvere e regolamentare i rapporti tra fornitori e GDO stabilendo tempi certi per i pagamenti e vietando accordi extracontrattuali e pratiche sleali. Di questa norma, della sua applicazione, della sua efficacia, si sono perse le tracce: funziona, non funziona, va aggiornata, va revisionata? Off records tutti dicono che viene aggirata, tranquillamente bypassata, e che poco è cambiato. Però ufficialmente nessuno ne parla, nessuno si espone, nessuno mette a rischio i propri rapporti commerciali. Il che è anche comprensibile. Sollevare temi e argomenti delicati è compito della libera informazione, in particolare del Servizio pubblico Rai. Tante volte Report l’ha fatto, magari facendo imbufalire qualcuno. Questa volta l’obiettivo era un altro. L’ortofrutta, entrata per un attimo sotto i riflettori della grande informazione nazionale, ne è uscita subito. Peccato. (l.f.)

Fruit&Veg System di Verona. Tra i principali competitor a livello europeo, l’Italia è all’ultimo posto in termini di superficie dedicata alla produzione di patate con una media nel biennio 2013-15 di appena 60.310 ettari e volumi intorno ai 1,5 milioni di tons. Nello

stesso periodo la Polonia è il primo Paese in UE per estensione della produzione: si sono raggiunti 308.000 ettari ottenendo 6,5 milioni di tonnellate. Il principale Paese in termini di volumi, grazie ad una ottima resa per ettaro, è la Germania con quasi 7,6

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milioni di tonnellate a fronte di investimenti per 163.105 ettari. Giunti ormai alla fine della stagione commerciale 2015-16, in Europa sta iniziando la campagna di produzione 2016. In Spagna l’andamento meteorologico, caratterizzato da abbondanti piogge, ha ritardato l’avvio delle semine anche se le superfici dedicate sono previste in aumento del 5/7 %. Tuttavia la scarsa disponibilità di acqua dell’ultimo periodo sta condizionando i contratti per il prodotto da industria. Le esportazioni inoltre potrebbero soffrire la presenza del coleottero Epitrix, che renderà necessario lavare e/o spazzolare i tuberi provenienti dalle aree infette. In Francia, tra i più importanti esportatori di patate di qualità, al momento gli stock sembrano essere in diminuzione ma sufficienti fino a giugno. Tra le cultivar più quotate: Agata con valori variabili dai 34 ai 36/37 centesimi al produttore e Marabel tra i 32 e i 34 cent. Anche quest’anno la strategia speculativa messa in atto dai francesi è stata vincente nonostante la forte concorrenza tedesca, soprattutto verso i mercati dell’Est. Il volume d’affari per la filiera d’Oltralpe ha raggiunto i 148 milioni di euro nel mese di febbraio (il 90% in più rispetto allo stesso periodo del 2015, definito anno horribilis). In Belgio a trainare i prezzi del mercato è l’industria di trasformazione, che lo scorso anno ha battuto ogni record precedente con 4 milioni di tonnellate (+4,4% sul 2014). Il mercato del fresco sembra invece stabile. In Germania è terminata la vendita delle patate da consumo fresco. I pochi stock rimasti sono di bassa qualità anche a causa delle temperature invernali che hanno condizionato le scorte di prodotto nei magazzini. Una situazione che nell’ultimo mese ha favorito l’import di tuberi di qualità dalla Francia, che rappresenta una sorta di novità nei rapporti commerciali tra queMaggio 2016


sti Paesi. L’andamento delle vendite risulta caratterizzato da un trend positivo, soprattutto nel periodo luglio 2015-gennaio 2016 con un aumento delle esportazioni del 40% verso Italia, Austria, Danimarca e Repubblica Ceca. In Inghilterra, nonostante il calo produttivo, i volumi raccolti sono stati sufficienti a soddisfare il mercato interno per quasi l’intera campagna. Solo nell’ultimo mese si è riscontrata una crescente richiesta di prodotto francese per integrare la minore qualità di quello locale. In generale, tuttavia, non sembrano esserci particolari preoccupazioni e i prezzi si stanno mantenendo buoni. Anche in Polonia la commercializzazione della produzione 2015 sta volgendo al termine. Lo scorso anno le rese produttive si sono attestate intono alle 21,7 tonnellate per ettaro, in decisa diminuzione rispetto alle 27,8 tonnellate

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del 2014 a causa dello sfavorevole andamento climatico. Il calo della produzione ha favorito un aumento dei prezzi importante, circa il 37% in più rispetto al 2014. Infine in Italia si è osservata una campagna di commercializzazione 2015-16 tra alti e bassi: non sempre la qualità si è mantenuta a livelli elevati e in certi casi gli scarti sono stati importanti. Per il 2016 si prevede un aumento dei volumi prodotti al Sud, soprattutto in Puglia e Campania, mentre sembra in leggera contrazione la produzione al Nord. Unica Regione in controtendenza rispetto al trend negativo della macro-area dovrebbe essere l’Emilia Romagna. Passando all’analisi delle patate novelle, in Israele l’andamento climatico ha penalizzato la produzione tanto che la commercializzazione ha subito un ritardo di

circa 15 giorni. A inizio maggio i prezzi oscillavano tra i 42 e i 47 centesimi franco partenza per il prodotto di buona qualità. Sia in termini di qualità che di disponibilità sul mercato si stima una stagione nella norma con un export nell’ordine delle 230 mila tonnellate. Circa le novelle siciliane la valutazione è positiva: buona la produzione, buona la qualità e buoni i quantitativi ottenuti. I prezzi di mercato si mantengono tra i 50 e i 55 centesimi. Infine, di scarso interesse il mercato delle novelle provenienti da altre zone vocate del Mediterraneo, in particolare dall’Egitto, dove le disponibilità modeste e le difficoltà nelle esportazioni riducono le spedizioni. Analoga situazione per il prodotto tunisino mentre leggermente più presente sul mercato europeo la patata novella proveniente dal Marocco. (c.b.)

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ARANCIA ROSARIA. PERFETTO EQUILIBRIO TRA GUSTO E BENESSERE. Ricca di vitamine A, B, PP e C, ideale come coadiuvante della cura degli stati influenzali

Ricca di antiossidanti contro l’invecchiamento

Una sferzata di energia, ideale per chi pratica sport

Effetti benefici sulla microcircolazione

Oggi Rosaria è anche una spremuta 100% di arance rosse, sempre fresca e disponibile tutto l’anno.


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VIAGGIO NELL’AFRICA CHE CAMBIA/2. I Paesi ECOWAS

West Africa da scoprire Chiara Brandi Antonio Felice Sentite Stephen Mintah, direttore generale di SPEG, uno dei più importanti gruppi del Ghana, specializzato nella produzione e commercializzazione di ortofrutta e nell’export di ananas, interessato a importare mele, uva da tavola, pere e fragole dall’Italia: “Le condizioni climatiche ottimali, il suolo idoneo alla produzione di frutta e ortaggi, l’enorme disponibilità di terre, la crescente domanda sono tutti fattori che conferiscono al settore agroalimentare ghanese un’enorme potenzialità. Il mio Paese è pronto ad affrontare tale crescita: abbiamo un buon know how tecnico, abbiamo una lunga esperienza e sappiamo come produrre nel rispetto degli standard internazionali. La domanda per

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Tra i 15 Paesi della Comunità Economica che fa perno sulla Nigeria, almeno tre sono interessanti per gli investimenti e l’import-export: Ghana, Senegal e Costa D’Avorio l’ortofrutta fresca ghanese è tanta e proviene da molti Paesi dell’Europa, dalla Russia e Medio Oriente. Il Ghana, al momento, è in grado di soddisfare le richieste; l’unica cosa di cui avremmo bisogno è un aumento del capitale investito nello sviluppo di nuovi prodotti per il mercato. Anche sotto il profilo dell’irrigazione bisognerebbe migliorare qualcosa: le risorse idriche ci sono ma le terre spesso soffrono di carenza d’acqua. Le istituzioni e i privati stanno facendo molto per migliorare il sistema agricolo locale lavorando in questo senso. Il Governo si sta concentrando per svi-

luppare il sistema idrico e per fornire alle fattorie strumenti tali da migliorarne l’operatività. C’è molto potenziale per un futuro prospero! Il sistema logistico è ben sviluppato: in Ghana ci sono due porti e il transit time per il trasporto delle merci via mare verso l’Unione Europea è davvero molto breve. Inoltre c’è un aeroporto internazionale da cui, in sei ore, è possibile raggiungere l’Europa, una soluzione ottima per il trasporto di frutta e verdura. Anche le infrastrutture lungo la catena di produzione sono adeguate: abbiamo aziende agricole efficienti, strutture per l’imballaggio dei

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Cina e America si fronteggiano sul mercato africano L’Italia è in grave ritardo ma cerca di recuperare di Lucio Bussi L’Italia torna a mettere l’Africa nell’agenda degli affari internazionali. Lo fa con ritardo e dopo fasi alterne di attenzione verso il Continente che sarà nel medio e lungo termine - pur con le sue contraddizioni e nell’instabilità politico sociale - uno dei fulcri dello sviluppo economico mondiale. Altri Paesi da anni ne hanno dapprima intuito e poi colto le opportunità: a cominciare dalla Cina che, dopo le intese terzomondiste della metà degli anni Cinquanta, alla fine del secolo scorso, e più decisamente all’inizio degli anni Duemila, ha dato un’accelerazione imponente sul fronte economico. Nell’ottobre del 2000 si tiene a Pechino il primo Forum per la cooperazione Cina-Africa a cui partecipano 80 ministri del Commercio e degli Affari esteri di 44 Paesi africani, oltre a quattro capi di Stato. Il Forum, che si tiene ogni tre anni, nella sua prima edizione vede la firma di 40 accordi economici tra la Cina e vari Paesi africani. A dicembre dello scorso anno si tiene in Sudafrica il quinto Forum e tra le decisioni assunte c’è lo stanziamento di investimenti da parte di Pechino per 60 miliardi di dollari per lo sviluppo del Continente. Una cifra imponente in cambio della quale la Cina si garantisce l’approvvigionamento di energia e materie prime. Oggi Il gigante asiatico è il primo partner commerciale del Continente: nel 2009 ha superato Stati Uniti ed Europa con circa 200 miliardi di dollari di interscambio, primato che mantiene nonostante il rallentamento dell’economia. La presenza cinese in Africa, tra l’altro, ha segnato un’accelerazione negli ultimi dieci anni circa del fenomeno del

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“land grabbing”, cioè l’accaparramento di terre fertili da parte di Paesi stranieri, fondi di investimento e multinazionali, con controverse ricadute economiche sulle popolazioni locali. La Cina non è ovviamente l’unico Paese interessato alle ricchezze africane. Gli Stati Uniti stanno cercando di rimontare la distanza con la Cina, ma l’interscambio con il continente è ridotto, in valore, a circa un quarto di quello di Pechino. Altri Paesi non stanno a guardare: il Giappone ha investito in Africa circa 32 miliardi di dollari sinora, di cui 6,5 in sole infrastrutture, ma anche India, Arabia Saudita, Russia, Brasile, Turchia, Corea del Sud e Malesia stanno consolidando e ampliando i loro legami economici con l’Africa. Nella Vecchia Europa soprattutto Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania hanno radicati rapporti grazie alle relazioni con le ex colonie. La Gran Bretagna è, tra i Paesi europei, quello che destina la maggior parte di investimenti diretti esteri in Africa. La Francia ha rapporti bilaterali molto intensi che si manifestano anche con impegni militari diretti formalmente per operazioni di polizia internazionale, ma in realtà a sostegno delle proprie società attive nello sfruttamento delle materie prime agricole e minerarie, a cominciare dal petrolio. L’Italia ha guardato per molti anni con distacco all’Africa; questo disinteresse ha portato a un ritardo nella creazione di relazioni economiche mentre, come abbiamo visto, da almeno una quindicina d’anni l’attenzione dei grandi Paesi investitori del mondo ha avuto un’accelerazione in molti dei 53 stati africani. Le avventure coloniali in Corno d’Africa e in Libia tra Ottocento e

Novecento hanno lasciato qualche retaggio nelle relazioni di quella porzione di Continente con l’Italia; è stato proprio dalla Somalia che nel 1953 è iniziata l’attività di esplorazione petrolifera all’estero dell’Eni su iniziativa dello storico presidente Enrico Mattei che vedeva nella tecnologia e nell’Africa i due capisaldi della crescita della società. Attività che oggi prosegue in molti altri Stati. Tuttavia la politica estera, commerciale e di cooperazione dell’Italia in Africa non è mai stata molto attiva e rischiava di tagliare fiori il nostro Paese da enormi future potenzialità economiche. L’interesse si è risvegliato nel 2013, dopo anni di crisi economica, con la necessità da parte del governo di cercare nuove opportunità di ripresa. Nel dicembre di quell’anno viene lanciata dal ministro degli Esteri, Emma Bonino, l’Iniziativa ItaliaAfrica che è l’innesco per una serie di iniziative e occasioni per scoprire le potenzialità dei mercati africani emergenti. Si intensificano anche le missioni diplomatiche passate senza troppe evidenze sui media nazionali: il capo del governo italiano Matteo Renzi promuove inaspettatamente tre missioni in un triennio, visitando dapprima l’area centro-australe (Mozambico, Angola e Congo Brazzaville), poi l’Africa orientale (Kenya ed Etiopia, con tanto di visita all’Unione Africana) e infine toccando il fronte occidentale all’inizio di

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prodotti, industrie di confezionamento e ci sono le giuste regolamentazioni. Gli strumenti per un’ulteriore crescita delle esportazioni ci sono!”. E i rapporti con l’Italia? “Abbiamo - risponde Mintah - una nave che sbarca a Vado Ligure con i nostri ananas. Un’altra sbarca a Port Vendres e poi ancora abbiamo collegamenti navali con Regno Unito e Belgio. La nave che raggiunge Vado potrebbe tornare con ortofrutta italiana. Stiamo studiando questa possibilità e i contatti avuti nel business tour organizzato per noi in Italia all’inizio di aprile da Omnibus Comunicazione è stato prezioso per le indicazioni che abbiamo ricevuto in termini di varietà, qualità, prezzi e fornitori potenziali”.

Il Ghana è forse la punta più avanzata in Africa Occidentale in termini di sviluppo, anche se nell’area non mancano altri Paesi interessanti. In Ghana è possibile importare ed esportare ortofrutta, sono interessanti gli investimenti anche perché esistono potenziali partner affidabili. Anche Costa d’Avorio e Senegal offrono opportunità così come piccoli Paesi come il Togo mentre i rapporti con la Nigeria, il gigante della West Africa, richiedono grande prudenza. Sentiamo chi nell’area ha investito, come Bruno Francescon: “Come Op Francescon produciamo meloni in Senegal da ormai 4 anni. Le nostre produzioni si estendono su un’area di circa 150 ettari. Le terre limitrofe, sebbene col-

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quest’anno (Nigeria, Ghana e Senegal). Un’iniziativa corroborata dalla visita a marzo di quest’anno in Etiopia e Camerun del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ultima iniziativa - anche questa non particolarmente valorizzata sui mezzi di comunicazione - è la prima Conferenza ministeriale Italia- Africa organizzata dal ministero degli Esteri a Roma il 18 e 19 maggio. Un vertice a cui hanno partecipato 52 Paesi, con oltre 40 ministri degli Esteri africani e una ventina di rappresentanti delle organizzazioni internazionali. Strategicamente, l’invito è stato rivolto anche ai rappresentanti permanenti dei Paesi africani a New York, così come ai vertici dell’imprenditoria italiana interessata all’Africa. Sul tavolo quattro temi economici e sociali: lo sviluppo economico, la sostenibilità socio-ambientale, le migrazioni e infine i conflitti e la stabilità. Tutti temi strettamente interconnessi tra loro. In particolare, al ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina (nella foto), è stato affidato il panel sulla sostenibilità economica: “Italia-Africa, le sfide per una crescita comune”. Durante la Conferenza è stato sottolineato l’impegno della Cooperazione italiana per lo sviluppo agricolo dell’Africa, con particolare riferimento al sostegno italiano a filiere produttive agricole. Mentre il resto del mondo ha intrecciato con molti stati del Continente relazioni economiche e commerciali di rilievo, l’Italia con queste iniziative cerca di recuperare il terreno perso in anni di incertezze. Ma gli spazi di recupero sono molto esigui.

Bruno Francescon ed Ettore Cagna hanno puntato sul Senegal per i meloni

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Oltre il 40% dei 350 milioni di abitanti dell’area ha meno di 15 anni. E i consumi evolvono rapidamente “Dopo un lungo periodo di noncuranza, l’Agricoltura nei Paesi dell’Africa Occidentale ha finalmente riacquistato un ruolo importante nell’agenda politica dei governi. La classe dirigente e i loro partner economici riconoscono apertamente al settore un ruolo vitale per la crescita economica e la riduzione della povertà”. Inizia con queste parole, il rapporto FAO “Agricultural Growth in West Africa. Market and Policy Driver”, pubblicato nel dicembre 2015, redatto in collaborazione con l’African Development Bank (AfDB) e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS). Uno studio importante dal quale emergono trend interessanti e si descrivono approfonditamente driver di crescita che coinvolgono, e trasformano, l’intero sistema agricolo. Nuove opportunità e nuove sfide sembrano caratterizzare l’economia agroindustriale dei prossimi anni nella macroregione, al centro di profondi e rapidi cambiamenti sia sotto il profilo socio-economico sia demografico. Negli ultimi trent’anni la popolazione di Paesi ECOWAS è più che raddoppiata e le stime parlano di ulteriore crescita: nel 2015 gli abitanti erano più di 300 milioni, nel 2020 si prevede raggiungano

i 388 milioni e nel 2030 addirittura i 490 milioni. Una tendenza che implica il definirsi di una popolazione principalmente “giovane”, con il 44% degli individui al di sotto dei 15 anni di età. Un secondo fattore da non sottovalutare è relativo all’urbanizzazione: nel 2013 il 50% della popolazione abitava in aree metropolitane mentre nel 1990 tale percentuale era di appena il 33%. Nonostante tale fenomeno migratorio dalle zone rurali alle città, la popolazione contadina continua a crescere in termini assoluti. Anche sotto il profilo socio-economico si stanno definendo diversi trend, dalla continua ascesa della classe media alla progressiva riduzione del PIL agricolo fino alla dismissione delle attività di produzione rurale a favore della terziarizzazione dell’economia. Tendenze che implicano cambiamenti importanti del mercato interno, in particolare quello del food, che si troverà a dover far fronte a nuovi bisogni del consumatore, come la richiesta di prodotti convenience e “globalizzati”. Le decisioni di acquisto sono ancora prevalentemente influenzate dal prezzo, ma caratteristiche quali le proprietà nutrizionali, la sicurezza alimentare, la qualità delle materie prime, la freschezza, il packaging, la shelf life, la fruibilità di utilizzo e di consu-

mo stanno acquisendo sempre maggior rilevanza. Richieste talvolta in contraddizione tra loro: la domanda di 'healthy food' è infatti spesso superata dal bisogno di prodotti ad alto contenuto di servizio o dall’attrazione verso uno stile di vita più occidentale. Pubblicità, prodotti innovativi, la presenza di catene internazionali di fast food e di insegne di supermercati di fama mondiale stanno sostenendo e accelerando tali tendenze. Gli effetti dell’enorme trasformazione in atto - seppur frammentaria e a diverse velocità in base all’area geografica – non tarderanno a farsi sentire anche sull’intero sistema agricolo. Per i prodotti di origine animale, riso, pescato e ortofrutta si prevede una decisa espansione del mercato potenziale, che si tradurrà in una buona occasione di guadagno per i produttori e in una opportunità a livello sociale. La creazione di nuovi posti di lavoro che ne scaturirebbe potrebbe stimolare un’ulteriore domanda di prodotti agroalimentari e, a cascata, a giovarne sarebbe l’intero indotto. Attualmente però la certezza è una: il sistema agro-industriale della West Africa - salvo qualche raro caso - è strutturalmente inadeguato e organizzativamente impreparato ad affrontare il nuovo scenario all'orizzonte.

Stephen Mintah del gruppo SPEG del Ghana: “I nostri ananas sbarcano a Vado, la nave potrebbe tornare ad Accra carica di ortofrutta italiana”

tivabili, sono un’enorme distesa di terreno incolto, in parte a causa della mancanza di iniziative private locali. Le prospettive future sarebbero buone; le possibilità ci sono e sono tantissime. Il clima è ottimale: per sei mesi l’anno le condizioni metereologiche sono simili a quelle dei Paesi del Mediterraneo con temperature medie notturne di 12/13 gradi e i 24/25 gradi nelle ore diurne; c’è tanta

disponibilità d’acqua nel sottosuolo (a circa 40 metri) e c’è un grande potenziale in termini di sviluppo del mercato interno grazie alla crescita demografica in atto. L’unico problema è relativo alla logistica, ma non è irrisolvibile. Per noi il mercato senegalese è ormai diventato di importanza strategica. Ci permette di allungare la stagione dei nostri meloni di tre mesi (febbraio, marzo e aprile) e

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prodotti di nicchia a più alto valore aggiunto come fagiolini, frutta e karité. Nel 2014, dopo 12 anni di negoziati, l’ECOWAS e l'Unione Europea hanno firmato l’Economic Partnership Agreement (EPA). In base all’accordo, per un periodo di 20 anni il 75% del mercato dell'Africa occidentale sarà libero da franchigia doganale per beni e servizi di origi-

per questo motivo l’idea è di continuare a investire e a crescere in questo Paese. Nonostante il nostro focus è e rimarrà sui meloni, il potenziale per la produzione di colture orticole annuali come pomodori, peperoni, fagiolini e altri ancora è enorme!”. Un altro operatore che ha guardato al Senegal, Ettore Cagna di Don Camillo: “Questo per noi è il primo anno di esperienza diretta

in Senegal. Nel 2016 infatti abbiamo intrapreso una collaborazione con la società francese Soldive che ci ha permesso di proporre sul mercato italiano meloni di origine senegalese nei mesi di febbraio e marzo. Il giudizio è molto positivo. Il Paese ha dimostrato un’ottima capacità produttiva: il clima e in particolar modo la disponibilità di estesi terreni vergini sono i fattori che più di altri

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ne europea mentre l’entrata nel Vecchio Continente di prodotti provenienti da Paesi dell’ECOWAS sarà completamente libera, a patto che vengano soddisfatti gli standard di qualità comunitari. Gli effetti di tale accordo sul sistema agroalimentare del West Africa sono per ora incerti e dipenderanno dalla capacità dei produttori africani di rispettare i parametri imposti dall’UE e dalla loro capacità di far fronte alla competitività dei prodotti di origine europea, soprattutto nel comparto agroindustriale. In generale, un sistema agricolo

non altamente performante è dovuto ad una serie di problemi strutturali, molti dei quali ulteriormente aggravati da politiche inadeguate. Ma le eccezioni non mancano e persino le eccellenze. L’Organizzazione dell'ECOWAS ha intrapreso un percorso volto alla promozione di una maggiore integrazione agricola regionale che si concentra sulla creazione di un'unione doganale e un’interfaccia commerciale unica con il resto del mondo grazie all’introduzione di una tariffa esterna comune (CET). Inoltre si prevede di raggiungere un’unione economica completa con l’introduzione di una moneta comune dell'Africa Occidentale entro il 2020. Il futuro dell'integrazione regionale, tuttavia, dipende soprattutto dal comportamento dei Paesi più forti: Nigeria, Ghana, Costa d'Avorio e Senegal. Questi, da soli, rappresentano i due terzi della popolazione, oltre l'80% del PIL, i tre quarti delle importazioni agricole e oltre l'80% dell’export dei prodotti agricoli (dati FAO). Hanno dunque una particolare importanza, in grado di influenzare il futuro dell’ECOWAP (ECOWAS Agricultural Policy) che dovrà riuscire ad allineare tra loro gli interessi di tutti gli stati membri della Comunità. Senza questo tipo di armonizzazione, il rischio è che tale politica diventi un mero strumento per imporre le idee sviluppate indipendentemente di ‘4 grandi’ dell’Africa Occidentale. (c.b.)

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Le regioni restano caratterizzate da una profonda dicotomia tra le numerosissime fattorie a conduzione familiare e le poche aziende agroalimentari con enormi produzioni su scala. E se inizialmente le nuove abitudini alimentari erano prerogativa delle sole classi benestanti, gradualmente l’intero mass market sta modificando la propria domanda. Prodotti come gli yogurt al gusto di frutta, succhi di frutta e soft drink sono oggi accessibili anche a consumatori delle classi più basse grazie all’ampio assortimento di confezioni più piccole, dunque meno costose, disponibili sugli scaffali della grande distribuzione. In generale, la crescita della domanda è solo in parte compensata dall’aumento della produzione a livello locale. Da inizio millennio il saldo della bilancia commerciale nell’intera regione sta facendo registrare segno negativo. Infatti, sebbene l’export di prodotti agricoli e alimentari stia crescendo velocemente, l’import fa registrare tassi di crescita ancora più elevati. Le esportazioni inoltre restano prerogativa solo di alcuni dei Paesi di questa grande Comunità economica e si concentrano su pochi prodotti comodità. Il principale esportatore è la Costa D’Avorio che tratta prodotti quali cacao, gomma naturale, caffè, anacardi, olio di palma e banane. L’area vanta, tuttavia, casi di successo nel commercio di

Bruno Francescon: “Per noi il mercato del Senegal è diventato di importanza strategica. La qualità dei meloni che vi produciamo è eccellente”

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FOCUS. Ghana, Costa D’Avorio e Senegal sono le locomotive economiche dell’ECOWAS L’ECOWAS, Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, ha sede centrale ad Abuja, in Nigeria, e comprende i seguenti Paesi: Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Liberia, Mali, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone e Togo. Sono Paesi molto diversi tra loro. Il ‘gigante regionale’ è la Nigeria, terza economia africana dopo il Sudafrica e l’Egitto, con una popolazione record per l’Africa: intorno ai 175 milioni di abitanti, tuttavia piena di contraddizioni e problemi socio-economici, con un’agricoltura dal grande potenziale ma generalmente arretrata. Diamo alcune note su alcuni Peasi che, nell’area, ci sembrano invece avere caratteristiche di maggior interesse per l'operatore economico italiano e per l'imprenditore ortofrutticolo in particolare (ma non sono i soli: anche il Togo, per esempio, per la sua stabilità e buona amministrazione, con una capitale, Lomé, centro finanziario e commerciale ed un porto efficiente, meriterebbe attenzione ed ha una legislazione aperta agli investimenti esteri e alla loro tutela).

GHANA

roni e peperoncini e verdure di origine asiatica (diversi tipi di zucche e okra) sono diventate preponderanti. In generale, il Ghana può godere di buoni vantaggi rispetto ad altri Paesi africani concorrenti (come il Kenya), grazie alle ottime condizioni metereologiche e i minori costi commerciali da sostenere. Un esempio è dato dai bassi costi di trasporto aereo dei peperoni ghanesi da Accra verso l'Europa nordoccidentale, circa 1,05 dollari al chilogrammo, mentre se si considera come luogo di partenza Nairobi tale importo sale a circa 1,75 dollari. Tra il 2001 e il 2007 i peperoni spediti verso l’UE sono passati da 418 a 2.947 tonnellate, mentre l’export totale verso il Vecchio Continente è passato da 25 mila a 36 mila tonnellate. Nel 2011 la Banca Mondiale aveva previsto un trend in aumento delle esportazioni; recentemente tuttavia la cronaca fa pensare che tale crescita possa aver subìto una frenata a causa dei blocchi imposti dall’Europa su alcuni prodotti ortofrutticoli ghanesi per il mancato rispetto di requisiti fitosanitari. L’ultimo embargo, intimato dallo stesso Ministero dell’Agricoltura locale nel settembre 2015 sembra rimarrà in vigore almeno fino al dicembre di quest’anno.

In Ghana, Paese ricco di risorse naturali, l'agricoltura rappresenta il circa il 22% del PIL e impiega più di metà della forza lavoro (52%). In generale, il consumo domestico di ortaggi è ancora relativamente limitato, soprattutto se messo a confronto con altri Paesi africani come il Kenya, ma si sta espandendo molto rapidamente. Oltre alle verdure tipiche locali, la domanda sta crescendo per pomodori e peperoni, che hanno registrato un vero boom, e per cipolla e okra. Tra il 2006 e il 2011 la produzione di pomodori è aumentata in modo significativo, passando da 176 mila a 340 mila tonnellate. Nel panorama generale delle produzioni agroalimentari (vegetali e animali), che vale complessivamente 6,4 miliardi di dollari, le verdure rappresentano un valore di circa 675 milioni. Nel 2011 nella classifica dei 20 beni (vegetali e animali) maggiormente al diciottesimo l’okra (51 milioni). Un dato che rende bene l’idea della crescita in atto nel mercato locale è relativo alle importazioni di cipolla, fresca e disidratata, da vicini Togo e Burkina Faso per un valore di oltre 120 milioni di dollari annui nei soli mercati di Accra e Kumasi. In termini di export, il comparto ortofrutticolo ghanese mostra un ottimo potenziale. Se tradizionalmente i soli frutti esportati erano ananas, banane e manghi, di recente le vendite a paesi terzi di pepe-

Sebbene fragile e basata soprattutto sull'esportazione di materie prime, la Costa d'Avorio è una delle economie più prospere dell'Africa. L’agricoltura rappresenta uno sei settori più importanti del Paese: impiega quasi il 70% della popolazione, contribuendo per il 24,3% al PIL nazionale, e rappresenta il 53% delle esportazioni totali. La Costa d'Avorio è leader a livello internazionale in diverse colture. È il maggior produttore ed esportatore mondiale di caffè, semi di cacao e olio di palma. Si tratta di un aspetto che ne rende l'economia locale in balia delle fluttuazioni dei prezzi internazionali e delle condizioni meteorologiche. Di notevole importanza anche la produzione di banane e ananas, che da sola impiega 35 mila addetti e genera un fatturato annuo di 145 miliardi di franchi ivoriani (FCFA), corrispondenti a più di 221 milioni di euro. Nel 2012, la Costa d'Avorio ha prodotto 377.064 tonnellate di banane, di cui il 90% è stato esportato, soprattutto verso l'Unione Europea. Nel 2014, la produzione è invece stata fortemente penalizzata dalle piogge del mese di luglio che hanno portato ad una ingente perdita di prodotto, non riuscendo così a superare le 300 mila tonnellate. Nonostante il raccolto compromesso, 252.738 tonnellate sono comunque partite

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COSTA D’AVORIO

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AFRICA MERCATO DEL FUTURO

PRIMO PIANO

alla volta del Vecchio Continente e solo 40 mila sono state destinate al consumo locale. Dieci anni di conflitti e guerre, la decisione dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) nel 2009 di ridurre i dazi in entrata per le banane sudamericane verso l’UE, l'abbandono delle piantagioni ivoriane, le catastrofi ambientali dovute al maltempo hanno fortemente compromesso il comparto bananicolo che tuttavia rappresenta ancora un’importante risorsa per il Paese e, al contrario, si pensa possa duplicare l’export in UE entro il 2020. La produzione di ananas costituisce lo 0,6% del PIL nazionale e l’1,6% di quello agricolo. Dei 135 mila ettari dedicati alla coltivazione di frutta in Costa d'Avorio, l’ananas ne occupa 15 mila, pari a circa l'11% della superficie totale. Attualmente l'ananas di origine ivoriana è al secondo posto sul mercato europeo dopo quella proveniente dal Costa Rica. Anche in questo caso le prospettive per il settore sono buone; recentemente Nathan Kalumbu, presidente della divisione Africa e Eurasia di Coca Cola Company, ha mostrato il forte interesse del gruppo di investire nel Paese per espandere la produzione di succo d’ananas. Secondo le stime provvisorie, nel 2015 l’export totale della Costa D’Avorio di frutta tropicale, frutta secca e spezie verso l'Unione europea ha raggiunto i 253 milioni di euro, in crescita del 13,5% rispetto all’anno precedente. Il Paese è inoltre produttore di manioca, riso, mais, miglio, patate dolci e sorgo, ma le produzioni sono destinate soprattutto al consumo locale.

SENEGAL Nel 2015 in Senegal l'economia è stata stimata in aumento del 4,8%, sostenuta dalla crescente produzione agricola e dal miglioramento dell’intera catena di approvvigionamento. I dati definitivi, tuttavia, non sono ancora disponibili. Nel periodo 20092012 l’agricoltura ha contribuito mediamente per il 17% al PIL del Paese. Nel 2012 i principali comparti agroalimentari in termini di volume produttivo e d’affari erano quelli delle arachidi, del riso, della carne e del miglio, seguiti da quello ortofrutticolo (mango, anguria, pomodori e cipolle in primis). Circa l’export agroalimentare, in termini di valore, commodity quali olio di arachidi, farina e estratto di malto sono in cima alla lista; il focus principale tuttavia si concentra su pomodori e fagioli. Grano e zucchero raffinato sono invece i principali prodotti acquistati. Arachidi, riso, carne, e miglio sono i prodotti dominanti in Senegal in termine di volume e valore, seguiti da frutta (mango, anguria e meloni) e verdure.

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Lo sviluppo agricolo in atto in questi ultimi anni coinvolge molte produzioni. Degna di nota, in particolare, è la crescita della produzione di cipolla nel Paese, passata dalle 90 mila tonnellate nel 2001 alle 245 mila nel 2014. L’obiettivo per la stagione 2015-2016 è di raggiungere le 360 mila tonnellate, di cui 175 mila destinate all’esportazione. E non è l’unico caso di successo nel Paese. Il mango è infatti recentemente diventato una delle principali voci di export del Senegal. Il frutto, coltivato quasi completamente in agricoltura biologica, lo scorso anno ha raggiunto volumi in uscita, principalmente verso Europa e Asia, di circa 16.500 tonnellate. Un risultato ottimo considerando che solo tre anni fa le quantità totali erano di appena 8.500 tonnellate. Non a caso le autorità locali considerano l’export di mango una risorsa importante per l’intero Paese, in grado di rilanciarne l'economia. Tuttavia, nonostante i progressi compiuti, il Senegal resta ancora molto indietro nel panorama internazionale e per questo motivo sono stati recentemente avviati piani di sviluppo e promozione del comparto. Tra gli obiettivi anche la creazione di un brand unico a livello nazionale. Il governo inoltre mira a rafforzare la capacità dei soggetti coinvolti lungo la catena del valore attraverso la formazione e la fornitura di attrezzature e materiali al fine di migliorarne la qualità e facilitarne l’accesso ai mercati internazionali. In controtendenza, purtroppo, il comparto bananicolo che attualmente versa in stato di grande difficoltà. Sebbene gli operatori puntino a raddoppiarne i volumi entro i prossimi 4 anni, ad oggi più del 25% delle banane raccolte nel Paese marcisce nei magazzini. Si tratta di una produzione annua di circa 30 mila tonnellate, per un valore intorno ai 6,5 miliardi di FCFA (poco meno di 10 milioni di euro). Carenza idrica, deficit della logistica, scarsi strumenti per la conservazione del prodotto sono tra le maggiori sfide che il settore deve affrontare al più presto per sfruttare al meglio le grandi potenzialità del mercato. Infine, i meloni coltivati in Senegal sono uno dei prodotti oggetto del progetto Terra Equa di Coop, nato per valorizzare le eccellenze agricole di alcuni Paesi ritenuti svantaggiati. Grazie alla vendita di questi meloni all’interno dei supermercati Coop di tutta Italia, nel 2014 si è contribuito alla costruzione di un nuovo presidio sanitario, nel villaggio di Tassette (non lontano dalla capitale Dakar), mentre nel 2015 all’acquisto di strumenti per realizzare analisi mediche nello stesso villaggio. Sono noti gli investimenti in questa coltura di aziende italiane di successo come Francescon e Don Camillo, che dimostrano che il Paese cresce se si investe.

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la carota carota b biologica iologica Al Alce ce N Nero ero

PINZIMONIA PINZI M ONIA DI NOME NOME E DI FFATTO ATT T O

Ecco laa fru EEcco frutta tta e vverdura errdura biologica biologgica Al Alce ce N Nero: ero: o emoso, il peper one Delicato, Delicato, ll’avocado ’avocado Cr Cremoso, peperone il pomodoro pomodoro Piccolino Piccolino e mol te al tre eccellenze. eccellenze. molte altre P Perché erché dar daree un nome ai nostri pr prodo i? odo i? P Perché giusto. erché a noi di Alce Alce Nero Nero piace piace chiamare chiamare le le cose cose nel modo giust o. E ci piace piace che la la bontà, bontà, quella quella vera, vera, sia sempre sempre più vicina alle alle persone persone che amano mangiare mangiare sano, biologico biol ogico e con con o gust gusto. o

alcenero.com al cenero.com

briospa.com


PRIMO PIANO AFRICA MERCATO DEL FUTURO

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contribuiscono alla produzione di un melone di eccellente qualità, con caratteristiche considerevoli in termini di durata, di gusto, di retrogusto e di colore. Circa l’80% della produzione è concentrata sulla varietà Charentais Brodé, un melone tondo ed elegante, dal peso specifico importante e dal colore accattivante. Grazie al trasporto su nave e su gomma via Spagna, i carichi senegalesi raggiungono l’Italia in soli 7 giorni, mantenendo così in buona parte inalterate le proprie caratteristiche. E il mercato italiano ha riconosciuto tali aspetti rispondendo molto positivamente. Dall’inizio dell’anno ad oggi quello senegalese è il prodotto migliore arrivato sul mercato. I nostri campi di Ispica, in Sicilia, sono ormai in piena produzione ma la qualità, seppur ottima, non ha ancora equiparato quella del prodotto africano”. Alessio Abate della Parini di Gambettola: “Nell’ultimo anno l’azienda Parini ha incrementato significativamente le importazioni di fagiolini dal Senegal con l’arrivo di 7-8 carichi nella stagione invernale. Non abbiamo avuto grossi problemi, anzi, il sistema logistico ci è sembrato efficiente anche se caratterizzato da costi importanti. La qualità del prodot-

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to, che noi acquistiamo direttamente da produttori locali, è molto buona. Un’esperienza positiva che ci fa pensare di espandere i rapporti commerciali con il Paese, a patto che si riescano ad abbattere un po’ i costi del trasporto”. Pochi esempi che parlano da soli.

In Africa Occidentale c’è poca Italia rispetto alle potenzialità. Anche il commercio dall’Italia ai Paesi ECOWAS è ben poca cosa: arrivano alcuni container di mele e un po’ di kiwi, niente rispetto a quello che potrebbe essere. Forse occorre abbattere il muro dei troppi pregiudizi.

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PROTAGONISTI

FABIO MASSIMO PALLOTTINI. Un manager in prima linea

‘Ridiamo valore ai Mercati’ Antonio Felice L’Italia dei Mercati sta risalendo la china. C’era stata, a cavallo del 2014, una crisi della rappresentanza nazionale che avrebbe potuto avere conseguenze pesanti sul sistema dopo il fallimento dell’esperienza di Infomercati, una difficile fase di transizione ai vertici di Fedagromercati e una rottura profonda all’interno di Mercati Associati. Pochi, fino alla primavera del 2015, avrebbero scommesso sulla possibilità del sistema dei Mercati italiani di rialzare la testa trovando un nuovo, solido baricentro in grado di rappresentare le istanze dei Centri Agroalimentari italiani a livello nazionale e internazionale. Oggi quel ‘baricentro’ c’è: si chiama Italmercati Rete d’Imprese, un’esperienza portata avanti con impegno da un Comitato di gestione

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L’amministratore del Centro Agroalimentare di Roma ha fatto partire una nuova fase dando impulso anche all’estero alla Rete di Imprese Italmercati

Pallottini, a destra, con Manuel Estrada Nora, presidente del WUWM

dove sono rappresentati i Mercati di Roma, Milano, Torino, Verona, Bologna, Firenze, Napoli e Cagliari e che ha trovato in Fabio Massi-

mo Pallottini, managing director del CAR, un presidente attivo, accorto e attento alle esigenze degli aderenti. I risultati che in poco

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PROTAGONISTI

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CHI è FABIO MASSIMO PALLOTTINI

Fabio Massimo Pallottini è nato a Roma il 28 agosto 1959. Laureato in giurisprudenza con indirizzo economico all’Università La Sapienza, ha sviluppato una consistente esperienza amministrativa e manageriale. Dal 2014 è managing director di CAR Scpa, società realizzatrice, proprietaria e titolare della gestione del Centro Agroalimentare Roma, prima struttura italiana del settore. In questa veste è responsabile della gestione della struttura e ne garantisce i risultati produttivi ed economici. Da marzo 2015 è presidente di Italmercati Rete di Imprese, a cui fanno capo i principali Centri Agroalimentari italiani, prima esperienza italiana di sviluppo del sistema dei grandi mercati agroalimentari. Dal 2015 è membro del Board mondiale del WUWM (World Union of Wholesale Markets). Dal 2016 è consigliere di amministrazione di CSO Italy, organismo per la promozione e lo sviluppo internazionale dell’ortofrutta italiana nel mondo. In precedenza, dal 1994 al 2014 ha coordinato l’attività di CAR con la responsabilità prima di consulente-direttore e, dal 1997, di direttore generale. In questa veste ha curato lo sviluppo progettuale, l’accesso al finanziamento statale, la realizzazione della struttura e di tutte le opere connesse e complementari (oltre 130 milioni di euro di investimento) e coordinato le attività volte al completamento dell’ulteriore sviluppo immobiliare (oltre 30 milioni di euro di investimento in project financing). Dal 2002 al 2014 ha svolto il ruolo di amministratore delegato di Cargest Srl, società titolare della gestione del Centro Agroalimentare di Roma (oggi incorporata in CAR Scpa). Responsabile della gestione e dello sviluppo del Centro, ha curato il trasferimento delle attività e delle aziende commerciali e di produzione operative nei vecchi mercati all’ingrosso, l’apertura e il lancio commerciale della nuova struttura, nonché lo start-up della società. Dal 2004 al 2008 è stato vice presidente di Mercati Associati. Dal 2005 al 2010 è stato Commissario straordinario di ARSIAL, Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio, nonché amministratore unico di Enoteca Regionale srl. In questa veste ha contribuito, in particolare, ad avviare il processo di valorizzazione del patrimonio immobiliare agricolo e alla promozione e sviluppo dei prodotti di qualità della regione Lazio. Autore di numerose pubblicazioni sui temi dello sviluppo economico e territoriale e di relazioni in convegni e work-shop, è stato docente in corsi di formazione con particolare riguardo alle tematiche della formazione imprenditoriale.

più di un anno Italmercati ha portato a casa, lo hanno visto in prima fila. La recentissima firma, a Lublino, dell’accordo che porterà a Roma nel 2017 il congresso mondiale dei Mercati non è che l’ultima tappa di un percorso in crescendo continuo. La Rete oggi rappresenta oltre il 70% del volume d’affari dei Mercati italiani per una cifra superiore ai 6 miliardi di euro. Fabio Massimo Pallottini, per il suo impegno in Italmercati, è il

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Protagonista di maggio del Corriere Ortofrutticolo. Lo abbiamo intervistato. Italmercati si è costituita ufficialmente il 12 marzo 2015 a Firenze, forte delle adesioni di Roma, Milano, Torino, Firenze e Napoli. Poteva fermarsi lì, invece in 12 mesi si sono aggiunti, per loro richiesta, il Mercato di Verona, poi di Bologna e infine di Cagliari. Qual è il segreto di questo successo? “Evidentemente ci siamo dati un

progetto che piace ma soprattutto che è utile. Come ho detto a Berlino lo scorso febbraio presentando la nostra iniziativa a livello internazionale, Italmercati mette in rete competenze e opportunità. Vogliamo marcare un cambiamento tangibile delle modalità operative basato sulla condivisione delle buone pratiche. Abbiamo di fatto inaugurato una nuova stagione, ragionando in termini di Sistema Italia. Ci sono 120 mercati all’ingrosso nel nostro Paese; il futuro passa per una razionalizzazione della geografia nazionale e il rafforzamento di tutti i rapporti dentro e fuori la filiera. Vogliamo essere lo strumento e il volano di questa strategia”. Pensa che anche altri Mercati chiederanno di aderire? “Quello che è prioritario in questa fase non è allargare la base degli aderenti quanto perseguire con concretezza gli obiettivi che ci siamo dati. Vogliamo ridare dignità e ruolo ai grandi Mercati italiani, perché se muoviamo quantità e quattrini per miliardi di euro siamo tuttavia vissuti come la Cenerentola della filiera. L’invito ministeriale dell’11 Maggio a salire a bordo del progetto per l’agroalimentare, annunciato dal Capo Dipartimento Luca Bianchi, ripaga i nostri sforzi”. Ci può ricordare le iniziative avviate? "Abbiamo concretizzato il Bando per l’Energia, il Protocollo sulla sicurezza alimentare, un'azione per il riconoscimento del ruolo pubblico dei Mercati e quindi per l’esenzione dall’IMU delle aree mercatali, stiamo definendo buone pratiche comuni nel recupero dell’invenduto e predisponendo un protocollo sulla legalità nella filiera dell’ortofrutta. Siamo entrati nel WUWM e nel CSO. Ospiteremo nel maggio 2017 il Congresso mondiale dei Mercati a riconoscimento del fatto che Italmercati è un modello funzionante che può essere riportato su scala internaMaggio 2016


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PROTAGONISTI Pallottini, al centro, con i rappresentanti dei Mercati di Parigi, Atene e Barcellona lo scorso febbraio a Fruit Logistica

zionale. E pensiamo soprattutto al Mediterraneo dove, con gli amici dei Mercati spagnoli, possiamo avere un ruolo guida di grande significato anche politico, visto quello che sta succedendo”. Che cosa vuol dire Bando per l’Energia? “Si tratta di una gara per la fornitura di energia elettrica che sfrutta i vantaggi della Rete d’Imprese a beneficio degli aderenti. Siamo partiti in 4 nel settembre 2015 perché il CAAT di Torino aveva un contratto con il suo fornitore fino a tutto il 2016. Il meccanismo è quello della gara europea con procedura di assegnazione tramite asta on-line. La richiesta è stata per una fornitura complessiva di 42 mila megawatt. Il ‘closing' del Bando per l’Energia è avvenuto lo scorso dicembre e permetterà quest'anno ai Mercati aderenti all’iniziativa un risparmio di 250 mila euro”. E qual è il significato del Protocollo sulla sicurezza alimentare? “E’ uno strumento che ci siamo dati nell’ottobre dello scorso anno per condividere alcune linee guida tese a garantire un innalzamento degli standard di sicurezza e qualità dei prodotti commercializzati, a maggior garanzia e tute-

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la dei consumatori e degli stessi Mercati. Il protocollo, attraverso un livello più alto dei controlli rispetto alle norme vigenti allo scopo, intende accrescere il ruolo dei Mercati all’ingrosso quali presidi della sicurezza alimentare e della qualità dei prodotti all’interno del sistema agroalimentare italiano, anche nella prospettiva di una valorizzazione del made in Italy ortofrutticolo sui mercati esteri. Il documento mette in campo un sistema di qualificazione unitario tra i Mercati della Rete, armonizzando la gestione dei processi di controllo, mettendo in sinergia le competenze e alle fine alzando l’asticella della qualità e della sicurezza alimentare. Si tratta anche di un passo essenziale nel caso volessimo darci, tutti insieme, un marchio di garanzia e tutela del consumatore. Il protocollo d’intesa che abbiamo siglato a fine marzo con l’Ordine dei dottori agronomi e forestali, a partire dalla Provincia di Roma, va nella stessa direzione”. La battaglia per l’esenzione dei Mercati dall’IMU non è cosa nuova. Crede davvero possa essere vinta? “Il CAR ha già vinto in sede di Commissione Tributaria, quindi in primo grado, un contenzioso

con l’Agenzia delle Entrate sull’accatastamento degli immobili del Mercato. Agli edifici del Centro Agro-Alimentare di Roma l’autorità tributaria ha riconosciuto la loro funzione pubblica. La sentenza ha un effetto diretto sulle imposte e in particolare sull’IMU. Gli edifici pubblici sono infatti esenti dall’IMU e questo dovrebbe significare per il CAR una detassazione annua di circa 500 mila euro. In sostanza, abbiamo visto riconosciuto, a livello di Commissione Tributaria, il ruolo pubblico dei Mercati. La sentenza fa giurisprudenza a vantaggio di altri Mercati che, come il CAR, si trovano a fare i conti con l’IMU. Ci siamo mossi e lo scorso aprile abbiamo ottenuto di essere incontrati dal vicedirettore generale dell’Agenzia delle Entrate che ci ha chiesto di ricevere una ‘fotografia’ della situazione dei vari Mercati della Rete come premessa alla predisposizione di un provvedimento ad hoc. E’ stata una riunione positiva perché abbiamo portato all’evidenza il concetto che i Mercati svolgono una funzione di pubblica utilità e in quanto tali le aree interessate dalle loro attività vanno esentate dall’IMU. Invieremo presto la documentazione richiesta. Credo che possiamo essere fiduciosi”.

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Market, è stata un riconoscimento importante. Ma anche l’adesione di Verona, che è un grande mercato con valenze internazionali, e di Cagliari, che è un mercato regionale significativo, sono state importanti.”

Fabio Massimo Pallottini con Ottavio Guala brinda con i rappresentanti dell'Unione Mercati dell'Ucraina

La grande maggioranza dei Mercati italiani è gestita da società a partecipazione pubblica. La riforma in atto della pubblica amministrazione potrà incidere sugli attuali assetti? “Certamente sì e dovremo prepararci per tempo, avere una linea comune a livello nazionale. Abbiamo affrontato il tema la prima volta lo scorso aprile. La questione, per quanto complessa, aprirà nuove prospettive. Per questo è necessario emerga una posizione chiara e unitaria da parte nostra. L’obiettivo non è invadere prerogative dei soci pubblici locali ma cercare di individuare un percorso per i grandi Mercati italiani che sia utile al sistema. Non dimentichiamo che l’obiettivo finale del decreto attuativo è la riduzione da ottomila a mille società partecipate dallo Stato e dagli enti locali.” Che significato ha l’ingresso di Italmercati nel CSO? “Il CSO è un organismo importante in cui sono rappresentate le principali realtà produttive ortofrutticole. Avremo maggior peso nella filiera. Dobbiamo far emergere il nuovo ruolo dei Mercati all’ingrosso e del nostro sistema”. Come sono i rapporti di Italmercati con Fedagromercati? “Rapporti di attenzione reciproca, rapporti corretti. Fedagro è nell’alveo di Confcommercio, associa la categoria dei grossisti,

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svolge un ruolo sindacale. I nostri campi d’azione sono ben distinti. Possiamo trovare, su alcuni temi, un terreno comune perché i grossisti di Fedagro operano nei nostri Mercati. Sul tema degli orari, ad esempio, ci siamo trovati recentemente a Roma. E’ un tema che coinvolge entrambi”. E come sono i rapporti con Mercati Associati? “E’ un discorso del passato, che non ci riguarda più. Italmercati è indubbiamente nata da una crisi all’interno di Mercati Associati ma da quel momento abbiamo percorso la nostra strada che è la strada comune ai grandi Mercati italiani, premiata a livello internazionale dalla presenza di Italmercati nel Board dell’Unione mondiale dei Mercati”. Lo scorso dicembre, commentando l’adesione a Italmercati, Andrea Segrè, presidente del CAAB di Bologna ha detto parole significative: “Trovo particolarmente felice la scelta della Rete di Imprese come forma di aggregazione sia su logiche imprenditoriali, ovvero progetti e problematiche di comune interesse, sia in tema di rappresentanza". Le ha fatto piacere? “Ah sì, certamente. L’adesione convinta di Bologna e di un presidente che è un economista stimato, già preside di Facoltà universitaria e ispiratore di iniziative originali come il Last Minute

Organizzare il Congresso mondiale del maggio 2017 a Roma la preoccupa? “E’ soprattutto una grande opportunità, un’occasione da mettere a valore, non solo per il CAR di Roma ma per Italmercati e non solo. L’iniziativa è il risultato dell’ottima intesa che abbiamo stabilito all’interno del WUWM con il presidente Manuel Estrada Nora, che segue con grande interesse l’esperienza di Italmercati. Roma è al centro del Mediterraneo. Oggi quest’area affronta svolte epocali. Il commercio e i servizi ad esso collegati sono un elemento essenziale dell’economia e possono dare un contributo. In quest’ambito i Mercati, non solo quelli italiani, ma anche quelli di altri Paesi, possono rappresentare un modello di crescita e indicare strade di collaborazione per lo sviluppo. La Conferenza di Roma non potrà trascurare questi aspetti e cercherà di proporre con forza il modello Italmercati a livello internazionale, calandolo in particolare nel Mediterraneo. Lo slogan di Expo Milano è stato 'Feeding the Planet energy for life’ (Nutrire il pianeta energia per la vita). I Mercati sono il luogo dove si trattano i prodotti freschi, che richiedono attenzioni del tutto particolari ma che nello stesso tempo sono alla base di una corretta e sana alimentazione, per cui potremmo battezzare l’evento di Roma 2017 'The fresh way to feed the Planet’ nella convinzione che da Roma, se prepareremo tutto per bene, potranno partire messaggi importanti”. Iniziative e idee non mancano per una Italmercati che, guidata da Pallottini, ha compiuto a maggio solo 14 mesi. Maggio 2016


ATTUALITÀ

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TERREMOTO FIERE. Due manifestazioni nel maggio 2017

Accordo Milano-Verona Veronafiere e Fiera Milano, le due più importanti realtà fieristiche italiane, hanno firmato il 6 maggio a Verona un accordo per organizzare insieme Fruit&Veg Innovation, un appuntamento internazionale annuale dedicato all’ortofrutta che punta su innovazione e mercati esteri. La nuova manifestazione nata dall’unione di Fruit Innovation a Milano e Fruit&Veg System a Verona, si svolgerà alternativamente a Verona, negli anni pari, dando enfasi alla filiera e quindi alle tecnologie agricole, ed a Milano negli anni dispari, con un focus sul prodotto finito. La prima edizione di Fruit&Veg Innovation è in calendario negli stessi giorni di Tuttofood, dall’8 all’11 maggio 2017 a Milano, e vedrà il coinvolgimento - annuncia un comunicato congiunto di Milano e Verona - di operatori provenienti da tutto il mondo. La manifestazione completerà l’offerta del comparto emergente dei prodotti biologici e vegani, largamente presenti a Milano, e godrà anche della concomitanza con Spazio Nutrizione, il convegno medico-scientifico organizzato da Akesios con Fiera Milano, che consentirà di rag-

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Si chiama Fruit&Veg Innovation l’iniziativa comune dei due maggiori enti fieristici italiani. Le date: 8-11 maggio 2017. Macfrut si terrà dal 10 al 12 maggio

Giovanni Mantovani, dg di Veronafiere, con Corrado Peraboni, ad di Fiera Milano (Foto ENNEVI)

giungere anche il settore dei nutrizionisti e dietologi. L’agreement prevede iniziative congiunte nell’ambito di Tuttofood anche nel settore del vino, che dal 2017 avrà uno spazio organizzato da Veronafiere. Il progetto concordato tra Fiera Milano e Veronafiere, regolato da un patto di non concorrenza, prevede la realizzazione di un evento denominato

“Wine Discovery” gestito da Veronafiere. L’area, curata dalla Vinitaly International Academy, coinvolgerà la produzione italiana e internazionale, esperti del mondo vitivinicolo e sommelier in eventi di promozione e formazione professionale rivolti agli operatori presenti alla rassegna milanese. Fiera Milano e Veronafiere - sottolinea il comunicato congiunto - "rispondono così all’esigenza di creare sinergie di filiera nell’interesse degli operatori del settore agroalimentare". “Grazie a questo accordo – spiega Corrado Peraboni, amministratore delegato di Fiera Milano – le due società fieristiche mettono a fattore comune la propria esperienza superando logiche di parte per creare un’offerta in linea con le attese di un mercato maturo e sempre più orientato all’internazionalizzazione. Si tratta inoltre di due importanti conferme: in primis la strategia di Fiera Milano volta a creare e accogliere in

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ATTUALITÀ

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Renzo Piraccini, presidente di Macfrut, al Cairo per Mac Fruit Attraction, incontra il ministro dell’Agricoltura dell’Egitto Essam Fayed

Tuttofood format fieristici dall’alto potenziale di sviluppo per i settori di riferimento: infatti, solo uno strumento di business reale e organico che mette a disposizione un’offerta davvero completa per gli operatori può diventare profittevole anche per chi lo realizza. Questa filosofia stenta a farsi avanti tra gli organizzatori italiani di fiere – conclude Peraboni – ma riteniamo che essa sia l’unica soluzione attraverso cui offrire reali occasioni di progresso per l’intero Sistema Paese. La seconda conferma è il riconoscimento che Milano fa del ruolo di Verona nel settore del vino: Vinitaly è una eccellenza del made in Italy che è compito di tutti tutelare”. "Questa nuova partnership strategica tra Verona e Milano – commenta Giovanni Mantovani, Direttore Generale di Veronafiere – rappresenta un esempio per Segue da pag. 3 lobby. L’ortofrutta è portatrice di valori e interessi, il sistema organizzato delle imprese comunica poco sia gli uni che gli altri. Ovvio che a questa mancanza di iniziativa si sostituiscano altre realtà: i sindacati agricoli (soprattutto un sindacato agricolo) , l’industria alimentare, poi giù giù fino ai cuochi, le

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l’intero sistema nazionale delle fiere”. La reazione del settore ortofrutticolo a questa ‘grande alleanza’ per ora è prudente. E, da parte sua, il presidente di Cesena Fiera Renzo Piraccini non si è detto preoccupato anche se Macfrut 2017, spostato in primavera, si terrà a Rimini dal 10 al 12 maggio, con due giorni di sovrapposizione con Fruit&Veg Innovation. Assomela, Consorzio delle OP italiane che rappresenta l’80% della produzione nazionale melicola, si è così espressa ufficialmente: "“Se quanto affermato da tutti gli enti fieristici in campo dovesse realizzarsi, nel 2017 avremmo più eventi concentrati nel mese di maggio, con una probabile sovrapposizione di date. Questa situazione viene giudicata da Assomela deludente e lontana dagli interessi del settore melicolo, ma associazioni consumatori, i blogger, i giornalisti e saltimbanchi vari. Tutti a parlare di ortofrutta, tranne le imprese. Tranne chi tutti i giorni produce, vende, compra, esporta, lavora sui mercati esteri, si scontra con la burocrazia, combatte con la struttura di un Paese che anziché agevolare mette i bastoni fra le ruote delle imprese. Ma è possibile?

contraria probabilmente anche agli interessi del settore ortofrutticolo. Assomela comunica che dal 2017 la linea di indirizzo verso i Consorzi associati prevede la sospensione della presenza a qualsiasi fiera specializzata di settore a livello nazionale”. Fino alla fine di maggio questa presa di posizione, pur facendo discutere molto il settore, non ha suscitato nessuna reazione all’interno del mondo fieristico che sta andando avanti per la propria strada. Milano e Verona hanno tenuto la loro prima riunione congiunta operativa mentre Cesena Fiera, proprio nei giorni dell’annuncio di Verona, era impegnata con il presidente Piraccini al Cairo dove si è svolta la prima edizione di Mac Fruit Attraction in collaborazione con IFEMA. L’iniziativa ha fatto un buon esordio con una presenza nutrita di aziende italiane delle tecnologie e con la stessa Assomela, interessata in modo particolare al mercato egiziano. Il fatturato 2015 di Cesena Fiera ha segnato più 30% sull’anno precedente frutto della forte crescita di Macfrut nel 2015. La recente assemblea dei soci ha programmato investimenti nei padiglioni fieristici cesenati per 3 milioni di euro. Per la precisione il fatturato di Cesena al 31 dicembre scorso passa dai 2,9 milioni del 2014 ai 3,8 milioni del 2015, con un utile netto di 123.369 euro, rispetto al sostanziale pareggio dell’anno precedente (utile di 1.339 euro). Questo risultato è stato raggiunto nonostante siano stati spesati nell’esercizio lavori di manutenzione straordinaria per 217 mila euro. Macfrut è il principale asset di Cesena Fiera da cui deriva l’82% del fatturato. Lo spostamento nella più idonea sede di Rimini e il grande lavoro di promozione realizzato hanno permesso di rivitalizzare la manifestazione che negli ultimi anni aveva perso punti. La superficie espositiva lorda è cresciuta del 50% raggiungendo i 30 mila mq. Maggio 2016


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Made in Italy, 10 anni di declino nel commercio mondiale Se si prende in considerazione l’ultimo decennio, nel commercio mondiale dell’ortofrutta fresca (che vale oggi 156 miliardi di dollari) la quota dell’Italia è scesa dal 5,1% al 3,6% mentre rispetto all’export di ortofrutta trasformata (56 miliardi di dollari in valore), il peso dei nostri prodotti è diminuito dal 7,7% al 6,5%. Complice di questa perdita di ruolo è stata la pressione concorrenziale attuata dai grandi player come gli Stati Uniti (la cui quota è aumentata per entrambe le tipologie di prodotti) e la Cina (passata dal 5,2% all’8,6% nel fresco e dal 9,5% al 13% nel trasformato), ma un peso notevole ha avuto anche l’ingresso nell’arena mondiale di competitor emergenti, in grado di conquistarsi repentinamente un “posto al sole”. È il caso, ad esempio, del Perù che nel commercio mondiale di uva da tavola è passato nell’ultimo decennio dall’1% al 7% di quota all’export o dell’Iran nel kiwi (da 0% a 5%), o ancora dell’Egitto negli agrumi (da 2% a 9%), della Georgia nelle nocciole (da 0% a 9%). Ci sono poi alcuni Paesi che, grazie all’embargo russo, sono riusciti a sostituirsi negli ultimi due anni ai fornitori europei arrivando a detenere un ruolo rilevante come trader, alla stregua dei più noti olandesi. E’ questo il caso della Bielorussia che oggi pesa per il 5% sul commercio mondiale di mele (dieci anni fa non compariva tra gli esportatori), grazie ad un export di oltre 500 mila tonnellate verso la Russia (a fronte di una produzione interna di circa 300 mila). Ma come cambiano i pesi tra i Paesi esportatori, fortunatamente si aprono anche nuove frontiere. E se è vero che la Cina è diventato un competitor agguerrito, è anche vero che il mercato cinese nel 2015 ha importato qualcosa

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La quota di mercato dell’Italia nel mondo è scesa in un decennio dal 5,1 al 3,6%. La nostra ortofrutta pressata dalla concorrenza dei grandi player e degli emergenti

La Cina ha raggiunto l’8,6% di quota di mercato della sua ortofrutta nel mondo

come 8,6 miliardi di dollari di ortofrutta fresca, il 631% in più rispetto a dieci anni prima. “Di questa apertura ne hanno beneficiato anche le nostre imprese” dichiara Denis Pantini, direttore Area agricoltura e industria alimentare di Nomisma. “Oggi la Cina, con una quota del 5%, rappresenta il quinto mercato di esportazione del nostro kiwi, dopo Germania, Spagna, Francia e Stati Uniti, evidenziando come per le nostre produzioni a più lunga conservazione (kiwi appunto ma anche mele), il mercato d’oltremare sia quello con le prospettive di crescita più rilevanti” aggiunge Pantini. I cambiamenti nel posizionamento competitivo dei nostri prodotti e nello sviluppo di mercati sempre più distanti geograficamente dimostrano una volta di più come l’organizzazione rappresenti la principale leva concorrenziale per

le nostre imprese ortofrutticole e per garantire sostenibilità economica al settore. Un settore che, non va dimenticato, rappresenta la prima voce di export dell’agroalimentare italiano (considerando ortofrutta fresca e trasformata). Questi dati emergono dal secondo Rapporto Nomisma - Unaproa sulla Competitività del settore ortofrutticolo italiano, uno studio che fotografa lo stato dell’arte del settore, tra criticità e punti di forza, presentato a Roma nei primi giorni di maggio alla presenza, tra gli altri, di Andrea Olivero, viceministro delle Politiche agricole, Paolo De Castro della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo e Leonardo Di Gioia, assessore all’agricoltura della Regione Puglia. “Come dimostrato dal Rapporto ha dichiarato il viceministro Olivero - l’aggregazione e l’integra-

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Primo bimestre, l’export cresce finalmente più dell’import Nel primo bimestre 2016 le esportazioni italiane sono cresciute in volume (+8,2%) e in misura meno consistente in valore (+3,2%). Le importazioni sono cresciute del 6,4% in volume e del 9,4% in valore. Il saldo è di 244 milioni di euro con una riduzione dell'8,3% rispetto al primo bimestre del 2015. Nel primo bimestre l'Italia ha esportato oltre 731mila tonnellate di prodotti per un valore di 789 milioni di euro. In quantità segno positivo per tutti i comparti: frutta fresca (4,4%), ortaggi (13,4%), agrumi (11,4%) e frutta secca (1,5%). In valore andamento negativo solo

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per gli ortaggi (-4,2%) mentre sono aumentati la frutta fresca (6,5%), gli agrumi (20,9%) e la frutta secca (1,3%). Per quanto riguarda le importazioni l'Italia ha importato circa 542 mila tonnellate di ortofrutticoli per un valore di 545 milioni di euro. Tra i singoli comparti incremento in volume per la frutta fresca (0,4%), gli ortaggi (15,6%), la frutta secca (33,5%) e la frutta tropicale (2,7%) mentre si registra una sostanziale diminuzione degli agrumi (-25,8%). Risultato economico negativo per gli agrumi (-13,6%) e positivo per tutti gli altri.

zione di filiera sono leve indispensabili per il rafforzamento della competitività dell’ortofrutta italiana, comparto fondamentale della nostra agricoltura per valori strutturali, economici e occupazionali. Nello scenario attuale occorre mettere a sistema azioni coerenti e di ampio respiro; la recente assegnazione di 200 milioni di euro per i contratti di filiera e di distretto si muove proprio in questa direzione e affianca gli strumenti volti a favorire la semplificazione, l’accesso al credito e l’internazionalizzazione”. “Dobbiamo una volta di più ribadire l’importanza strategica dell’ortofrutta per l’economia del Paese - ha dichiarato Antonio Schiavelli, presidente di Unaproa - e l’Organizzazione dei Produttori è lo strumento indispensabile per garantire reddito e reciprocità con il consumatore". (c.b.)

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Nel trend dei consumi ‘esplode’ l’innovazione. Bio: +20,3% Giovanni Fantasia, amministratore di Nielsen Italia, ha illustrato il 19 maggio a Pula, nel Cagliaritano, nell’ambito di Linkontro 2016, le tendenze dei consumi nei primi quattro mesi dell’anno. Nei fatturati della distribuzione al dettaglio emergono indicatori ancora problematici. Se il 2015 si è chiuso con un dato lievemente positivo (+0,1%) sull’anno precedente, nel periodo gennaio - aprile 2016 il dato è negativo (-1,1%). Le famiglie a basso reddito hanno tagliato le spese del 9,1% mentre le famiglie a reddito medio e alto le hanno incrementate rispettivamente del 2,2% e del 3,5%. Al Sud la variazione è stata negativa, pari a -1,9% mentre al Centro Nord si registra un +0,7%. Anche la spesa per fasce di età conferma il permanere di una situazione difficile, soprattutto per i giovani sotto i 35 anni ma anche per la fascia di età successiva (35-44 anni). Nonostante il quadro generale, è positivo nel primo quadrimestre il trend delle marche del distributore nelle linee premium e green. Le vendite a valore dei prodotti premium marca del distributore hanno messo a segno una variazione positiva del 16%, quelle dei green del 10%. Prodotti vincenti risultano frutta, zuppe e bio. I consumatori - questa l’analisi di Nielsen - chiedono offerte che facciano risparmiare tempo, che siano costituite da prodotti naturali, salutistici e gustosi ma possibilmente con meno calorie e grassi. Le zuppe pronte fresche segna un +41,7%, altri piatti pronti freschi segnano un +31,2%, il comparto biologico +20,3%, la frutta fresca un +8,6%, quella secca +12,3%, cereali-legumi secchi +9%. La tendenza generale è lo spostamento dai prodotti freschi sfusi a quelli confezionati.

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L’analisi di Nielsen Italia e le tendenze emerse nella vivace edizione 2016 del Cibus di Parma vanno nella stessa direzione: servizio + prodotto

Michela Ciamillo, responsabile marketing, con il direttore Simone Zerbinati. Sotto, Valerie Hoff, direzione marketing Dimmidisì-La Linea Verde

La IV gamma italiana ha ripreso a volare grazie alle continue novità proposte e ad un rafforzamento sui mercati esteri. I casi di La Linea Verde, Zerbinati e Ortoromi

Le tendenze del mercato sono cavalcate dalle punte più avanzate del settore ortofrutticolo. A conferma di ciò, Cibus 2016 (Parma 9-12 maggio) è stato un festival dell’innovazione, anche e forse soprattutto nell’ortofrutta e nei suoi trasformati, oltre che nel biologico. Prendiamo la quarta gamma. Nei giorni di Cibus è partita la distribuzione nei punti vendita della GDO italiana delle nuove ciotole di insalatone arricchite di Dimmidisì, la marca di La Linea Verde di Manerbio (Brescia) che con 210 milioni di euro di fatturato di gruppo nel 2015 ha rafforzato la sua leadership di settore. Il contenuto delle ciotole è decisamente all’insegna della freschezza (la shelf life è rigorosamente di 7 giorni) e della salute, come conferma il mix delle quattro proposte: cranberries, semi di zucca e noci in insalata (un trionfo di be-

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Tre confezioni della gamma di succhi ‘supernaturali’ Insal’arte-Ortoromi

nessere, afferma la responsabile marketing Valerie Hoff; aloe, bacche di goji e semi di girasole in insalata (un mix unico, novità assoluta per il mercato italiano); insalatona greca con feta (studiata per l’estate) e insalatona con surimi, pomodorini e crostini (un’altra novità assoluta dal sapore di mare). Presentandosi al Cibus di Parma, Dimmidisì ha lanciato anche i burger vegetali (cinque ricette diverse) e i miniburger, riuscendo ancora una volta, con questa proposta originale, a distinguersi dalla concorrenza. I miniburger infatti hanno ricette dal sapore dolce per conquistare anche i palati più esigenti, come quelli dei bambini. “Questa è una mission che vorremmo fare nostra e vorremmo vincere - spiega Valerie Hoff, che il Corriere Ortofrutticolo ha incontrato a Parma -: quella di avvicinare i bambini al consumo delle verdure”. La Linea Verde si è già impegnata su questo punto con una recente iniziativa originale: l’Insalata Divertente distribuita in edizione limitata a Gardaland a partire dallo scorso aprile. La capacità di innovare delle linee Dimmidisì è apprezzata in modo crescente sul mercato europeo, a partire da Spar e Billa in Austria, a Deleuze in Belgio, a Franprix gruppo Casino in Francia, a Bie-

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dronka in Polonia. Ormai l’estero rappresenta il 30% del fatturato di gruppo, il che lo pone tra le prime cinque realtà in Europa nel suo segmento. Gli investimenti continui in innovazione e sviluppo di nuovi prodotti, sono pensati per incontrare e anticipare le tendenze del mercato e i gusti del consumatori. E i risultati si vedono. Ma ad esprimere innovazione non c’è solo questo colosso. Hanno debuttato l'11 maggio nei negozi Eataly i nuovissimi burger vegetali di Zerbinati, lanciati anche al Cibus di Parma tra le novità assolute, a breve presenti in altre catene della GDO. Il Corriere Ortofrutticolo li ha assaggiati in anteprima e promossi a pieni voti. I Burger’Z – la Zerbinati li ha battezzati così – si presentano in quattro diversi tipi (quinoa, broccoli e zucchine; quinoa e carote al profumo di zenzero; quinoa e peperoni; quinoa, spinaci e verze), sono senza conservanti, glutine, soia, aromi, coloranti, grassi animali, sono OGM free e preparati con verdure fresche selezionate e olio extravergine da olive italiane. Comodissimi da mangiare, velocissimi da scaldare al microonde, uniscono prodotto e servizio. Ogni confezione ha due burger, pesa 110 grammi ed è in vendita a 3,29 euro. Si aggiungono alla gamma Zerbinati di zup-

pe, creme e contorni, insalate e verdure confezionate. L’azienda alessandrina, partita nel 1970 per iniziativa di un commerciante di ortofrutta fresca, è in continua evoluzione. Ha cavalcato il boom della IV Gamma e oggi è lanciata in un processo di innovazione continua. Nell’ultimo anno - come spiega il direttore Simone Zerbinati - l’azienda ha rafforzato l’organigramma manageriale a supporto della crescita e di una maggiore attenzione all’estero, che è cresciuto del 5% in 12 mesi. Le vendite avvengono per l’85% nella GDO, per il 7% nel normal trade e per il rimanente nell’horeca. Un’altra eccellenza della quarta gamma italiana, Ortoromi, presente pure a Cibus con il suo marchio Insal’arte. I suoi succhi di frutta e verdura, supernaturali, senza conservati e coloranti, in due mesi sono passati da zero a 250 mila euro di fatturato su un panel di punti vendita ancora da espandere. Succhi di cetriolo e sedano, carota, melagrana, barbabietola, mango e arancia, avocado, zenzero (l’impatto di questo sul mercato italiano ha segnato un vero e proprio exploit), frutti rossi, limoni. Sono in confezioni da 250 (già in vendita) e 750 ml. Quando anche la bottiglia da 750 sarà sul mercato avrà un prezzo paragonabile a una buona bottiglia di vino: 6 euro e mezzo. Troppo? A giudicare dall’impatto della confezione più piccola (in vendita a 2,39 euro) la risposta è no. Confezioni di insalate miste e ciotole dagli ingredienti più ricchi e vari, oltre alle zuppe con verdure fresche sono poi il pilastro di un’azienda il cui fatturato segna un +13% nel primo trimestre 2016, come a confermare l’analisi di Nielsen: c’è ancora difficoltà nei consumi ma ciò non vale per chi fa innovazione ed è in certi settori. In definitiva, la IV gamma italiana sta tornando a volare e rafforza le sue posizioni sui mercati esteri. Maggio 2016


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Pesche, nettarine e albicocche: il clima taglia la produzione È un’annata con volumi in calo per pesche, nettarine e albicocche. Le prime indicazioni sulle previsioni dell’annata sono state diffuse in occasione di Medfel a fine aprile e vengono ritoccate dal CSO il 30 maggio, tardi per riportare i dati su questa nostra edizione della rivista. In Italia, nel Mezzogiorno (Basilicata, Campania, Puglia, Calabria), i primi rilevamenti su pesche e nettarine parlavano a fine aprile di un calo del 7% rispetto al 2015 con una perdita di circa 40 mila tonnellate (6% sul periodo 2010-2014). Minima la differenza invece sulle percoche (-1% sul 2015 e +1% sulle media dei cinque anni precedenti). Previsioni tuttavia in peg-

Le previsioni a livello europeo stilate per la prima volta dal CSO a fine aprile già indicavano un calo dei raccolti ma il meteo costringe ad un’ulteriore revisione al ribasso gioramento a fine maggio. Nel Sud della Spagna (Andalusia, Murcia, Valencia) la riduzione di pesche, nettarine e pesche piatte dovrebbe arrivare al 12% rispetto al 2015. Da notare però che i forti investimenti degli ultimi anni sulle ‘piatte' fa registrare un +27% sulla media 2010-2014. Per le percoche invece i cali sono consistenti: -9% sull’anno scorso e 17% sul quinquennio precedente. Il Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara, che ha reso noti i dati,

sottolineava a Perpignan come insieme a Spagna, Francia e Grecia si sia deciso di non anticipare i dati sulle produzioni europee di pesche e nettarine per le aree più tardive considerando l’instabilità del clima, le gelate e le grandinate che hanno interessato i diversi Paesi. Vista questa situazione piuttosto eccezionale, i diversi referenti che forniscono i dati produttivi hanno deciso di non presentare una stima del raccolto, per le incertezze che permangono

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sull’evoluzione del carico dei frutti. “Abbiamo concordato tra Paesi produttori di non anticipare dati sulle pesche e nettarine. Le previsioni verranno fatte a fine maggio, con il quadro europeo completo”, ha spiegato Elisa Macchi (nella foto), direttore di CSO Italy. “Posso affermare comunque – conferma Elisa Macchi – che la produzione è inferiore al 2015 ed anche alla media degli ultimi 5 anni”. Complessivamente, a livello europeo, si delinea un lieve calo delle superfici di pesche e nettarine nei diversi bacini produttivi: Nord Italia, Francia e Grecia. Solo la Spagna vede una stabilità degli investimenti o addirittura un leggero aumento, ma ad un ritmo che rimane lontano dal trend dell’ultimo decennio. In aumento gli impianti di percoche in Grecia, Italia e Spagna. Dopo un decennio difficile, il calo della produzione europea ha contribuito a riequilibrare il mercato; in un contesto di crisi dei prodotti freschi, le percoche, principalmente destinate all’industria, ritornano ad essere interessanti per i produttori. L’andamento climatico anomalo di quest’anno ha visto un autunno e inverno generalmente miti con temperature medie ben al di sopra del normale. Nel mese di gennaio e febbraio diverse gelate hanno colpito le aree più precoci, che erano ai primi stadi vegetativi (fioritura o presenza di piccoli frutti). Dalla metà di febbraio le

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Elisa Macchi, direttore di CSO Italy alle prese con le previsioni produttive

La flessione dei quantitativi riguarda pure le albicocche anche se le superfici crescono temperature sono ritornate nella media, o leggermente al di sotto. La fioritura delle varietà precoci evidenziava un significativo anticipo rispetto alla norma (circa un mese sul 2015) presentando, in alcune aree, qualche danno da gelo per queste cultivar. Poi è successo quello che è successo tra aprile e maggio, con temperature ben al di sotto della media e pesanti grandinate in alcuni areali. Solo nelle Regioni più precoci come l’Andalusia, Murcia, Valencia e l’area del Sud-Italia è stato possibile avere qualche stima relativamente affidabile e che comunque conferma che non sarà raggiunto il potenziale produttivo. Superfici in crescita ma volumi in calo per le albicocche. Secondo la

stessa Macchi “la produzione di albicocche si sta delineando come molto importante, con un crescente interesse da parte dei produttori in tutti i Paesi europei. Si registra infatti una crescita delle superfici in Spagna, oltre che in Italia e un rinnovo varietale anche in Grecia e Francia". Circa la previsioni produttive, non ci sarà comunque una produzione elevata sempre a causa dell’andamento climatico altalenante in tutta Europa. L’inverno è stato generalmente mite; alcune gelate hanno interessato poi tra fine febbraio e marzo diverse zone, in particolare nella regione di Murcia in Spagna. In altri Paesi, come l’Italia, la fioritura è stata penalizzata da pioggia e sbalzi termici, mentre in Francia si sono verificate grandinate nel mese di aprile. Tutto questo ha contribuito a delineare un quadro produttivo a livello europeo inferiore allo scorso anno: con circa 443 mila tonnellate previste (a fine aprile), il raccolto di albicocche si pone sull’11% in meno rispetto allo scorso anno ed in diminuzione del 16% rispetto alla media. In Grecia si prevedono 54.800 tonnellate, produzioni in crescita dopo l’offerta particolarmente deficitaria del 2015, con quantitativi più prossimi alla media. In Italia, con circa 163 mila tonnellate, le previsioni si posizionano sul -19% rispetto al 2015. Nel Nord Italia la situazione si delinea simile allo scorso anno, mentre nel Sud sembra prospettarsi un calo di circa il 30% sempre sul 2015.

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Freshfel spinge l’Europa a rafforzarsi nel Mercosur Negli ultimi due anni l’embargo imposto dalla Russia ha inferto un duro colpo al comparto europeo. Nonostante le misure straordinarie adottate dalla Commissione Europea, diversificare i mercati di destinazione del vecchio continente resta una sfida complicata e complessa. Tra il 2014 e il 2015 l’export UE di ortofrutta verso Paesi Terzi è diminuito dell’8% a volume e di circa il 14% a valore. Su queste premesse Freshfel, l’organizzazione della filiera ortofrutticola europea, in un comunicato di metà maggio indica “lo sfruttamento di nuovi mercati al centro degli interessi del settore”. In particolare, Freshfel esorta l’Europa a promuovere e migliorare i rapporti con il blocco commerciale del Mercosur, di cui fanno parte Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay. Tra il 2005 e il 2015, l’export ortofrutticolo europeo verso questi Paesi è passato da 36 mila tonnellate, per un valore di 21 milioni di euro, a 330 mila, corrispondenti a 185 milioni di euro. Il più importante partner è il Brasile, che assorbe circa il 98% dei prodotti spediti (mele, pere, drupacee, cipolle e scalogno in primis). Ricordando che le due aree “sono complementari in termini di stagionalità” e che rapporti stabili potrebbero garantire “una fornitura continua durante l’anno a beneficio di tutti i consumatori”, Freshfel sostiene l’importanza dell’abolizione delle barriere commerciali. Tra queste si annoverano le barriere doganali, in particolare quelle rappresentate dai dazi aggiuntivi imposti dai Paesi sudamericani, e le barriere fitosanitarie. In Brasile, per esempio, nonostante il dazio in entrata sia relativamente basso (10%), viene imposta un’ulteriore

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Il Brasile con Argentina, Uruguay e Paraguay hanno visto crescere enormemente le importazioni di frutta dai Paesi UE. Ma si può fare molto di più tassazione come il contributo per i programmi di integrazione sociale e la tassa sulla circolazione di beni e servizi che portano il peso delle tariffe totali al 19%. Inoltre, sostiene Freshfel, “per questi Paesi è opportuno rivedere le tariffe europee in entrata, attualmente non livellate con altri dell’Emisfero Sud che già godono di un accordo di libero scambio (Cile, Perù, Sud Africa)”. Sul fronte fitosanitario, infine, l’UE garantisce un sistema aperto

che permette le importazioni ai membri del Mercosur, a condizione che siano conformi alla direttiva sulla salute delle piante 2000/29. Al contrario, gli esportatori europei devono sottostare ai singoli accordi bilaterali sottoscritti per ciascun prodotto con i diversi Stati sudamericani. “L’armonizzazione dei quattro sistemi di autorizzazione in uno solo comune, deve essere la priorità più importante da affrontare”, sottolinea Freshfel. (c.b.)

Il colosso argentino San Miguel investe ancora in Sudafrica San Miguel, uno dei principali produttori di agrumi in Argentina, già presente anche in Uruguay e Sudafrica, ha acquisito, tramite la sua filiale San Miguel Fruits South Africa, nuove aziende agricole nella regione del Western Cape, investendo 5,6 milioni di dollari. Si tratta di agrumeti per 1.424 ettari e per una produzione di circa 350 mila cartoni all'anno destinati all’esportazione. Alejandro Lucas, country manager per il Sudafrica, ha precisato: "Queste zone di produzione sono provviste dei

permessi fitosanitari necessari per esportare nell'Unione Europea ma potremmo utilizzarne la produzione anche per l’export negli Stati Uniti”. L’obiettivo è poi quello di fornire ai grandi clienti agrumi per tutto l’anno. San Miguel era già presente nell'Eastern Cape, dove ha fatto un’esperienza positiva. “Siamo uno dei principali produttori di agrumi dell'emisfero Sud, pertanto la scelta di questa zona è stata logica perché - ha concluso Lucas - va a completare la nostra produzione".

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Polonia nel mirino: missione con focus ortofrutta a settembre È stata anticipata al 21 settembre la missione in Polonia di Omnibus Comunicazione, la società di servizi del nostro gruppo editoriale. La missione, riservata agli esportatori italiani di ortofrutta, prevede, per il giorno 22, dopo l’arrivo a Varsavia, una visita al Mercato all’ingrosso di Bronisze e a una primaria azienda di importexport, che distribuisce ortofrutta a supermercati e grossisti di tutto il Paese. Nel pomeriggio visita ai reparti ortofrutta delle principali catene di supermercati presenti a Varsavia. Per il 23 settembre giornata clou - sono previsti incontri B2B programmati con buyer della GDO presente in Polonia. La giornata si concluderà con una serata di gala a cui gli stessi buyer saranno presenti. Sabato 24 settembre, prima del rientro in Italia, i delegati potranno visitare infrastrutture e impianti di produzione. L’iniziativa rappresenta un’opportunità unica per conoscere il mercato polacco e creare vantaggi competitivi nei contatti d’affari e nelle vendite. Le catene internazionali della grande distribuzione organizzata come Tesco, Carrefour, Kaufland, Auchan si sono da tempo insediate nel Paese. Sono presenti inoltre catene nazionali di supermercati di qualità come Piotr i Paweł, Stokrotka, Chata Polska, Fresh Market e di prezzo come Polo Market, Dino, MarcPol per un totale di circa 1.800 punti vendita. Il leader di mercato è il discount Biedronka, di proprietà portoghese, con 2.500 punti vendita. Il quadro viene completato dalle catene di punti vendita all’ingrosso, come il Gruppo Eurocash, che rifornisce le proprie catene di franchising. La Polonia, con 38 milioni di abitanti, è il mercato principale dell’Europa dell'Est. L’adesione al-

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Dal 21 al 24 incontri con importatori e buyer di supermercati. Il più grande Paese dell’Europa dell’Est è aperto all’export italiano ma ci sono ancora margini

l’UE nel 2004 ha dato inizio a una fase importante di sviluppo economico. Nel 2009 la Polonia è stato l’unico Stato nell’UE a non essere trascinato nella recessione, e negli anni 2008-2013 il prodot-

to interno lordo è cresciuto di oltre il 20%: si tratta del miglior risultato in tutta l’Unione. Le importazioni di ortofrutta dall’Italia sono significative (oltre il 10% di quota di mercato). In Polonia continua ad esserci una grande voglia di Italia e l’ortofrutta è la benvenuta. Come per altri mercati esteri, il problema è la selezione degli interlocutori. Le adesioni alla missione, che ha come special guest il gruppo Rosaria-Pannitteri e come sponsor Fiera Milano, è la numero 25 organizzata da Omnibus dal 2011, debbono pervenire entro giovedì 30 giugno prossimo. Per informazioni: omnibusbservice@gmail.com

Importanti gruppi italiani in Kazakistan dal 5 all’11 giugno Si profila come la principale missione b2b italiana mai organizzata in Kazakistan, almeno per il settore dell’ortofrutta e della logistica dei prodotti freschi, quella che la società di servizi Omnibus ha in programma dal 5 all’11 giugno prossimi. Hanno aderito alla missione, tra gli altri, l’azienda Salvi, il Gruppo Spreafico, il Consorzio From, Sant’Orsola, B&B Frutta, Frutta C2, Frutthera, Asso Fruit Italia, l’agenzia Storelli di Bari, Fiera Milano-Tuttofood. Tra i ’nuovi mercati’ il Kazakistan rappresenta una realtà interessante e un possibile sbocco commerciale grazie alla crescita

esponenziale della distribuzione moderna nel Paese con lo sviluppo di catene nazionali e l’arrivo di gruppi stranieri come Carrefour e Metro, e la presenza di importatori professionali che già conoscono e apprezzano il prodotto ortofrutticolo italiano. La missione rappresenta un’occasione unica per entrare in contatto con tutte le realtà commerciali importanti del più grande Paese dell’Asia Centrale dove la missione toccherà le due città più significative, Almaty nel Sud e Astana, la capitale nel Centro-Nord. Sono programmati una quindicina di incontri b2b.

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Perpignan, il coraggio di aprirsi agli investimenti stranieri Il 78% dell’ortofrutta che entra a Saint Charles, l’area logistica di Perpignan (70 ettari di magazzini e di servizi con 150 aziende insediate), prima piattaforma europea per tonnellaggio, ha due sole origini: la Spagna per il 62% e il Marocco per il 26%. In un anno dalla Spagna arriva oltre un milione di tonnellate di ortofrutta, dal Marocco ne arrivano 415 mila. A Saint Charles entrano 2.500 camion al giorno mentre in un anno il Centro gestisce 21 mila container marittimi. Questi dati sono stati presentati il 28 aprile durante una visita a Saint Charles organizzata dalla società di gestione della piattaforma. Siamo in Francia ma a pochi chilometri dal confine spagnolo e a 195 km di autostrada da Barcellona. Nulla del genere esiste in Italia. Nessuno in Italia avrebbe il coraggio e l’apertura mentale di creare una grande area di servizio - con 200 mila metriquadri di celle frigo - per aziende e prodotti stranieri. La merce francese che entra a Saint Charles è appena il 6% del totale, pari a circa 100 mila tonnellate all’anno. In un Mercato italiano si alzano muri se una sola azienda straniera chiede di entrare. Il giro d’affari a Saint Charles è di un miliardo e 800 milioni di euro. Vi lavorano 2.200 persone, circa 500 delle quali impiegate nella

La piattaforma di Saint Charles vede al suo interno importanti aziende spagnole e marocchine. Calata la presenza italiana al Medfel

Vertice tra i porti mediterranei Nel porto marocchino di Tangeri e in alcuni porti del Mediterraneo europeo si lavora per migliorare la mobilità di frutta e verdura dal Sud al Nord. I rappresentanti di Tangeri hanno partecipato a Perpignan ad una riunione con i rappresentanti dei porti di Marsiglia, Barcellona e Civitavecchia. L'obiettivo principale era discutere le soluzioni per migliorare il trasporto di frutta e verdura nell'area mediterranea e garantirne un rapido spostamento dal Sud del Mediterraneo al Nord Europa, preservandone freschezza e qualità. Le parti hanno riconosciuto la necessità di creare collegamenti stabili e nuove connessioni già a partire dal 2017 per migliorare le dinamiche di trasporto dei prodotti ortofrutticoli.

funzione commerciale delle aziende private. La società di gestione ha un bilancio che supera i 728 milioni di euro. Il segreto di Saint Charles è la rapidità con cui il centro è in grado di rispondere alle esigenze della clientela francese e internazionale, tra cui i numerosi compratori italiani. Tutte le modalità di trasporto sono rappresentate e gestite a livelli di grande efficienza: strada, trasporto marittimo (Port Vendres si trova a 36 chilometri ed è il secondo porto mediterraneo per sbarchi di ortofrutta) e ferrovia (ottimo il collegamento con il mercato parigino di Rungis e non si esclude la possibilità di una linea ferroviaria dedicata con destino Milano). La visita a Saint Charles è avvenuta nell’ultimo dei tre giorni di Medfel, l'unica fiera francese che abbia per focus esclusivo l’ortofrutta, giunta quest’anno all'ottava edizione con 246 espositori. Un salone non grande ma con visitatori professionali e un punto di forza: la presenza di numerosi buyers internazionali, 56 quest’anno provenienti da 30 Paesi, soprattutto dall’Europa, Germania in testa. Abbiamo notato la

Primo trimestre negativo per l’export spagnolo A sorpresa l’export spagnolo di ortofrutta è partito quest’anno con il segno ‘meno’ per quanto riguarda i volumi. Secondo i rilevamenti di Fepex, nei primi tre mesi del 2016 le esportazioni sono calate del 3% rispetto allo stesso periodo del 2015 sebbene a valore si sia segnato un +5,8%. L’Europa ha dettato legge avendo rappresentato il 94% delle spedizioni. Ad incidere sul dato negativo è il crollo dei volumi

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esportati in marzo (-9%) pari a 1 milione 158 mila tonnellate (602.268 tonnellate di verdura, in calo del 5%, e 555.567 tonnellate di frutta, -12,7%). La frutta è calata a volume ma a valore ha registrato un aumento del 9,5%. Da segnalate il boom dei piccoli frutti, tra cui fragole (+25%), lamponi (+48%), mirtilli (+124%), ribes nero (+195%), a conferma del generale trend positivo dei berries a livello globale.

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presenza di ottime imprese dal Marocco, un aumento di espositori francesi (soprattutto del Sud della Francia), mentre le partecipazioni italiane e spagnole sono apparse in calo. La forza di Medfel è la spinta che riceve proprio dalla vicinanza di Saint Charles (il cui stand è uno dei più affollati) e il sostegno economico della Regione Languedoc Roussillon, che sponsorizza la presenza dei buyers ed è l’organizzatore ufficiale attraverso l’agenzia Sud de France Developpement. Nello stand collettivo Italy, curato dal CSO, erano presenti solo il Mercato di Padova MAAP, la Unitec e Apofruit. In ordine sparso alcune aziende del Sud. I commenti sulla fiera hanno confermato una discreta tenuta della manifestazione ma anche l’assenza dei buyer delle grandi catene a cui un gruppo importante come Apofruit sarebbe stato certamente interessato. Buona l’organizzazione degli workshop che si sono ripetuti a raffica nell’apposita area aperta all’interno del Salone. La nostra opinione è che Medfel sia stata quest’anno vivace, abbia mostrato di svolgere un ruolo funzionale al territorio circostante (l’area di Perpignan ha una forte vocazione ortofrutticola), ad una più vasta area del Sud della Francia e agli interessi di quegli operatori esteri che operano su Saint Charles e utilizzano la manifestazione come momento di incontro con fornitori e clienti. Dare a Medfel una prospettiva più ampia non è facile anche per la collocazione geografica lontana da un aeroporto internazionale (Barcellona) e dalle comodità e servizi offerti da una grande città. Inoltre, il crescente successo di Fruit Attraction ha molto circoscritto la presenza spagnola. Per queste ragioni gli organizzatori sono particolarmente bravi a tenere vivo il Salone e ad insistere sul suo connotato mediterraneo, di collegamento tra Africa ed Europa. Prossima edizione a Perpignan dal 25 al 27 aprile 2017.

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Mele e pere neozelandesi: l’Asia batte l’Europa In Nuova Zelanda la raccolta di mele e pere per la stagione 2015/16 è finita nella seconda metà di maggio. Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha diffuso un primo report consuntivo circa l’andamento generale della stagione. Le prime stime parlano di un volume totale di mele pari a 548 mila tonnellate, solo lo 0,6% in meno rispetto alle previsioni iniziali del novembre 2015. In effetti, la produzione sarebbe stata superiore se non fosse per la forte grandinata che a metà dicembre ha colpito la regione di Nelson, area particolarmente vocata alla produzione di drupacee dove si concentra il 25% del raccolto complessivo di mele del Paese. Per le pere, invece, si stima una produzione di 13.100 tonnellate, l’8% al di sotto della precedente previsione. Anche in questo caso, a pesare sui volumi finali il maltempo registrato a dicembre nella regione di Nelson. Circa l’export, nella stagione commerciale in corso si prevede un aumento del 2,7% delle spedizioni di mele rispetto alle stime iniziali, per un totale pari a 346 mila tonnellate, portando la percentuale di crescita sulla stagione precedente a 5,2%. Un incremento importante poiché previsto in un anno caratterizzato da un lieve calo produttivo sulla base dello sviluppo del sistema logistico interno. Le esportazioni verso l’Asia

(133.316 tonnellate) potrebbero finalmente superare il totale dei carichi spediti in Europa continentale e Regno Unito (120.563 tons). Un trend iniziato nel 2010 e che, secondo gli esperti, tenderà ad accentuarsi nel corso dei prossimi cinque anni. Anche per le pere si prevede una crescita delle esportazioni rispetto alla stagione precedente. Le stime parlano di volumi intorno alle 5.000 tonnellate, in aumento del 19% rispetto alle 4.187 tonnellate spedite nel 2014/2015. Si tratta dunque di settori in espansione, la cui crescita è testimoniata anche dal tendenziale aumento dei ritorni ai produttori. Lo scorso anno, il prezzo FOB medio per mele e pere si è attestato a 23,03 dollari (33,96 dollari neozelandesi) per cartone (TCE, Tray Carnon Equivalent pari a 18 kg), il 13% superiore a quello registrato nella stagione 2013/2014. La remunerazione superiore insieme ad una resa in campo migliore di cinque volte rispetto alla media si è tradotta in un aumento dei ritorni per ettaro tra il 15 e il 20%. E le prospettive per il 2015/2016 sono simili, se non migliori. Tale trend, iniziato tre anni or sono, ha decisamente aumentato la fiducia degli operatori del settore e ha fornito un flusso costante di denaro per finanziare nuovi investimenti nella produzione, in particolare nell’impianto di nuove varietà e nell’aumento delle superfici dedicate. (c.b.)

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UNIONE EUROPEA

GERMANIA

Sale del 12% il valore dell’import da Paesi Terzi

L’e-commerce dei prodotti food non decolla

Nel 2015 le importazioni comunitarie di ortaggi provenienti da Paesi Terzi - Marocco, Egitto e Israele in primis - sono aumentate del 12%, portandosi a 2,319 miliardi di euro. È questo il dato principale emerso da un’analisi dell’ufficio di statistica dell’Unione Europea, Eurostat, realizzata per Fepex, l’associazione spagnola di produttori ed esportatori ortofrutticoli. A ben vedere tale incremento in termini di valore non riflette una crescita eguale nei volumi, aumentati solo dell’1% per un totale di circa 1,987 milioni di tonnellate. Il valore dell’import proveniente dal Marocco si è attestato a 837,1 milioni di euro, il 15% in più rispetto al 2014, mentre i quantitativi si sono mantenuti pressoché stabili passando da circa 680 mila a poco più di 683 mila tonnellate. Il prodotto di origine marocchina più acquistato dai Paesi europei è stato il pomodoro con 382.802 tonnellate per un valore di 392,5 milioni di euro (+19%). Circa le spedizioni provenienti dall’Egitto, nel 2015 sono stati raggiunti i 167,8 milioni di euro, il 2% in più rispetto al 2014, a fronte di un aumento dei volumi del 10%, che ha portato le tonnellate totali a 252.382 mila. Nel ranking dei principali prodotti ortofrutticoli importati dall’Egitto al primo posto c’è la patata con 151,306 mila tonnellate (+26%) per un valore di 50,3 milioni di euro (+5%). Infine, quanto a Israele, le importazioni comunitarie nel 2015 sono state pari a 242.427 mila tonnellate (-2%) per un valore di 164,2 milioni di euro (+1%). Come nel caso dell’Egitto, la patata è il primo prodotto commercializzato, nonostante la contrazione dei volumi del 5% (143.438 mila tonnellate), corrispondenti a 53,1 milioni di euro (+6%). (c.b.)

Secondo uno studio effettuato dall’agenzia di ricerca “Konzept & Markt” nel 2015 solo il 5% dei consumatori tedeschi, in prevalenza di sesso maschile, mostra una notevole preferenza per l’acquisto di prodotti alimentari online. Il supermercato si conferma

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commercio elettronico come ebay (67% degli acquirenti) o amazon (33% degli acquirenti). Il 74% dei consumatori di sesso femminile valuta molto positivamente l’opzione Click & Collect, tutt’ora poco diffusa nel commercio telematico ma in via di espansione, che prevede la possibilità di acquistare prodotti alimentari online e di prelevare autonomamente la merce confezionata presso il supermercato.

GERMANIA

I due terzi dei tedeschi acquistano bio

ancora come il canale favorito dal consumatore per l’acquisto di prodotti alimentari destinati al fabbisogno quotidiano. Fattori principali a discapito degli acquisti telematici sono i tempi di consegna e le modalità per l’eventuale riconsegna della merce ordinata. A ciò si aggiunge l’impossibilità di controllare il prodotto prima dell’acquisto e la mancanza di un risparmio concreto attraverso l’acquisto online di prodotti alimentari per il fabbisogno quotidiano rispetto ai prezzi online molto competitivi riservati ad altre categorie merceologiche. Questo trend potrebbe, tuttavia, essere ben presto superato dall’insorgere di nuove tendenze già avvertite tra i consumatori tedeschi. I prodotti alimentari rappresentano, infatti, la categoria merceologica per la quale oggigiorno i consumatori tedeschi consultano più frequentemente forum online prima di procedere all’acquisto concreto presso il supermercato. I consumatori tedeschi che acquistano con regolarità prodotti alimentari online, non consultano i siti web delle catene di supermercati bensì siti di grandi aziende di

Secondo un sondaggio Ökobarometer condotto nel 2016 per conto del Ministero Tedesco delll’Alimentazione e Agricoltura il 13% dei consumatori tedeschi ha dichiarato di acquistare esclusivamente prodotti alimentari biologici. Il 24% dei consumatori tedeschi acquista molto spesso prodotti biologici mentre il 32% dei tedeschi solo occasionalmente. Il 33% dei tedeschi non mostra alcun interesse per l’acquisto di prodotti biologici. La propensione all’acquisto di prodotti biologici non sembra essere influenzata dall’età, bensì dal reddito e dal sesso del consumatore. Tra gli aspetti più rilevanti per l’acquisto da parte del consumatore tedesco di prodotti alimentari biologici vanno annoverati, in ordine di importanza, la freschezza e la qualità del prodotto, il gusto naturale, l’assenza di residui pesticidi, il rispetto di condizioni commerciali eque e solidali, il rispetto dell’ambiente, la rinomanza del produttore e infine il logo che certifichi l’origine biologica del prodotto. In merito agli aspetti sopra elencati, sono state avvertite all’interno del mercato tedesco delle differenze tra le tendenze attuali del consumatore, di fronte all’acquisto di prodotti alimentari biologi-

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ci, e le tendenze rilevate nel 2013. Gli aspetti legati al commercio equo e solidale, alla certificazione del prodotto e alla rinomanza del produttore hanno perso d’importanza rispetto ai temi legati alla modificazione genetica degli alimenti, alla loro coltivazione naturale e alla provenienza regionale o alle condizioni di allevamento degli animali. Nonostante l’aumento dei rivenditori specializzati in prodotti biologici, il supermercato e il discount rimangono, in generale, i canali di acquisto di prodotti biologici favoriti da parte dei consumatori tedeschi, grazie anche alla progressiva all’inclusione nel proprio assortimento di una vasta gamma di prodotti biologici. Le uova rappresentano attualmente l’articolo biologico alimentare maggiormente acquistato dal consumatore tedesco, seguite da prodotti ortofrutticoli e da patate. Il consumo di carne di origine biologica ha visto un notevole aumento nell’ultimo periodo superando il consumo di prodotti lattiero caseari biologici. Nella classifica seguono prodotti da forno, pesce, pasta, riso e farina. Bibite biologiche alcooliche e analcoliche, dolci e alimentazione per neonati si trovano in fondo alla classifica dei prodotti biologici acquistati con maggiore frequenza dal consumatore tedesco. Per quanto riguarda nello specifico, l’acquisto di carne biologica, il consumatore tedesco si reca spesso nelle macellerie specializzate, mentre i mercati settimanali biologici e i panifici sono i luoghi favoriti per l’acquisto di prodotti ortofrutticoli e da forno.

BELGIO

Salgono a 600 i punti vendita di Delhaize A 136 anni dall’apertura del primo supermercato franchising Delhaize in Lussemburgo, l’11 maggio la catena belga ha inaugu-

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rato il 600esimo punto vendita tra i negozi affiliati, un AD Delhaize nella città di Gand. La rete franchising Delhaize è costituita da tre insegne: AD Delhaize, Proxy Delhaize e Shop&Go. Con 1.580 mq, il nuovo supermercato di Gand ha una superficie nettamente più grande degli altri supermercati di questo tipo. Con 12.000 referenze in vendita, sarà anche disponibile la quasi totalità dell’assortimento Delhaize. L’accento viene messo sui prodotti freschi e sui piatti preparati della cucina internazionale. E' presente anche un reparto dedicato al biologico. Nell’ambito della fusione con la catena olandese Ahold Albert Heijn, che verrà portata a termine entro la metà di quest’anno, l’autorità belga garante della concorrenza ha costretto Delhaize a mettere 5 negozi affiliati in vendita, mentre Albert Heijn dovrà venderne 8. Le due catene hanno tuttavia assicurato che non è prevista alcuna chiusura.

GRAN BRETAGNA

Nuova attenzione di Tesco al cliente e l’utile cresce “Questo è stato un anno molto significativo per Tesco. Sono felice di dire che abbiamo messo a segno significativi progressi in tutte le tre maggiori priorità fissate per il business”, ha sottolineato Dave Lewis (nella foto), Ceo di Tesco, commentando a metà maggio i risultati della catena inglese, che ha chiuso il 2015 con performance superiori alle attese. L’utile ante imposte si è attestato infatti a 162 milioni di sterline, contro la perdita di 6,33 miliardi dell’anno precedente, mentre l’utile operativo escluse poste straordinarie è salito dell’1,1% a

944 milioni di sterline. Alla base della buona ricetta firmata Dave Lewis un ritrovato focus sul valore del servizio al cliente, che il retailer punta a migliorare ogni giorno e in tutti i punti di vendita, come spiega il Ceo: “La messa al centro del cliente in ogni nostra decisione e azione è stato uno snodo fondamentale per questa inversione di tendenza partita dallo scorso anno. Guardando avanti non potrà che restare questa la direzione da seguire. Le difficoltà da affrontare saranno tante, ma noi siamo pronti”.

AUSTRALIA

Lidl aumenta la propria quota di mercato Dopo il fallimento della catena di supermercati Zielpunkt, Lidl Österreich, che conta 4.500 dipendenti, rafforza la propria posizione sul territorio austriaco aumentando la propria quota di mercato (5,5%) con il proprio giro d’affari, che è cresciuto, nell’ultimo anno commerciale, del 10% arrivando a superare il miliardo di euro. Grandi potenzialità non solo per la capitale viennese, dove il gruppo acquisirà almeno 4-5 filiali della catena Zielpunkt, ma anche per gli altri Bundesländer. Il retailer dovrebbe investire, nel corso dell’anno commerciale corrente, altri 100 milioni di euro nella costruzione di nuovi negozi, garantendo così dai 100 ai 200 nuovi posti di lavoro. Il numero dei punti vendita (270) dovrebbe crescere ulteriormente. Accanto ai tre punti vendita aperti nel 2015, Lidl inaugurerà quest’anno otto nuovi punti vendita, che dovrebbero utilizzare energie sostenibili. L’espansione non riguarderà solo i nuovi punti vendita. Lidl Österreich dovrebbe arricchire anche il proprio assortimento puntando su convenience, bio e specialità regionali. Attualmente i prodotti provenienti dall’Austria coprono il 30%. Maggio 2016


SCHEDA PRODOTTO S

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Emanuele Zanini Il maltempo sta mettendo a dura prova il comparto delle ciliegie. Le abbondanti piogge e la grandine, specialmente durante maggio, hanno compromesso buona parte della stagione in diversi areali della penisola. In Puglia - prima regione produttiva in Italia con il 40% del totale della produzione nazionale, con 17 mila ettari investiti (di cui 15 mila nella sola provincia di Bari), 600 mila quintali prodotti e un volume d'affari di 300 milioni di euro - la situazione è quasi drammatica: qui già ai primi di maggio le forti precipitazioni avevano guastato una buona parte delle produzioni. Altre piogge e la grandine cadute attorno al 20 maggio hanno fatto il resto, compromettendo non solo le varietà precoci ma in parte anche Duroni e Ferrovia. Secondo la CIA, Confederazione agricoltori italiani, soprattutto nelle province di Bari e BarlettaAndria-Trani, sono andati distrutti quasi 80 milioni di euro di ciliegie da inizio campagna. Mentre a Ferrara, ma anche in diverse aree del Bolognese, del Basso Veneto e del Mantovano, la situazione climatica atipica ha provocato un fenomeno altrettanto anomalo e diffuso di cascola nei frutteti che riguarda quasi la metà delle aziende agricole del territorio. Le piogge torrenziali e le grandinate che hanno interessato il Mezzogiorno tra il 20 e il 23 maggio hanno assestato un colpo mortale ai ciliegeti pugliesi: distrutte le coltivazioni nella zona di Turi, Castellana Grotte, Putignano, Conversano, Corato, Ruvo di Puglia, Molfetta, Bisceglie. Il danno stimato al settore cerasicolo in queste zone è compreso tra il 70% e il 100%, con la grandine, che in alcune zone sembrava neve Maggio 2016

CILIEGIA

Produzioni colpite dal maltempo Giuliano: “Serve prevenire” Sull’onda di una campagna produttiva quasi disastrosa l’imprenditore pugliese lancia una proposta: urgono finanziamenti per le coperture dei campi

Nicola Giuliano e Stefano Pezzo, fanno il punto sulla stagione in corso

con cumuli al suolo alti fino a 20 centimetri. Risultato: ciliegie spaccate e segnate irrimediabilmente nelle varietà prossime alla raccolta. In diverse zone i chicchi di grandine hanno provocato lesioni ai rami e ai tronchi dei ciliegi, compromettendo così anche le produzioni degli anni futuri. In Puglia sulla varietà Bigarreaux meno del 30% del prodotto è rimasto sano. Il rimanente 70% è stato spazzato via da vento e acqua. Sul 20% delle produzioni precoci di Giorgia il maltempo ha lasciato un segno indelebile. Giorgia e Ferrovia sembravano salve, prima della nuova ondata di maltempo, che ha messo quasi completamente fuori gioco i già scarsi volumi rimasti. L'imprenditore Nicola Giuliano, a capo della Giuliano Puglia Fruit di Turi (Bari) a metà maggio aveva fornito alcune stime: “Per Bigarreaux siamo attorno ad un 60% rispetto alla media, mentre sui Duroni ci aspettiamo un 50%”. Basta un dato di confronto tra la campagna 2015 e quella di quest’anno: “Come Giuliano nelle

prime due settimane di raccolta lo scorso anno avevamo raggiunto i 10 mila quintali, quest’anno 2 mila”. Il calo drastico dei quantitativi secondo l’imprenditore di Turi è dovuto principalmente all’inverno caldo (con poche ore di freddo necessarie agli alberi per portare avanti una corretta allegagione dei frutti), ad una primavera troppo precoce, una fioritura troppo lunga e un’impollinazione discontinua. Il risultato è stato un calendario di raccolta molto anticipato. I primi stacchi sono avvenuti 15 giorni prima della norma: “Per le Bigarreaux abbiamo iniziato tra il 22 e il 23 aprile (quando solitamente si parte tra il 5 e il 10 maggio). Un record storico. Mai prima d’ora avevamo iniziato la stagione così presto”. L'imprenditore barese lancia poi un messaggio forte e chiaro: è tempo di cambiare strategia sui finanziamenti: “Basta con le continue richieste di risarcimento per calamità naturali. Servono investimenti e fondi per le protezioni ai ciliegeti. È questa la chiave di volta del comparto”. Per Giuliano il maltempo non si www.corriereortofrutticolo.it

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sconfigge richiedendo soldi a pioggia a danno compiuto. Serve prevenire. E per farlo è necessario puntare sulle coperture alle colture, in grado si annullare i devastanti effetti che grandine, pioggia e vento possono avere sulle ciliegie. “I sistemi di difesa per i ciliegeti sono molto costosi - precisa Giuliano. I prezzi possono toccare i 100 mila euro ad ettaro. Ma è una strada obbligata se vogliamo tornare ad essere realmente competitivi anche sui mercati esteri. I clienti più strutturati sono sempre più organizzati e non possono permettersi di avere discontinuità nella fornitura e nella qualità della frutta”. E la Puglia su questo fronte ha perso competitività. “Fino a dieci anni fa dalle aree delle produzioni pugliesi partivano fino a 100 camion diretti nel Regno Unito - sottolinea Giuliano -. Oggi nemmeno uno. È giunto il momento di cambiare

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rotta”. Secondo l’imprenditore, a capo di una delle principali realtà ortofrutticole del Mezzogiorno, per le ciliegie servirebbe un capitolo a parte in cui prevedere dei finanziamenti a tutti i produttori (e non solo alle OP) per contribuire alle spese degli impianti di protezione. A quel punto - sostiene l'imprenditore barese - i fondi per il risarcimento dei danni da maltempo non servirebbero più. Ma non solo. Una volta installate, le protezioni durano trent’anni, con i conseguenti enormi e incalcolabili benefici e risparmi per il settore. Finora, purtroppo, non c’è

mai stata una vera volontà di fare questo passo, che ritengo invece indispensabile. Stiamo cercando di sollecitare le istituzioni in tal senso – conclude – perché sono convinto che sia un passaggio strategico determinante per il comparto cerasicolo pugliese, che rimane fondamentale all’interno del settore ortofrutticolo regionale”. Anche Stefano Pezzo, titolare dell'azienda veronese Cherry Passion e presidente di FruitImprese Veneto, è sulla stessa lunghezza d'onda di Giuliano. “Poter inserire delle coperture alle piante significherebbe una svolta per il comparto. Il Governo dovrebbe intervenire in tal senso”, sostiene Pezzo che aggiunge: “Nel Veronese, nonostante si disponga di ciliegie di ottima qualità e gusto è necessario puntare al miglioramento varietale. Il mercato richiede sempre più calibri medio-

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Il maltempo non ha risparmiato la produzione di ciliegie di Marostica. Sulle precoci la stima dei danni supera il 65% del prodotto. “Le cause sono riconducibili alle numerose e abbondanti piogge - sottolinea Mariangela Crestani, neo presidente del Consorzio di tutela della ciliegia di Marostica IGP -: le precipitazioni troppo abbondanti hanno danneggiato e spaccato i frutti nella parte superiore, vicino al peduncolo”. Non sono mancati anche danni da grandine. Oltre alle avversità atmosferiche ci sono pure i parassiti, sottolinea Crestani. “Da un paio di anni i cerasicoltori si trovano a fronteggaire il parassita 'drosophila suzukii' contro il quale ancora oggi non ci sono rimedi efficaci al 100%. Ovviamente tutto ciò va ad incidere in termini di costo-lavoro per i produttori che diventano dei veri e propri segugi nel fare la cernita a mano delle ciliegie sane da quelle guaste con un notevole allungamento dei tempi e con costi elevati, per nulla proporzionali al ricavo”. La campagna era partita con una fioritura molto buona, in anticipo di 5-6 giorni rispetto all'anno precedente, grazie ad un clima soleggiato e mite. “La raccolta a marchio IGP è iniziata il 5 maggio con comunicazione da parte del Consorzio verso l'ente certificatore CSQA di Thiene a favore dei propri consorziati”, precisa Crestani. I primi 20 giorni sono dedicati alla varietà precoce prevista dal disciplinare di produzione. Ad oggi (23 maggio) la raccolta di ciliegie è circa al 35% della produzione totale (varietà precoce)”. Lo scorso anno sono stati prodotti globalmente circa 10 mila

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quintali di ciliegie di cui circa mille a marchio IGP. “L'obiettivo è quello di rimanere su questi quantitativi anche quest’anno, sempre tempo permettendo”, annuncia la neo presidente, salita al vertice del Consorzio da pochi mesi, che comunque vuole rimanere moderatamente ottimista per il prosieguo della stagione. Il nuovo cda della società che tutela il prodotto a marchio veneto è stato nominato lo scorso febbraio (il precedente aveva raggiunto il tetto massimo dei tre mandati). Il fondatore del Consorzio nel 2006 era stato Giuseppe Zuech, promotore della conquista del marchio IGP nel 2001, “il primo in Europa ad aver avuto il riconoscimento”. Oggi il Consorzio conta oltre 100 soci, 20 confezionatori, una decina di trasformatori, mentre la filiera della ciliegia di Marostica IGP abbraccia oltre 400 operatori tra ristoranti, trasformatori, aziende agricole, negozi. Sulle prospettive Crestani sottolinea come “oggi per le piccole-medie imprese locali la carta vincente per essere competitive sui mercati è la differenziazione del prodotto, e quindi la valorizzazione della qualità, obiettivo che viene prefissato dai marchi di qualità. In questo modo è possibile parlare di agricoltura sostenibile perché i cerasicoltori possono essere forti (le ciliegie IGP tengono il prezzo più alto) ma allo stesso modo il marchio svolge la funzione di tutela del consumatore perché vi è una filiera corta, ma anche di promozione del territorio e di informazione". Sui progetti futuri il Consorzio ha già aderito al bando PSR 2014-2020 posto dall'Unione Europea a carattere promozionale ed informativo per la campagna cerasicola 2016-2017.

grandi, mentre nell’area veronese le dimensioni dei frutti rimangono mediamente più piccoli. Un aggiornamento in tal senso porterebbe indubbi benefici ai produttori e non solo”. Pezzo rimane moderatamente ottimista per il futuro della stagione cerasicola veronese iniziata con l’anticipo della varietà Bigarreaux, proseguita con i primi stacchi di Giorgia e Adriana, partiti il 23 maggio, in linea con la media, mentre la piena produzione è prevista negli ultimi giorni di maggio. “Il prodotto sulle piante c’è. Dobbiamo ora confidare nel tempo”, afferma sospirando. Cherry Passion, inoltre, è pronta al debutto sul mercato delle ciliegie con il proprio marchio Romeo&Juliet, con le tipologie more. Il brand è stato già sperimentato con le mele Granny Smith. Il marchio è registrato in Italia e all’estero e punta a identificare chiaramente le ciliegie veronesi. “Il significato di questo brand – spiega Pezzo – è trasmettere il valore e le qualità del prodotto che si trova nel nostro territorio, conosciuto all’estero anche grazie alla nota commedia di William Shakespeare da cui il brand prende il nome. La ciliegia veronese da sempre viene esportata in molti Paesi in Europa e oggi più di un tempo ha bisogno di una chiara identificazione geografica”, sottolinea Pezzo. “Riteniamo che le ciliegie More siano l’eccellenza della produzione veronese e queste unite alle nuove varietà in sperimentazione di calibro più grosso possono regalare grandi emozioni al consumatore grazie al loro maggiore grado zuccherino e grazie alla loro tipica croccantezza”. In generale rimarranno comunque invariate le linee di commercializzazione già consolidate con le ciliegie a marchio Cherry Passion che comprendono il prodotto pugliese e anche il prodotto proveniente dalla Turchia che di solito viene importato e distribuito dall’azienda in Italia dopo il 20 giugno. www.corriereortofrutticolo.it

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Prezzi più alti per le ciliegie IGP L’esempio di Marostica

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FRAGOLA

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Apo Scaligera, Candonga e Coop Sole: in Italia la fragola tiene Emanuele Zanini Prospettive moderatamente ottimiste per il comparto delle fragole. I problemi non sono mancati in particolare legati al clima e ai prezzi finali ottenuti, ma nel complesso la stagione è stata piuttosto positiva. A metà maggio per la chiusura della campagna primaverile c'era una certa fiducia nelle parole di Gianluca Bellini responsabile commerciale di Apo Scaligera, cooperativa di Santa Maria di Zevio (Verona), una delle principali realtà italiane del comparto grazie alla commercializzazione di 5.500-6.000 tonnellate di prodotto tra aprile e ottobre con 35 milioni di fatturato complessivi e il 40% di export. Nel gruppo veronese c'è un cauto ottimismo nonostante le piogge (e la grandine in alcune zone) della prima parte del mese di maggio. “Il maltempo impone maggiore attenzione nelle cernita e selezione della merce”, spiega Bellini. “Gestiremo con estrema attenzione i probabili effetti negativi del maltempo. Comunque sia, le quantità ritirate caleranno progressivamente”. Il manager veneto fa un primo bilancio con uno sguardo ai prossimi mesi: “Non siamo ancora ai titoli di coda ma in ogni caso conosciamo lo sviluppo della trama che è sostanzialmente positiva. Buone le quotazioni, che hanno toccato i massimi nella prima settimana di maggio. Il ritardo della produzione tedesca ci favorisce ancora in esportazione e la richiesta dei gruppi italiani ci permette di guardare con discreto ottimismo a questa seconda parte di stagione”. Nel Veronese, una delle aree italiane maggiormente vocate alla produzione delle fragole, la raccolta è iniziata a metà aprile con picco produttivo tra fine aprile e

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prima decade di maggio, per esaurirsi ai primi di giugno. Per allungare la stagione Apo Scaligera ha introdotto da alcuni anni la coltura della fragola estiva che assicura il prodotto nei mesi di giugno e luglio per poi spostarsi in Lessinia (una vasta area collinare a nord di Verona) nei mesi più caldi e tornare in pianura da settembre a novembre con la classica produzione d’autunno. “Buona preparazione a fiore, condizioni meteo favorevoli per l’assenza di temperature particolarmente elevate e generale equilibrio vegetativo degli impianti sono state condizioni molto favorevoli che hanno garantito una produzione di buona qualità per pezzatura, consistenza e resa media per ettaro” osserva Bellini. “Le varietà prevalenti di Apo Scaligera sono Garda e Eva, ottenute dal lavoro di selezione nei nostri campi-prova coordinato dall’Istituto sperimentale di Forlì. Garda in particolare sarà la proposta vincente delle prossime stagioni dopo il favore che ha riscosso nelle scorse campagne e a cui affiancheremo due nuove selezioni in via di registrazione”. L’anticipo di raccolta e il calo del 10% delle superfici investite in Spagna e la conferma delle varietà precoci ha creato buone condizioni per la fragola veronese. “Tale situazione ci ha permesso d’inserire fin dai primi giorni di raccolta il nostro prodotto negli scaffali della distribuzione austriaca e svizzera, da sempre sensibili al prodotto del Nord Italia aggiunge il direttore vendite di Apo Scaligera. Ritardati i primi invii da Verona in Germania a causa delle basse temperature e l’ancora discreta presenza di prodotto spagnolo”. “Quest’anno – spiega Bellini – abbiamo completato il processo

di certificazione che ci permesso la fornitura già dal mese scorso di prodotto a marchio per i principali gruppi della distribuzione italiana. Siamo soddisfatti perché ci è stata riconosciuta affidabilità e capacità di gestione dei processi produttivi e sicurezza nella fase di confezionamento e spedizione. Crediamo che il mercato nazionale sarà importante per la fragola veronese dopo l’accurata selezione varietale di questi anni ed il riequilibrio in atto tra quote in export e quelle destinata all’Italia”. Per Matteo Falzi, direttore di Villafrut di Villafontana (società veronese con filiale in Spagna) la campagna fragole quest’anno e iniziata in anticipo rispetto agli anni scorsi, “evidenziando pero una mancanza di consumi. La GDO – analizza Falzi a metà maggio – non e riuscita prontamente a mettere in assortimento l’articolo. Questo ‘disguido' ha causato un eccesso di offerta rispetto alla richiesta con una conseguente e repentina discesa del prezzo. Anche la Pasqua anticipata e il tempo non sempre clemente non hanno migliorato la situazione e mai come quest’anno le fragole spagnole hanno avuto problemi”. Il manager veronese analizza più nel dettaglio l'evoluzione del comparto dei piccoli frutti. “Gia da anni stiamo riscontrando che il mercato delle bacche (di cui le fragole fanno parte) si e spostato sui frutti di bosco, quindi il consumatore si ritrova negli scaffali della GDO, oltre alle fragole stesse, anche mirtilli, more, lamponi, ribes, etc. Questo fa si che chi vuole bacche ha una vasta scelta e di conseguenza le fragole si consumano meno”. Falzi sottolinea inoltre che le fragole del Sud Italia hanno avuto, soprattutto a livello nazionale, un buon successo, proprio a causa Maggio 2016


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“Punteremo ancora sulla promozione e dal punto di vista produttivo cresceremo ancora – annuncia Suriano. Per il 2017 prevediamo di incrementare la produzione con un’altra cinquantina di ettari per un aumento dei volumi attorno al 7%”. Poi l'imprenditrice lucana ritorna a parlare del nodo contraffazioni, argomento che in aprile era tornato alla ribalta dopo il caso di un sequestro di 80 mila imballaggi di fragole Sabrosa a marchio Candonga effettuato dalla Guardia di Finanza. Pochi giorni dopo la merce è stata dissequestrata su ordine del tribunale di Matera

con i legali di Planitalia che si sono opposti. “Nel settore e in particolare per quanto riguarda il marchio Candonga sulle fragole Sabrosa non c’è ancora sufficiente tutela e controllo. I danni causati dalla contraffazione sono enormi. Non si fa ancora abbastanza per debellare questo fenomeno e purtroppo, non di rado, anche le catene della grande distribuzione chiudono un occhio sull’autenticità delle cultivar e sull’origine del prodotto”. “Purtroppo ci sono operatori che tentano di proporre alla GDO fragole “tradizionali” spacciandole con il marchio Candonga con le catene dei supermercati che a volte acconsentono, senza effettuare le dovute verifiche”, precisa Suriano che comunque intende non darsi per vinta. “Intensificheremo ulteriormente i controlli per la salvaguardia della varietà e del marchio commerciale ad essa collegato. Faremo effettuare dei monitoraggi delle piantine di Sabro-

sa vendute, confrontandoli con un elenco completo dei produttori della cultivar per evitare che ci siano dubbi sull’autenticità della provenienza dei frutti”. Per Pietro Ciardiello, direttore della Coop Sole di Parete (Caserta) il maltempo della seconda metà di maggio ha in parte influenzato la campagna con qualche problema di qualità e sulla shelf life della frutta. Ma anche in questo caso l'andamento è stato buono, grazie ad un raccolto in aumento del 40% rispetto al 2015, prezzi soddisfacenti, qualità eccellente anche grazie al clima favorevole fino a metà maggio e nuovi progetti per il futuro che prevedono l’introduzione sul mercato di 4-5 nuove varietà. Era partita infatti sotto i migliori auspici la stagione delle fragole per Coop Sole, una delle principali realtà ortofrutticole del Mezzogiorno. L’impresa campana anche quest’anno ha investito 200 ettari di areali a fragole dai quali, ad oggi, ha prodotto circa 1.500 tonnellate con l’obiettivo di toccare le 8 mila tons a fine campagna. La raccolta è iniziata a fine gennaio con i primi stacchi, con un trend di maturazione anticipato rispetto allo scorso anno. Si prosegue fino a giugno. La produttività è stata particolarmente positiva grazie alla messa a dimora di un minor numero di piante per ettaro che ha dato rese superiori. Anche quest’anno la cultivar Sabrina sarà l’autentico cavallo di battaglia dell’azienda casertana, rappresentando l’80% delle fragole coltivate. Ma la novità per il prossimo anno, come detto, sarà rappresentata dall’introduzione di 4 (forse 5) nuove varietà. “Saranno sempre tipologie di fragole dalla forma allungata – spiega Pietro Ciardiello, direttore di Coop Sole – e precoci. In questo modo puntiamo ad allungare il calendario di produzione, in anticipo, partendo non più a gennaio bensì a novembre”.

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della scarsa qualita di quelle spagnole che all’estero sono ancora le piu commercializzate. Nel complesso comunque l'annata si sta profilando positiva. Spostandosi nel Mezzogiorno Carmela Suriano, amministratrice di Planitalia e del club Candonga si dice molto soddisfatta per l’andamento delle vendite delle fragole Sabrosa tramite i marchi Candonga e Candonga Fragola Top Quality. “Abbiamo raccolto oltre l’80% del prodotto e andremo avanti fino al 15 giugno”, ha sottolineato Suriano a metà maggio. “La qualità non delude mai, nonostante il clima anomalo non ci abbia favorito”, aggiunge l’imprenditrice. “In generale il mercato è stato condizionato da un inverno mite che ha anticipato le produzioni. Poi il ritorno del freddo a marzo ha bloccato la maturazione della frutta con volumi bassi e prezzi alti. In aprile le temperature alte – con picchi fino a 30 gradi raggiunti sotto le serre – hanno creato sensibili incrementi produttivi con conseguenti problemi sul mercato e un calo sensibile dei prezzi. Ma per Candonga la domanda generale è sempre stata assai positiva con una media prezzi molto soddisfacente. Il brand, costantemente supportato dal continuo progetto di valorizzazione, si conferma come premium prive e non risente della concorrenza di altre fragole”. Sono 51 milioni le piantine di fragole Sabrosa coltivate su 730 ettari, vendute esclusivamente con i due brand di riferimento e che rappresentano il 90% della Candonga prodotta nel Metapontino. Sono 32 mila le tonnellate commercializzate finora, a nemmeno un mese dalla chiusura della campagna. L’export, diretto o indiretto (considerando per esempio la merce inviata all’estero tramite i mercati all’ingrosso) rappresenta circa il 20% delle vendite, con domanda in aumento, specie da alcuni Paesi come il Regno Unito. I piani per il futuro sono già chiari:

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Francescon lancia l’allarme: Meno promozioni nella GDO Ancora una volta è il tempo la variabile principale che ha inciso, non poco, sul mondo dei meloni influenzando l'andamento dei consumi. Per Bruno Francescon - a capo della principale organizzazione di produttori italiana, con sede a Rodigo (Mantova) la stagione primaverile del melone non è stata esaltante a causa del clima anomalo, con marzo e aprile non brillanti. “I consumi - spiega Francescon, da noi intervistato a metà maggio - sono stati lenti, anche in Nord Europa. Anche per questo finora l’annata è stata appena discreta”. Mentre scriviamo sono in arrivo sui mercati le produzioni del Nord Italia, in particolare del Mantovano e del Veronese, con una stagione molto differente rispetto agli ultimi 10-15 anni. “Abbiamo avuto una scarsissima allegagione dei frutti a causa del tempo, caratterizzato da continui e repentini saliscendi delle temperature, con pochi meloni per pianta e di pezzatura medio-piccola. Questo fattore porterà ad un calo dei volumi attorno al 30%” spiega ancora Francescon. “Fino a fine giugno avremo un’offerta nettamente più bassa della media e con calibri piuttosto piccoli”. Il fattore clima ha inciso notevolmente. E lo sa bene lo stesso imprenditore virgiliano che ne ha pagato direttamente le conseguenze. A metà maggio nel Mantovano si è abbattuta una violenta grandinata che ha distrutto 80 ettari di piantagioni di meloni precoci dell’OP lombarda (il 30% del totale del precoce). Un fenomeno che si era ripetuto anche nel 2014 e nel 2015 quando era stato compromesso rispettivamente il 40% e il 25% della produzione. Nonostante ciò, l’organizzazione di produttori mantovana nel 2016 punta a superare le 40 mila tonnellate di

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Il primo produttore italiano preoccupato della scontistica proprosta dai distributori. Della stessa opinione anche Ettore Cagna. Nadalini: “Annata difficile”

meloni commercializzati e 10-12 mila tonnellate di angurie. L'imprenditore lombardo punta il dito poi sull'atteggiamento della grande distribuzione che spesso non considera le problematiche che la produzione deve affrontare puntando solo al prezzo finale. Per Francescon sui meloni non è più tempo di volantini con prezzi stracciati per incentivare le vendite, soprattutto nel prossimo mese di giugno, quando mancheranno i volumi. E lancia un appello alla grande distribuzione organizzata: “Ci auguriamo che la GDO non commetta gli errori di aprile e inizio maggio in cui ha messo in vendita il prodotto con sconti eccessivi. Serve pianificare. In giugno non ci saranno le condizioni per posizionare tra gli scaffali volantini o prezzi bassi, come è stato fatto, malamente, finora. Le possibilità ci potrebbero essere più avanti, nel corso della stagione estiva. Ma, ripeto, non a giugno”. L’avvertimento di Francescon arriva dopo quello che si è verificato con il prodotto siciliano. La produzione dell’isola è iniziata con un mese d’anticipo. Ai primi di

aprile è partita la raccolta, quando solitamente i primi stacchi vengono effettuati a inizio maggio. La campagna, che dura un paio di mesi e che sta chiudendo mentre scriviamo, è stata diluita nel tempo. “I prezzi ottenuti sono stati particolarmente remunerativi con punte che hanno toccato i due euro al chilo”. Il clima ha favorito le produzioni precoci che hanno ulteriormente anticipato la maturazione, mentre quelle tardive sono rimaste stabili, allungando il raccolto fino a 60 giorni. L’imprenditore lombardo però dà una bella tirata d’orecchie al mondo delle catene distributive: “Hanno proposto volantini creati un mese e mezzo prima della pubblicazione senza tener conto dell’andamento della stagione e con sconti eccessivi e prezzi scesi anche a 1,29 euro al chilo. Ma si sarebbe potuto vendere il prodotto a quotazioni nettamente superiori. Purtroppo molti produttori hanno dovuto sottostare alle regole imposte dalla GDO e chinare la testa. Ora bisogna invertire questa tendenza”. Per tutto giugno mancheranno volumi di meloni sul mercato. La conferma di quanto espresso da Bruno Francescon arriva da Ettore Cagna, presidente dell’Agricola Don Camillo di Brescello (Reggio Emilia). “A causa del clima l’allegagione del prodotto è stata inadeguata - sottolinea l’imprenditore emiliano -. Ad oggi si stima un calo produttivo attorno al 25% negli areali di Verona e Mantova. Almeno fino al 20 giugno mancherà merce. Quindi si profila un giugno anomalo, visto che solitaMaggio 2016


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Prosegue la collaborazione tra il Consorzio Mundial di Licata (Agrigento), leader in Italia nel settore dei meloni, e il Gruppo Alegra di Faenza (Ravenna), realtà di punta dell’ortofrutta fresca, che hanno rinnovato l’accordo siglato per la prima volta nell’aprile del 2015. Anche per quest’anno, quindi, il Consorzio siciliano affida al gruppo romagnolo la commercializzazione in esclusiva dei pregiati meloni Red Falcon. Ottenuta dai soci del Consorzio su una superficie di circa 700 ettari, coltivati nell’area di Licata, Palma di Montichiaro (Agrigento) e Ispica (Ragusa), la produzione di questi meloni si attesta sulle 15 mila tonnellate ed è collocata sul mercato con il marchio Mundial. “Questo prodotto – dichiara il presidente del Consorzio Mundial, Domenico Raneri – vanta alcuni importanti punti di forza quali la presenza di retatura, l’elevato grado zuccherino, la prolungata shelf life, che può raggiungere anche le due-tre settimane dalla raccolta, il colore arancio vivo compatto della polpa e la pigmentazione intensa”. “Purtroppo – prosegue Raneri – nel 2015 l’andamento climatico sfavorevole, con precipitazioni abbondanti e temperature inferiori alla media stagionale, ha provocato un ritardo della campagna della produzione siciliana che si è così sovrapposta a quella del Centro Nord Italia, con inevitabili ripercussioni negative sulla commercializzazione. I risultati deludenti rispetto alle aspettative hanno pertanto indotto i produttori a ridurre le superfici investite, diminuite di circa il 20% in tutta la Sicilia”. “La campagna 2016 è iniziata a metà marzo, con un mese di anticipo rispetto all’anno scorso – af-

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ferma Raneri – e il prodotto ha mostrato un livello qualitativo decisamente elevato con grado Brix variabile da 15 a 17. I migliori meloni della varietà Red Falcon sono stati esitati sui mercati con prezzi compresi tra 2 e 3 euro al chilo a seconda dei calibri. I clienti hanno apprezzato la qualità dei frutti, rivelatasi ottima nonostante l’anticipo della produzione. Un risultato importante ottenuto grazie al lavoro svolto da alcuni soci del Consorzio specializzati nella coltivazione anticipata. Attualmente, nessuna altra varietà è in grado di fornire gli stessi risultati in termini di qualità e shelf-life dei frutti”. “Mentre l’anno scorso la com-

L’accordo partito lo scorso anno per i Mercati all’ingrosso nel 2016 viene esteso alle vendite nella grande distribuzione. Soli: “Malgrado il momento difficile dobbiamo mantenere la qualità su standard elevati”

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Rinnovata l’intesa tra Alegra e il Consorzio Mundial volta a valorizzare sul mercato il melone siciliano mercializzazione aveva interessato soltanto i grossisti presenti nei Mercati generali italiani – dichiara il referente commerciale di Alegra per il melone, Luigino Furlan – nel 2016 una parte della produzione sarà collocata anche presso la GDO italiana ed estera. La campagna dovrebbe risultare più facile da gestire in quanto non sarà concentrata in poco tempo, come l’anno scorso, ma diluita in più mesi, da fine marzo a metà giugno e la qualità del prodotto si è presentata eccellente già dalle prime raccolte”. “Certamente però – prosegue il direttore marketing e sviluppo Stefano Soli (nella foto) – non dobbiamo illuderci in quanto i mercati stanno vivendo una fase difficile e per questo dobbiamo mantenere la qualità su standard elevati per competere con il prodotto di importazione e valorizzare al meglio la produzione italiana proveniente dalla Sicilia sino alla fine della raccolta, cercando di conquistare anche quote sui mercati esteri. L’obiettivo è aumentare i volumi commercializzati con il marchio Mundial incrementando anche la clientela potenzialmente interessata a questo prodotto in modo da sostenere le aziende agricole siciliane, specializzate nella coltivazione di un melone dalle caratteristiche uniche quale è Red Falcon”. “L’accordo siglato con il Consorzio Mundial – conclude Soli – si inserisce nelle politiche di aggregazione dell’offerta, oggi indispensabili di fronte alla globalizzazione dei mercati e alla progressiva concentrazione della distribuzione, e rappresenta l’espressione concreta delle sempre maggiori sinergie tra produttori e prodotti di eccellenza del Sud Italia e realtà organizzate come il Gruppo Alegra”.

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Crescono le catene interessate al melone mantovano IGP Il Melone Mantovano IGP cresce nei numeri moltiplicando i volumi e tenta di sfondare nella grande distribuzione organizzata. Mauro Aguzzi, presidente del Consorzio, fornisce alcuni dati eclatanti: in giugno il prodotto marchiato IGP arriverà a 1.5002000 tonnellate “se non di più”, afferma Aguzzi. Un bel salto in avanti rispetto alle 400 tonnellate vendute nello stesso periodo dello scorso anno. “L’incremento è dovuto al maggior interesse della GDO ( con catene come Gigante e Carrefour, mentre abbiamo sviluppato contatti anche con Coop e Conad e Famila) che hanno realizzato interessanti programmazioni per tutta la stagione 2016 specie nei punti vendita della zona”, rivela il numero uno della realtà consortile mantovana che raggruppa undici soci tra cui alcuni dei maggiori produttori del territorio (e d’Italia) su un’areale compreso tra i territori vocati di Rodigo, Sermide e Viadana oltre che nove comuni sparsi tra Modenese, Ferrarese e Bolognese. “L’approccio delle catene è aperto e le richieste sono in aumento con possibilità di stringere nuovi accordi”. Così per quest’anno, secondo Aguzzi, i volumi di meloni commercializzati con l’IGP potrebbero toccare le 25-30 mila tonnellate. Un balzo enorme rispetto solo allo scorso anno quando si erano raggiunte appena le 1.200 tons. “E pensare che ad oggi il prodotto certificato con l’indicazione geografica protetta è appe-

na il 10% della merce prodotta nel Mantovano. Il nostro obiettivo – annuncia il presidente del Consorzio – è di raggiungere il 30-40% della produzione globale della provincia entro 3-4 anni. I numeri per farlo ci sono e, sembra, pure la volontà”. Con questi presupposti, allargare la forbice dei gruppi distributivi non sembra pura utopia. “Quest’anno coinvolgeremo anche i punti vendita di retailer del Ferrarese, Bolognese, Modenese oltre che parte della Toscana. E puntiamo ad allargarci anche nel Centro Italia oltre che, ovviamente a tutto il Nord”. L’unica incognita rimane per ora il tempo. “Il clima ha influito con ritardi negli stacchi”, spiega Aguzzi. “Gli sbalzi termici tra aprile – durante il quale ha fatto caldo – e maggio – con piogge e temperature più fredde – hanno rallentato l’allegagione dei frutti ritardando di fatto la maturazione”. Si registra pertanto un ritardo nel calendario di 7-10 giorni con la raccolta che partirà attorno al 23 maggio, mentre solitamente non si supera il 10-15 maggio. I volumi previsti quest’anno dovrebbero calare causa proprio il tempo bizzarro: “Manca attorno al 20-30% del prodotto. Quello che preoccupa maggiormente però sono i consumi, che nel 2015 erano stati ottimi specie grazie ad una estate calda – sottolinea Aguzzi. Se il tempo non si rimette in sesto gli acquisti rischiano di rimanere stagnanti. Speriamo in un’inversione di tendenza”. (e.z.)

mente è il mese con i consumi più alti di meloni. In questo periodo quest’anno le quantità scarseggeranno con prezzi più elevati rispetto alla media”. Poi, anche da questa azienda, ar-

riva una stoccata alla grande distribuzione organizzata, colpevole secondo Cagna di trattare il melone come una commodity e di seguire i propri parametri senza considerare l’evoluzione della

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produzione. “Anche la GDO è responsabile dei consumi. Si guarda troppo spesso al prezzo prima della qualità. Sugli scaffali viene proposto prodotto non sempre al top eppure come prezzo d’acquisto per i retailer non c’è tanta differenza tra un prodotto mediocre e uno di qualità. La differenza è di 20 centesimi. I buyer dovrebbero essere più attenti alla qualità che al prezzo. Ne guadagnerebbe tutto il sistema e la filiera, consumatore compreso”. Agricola Don Camillo prevede una produzione complessiva che oscillerà tra le 40 e le 45 mila tonnellate coltivate su 1.200 ettari di terreno dislocati lungo tutta la penisola, specie tra il Veronese, il Mantovano e in Sicilia. “Siamo soddisfatti anche per essere partiti con il nuovo magazzino di Brescello – aggiunge Cagna - il cui fiore all’occhiello è la nuova linea di lavorazione. Oggi con due linee (la nuova e quella ‘storica') siamo in grado di lavorare tra le 55 e le 60 tonnellate di melone all’ora”. Secondo Francesca Nadalini dell'omonima azienda di Sermide (Mantova), impresa che commercializza circa 5000 mila tonnellate di meloni su 150 ettari di appezzamenti, il 60% su campo aperto e il restante 40% in tunnel, “questa annata ricorda da vicino quella del 2013, piuttosto difficile. Abbiamo risentito del clima nella prima parte della stagione, specialmente perché siamo specializzati sul precoce. Quest'anno – spiega Nadalini - siamo partiti attorno al 20-23 maggio quando invece di solito iniziamo attorno al 10 maggio. Una decina di giorni di produzione persi che in parte hanno pesato. Su questo ha influito la mancanza di allegagione dei meloni tra fine aprile e maggio con una contrazione delle produzioni su campo aperto. Risultato: minori volumi rispetto alla media. L'altro fattore è che con il clima ballerino si fa fatica a programmare. Le grandinate a macchia di leopardo hanno condizionato i produttori”. (e.z.) Maggio 2016




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