La città e l’altra città Collana diretta da Pasquale Persico e Maria Cristina Treu
Le infrastrutture storiche. Una risorsa per il futuro
A cura di: Maria Cristina Treu e Carlo Peraboni
Immagine di copertina: Il ponte ferroviario di Bondeno sul fiume Panaro. Fonte: archivio Associazione Amici della Ferrovia Suzzara-Ferrara. Nota: Le immagini, quando “non specificato�, sono proposte o messe a disposizione dagli autori dei testi.
I ringraziamenti sono per il Comune di Suzzara e la dottoressa Elena Prandi per il sostegno dell’iniziativa del Seminario e di questa pubblicazione; per l’ Associazione Amici della Ferrovia Suzzara-Ferrara: Roberto Santini, Dante Maestri, Flavio Tiengo e Fabio Malavasi, che hanno collaborato al testo e che hanno messo a disposizione il patrimonio delle loro conoscenze e del loro Archivio di Documentazione, oltre al contenuto e alle immagini della pubblicazione La Ferrovia Suzzara-Ferrara 125 anni dopo. Per gli studenti del Master: Filippo Beghini, Francesco Begotti, Federico Bernardi, Andrea Bertozzi, Matteo Borasca, Nicolas Bosi, Antonino Cacciatore, Valentina Capra, Marco Di Dodo, Francesco Difino, Federico Faccioli, Erika Frigerio, Francesca Giovannini, Giacomo Greggio, Cristina Nicita, Federico Peccini, Anna Rasio, Jacopo Rettondini, Francesco Rinaldi, Matteo Santangelo, Francesco Sartori, Sabrina Silva, Christian Tezza, Federico Tommasini, Giovanna Venturelli, Luigi Zorzi. Per i docenti responsabili del master “Le infrastrutture nella storia. Una risorsa per il futuro”: Carlo Peraboni e Vittorio Valpondi; e per tutti docenti e non docenti che hanno contribuito al testo. Per gli architetti Silvia Marmiroli e Stefano Sarzi Amadè che hanno collaborato anche all’editing della pubblicazione. Si ringrazia altresì Vittorio Valpondi per le fotografie presentate al Seminario, e Martina Mazzali per la disponibilità concessa di accedere al suo archivio fotografico.
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Indice Parte I Le infrastrutture nella storia
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Introduzione: Le infrastrutture nella storia. La ferrovia Suzzara-Ferrara Maria Cristina Treu
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Il ruolo delle ferrovie nello sviluppo delle regioni italiane Maria Cristina Treu
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La ferrovia Suzzara-Ferrara (FSF). 125 anni dopo Roberto Santini, Dante Maestri, Flavio Tiengo, Fabio Malavasi
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Ferrovie e locomotive, caselli e casellanti Gianfranco Cavaglià
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I destini delle ferrovie regionali Fabio Ceci
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Le condizioni identitarie delle relazioni tra infrastrutture e territorio Paola Marzorati
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Parte II Scenari per la ferrovia Suzzara - Ferrara
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Un’esperienza didattica. Una storia da raccontare Silvia Marmiroli e Stefano Sarzi Amadè
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L’urbanizzazione delle campagne Maria Cristina Treu
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La valorizzazione delle infrastrutture storiche Carlo Peraboni
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L’Oltrepo mantovano. Il caso di Magnacavallo, il caso del fiume Secchia, altre proposte a cura di Silvia Marmiroli e Stefano Sarzi Amadè Attraversamenti. Scenari territoriali Erika Frigerio
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Parte I Le infrastrutture nella storia
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L’iniziativa sull’anniversario della costruzione della ferrovia Suzzara-Ferrara è stata promossa dal Comune di Suzzara e con il patrocinio del Sodalizio SAFRE, dall’Associazione Amici della Ferrovia SuzzaraFerrara, dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Mantova, dal Politecnico di Milano, dal Circolo del Collezionista. In seguito a questa iniziativa si è promosso il master “Le infrastrutture storiche. Una risorsa per il futuro”, da cui la titolazione di questo volume.
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Introduzione Le infrastrutture nella storia. La ferrovia Suzzara-Ferrara Maria Cristina Treu 1.Le motivazione del Workshop “ Le infrastrutture storiche una risorsa per il futuro”1 Negli ultimi anni, nelle sedi universitarie, accanto ai corsi e ai laboratori curriculari, si attivano Workshop per affrontare temi che richiamano contributi multidisciplinari e, al contempo, chiedono di misurarsi con le proposte che vengono avanzate da più soggetti istituzionale, privati e pubblici. L’organizzazione di ogni Workshop si rivolge sia a studenti iscritti ai corsi di studio curriculari che ai professionisti iscritti a diversi ordini professionali che siano interessati a accrescere le proprie conoscenze oltre che all’obbligo di legge di acquisire i crediti formativi annuali L’importanza dell’attivazione di queste iniziative di formazione e di approfondimento professionale dipende dalle questioni affrontate e dibattute da tempo come, nel caso qui citato, la necessità di scelte più decise sul trasporto su ferro per garantire ricadute positive sull’ambiente oltre che sulla sicurezza e sulla qualità dei trasporti. Il tema dei trasporti richiede di approfondire più alternative progettuali che
devono rispondere ai caratteri geografici e economici dei diversi contesti regionali, contestualmente a verifiche di sostenibilità ambientale e paesaggistica e di fattibilità economica. Inoltre, per quanto riguarda le infrastrutture su ferro, non si può non ricordare che da anni si rivendica l’urgenza di investire nei mezzi di trasporto a guida vincolata sia nelle aree più densamente urbanizzate come le città, sia nei collegamenti su ferro tra le regioni italiane e europee soprattutto a sostegno della mobilità delle merci. Tuttavia, una analisi delle voci di bilancio del ministero delle OO.PP. e del C.I.P.E. piuttosto che dei bilanci regionali e comunali evidenzia una netta prevalenza degli investimenti nella viabilità su gomma. Senza sottolineare la quota di aiuti pubblici erogati anche per le opere in project-finincing a sostegno degli investimenti privati in tutti i casi di infrastrutture con attese differite come, per esempio, per l’autostrada Brescia,Bergamo,Milano (BREBEMI). Nel caso di questo Workshop, lo studio di una tratta specifica è stato sollecitato dall’ iniziativa seminariale tenutasi a Suzzara in occasione della ricorrenza
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collegata alla costruzione della ferrovia Suzzara-Ferrara; inoltre è motivato da una discreta conoscenza, da parte di chi scrive, del territorio dell’Oltrepo, esito dei molti sopralluoghi e dei molti confronti avuti negli anni della stesura di almeno tre versioni del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale e per i Piani di Governo del Territorio di alcuni comuni dell’area. D’altra parte, entrando nel merito del tema, bisogna ricordare che a livello del governo del processo di urbanizzazione di ogni territorio le modalità di trasporto hanno inciso sia negli assetti sociali e economici di lungo periodo che nella stessa morfologia della forma dei tessuti delle città, grandi e piccole. La storia delle infrastrutture dice molto sulle condizioni che hanno influenzato lo sviluppo delle diverse regioni, per esempio sul dualismo Nord-Sud e, oggi, sul dualismo tra i grandi capoluoghi e le aree densamente abitate, da un lato, e, dall’altro lato, i centri abitati medio piccoli, quelli delle aree rurali e degli entroterra collinari e montani. La storia del secolo breve (Eric J Hobsbawm, 1997), appena passato, ci conferma che nella crescita industriale e insediativa sono state favorite le re-
gioni che per prime sono state dotate di una rete di infrastrutture su ferro: tra queste la regione Lombardia che, alla fine dell’800, era collegata da una rete tra tutti i comuni capoluogo e, nel 1906, era collegata con il nord d’Europa attraverso il traforo del Gottardo. Nel resto d’Italia, la rete ferroviaria che interessava soprattutto il collegamento tra i centri delle aree agricole e più interne non viene adeguata, se non nel caso di alcune tratte come nel caso della circumvesuviana di Napoli. L’esito fu quello di inseguire la domanda proveniente dagli spostamenti della popolazione dai territori agricoli e interni verso le coste e verso le città e di trascurare la manutenzione e la sicurezza delle reti meno frequentate che, nel tempo, sono abbandonate e spesso rimosse. La tratta ferroviaria, studiata nel corso del Workshop, fa parte della ferrovia delle campagne, che collegava Milano con Lodi, Cremona e Mantova: una infrastruttura che, unitamente a quella che univa tutti i capoluoghi della regione Lombardia ha inciso sul fatto che la stessa potesse contare su un grande vantaggio rispetto a altre regioni. Un sistema di infrastrutture che, unitamente a quelle dell’irrigazione e del siste-
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ma degli abitati rurali, richiese rilevanti investimenti e una presenza continua dell’uomo per trasformarsi, grazie alla dotazione di un sistema di capitale fisso sociale e economico, in un paesaggio che ancora oggi costituisce l’identità della campagna padane. A distanza di più di cento anni, il territorio della pianura padana formato dalle azioni del corso del Po e dal processo di urbanizzazione, ci permette, anche nel breve tratto della ferrovia Suzzara-Ferrara, di leggere e di interpretare almeno due grandi fasi in cui una sequenza di azioni ha inciso sulla morfologia del territorio: la prima, connessa all’arrivo della rete su ferro, è quella dell’urbanizzazione delle campagne; la seconda, connessa all’ esplosione della mobilità su gomma e ai maggiori gradi di libertà permessi dall’uso dell’auto, è quella della diffusione insediativa. Oggi, il processo di attrazione delle grandi città, l’industrializzazione e la mondializzazione dello stesso mercato dei prodotti agricoli sono i fenomeni che connotano una terza fase che coincide con l’abbandono dei territori e dei centri rurali più decentrati contestualmente alla scoperta del valore delle aree verdi di prossimità urbana e dei prodotti alimentari di ori-
gine controllata. E una fase di dimensioni globali che coinvolge un processo di profondi cambiamenti anche nella struttura e nella distribuzione della popolazione futura e in cui, tuttavia, sono ancora le città globali (Saskia Sassen, 1997 e 2004)che si contendono il controllo delle innovazioni, dei consumi e degli investimento nelle infrastrutture materiali e immateriali. In questo senso, la sola riqualificazione delle reti storiche su ferro, quelle rimaste e ancora in attività, non è più sufficiente e rischia di rimanere una rivendicazione minoritaria, romantica, di tutela del paesaggio e dell’ambiente. L’eventuale progetto di riqualificazione delle reti storiche deve essere integrato e sostenuto anche da una rivisitazione delle scelte di valorizzazione e di gestione dei territori agricoli e degli abitati minori nell’ambito di un nuovo approccio al governo degli spazi meno costruiti. Un governo che metta al centro dei suoi programmi di sviluppo la riscoperta del valore della cultura materiale dei luoghi, un tempo rurali, e delle pratiche di allora, integrando le nuove tecniche introdotte dall’industrializzazione nell’agricoltura con una maggiore attenzione alla dotazione delle stesse infrastrutture agricole
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e urbane già incorporate nel territorio di molte regioni. L’attributo rurale intende ricordare che se un tempo l’attività prevalente in queste aree era quella della coltivazione della terra con prodotti di consumo prevalentemente locale, oggi questa attività convive con la presenza di molte altre occupazioni esercitate da chi vi abita e lavora in zona, o più spesso, da chi lavora nelle aree urbane più vicine con più costi e tempi di trasporto su gomma. Reinventare il futuro di queste aree caratterizzate da un paesaggio dalle visuali molto aperte, richiede di ripensare, da un lato, il ruolo delle reti su ferro che ancora le attraversano unitamente a quello dei tessuti edilizi, delle cascine e delle stazioni come linee, nodi e centri di nuove relazioni e, dall’altro lato, di promuovere la tutela e la valorizzazione della terra coltivata sino ai margini dell’urbanizzato e dell’intero ambiente a partire dalla manutenzione degli argini maestri e dei percorsi interpoderali e delle alberature. E’ un futuro che richiede un lavoro con grandi dosi di passione e di inventiva a sostegno di progetti condivisi dalle comunità locali. Il workshop è stato organizzato attorno ai temi della storia del paesaggio per
come si è formato con le opere di bonifica, e con l’arrivo della ferrovia e, poi, con la diffusione dell’uso dell’auto privata e dei mezzi di servizio pubblico su gomma. Questa lettura è accompagnata da alcune riflessioni sul ruolo delle infrastrutture e sul peso delle diverse reti, nazionali e locali, nel trasporto di persone e di merci ed è integrata da alcuni approfondimenti sulla tecnologia dei manufatti ferroviari, sulla tipizzazione delle stazioni e dei caselli ferroviari (delle case della ferrovia) e sulla formazione di un ampio sistema di professionalità nella gestione di una infrastruttura territoriale multifunzionale. Questa lettura è arricchita da una sequenza di fotografie, alcune tratte dal testo sul 125° della ferrovia SuzzaraFerrara, messa a disposizione dalla Associazione degli amici della stessa Ferrovia Suzzara-Ferrara, altre prodotte per l’occasione2. E’ una documentazione che ci ricorda paesaggi e spaccati di vita di un tempo, cresciuti a ridosso del fiume PO e lungo la ferrovia, e i tanti e più recenti cambiamenti. I contributi presenti nel testo restituiscono nella prima parte i temi affrontati nel corso del seminario tenutosi a Suz-
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zara in occasione del 125° della Ferrovia Suzzara-Ferrara e, nella seconda parte, la scelta dell’ area di studio e i temi del Workshop tenutasi presso il Polo di Mantova del Politecnico di Milano integrati anche da alcuni elaborati degli studenti3. Nel suo insieme, tuttavia, il testo ci restituisce una lettura trasversale delle questioni affrontate che si possono ricondurre a tre argomenti. IL ruolo della rete ferroviaria nello sviluppo dei centri abitati della pianura padana. Nei suoi scritti Carlo Cattaneo sottolineò l’importanza della rete ferroviaria per la promozione dell’agricoltura e per l’insediamento delle prime attività industriali di produzione di macchine agricole. In quel periodo, il tracciato ferroviario diventa un segno forte e netto sul territorio ben distinto dagli abitati, andando ad aggiungersi alla rete delle acque dei fiumi e dei canali di irrigazione. La realizzazione della ferrovia corrisponde a una fase di crescita insediativa ancora discreta che si va a concentrare a una certa distanza dalla stazione con i primi depositi destinati a magazzini. La struttura sociale è quella di una comunità rurale dinamica, ben radicata nell’attività legata alla coltivazione agricola e all’allevamento del
bestiame. L’architettura della stazione si basa sullo studio di una tipologia le cui dimensioni e funzioni sono commisurate alla mobilità delle merci e delle persone. La crescita insediativa negli anni del secondo dopoguerra. Negli anni ‘50 e’60, il contesto è caratterizzato dall’emigrazione verso i capoluoghi delle regioni del nord ovest e verso i paesi del Nord Europa e del Sud America, e dall’industrializzazione dell’attività agricola con i due Piani Verdi e con i contributi a sostegno dell’acquisto di macchinari e di attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli. La successiva politica a sostegno degli insediamenti industriali nelle aree definite deboli a causa dei bassi livelli di industrializzazione e la diffusione dell’automobile influiranno nella espansione degli abitati e nella marginalizzazione del trasporto ferroviario. Anche la struttura della popolazione subirà profondi cambiamenti nel rapporto tra classi di età, con la contrazione dei segmento di popolazione più giovane, e tra le attività con la contrazione degli occupati in agricoltura. Le prospettive di una rete ferroviaria
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in aree a contenuta densità insediativa L’occasione di approfondire le ipotesi di rilancio del tratto ferroviario SuzzaraFerrara e di riqualificazione delle sue stazioni e di altri manufatti ferroviari si presta a avviare una più ampia riflessione sulle prospettive di tratte ferroviarie con le stesse caratteristiche nel sistema delle infrastrutture regionali e interregionali. Le ipotesi, come già anticipato e come documentato con più contributi del testo, fanno riferimento a scenari di sviluppo di area vasta che devono fondarsi su una pianificazione e su una programmazione degli interventi su più versanti, con la riscoperta e la valorizzazione dei distretti produttivi locali manifatturieri e agroindustriali, con un programma di riutilizzo dei tessuti insediativi dei centri minori con iniziative discrete di rigenerazione urbana, con la promozione di più tipi di turismo verde e di matrice ambientale. Favorendo, altresì’, per ogni versante di intervento, oltre alla rifunzionalizzazione della linea su ferro, il completamento e il potenziamento delle reti immateriali e dei centri di servizio per la popolazione e per il sistema economico e produttivo. Note:
1.cfr., il workshop coordinato dai prof.ri Carlo Peraboni e Vittorio Valpondi, tenutosi al Polo di Mantova del Politecnico di Milano con inizio il 13 marzo 2015 2.cfr., le foto che si trovano nel testo sono per la maggior parte tratte da, “La ferrovia Suzzara-Ferrara 125anni dopo”, ,di Fabio Malavasi, Roberto Santini, Guido Sostaro, Flavio Tiengo, a cura della Associazione degli amici della Ferrovia Suzzara-Ferrara per la Fondazione Ricerca Molinette Onlus, dall’Archivio della Associazione degli amici della Ferrovia Suzzara-Ferrara e da quanto presentato dagli architetti Vittorio Valpondi e da Martina Mazzali in occasione del Seminario tenutosi a Suzzara il 23 ottobre 2014 3.Il testo riporta sia gli interventi dei docenti che hanno partecipato al Workshop e al seminario tenutosi a Suzzara, sia alcuni elaborati del Workshop. Bibliografia: Eric J. Hobsbawm (1997), “Il secolo breve, 1914/1991”, Biblioteca universale Rizzoli, RCS spa Saskia Sassen (1997), “Le città globali”, Utet (prima edizione originale 1991) e Saskia Sassen (2004),”La città nell’economia globale”, Il Mulino (prima edizione originale 1994).
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Fig. 1 e 2. Le infrastrutture del programma europeo che interessano l’Italia. Fonte: fig.1, Ns elaborazione Da “La stampa”,2003; fig.2, Ns elaborazione da “Dirigenti Industria”, 2003.
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Il ruolo delle ferrovie nello sviluppo delle regioni italiane Maria Cristina Treu
Esiste un metodo per identificare le scelte per la programmazione di una rete di infrastrutture, non una strategia definita idonea a priori: ogni scelta deve confrontarsi con la fase di sviluppo e con il ruolo che ogni infrastruttura, privata e pubblica, può sviluppare nel contesto sociale e economico allargato e nei confronti delle economie di prossimità1. 1.Le infrastrutture su ferro. Una risorsa per il futuro Da sempre, le infrastrutture sono fattori che incidono nelle relazioni tra i popoli di diverse culture, religioni e stili di vita promuovendo gli scambi tra più regioni geografiche e tra più aree e settori di mercato. Questi fattori possono favorire uno sviluppo della pace ma anche la riorganizzazione dei rapporti di forza soprattutto nel corso e alla fine di ogni guerra tra più stati e/o regioni. La tesi che si intende sostenere è la seguente: il sistema delle infrastrutture costituisce quella che si può chiamare una armatura territoriale, cioè un capitale fisso sociale incorporato in un territorio che, unitamente alla qualità della struttura della popolazione per cultura, reddito e età, può determinare una po-
sizione di vantaggio di ogni regione rispetto ad altre anche per lunghi periodi di tempo. Tuttavia, ogni posizione di vantaggio richiede anche una visione strategica e una capacità di governo delle scelte programmatiche in grado di anticipare innovazioni e cambiamenti in un arco di tempo di almeno una generazione. Questa è una capacità che, oggi, nel caso delle infrastrutture di trasporto di merci e di persone deve saper orientare gli investimenti privilegiando la mobilità su ferro piuttosto che quella su gomma, unitamente a un mix di alternative via acqua, aerea e gomma e di servizi di reti anche immateriali, compatibilmente con le caratteristiche geografiche e economiche di ogni regione e della geomorfologia di ogni territorio attraversato. Nella storia delle nazioni si possono distinguere, con riferimento allo sviluppo dei tracciati del sistema delle infrastrutture, più periodi e più fasi con conseguenze che vanno a incidere su molti aspetti e che dipendono da altrettante motivazioni, non ultime le caratteristiche climatiche dei luoghi e la capacità di autorigenerazione sociale e economica delle comunità locali. In relazione ai grandi periodi del passato si possono
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ricordare: gli anni in cui determinanti furono le grandi strade consolari e l’integrazione forzata dei popoli barbari grazie alla pax romana; il lungo periodo governato dalle nazioni che detenevano il controllo delle rotte dei mari e il controllo delle risorse minerarie del nuovo mondo e delle popolazioni ridotte in schiavitù; l’800, chiamato il secolo delle reti per la realizzazione delle prime reti energetiche e acquedottistiche, la costruzione delle prime reti su ferro e la formazione della gerarchia tra le grandi città capoluogo occidentali; l’epoca moderna con un sistema di reti e di nodi a sostegno della mobilità su gomma, su ferro, via aerea e via mare, che richiede un governo più integrato con le reti hitech per la fungibilità delle stesse reti materiali e per la gestione dei servizi; infine la contemporaneità, un periodo in cui le disponibilità di attrezzature sempre più sofisticate ci permette di essere sempre connessi e di accrescere esperienze e conoscenze, sottovalutando tuttavia i possibili risvolti di fragilità e di aleatorietà di relazioni sempre più immateriali e virtuali. Comunque, la storia ci insegna che il sistema delle infrastrutture materiali e immateriali ha un ruolo strategico nello
sviluppo di un territorio e nel riposizionamento degli stati nella scacchiera dei mercati mondiali. Oggi, i tempi lunghi delle fasi del passato sono sottoposti a una accelerazione dei cambiamenti nelle relazioni geopolitiche e ogni stato, regione e città, deve ripensarsi e adeguarsi anche per quanto riguarda l’apparato tecnologico, la frequenza, l’attendibilità e la sicurezza dei servizi di rete, in particolare di quelli a sostegno delle comunicazioni in aggiunta, e non in sostituzione, a quelli per la mobilità di persone e di merci. Su questo versante, l’Italia sconta molte scelte ereditate dal passato. Quelle avviate nei primi anni post unitari quando l’Italia si trova di fronte a: una quindicina di società private che spostavano in treno gli abitanti dei vari ducati, regni e principati; alla fretta eccessiva nella costruzione delle nuove ferrovie, spesso costruite su terreni poco adatti e con tracciati tortuosi quando, nei trent’anni successivi al 1860, l’Italia viene colpita da una sorta di febbre del ferro sostenuta soprattutto dal Piemonte; alla statalizzazione delle reti della Ferrovia avvenuta nel 1905 nonostante le molte opposizioni che metteranno in crisi il governo Giolitti e,
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nel 1906, all’ultimazione della galleria del Gottardo, un’opera che completerà la rete su ferro della Lombardia collegandola con le regioni d’Oltralpe e contribuendo alla sua attrattività economica (figure 5 e 6). D’altra parte, è confermato il ruolo strategico della ferrovia durante il primo conflitto mondiale soprattutto per il trasporto delle truppe e, poi, quando , a guerra finita, viene avviata e completata la sua elettrificazione. Mentre, con la fine del secondo conflitto mondiale, le scelte incideranno su un progressivo disinteresse nei confronti della rete su ferro sino ai tempi più recenti quando con la crescita della sensibilità ambientale e nei confronti del consumo di suolo le reti su ferro ritornano al centro dell’attenzione. Nei primi anni ’50, il nostro sistema ferroviario si presenta distrutto per il 70% e per la sua ricostruzione si presentano due opzioni: la prima finalizzata a far ripartire subito il paese restaurando le vecchie linee là dove erano, la seconda predisponendo un piano a più lungo termine per adeguare e modernizzare i tracciati. La scelta si orientò per un intervento rapido e più efficace possibile ma,
quando si presentò l’alternativa auto, gli investimenti sul ferro rallentarono e, soprattutto negli anni compresi tra il 1970 e il 1990, ci fu la soppressione di centinaia di chilometri di rete dichiarati rami secchi. Un periodo che a ragione può essere definito come un ventennio perso soprattutto per le regioni del sud quando i piani nazionali rimangono incompiuti e i progetti non sono completati o rinviati a causa delle difficoltà connesse alla frammentazione delle competenze istituzionali e alle caratteristiche idrogeologiche e morfologiche del territorio nazionale. Oggi, l’Italia si trova di fronte a un nuova competizione: quella avviata con lo scenario di un nuovo sistema di reti europee che sta ridisegnando le relazioni tra le grandi capitali occidentali e che si appoggia su una selezione di trasporti e di nodi di interscambio multimodali dove avranno un ruolo centrale anche le maggiori piattaforme della mobilità via mare e via aerea. Uno scenario che richiede al nostro paese una programmazione di lungo periodo e una selezione degli investimenti su reti e nodi che integrino i tracciati dell’alta velocità con la logistica delle merci, con i sistemi di mobilità locale
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e con le infrastrutture immateriali delle comunicazioni. In questo quadro può ritrovare uno spazio anche il ripensamento del ruolo di alcune reti minori come per esempio l’intera rete ferroviaria medio padana, non solo in appoggio ai tracciati dell’alta velocità ma anche per il trasporto di merci verso i distretti produttivi più decentrati e verso il sistema portuale delle coste adriatiche oltre che con la domanda di mobilità da parte della popolazione e di un turismo verde, fluviale e ambientale. 2.Lo scenario disegnato dalle reti europee Il rilancio delle infrastrutture su ferro è recente; coincide con l’avvio nel 1996 del programma Europeo di integrazione economica e politica attraverso il rafforzamento delle reti infrastrutturali TEN-T e con il programma formulato alla fine del 2003 di connettere le maggiori aree urbane con l’alta velocità 2. Sotto questo profilo l’Italia si trova a dover adottare scelte molto impegnative per i costi rilevanti e per i tempi lunghi di realizzazione delle connessioni tra le maggiori città europee e del potenziamento delle piattaforme di
interscambio tra più mezzi di trasporto. Il sistema ferroviario italiano si presenta, per certi aspetti, sottodimensionato e, per altri, non sufficientemente integrato anche se ci si riferisce a quello delle regioni del nord e anche se viene portato come esempio di un sistema unico e integrato che va da Torino a Trieste e che comprende la Liguria e l’Emilia Romagna. A questo proposito si possono riportare due dati, quello sulla dotazione della viabilità su gomma della Regione Lombardia ritenuta superdotata e quello del costo della logistica delle merci dell’Italia. La Lombardia conta 64 chilometri di sole autostrade per ogni milione di abitanti contro una media nazionale sull’intero sviluppo della rete di viabilità di 115 chilometri. In Italia, il costo di trasporto delle merci sul fatturato d’impresa è pari al 17 per cento, contro un costo del 6,5% della Francia. Si tratta di una logistica che avviene prevalentemente su strada3 e della mancanza di una sede, un centro, dove si possano programmare le scelte dell’alta velocità e le diverse opzioni di scelta di medio e lungo periodo. Prevale la frammentazione dei centri decisionali, la sovrapposizione di competenze e la contrapposizione tra
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interessi corporativi. Nei prossimi decenni, il programma delle reti infrastrutturali trans europee interesseranno l’Italia secondo un disegno strategico di connessioni est-ovest e sud-est sia con i paesi del nord Europa che con le regioni dell’Europa dell’est (figure 1 e 2). La rete dei corridoi trans europei contribuirà a ridisegnare, congiuntamente con il sistema delle telecomunicazioni e delle nuove rotte attraverso i mari del Nord, le relazioni tra le regioni d’Europa e le nuove nazioni dei mercati emergenti del sud-est asiatico. Questi progetti infrastrutturali svilupperanno effetti che permarranno per tempi lunghi, modificando i rapporti tra le polarità urbane e le aree di mercato tra più regioni e richiedendo una forte capacità di cooperazione a livello locale per l’approfondimento delle economie di prossimità. Sono i progetti che possono costituire un quadro di riferimento, una opportunità, per coinvolgere le comunità locali in progetti più congruenti con le caratteristiche ambientali e con le attese di benessere e sicurezza sociale e economica a livello dei territori attraversati. A questo proposito, si dice che l’Italia sia una piattaforma naturale, una base
mediterranea per il commercio con le regioni del sud del mondo protese verso le regioni continentali del nord come le regioni dell’ Africa. Questa posizione non può garantire un vantaggio geografico e una difesa dalla concorrenza a prescindere da una rete di infrastrutture che oggi sconta un carico di traffico pesante prevalentemente su gomma e molte inadeguatezze collegate a fattori di vetustà di molte infrastrutture e alla presenza di frequenti rotture di carico. Bisogna altresì ricordare che, sul Mediterraneo, si affacciano i nuovi porti della Spagna e della Francia del sud, anch’essi alla ricerca di nuovi collegamenti con il sistema portuale del nord d’Europa; inoltre ci sono le regioni asiatiche che si stanno cercando una nuova strada del Mare tra i ghiacci in via di contrazione dello stretto di Bering e che collegherà i porti asiatici direttamente con quelli dei mari nordici. E, contestualmente, sono sempre più drammatiche le tensioni, non solo sociali, che interessano l’Africa e le regioni dell’est europeo. In questo scenario due sono i corridoi che interessano l’Italia e le relazioni tra alcune sue regioni e il resto dell’Europa. C’è il corridoio che dovrebbe collegare
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le regioni del sud, in particolare con la regione Puglia, con i centri urbani delle regioni attestate sul Mar Nero e sullo Stretto del Bosforo e che richiede di appoggiarsi su un sistema di strade del mare che interessano l’Adriatico fino ai porti di Ravenna e di Trieste. E c’è Il corridoio asciutto che dovrebbe collegare il porto di Genova con il porto di Rotterdam che garantisce, da un lato, il collegamento con i mercati dell’Europa continentale e, dall’altro, l’aggancio via mare con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo . Il programma europeo demanda ai diversi stati membri la ricerca dei tracciati congruenti con le specificità delle regioni attraversate e con le attese delle comunità locali ricorrendo a progetti e manufatti che rispondano a più situazioni e che adottino bilanci di sostenibilità tra i fattori da mitigare e da compensare. Nel caso dell’Italia la realizzazione di questi corridoi è particolarmente difficoltosa sia per le caratteristiche fisiche dei nostri territori, in gran parte montuosi, sismici e franosi, sia per la frammentazione dei centri urbani e delle competenze amministrative. Inoltre, a fronte di scelte in molti casi anche
obbligate come quelle nei confronti di alcuni passaggi alpini o lungo le coste se si vuole utilizzare la risorsa mare, ci sono le difficoltà nella costruzione del consenso che tendono a rallentare la valutazione delle alternative di tracciato e l’attuazione delle opere. D’altro canto, l’attenzione si focalizza spesso su aspetti locali e non vengono sufficientemente documentate le prospettive strategiche rispetto al contesto europeo e i rischi in cui può incorrere il paese se non adegua la propria rete infrastrutturale soprattutto se si vuole che le nostre imprese piccole e medie e le nostre comunità si possano collegare con i nuovi mercati emergenti. Queste infrastrutture richiedono di essere programmate sia alla grande scala per connettere i poli e i mercati emergenti sia a livello di maggior dettaglio per adottare le soluzioni più congruenti con le caratteristiche dei territorio attraversato e con azioni coordinate tra più livelli istituzionali. Si deve far capire, per esempio, l’importanza del superamento delle Alpi, delle connessioni con il sistema dei porti e con le vie del mare per alleggerire la congestione del traffico su gomma e l’impatto sul territorio e sull’ambiente sociale e economico.
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Se non si vuole che l’Italia rischi di essere solo una terra di passaggio tre sono le questioni da affrontare. La prima riguarda il sistema delle connessioni interregionali come, per esempio, quello del corridoio asciutto Genova-Rotterdam con i problemi di attraversamento di un territorio regionale molto abitato e industrializzato e dove la parte delle infrastrutture realizzate già ridisegna nuovi rapporti tra i poli urbani di Torino, Milano e Bologna, e quelli tra i centri del corridoio Lione / Trieste che ridisegnaranno anche i rapporti con i distretti produttivi del sistema padano. La seconda riguarda l’integrazione tra le reti a alta velocità con le reti e i servizi per la mobilità a livello di area vasta, con i comuni dell’area metropolitana, e con l’adozione di sistemi innovativi per la gestione di una mobilità che si fa sempre più intensa e lungo più direzioni. La terza questione riguarda la connessione dei distretti produttivi decentrati che interessano territori dove la ruralità è ancora presente e dove è necessario adottare un approccio di progettazione che consideri i caratteri idrogeologici e l’articolazione dei centri abitati e degli
ambiti di valore storico e paesaggistico. In altri termini, si intende dire che se Il nuovo sistema delle reti TEN-T potrà servire un segmento della mobilità delle merci e delle persone alle grandi distanze e tra le grandi capitali europee, viceversa, non potrà soddisfare la mobilità asistematica di merci e di persone che quotidianamente si verifica nei territori attorno alle grandi aree metropolitane né potrà sostenere il confronto con la geomorfologia del territorio e con le problematiche ambientali e paesaggistiche. 3.La Ferrovia delle campagne e delle città del PO Le grandi infrastrutture non sono corridoi che collegano coppie di centralità urbane di un territorio neutro: esse richiedono politiche costruite sul confronto con i contesti regionali per l’identificazione dei flussi di persone e di merci tra più bacini di mercato e con un insieme di scelte che devono essere verificate da bilanci tra i territori che risultano favoriti e quelli che richiedono mitigazioni e compensazioni. La scelta dei tracciati per dispiegare effetti positivi, a fronte dei disagi che accompagnano i cantieri aperti per la loro realizzazione,
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richiedono investimenti rilevanti e indivisibili per ogni tratto funzionale. Inoltre, essi attraversano aree caratterizzate da una urbanizzazione diffusa e da fenomeni di fragilità idrogeologica per i quali devono essere programmati progetti di natura ambientale e paesaggistica e opere finalizzate a rimagliare le reti delle infrastrutture minori e dei servizi automobilistici. A questo proposito una rete, come la ferrovia delle campagne, può diventare l’occasione per riscoprire e rilanciare il ruolo di questa rete storica nell’ambito di un programma che la consideri parte attiva di più tipi e livelli di infrastrutture e che tra i suoi obiettivi si ponga anche quello di valorizzare le specificità dei micro sistemi territoriali sviluppatesi in adiacenza e lungo il corso del Po. Prima di entrare nel merito è, tuttavia, opportuno richiamare i due sistemi di riferimento che devono essere tenuti presenti per orientare le alternative di scelta a livello locale. Innanzitutto, devono essere presi in considerazione i due corridoi europei, già ricordati, che possono garantire all’area l’aggancio alle relazioni interregionali e internazionali, quello est-ovest e quello che scenda dal Brennero verso il sud d’Italia: sono i due corridoi che collegano
Verona con Reggio Emilia intercettando a nord oltre al nodo di Verona l’aeroporto di Catullo e a sud-Est, la città d’arte di Mantova e l’area di un importante distretto agroindustriale, oltre che manifatturiero, lungo la tratta Suzzara e Ferrara. Inoltre, ci sono le città lungo il Po che, pur appartenendo a regioni diverse, costituiscono un sistema di polarità ricche di storia e di cultura: esse sono un riferimento importante per i distretti produttivi locali, per i centri minori, per gli insediamenti rurali, per le attività agroindustriali e per le permanenze di una naturalità, come le aree umide, contenitori esemplari di biodiversità. Sono questi i due sistemi che possono orientare l’identificazione delle scelte per i microsistemi territoriali locali unitamente al coinvolgimento delle comunità dei residenti che devono essere partecipi, da un lato, delle potenzialità e dei limiti che sono insiti in ogni tipo di scelta infrastrutturale e, dall’altro lato, delle inevitabili integrazioni e compensazioni che si renderanno necessarie. L’obiettivo non è tanto quello di evitare le tensioni e le manifestazioni, spesso contrarie a ogni intervento, quanto quello di fare informazione per sostenere integrazioni e compensazioni
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Fig. 3 e 4. La prima è una vista del treno Suzzara-Ferrara lungo un tratto della campagna, la seconda è una vista del treno che si avvicina tra dui filari di Pioppo. Foto: Alessandro Muratori, 1986
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virtuose ed evitare incertezze e ritardi nella realizzazione dei progetti. Le motivazioni che alimentano le associazioni di “non nel mio giardino” sono spesso riconducibili a interessi corporativi che lasciano spazio a ritardi nelle costruzioni, oltre che agli incrementi dei costi degli investimenti pubblici e privati. La caratteristica più volte ricordata, ma troppo spesso sottovalutata, è che ogni sistema di reti richiede per manifestare i suoi effetti positivi, a fronte degli inevitabili disagi di cantiere, una programmazione che garantisca la realizzazione di una sequenza di tratti e di nodi funzionali compiuti. Nel caso delle infrastrutture di trasporto, per poter contare su un effettivo miglioramento dei tempi di percorrenza e su un contenimento del traffico e dell’inquinamento è necessario coordinare più tipi di intervento materiali e immateriali e riorientare i comportamenti dei singoli verso l’utilizzo dei mezzi pubblici e/o verso la condivisione di mezzi di trasporto privati6. Da questo punto di vista spesso viene trascurata l’informazione sulle opportunità di integrazione tra più mezzi di trasporto, sui tempi e sui costi dei servizi e dei biglietti integrati che possano orientare la domanda di mobilità verso
un più sostenuto uso dei mezzi pubblici, o dei mezzi privati condivisi tra più utenti, soprattutto in aree con una contenuta densità insediativa. In altri termini i sistemi di trasporto richiedono una programmazione la cui efficacia dipende da una grande cooperazione tra più amministrazioni e tra più soggetti pubblici e privati. Lo scopo è quello di evitare individualismi e localismi e di sostenere quei processi di messa in comune di più risorse e di più mezzi che stanno alla base della stessa capacità di adeguarsi al mutare delle situazioni di contesto dello stesso modello di sviluppo di mercato7. In questo quadro, la riattivazione delle tratte delle ferrovia interregionale tra Mantova e Suzzara e tra Suzzara e Ferrara richiede, da un lato, l’intersezione con le reti internazionali e con i porti industriali e turistici dell’Adriatico, dall’altro lato, un programma di valorizzazione delle polarità urbane e dei distretti produttivi locali che affronti il tema di una differenziazione di ruoli tra gli stessi centri abitati e la qualità insediativa, messa in crisi già prima del terremoto del 2012, dal fenomeno di abbandono di manufatti storici e anche da una diffusione di tipologie residenziali
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con una discutibile qualità tecnologica e energetica. Inoltre ci sono i temi della promozione dei distretti agroindustriali e dei prodotti Doc e Dop locali e, contestualmente, della salvaguardia della qualità produttiva dei suoli, del sistema della rete di irrigazione e delle opportunità che l’ambiente offre rispetto a più tipi e spazi di turismo verde. Sotto questo profilo è urgente identificare una sequenza di interventi volano a sostegno della riattivazione della tratta SuzzaraFerrara che può essere la riqualificazione delle stazioni e dei manufatti lungo la ferrovia. Le stazioni, soprattutto, sono manufatti che vanno interpretati come nodi di attivazione di più forme di utilizzo: da quella dei residenti che, lì, devono trovare più servizi di mobilità e urbani a quella dei turisti che, da lì, devono poter accedere alle informazioni di ciò che offre il turismo lungo Po e l’ospitalità nei centri abitati e nelle cascine agricole della zona. Si tratta di mettere in atto gli studi e le proposte sul turismo verde che già sono stati fatti lungo l’asta del PO con l’integrazione dei percorsi di mobilità dolce, in parte già realizzati, la riscoperta di una edilizia rurale testimonianza delle lavorazioni dei prodotti agricoli di un tempo,
la percorribilità in sicurezza degli argini e l’accessibilità ai parchi e alle zone umide lungo il Po. In sintesi è urgente una alleanza tra i distretti produttivi in agricoltura, il turismo culturale e il turismo verde e le strutture per l’ospitalità con un sistema di mobilità integrata tra più mezzi e per diverse utenze, che promuova un programma per il recupero di molti manufatti di qualità abbandonati in alternativa all’espansione edilizia e al consumo di suolo. Deve essere chiaro, tuttavia, che non ci sono risposte certe, ricette da adottare a priori. C’è un metodo da adottare, fatto di programmi generali ma anche di verifiche e progetti di grande dettaglio e di un impegno nella informazione sistematica per sostenere la partecipazione della cittadinanza attiva alle scelte di intervento. E’ una strada che richiede rigore e immaginazione, coordinamento tra più centri di spesa e tra più scelte di piano, chiarezza sulle fonti di informazione e coerenza nelle decisioni, determinazione nel processi attuativi e coraggiose verifiche degli esiti in itinere.
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Note e Bibliografia: 1.Per l’approfondimento di questo approccio si veda, Maria Cristina Treu e Giuseppe Russo (2009), La via delle merci. Ferro, gomma e inter modalità. ed. Sole 24 Ore 2.Il riferimento è al programma QuickStart che nel 2003 individua 29 progetti prioritari per la rete trans europea dei trasporti, confermato dal master Plan del gruppo di Alto Livello di Van Miert (2004) con l’obiettivo di migliorare gli scambi tra i paesi dell’Unione Europea allargata (the Wilder Europe) 3.cfr., A.G. Rognoni, Pubblico e privato per le infrastrutture, l’intervento, nelle pagine di Milano del Corriere delle Sera,di giugno 2014. 4.Si veda a questo proposito, Maria Cristina Treu (2004), Infrastrutture e territorio, intervento per il Convegno L’Italia nelle reti trans europee di trasporto, Politecnico di Milano, 5.Si veda, per i segnali di un possibile ripensamento sulla storia delle nostre reti ferroviarie, il sito delle ferrovie dismesse istituito nel marzo del 2013, la Fondazione FS a Villa Patrizi a Roma dotata di una biblioteca storica con 50.000 volumi, e il Progetto Pietrarsa, dove è stato inaugurato il Museo delle ferrovie sull’antica linea Napoli- Portici. 6.cfr., Giorgio Ruffolo (1990) in “La qualità sociale. Le vie dello sviluppo”quando descrive gli approcci all’ecologia e, accanto a quello conservativo che interviene con
la tassazione delle produzioni , sottolinea l’importanza dell’approccio tecnologico per ottimizzare l’uso delle risorse e di quello creativo che ha come obiettivo la crescita di comportamenti virtuosi come quella dell’uso dei mezzi pubblici e meno inquinanti. 7.cfr., James O’ Connor (1986), Individualismo e crisi dell’accumulazione, Laterza. La tesi dell’autore e che la capacità di rinnovarsi del capitalismo può essere messa in crisi da un eccesso dell’ individualismo e da un blocco dell’accumulazione, fattori che possono ridurre gli interventi di compensazione al di sotto di soglie di tollerabilità tali da indurre la reazione degli esclusi.
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Fig 5 e 6. Storicizzazione delle infrastrutture su ferro e su gomma nelle regioni del nord d’Italia. Fonte: Ns elaborazione da AA.VV.(2001), “Mobilità, modelli insediativi e efficienza territoriale”,Franco Angeli
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Fig 1. Locomotiva Po 15 in deposito a Sermide (~1910). Fonte: La Suzzara-Ferrara 125 anni dopo, op. cit. pag.48
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La Ferrovia Suzzara - Ferrara (FSF), 125 anni dopo Roberto Santini1, Dante Maestri1, Flavio Tiengo2, Fabio Malavasi1, 3
Nelle ultime decadi del 1800, la bolla speculativa di capitali stranieri sulle costruzioni di ferrovie in Italia era ancora in espansione dato che il giovane Governo dello Stato unitario forniva ricchi sussidi a questo strumento di sviluppo economico e di connessione sociale. Da parte sua la Provincia di Mantova aveva importanti problemi di ordine sociale con cui confrontarsi. Le forti tensioni derivate dalle ristrettezze in cui vivevano i lavoratori della terra, represse ma non sopite dalle feroci cariche dei carabinieri a cavallo, erano state sostenute da un movimento organizzativo che aveva unito i più diseredati della zona. Contrapposto agli agrari era il movimento noto come “la boje”, una rappresentazione dialettale dello stato precedente la bollitura di una pentola e che tende a farla scoperchiare (O. Lizzadri, 1974). Tra le armi in mano alla Provincia (che allora era il braccio del Governo di controllo locale) ci fu anche la scelta di esplorare la costruzione di una ferrovia, quale strumento per dare risposta ai crescenti e - si temeva - incontrollabili bisogni sociali della zona. La Provincia lanciò una proposta per
mettere in connessione Suzzara (sulla linea Verona-Modena e in connessione con la linea tirrenica) con Ferrara (sulla linea Adriatica). A Poggio Rusco c’era poi la prevista intersezione con la linea che collegava Bologna con Verona e successivamente il Brennero. Per questo si riteneva vi fossero le basi per costruire una ferrovia privata (come lo erano la maggior parte di quelle allora esistenti) ma di respiro ben più ampio di quelle locali. Queste basi sembravano in grado di garantire posti di lavoro, ma anche remunerabilità del capitale investito e anche sostenere la possibilità di attrarre risorse esterne. I permessi di costruzione richiesero qualche anno e l’intervento a Roma dei maggiorenti mantovani, in quanto un collegamento ferroviario era considerato strumento potenziale di miglioramento delle condizioni della zona, ancora caratterizzata in alcune zone da pellagra e malaria. La ferrovia poteva inoltre fornire le infrastrutture per ottenere canali di bonifica, che assicurassero da una parte il prosciugamento dei grandi stagni, il recupero di terre a scopo agricolo ed infine l’impiego di acque a scopo irriguo. Questi due ultimi punti erano finanziariamente interessanti,
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mentre la vendita dell’acqua era fonte di ulteriore guadagno. L’esercizio ferroviario fu affidato in concessione ad un gruppo finanziario milanese che aveva da tempo dimostrato interesse. L’azione sfociò nel 1886 nella costituzione di una Società Anonima, cui aderirono con entusiasmo i principali proprietari terrieri della zona. Il contratto fra il Governo centrale e la Provincia prevedeva una serie di dettagliati punti. La strada ferrata doveva essere circondata da una siepe che la separasse dalle terre e dalle interazioni con zone abitate, ad evitare contatti con umani ed animali. Gli alberi piantati in origine (spino e opi) rimanevano di proprietà della Società concessionaria. Altre infestanti - come la ederacea sanguinella - divennero poi di pertinenza del Cantoniere, che ne faceva legna da ardere o meglio ancora per costruire granate per la pulizia di stalle e strade. Altro punto oggetto di un lungo conflitto legale riguardò i rapporti con la Rete Adriatica, per l’incrocio di Poggio Rusco e l’entrata nelle stazioni di Suzzara e Ferrara. Il primo punto finì con una sconfitta della Ferrovia Suzzara-Ferrara, che si trovò costretta ad adottare un profilo di strette curve di entrata e
di uscita, anche se aveva un diritto di priorità temporale per un percorso lineare. La Rete Adriatica aveva padrini troppo importanti in Roma, per cui la piccola Società dovette cedere. A Ferrara fu concessa, seppure a malincuore e con molti pretestuosi ritardi, l’entrata dell’ultimo tratto della linea. Le Ditte Valentini di Mantova e la Mazzorin di Milano ebbero dalla Provincia il subappalto della costruzione della linea e degli edifici dedicati (officine, stazioni e case cantoniere, tra le più importanti). La Ditta J. A. Maffei di Monaco di Baviera fu incaricata di preparare un piano per la costruzione di una prima serie di locomotive a vapore adatte alla linea (fig. 1). Ditte italiane presentarono disegni ed offerte per un parco di carri chiusi e aperti per il trasporto di merci. La Schweizeriche Industrie Gesellschaft (SIG) di Neuhausen ebbe la richiesta di preparare un parco di vetture passeggeri di prima, seconda e terza classe, assieme a un adeguato numero di bagagliai. La scelta di vetture a due assi ma con spazi dedicati alla prima classe indicava che i passeggeri allora previsti includevano anche una popolazione di persone agiate. Per gli azionisti più importanti vi era il privilegio che il
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Fig 2. Tratti della zona attorno a San Benedetto Po e Quistello. Fonte: Archivio Associazione Amici della Ferrovia Suzzara-Ferrara
treno potesse fermarsi in corrispondenza della tenuta del possidente, anche al di fuori di una stazione. La scelta del percorso fu oggetto di pesanti discussioni di origine prevalentemente campanilistica, che portarono a modifiche significative della iniziale linearità del progetto. Il percorso della linea nacque dopo ampi e accurati studi geologici, che portarono al disegno di tratti relativi ai vari cantoni (termine indicante
tratto posto tra due stazioni). Allegati sono tratti della zona attorno a San Benedetto Po e Quistello (fig. 2). Un altro punto riguardò la scelta del lato in cui i paesi venivano serviti dalla Ferrovia. Un esempio paradigmatico è costituito dai vari tentennamenti relativi alla posizione della stazione di Pegognaga (V. Negrelli, 2010). Le opere d’arte più significative erano costituite dai ponti in ferro sui fiumi
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Fig 3. Esempio di ponte in ferro utilizzato sui fiumi Secchia e Panaro. Fonte: Archivio Associazione Amici della Ferrovia Suzzara-Ferrara
Secchia e Panaro, la cui costruzione fu attribuita alla Ditta Cottran di Castellamare di Stabia (fig. 3). Opere minori riguardavano ponti in muratura e cotto per superare canali di bonifica, che sarebbero cresciuti significativamente di numero negli anni successivi, con costruzioni in cemento (fig. 4). Altro dettaglio di rilievo riguardava il trasporto della posta, che doveva essere esercitata gratuitamente per tut-
te le stazioni della Ferrovia, avviando cosÏ un capillare sistema di connessione strutturale del territorio. Il destinatario riceveva la posta in non piÚ di due giorni dalla spedizione, da tutto il territorio nazionale. In cambio, la Concessionaria poteva spedire plichi e messaggi relativi al servizio interno della linea. Lo stesso avveniva per i sistemi di trasmissione telegrafica e per l’impiego della relativa rete, gestiti dalla Concessionaria ma
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Fig 4. Collaudo del ponte della Bonifica Nuova a San Benedetto Po (maggio 1925, archivio M. Sacchi). Fonte: La Suzzara-Ferrara 125 anni dopo, op. cit. pag.48
usati dalle Poste. Un filo della rete era dedicato alla Ferrovia e alla trasmissione dei suoi dispacci di servizio. La Ferrovia si occupava anche della manutenzione dei pali, mentre la gestione dei fili e degli isolanti era affidata alle Poste, mediante suoi incaricati che procedevano a piedi lungo la linea. Ai casellanti rimaneva l’incarico di fare cadere dai fili l’accumulo di neve quando questa raggiungeva alti livelli. Particolare at-
tenzione fu dedicata agli edifici delle Stazioni. Quella di Sermide era dimensionata in modo da ricordare il suo ruolo principale nella linea e circondata dalle Officine e dai Depositi delle locomotive (fig. 5). Ogni stazione era dotata di un ampio appartamento per il titolare e la sua famiglia. Inoltre era affiancata da uno chalet, che forniva servizi accessori di ospitalitĂ (quali vendita di Sali e Tabacchi), di beni di conforto per
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Fig 5. Stazione ed impianti di Sermide (~1900). Fonte: La Suzzara-Ferrara 125 anni dopo, op. cit. pag.48
passeggeri e per il personale di stazione. Successivamente sarebbe divenuta luogo di deposito e custodia di biciclette, bene primario delle comunità della zona (fig 6). Le Case Cantoniere (anche indicate come Caselli) avevano un duplice scopo di ospitare chi controllava la interazione tra ferrovia e strada (le guardabarriera, meglio note come casellanti) e dall’altra di fornire alloggio per i cantonieri.
Le Ferrovie rappresentarono uno dei primi esempi di globalizzazione costruttiva, che seguiva linee dettate dal Genio Civile in modo estremamente accurato (A.Muratori, 1988 e Real Corpo del Genio Civile, 1883). La struttura dei Caselli prevedeva un ambiente unico al piano terra, dotato di ampio camino per cucina e di due stanze nel piano alto, per il riposo di coniugi e dei loro figli. Gli occupanti di tali strutture era-
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Fig 6. Disegno della tipologia dello chalet. Archivio dell’Associazione amici della Ferrovia Suzzara-Ferrara
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Fig 7. Disegno della tipologia del casello. Archivio dell’Associazione amici della Ferrovia Suzzara-Ferrara
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Fig 8. Casello tipo, affiancato da una “garitta”, un magazzino per il deposito degli attrezzi dei cantonieri4.
no in genere costituiti da un nucleo famigliare con un marito cantoniere e una moglie dedicata alla gestione di cancelli (posti sulle strade più importanti) oppure di semplici sbarre, in quelle di minore importanza. La tratta da Suzzara a Ferrara aveva 70 case cantoniere (alcune semplici garitte), ciascuna con un numero progressivo a partire dal Km 0 (Suzzara), approssimativamente corrispondente alla progressiva chilo-
metrica. Attorno al 1900 i caselli ebbero l’aggiunta di una appendice, che prevedeva un magazzino per la legna, un pollaio, uno stalletto per il maiale e un forno per il pane (fig. 7, 8, 12 e 13). Fin dall’inizio il casello era dotato di un pozzo professionale, con almeno 3 filtri (ghiaia, sabbia e carbone) per garantire la qualità dell’acqua. Il servizio igienico era posto all’esterno e ben distante dalle acque potabili.
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La sicurezza del traffico ferroviario era affidata alle casellanti, le quali durante il giorno segnalavano l’assenza di problemi mediante esposizione di bandiera verde. La bandiera rossa invece indicava presenza di grave impedimento alla circolazione, con arresto immediato del treno. Gli stessi segnali erano ottenuti di notte mediante fanali a olio (RejnaZanardini, Milano), che assicuravano una identica modalità di segnalazione ottenuta con l’interposizione di vetri colorati. Le stazioni erano invece protette da segnali a disco guidato mediante fili e contrappesi controllati dal Capostazione. Il segnale a disco includeva una lanterna, che di notte forniva una luce verde quando il segnale era disposta via libera e rossa quando a via impedita. Altro strumento di sicurezza della ferrovia era costituito da telegrafo e dall’ora standard. Il controllo dell’ora standard era ritenuta determinante per la sicurezza nella circolazione dei treni. Allo scopo, stazione e caselli erano dotati di orologio a pendolo. Le casellanti avevano in aggiunta un orologio a sveglia ed uno personale da tasca. La precisione di questi sistemi segnatempo era controllata settimanalmente da un
addetto, che percorreva a piedi l’intera linea e verificava la precisione e l’affidabilità degli orologi. Il primo gruppo di locomotive ordinate alla Maffei includevano rotabili a tre assi (serie Città, da cui la denominazione delle locomotive) per servizio merci ed altre a due assi accoppiati ed uno portanti (serie Fiumi, da cui la denominazione delle locomotive), dedicati al servizio passeggeri. Le merci trasportate furono inizialmente i prodotti della campagna, dal grano alla farina e ai prodotti caseari. Stagionalmente vi erano invece importanti trasferimenti, principalmente di barbabietole. La situazione cambiò totalmente in occasione della prima guerra mondiale e soprattutto nel 1917 dopo Caporetto, quando la Suzzara-Ferrara divenne un collegamento strategico nelle immediate retrovie. Dopo la guerra ripartirono il traffico viaggiatori e soprattutto quello delle merci, complice un rinnovato impulso della economia. Il traffico passeggeri includeva spostamenti all’interno della linea sociale, soprattutto in occasione di mercati o sagre, eventi caratterizzati da tariffe agevolate. Il materiale trasportato incluse poi prodotti quali uve
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e vini, a sostegno degli esili contenuti alcolici dei vini locali. Le tradizionali tecniche usate in agricoltura ebbero impulso notevole dalla introduzione dei concimi. I primi esperimenti si basarono sul guano cileno, che proveniva dal porto di Genova. La pesante ironia che accolse i primi carri del maleodorante materiale fu seguita da rancorose ammissioni, quando i raccolti di grano risultarono superiore di due volte rispetto alle colture tradizionali. La Ferrovia aveva inoltre un sistema di spedizione rapido basato sui treni Omnibus. Questi convogli erano basati sulle locomotive serie Fiumi, con vetture SIG affiancate da 1-2 carri merce per la consegna di prodotti deperibili, quali prodotti alimentari e caseari (latte, formaggio, burro in balle spedite in mastelli di legno pieni d’acqua). La precedenza assoluta era dedicata allo storione, allora oggetto di pesca redditizia nel Po e che doveva raggiungere rapidamente la Sinagoga di Ferrara, l’unica abilitata in zona per la gestione delle carni e delle preziose uova. Già dall’inizio del secolo scorso la costruzione di uno zuccherificio a Bondeno e a Sermide avevano richiesto materiale di trazione più potente per
le merci, in entrata ed in uscita dagli stabilimenti. La crescita del traffico merci rese necessario un ulteriore ordine di 4 locomotive più potenti. Queste furono costruite a partire dal 1901 fino al 1910: tali locomotive confluirono nel gruppo Poeti, da cui la denominazione delle locomotive (A. Muratori, 1988). A Bondeno, lo zuccherificio si era dotato di un raccordo ferroviario verso la stazione e da un collegamento con il Canale di Burana, che assicurava un traffico fluviale via chiatte. Lo zuccherificio di Sermide fu antesignano per un trasporto integrato, dato che si era dotato di una teleferica che permetteva carico e scarico da barconi che arrivano sul Po. La Ferrovia allora fornì un raccordo con Sermide e che terminava nella stazione nuova di Sermide Porto, con annesso piano caricatore e magazzino merci. Nel 1936 la presenza di locomotive a vapore al traino di treni passeggeri cominciò a diminuire in coincidenza con l’arrivo delle prime automotrici, che rivoluzionarono modalità di trasporto, velocità di connessione ed anche comfort di viaggio. Questo portò alla dismissione delle prime locomotive a vapore, compresa l’ultima arrivata del
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Fig 9. Convoglio e automatrice della serie FIAT ALn 668. Fonte: Archivio Associazione Amici della Ferrovia Suzzara-Ferrara
Fig 10. Convoglio e automatrice della serie FIAT ALn 668. Fonte: Archivio Associazione Amici della Ferrovia Suzzara-Ferrara
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parco, la locomotiva Piave 16. La seconda Guerra Mondiale portò ad un re-impiego delle restanti locomotive serie Fiumi, riammesse in servizio passeggeri dopo che le automotrici erano state bloccate per le restrizioni sui carburanti. Per questo, il traffico passeggeri durante il conflitto fu assicurato dalle verdi vetture SIG. Passeggeri e merci mantennero florida la situazione economica della Società, almeno fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto la Ferrovia Suzzara-Ferrara si trovò con un parco di automotrici totalmente inservibili, due locomotive a vapore bombardate a Sermide o asportate dall’esercito tedesco e ritrovate sparse nel Nord Italia. Lo stesso si può dire dei carri merce, portati ovunque o distrutti dai bombardamenti. Le travate sul fiume Secchia e Panaro erano state centrate da bombardieri alleati, assieme a stazioni e a caselli. Lavorando solo di notte, i genieri dell’esercito tedesco avevano costruito in un mese delle passerelle in legno con stilate di rovere, che consentivano il transito dei treni sui due fiumi, anche se a velocità ridotta. Tali ponti perdurarono in servizio fino al 1954, in ottima
forma (fig. 9). Le stilate furono lasciate in sito, impossibili da togliere e tuttora visibili. Il traffico passeggeri alla fine della guerra riprese, dapprima per il ritorno dei militari dai campi di prigionia e poi per la riapertura delle scuole nei centri importanti attraversati. Il trasporto merci fu indirizzato alle necessità prioritarie della ricostruzione e anche alla ripresa della timida economia postbellica. Gli anni ’50 rividero la comparsa delle automotrici diesel e delle locomotive a vapore, tutte ricostruite grazie al lavoro e alle competenze della Officina Sociale di Sermide. Le dissennate scelte politiche degli anni ’50 portarono vantaggi solamente ai trasporti su strada, facendo crollare il trasporto di viaggiatori e di merci su rotaia. Quando la chiusura sembrava vicina, la Direzione dell’Esercizio reagì in modo intelligente riallacciando collegamenti con Mantova e Parma, con treni diretti senza cambio, sfruttando le collegate Ferrovie dello Stato e la Società Veneta. Nuovo balzo in avanti venne quando fu istituito il servizio diretto Milano-Ferrara con automotrici FS, che ben presto si rivelarono insufficienti per il numero di passeggeri che aderì alla iniziativa. Seguirono poi treni diretti con materiale
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ordinario. Visto il successo di collegamenti al di fuori dell’area sociale, fu lanciato l’innovativo progetto dei Treni del Mare, che mettevano in collegamento Cremona da un lato e Brescia (e poi Bergamo) dall’altro con Rimini (e poi Pesaro). Questo fu reso possibile dal rinnovamento del materiale rotabile costituito dalle automotrici della fortunata serie FIAT ALn 668. Queste potevano viaggiare in comando multiplo e i lunghi convogli di 8 pezzi rappresentarono un marchio vincente per una piccola Società non statale, ma con idee nuove (fig. 10). La Suzzara-Ferrara è passata sotto una Gestione Governativa e successivamente incorporata nella regionale Ferrovia Emilia-Romagna (FER) (2001). La storia della linea aggiornata al centesimo compleanno della Ferrovia è riportata in A.Muratori, 1988. Una valutazione finale dopo oltre 100 anni di esistenza della Ferrovia riguarda anche le modifiche strutturali e culturali indotte nel territorio attraversato. Quelle strutturali sono principalmente legate al miglioramento dell’attività agricola mediante scavi di nuovi canali di bonifica (AAVV, La Suzzara Ferrara, 125 anni dopo, 2014). La disponibilità di un collegamento ferroviario rese
poi facile l’insediamento di industrie, principalmente meccaniche e successivamente elettriche ed elettroniche. Zuccherifici e preparazioni di prodotti della terra (molini e mangimi) furono la seconda componente più apprezzabile. Ma gli effetti più importanti la Ferrovia li esercitò a livello culturale, sulla popolazione che lavorava al suo interno. In netta antitesi con i rancorosi sentimenti esistenti nella popolazione degli addetti ai lavori della campagna o al sindacalismo del dopoguerra, agenti e famiglie della Ferrovia acquisirono un generale senso di stretta appartenenza e di identificazione con la Società. La stessa popolazione ben comprese di trovarsi depositaria di un bagaglio tecnico qualificante, con una diffusa acquisizione di metodi di lavoro e di gestione di strumenti unici. Il senso di appartenenza era diffuso a tutti i livelli, dal personale tecnico che sapeva amministrare comunicazioni (dal telegrafo ai segnali ferroviari) e alla manutenzione di rotabili, relativamente semplici come quelli a vapore e più complicati come le littorine. Con preveggenza formativa, già dal 1936 la Direzione FSF aveva investito in formazione dei propri dipendenti, ospitando per quasi
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Fig 11. Corso d’istruzione per le automotrici FIAT (Sermide, ~1937). Fonte: La SuzzaraFerrara 125 anni dopo, op. cit. pag48
due anni a Sermide l’Ing. Comino della FIAT Materfer di Torino, che insegnò al personale dell’Officina tutti i segreti delle automotrici (fig. 11). Tale capitale di conoscenze si rivelò determinante a fine della guerra nella ricostruzione dei relitti delle automotrici, effettuati totalmente nelle Officine Sociali a partire dal 1945, a costi affrontabili. Oltre che culturale, una svolta signifi-
cativa fu di tipo economico. Se anche casellante e cantoniere (i livelli più bassi della gerarchia societaria) avevano il privilegio di contare su due stipendi fissi in entrata, lo stesso avvenne per numerosi altri componenti della articolata famiglia dei lavoratori. Il risultato fu che si incominciò ad investire in casa e istruzione, due capitoli nemmeno considerabili da parte di chi operava nelle
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campagne, con raccolti alla mercé di grandine o malattie. La Ferrovia inoltre considerava atto dovuto l’assunzione dei figli dei propri agenti, con conseguente formazione di genealogie di persone che hanno lavorato nella Ferrovia. Alcune di queste perdurano fino ai giorni nostri. L’insieme di queste condizioni ha dato il via alla costituzione di una piccola aristocrazia in un contesto di generalizzata povertà locale, che ha condotto alla selezione di una popolazione qualificata e successivamente indipendente economicamente. Questo è stato il più importante effetto condotto dalla Ferrovia Suzzara-Ferrara nel suo bacino di pertinenza. La Ferrovia ha avuto l’obiettivo di includere, come molte altre grandi Istituzioni, oltre che i propri componenti anche coloro che vi gravitavano attorno, la famiglia allargata.
citato è definito dallo slang ferroviario come “garitta”, che serviva da deposito per gli attrezzi dei cantonieri. Ogni cantone (spazio tra una stazione e l’altra)ne aveva almeno una, a seconda della lunghezza. Anche loro erano numerate all’interno della lista dei caselli ferroviari. Il casello indicato è posto a Bondeno, sul tratto abbandonato che portava al ponte in ferro sul Panaro.
Note: 1.R.Santini, D. Maestri, F. Malavasi Associazione Amici della Ferrovia SuzzaraFerrara, 2.Flavio Tiengo Fotografie, 3.Fabio Malavasi, fabio.malavasi@unito.it 4.I caselli avevano una collocazione nei punti di incrocio strada-ferrovia, ed erano numerati a partire da Suzzara. Il magazzino
Real Corpo del Genio Civile (1883), Tipi di fabbricati Ferroviari per Stazioni e Case di Guar- dia, Litografia Fratelli Doyen, Torino.
Bibliografia: O. Lizzadri (1974), “La Boje”, La Petra; V. Negrelli (2010), Festival degli Scrittori della Bassa, Pegognaga (Mantova); A. Muratori (1988), Ferrovia SuzzaraFerrara: passato, presente e futuro in 100 anni di esercizio Capitolo FSF giallo, Editoriale del Garda; M. Cacozza (1993), Le ferrovie private in Italia dalle origini agli ultimi anni 70 - Tema n. 4, Tutto Treno, Duegi Editrice; F. Malavasi, G. Sostaro, R. Santini e F. Tiengo (2014), La Suzzara-Ferrara, 125 anni dopo Fondazione Ricerca Molinette;
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Fig 12. Il Casello 15 (cantone di San Benedetto Po). Foto di E. Borciani
Fig 13. Interno del Casello 15 (cantone di San Benedetto Po). Foto di E. Borciani
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Fig. 1. Officina di Sermide, operai al lavoro. Fonte: La Suzzara-Ferrara 125 anni dopo, op. cit. pag.48
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Ferrovie e locomotive, caselli e casellanti Gianfranco Cavaglià
1 Premessa - Ringraziamenti per l’invito che sembra attuare una sorta di predestinazione: l’unica ‘targa di percorrenza’ in mio possesso da una decina d’anni, ricevuta in regalo, mi indicava la direzione di Suzzara: bene oggi l’ho raggiunta. - Collaborazione di questi anni con il prof. Fabio Malavasi, Claudio Demaria e i loro amici, amici dei treni e del saper fare. - Condivisione di interessi: mi occupo di Tecnologia dell’Architettura, altro ambito, ma il saper fare non ha separazioni. - Per i titoli ho acquisito espressioni dal libro sui 125 anni della Suzzara Ferrara, chiamata “la nostra ferrovia”. - Sulle costruzioni delle ferrovie ci sono concrete opportunità di lavoro per la didattica e la formazione; avremo la possibilità di avviare lo scambio di opinioni. - Una constatazione: la raccolta e sistemazione dei documenti che hanno
permesso la realizzazione di questa significativa pubblicazione (dalle locomotive ai carri merci, ai disegni e ai registri delle attività degli addetti, premi e punizioni comprese), è avvenuta in assenza, o quasi, di fondi, nella libera collaborazione tra appassionati che hanno messo a disposizione conoscenze e documenti. - La partecipazione, diretta, e l’interesse spontaneo mostrano la sensibilità e la volontà di documentare esperienze che rendono possibile attività di recupero di quel patrimonio che ora è abbandonato e prossimo a scomparire. - Nel preparare queste note ho pensato di rivolgermi agli amici della ferrovia ed agli studenti. Il mondo contadino in trasformazione Il libro sui 125 anni è un testo di documentazioni antropologiche che si presta a successive letture. Riporta modi di vivere di molteplice interpretazione rispetto all’età del lettore: di immediato richiamo alla memoria, attraverso espressioni dimenticate e subito riattivate alla prima citazione per chi le ha vissute, di sorpresa per la mancanza di esperienza diretta, per le generazioni successive. Non facile trasmettere la
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Fig 2. La stazione tipo. Disegno riproposto da Emanuele Borciani
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situazione del dopoguerra, quando non tutte le case avevano acqua all’interno, i bagni con vasca poco presenti, ‘il gabinetto’ era soprattutto all’esterno, il riscaldamento e cottura cibi avveniva con la ‘stufa economica’, da noi ‘poutagè’, che provvedeva ad una temperatura alta in una camera per lasciare le altre al freddo. Una informazione, riportata nella pubblicazione: nel 1957 i caselli della Suzzara – Ferrara non avevano il telefono e la luce era arrivata solo l’anno precedente. Consuetudini di vita, di lavoro, di svago La scuola con le consuetudini del vestire, delle attrezzature per la scrittura (penna, pennini, calamaio, gomma doppia, matita e penna) è una parte da assumere come documentazione e testimonianza di modi di vivere, di fare e di pensare che si sviluppa sino alla introduzione della vacanza per i bambini, alla opportunità dell’andare al mare, del fare i bagni, del giocare con la sabbia. La stessa precisione del descrivere le parti di freni e motori dei rotabili la ritroviamo nella descrizione dei giochi delle biglie, differenziate per dimensioni, per sostanza, e per tipi di giochi corrispondenti.
L’autonomia del casello ferroviario: servizio 365 giorni anno, 24 ore al giorno La vita ed i ruoli nel casello ferroviario è una storia a sé che ci porta direttamente nell’organizzazione della ferrovia e nel rapporto tra questa e le popolazioni sul suo percorso. Ci troviamo di nuovo nella difficoltà di traduzione delle condizioni di vita di allora: riuscire a comunicare e rendere comprensibile ciò che oggi appare non accettabile: impegno totale per tutto l’anno, per tutto l’arco della giornata per garantire la circolazione dei treni. Questo rappresentava una condizione di privilegio, a partire dal casello, come abitazione: casa completa di tutto il necessario, allora non scontato per la maggior parte della popolazione (cisterna per l’acqua, pozzo, forno per il pane). La condizione di privilegio e responsabilità era ribadita da accessori che assumevano ruolo di simbolo: l’orologio a cipolla, Zenith, ed il bastone con i teli verde e rosso di segnalazione. Una digressione su formazione e educazione Nel contesto di riferimento che consideriamo, educazione e formazione avvenivano nell’ambito del vivere in
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campagna, in condizioni di relazione continua con il lavoro (attività agricole, di coltivazione, di raccolto, di gestione della casa, di allevamento di animali,) quasi di autosufficienza, riducendo a poco le cose da acquistare: più diffuso lo scambio di prodotti. Il racconto e le descrizioni si allargano alla vita di campagna ed alle attrezzature di allora che si interfacciavano direttamente con la ferrovia: i materiali e i prodotti che arrivavano con il merci (la modernità con velocità e potenza di trasporto) venivano scaricati e quindi distribuiti con carri trainati da cavalli, potenze e velocità della consuetudine. L’osservazione è sulla concretezza della conoscenza di coloro che quotidianamente praticavano esperienze dirette (cultura dell’esperienza coltivata nell’ambiente della quotidianità). Il senso del peso era oggetto di esperienza, non come misura astratta: il peso non solo come unità di misura convenzionale ma come sacchi di grano, numero di sacchi caricabili su un carro trainato, e numero di sacchi che potevano essere portati dal merci. Nel racconto il peso della locomotiva, espresso in tonnellate, risulta una entità non comprensibile sino a che non viene tradotta in sacchi frumento, allo-
ra si capisce. Il trasporto ferroviario si confronta con quello a traino animale che viene indirettamente accennato con particolari che suscitano curiosità: un modo per fissarlo nella memoria. La gimbarda, o bascula, piano appeso al di sotto del piano di carico del carro, veniva utilizzato anche per riposare sulla strada del ritorno controllata dal cavallo. La gimbarda anticipa il lettino nella cabina dei camion2: questo però, per ora, non può tornare da solo. Con queste premesse di ambiente diventa comprensibile la curiosità e lo stupore, autentico, di fronte alla potenza delle macchine che stravolgevano le capacità di portata: tanto da indurre i ragazzi ad avere la pazienza di attendere il passaggio del merci per contare il numero dei vagoni di quel viaggio, e vedere come riuscivano a superare una salita impegnativa: dimostrazione dell’abilità del conduttore se riusciva ad arrivare senza dividere il convoglio per ripartire il carico. Avvio di abilità mitiche, oggetto di ripetute narrazioni. Erano testimoni di trasformazioni in atto e ne partecipavano direttamente comprendendole. La ferrovia, in campagna, anticipava l’industrializzazione, in atto, che veniva confermata dalla pa-
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rallela trasformazione delle attrezzature agricole, (macchina trebbiatrice, trattori, camion, anche recuperi bellici). Le costruzioni delle ferrovie: Denominazioni di oggetti e attrezzature ferroviarie Nel testo le denominazioni di elementi, attrezzature, locomotive (queste chiamate per nome - Ariosto, Dante, Petrarca, Mincio - e non solo per sigla di produzione, naturalmente nota e citata) rappresentano il linguaggio che si sente il bisogno di conoscere per non essere esclusi. Un testo ricco di informazioni, ad esempio, nel discorso vengono esposti particolari curiosi, per i non addetti impreparati e di consueto riferimento
per gli addetti: che fanno comprendere la trasformazione avvenuta nel tempo, ad esempio, per le dimensioni delle ro- taie, espresse in Kgm, in progressivo aumento con l’incremento del peso dei convogli (fig. 3). La ferrovia ha anticipato la diffusione dell’industrializzazione del dopoguerra che era già iniziata molto prima. Sin dal suo comparire aveva dovuto operare, oggi diremmo, secondo modalità di sistema di processo organizzato; e tale approccio doveva essere esteso a tutte le componenti, comprese le costruzioni. Ancora dalla biblioteca dell’amico Malavasi la disponibilità in un volume3, di progetti per la costruzione delle ferrovie
Fig. 3. La trasformazione nel tempo delle dimensioni delle rotaire, espresse in Kgm.
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Fig. 4. Indice delle costruzioni: tabella con le indicazioni sintetiche degli elementi delle costruzioni
Sicule del 1883, dello stesso periodo dei progetti per la realizzazione delle OGR a Torino (la più grande azienda a fine ottocento, a Torino). Il volume citato riporta la documentazione del modo di fare le ferrovie, un progetto di organizzazione industriale realizzato con strutentazioni unicamente artigianali. Straordinaria la qualità dei disegni per i contenuti e per la perizia dell’esecuzione. Pozzi di conoscenze ed esperienze sulla trasformazione della materia, sulle lavorazioni meccaniche, sui principi delle macchine termiche. Non solo gli addetti conoscevano i prin-
cipi di funzionamento delle macchine, conoscenza ed esperienza erano diffuse nelle boite artigiane (così venivano definite a Torino) che rappresentavano un contesto, oggi diciamo culturale, del saper fare, del sapersi aggiustare, che ha reso possibile negli anni successivi lo sviluppo di quella che diventerà l’industria, per antonomasia, dell’automobile. Sottolineo il ‘sapersi aggiustare’: una caratteristica dell’artigiano che di fronte ad un problema si poneva l’obiettivo del risolverlo in qualche modo: sperimentazione diretta continua. Si può testimoniare l’orgoglio di questi
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operatori, operai, che venivano considerati l’aristocrazia operaria. Possiamo vedere la ferrovia come espressione della rivoluzione industriale, intesa per la caratteristica essenziale di processo organizzato. Nella storia della produzione ferroviaria è evidente il ruolo prevalente dell’organizzazione: le attrezzature per la ferrovia hanno le caratteristiche del prodotto industriale, di cui si richiedono e si verificano le prestazioni, eseguito sulla base di disegni costruttivi definiti in tutte le parti e realizzato da maestranze artigiane molto qualificate. Processo organizzato con la programmazione della gestione e della manutenzione.
Disegni costruttivi e linguaggio I disegni sono descrittivi e costruttivi: documentano forma, dimensioni e quanto e come viene richiesto. Si presume esperienza e abilità esecutiva, il riferimento sono le regole d’arte dei magisteri artigianali. Tutte le parti sono identificate: o con una denominazione funzionale o con altra codifica (che per quanto astrusa non manca nella memoria dei nostri). Prestazioni richieste e controllate Tutta la documentazione storica ferroviaria è didatticamente interessante, permette di trovare le radici delle descrizioni prestazionali, delle specifiche, dell’unificazione delle parti per ridurre
Fig. 5. Disegno del magazzino merci a binario esterno: porta
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Fig. 6. Disegni della catena con supporti laterali
Fig. 7. Pozzo con il dettaglio della carrucola
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il numero dei tipi, del sistema di controllo della qualità, delle procedure della sicurezza, dei ruoli di responsabilità. In sintesi: un processo organizzato e controllato in tutte le fasi. Esecuzione artigianale Altra osservazione anche didatticamente utile è constatare il passaggio dai disegni di progetto alla realizzazione che avveniva con maestranze molto qualificate, con rilevanti abilità ed autonomia esecutiva, utilizzando macchine generiche. Programmazione della gestione e manutenzione Altra caratteristica del processo industriale, che controlla le prestazioni nel tempo e ne vuole verificare i risultati,
la manutenzione programmata: con la ferrovia viene introdotta e diffusa. L’interpretazione che ho riportato è documentata da disegni, registri, documenti in genere che testimoniano, tutti, l’innovazione del modo di fare. Nelle attrezzature per la ferrovia sono stati fatti i progetti per tutto, in modo tale che non si potessero verificare condizioni di interpretazione non prevista. Vedremo immagini di particolari minuti, che sorprendono per il dettaglio, ma risultano altrettanto necessari se si vogliono ottenere oggetti definiti e controllabili. Con questa interpretazione tutti gli oggetti della ferrovia possono essere motivo di indagine e di comprensione delle modalità costruttive pertinenti alla tec-
Fig. 8. Palina con disegno dei numeri. Anche il controllo di una immagine coordinata, definizione dei caratteri delle scritte e dei numeri
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Fig 9. La fermata tipo. Disegno riproposto da Emanuele Borciani
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nologia. Quando dico tutto intendo la totalità delle costruzioni, fisse e mobili rotabili (tutto è definito, denominato, descritto e rappresentato). I figli dei caselli pensano al futuro L’incontro di oggi è uno dei risultati dell’iniziativa dei figli dei caselli e dei loro amici e la mia presenza è la testimonianza di una sensibilizzazione, cresciuta negli anni, per la collaborazione in attività di divulgazione, avviata, per quanto mi riguarda, da uno di loro. I miei interessi e la partecipazione diretta è avvenuto per contaminazione, per la determinazione incontrata, e per la pertinenza nel mio ambito disciplinare di docente di Tecnologia dell’Architettura. Se consideriamo che “la tecnologia è la scienza dei mezzi impiegati per produrre ciò che è necessario a una società” possiamo considerare il settore ferroviario come un ambito di studio della storia delle trasformazioni della produzione, nel tempo. La tecnologia considera le influenze che i processi produttivi inducono sui comportamenti delle persone: e l’ambito ferroviario riporta una documentazione ampia e di grande interesse per tutti i soggetti implicati. L’organizzazione necessaria per il funzionamento di un servizio com-
plesso come quello ferroviario richiede la definizione dei ruoli e delle responsabilità di tutti gli operatori. La descrizione della attività della casellante coordinata con quella del marito cantoniere ne riportano la chiara esemplificazione. Questo libro dal tono colloquiale e apparentemente rivolto ad un pubblico ristretto di amici, documenta con precisione l’atmosfera del dopoguerra, della ripresa, della ricostruzione, della volontà di fare, senza mezzi. Diverso l’atteggiamento di oggi, prevale la rinuncia rispetto a quanto disponibile. I figli dei caselli pensano al futuro: hanno avviato negli anni azioni di divulgazione che suscitano interesse, favoriscono relazioni che si concretizzano in vario modo e, in generale, costruiscono consapevolezza della consistenza del patrimonio abbandonato. Una osservazione, che già scrivevo qualche anno fa, critica, nei confronti dell’atteggiamento di noi Italiani, superficiale nel senso della esterofilia anglofona, che ci porta a trascurare il nostro grande patrimonio e, dicevo, “ricchi di patrimoni abbandonati andiamo a prestare servizio per un modello che difficilmente ha futuro”. Nel passato gli emigranti, definiti manovali, ma erano muratori, scalpellini,
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portavano competenze e lavoro, costruivano strade e ponti ancora presenti. La lettura di queste testimonianze ci ha fatto fare un viaggio e ripercorrere condizioni di vita che erano molto più impegnative di quelle attuali, con minori mezzi ma con una volontà, non contenibile, di ricostruire. Le azioni concrete degli ultimi anni: - Porte aperte del Museo Ferroviario Regionale: giornate di libero accesso al Museo Regionale Ferroviario con partecipazione anche di altri settori (foto 10 e 11). - Raccolta e organizzazione in archivio di documentazione raccolta – recuperata prima della eliminazione come rifiuti - Attività didattica di rilievo di carrozza per corso di formazione di Tecnici Superiori per il restauro. - Mostra di fotografie delle OGR in occasione dei 150 dell’Unità d’Italia di fronte alle OGR (Officine Grandi Riparazioni) a Torino. - Esposizione di due locomotive, per la stessa occasione, sempre di fronte alle OGR. - Tesi di laurea svolte ed alcune in avvio. Le proposte Proposte per proseguire la valorizza-
zione di un grande patrimonio, abbandonato, trascurato, poco noto fuori dal circuito degli appassionati: 1. Concorso rivolto alle scuole dell’obbligo. Sensibilizzare bambini e ragazzi a documentare le stazioni abbandonate: concorso fotografico per le scuole, elementari e medie. Un invito a guardarsi intorno, imparare a vedere e farsi domande su quanto fa parte dell’ambiente nel quale si vive ed a cosa servono, o non servono, attrezzatura importanti quali stazioni, reti ferroviarie ..ecc. 2. Attività di rilievo, seminari, e tesi di laurea, corsi per dottorati, attività di tirocinio presso aziende e archivi. Conoscere le stazioni, le costruzioni della ferrovia, come espressione di un progetto coordinato e unificato: espressione di un processo organizzato per tutto il territorio nazionale (avvio dell’industrializzazione). La documentazione disponibile, per quanto parziale in termini di progetti, documenta un modo di fare esemplare quando si deve affrontare un lavoro in termini sistemici. 3. Attività di ricerca tra Università e pubblica amministrazione, tesi di laurea, tesi di dottorato. Conoscere le stazioni abbandonate che potranno essere diversamente utilizzate: conoscere le
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caratteristiche prima di fare proposte e non il contrario, la pratica più diffusa. 4. Organizzazione di visite ai percorsi abbandonati dalla ferrovia e riutilizzati con altro uso: percorsi ciclabili su tratti costa. Una destinazione d’uso d grande attrazione turistica. 5. Tesi di laurea, in ambito tecnologico, metodologico, restauro. Per tutte le implicazioni che conseguono per l’ambiente e per il paesaggio. Conoscere bene le costruzioni esistenti per comprenderne i possibili nuovi impieghi nel rispetto delle loro caratteristiche: si tratta di costruzioni di pregio da salvaguardare, per le testimonianze che raccolgono di modalità esecutive, ormai abbandonate. Cataloghi di modi di operare e di lavorazioni non più note. La conoscenza è necessaria per costruire rispetto ed evitare “l’ ammodernamento” prima che avvenga e ne segua il rimpianto per i danni arrecati. Ringrazio per l’attenzione e, aimè, non mi dirigo verso Ferrara.
Note: 1.La targa all’inizio e alla fine: è la segnalazione della direzione sono esempio dell’organizzazione del sistema, dell’interazione del personale incaricato dell’aggiornamento della direzione tra andata e ritorno. 2.Non mancano i riferimenti ai camion storici: il Lancia, il Super Orio OM, i GMC americani, il Ford inglese 3.Real Corpo del Genio Civile (1883) - Direzione tecnica governativa delle Ferrovie sicule - tipi di fabbricati ferroviari per stazioni e case di guardia - 1982, Torino, litografia F. Doyen .
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Fig 10 e 11. Le Officine Grandi Riparazioni, e Museo Ferroviario Piemontese.
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Fig. 1. Rete ferroviaria RFI in esercizio, dicembre 2015
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I destini delle ferrovie regionali Fabio Ceci
La rete ferroviaria italiana Le linee ferroviarie in esercizio di proprietà statale, gestite dalla Rete Ferroviaria Italiana (RFI), ammontano a 16.726 km e sono classificate in ragione del ruolo svolto: linee fondamentali, caratterizzate da un’alta densità di traffico e da una elevata qualità dell’infrastruttura (6.642 km); linee complementari, con minori livelli di densità di traffico, che costituiscono la maglia di collegamento nell’ambito dei bacini regionali e connettono tra loro le direttrici principali (9.338 km); linee di nodo, che si sviluppano all’interno di grandi zone di scambio e collegano le linee fondamentali e complementari situate nell’ambito di aree metropolitane (946 km). A livello europeo l’Italia possiede la terza rete ferroviaria per estensione, leggermente superiore a quella polacca (19.293 km), ma nettamente inferiore alle due principali di Germania (38.836 km) e Francia (30.905 km). Se si analizza il grado di utilizzo della rete, i Paesi Bassi con 138 treni al chilometro percorso al giorno hanno la maggiore intensità di utilizzo a livello europeo. L’Italia con un utilizzo di 45 treni – km giornalieri (39 treni passeggeri e 6 treni merci) presenta un livello di
utilizzo comparabile alla Francia, ma nettamente minore di Germania (75 treni – km -giorno) e soprattutto della Gran Bretagna (92 treni – km – giorno). La rete di RFI è integrata dalle linee in gestione ad altri soggetti, per un totale di 3.209 km, in gran parte derivate da ferrovie “ex concesse”, quindi passate attraverso una gestione commissariale delle Ferrovie dello Stato su mandato governativo, prima del trasferimento della loro proprietà a regioni e province autonome con il Decreto Legislativo 19 novembre 1997, n. 422. Le reti locali sono costituite per la maggior parte da alimentazione diesel, che è presente sulla rete RFI per circa il 30%. Le reti locali sono particolarmente sviluppate al sud con oltre il 50% della rete “ex concesse”, anche se si tratta di linee in gran parte alimentate a gasolio, contrariamente al nord ed al centro dove una quota importante è alimentata ad energia elettrica. Lo stato delle linee delle ferrovie regionali presenta una situazione molto variegata fra le diverse parti d’Italia, sia in termini di estensione che di standard tecnologico (trazione elettrifica / trazione diesel). In Puglia, Basilicata e Sardegna le linee regionali rappresentano
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Fig. 2. Rete ferroviaria esterna a RFI
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Fig. 3. La rete nazionale e la rete regionale a confronto
la metà della rete ferroviaria, sono inesistenti in Marche, Abruzzo e Molise, mentre rappresentano una realtà importante in Lombardia, Emilia-Romagna, Trentino Alto Adige, Umbria, Campania e Calabria con percentuali fra il 20% e il 30% dell’estensione complessiva della rete. Il grado di elettrificazione della rete regionale è particolarmente carente al Sud (esclusa la Campania) e in Sicilia e
Sardegna, ma anche in Emilia – Romagna la trazione elettrica interessa solo il 35% delle linee regionali. Un’ulteriore carenza è rappresentata dalla modesta estensione delle linee regionali a doppio binario, che sono meno del 10% del totale e sono presenti in quantità significativa solamente in Lombardia (151,35 km) e Campania (94,70 km). Infine un aspetto da considerare è la tipologia di scartamento, che si presenta di tipo
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ordinario (1.453 mm) come la restante rete nazionale, ridotto (950 mm) e metrico (1.000 mm). L’integrazione con la rete nazionale può pertanto avvenire solamente per le linee a scartamento ordinario, che sono pari a 2.192 km. Le
reti regionali presentano oltre 3.000 passaggi a livello e solo un terzo del totale è regolato automaticamente. Se si passa ad analizzare il materiale rotabile la criticità più evidente è rappresentata dalla vetustà delle locomotrici, con
Fig. 4. Estensione della rete regionale (Fonte ASSTRA)
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anzianità medie di 25 anni e punte di 60/80 anni. La spesa ferroviaria italiana nel periodo 1992 – 2012 è stata di 207,7 miliardi di euro, di cui 84,8 di parte corrente e 122,8 in conto capitale, che corrispondono a una media annua di 9,9 miliardi. Nello stesso arco temporale la spesa ferroviaria francese è stata di 153,6 miliardi, ma il settore ferroviario francese è il doppio di quello italiano per dimensioni dell’infrastruttura e più che doppio per il livello del trasporto passeggeri. La spesa ferroviaria britannica è stata invece di soli 69,3 miliardi di euro, un terzo di quella italiana, nonostante la rete britannica sia della stessa lunghezza di quella italiana e il traffico trasportato praticamente uguale nell’intero periodo considerato. Anche il confronto con la Germania conferma la forte spesa dell’Italia nel campo ferroviario rispetto alle infrastrutture disponibili ed il loro livello di utilizzo. Il dato tedesco, disponibile solo per i 9 anni compresi tra il 2002 e il 2010, ammonta a 88 miliardi totali (contro gli 85 dell’Italia nello stesso periodo) che corrispondono in media a 9,8 miliardi annui. Ma è importante ricordare che il settore ferroviario tedesco è due volte e mezza quello italiano.
In termini economici il trasporto ferroviario in Italia è stato sostenuto nel tempo da importanti risorse pubbliche, con rilevanti trasferimenti che sono stati indirizzati principalmente al finanziamento dei programmi d’investimento, alla copertura dei costi di esercizio della rete ferroviaria e dei costi del trasporto ferroviario locale. Le principali voci sono rappresentate dai contributi all’esercizio della rete ferroviaria e dai contributi ai servizi di trasporto, principalmente locali, per obblighi di servizio pubblico, relativi a servizi che non sarebbero offerti in normali condizioni di mercato. In un primo periodo, sino al 2000, entrambi i contributi sono stati erogati dallo Stato. A partire dal 2001, a seguito della riforma del trasporto pubblico locale, i trasferimenti per gli obblighi di servizio pubblico relativi a questa tipologia di trasporto sono stati erogati dalle regioni, restando di competenza statale solo il segmento dei servizi a media e lunga distanza non remunerativi. Gli utilizzi della rete ferroviaria A seguito delle varie direttive comunitarie e relativi regolamenti si è assistito dal 2001 ad oggi ad una graduale apertura alla competizione di mercato del
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servizio passeggeri e soprattutto del servizio merci, con una sempre maggiore concentrazione degli investimenti e dei servizi sulle linee ferroviarie principali ed in particolare sulla dorsale dell’Alta Velocità. In particolare il settore del trasporto ferroviario merci registra un’apertura del mercato e l’ingresso di nuovi operatori diversi dal gruppo FS, che si attestano nell’insieme attorno al 10% dei treni-km effettuati. In termini di volumi l’intero comparto registra comunque una forte propensione del traffico verso altre modalità di trasporto e in particolare della gomma. Contestualmente il trasporto ferroviario locale è diventato di piena responsabilità delle regioni, che sono subentrate allo Stato nei rapporti con i diversi concessionari e nella gestione dei finanziamenti al servizio locale. Nel trasporto ferroviario regionale e locale sussiste una forte commistione tra regolamentazione della concorrenza ed esigenza di garantire servizi universali, ma l’apertura al mercato del trasporto ferroviario locale si scontra con alcune difficoltà, come la disponibilità del materiale rotabile, la possibilità di avvalersi di impianti di manutenzione e deposito, la possibilità delle imprese di non essere
vincolate da contratti lavoro dell’operatore principale dominante (il gruppo FS). A livello nazionale il traffico passeggeri presente sulle reti regionali mostra un andamento positivo negli anni 2005 – 2010, anche se rispetto al traffico nazionale rappresenta una quota fortemente minoritaria. Se si analizza nel dettaglio il traffico passeggeri gestito dalle imprese regionali la Puglia esprime il 24% del traffico totale, seguito dalla Campania con circa il 21% e l’Emilia-Romagna con circa il 16%. I dati disponibili mostrano una rete ferroviaria regionale ancora vitale, che in alcuni territori rappresenta una quota non trascurabile dell’offerta di trasporto pubblico. La sua efficienza è condizionata dalla necessità di un rinnovo del materiale rotabile, ma anche dal miglioramento delle linee in termini di sicurezza, innanzitutto dotando le linee di sistemi di protezione laterale sullo standard della rete RFI. Un aspetto altrettanto problematico è lo stato di abbandono del patrimonio immobiliare a servizio delle linee regionali, siano esse le stazioni non più presidiate o gli scali merci dismessi ed in rovina, luoghi ai margini della vita contemporanea.
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Fig. 5. Andamento del traffico passeggeri sulle reti regionali (elaborazione ASSTRA su dati MIT)
La mobilità di bacino L’andamento del traffico passeggeri nel decennio 2004 – 2014 presenta una tendenza in crescita, raggiungendo il massimo assoluto a oltre 864 milioni di passeggeri nel 2014, mentre i passeggeri–km, che sono il dato di riferimento sull’intensità di utilizzo, presentano un andamento altalenante, non riuscendo a superare i massimi del 2005/2006 che erano ben oltre 50 miliardi di passeggeri-km. Il percorso medio per passeggero ha ripreso ad aumentare, facendo registrare nel 2014 +1,6% rispetto al 2013 e soprattutto +5,6% rispetto al
2012, anche se è decisamente lontano dal massimo del 2004 pari a 67,6 km. La produzione di treni passeggeri ha sostanzialmente confermato nel 2014 il dato 2013 pari a poco oltre 317 milioni di treni-km e non presenta variazioni significative nel corso del decennio. L’impresa ferroviaria dominante (Ferrovie dello Stato) presenta una quota di mercato di circa il 77% del traffico passeggeri, divisa nei settori a mercato, universale e regionale. I servizi a mercato, che riguardano in gran parte i prodotti “freccia” e che includono le tratte ad Alta Velocità, hanno avuto un
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Fig. 6. Andamento indicizzato traffico passeggeri (indice 2004=100): Fonte Istat, elaborazione AutoritĂ di Regolazione dei Trasporti (ART)
costante incremento dei passeggeri-km, facendo registrare ben oltre i 15 miliardi di passeggeri-km nel 2014. Gli altri settori, nel 2014, hanno fatto registrare oltre 4 miliardi di passeggeri-km nel settore universale e oltre 18 miliardi di passeggeri-km nel servizio regionale, che rappresenta quasi il 50% dell’intero utilizzo nazionale. Se compariamo i dati 2013 con il 2014 del servizio regionale si osserva una lieve flessione dei passeggeri-km ed una produzione in
diminuzione, frutto in gran parte di minori servizi richiesti da regioni ed enti che se ne accollano i costi. L’ISTAT fornisce rilevamenti distinti fra imprese ferroviarie di grandi dimensioni e imprese di dimensioni minori, queste ultime individuate come quelle con un volume totale dei trasporti di merci o di passeggeri inferiore, rispettivamente, a 500 milioni di tonnellate-km o 200 milioni di passeggeri-km. Nel periodo 2004 – 2013 si osserva un
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incremento significativo dei passeggeri trasportati in generale e da parte delle grandi imprese, mentre si assiste ad una progressiva marginalizzazione delle imprese di minori dimensioni. Il dato sui passeggeri – km ci restituisce invece una situazione abbastanza costante, con picchi attorno al 2005 – 2006, conseguenza di una riduzione del percorso medio per passeggero trasportato dalle grandi imprese: da 90,4 km del 2004 ai 58,6 del 2013. Questo dato è fortemente influenzato dal crollo delle percorrenze medie nei treni internazionali (da 500 km a 257,8 km), ma la diminuzione della lunghezza del viaggio medio è rilevabile anche nelle percorrenze nazionali: da 87,1 km del 2004 a 57,8 km nel 2013. Un dato in controtendenza è la percorrenza media dei passeggeri trasportati dalle imprese minori, che da 16, 4 km sono saliti a 25,6 nel 2013, riducendo la differenza rilevata fra grandi società nazionali e piccole imprese locali. Se passiamo ad analizziamo le diverse situazioni esistenti nel trasporto passeggeri sulla rete regionale, due casi risultano particolarmente interessanti: la Ferrovia Lucera – Foggia e la Ferrovia della Val Venosta. Si tratta di linee
ferroviarie poste agli estremi della geografia nazionale, ma con una particolarità in comune; per entrambe si tratta di linee realizzate a fine ‘800 nella prima fase di espansione della rete nazionale, che dopo essere state soppresse, a distanza di anni sono state oggetto di un recupero integrale da parte degli enti locali proprietari (Regione Puglia e Provincia Autonoma di Bolzano), con massicci investimenti ed una successiva rimessa in esercizio. La Ferrovia Lucera – Foggia è una linea di 19 km inaugurata nel 1887 come parte di un progetto più vasto di collegamento fra Adriatico e Tirreno, che viene chiusa nel 1967 in un epoca di dismissione delle linee ferrate a favore del traffico automobilistico. Il suo recupero inizia a farsi strada nel corso degli anni ’90 e la disponibilità di un finanziamento europeo consente alla Regione Puglia di dare concretezza a questa intenzione. Nel 2009, dopo un rifacimento radicale dei binari e di tutte le opera d’arte connesse, il servizio di trasporto passeggeri viene ripristinato con elettrotreni. L’aspetto interessante di questo intervento è la sua motivazione iniziale, che non nasce per scopi turistici, ma per dotare le due
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Fig. 7. Elettrotreno in servizio sulla linea Foggia - Lucera
città di un collegamento passeggeri più efficiente, essendo la viabilità ordinaria congestionata dall’eccessivo traffico automobilistico, con pesanti ricadute sui tempi di percorrenza del trasporto pubblico su gomma. La nuova linea ha consentito di migliorare notevolmente la qualità della mobilità pubblica, offrendo una maggiore capacità di trasporto ed un servizio più veloce e cadenzato, integrato nelle tariffa e
nell’orario con il trasporto su gomma. La Ferrovia della Val Venosta (Merano - Males) ha una lunghezza di 60 km ed era stata chiusa al traffico nel 1990 in quanto considerata “ramo secco” dalle Ferrovie dello Stato. A differenza del caso precedente la dismissione della linea dura pochi anni; nel 1999 c’è un intervento della Provincia di Bolzano che ne assume la proprietà, pertanto la ferrovia non viene mai completamente
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abbandonata e si evita di arrivare ad una condizione di degrado irreversibile. Si decide di introdurre nuovi standard attraverso il recupero delle stazioni e dei depositi esistenti ed il rinnovo delle opere d’arte, la soppressione dei passaggi a livello, il rifacimento degli armamenti, il consolidamento e la protezione dei versanti montani ed il confinamento del sedime. Le stazioni vengono migliorate con banchine alte che facilitano la discesa dai treni e vengono realizzate pensiline ad ogni fermata. La stazione finale di Malles diventa il capolinea intermodale delle linee bus della vallata, le bici sono ammesse sui treni e sono predisposti 8 punti di noleggio bici lungo la linea. Nel 2005 la linea viene inaugurata ed i risultati positivi sono subito evidenti. Si assiste in pochi anni ad un incremento significativo dei passeggeri sulla linea (2005 / 2009 da 1 mil. a 2,7 mil.) e si registrano presenze turistiche in Val Venosta in percentuale maggiore rispetto al resto della Provincia di Bolzano. L’intermodalità delle merci In Italia il trasporto delle merci viene effettuato tramite ferrovia per il 13%,
mentre l’87% è su strada (dati Eurostat 2013) e la quota del movimento treni merci rispetto al totale movimentato dalla ferrovia (treni-km) è circa il 12%. Se si osserva l’andamento nel decennio 2004–2014 le merci trasportate in valore assoluto segnano un incremento nell’ultimo anno (3,3%) con quasi 91 milioni di tonnellate, confermato anche dall’andamento delle tonnellate-km (5,4%) pari a poco più di 20 miliardi, anche se si è molto lontani dai massimi del 2007. La produzione di treni merci (in treni-km) si è attestata a più di 41 milioni, sostanzialmente in linea con gli ultimi cinque anni. La ridotta rilevanza che ha in Italia il mezzo ferroviario nel trasporto merci rispetto alle altre modalità, risulta evidente da un confronto con gli altri paesi europei: nel 2010 l’Italia si posiziona infatti come il quinto Paese nell’UE-27 per merci trasportate via rotaia con 18,61 miliardi di tonnellatekm, pari al 4,8% del mercato UE27 (valore complessivo nell’UE-27 391 miliardi di tonnellate-km) e prima dell’Italia figurano i volumi trasportati in Germania (107 miliardi di tonnellate-km), in Polonia (49 miliardi di tonnellate-km), in Francia (30
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Fig. 8. Stazione di Malles. IntermodalitĂ con il trasporto pubblico su gomma
Fig. 9. Andamento indicizzato traffico merci (indice 2004=100): Fonte Istat, elaborazione AutoritĂ di Regolazione dei Trasporti (ART)
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miliardi di tonnellate-km), in Svezia (23 miliardi di tonnellate-km) e in Austria (20 miliardi di tonnellate-km). Nel trasporto ferroviario di merci, i dati ISTAT nel periodo 2004-2013 ci restituiscono una tenuta delle piccole imprese di logistica sia in valore assoluto che in termini di tonnellate–km, mentre nel medesimo periodo le grandi imprese registrano un andamento calante delle merci trasportate. La differenza più evidente è il movimento di treni merci attivato, che nel caso delle grandi imprese crolla da 60.770 nel 2004 a 37.227 treni nel 2013, mentre le piccole e medie imprese hanno incrementato l’offerta di treni da 2.533 a 3.495 nello stesso periodo di rilevamento. Da una distinzione per genere merceologico delle quantità trasportate si rileva una presenza significativa di manufatti in metallo di base, quali tubi e lastre, sia in termini di peso assoluto che di tonnellate-km. Altri generi significativi nel trasporto merci ferroviario sono i minerali metalliferi, il legname, i combustibili ed i prodotti agricoli Un genere particolare è rappresentato dalle merci pericolose, che vedono il trasporto ferroviario come il mezzo più sicuro, specialmente sulle lunghe
distanze, dove l’autonomia della struttura fissa garantisce alla ferrovia un vantaggio rispetto agli altri mezzi di trasporto. Una specifica normativa regola il trasporto delle merci pericolose su ferro a livello internazionale per garantire standard comuni di sicurezza e la principale norma di riferimento è il RID (Règlement concernant le trasport International ferroviaire des merchandises Dangereuses). Fra le tipologie di merci pericolose trasportate su ferro i gas compressi e i materiali liquidi infiammabili risultano il genere prevalente. Le linee ferroviarie per il trasporto merci sono classificate in base alle loro diverse caratteristiche strutturali e ai correlati carichi massimi ammessi e sagome limite ammesse. Per favorire la fluidità del traffico complessivo sulla rete, la circolazione dei treni merci si svolge in specifiche fasce orarie, secondo la programmazione definita ogni anno con l’orario ferroviario. Il servizio di trasporto merci utilizza prevalentemente la rete RFI, che dispone di oltre 200 impianti dedicati, articolati in aree di scambio tra trasporto su ferro e trasporto su gomma (centri intermodali), scali ferroviari per il carico e lo scarico delle merci e raccordi, per il collega-
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mento diretto tra gli stabilimenti produttivi e la rete ferroviaria. Nello specifico i raccordi sono impianti privati che collegano gli stabilimenti industriali, le piattaforme logistiche o le aree commerciali alla rete ferroviaria mediante un binario allacciato, di norma, a un binario secondario in una stazione. Quando la connessione è tra un insediamento produttivo e un binario lungo la linea, l’utilizzazione del raccordo è soggetta ai vincoli imposti dalle esigenze di circolazione. Nei casi più importanti (aree industriali, zone di sviluppo, ambiti portuali) più raccordi privati possono immettersi su un binario “consortile” (in termini tecnici definito raccordo base o dorsale), a sua volta collegato ad una stazione. I raccordi industriali contribuiscono a convogliare su ferrovia quasi il 70% del volume complessivo delle merci trasportate. La rete ferroviaria regionale presenta alcune carenze strutturali che ne rendono difficoltoso un maggiore utilizzo per il trasporto delle merci. In primo luogo si riscontrano limiti nei carichi massimi e nelle sagome ammesse, mentre un altro problema è la presenza di linee a scartamento ridotto per circa un terzo della sua estensione, che ne impedisce
la possibile integrazione con la rete RFI. La forte frammentazione della rete e la ridotta estensione delle singole tratte rendono poco probabile un incremento delle tonnellate-km sulle linee regionali, che sono in gran parte rami terminali di dorsali principali e usufruiscono solo marginalmente del traffico merci di attraversamento originato all’esterno della linea. Date queste condizioni generali, un possibile contributo al trasporto merci da parte della rete ferroviaria regionale può venire dalla sua ramificazione sul territorio, dalla diffusa presenza di raccordi industriali e dal patrimonio di binari secondari a servizio delle numerose stazioni, ma anche dalla maggiore disponibilità di tracce orarie. L’utilizzo della rete regionale in tal senso presenta particolari potenzialità in Lombardia ed Emilia Romagna, dove la geografia delle linee locali si sovrappone ad importanti distretti produttivi, quali la FER Reggio Emilia – Sassuolo e la FER Modena – Sassuolo con il distretto delle Piastrelle di Sassuolo, la FER Parma – Suzzara – Ferrara con il distretto Metalmeccanico del basso mantovano, la FN Milano – Asso con il distretto Legno e arredamento della Brianza, la FN Brescia – Edolo con il distretto dei Metalli di Brescia.
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Il valore culturale e turistico Le ferrovie locali hanno per lo più origine nella seconda metà dell’800 e sono in gran parte il prodotto di tecniche costruttive della prima età industriale, che, per quanto ardite, dovevano necessariamente assecondare le asperità orografiche o i condizionamenti della rete idrografica. A distanza di oltre un secolo queste linee ci appaiono oggi come un grande “landmark” orizzontale, che si modella in sintonia con i paesaggi e stabilisce con gli stessi numerosi punti di relazione, sino a diventare parte essenziale dell’identità storica dei luoghi che attraversa. Il carattere storico di queste infrastrutture, accompagnato dalla volontà di preservare il sapere materiale che le ha prodotte, ha innescato anche in Italia numerose iniziative per valorizzare le linee locali. Da diversi anni ed in varie località si assiste all’organizzazione di viaggi in treno con materiale rotabile storico, per promuovere una diversa fruizione turistica dei luoghi attraversati, ma anche per sensibilizzare l’interesse verso linee ferroviarie a rischio di dismissione o per il recupero di quelle già dismesse dal servizio passeggeri ma ancora esistenti e disponibili come in-
frastruttura. All’interno del panorama nazionale un’esperienza significativa è rappresentata dall’associazione “F.T.I. - Ferrovie Turistiche Italiane”, che nasce dalla precedente esperienza della “FBS - Ferrovia del Basso Sebino” che dal 1994 gestisce, in collaborazione con le Ferrovie dello Stato e con il contributo degli enti locali, il servizio turistico viaggiatori sulla linea ferroviaria Palazzolo sull’Oglio - Paratico Sarnico, al confine tra le Provincie di Bergamo e Brescia. E’ una linea di 10 km inaugurata nel 1876 principalmente per il trasporto merci verso il Lago d’Iseo, dove il trasporto passeggeri era già stato sospeso nel 1966. Dal 1994 l’associazione promuove nei giorni festivi, da aprile a settembre, treni passeggeri con origine da diverse città della Lombardia e si occupa della sorveglianza dei passaggi a livello, della vendita dei biglietti, della pubblicità dell’iniziativa, dell’integrazione del treno con la navigazione lacuale, della pulizia delle stazioni e delle aree attorno. L’esperienza del Basso Sebino ha innescato nel 1996 la valorizzazione turistica della linea Asciano – Monte Antico in provincia di Siena, dismessa al traffico passeggeri due anni prima. Anche in questo caso
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come nel precedente c’è un supporto, da parte di Ferrovie dello Stato e degli enti locali. I volontari sono aggregati nell’Associazione Ferrovia Val d’Orcia, che si occupa della vendita dei biglietti, dell’assistenza ai clienti e della valorizzazione delle attrattive esistenti lungo la linea. Una terza iniziativa, sempre collegata alle precedenti, ha interessato la linea Brescia – Iseo – Edolo. E’ una linea regionale di 103 km, che a seguito di alcuni gravi incidenti, è stata oggetto di significativi interventi di miglioramento e messa in sicurezza da parte di Ferrovie Nord, interventi che sono anche stati accompagnati da un rinnovo del materiale rotabile. Dal 2006 il servizio di treni turistici è organizzato dall’Associazione Ferrovia Turistica Camuna, che utilizza i convogli diesel del servizio ordinario nei giorni quando questo non è in funzione, abbinando il treno a visite guidate e al servizio di navigazione sul Lago d’Iseo. L’Associazione Ferrovie Turistiche Italiane, oltre ad organizzare treni turistici dalle principali stazioni italiani è anche impegnata nell’acquisito diretto di rotabili d’epoca, nel loro restauro e nel riutilizzo quando possibile per viaggi turistici. Anche le Ferrovie dello Stato, attra-
verso la Fondazione FS, si sono fatte promotrici della valorizzazione culturale delle linee minori con il progetto “Binari senza tempo”, che ha lo scopo di individuare linee prive di servizi di trasporto pubblico locale da dedicare ai soli treni storici per uso turistico. Ad oggi sono parte di questa rete dedicata la “Ferrovia del Lago”, da Palazzolo sull’Oglio a Paratico Sarnico sul Lago d’Iseo; la “Ferrovia della Val d’Orcia”, da Asciano a Monte Antico; la “Ferrovia del Parco”, da Sulmona a Castel di Sangro nel Parco della Majella; la “Ferrovia dei Templi”, da Agrigento Bassa a Porto Empedocle; la “Ferrovia della Valsesia”, da Vignale a Varallo e la “Ferrovia del Tanaro”, da Ceva a Ormea in Piemonte; la “Ferrovia dell’Irpinia”, da Avellino a Rocchetta Sant’Antonio. Il successo di pubblico di queste diverse iniziative evidenzia alcuni aspetti ricorrenti: la presenza di gruppi di volontariato sensibili alla conservazione delle linee ferroviarie locali, che si fanno parte attiva nei rapporti con gli operatori ferroviari; il sostegno dei soggetti pubblici e degli enti locali, che vedono in queste iniziative uno strumento di valorizzazione del territorio; la disponibilità del proprietario dell’in-
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Fig. 10. Mappa della ferrovia del Basso Sebino
Fig. 11. Treno a vapore sul ponte di Palazzolo sull’Oglio. Archivio FBS/FTI
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frastruttura ad ampliarne le modalità di utilizzo. La trasformazione delle linee dismesse per la mobilità dolce Dal dopoguerra ad oggi la dismissione di molte reti minori e l’ammodernamento di alcune delle linee principali, con conseguente abbandono del tracciato storico, hanno portato al formarsi di un consistente patrimonio di aree e fabbricati non più utilizzato per il trasporto ferroviario, che è stimabile solo in Italia in circa 6.500 km di tracciati, dei quali 2.900 di FS e 3.600 riconducibili alle ex ferrovie in concessione. Se si articola la situazione per regione, troviamo una presenza significativa di linee dismesse in Lombardia (500 km), in Emilia Romagna (600 km), in Lazio (430 km) e in Sicilia (950 km), anche se ogni parte del paese è stata interessata da questo fenomeno. Negli altri paesi europei i principali interventi sulle linee dismesse hanno portato alla realizzazione di numerosi itinerari ciclabili e pedonali: sino al 2011, in Germania, la conversione dei tracciati ferroviari ha prodotto 533 piste ciclopedonali per una estensione di 4.000 km, in Francia 110 piste per
2.400 km. L’Italia ha recuperato per la mobilità dolce solamente 650 km per 42 itinerari, in misura molto minore rispetto a Spagna (79/1.900 km), Svezia (105/1.700 km), Gran Bretagna (144/1.500 km). In ragione dell’orografia particolarmente accentuata l’Italia con 120 gallerie è invece seconda dopo la Spagna (230) nel loro recupero ad uso ciclabile. Fra i tanti itinerari ciclabili si segnalano due casi significativi per la diversa ragione che ha portato alla dismissione della linea ferroviaria: l’itinerario Solignano – Ghiare di Berceto sulla linea Parma – La Spezia, realizzato su una linea dismessa a seguito dell’ammodernamento di una ferrovia mantenuta in esercizio; l’itinerario della Valmorea in provincia di Como, dove il recupero ad uso ciclabile interessa una linea abbandonata dopo la sospensione del servizio ferroviario. La pista ciclabile Solignano – Ghiare di Berceto è lunga circa 6 km ed è stata completamente realizzata sul precedente sedime ferroviario da parte dei Comuni di Solignano, Valmozzola e Berceto, che ne sono coinvolti territorialmente. L’intervento ha permesso il riutilizzo di due ponti ed una galleria
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Fig. 12. Pista ciclabile Solignano – Ghiare di Berceto: Stazione di Valmozzola
ed ha avuto l’effetto positivo di conservare numerosi manufatti di archeologia ferroviaria, oltre ad aver favorito il recupero della Stazione di Valmozzola quale punto ristoro, arredata all’interno con materiali e immagini di recupero dalla linea, così da svolgere la funzione di un luogo di memoria della ferrovia Parma – La Spezia. Questa pista ciclabile, così come altre ricavate dalla realizzazione di varianti al tracciato ferroviario storico, soffre il fatto di non essere inserita all’inter-
no di una rete più ampia, inizia e finisce bruscamente, senza alcun raccordo con la viabilità ordinaria. Attualmente su tutta la ferrovia Parma – La Spezia, compreso il tratto interno alla città di Parma, sono previsti interventi per il raddoppio della linea, in gran parte con varianti al tracciato storico. Con l’avanzare dei lavori di miglioramento della ferrovia ci sarà quindi la possibilità di ampliare l’itinerario esistente attraverso il recupero dei tratti progressivamente dismessi. In questo caso, così come
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in altri simili, sarebbe auspicabile che il riuso ciclabile e la conservazione dei manufatti ferroviari storici avvenisse in modo coordinato e contestuale con gli interventi di ammodernamento, prevedendo anche la realizzazione dei necessari raccordi ciclabili dove non risulta possibile l’utilizzo del vecchio sedime ferroviario. La ferrovia della Valmorea in provincia di Varese collegava l’asse del Sempione con la rete svizzera passando dalla Valle Olona e dalla Valle del Lanza. La linea partiva da Castellanza e venne realizzata in tre fasi: nel 1904, nel 1915 e solo nel 1926 l’ultimo troncone sino Mendrisio in Svizzera. La costruzione della nuova ferrovia, in sub concessione alle Ferrovie Nord Milano, era dettata dalla volontà di servire l’industria della Valle Olona e di promuovere il traffico merci fra Genova ed il nord Europa; le mutate condizioni politiche portarono ad una mancata condivisione dell’intervento con le autorità statali italiane e sia il traffico merci che quello passeggeri fu progressivamente penalizzato rispetto ad altri valichi di frontiera. Nel 1928, dopo soli due anni si arriverà all’interruzione del traffico transfrontaliero e questo segnerà il
declino irreversibile della ferrovia, che venne progressivamente dismessa nei tratti più a nord con l’arretramento del capolinea, sino ad arrivare nel 1977 alla dismissione completa da Castellanza al confine svizzero. Dopo la chiusura della linea al traffico ed il conseguente degrado dell’infrastruttura vengono avanzate da parte di autorità e gruppi di interesse proposte per il recupero della linea al servizio passeggeri, anche per la sua riconversione ad uso ciclabile. La prima azione di un certo interesse avviene nel 1990 con la promozione sul lato svizzero da parte di volontari di un progetto di recupero della linea a fini turistici che si concretizza nel 1993 con la riapertura del confine ferroviario, il ripristino di parte della linea e nel 1995 la riapertura della linea con treni d’epoca, recupero che nel 2007 arriva sino alla Stazione di Malnate. Nella parte sud la Provincia di Varese è invece promotrice del recupero a fini ciclabili del tratto fra Castellanza e Castiglione Olona, che viene inaugurato nel 2010. La pista si sviluppa per una lunghezza di 23 km, per una parte sul vecchio sedime ferroviario, e per l’altra parte (13,5 km) a fianco dei binari. Il mantenimento della proprietà della linea da parte di
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Fig. 13. Pista ciclabile Solignano – Ghiare di Berceto: ponte ferroviario recuperato
Fig. 14. Ferrovia della Valmorea: itinerario ciclabile a fianco della linea ferroviaria
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Ferrovie Nord lascia aperte le due opzioni, che potrebbero essere perseguite entrambe con un’integrazione fra le due modalità di trasporto ed un recupero dei manufatti lungo la linea a servizio di entrambi gli utilizzi. In generale il riuso delle ferrovie dismesse per la mobilità ciclabile presenta alcuni indubbi vantaggi. In primo luogo evita che il mancato utilizzo porti ad una situazione di degrado ed in molti casi alla progressiva alienazione del patrimonio immobiliare. Grazie a
questo utilizzo la linea mantiene la sua unitarietà fisica e funzionale, favorendo anche la memoria dell’infrastruttura e la sua conservazione quale archeologia industriale. Seppure in forma diversa i collegamenti esistenti fra i territori vengono mantenuti ed i fabbricati posti a lato della linea, quali stazioni, depositi e scali merci possono riprendere nuova vita quali luoghi di accoglienza del nuovo flusso turistico ed escursionistico che si viene a creare. La preservazione del tracciato ed il suo utilizzo ci-
Fig. 15. Ferrovia della Valmorea: recupero della Stazione di Malnate Olona quale sede di associazione e capolinea dei treni turistici
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clabile rende, inoltre, ancora possibile, in futuro, un eventuale ripristino della ferrovia e la sua riattivazione per il trasporto pubblico. Il recupero del patrimonio immobiliare Il mantenimento in servizio delle linee regionali per il trasporto pubblico locale non scongiura il degrado progressivo del suo patrimonio immobiliare, in particolare di tutti quei fabbricati che con l’automazione delle linee hanno perso la loro funzione originale, come i caselli di sorveglianza dei passaggi a livello o gli edifici per il controllo del traffico. Un generale stato di abbandono è riscontrabile negli edifici un tempo destinati al personale, quali gli alloggi del capostazione e gli uffici per il controllo del movimento. Le stazioni sono in gran parte ridotte a semplici pensiline di attesa, senza alcun addetto alla sorveglianza degli spazi ferroviari, con le sale di attesa chiuse per impedirne la distruzione. La condizione ricorrente è quella di luoghi soggetti ad ogni vandalismo, con pochi o inesistenti servizi per i passeggeri, dove lo scarso confort durante i tempi di attesa del treno contribuisce sicuramente ad abbassare la qualità
reale e percepita del servizio offerto. Per porre rimedio a questa situazione di degrado RFI ha attivato quattro protocolli d’intesa con alcune delle principali associazioni che operano nel sociale, per promuovere il riuso delle stazioni non più presenziate dal personale di servizio, che sono circa 1.700 sull’intera rete nazionale. Inoltre ha sottoscritto diversi accordi con gli enti pubblici che hanno manifestato interesse a prendere in gestione, attraverso comodati o locazioni, le stazioni non più necessarie per l’esercizio ferroviario. Questi accordi prevedono in genere impegni da parte dei comodatari a svolgere manutenzioni ordinarie e straordinarie dei locali e degli spazi aperti. In generale i beni dati in comodato devono essere utilizzati senza finalità di lucro e sono previsti interventi di riqualificazione dell’immobile da parte del soggetto che beneficia degli spazi. L’obiettivo di RFI è introdurre nuove funzioni nelle stazioni più piccole e meno frequentate, riducendo allo stretto necessario le aree destinate all’attività più prettamente ferroviaria, così da garantire una presenza per il controllo degli edifici e per la loro manutenzione nel tempo. I contratti di comodato gratuito atti-
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Fig. 16. Stazione di Ronciglione (Viterbo) - Ex linea ferroviaria Civitavecchia - Orte
vi con RFI al 2014 sono circa 510 in 345 stazioni, destinati a crescere con l’incremento delle stazioni non presenziate e gestite a distanza da nuovi sistemi tecnologici. Un monitoraggio sulle stazioni trasferite, promosso da RFI nel 2015 su un campione di 50 stazioni, evidenzia come le iniziative siano attive in gran parte delle regioni, con una forte presenza in Lombardia ed Emilia Romagna, dove si concentrano molte delle esperienze di rigenerazione del patrimonio immobiliare ferroviario. Il comodato gratuito rappresenta lo strumento giuridico prevalentemente utilizzato per la cessione del bene al richiedente, in quanto per RFI risulta
prioritaria la preservazione del bene piuttosto che la sua messa a reddito. Le stazioni recuperate ospitano attività di diverso tipo nel campo della solidarietà sociale, del turismo, della cultura, della protezione civile e a favore dell’aggregazione giovanile. L’intervento di recupero genera nuovi utilizzatori delle stazioni, che sono una diretta conseguenza delle attività insediate; il riuso dei fabbricati a servizio degli itinerari ciclabili in zone turistiche si segnala come l’attività che produce il maggior afflusso di utenti in termini quantitativi. Fra i gestori delle strutture ferroviarie non più utilizzate prevalgono le associazioni e le organizzazioni di volon-
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tariato, mentre risultano poco diffusi i soggetti a maggiore vocazione imprenditoriale quali le cooperative sociali. Dato il carattere fortemente volontaristico dei gestori le risorse mobilitate per il recupero delle stazioni provengono in buona parte da donazioni private e sovvenzioni pubbliche. Il problema del recupero dei fabbricati non più funzionali al gestore ferroviario può riguardare sia edifici presso linee attive, sia edifici disposti a lato di tratte chiuse al traffico, ma ancora parte del patrimonio aziendale. Rientra nel primo gruppo la Stazione di Ceccano in provincia di Frosinone, dove RFI, contestualmente ad importanti investimenti di adeguamento sia sui fabbricati che sui binari, ha stipulato nel 2005 un accordo con una associazione che si occupa di educazione e protezione ambientale, che si è fatta carico di gestire gli spazi e coordinare la presenza di altri soggetti, oltre alla manutenzione e al recupero degli spazi verdi. In questo caso l’affidamento di parte della stazione ad un soggetto terzo ha valorizzato gli investimenti fatti da RFI per migliorare l’attesa dei passeggeri, evitando che la mancanza di un presidio porti ad un rapido degrado di quanto realizzato.
Completamente diversa è la situazione della Stazione di Ronciglione vicino a Viterbo, dove la linea ferroviaria di appartenenza è stata chiusa al traffico nel 1994. Nonostante la dismissione la stazione con la sua area di pertinenza si presenta ancora nel suo stato originario, tanto da essere luogo di ripresa di numerosi film e spot pubblicitari. In questo caso l’affidamento di parte dell’immobile ad una associazione che lavora nel campo dell’assistenza sanitaria ha consentito di mantenere in vita e preservare un significativo esempio di archeologia ferroviaria, altrimenti destinato ad un progressivo degrado. L’esperienza di RFI ed il monitoraggio prodotto su 50 stazioni campione consente di ricavare alcune buone indicazioni anche per il recupero del patrimonio immobiliare delle ferrovie regionali, che presenta problemi simili di degrado e sottoutilizzo. In primo luogo un aspetto che facilita il processo di rigenerazione è la presenza di una pluralità di soggetti coinvolti, sia pubblici che privati, con l’adesione di componenti significative della comunità locale. Gli obiettivi di carattere sociale sviluppati in forma volontaristica si rafforzano con l’emergere nel tempo
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di funzioni integrate dal carattere più imprenditoriale, che spesso non sono presenti nella fase iniziale, ma che servono per dare sostenibilità economica all’iniziativa nel lungo periodo. Infine i casi di maggior interesse evidenziano l’esigenza di far precedere il recupero fisico degli immobili da una fase di adeguato radicamento dell’iniziativa nel contesto locale, promuovendo le necessarie relazioni con i diversi soggetti interessati alle attività che si andranno ad insediare. Bibliografia: Ugo Arrigo, Giacomo Di Foggia (2014), “L’alta velocità della spesa pubblica ferroviaria”, Torino, Istituto Bruno Leoni ASSTRA Associazione Trasporti (2013), “Il trasporto ferroviario regionale in Italia”, Roma ASSTRA Associazione Trasporti (2014), “Il trasporto ferroviario merci”, Roma Autorità di Regolazione dei Trasporti (2016), “Terzo Rapporto Annuale al Parlamento”, Camera dei Deputati, Roma Giulio Cortesi e Umberto Rovaldi (a cura di) (2011), “Dalle rotaie alle bici”, FIAB Centro studi Gallimbeni, Milano Fedeli Valeria (a.a. 2009/2010), “I processi di trasformazione delle ferrovie dismesse.
La Ferrovia della Valmorea: tra passato e futuro.”, Politecnico di Milano, Milano Intesa Sanpaolo - Direzione Studi e Ricerche (2015), “Economia e finanza dei distretti industriali Rapporto annuale – n. 8”, Milano Ludovica Jona Lasinio, Flaviano Zandonai (2015),“Stazioni ferroviarie: come rigenerare un patrimonio”, Ferrovie dello Stato, Roma Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - UFFICIO DI STATISTICA (2014) “Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti”, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A., Roma
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Fig. 17. L’ecostazione della Valle del Sacco - Ceccano (Frosinone)
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Fig. 1. Badilanti e scariolanti al lavoro per elevare gli argini del Po, durante la bonifica. Fonte: www.wikipedia.org
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Le condizioni identitarie delle relazioni tra infrastrutture e territorio Paola Marzorati
Un paesaggio pianificato. La bonifica Nell’ambito delle relazioni tra infrastrutture e territorio, è importante chiarire come ne esistano di due tipi, vi sono quelle con consistenza fisica, di semplice individuazione, come gli acquedotti di romana memoria, i ponti, le strade e la ferrovia, solo per citarne alcune. Vi è una seconda tipologia di infrastrutture, la cui definizione è più complessa, perché strutturano il territorio e si caratterizzano per essere “insite” in esso. A questa categoria appartiene l’opera di bonifica idraulica che, con la sua fitta rete dei canali e di manufatti idraulici costituisce l’ossatura del territorio. Nell’Oltrepo mantovano si riconoscono una serie di elementi di caratterizzazione del paesaggio della bonifica: la rete di canali di scolo e di irrigazione, vitali per il mantenimento dell’equilibrio idrico del comprensorio ed i manufatti idraulici, di cui sono in particolare degni di nota gli stabilimenti idrovori, vere e proprie opere novecentesche di ingegneria idraulica. In questi edifici trovano posto grandi pompe meccaniche, capaci di trasferire per sollevamento le acque in esubero dalle reti interne di raccolta di vasti comprensori di bonifica ai vasi naturali di deflusso.
La bonifica è una tra le più importanti azioni modificatrici del nostro territorio, sin dall’antichità, ma soprattutto con l’avvento della macchina a vapore, ed ha influito profondamente nel plasmare un “moderno” paesaggio agrario, un “paesaggio figlio della rivoluzione agricola e di quella industriale, un paesaggio altamente pianificato” (Mioni, 1999). Oggi i territori rurali sono spesso vittima dell’esasperazione del concetto di produttività e dell’urbanizzazione incontrollata con l’introduzione di funzioni non tradizionalmente legate a quei luoghi. L’elevata componente artificiale che è già presente nei territori di bonifica, per la presenza di una fitta rete canalizia, fa sì che questi siano più vulnerabili di fronte all’inserimento di nuove attività agricole e di nuovi insediamenti. E’ quindi fondamentale acquisire preliminarmente una profonda conoscenza delle condizioni identitarie che legano le componenti di questi territori per poter individuare le attenzioni progettuali congruenti con i caratteri strutturali dei paesaggi bonificati.
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L’Oltrepo mantovano un esempio di paesaggio di bonifica La lettura dell’evoluzione dell’uso del suolo dell’Oltrepo mantovano si basa sullo studio e sull’interpretazione della cartografia storica finalizzata a descrivere le trasformazioni del paesaggio avvenute nel corso dei secoli. Le componenti territoriali che principalmente hanno agito nel modificare il territorio mantovano sono state: il sistema agricolo, oggetto di continue variazioni degli avvicendamenti colturali a causa degli interessi del mercato ed il sistema infrastrutturale che influenza sia direttamente il paesaggio con l’inserimento di nuove opere, ma anche indirettamente, poiché la costruzione di un’infrastruttura comporta, nella maggior parte dei casi, la crescita dell’urbanizzato. Nell’800, l’Oltrepo mantovano ha attraversato una prima fase di infrastrutturazione con la costruzione della ferrovia (documentata dalla cartografia dell’Istituto Geografico Militare alla soglia storica del 1888), che non ha modificato significativamente la conformazione territoriale e gli equilibri consolidati da tempo. Le trasformazioni più incisive sono av-
venute a seguito della bonifica realizzata tra gli ultimi vent’anni dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento attraverso l’azione del Consorzio dell’Agro Mantovano-Reggiano e di quello di Revere. Quest’attività è consistita nel riassetto idraulico dei comprensori e in un capillare programma di infrastrutture territoriale, di miglioramento fondiario e di messa a coltura delle terre. Il criterio fondamentale del “Progetto di massima per la bonifica dell’Agro Mantovano-Reggiano” (1880-1884) si fondava sul principio della separazione delle acque alte dalle basse, lasciando lo scarico diretto in Po delle prime ai colatori già esistenti, muniti di chiaviche emissarie, e convogliando le seconde in un Canale Collettore il quale, sottopassando il fiume Secchia con apposita Botte, raggiunge il Po allo stabilimento idrovoro di Moglia di Sermide. L’impatto sul paesaggio è stato evidente: la bonifica oltre a dare “regolarità”, imponendo una maglia geometrica al paesaggio, vi ha introdotto nuove componenti paesistiche come gli stabilimenti idrovori eretti sulle arginature del Po ed una serie di canali che confluiscono nel Po, in genere attraverso
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grossi collettori. Gli stabilimenti idrovori, edifici introdotti ai primi del Novecento con la bonifica integrale, nati per assolvere a funzioni di risanamento idraulico, oggi sono importanti testimonianze dell’architettura moderna. Costituiscono un riferimento di qualità tecnica ed estetica e si pongono come emergenze monumentali che racchiudono simbolicamente ed in modo celebrativo il significato del grande sforzo compiuto per la realizzazione del complesso sistema che trova la principale conferma della propria funzionalità nell’insieme degli effetti positivi prodotti sul territorio. Lo stabilimento dell’ex-Agro mantovanoReggiano può essere annoverato tra i più celebri presenti nel mantovano1.
Un’edilizia monumentale e al tempo stesso funzionale, di elevata qualità architettonica; un’edilizia non più rigorosamente privata, ma di natura pubblica e aperta ad una partecipazione sociale, che la natura di consorzi, enti gestori fra proprietari di terre, promuoveva. L’urbanizzato dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Cinquanta/Sessanta è cresciuto in maniera armoniosa con il luogo. Con le opere stesse di bonifica, si diffusero, sparsi per il territorio i caseifici, i magazzini e le infrastrutture al servizio dell’agricoltura. Per contribuire a far uscire dall’isolamento le campagne vennero realizzati numerosi interventi sulla viabilità interpoderale e sui manufatti di attraversamento della rete consortile (ponti),
Fig. 2. Programma di massima della bonifica -1901. Archivio del Consorzio di Bonifica Terre dei Gonzaga in Destra Po
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furono costruite case coloniche, stalle e silos e fu promosso lo sviluppo dei servizi territoriali, come ad esempio l’elettrificazione rurale avvenuta negli anni Sessanta. Dopo la fase iniziale in cui la bonifica funse soprattutto da ammortizzatore sociale, assorbendo manodopera e alleviando il fenomeno della disoccupazione bracciantile, l’azione del Consorzio di bonifica si riflesse nell’aumento della produzione e della ricchezza, migliorando le condizioni materiali e il benessere complessivo delle popolazioni rurali (Camerlenghi, 2003). Nel primo trentennio del XX secolo il paesaggio agrario, pur essendosi intensificato l’uso agricolo dei terreni ed essendo aumentata la superficie messa a coltura, ha mantenuto in gran parte ancora i caratteri storici tradizionali. In quegli anni l’elemento paesaggistico prevalente dell’Oltrepo Mantovano era la piantata padana, una forma di allevamento della vite maritata ad alberi, preferibilmente olmi, aceri ed in alcuni casi pioppi. La fitta e stretta rete di canali tra i campi consentiva di irrigare i terreni mediante sistemazioni idraulico-agrarie antiche come la baulatura dei campi e le scoline laterali.
Nel 1948 venne realizzato il progetto per l’irrigazione del comprensorio. Da allora il paesaggio agrario si è semplificato ed impoverito, riducendosi ad ampie radure piatte in cui le capezzagne e la rete poderale di scolo sono praticamente scomparse. La forma dei campi è cambiata a secondo delle varie esigenze delle aziende, anche se permangono ampie porzioni di territorio rurale in cui sono riconoscibili le trame e le tessiture poderali storiche. Le piantate sono quasi completamente sparite, le baulature sono state in buona parte eliminate o comunque addolcite, il sistema di raccolta delle acque di superficie è per lo più scomparso. Interpretare i segni della bonifica I territori di bonifica, pur essendo contraddistinti da caratteristiche fisiche differenti, sono accomunati da un medesimo “codice di comportamento”, interpretato attraverso le chiavi di lettura dei “caratteri identitari della bonifica”2. Le relazioni paesaggistiche legate alla bonifica sono elementi di una grammatica dello spazio e del progetto, di cui tenere conto nella rivisitazione degli strumenti di programmazione
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Fig.3. Vista aerea del complesso degli stabilimenti idrovori di Moglia di Sermide realizzati nei primi del Novecento: a sinistra vista canale Diversivo, stabilimento idrovoro ex-Revere, controchiavica a Po, a destra Canale Emissario, stabilimento idrovoro ex-Agro Mantovano-Reggiano, controchiavica a Po. Archivio del Consorzio di Bonifica Terre dei Gonzaga in Destra Po
di area vasta e della progettazione urbanistica. Le chiavi di lettura si articolano in tre categorie: - significato dell’azione di bonifica, cioè il risultato sul paesaggio della progettualità implicita della bonifica; - relazione bonifica – paesaggio, intesa
come l’effetto della bonifica sulla trama agraria; - modelli teorici delle strutture territoriali, ossia la morfologia che il territorio assume a seguito della bonifica. Significato dell’azione di bonifica L’azione della bonifica può ridefinire
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Fig.4. Progetto di massima per l’irrigazione del comprensorio - 1948. Archivio del Consorzio di Bonifica Terre dei Gonzaga in Destra Po
la struttura del territorio, uniformare la morfologia del paesaggio oppure inventarne uno nuovo. Nel campo dell’architettura, per ridefinire s’intende “l’atto di modificare la struttura del territorio, in base a criteri diversi dalla precedente”. L’azione della bonifica si sostanzia nell’introduzione di elementi nuovi, non tradizionalmente legati ad un certo tipo di paesaggio, elementi infrastrutturali quali canali artificiali per lo scolo e l’irrigazione, strade interpoderali, cambiamento nelle dimensioni e nella forma delle parcelle coltivabili e cambiamento delle colture che vanno a rafforzare le relazioni intercorrenti tra le altre componenti del paesaggio e instaurare un dialogo con
quelli esistenti, mantenendo i caratteri fondamentali del paesaggio agrario storico. Un elemento distintivo dell’Oltrepo mantovano è la fitta rete di canali di scolo che ripropone la trama storica delle “digagne”, piccole comunità di coltivatori, dedite alla bonifica delle terre basse sin dal Medioevo (Camerlenghi, 2008). La rete canalizia attuale segue prevalentemente l’andamento degli antichi “dugali”, fitte reti di affossature private e comuni che, sfruttando i minimi dislivelli naturali, convogliavano le acque in accumulo entro modesti perimetri territoriali verso gli invasi naturali con accessi regolati per mezzo di “chiavi-
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che”. L’assetto territoriale rimane lo stesso, vengono introdotte nuove componenti nel paesaggio, quali i manufatti idraulici e i canali principali. Uniformare significa “mettere in atto azioni che tendono a creare affinità tra parti distinte del territorio, producendo l’effetto di una totalità omogenea caratterizzata dall’uniformità degli elementi e delle relazioni intercorrenti”. La bonifica interviene a regolarizzare la morfologia del paesaggio naturale, assoggettandola al disegno geometrico imposto dal sistema dei canali. Ne risulta un paesaggio fortemente geometrizzato, improntato di forme regolari e ben definite, una griglia assolutamente indipendente dalla morfologia originaria del terreno, i cui bordi si integrano con il tessuto agrario storico più minuto e ne condizionano il futuro sviluppo. La griglia diventa l’elemento generatore dello sviluppo urbano ed infrastruttura-
le dell’area, a cui fanno riferimento la rete viaria interpoderale, le partizioni agricole e gli insediamenti. Le bonifiche integrali in epoca fascista (Agro Pontino o Delta Padano), comportarono il prosciugamento di vasti territori acquitrinosi ed in seguito alla riforma agraria, l’appoderamento e l’assegnazione delle terre ai contadini. Infine per inventare s’intende l’atto di “escogitare, ideare cose nuove, per lo più a fini pratici”. Ci si riferisce all’azione della bonifica che pur essendo priva di intenzionalità nel modificare il paesaggio, rispondendo all’esigenza di produzione di nuove terre, provoca l’innovazione delle forme di paesaggio tradizionali, con l’introduzione di nuovi modelli. Si pensi ad esempio al paesaggio olandese dei polders, una tabula rasa, in cui si ha la progettazione di un modello
Fig. 5. Significato dell’azione di bonifica: ridefinire uniformare inventare
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di paesaggio agrario moderno, privo di legami con il passato. Relazione bonifica – paesaggio Questa chiave di lettura consiste nel verificare l’incidenza dell’azione di bonifica sulla struttura agraria storica preesistente, in altre parole nel valutare il suo stato di conservazione in termini di dimensioni delle parcelle, orientamenti dei campi e di mantenimento degli elementi invarianti del paesaggio storico. L’orditura agraria è il risultato del grande e continuo lavoro di molti uomini che sin dall’epoca medioevale con i disboscamenti e i dissodamenti, con i primi interventi per il governo delle acque e con i primi insediamenti delle corti signorili e delle aggregazioni contadine hanno plasmato il territorio mantovano. Ancor oggi nel mantovano sono rintracciabili in piccole parti i segni degli appoderamenti medievali, del manso e della centuriazione romana. In tempi successivi, il paesaggio dell’Oltrepo mantovano diventa policolturale, caratterizzato dalla prevalenza dell’aratorio vitato e delle risaie mobili. L’attività zootecnica, sempre in precario equilibrio con le terre coltivate, ha anch’essa molto influenzato l’estensione dei campi, le rotazioni adotta-
te e la presenza di piante ed arbusti. La lentissima ma progressiva meccanizzazione, l’introduzione di nuove specie coltivate (mais, pomodoro, tabacco, patata) a partire dal XVI secolo e l’utilizzazione dei concimi chimici iniziata alla fine del 1800, hanno completato, ma non esaurito, l’opera di trasformazione (Camerlenghi, 2003). Il salto di qualità è stato dato dalle grandi opere di bonifica e di irrigazione che hanno interessato in particolare l’Oltrepo mantovano dalla fine dell’Ottocento, in conseguenza delle quali elementi nuovi, infrastrutture (rete dei canali, strade, insediamenti, ecc.). sono state inserite nel “paesaggio originario”. Le relazioni riconoscibili tra gli elementi introdotti dalla bonifica e la trama agraria storica sono tre: permanenza, adattamento, sostituzione. Con permanenza si intende quando è possibile riconoscere, nonostante l’avvenuta bonifica, la presenza continua e stabile nel tempo dell’orditura agraria di matrice storica. Si riconosce un’azione di “inserimento nel paesaggio di elementi aggiuntivi in modo da essere in armonia con l’insieme”; gli elementi che si integrano tra loro sono “in rapporto reciproco e si completano a vicen-
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Fig. 6. Studio del progetto di massima della bonifica 1880-1884 nel quale si evidenzia la sovrapposizione delle varie infrastrutture, ferrovia, reti di canali. Fonte: Parmigiani Carlo, Sissa Giovanni, Zagni Aldo, La bonifica dell’Agro Mantovano Reggiano, Edizioni del Consorzio di Bonifica, Mantova 1994
da”. In un paesaggio bonificato esistono dei luoghi, delle porzioni di territorio in cui rimane facilmente riconoscibile l’orditura del paesaggio composta dalla rete poderale, dalla maglia degli appezzamenti, dagli insediamenti rurali, dalle coltivazioni. Essi sono gli ambiti dei paleoalvei, degli argini, le sponde dei corsi d’acqua e dei canali e l’intorno dei piccoli nuclei rurali. In prossimità di questi elementi, che costituiscono l’os-
satura storica del paesaggio, la bonifica agisce meno intensamente, rispettando la morfologia del territorio ed integrandosi con il tessuto esistente. Nell’Oltrepo mantovano l’opera di bonifica più recente si è “appoggiata” ad una trama canalizia frutto di un lavoro secolare, iniziato con i monaci benedettini nell’anno Mille, e le partizioni agrarie lungo i corsi d’acqua hanno prevalentemente mantenuto le dimensioni par-
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cellari e gli orientamenti tradizionali. Il Po Vecchio, antico paleoalveo di Po e lo Zara, forse antico proseguimento dell’Oglio, sono stati utilizzati fino agli anni Trenta come percorsi preferenziali di scolo delle acque in eccesso. Attualmente si presentano come due piccoli fossi di grande valore paesistico. Questi corsi d’acqua, hanno conservato le relazioni paesaggistiche, esistenti prima della bonifica, con l’orditura agricola storica. Dal confronto della cartografia alle diverse soglie storiche, si nota infatti come le particelle agricole lungo il canale Zara abbiano prevalentemente mantenuto gli orientamenti prevalenti della trama agraria storica della fine del XIX secolo. La sovrapposizione di nuovi “layers” dovuti alla bonifica non cancella la ruralità del territorio, essa resta come traccia in un palinsesto (Turri, 1998) dove una scrittura si sovrappone a un’altra senza cancellazioni; i nuovi elementi
introdotti dalla bonifica e il territorio agricolo interagiscono, adattandosi l’uno all’altro. Il risultato dell’adattamento è un paesaggio in cui partizioni fondiarie tradizionali si fondono con il nuovo reticolo di canali della bonifica, dando vita ad un paesaggio eterogeneo, formato da parti più geometriche e regolari e parti geomorfiche in cui è ancora riconoscibile la trama storica originaria. Nell’Oltrepo mantovano a sud di San Benedetto Po a seguito dell’inserimento del canale scolmatore principale si riscontra una capacità di adattamento della trama agraria storica alle nuove direttrici principali imposte dalla bonifica, la quale lungo il canale ha determinato l’introduzione di nuovi orientamenti delle trame agrarie, mentre man mano che ci si allontana la trama agraria storica resta immutata. La modificazione della trama agraria è particolarmente evidente nel passare dagli anni trenta alla fine del XIX se-
Fig.7. Relazione bonifica-paesaggio: permanenza, adattamento, sostituzione
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colo quando le terre basse dell’Oltrepo vengono prosciugate mediante l’utilizzo delle pompe idrovore. Per sostituzione s’intende “il fenomeno per il quale una entità rimpiazza un’altra”. Nel campo di ricerca in cui questa riflessione si colloca, avviene che quando un territorio subisce un intervento di bonifica la trama agraria storica possa essere cancellata dalla costruzione di un canale emissario, dal cambiamento nelle dimensioni e nella forma delle parcelle coltivabili, dal cambiamento delle colture e sia sostituita da una trama avente grandezze e rapporti differenti con il contesto. Se si considera ad esempio il caso
della bonifica del delta padano, si assiste alla completa mutazione del paesaggio originario, che viene trattato come una tabula rasa sulla quale la bonifica integrale3 si sostanzia nella sovrapposizione di una maglia geometrica regolare. L’immagine che ne risulta, usando le parole di Renzo Franzin (2006) è, “una scenografia in cui si insediano po tentissimi non i segni dell’uomo che sono già ampiamente presenti anche in tutti gli ambienti umidi, ma gli esiti geometrici di un pensiero razionale che introduce visibilmente i criteri di sicurezza, ordi ne e produttività nella nuova geografia poderale”.
Fig.8a. Elementi di caratterizzazione del paesaggio dell’Oltrepo mantovano: una porzione del Canale Zara mostrata a sinistra alla soglia storica 1888 (IGM) e a destra la situazione negli anni Cinquanta (VOLO GAI 1955)
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Fig.8b. Il canale Zara mostrato a sinistra in una recente immagine aerea (IT2000) e a destra la lettura dell’orientamento prevalente delle partizioni agrarie su base CTR 1994. Rielaborazione dell’immagine dalla tesi di laurea in Architettura, “Elementi di caratterizzazione del paesaggio dell’Oltrepo’ mantovano: proposte per un piano con valenza paesistica”, laureande: Marcella Samakovlija, Monica Spadacini, Simona Tavarozzi; rel. Maria Cristina Treu, correl. Carlo Peraboni Milano Politecnico, a.a.1997/98
Modelli teorici delle strutture territoriali E’ possibile affermare, con un certo grado di approssimazione, che esiste una relazione tra il tipo di tecnica di bonifica che viene utilizzata e la struttura territoriale che si genera. In particolare i paesaggi delle bonifiche si rifanno a tre “matrici” prevalenti: la matrice geomorfica, la matrice geometrica, la matrice rinnovata. L’Oltrepo mantovano è il risultato di un’opera millenaria di prosciugamento delle acque, iniziata in epoche antichis-
sime e che quindi ha visto un susseguirsi di applicazioni di tecniche di bonifica (colmata naturale, scolo naturale delle acque stagnanti e infine meccanica) sempre più sofisticate con l’ampliarsi delle conoscenze nel campo delle discipline scientifiche. La particolarità del paesaggio dell’Oltrepo è stata la gradualità del suo farsi, l’essersi plasmato sulla struttura delle digagne ed aver mantenuto tale imprinting, carattere identitario riconoscibile attraverso i secoli. La struttura territoriale di questo comprensorio che ne deriva, approssimativamente, può essere definita geo-
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Fig. 9a. Elementi di caratterizzazione del paesaggio dell’Oltrepo mantovano: una porzione territoriale attraversata dal canale scolmatore principale rappresentata a sinistra alla soglia storica 1888 (IGM) e a destra la situazione negli anni Cinquanta (VOLO GAI 1955)
Fig.9b. Il canale scolmatore e il fiume Secchia (riconoscibile per l’andamento naturaliforme) mostrato a sinistra in una recente immagine aerea (IT2000) e a destra la lettura dell’orientamento prevalente delle partizioni agrarie su base CTR 1994. In blu sono indicate le nuove partizioni agricole, mentre in giallo la trama agraria storica. (rielaborazione dell’immagine come nella figura sopra)
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morfica, ossia che segue la morfologia del territorio. Nell’Oltrepo la bonifica ha prodotto un’articolazione delle forme del territorio che mantiene la configurazione e gli orientamenti della superficie terrestre, con andamenti naturaliformi. L’idrografia attuale dell’Oltrepo è, infatti, composta da una serie di canali che confluiscono nel Po, che ripercorrono antichi percorsi fluviali e che oggi costituiscono l’ossatura principale della rete di bonifica e di irrigazione del comprensorio del Consorzio di di Bonifica Terre dei Gonzaga in Destra Po4. Per matrice geometrica s’intende un’articolazione delle strutture territoriali che segue i principi della geometria, con forme rettilinee, una configurazione planimetrica regolare in forte contrasto con le forme naturali del territorio. La bonifica per scolo naturale genera delle strutture planimetriche cellulari, abbastanza regolari, sulle quali s’imposta la maglia dell’appodera-
mento. Infine con il termine rinnovata si vuol sottolineare il carattere totalitario della matrice imposta dall’applicazione della bonifica meccanica. I paesaggi delle bonifiche meccaniche sono caratterizzati, oltre che dalla cintura di dighe e argini di difesa che le delimita, dall’estrema regolarità geometrica della maglia dei canali di drenaggio e d’irrigazione, la quale è assolutamente indipendente dalla morfologia originaria del terreno. Su questa trama si appoggiano la rete viaria, l’appoderamento e l’insediamento, con un ordinamento funzionale e un assetto spaziale altrettanto regolari e geometrici.
Fig. 10. Modelli teorici delle strutture territoriali: geomorfica, geometrica, rinnovata
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Bibliografia: Camerlenghi E. (2003), Lineamenti di geografia e storia del paesaggio agrario mantovano, Tre lune edizioni, Mantova Camerlenghi E., Marzorati P. (2008)., Architettura e paesaggio in L. Cavazzoli (a cura di) “Una terra fra acque e cielo. Bonifica e territorio nell’Oltrepo mantovano”, Edizioni Il fiorino, Gonzaga Franzin R.(2006), Il respiro delle acque. Racconti, articoli, saggi, Nuova Dimensione, Portogruaro (VE), pagg. 171172 Lanzoni C., Marzorati P., Peraboni C., (a cura
di) (2013). Attraverso paesaggi complessi. Percorsi nel territorio mantovano, Maggioli Editore, Milano ISBN: 978-88-387-6282-6 Marzorati P. in Visentin C. (a cura di) (2012) “Gente d’acqua. Itinerario attraverso le architetture per le bonifiche agricole in Italia” DOCOMOMO ITALIA GIORNALE supplemento al giornale 31, anno XVI, p. 1-28, Roma:DOCOMOMO International, ISSN: 2037-1047 Mioni A (1999)., Metamorfosi d’ Europa: popolamento, campagne, infrastrutture e città, 1750-1950, Compositori, Bologna Parmigiani C., Sissa G., Zagni A (1994)., La
Fig.11. Carta dell’uso del suolo del Consorzio di bonifica ex- Agro mantovano-reggiano (2003), oggi Consorzio Terre dei Gonzaga in Destra Po, che mostra la stratificazione degli elementi infrastrutturali: in verde chiaro la ferrovia, in rosso i canali, in nero le strade. Archivio del Consorzio di Bonifica Terre dei Gonzaga in Destra Po
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bonifica dell’Agro Mantovano Reggiano, Edizioni del Consorzio di Bonifica, Mantova Sereni E. (2004), Storia del paesaggio agrario italiano, dodicesima edizione, Laterza, (prima edizione 1961. Turri E, (1998)., Il paesaggio come teatro, Marsilio Ed. Note: 1.Rielaborazione della relazione presentata al workshop “Le infrastrutture storiche. Una risorsa per il futuro” 13 marzo 2015 Politecnico di Milano, Polo territoriale di Mantova 2.Cfr. gli esiti della ricerca di dottorato di Paola Marzorati “Le trasformazioni del paesaggio rurale contemporaneo in contesti di bonifica. Criteri per la progettazione”, tesi di dottorato in Progettazione Paesistica, XIX ciclo, dicembre 2006 (tutor Prof. Arch. Maria Cristina Treu, Politecnico di Milano, co-tutor Prof. Arch. Guido Ferrara, Università degli Studi di Firenze). Il lavoro di ricerca, il cui campo di studio è l’Oltrepo mantovano, è finalizzato ad indagare le implicazioni del rapporto bonificapaesaggio, al fine di cogliere il significato profondo delle trasformazioni che hanno coinvolto questi territori. 3.Il tema della bonifica intesa come infrastruttura si ritrova nel concetto di bonifica integrale, uno dei pilastri della propaganda fascista, la cui applicazione più rappresentativa può essere considerata
l’Agro Pontino. La bonifica integrale si configura come intervento di carattere globale in cui l’opera di prosciugamento delle aree paludose non è che un primo passo verso la sistemazione di un intero comprensorio, il che comporta il riassetto del bacino idrogeologico e del sistema forestale a monte, con la costruzione delle necessarie infrastrutture, l’appoderamento, la colonizzazione e l’infrastrutturazione dei terreni bonificati. 4.Il Consorzio di Bonifica Terre dei Gonzaga in Destra Po è stato costituito nel 2006 dalla fusione dei due precedenti enti: Consorzio di Bonifica Agro Mantovano-Reggiano e Consorzio della Bonifica di Revere.
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Fig. 12. Il territorio dell’Oltrepo mantovano in una foto aerea che mostra una struttura territoriale geomorfica. Fonte: volo it 2000
Parte II Scenari per la ferrovia Suzzara - Ferrara
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Fig. 1. Dall’alto: stazione di Quistello, stazione di S. Rocco Mantovano, deposito della stazione di Suzzara, stazione di Sermide, stazione di Felonica, vecchia stazione di Bondeno. Foto di Martina Mazzali, tranne stazione di Felonica, fonte: commons.wikimedia.org Foto (utente) Emilio2005
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Un’esperienza didattica. Una storia da raccontare Silvia Marmiroli e Stefano Sarzi Amadè
Fig. 2. Affollato incrocio tra due treni a vapore (~1940 Archivio Mori). Fonte: La SuzzaraFerrara 125 anni dopo, op. cit. pag.48
Persone che varcano frettolosamente le porte di quella stazione ferroviaria, per non perdere il treno, oppure sedute sulle panchine a leggere quotidiani, guardando i vecchi e tondi orologi in attesa della partenza… Ci siamo mai chiesti quale storia possono racchiudere i luoghi di una ferrovia abbandonati al loro passato, che oggi osserviamo distrattamente nella frenesia quotidiana, e quali racconti possono ancora sussurrarci? In una mattina uggiosa d’autunno ci troviamo quasi per caso immersi nell’inoltrata campagna mantovana, e nella luce pallida, filtrata dalla foschia mattutina,
notiamo una di quelle vecchie fermate ferroviarie, ormai abbandonata e quasi estranea al mondo che la circonda. Il rapporto tra le vie di ferro e il paesaggio è da sempre legato allo sviluppo del territorio e alle cicatrici che questo sviluppo lascia di ciò che col tempo appare obsoleto e superato. Ma questi segni, che in passato erano visti dai nostri nonni come il linguaggio del futuro, e che oggi sono spesso simboli di un passato malinconico, sono fondamentali per la comprensione di un paesaggio in continua evoluzione, per reintrodurre nel presente la sua importante e preziosa storia. Nello sviluppo ininterrotto
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Fig. 3. Dall’alto: il bordo tra la campagna e la linea ferroviaria, la linea ferroviaria vista dalla stazione di Suzzara, alcuni locali di deposito e edifici residenziali visti dalla stazione di Suzzara, la linea ferroviaria vista dalla stazione di Pegognaga, locali di deposito presso la stazione di Suzzara, un’intersezione tra la linea ferroviaria e una strada sopraelevata. Foto di Martina Mazzali
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Fig. 4. Omnibus a San Benedetto Po (~1920). Fonte: La Suzzara-Ferrara 125 anni dopo, op. cit. pag.48
attraverso il territorio, la rete ferroviaria trova la sua pausa e il suo principale punto di comunicazione con l’uomo attraverso le fermate, i caselli, le stazioni che spesso rappresentano veri e propri punti di frontiera urbana, coincidono con il limite del paese, e marcano ancora di più il senso di confine definito dalla linea di binari. Sono luoghi di attese e punti dai quali percepire questo dialogo tra le vie di ferro verso le mete future attraverso uno sguardo dominato dal verde e dall’oro della campagna. La stazione non è solo il punto nel quale l’uomo individua la partenza o l’arrivo di un viaggio, ma è anche il crocevia
delle diverse identità del paesaggio; è il punto dove la città urbanizzata entra in contatto con la campagna, con aree industriali, con spazi di margine difficili e irrisolti. Lo scenario ci fa percepire un territorio “inconsueto”, fatto di necessità e di servizi che la rete ferroviaria deve soddisfare, e di spazi che si generano quando la città si avvicina alla ferrovia, e quando quest’ultima penetra nel paesaggio. È in questo ambito che dall’interazione dei diversi tessuti, nascono dei nodi di intersezione rappresentati, ad esempio, dai passaggi a livello, dai ponti, dai cavalcavia. I primi sono il simbolo visibile di come le vie
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Fig. 5. Dall’alto: la vecchia traccia di un’antica linea ferroviaria sul manto stradale, il ponte ferroviario presso la stazione di Stellata Ficarolo, un passaggio a livello, un paesaggio di margine presso la stazione di Suzzara, il ponte ferroviario di Bondeno, cavalcavia presso la stazione di Suzzara. Foto di Martina Mazzali
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Fig. 6. Ditta di vini A. Reggiani in stazione a San Benedetto Po (~1919). Fonte: La Suzzara-Ferrara 125 anni dopo, op. cit. pag.48
di ferro “tagliano” il paesaggio, a volte costringendo gli elementi antropici e naturali ad assecondarle. Le intersezioni naturali sono ben rappresentate dai punti in cui la linea ferroviaria attraversa un corso d’acqua. In questo caso i ponti, con la loro struttura reticolare, diventano dei veri e propri landmark. Quando invece si incontrano due percorsi come quelli della ferrovia e di un’autostrada o tangenziale, e nessuna di esse può essere assoggettata dall’altra, nascono intersezioni “apparenti”, ma più incisive e massicce sul paesaggio, come cavalcavia e sovrappassi; si tratta di incroci in cui nessuno dei percorsi
si ferma per dare priorità all’altro, e sono più invadenti sul paesaggio. Cosa succede, infine, quando un tratto ferroviario, un’intersezione, o una casa ferroviaria vengono abbandonati, divenendo elementi “anomali” in un paesaggio che evolve? In questo caso diventano testimonianze, relitti abbandonati al proprio declino. È importante capire come questa loro singolare presenza nel paesaggio possa divenire una eccellenza per far riemergere una storia come quella delle linee su ferro, le quali hanno molto, moltissimo da raccontare al futuro.
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Fig. 1. FFSS Carta delle strade ferrate italiane, 1985. Frontespizio
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L’urbanizzazione delle campagne Maria Cristina Treu
1.Alcune note di premessa La descrizione del processo di urbanizzazione delle campagne richiede di premettere alcune considerazioni. E’ noto che per un periodo di qualche decennio il nascente stato italiano destinò grandi investimenti nella realizzazione delle opere di collegamento tra le regioni che un tempo appartenevano a stati diver- si: tra queste l’attenzione si concentrò oltre che sulla realizzazione di una rete di viabilità sul programma di costruzione della rete su ferro. Per questo motivo, il contributo assume come riferimento il completamento della rete ferroviaria tra gli insediamenti della pianura padana a partire dalla realizzazione del programma di infrastrutturazione del paese. Il contributo inizia con la presentazione della rete su ferro a livello nazionale di cui restituisce alcune immagini di sintesi; di seguito approfondisce, con riferimento alla realizzazione della ferrovia tra i centri urbani della campagna padana, gli effetti indotti sulla forma dell’urbanizzazione dall’arrivo del servizio ferroviario e quelli attribuibili all’uso crescente dell’auto privata. La Lombardia fu la prima regione che completò i collegamenti su ferro tra
le città capoluogo delle sue province, oltre che con le regioni d’oltralpe e con i capoluoghi di alcune regioni limitrofe. Carlo Cattaneo nelle sue riflessioni sulla ferrovia che attraversa una estesa porzione del territorio dell’area padana, già interessato da una intensa attività agricola e da una articolata rete di canalizzazioni e di cascinali, denomina la rete che collega Milano, Cremona e Mantova, con il suo completamento verso Suzzara e Ferrara, la ferrovia delle campagne. D’altra parte, anche se dobbiamo ricordare che il passaggio dal nomadismo alla prime forme di urbanizzazione stabili sul territorio sono ascrivibili alla presenza dell’attività agricola e dell’allevamento, è alla rete su ferro e su gomma che dobbiamo il consolidamento degli scambi commerciali e degli insediamenti dei primi centri urbani. Inoltre, con l’arrivo della ferrovia dobbiamo sottolineare l’ affermarsi di nuove professionalità che si vanno a integrare, sviluppandole, alcune di quelle già presenti, nelle comunità agricole locali come quelle collegate al settore meccanico e delle macchine agricole. Il testo sul 125° della ferrovia Suzzara Ferrara riporta a questo proposito una ampia documentazione testua-
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Fig. 2. FFSS Carta delle strade ferrate italiane, 1985. Dorsale tirrenica e mediterranea
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le e iconografica, sul mondo che viene a formarsi attorno alla ferrovia con l’arrivo di nuove opportunità e di nuove condizioni di lavoro caratterizzato da una forte identità e responsabilità professionale nella gestione della rete fissa del materiale rotabile ( cfr., AAVV, La Suzzara-Ferrara 125 anni dopo, op.cit). A livello della morfologia del territorio e del paesaggio, la ferrovia rappresenta un segno forte quanto lo furono il sistema dei fiumi cui dobbiamo la formazione della vasta pianura padana e la rete delle opere di canalizzazione e di governo delle acque che ancora oggi sostengono l’agricoltura di queste aree. Nonostante lo sviluppo e la crescita insediativa degli ultimi decenni, la pianura padana è immaginata come ancora prevalentemente agricola e dove sono ancora ben distinguibili due forme insediative. La prima è riferibile agli effetti indotti dalla sovrapposizione del tracciato del ferro sul preesistente sistema di urbanizzazione costituito dalla rete delle cascine e delle opere di canalizzazione. Un tracciato che con i suoi manufatti di servizio alla ferrovia si dispone a una certa distanza rispetto al tessuto abitato e lasciando ancora ben leggibili
le canalizzazioni e le ripartizioni dei campi. La seconda è collegabile al cambiamento di scenario nell’ uso del suolo attribuibile alla diffusione dell’auto che garantisce più opzioni di mobilità e che incide sulla espansione edilizia: due fenomeni che si affollano attorno agli abitati originari e alla stessa rete ferroviaria, diffondendosi nella campagna coltivata. . 2.La costruzione delle rete ferroviaria nazionale La rappresentazione della Carta del 1985 delle strade ferrate italiane restituisce il sistema delle connessioni lungo due dorsali, la dorsale tirrenica e la dorsale adriatica. La carta costituisce anche un documento sullo stato della costruzione della rete per quanto riguarda il grado di completezza delle relazioni tra i centri abitati. Due sono le osservazioni che questa mappa evidenzia: la densità multi direzionale della rete nelle regioni del nord e un tracciato ferroviario prevalente nord sud nelle regioni del centro sud. La prima osservazione ci riporta alla memoria vicende che vengono da lontano. Esse risalgono alla fine del
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secolo precedente quando il nascente stato italiano anticipò la costruzione di un sistema infrastrutturale potendo utilizzare anche le opere costruite per ragioni militari dall’Impero Austro Ungarico e dallo stesso Stato Sabaudo. Come, per esempio, l’infrastruttura che già connetteva le città del quadrilatero austriaco attorno a Verona e verso il Brennero e la ferrovia costruita da Torino verso Milano per il trasporto di militari in relazione alle prime guerre di indipendenza. La seconda osservazione riguarda le regioni appenniniche e le isole. Qui il tracciato della rete collega le più recenti espansioni insediative che si sono spostate lungo la fascia della costa, non così i centri abitati dell’interno caratterizzati dall’emigrazione e da una accessibilità più difficile connessa alla geomorfologia del territorio. Nel contesto della rete ferroviaria delle regioni del nord, la regione Lombardia costituisce un caso esemplare. La rete delle infrastrutture su ferro viene completata tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900 con la connessione di tutti i comuni capoluogo di provincia e con l’ ultimazione del traforo del Gottardo, nel 1906, lo stesso anno in cui a Milano si è
tenuta L’Esposizione Universale. La ferrovia collegò, oltre alle città capoluogo della regione, molti centri abitati della pianura padana con la ferrovia delle campagne. Nello stesso periodo, fu avviata anche la rete di trasferimento dell’energia elettrica. La realizzazione di questo sistema di reti garantì alla regione Lombardia una posizione di vantaggio permettendo all’area milanese di attirare investimenti in più settori industriali manifatturieri e di essere riconosciuta nel corso del XX secolo come la capitale economica dell’Italia. Nel tempo, questa rete è stata oggetto di integrazioni e di innovazioni che hanno interessato i materiali con cui sono realizzate le reti dei sistemi di trasporto, il materiale rotabile e la gestione del traffico. Contestualmente alcune tratte sono state trascurate o abbandonate e altre ancora sono state dismesse. Negli ultimi decenni, su questo sistema di reti si stanno sovrapponendo i nuovi corridoi materiali e immateriali in uno scenario che si deve confrontare con un territorio più costruito, più ricco e interconnesso ma anche più fragile. Le opportunità di sviluppo sono contese tra più regioni, tra quelle della macro
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Fig. 3. FFSS Carta delle strade ferrate italiane, 1985. Particolare delle Regioni del Nord
regione settentrionale e quelle degli stati dell’Europa centro continentale e orientale: tra regioni e città tutte interessate a competere sul mercato globale. D’altra parte i corridoi infrastrutturali si configurano, da sempre, come un fattore di capitale fisso sociale, un valore aggiunto incorporato in un territorio (J.O’Connor,1986) che contribuisce a attrarre più risorse economiche e sociali. Nell’800, come già ricordato, le infrastrutture furono l’armatura alla base della formazione delle grandi città e della supremazia di alcune regioni rispetto ad altre. Oggi, quando parliamo di corridoi infrastrutturali, ci riferiamo
a un sistema di reti materiali e immateriali e di nodi intermodali. Queste infrastrutture contribuiranno a riordinare la posizione delle regioni e delle grandi città mondiali richiedendo, tuttavia, anche il coinvolgimento dell’intero territorio e di ogni sua risorsa sociale oltre che economica. Nella convinzione, come sostengono gli studiosi di tecnologie innovative, che ogni nuovo livello di sistema di reti richieda anche l’integrazione con i sistemi insediativi, organizzativi e sociali preesistenti, cioè con la pluralità di tutti quei fattori tecnologici e culturali che un tempo hanno sostenuto lo sviluppo della stesse grandi città.
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3.La ferrovia Suzzara-Ferrara. La tratta Suzzara, Sermide e Fellonica La tratta della Suzzara-Ferrara fu il completamento della ferrovia delle campagne avviata con l’unità d’Italia negli ultimi decenni dell’800 . Questa tratta permise il collegamento dei numerosi centri abitati localizzati lungo il territorio dell’oltre Po: un territorio agricolo prodotto da più interventi di bonifica e di canalizzazione delle acque e difeso attraverso la gestione di numerose opere idrauliche. L’approfondimento condotto nel corso dei lavori del Master si è focalizzato sui comuni di Suzzara, Sermide e Felonica, di cui si poteva disporre anche di documenti esito delle indagini dei Piani di Governo del Territorio PGT. L’approfondimento ci ha permesso di osservare alcuni effetti sul territorio collegabili al passaggio della ferrovia negli anni che vanno dalla fine dell’800 a quelli tra le due guerre e di seguito le trasformazioni più rilevanti avvenute nel periodo cha va dalla seconda guerra agli anni più recenti. Le due grandi fasi sono riferite agli anni 1885-89 e 1935 e agli anni 1982-94 e 2011-2012. A questo fine abbiamo utilizzato una sequenza di mappe di fonte
IGM e le mappe dell’evoluzione del costruito dei PGT di Suzzara, Sermide e Fellonica. Queste mappe sono integrate dai diagrammi della popolazione che evidenziano l’andamento demografico e del numero delle famiglie. a.Il territorio negli anni 1885-89 e 1935 Per quanto riguarda la morfologia del territorio , il tracciato ferroviario è un segno netto sul suolo agricolo, molto ben distinto dagli abitati come lo sono, in questo periodo, la rete delle acque dei fiumi e quella dei canali di irrigazione. La realizzazione della ferrovia corrisponde a una fase di crescita insediativa ancora discreta che si va a concentrare a una certa distanza dalla stazione, a parte i primi depositi destinati ai magazzini e alle officine di manutenzione costruiti nelle vicinanza delle stazioni. La struttura sociale è quella di una comunità rurale, ben radicata nelle attività collegate alla coltivazione agricola cui si va ad aggiungere la presenza degli addetti collegati all’arrivo dalla ferrovia con le rispettive famiglie. Le immagini del testo sul 125° della ferrovia Suzzara-Ferrara ben documentano questa felice ibridazione che accomunerà
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il mondo dei macchinisti, degli addetti alla manutenzione della rete fissa e dei casellanti con il mondo dei coltivatori e del commercio dei prodotti agricoli. D’altra parte, l’infrastruttura ferroviaria ebbe già da questi primi anni un ruolo importante nella promozione delle attività collegate alle coltivazioni tra cui quelle della produzione delle macchine agricole che ancora oggi è una importante realtà industriale della zona. Nelle mappe del 1885-89 Suzzara è ancora chiusa nel suo centro storico, mentre Sermide e Fellonica appaiono come due insediamenti rivieraschi a ridosso del Po. Gli effetti più significativi si leggono nelle mappe del 35. A Suzzara si distinguono, a Nord-Nord/Est e appena fuori dal centro storico, la prima espansione residenziale, il primo nucleo della zona industriale e il viale della stazione. L’architettura della stazione si basa sullo studio di una tipologia le cui dimensioni e funzioni sono commisurate alla mobilità delle merci e delle persone e alla disponibilità di uno spazio di manovra esterno all’abitato. A Sermide si intravvede un accenno di connessione della stazione verso l’abitato, probabilmente l’inizio di quello
Fig. 4. 1885 - 1889. Fonte: Istituto Geografico Militare
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che sarà il raccordo alla costruzione dello zuccherificio, oggi demolito, per far posto a un complesso insediativo che comprende un centro commerciale e, in prospettiva, anche uno spazio pubblico con uffici e residenze. Mentre nel caso di Fellonica la ferrovia rimane ancora tutta esterna all’abitato, che si allunga a partire dalla chiesa lungo la viabilità comunale e a ridosso dell’argine del Po.
Fig. 5. 1935. Fonte: Istituto Geografico Militare
b.La crescita insediativa negli anni del secondo dopoguerra. Negli anni ‘50 e’60, il contesto del territorio dell’area padana è caratterizzato da una sequenza di cambiamenti che per certi aspetti richiamano quelli avvenuti in altre aree delle regioni del centro nord e che per altri sono speculari rispetto a quelli che interessano i grandi capoluoghi delle regioni del Nord-Ovest. Per quanto riguarda il settore agroalimentare i cambiamenti sono collegati agli interventi di sostegno per l’industrializzazione del settore e ai contributi a sostegno dell’acquisto di macchinari e della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agroindustriali, anche in coerenza con i due Piani Verdi degli anni 60/70. Contestualmente, nelle stesse aree,
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sono avviate più iniziative a sostegno degli insediamenti industriali finalizzati al sostegno dell’occupazione in alcuni settori manifatturieri e a integrare il reddito famigliare. Queste iniziative riguardano tutte le aree definite depresse da quanto stabilito dall’art.1 della legge n, 614 del 22/7/1966 che recita: “sulla base delle indicazioni del programma economico nazionale, il Comitato Interministeriale per la ricostruzione provvede alla delimitazione di zone depresse dell’Italia settentrionale e centrale caratterizzate da depauperamento delle forze di lavoro derivante o da sensibile invecchiamento della popolazione residente o da accentuati fenomeni di esodo; da livelli di reddito pro capite della popolazione inferiori alla media nazionale e tali da escludere lo spontaneo riequilibrio rispetto alla media stessa; da bassi livelli di produttività in dipendenza di problemi di riconversione dell’agricoltura o da insufficiente sviluppo delle attività industriali”. L’insieme di queste iniziative favoriranno l’emigrazione di popolazione verso i maggiori capoluoghi delle regioni del nord ovest e verso i paesi del Nord Europa e del Sud America e influiranno sui cambiamenti della struttura della popo-
lazione per quanto riguarda il rapporto tra classi di età e settori di occupazione, tra cui la contrazione degli occupati in agricoltura e il cambiamento degli stili di vita e dei modelli insediativi con la diffusione delle abitazioni e dell’automobile. Negli stessi anni decresce anche l’attenzione sulle linee ferroviarie meno frequentate, fatto che inciderà anche sulla manutenzione delle stesse fino all’abbandono e alla rimozione di alcune tratte come per esempio quella di Mantova e Peschiera. A livello territoriale le immagini ci restituiscono il consolidamento di una espansione urbana che ha coinvolto tutti i comuni italiani, da quelli più grandi a quelli di media e piccola dimensione, con una intensità di crescita edilizia a cui non corrisponde un pari incremento di popolazione. Nel caso di Suzzara il grafico dell’andamento demografico si mantiene crescente, anche se con periodi in cui le percentuali tendono a stabilizzarsi attorno allo zero; nei casi dei comuni di Sermide e di Fellonica lo stesso grafico documenta una contrazione della popolazione che comincia e continua a partire dal 1951. c) La campagna abitata, le criticità del
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Fig. 6. 1982 - 1994. Fonte: Carta Tecnica Regionale
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dismesso e la riscoperta de paesaggio negli anni 2000 Negli anni 1982-1994, la mappa del comune di Suzzara presenta una espansione caratterizzata da una sequenza di zonizzazioni residenziali ripartite in piccoli lotti mono famigliari, il completamento dell’area industriale a nord est e dell’edificazione lungo il viale della Ferrovia con tipologie di maggior pregio, l’ampliamento di un tessuto misto a sud della stazione tra la ferrovie e l’abitato precedente. Inoltre, ci sono le espansioni residenziali e industriali oltre i tracciati della ferrovia che interessano nuove aree agricole sollevando anche problemi collegati alle esondazioni periodiche delle acque. A Sermide, la crescita insediativa si densifica lungo la viabilità comunale e provinciale e si espande a sud dell’abitato storico andando ad occupare una buona parte del territorio fino a raggiungere il tracciato della ferrovia con una densità residenziale che comprende anche l’ipotesi di un manufatto funzionali alla manutenzione del materiale rotabile delle ferrovie, probabilmente non più attuale. A Felonica, la crescita insediativa ripropone lo stesso modello ma con una densità meno accentuata e
senza coinvolgere in modo significativo il tracciato della ferrovia. Le mappe del 2012 che ricostruiscono l’evoluzione del costruito per il PGT documentano l’espansione e il consolidamento del costruito evidenziando nel caso di Suzzara una campagna abitata con una rete di costruzioni lineari che congiungono il centro con alcune frazioni e nel caso di Sermide e Fellonica il consolidamento del costruito che si addensa nei centri e si espande verso le frazioni. Questa ricostruzione evidenzia anche le fasi dell’evoluzione del costruito, con le situazioni di abbandono degli edifici e di aree, e con la riscoperta del paesaggio. 4.Le prospettive della rete ferroviaria e delle stazioni. Ogni ipotesi, di rifunzionalizzazione della ferrovia dovrà fare riferimento oltre che alla valorizzazione dei beni ambientali e culturali, anche ai distretti manifatturieri locali e agroindustriali e alla possibilità di riabitare alcuni dei tessuti insediativi locali favorendo per esempio il potenziamento delle reti immateriali. Pertanto, l’occasione di approfondire ogni ipotesi di rilancio del tratto ferroviario Suzzara-Ferrara e
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Fig. 7. Fonte: da Ns elaborazione per i Piani di Governo del Territorio comunali
di riqualificazione di alcune stazioni e di altri manufatti ferroviari richiede di approfondire le prospettive funzionali della tratta ferroviaria Mantova-Ferrara nel sistema delle infrastrutture regionali e interregionali. Ogni ipotesi non può che fare riferimento a uno scenario di inversione di tendenza rispetto al
passato, nel senso che ogni insieme di scelte e di programmi di investimento devono, innanzitutto, focalizzarsi su più interventi di rigenerazione sociale e economica del sistema urbano e territoriale attraversato dall’intera tratta della Ferrovia Mantova–Ferrara. Dalla dinamicità e attrattività di questo sistema
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dipenderanno infatti le motivazioni e il peso di una utenza che potrà premere per un diverso sistema di servizi a sostegno della mobilità su ferro oltre che su gomma. Le precondizioni per la riuscita di uno scenario di questa natura deve poter fare leva sulle potenzialità di questa area e, contestualmente, sulla rimozione e sulla mitigazione delle criticità presenti. Sul primo versante le risorse da valorizzare richiedono di puntare sullo sviluppo: a) del distretto agroalimentare con un programma di investimenti che comprenda la promozione delle attività di conservazione e di commercializzazione dei prodotti locali, contestualmente alla tutela dei corsi d’acqua e la manutenzione della rete idraulica b) delle attività turistiche con la promozione delle attività culturali nelle città d’arte come Mantova e Ferrara integrata con quelle dei centri minori e con l’offerta di una rete di più spazi e di più tipi di turismo verde. Sul secondo versante le criticità da affrontare riguardano: c) la contrazione e l’invecchiamento della popolazione residente che a parte alcuni comuni come Suzzara interessa
Fig. 8. 2011 Fonte: da Ns elaborazione per i Piani di Governo del Territorio comunali. Evoluzione del costruito
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tutti i comuni dell’Oltre PO, un fenomeno iniziato ben prima della crisi del 2008 e accentuatosi con il terremoto del 2012 che ha provocato l’abbandono dei centri rurali minori. d) le difficoltà di programmare molte attività di un turismo culturale e verde che nell’area può usufruire collegandosi, sia a iniziative come quelle del Festival della letteratura di Mantova, sia al comparto del turismo stagionale come quello balneare delle città che si affacciano sull’Adriatico. Le prospettive di scenario ampio sono almeno due. La prima presuppone di verificare l’opportunità che la rete sia potenziata sino alla portualità adriatica per il trasporto di merci e di persone; la seconda presuppone l’opportunità che sulla stessa rete possa coesistere un servizio per il trasporto di turisti che valorizzi l’infrastruttura Po e la rete di mobilità dolce. In entrambi i casi i problemi sono le strozzature lungo la rete con i relativi costi di riqualificazione e di manutenzione e l’efficacia di un programma di sviluppo del manifatturiero e a sostegno dei prodotti del distretto agroindustriale. Nell’ambito di un sistema di scelte da adottare alla scala più ampia possono avere un esito positivo anche
i programmi di rigenerazione urbana e di riqualificazione territoriale e paesaggistica anche di minore dimensione, nell’ipotesi di poter verificare, in un tempo più ravvicinato effetti positivi soprattutto sulla dinamica della popolazione e sulla ripresa di produzioni già presenti. In altri termini, le considerazioni, su riportate, richiedono di agire in un quadro d’insieme in cui sia possibile, da un lato, selezionare le proposte che possono arrivare anche da interessi esterni all’area rispetto a quelli espressi da soggetti locali e, dall’altro lato, sia possibile attivare interventi di minore impegno, ma congruenti con gli obiettivi su enunciati, che coinvolgano da subito la cittadinanza attiva. In questo senso, la scelta dei progetti di riqualificazione di uno spazio pubblico o di un tratto di fiume o di un tessuto insediativo sottoutilizzato può essere fatta in coerenza, ma anche in parallelo, con il potenziamento dei servizi di rete materiali e immateriali i cui esiti sono a più lungo termine. In questo scenario, la ferrovia e i servizi ferroviari integrati con quelli del trasporto pubblico automobilistico devono ritrovare una loro centralità ai fini di poter valorizzare le risorse
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presenti mitigando le criticità e evitando che le opportunità di sviluppo generino conseguenze negative e non previste alla grande scala e soprattutto alla scala locale. Una prima verifica può essere affidata a un programma di azioni che coinvolga l’intero territorio dell’oltre Po mantovano, in cui attorno alla polarità centrale di Suzzara si verifichino i ruoli complementari tra più comuni, oltre a Sermide e a Fellonica, e i progetti di rigenerazione urbana coinvolgendo i nodi delle stazioni e altri manufatti lungo il tracciato della
ferrovia e l’asta del Po, luoghi da collegare con la rete di mobilità dolce e con i servizi dei centri urbani. Bibliografia: F:Malavasi,R.Santini,G.Sostaro,F.Tiengo (2014),LaSuzzara-Ferrara 125 anni dopo, J.O’Connor(1986),Individualismo e crisi del’accumulazione,Laterza
Fig. 9. Estratto da documentazione del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di Mantova
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Fig 1. Stazione ferroviaria di Sermide. Archivio dell’Associazione Amici della Ferrovia Suzzara-Ferrara
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La valorizzazione delle infrastrutture storiche Carlo Peraboni
1.Il ruolo delle infrastruttura ed il rapporto con il territorio Le infrastrutture, intese come l’insieme di elementi e strutture che intermediano i rapporti tra le differenti componenti del sistema territoriale, sono manufatti che si realizzano in funzione delle esigenze e dei bisogni delle comunità che vivono il territorio e che mutano la loro consistenza ed il loro ruolo in funzione di un processo di continui cambiamenti indotti da una pluralità di politiche e di eventi economici e sociali. Questi interventi sono funzionali anche al mantenere vivo il ruolo delle infrastrutture e a garantirne l’adeguatezza in funzione delle mutate esigenze del territorio e dei suoi abitanti. Le infrastrutture sono da considerare come elementi al contempo strutturali e strutturanti un territorio, attivando un sistema di relazioni che si ordinano e si riconoscono, secondo una tradizionale schematizzazione, a partire da due imprescindibili elementi costitutivi: ● l’infrastruttura fisica, ovvero gli elementi che costituiscono, funzionalmente, il supporto al movimento nel tempo e nello spazio delle componenti trasportate; ● l’utenza dell’infrastruttura, con le
rispettive esigenze, le aspettative e la dimensione sociale che si rapporta con la struttura fisica dell’infrastruttura e con la dimensione dell’area con cui essa si relaziona. Per comprendere pienamente questo insieme di relazioni occorre indagare l’infrastruttura capendone il ruolo ed in significato a più scale e su più livelli, in relazione alla società ed alle condizioni economiche che l’hanno espressa, nonché al sapere tecnico che l’ha prodotta. Nel caso delle infrastrutture storiche appare evidente come la tutela e la conservazione di questo insieme di elementi evidenzi una serie di problematicità e imponga considerazioni articolate in chiave interdisciplinare, specie nelle situazioni in cui il rapporto tra questi elementi subisce trasformazioni strutturali che generano perdite di identità e situazioni di abbandono. Per ritrovare il senso di queste relazioni occorre pertanto ritrovare un ruolo ed una identità per questi elementi collocandoli all’interno dei luoghi e dei modi dell’abitare contemporaneo. Questa operazione di ripensamento deve individuare un punto di partenza nel riconoscimento delle funzioni che l’infrastruttura ha svolto e nel rapporto
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che essa ha stabilito con la definizione dei caratteri socio-economici del territorio anche al fine di non disperdere il patrimonio di valori storici e culturali che innerva il territorio e ne definisce il paesaggio. A partire dalla fine degli anni sessanta sono stati condotti numerosi studi che hanno analizzato le relazioni esistenti tra le dotazioni di infrastrutture ed i caratteri di un territorio. Tutti questi studi hanno evidenziato come esista un forte legame tra i processi di infrastrutturazione e i caratteri della crescita economica di un’area quasi a riconoscere all’infrastruttura la funzione di elemento costitutivo della produzione ed un ruolo determinante per la crescita economica di un territorio. Le riflessioni condotte in quegli anni, intorno al ruolo ed alla capacità strutturante dell’infrastruttura, portano Niles M. Hansen a distinguere le infrastrutture in due grandi categorie (N.M.Hansen, 1965): ● le infrastrutture di tipo economico, che supportano direttamente le attività produttive; ● le infrastrutture di tipo sociale, finalizzate ad accrescere il benessere sociale e indirettamente ad agire sulla produttività economica.
Ed è di qualche anno successiva la distinzione proposta da Jan Tinbergen (J.Tinbergen, 1982), insignito del Premio Nobel per l’economia nel 1969, che partendo dalle riflessioni di Hansen articola la definizione con maggior attenzione al ruolo territoriale delle infrastrutture; l’economista indica le categorie interpretative delle infrastrutture e delle superstrutture: le prime rappresentano l’insieme delle attrezzature funzionali allo svolgimento delle funzioni antropiche, mentre le seconde ordinano sistemi di servizi divenendo infrastrutture identitarie caratterizzanti un sistema territoriale. Alla luce di queste considerazioni appare necessario connotare il progetto di riuso dell’infrastruttura storica selezionando modalità di intervento innovative, capaci di rimettere l’infrastruttura (o la superstruttura) al centro della vita della comunità e del territorio. Un progetto capace di allargare l’interesse al contesto che con l’infrastruttura si relaziona, cogliendo la dimensione relazionale, sociale ed economica, caratterizzante l’infrastruttura. Per leggere i caratteri delle relazioni è necessario comprendere le dinamiche di trasformazione che hanno interessato
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l’infrastruttura; dinamiche differenti e fortemente connesse all’evoluzione del territorio. Le esperienze analizzate hanno permesso di individuare tre differenti dinamiche evolutive che interessano le infrastrutture storiche e che ne caratterizzano le modalità di riuso: processi di dismissione, di sostituzione e di riconfigurazione funzionale. Ognuna di queste dinamiche presuppone opportunità di progetto differenti ed esprime un insieme di specifiche attenzioni al rapporto esistente tra infrastruttura e territorio. Questa schematizzazione, nella sua evidente parzialità, permette di evidenziare i differenti caratteri della trasformazione che interessano l’infrastruttura. ● I processi di dismissione sono caratterizzati da una radicale mutazione del rapporto costitutivo tra infrastruttura e territorio; avvengono quando emerge una rottura tra le funzioni svolte dall’infrastruttura e i bisogni, reali o percepiti, della collettività che abita un territorio. La dismissione segna una sostanziale trasformazione di senso per l’infrastruttura che diviene da elemento strutturante dell’assetto territoriale, elemento residuo, eccedente, da risignificare. Un esempio di come la dismissione di
una infrastruttura ferroviaria possa diventare un’opportunità per il territorio è ritrovabile nell’esperienza della ferrovia siciliana che collegava Caltagirone – Piazza Armerina – Dittaino. Progettata alla fine del XIX secolo e funzionale al collegamento del sistema minerario della Sicilia centrale, venne realizzata nei primi anni del XX secolo quando Ferrovie dello Stato subentrarono alla Rete Ferroviaria Sicula. Il ruolo della ferrovia muta radicalmente con la crisi della produzione di zolfo minerario e la successiva perdita di interesse economico nei confronti del settore minerario. Le rigidità del tracciato, spesso interessato da cedimenti e frane, unite alla lentezza della percorrenza, determinarono la progressiva obsolescenza della linea. A nulla valsero le ristrutturazioni realizzate nel secondo dopoguerra: nel 1969 venne chiusa la tratta da Piazza Armerina a Caltagirone e pochi anni dopo, nel 1971, fu la volta della dismissione della tratta Dittaino – Piazza Armerina. Alla dismissione segue un lungo periodo di abbandono che termina nella seconda metà degli anni ’90 quando prende corpo un progetto di riuso che ridefinisce la natura identitaria del sedime trasfor-
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mandolo da infrastruttura di trasporto ad infrastruttura di paesaggio. Il progetto di un Parco lineare, tra Caltagirone e San Michele di Gonzaga, definisce una nuova infrastruttura che si estende per 14 km, capace di innestare un percorso naturalistico in un territorio composto da elementi differenti: una linea ferrata, sedimi di opere complementari, stazioni e caselli che ritrovano nel progetto un nuovo ruolo e una nuova ragion d’essere (M. Navarra, 2003). Antichi paesaggi agricoli e scorci naturali carichi di storia vengono inseriti e rivisitati con il recupero di una infrastruttura che si propone di divenire elemento di connessione tra vari fattori (culturali, economici, architettonici/urbanistici e sociali). Il progetto del Parco Lineare, realizzato da Marco Navarra, viene premiato con la Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana nel 2003 come opera prima e diviene esempio di un nuovo modo di riconnettere elementi antropici e contesti paesistici (figure 2,3,4). Un progetto che raccolse consensi e catturò l’attenzione dei media ma che non riuscì a generare un’adeguata attenzione nell’affrontare i problemi di manutenzione propri delle iniziative di rivitalizzazione degli spazi dismessi. La difficoltà nello stabilire re-
lazioni rilevanti e durature con le attività commerciali e produttive, unita alla difficoltà incontrata nell’attivare nuove forme di turismo al servizio degli ospiti e delle comunità locali non ha permesso di centrare l’obiettivo di realizzare una salvaguardia attiva del territorio1 (R. Zancan, 2012). ● I processi di sostituzione avvengono in relazione al modificarsi delle funzionalità richieste all’infrastruttura e sono spesso l’esito di una modifica sostanziale del contributo modale che l’infrastruttura fornisce al territorio. Esito del processo di sostituzione risulta essere la presenza di un manufatto infrastrutturale che, ancorché formalmente adeguato, viene chiamato a svolgere una differente funzione in virtù dell’emergere di nuove esigenze e di differenti modalità d’uso che le comunità che abitano e vivono il territorio esprimono. Un interessante intervento, esito di un processo di sostituzione, è il caso dell’antica ferrovia Genova – Ventimiglia che corre lungo la Liguria di Ponente. Un’infrastruttura completata nel 1872 che ha sofferto fin dagli inizi i problemi di traffico dovuti alla costruzione di una tratta a binario unico. Nel corso dei decenni l’infrastruttura è stata
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Fig. 2. L’infrastruttura dismessa diviene occasione per pensare ad un nuovo modo di percepire il paesaggio. Fonte: Navarra, 2003
Fig. 3. Il recupero degli elementi infrastrutturali puntuali genera nuove opportunità d’uso e nuove occasioni per una fruizione estesa del territorio. Fonte: Navarra, 2003
Fig. 4. La natura diviene elemento costitutivo della nuova identità dell’infrastruttura. Fonte: Navarra, 2003
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gradualmente ampliata attraverso il raddoppio dei binari, realizzato spesso deviando o spostando il percorso originario alla ricerca di geometrie e percorrenze più adatte al moderno materiale rotabile. Ancora oggi gran parte della rete ferroviaria ligure è organizzata su di un unico binario e i progetti e lavori di raddoppio hanno sempre dovuto scontare rilevanti difficoltà legate alla morfologia del territorio ed alla sua delicatezza geologica. Anche nel caso del raddoppio della tratta ferroviaria che unisce San Lorenzo al Mare e Ospedaletti, l’iter realizzativo è durato oltre 25 anni, dall’avvio del progetto (metà degli anni ’70) al termine dei lavori nel 2001. Storicamente il sedime ferroviario delle infrastrutture liguri risultava collocato nella sottile striscia di territorio posta tra il mare e le propaggini montuose; in questa sezione ristretta alla ferrovia si affiancava anche la strada statale Aurelia, infrastruttura storica che ha strutturato il sistema insediativo ligure. Le stazioni poste sulla linea risultavano per lo più funzionali al favorire il passaggio incrociato dei convogli: San Lorenzo – Cipressa, Santo Stefano – Riva Ligure – Arma di Taggia, Sanremo, Ospedalet-
ti erano punti di contatto tra la ferrovia ed il sistema urbano. I lavori di ammodernamento svolti hanno permesso la costruzione di una nuova linea ferroviaria e portato, contestualmente, alla soppressione di quasi tutte le stazioni. Come prevedibile, lo spostamento a nord del tracciato ferroviario ha portato un vantaggio rilevante al sistema di comunicazioni della Riviera ligure di ponente ed ha liberato Sanremo, e i comuni attraversati, da una infrastruttura che separando i nuclei urbani, interferiva in maniera rilevante sulle ordinarie funzioni urbane. Inoltre, il graduale recupero delle aree ferroviarie dismesse ha permesso l’attivazione di molte zone urbane, rendendo più agevoli le comunicazioni interne e favorendo la permeabilità in direzione del litorale. La Pista Ciclabile (figure 5,6,7) realizzata attraversa otto comuni della Provincia di Imperia, comuni differenti in termini dimensionali e articolati sotto il profilo paesistico e morfologico: dai piccoli centri liguri di San Lorenzo al Mare, Santo Stefano al Mare e Riva Ligure, ai territori litoranei dei comuni dell’entroterra di Cipressa e Costarainera, e fino a Ospedaletti2. Questo insieme di centri assume, grazie alla nuova
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Fig. 5. La sostituzione del tracciato ferroviario apre a nuove opportunità di relazione con il contesto marittimo. Fonte: www.pistaciclabile.com
Fig. 6. L’inserimento del tracciato ciclabile consente di rimuovere antiche cesure favorendo la permeabilità urbana. Fonte: www.pistaciclabile.com
Fig. 7. L’intermodalità generata dalla sostituzione consente di sperimentare forme d’uso turistiche differenti. Fonte: www.pistaciclabile.com
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infrastruttura, i caratteri di un sistema urbano continuo e connesso, capace di fornire un nuovo valore ai territori e ai centri urbani attraversati. ● I processi di riconfigurazione si compiono quando l’infrastruttura viene chiamata a reinterpretare il proprio rapporto con il territorio che la ospita compiendo una sostanziale riconfigurazione delle proprie funzioni e relazioni. Il tema della riconfigurazione sottende la necessità progettuale di interpretare le nuove e possibili condizioni d’uso ed al contempo pone in evidenza l’importanza di definire una nuova immagine complessiva per l’infrastruttura e per l’insieme delle relazioni che la stessa genera con il territorio. Un intervento riconducibile ad un processo di riconfigurazione, è quello della ferrovia della Valle Seriana. Questa infrastruttura, inaugurata nel 1884, collegava Bergamo ad Albino e venne successivamente prolungata fino a Ponte Selva. Concepita fin dall’inizio per la trazione elettrica, la linea, con un tracciato complessivo di trentaquattro chilometri, ha rappresentato per alcuni decenni un elemento strutturante per l’intera valle. A partire dalla fine degli anni ‘50 il
traffico viaggiatori venne gradualmente indirizzato verso la mobilità su gomma e anche il traffico merci, complessivamente in calo, viene attratto dalla concorrenza di un trasporto su strada, più economico in termini di investimenti iniziali e più adattabile rispetto alla flessibilità dei percorsi. Nel 1967, per esempio, venne definitivamente sospeso l’esercizio ferroviario sull’intera linea della Valle Seriana. La linea era dotata di numerose stazioni e fermate a servizio dei principali centri abitati, ma anche di numerosi raccordi al servizio delle attività industriali limitrofe e di standard di tracciato lungimiranti, correttamente ottimizzati rispetto all’orografia dei luoghi ma con una limitata potenza dei mezzi di trazione di allora. Dopo la cessazione del servizio, il sedime rimase nelle proprietà del Demanio dello Stato e quindi soggetto ad un regime di salvaguardia che ne ha di fatto impedito l’utilizzo per interventi immobiliari. Tra il 1992-93, il Parlamento emana due leggi che prevedono rispettivamente le modalità di finanziamento e di realizzazione degli “interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa” e la “cessione degli immobili costituenti il compendio immobiliare
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delle ex ferrovie di Valle Brembana e Seriana.” alla Provincia di Bergamo. La cessione è finalizzata alla realizzazione della metropolitana leggera o tram veloce. Alcuni anni dopo, il 20 luglio 2000, Comune di Bergamo e Provincia di Bergamo fondano la TEB Spa, Tramvie Elettriche Bergamasche, con l’obiettivo di realizzare l’opera metrotramviaria riutilizzando l’ex infrastruttura ferroviaria. Il riutilizzo del sedime delle “Ferrovie delle Valli” per la realizzazione di un nuovo sistema di trasporto tramviario per il territorio bergamasco è stato motivato sia da importanti considerazioni di carattere territoriale, sia dal fatto che le caratteristiche dell’ex sedime ferroviario sembravano rappresentare, dal punto di vista tecnico operativo, un’opportunità preziosa per la sua geometria e per la sua disponibilità. Il progetto per la realizzazione di un sistema tranviario per il territorio bergamasco ha avuto alla base, fin dalle ipotesi iniziali, il riutilizzo del sedime delle ex “Ferrovie delle Valli”, che fino alla metà degli anni ‘60 avevano collegato Bergamo con la Valle Seriana e la Valle Brembana. Nel corso della realizzazione si sono dovute affrontare
alcune inevitabili difficoltà derivate dal prolungato periodo di abbandono del sedime stesso e da una sua progressiva occupazione per la realizzazione di opere di differente dimensione (tratti di pista ciclabile, strade di raccordo tra proprietà pubbliche e private, nuovi svincoli della viabilità circostante, spazi verdi). Il progetto realizzato si configura oggi come una infrastruttura sostanzialmente differente, per ruolo e caratteri, rispetto alla ferrovia preesistente. Nella definizione del progetto si è cercato di cogliere gli elementi funzionali capaci di riconfigurare il rapporto tra infrastruttura e territorio (figure 8,9,10). La lettura degli esempi ci permette di osservare come, lavorando in questa articolata direzione, il tema della trasformazione dell’infrastruttura risulti un tema progettuale ampio, che non può essere banalmente ricondotto a soluzioni semplici e limitate al solo sedime. Il tema del conservare, ristrutturare, potenziare, riusare, convertire… o qualsiasi altra azione venga proposta, pone l’esigenza di riflettere sulle relazioni generate e, più in generale, sulla necessità di prevedere un insieme di funzioni adeguate e proporzionate, capaci di de-
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Fig. 8. La riconfigurazione del tracciato conferisce nuovo significato all’infrastruttura valorizzando le strutture esistenti. Fonte: www.teb.bergamo.it
Fig. 9. Il nuovo sistema tranviario consente di ridare identità a luoghi che avevano smarrito una propria funzione. Fonte: www.teb.bergamo.it
Fig. 10. Con la nuova infrastruttura si amplia il sistema di relazioni con il territorio generando nuove possibilità d’uso. Fonte: www.teb.bergamo.it
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finire un senso possibile e coerente per luoghi interessati. 2.Visioni di futuro Abbiamo visto come l’infrastruttura si organizzi significando una successione di luoghi e componendo una serie di eventi e momenti diversi. Gli elementi che costituiscono questa sequenza assumono una differente leggibilità alle diverse scale, da quella territoriale delle grandi direttrici transnazionali, a quella più articolata di infrastrutture locali funzionali alla connessione di nuclei e centri urbani. Gli elementi che strutturano l’itinerario scandiscono la temporalità e dettano le regole d’uso dello spazio. Nel caso delle differenti infrastrutture questi si traducono in agevolazioni alla mobilità e nella valorizzazione degli elementi più o meno naturali che connotano il paesaggio e permettono di orientarsi nello spazio attraversato. L’infrastruttura non è costituita dal semplice sedime occupato dal tracciato, ma anche da tutta una serie di elementi che permettono la mobilità in modo più o meno diretto e che allargano la pertinenza e la propria area di influenza ad una porzione più estesa del territorio attraversato. La stessa via non è solo la
strada, è anche il corridoio in cui questa corre ed attraverso il quale acquista una propria connotazione paesaggistica. Le tre esperienze presentate evidenziano una molteplicità di elementi di interesse legati al ruolo costitutivo attribuibile all’infrastruttura nel suo processo di formazione e che interessa lo spazio, il tempo e l’identità di un territorio. Le infrastrutture storiche sono riconoscibili come elementi costitutivi del paesaggio e come strumenti di fruizione consapevole e sostenibile dello stesso. Se il paesaggio odierno è il risultato di azioni stratificate che si sono succedute nel corso del tempo, dobbiamo osservare come alcune di queste hanno saputo caratterizzare l’immagine di un luogo e costituiscono tracce rilevanti di questo lungo e complesso percorso. In questo contesto il compito del progetto di valorizzazione di questi elementi deve assumere come riferimento tre aspetti: ● lo sviluppo di un approccio contestuale. In questo caso l’intervento deve essere concepito e verificato in chiave territoriale, non limitandosi ad una attenzione puntuale e non riferendosi al solo sedime fisico dell’infrastruttura. Questa attenzione diviene importante anche con riferimento alla Convenzio-
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ne Europea del Paesaggio che chiede al progetto la capacità di riconoscere tracce e frammenti di memoria, promuovendo una visione unitaria capace di riscoprire vecchie connessioni e costruirne, consapevolmente, delle nuove. In questo senso il progetto diviene strumento di connessione e lettura dell’armatura territoriale rispetto alla sua storia e al suo futuro. ● l’attenzione alle esigenze contemporanee. In questo contesto l’intervento deve porsi obiettivi verificati come sostenibili e fruibili secondo logiche d’uso contemporanee. Questa esigenza risponde alla necessità di proporre soluzioni adeguate alle domande che le nuove comunità, articolate e composite, oggi pongono. In questo senso il progetto dovrà porre attenzione all’ascolto delle nuove esigenze emergenti formulando opzioni di progetto articolate e flessibili, capaci di riconoscere, in un progressivo percorso di verifica, le soluzioni più adeguate alle esigenze contemporanee. ● l’esigenza di una strategia coerente. In questo ultimo caso l’intervento deve riconoscere il ruolo caratterizzante dell’infrastruttura e ad essa riferire un insieme di interventi caratterizzati e
coerenti. Solo in questo modo le infrastrutture storiche possono costituire una matrice riconoscibile dalle comunità che abitano e vivono il territorio entro la quale identificare in modo coerente le reti di valorizzazione dei sistemi urbani territoriali: il sistema naturalistico ambientale, il sistema storico culturale e il sistema insediativo. Le considerazioni espresse evidenziano alcuni temi che possono essere assunti come riferimento per una più efficace gestione del progetto e per favorire un corretto inserimento delle tematiche affrontate negli strumenti della pianificazione. Si tratta di questioni che si pongono in forte continuità con le considerazioni precedentemente espresse e riguardano la necessità di verificare l’efficacia della trasposizione di un progetto caratterizzato da rilevanti livelli di complessità dentro un quadro programmatorio necessariamente legato a norme e strumenti di carattere pianificatorio. Riferendoci ai caratteri del progetti analizzati si possono riconoscere due questioni attorno a cui sviluppare alcune riflessioni orientate ad un prospettiva di lavoro futuro:
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Pensare per territori Le considerazioni espresse e le esperienze analizzate evidenziano la necessità di porre al centro di un quadro strategico complessivo il progetto di recupero. Le infrastrutture e le relazioni da esse generate, interessano comprensori e porzioni di paesaggio differenti entro un insieme di limiti amministrativi ben più ampio dell’area del progetto di riqualificazione del suo sedime. Riferirsi, in maniera unitaria, al territorio entro in cui l’infrastruttura si colloca è fondamentale per l’elaborazione progettuale. Abbiamo segnalato come la natura del tema suggerisca scale differenti di approccio che possono schematicamente essere indicate in quella più generale del contesto territoriale, in quella del corridoio di pertinenza dell’infrastruttura ed infine in quella di dettaglio riconducibile al proprio sedime. Quando un’infrastruttura storica viene ripensata nel proprio ruolo e nelle funzioni connesse, si hanno inevitabilmente ripercussioni ai differenti livelli e questo costituisce un elemento di modificazione dello stato di fatto esistente: per questo è importante cogliere la dimensione sistemica dell’intervento analizzando le condizioni di contesto, cercando di
cogliere il senso ed il ruolo della nuova configurazione proposta, e quali impatti potrà generare in relazione al sistema in cui si va ad inserire. Inoltre, occorre ricercare una dimensione propria del progetto e verificarne la coerenza dentro il quadro degli strumenti di pianificazione che, necessariamente, si riferiscono a contesti e perimetri amministrativi spesso non coincidenti con le dimensioni proprie del progetto. Ragionare per territori significa quindi porre al centro dell’azione progettuale l’infrastruttura e le sue relazioni profonde, relazioni di senso e di significato, in modo funzionale all’attivazione di un progetto coerente e consapevole capace di esprimere la propria efficacia generativa3 (A.Magnaghi, 2005). Ragionare per scenari La seconda considerazione nasce dalla consapevolezza che i tempi di realizzazione di progetti di questa natura risultano sostanzialmente differenti rispetto alle capacità di programmazione degli Enti e, cosa più importante, rispetto al quadro delle esigenze espresso dalle comunità che abitano i territori. In questo contesto risulta importante che il progetto esprima una tensione rivolta
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all’elaborazione di una visione di futuro di un luogo, con esiti collocabili in tempi medio-lunghi, accompagnata da un insieme di proposte di intervento capaci di sperimentare da subito le soluzioni proposte, anticipandone l’attuazione, ed innescando processi d’uso fondamentali per dare sensatezza del progetto. Nell’attuale contesto la maggior parte delle interpretazioni relative ai fenomeni urbani contemporanei sembrano concordare sulla velocità e sull’apparente incontrollabilità delle trasformazioni in atto, in parte esito di fenomeni sovradeterminati4 (B.Secchi, 2002). Parlare di scenari, e non più solo di piani o di progetti urbanistici, significa interrogarsi su come sia possibile continuare a disegnare il futuro, riflettere sull’aggiornamento degli strumenti operativi confrontandosi con le variabili del cambiamento, con i molteplici sentieri di sviluppo del territorio contemporaneo. Diventa importante elaborare progetti che assumano una dimensione strategica articolata per scenari in modo da rispondere all’evidente necessità di ristrutturare le tradizionali pratiche di previsione e di programmazione, ormai inadeguate rispetto alla crescente com-
plessità dei fenomeni e al progressivo incremento della velocità di mutazione dei contesti. Scenari che debbono divenire strumenti di lavoro, funzionali alla valutazione della sostenibilità degli interventi ed alla verifica della corrispondenza alle aspettative delle comunità locali5 (M.A., Pidalà, 2014). Questo significa abbandonare la logica del progetto che prefigura “la soluzione” orientandosi ad un progetto che indica obiettivi da raggiungere e verifica soluzioni e percorsi attuativi che potranno, opportunamente verificati, configurarsi come un apparato argomentativo che supporta la realizzazione. Note: 1.Aperta nel 2003, la pista ciclabile sul tracciato dell’ex ferrovia tra Caltagirone e Piazza Armerina non ha mai realmente funzionato. Disegnato senza recinzioni e presidi, il bene pubblico ha visto sparire gli esili arredi e la gran parte delle piantagioni. Quelle rimaste soffrono la totale mancanza d’acqua e l’aggressione d’incontrollati infestanti. 2.La parte della pista ciclabile completata è il tratto da Ospedaletti fino a San Lorenzo al Mare, e misura 24 km; il tratto previsto da San Lorenzo al Mare a Finale Ligure è di oltre 56 km. 3.“da intendersi come capacità di genera-
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re effetti di medio e lungo periodo e conseguenze “relazionali” fra gli attori socio economici ed istituzionali che, in relazione a processi di “presa” sulle risorse del patrimonio territoriale, stimolano e consolidano percorsi e pratiche progettuali “dal basso”, tese a ridefinire e rinnovare alcune consuete modalità e paradigmi decisionali e di sviluppo locale. In altri termini si tratta di una efficacia, non misurabile sulla specifica azione contingente in cui nasce l’interazione fra saperi esperti e contestuali, ma che si misura, nel medio lungo periodo sul rafforzamento della “competenza”, capacità relaziona le e progettuale autonoma ed endogena degli attori dei diversi sistemi territoriali locali.” 4.“…Ciò di cui ci stiamo accorgendo e che numerose ricerche degli ultimi anni ci mostrano, almeno nel campo di studi del quale mi occupo, è che molti fenomeni, che in passato avevamo isolato tra loro e rinchiuso entro gli steccati di sempre più specifiche aree di ricerca e discipline, sono fondamentalmente sovra-determinati. Tra questi le trasformazioni della città e del territorio.” 5.“Lo scenario strategico non è una questione personale o solamente soggettiva, ma è frutto di un confronto che viene discusso con altri soggetti, è una tecnica di approssimazione della realtà applicata attraverso un sistema di soggetti sociali, che sono portatori di interesse; soggetti che contribuiscono all’individuazione di più soluzioni, su cui ipotizzare delle strutture progettuali di uno spazio urbano e territoriale.”
Bibliografia: N.M. Hansen.(1965), Unbalanced growth and regional Development, Economic Inquiry, Volume 4, Issue 1, pages 3–14, September 1965 A.Magnaghi (2005), “Il ritorno dei luoghi nel progetto” in Magnaghi A. (a cura di), La rappresentazione identitaria del progetto, Alinea, Firenze. A.Magnaghi (a cura di), (2007), Scenari strategici. Visioni identitarie per il progetto di territorio, Alinea, Firenze. M.Navarra (2003), “Sul tracciato ferroviario”, Lotus Navigator in n. 8 Giugno 2003, Editoriale Lotus. M.A.Pidalà (2014), Visioni, strategie e scenari nelle esperienze di piano, FrancoAngeli, Milano. B.Secchi (2002), Scenari, IUAV Giornale d’Istituto, n° 14, Venezia. B.Secchi (2005), La città del ventesimo secolo, Laterza,Roma-Bari. J.Tinbergen.(1982), Development cooperation as a learning process , International Bank for Reconstruction and Development, World Bank, Washington. R. Zancan (2012), Paesaggi addomesticati, Domus 964, Domus Editoriale, Milano. Linkografia: www.pistaciclabile.com www.teb.bergamo.it
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Fig. 1. Tavola di lettura del territorio, Magnacavallo
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L’Oltrepo mantovano. Il caso di Magnacavallo Andrea Bertozzi, Erika Frigerio
a cura di Silvia Marmiroli e Stefano Sarzi Amadè
Il territorio dell’Oltrepo mantovano è costituito da un paesaggio il cui valore ha tuttora un ruolo primario sia dal punto di vista naturalistico che di sviluppo produttivo e culturale e economico. Questo territorio, dominato dalla presenza imprescindibile del fiume Po e caratterizzato da una forte cultura agricola e rurale, ha visto negli anni svilupparsi un’evoluzione del settore terziario che si è rispecchiata anche in un progressivo e articolato ampliamento della rete infrastrutturale, che però attualmente presenta una frammentazione di percorsi e servizi, oltre che a un evidente abbandono degli spazi rurali e della cultura agricola, conseguenza di un graduale spostamento di residenti e di attività dalle campagne agricole verso i centri urbani più industrializzati. La proposta progettuale elaborata dagli studenti del workshop “Le Infrastrutture storiche. Una risorsa per il futuro”, si concentra sui temi dell’intermodalità, dei servizi, e sui valori culturali del paesaggio. Ognuno di questi temi vengono presentati con gli obiettivi da raggiungere e per i quali sono proposte alcune attività di riqualificazione, riorganizzazione e recupero dei manufatti.
Intermodalità e servizi L’obiettivo di questo ambito è quello di riorganizzare l’intermodalità tra le vie d’acqua, di ferro e d’asfalto, per rendere maggiormente fruibile il territorio ai residenti e ai visitatori, Gli obiettivi sono di potenziare il collegamento tra i servizi sovra locali, di recuperare le stazioni e di promuovere le relazioni a sostegno degli ambiti produttivi per attrarre nuove aziende e per richiamare più turisti. Il dialogo tra le vie naturali e di comunicazione viene potenziato pensando all’inserimento di infopoint e parcheggi scambiatori nei principali nodi infrastrutturali di Suzzara, Pegognaga e Poggio Rusco, e alla riorganizzazione dei porti turistici di Sermide e Felonica, valorizzando il loro collegamento con le stazioni ferroviarie. Per queste viene previsto il recupero dei manufatti degradati e l’inserimento di nuove funzioni, come attività commerciali, e di informazione turistica. Viene prevista la messa in sicurezza dei percorsi ciclopedonali, e la loro riqualificazione anche attraverso un miglioramento della visibilità degli accessi, e l’inserimento di aree presidiate per la custodia e la gestione di bici-
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Fig. 2. Tavola di progetto ed elenco degli interventi, Magnacavallo
clette a noleggio. Si presta particolare attenzione anche agli ambiti produttivi e dei servizi sovralocali, per i quali è prevista la riqualificazione all’interno dei diversi comuni, la riorganizzazione della rete di trasporto pubblico, e la ri-
strutturazione dei fabbricati obsoleti. A questi interventi è abbinata la proposta di nuove funzioni ad uso collettivo, la sistemazione di spazi verdi per la sosta e per la socializzazione. Il progetto ripropone il completamento del recupero
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dell’ex zuccherificio di Sermide, ricollegandolo alla stazione e alla teleferica verso il Po. Storia e cultura: L’identità storica di questo paesaggio, fatta di luoghi della cultura rurale, della religiosità e dei prodotti locali, costituisce un patrimonio tanto prezioso quanto talvolta poco valorizzato. In questo caso l’obiettivo del progetto è proprio quello di valorizzare gli elementi storici e culturali e la loro messa in rete, per migliorare la fruibilità e la consapevolezza dell’intero patrimonio. Nel dettaglio, i temi sviluppati mirano alla valorizzazione dei nuclei di antica formazione, per renderli fruibili da parte dei residenti e dei visitatori, al collegamento degli edifici religiosi di epoca matildica per proporre un itinerario storico e simbolico e ad attivare e promuovere lo sviluppo della rete museale. Le azioni previste per i nuclei storici riguardano il recupero degli edifici degradati, la riorganizzazione degli spazi verdi, e l’inserimento di nuove funzioni abbinate al miglioramento dei servizi esistenti. Per gli edifici religiosi viene proposta l’istituzione di una rete ufficiale delle chiese matildiche e la sua promozione anche tramite gli infopoint,
la riorganizzazione degli spazi pubblici adiacenti e limitrofi a questi edifici e, in particolare, il recupero della chiesa romanica di Santa Maria di Valverde a San Benedetto Po, un tempo dipendenza del monastero polironiano. Per la storia della ferrovia e della fabbrica Iveco si ipotizza di modernizzare almeno una sede espositiva, da dove istituire una rete ufficiale dei musei dell’Oltrepo mantovano. Paesaggio e tradizioni: Il terzo tema sviluppato nel progetto è legato alla cultura della tradizione agricola e del paesaggio, in relazione con il patrimonio ecologico ed enogastronomico. In particolare, si propone la valorizzazione degli edifici della cultura rurale minore, per rievocare il ruolo di questi luoghi e la promozione dei parchi dell’Oltrepo mantovano, per una maggiore fruizione, dei fattori ecologici e ambientali e per preservare la biodiversità. Per la pubblicizzazione della cultura enogastronomica, si pensa di valorizzare le colture e le tradizioni e di favorirne il mercato anche su scala sovralocale. Le azioni proposte nell’ambito rurale sono legate al restauro e riuso degli edifici del paesaggio agrario, all’in-
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Fig. 3. Tavola di concept progettuale, Magnacavallo
serimento di nuove funzioni commerciali, di vendita dei prodotti tipici e di piccole attività artigianali, e alla messa in sistema dei diversi complessi, anche attraverso una loro promozione con infopoint nelle stazioni riqualificate. Per l’ambito dei parchi, viene invece proposta la realizzazione di un itinerario
che colleghi i manufatti idraulici appartenenti al paesaggio della bonifica, e i complessi architettonici locali, inserendo punti di vista panoramici e aree di sosta attrezzate. Viene inoltre proposta l’istituzione di un parco delle cave a Magnacavallo, adiacente alla stazione ferroviaria.
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Fig. 4. La stazione di Magnacavallo.
Infine, per promuovere la cultura enogastronomica dell’Oltrepo mantovano viene proposta l’istituzione di una rete di vendita dei prodotti allestita all’interno degli edifici recuperati, degustazioni e visite guidate nelle aziende produttrici e di lavorazione dei prodotti, la loro promozione all’interno
di infopoint nelle stazioni, al fine di valorizzare la tradizione locale verso un mercato a livello sovralocale.
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Fig. 1. Lettura del territorio, il fiume Secchia
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Il caso del fiume Secchia
Jacopo Rettondini, Francesco Rinaldi, Christian Tezza a cura di Silvia Marmiroli e Stefano Sarzi Amadè
Il territorio dell’Oltrepo è l’ambito di studio di un altro gruppo di studenti che ha partecipato all’attività del workshop. Questi studenti hanno proposto un’ipotesi progettuale di riqualificazione delle aree vicine al corso del fiume Secchia. Anche in questo caso il progressivo abbandono delle aree agricole e la presenza delle infrastrutture è il tema di partenza per la fase di analisi. I manufatti legati alla cultura del territorio rurale, come le cascine e gli edifici della bonifica, condividono il territorio con strutture legate allo sviluppo della rete infrastrutturale, come le stazioni ferroviarie, i nodi e i parcheggi di interscambio. Molto spesso, tali manufatti sono in condizioni di degrado e di abbandono, causate da un allontanamento dei residenti e da infrastrutture che diventano obsolete. La stessa rete infrastrutturale, sia stradale che ferroviaria, presenta in più punti discontinuità e decadenza, con la conseguente necessità di integrare o di sostituire alcuni tratti e di rifunzionalizzare le parti degradate. In alcuni casi servono anche collegamenti materiali, che permettano un contatto con il territorio più continuo e intenso. La proposta progettuale elaborata si sviluppa attraverso tre ambiti
principali: le connessioni, gli ancoraggi agli elementi emergenti del territorio; la riqualificazione del sistema verde con interventi per la valorizzazione e per la conoscenza del territorio. Le connessioni: Il primo ambito per il quale viene proposto un intervento riguarda le connessioni pedonali e ciclopedonali. Viene pensata la strutturazione di un percorso dedicato alla mobilità dolce, inteso come asse ordinatore dell’intero progetto, lungo il quale sviluppare un itinerario didattico-culturale per la conoscenza delle opere di bonifica e del territorio golenale e della cultura agricola, rurale e gastronomica. A questo scopo vengono proposte la realizzazione di nuovi percorsi e la valorizzazione di quelli esistenti; l’installazione di sovrappassi che garantiscano il collegamento di nuovi percorsi con il tracciato della Bonifica attraversando, in alcuni punti, il corso del fiume Secchia; la rifunzionalizzazione di un percorso esistente, strutturato come un itinerario dedicato alla conoscenza degli impianti idraulici. A questo scopo, vengono individuati alcuni manufatti come, ad esempio, la Botte Sifone in prossimità del canale della Bonifica Reggiana. Viene inol-
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Fig. 2. Tavola di concept progettuale, il fiume Secchia
tre prevista la conservazione dei punti di sosta presenti, e l’integrazione con nuovi spazi di sosta che migliorino la fruizione dei percorsi. Ancoraggi: Il sistema delle connessioni, proposto come elemento di promozione della
tradizione agricola e della Bonifica, viene sostenuto dalla proposta di riqualificazione dei manufatti che di questa cultura sono le testimonianze fisiche. Gli impianti di sollevamento idrico sono elementi importanti delle opere di Bonifica, e ne viene proposta la valo-
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rizzazione attraverso la riqualificazione e la rifunzionalizzazione, anche per attività di tipo didattico e creativo e con la raccolta di documentazione storica. Le cascine storiche sono invece la testimonianza di una cultura rurale che con il tempo si è inevitabilmente affievolita in favore di una sempre più forte attrazione da parte dei centri urbani. La rivalorizzazione di questa tradizione agricola viene pensata attraverso la rifunzionalizzazione delle antiche corti di campagna con un ruolo ludico-didattico e turistico-ricettive. Possono essere immaginate attività di accoglienza dei turisti, come bed & breakfast e la proposta di piccoli punti vendita di prodotti enogastronomici locali, oppure spazi didattici dove raccontare ai bambini la storia contadina e dove essi possono toccare e vedere dal vivo la campagna. Gli interventi che interessano queste strutture vengono messe in comunicazione, anche con il territorio circostante, attraverso la rete ciclopedonale proposta dalla riqualificazione dei percorsi esistenti e dalla realizzazione dei nuovi tratti. Sistema del verde: Il terzo tema progettuale riguarda la valorizzazione del verde, inteso come
elemento che racchiude tutti i ca- ratteri di un territorio dalla forte identi- tà, troppo spesso trascurata. I filari di alberi sono l’esempio di questa identità, in quanto elementi che custodiscono importanti riferimenti alla storia e alla cultura delle campagne, talvolta completamente cancellati dal territorio. Il progetto prevede il ripristino di questi elementi, in modo da far riemergere il valore naturalistico del luogo, integrando il sistema delle piantumazioni in modo da evidenziare la presenza dei manufatti della Bonifica e da fungere da elemento di mitigazione verso le interferenze e l’inquinamento visivo, acustico ed ambientale di alcune infrastrutture, come la linea ferroviaria e la strada provinciale 41. Una grande attenzione viene data alla percezione, conoscenza e consapevolezza del territorio naturale, attraverso l’individuazione di punti privilegiati di osservazione del paesaggio, talvolta attrezzati con l’installazione di piccole torrette che permettano l’osservazione del sistema paesistico, della flora e della fauna locale. Nelle aree di sosta viene prevista la presenza di piccole e leggere strutture che possano illustrare e raccontare in chiave didattica la me-
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moria e le caratteristiche del paesaggio circostante. La riqualificazione del paesaggio naturale viene proposta riqualificando anche i parchi golenali e attrezzando gli spazi verdi. Altri interventi: Le proposte progettuali di valorizzazione del territorio e della cultura golenale vengono accompagnate dall’individuazione di alcuni interventi per migliorare e potenziare la fruizione degli spazi e dei servizi, anche esterni all’ambito di progetto. Viene pensata la rifunzionalizzazione del piazzale della stazione, attraverso l’installazione di strutture, come il bike-sharing, le aree di sosta e
di interscambio, punti di informazione e promozione; viene pensata anche una nuova pavimentazione del manto stradale che renda riconoscibile l’asse di collegamento verso l’argine Secchia, inserendo elementi di arredo urbano e paesaggistici. La proposta progettuale viene completata dalla messa in sicurezza degli attraversamenti pedonali, dei camminamenti, delle risalite e degli accessi, utilizzando, nei punti più critici, il sistema di controllo temporizzato.
Fig. 3. Fiume Secchia, costruzione della controchiavica ai Saliceti. Fonte: Biblioteca Mediateca Gino Baratta, Mantova, fondo Consorzio Bonifica Agro Mantovano Reggiano, CMR_5155
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Fig. 4. Tavola dei temi progettuali, il fiume Secchia
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Fig. 1. Lettura del territorio e carta dei temi progettuali, San Benedetto Po
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Altre proposte
Federico Bernardi, Matteo Borasca, Nicolas Bosi Marco Di Dodo, Francesca Giovannini, Sabrina Silva a cura di Silvia Marmiroli e Stefano Sarzi Amadè Nel corso del workshop, il paesaggio dell’oltrepo mantovano è stato l’ambito di studio per altre proposte progettuali. Due di esse sono focalizzate sul territorio dei centri urbani di San Benedetto Po e di Felonica, paesi strettamente legati all’identità del fiume Po e alla cultura rurale del territorio, che presentano testimonianze di storia e di tradizione molto forti. Anche queste due proposte hanno focalizzato l’attenzione sulla presenza del fiume e sull’identità agricola dei luoghi che, con lo sviluppo della rete infrastrutturale, presenta diverse criticità sia dal punto di vista della continuità e completezza della rete, che per l’impatto sul paesaggio. Di conseguenza, le proposte sviluppate si pongono gli obiettivi di riconnettere e di potenziare le diverse tipologie di collegamento, prestando attenzione all’impatto ambientale; di mitigare gli elementi di criticità favorendo la conoscenza, la consapevolezza e la valorizzazione del territorio, dei manufatti della tradizione e delle testimonianze storiche; di incentivare nuove attività per la tutela e per la promozione dei luoghi e dei loro prodotti.
San Benedetto Po La proposta degli studenti si sviluppa attraverso tre temi progettuali: le infrastrutture, il sistema insediativo, l’ambito ammbientale e paesaggistico. Nell’ambito del primo tema, viene pensata una riconnessione tra la rete ciclopedonale e la stazione ferroviaria, collegata al percorso lungo l’argine del fiume, potenziando i vari punti di interesse e inserendo servizi come il bike sharing, mentre la rete stradale viene ridefinita dalla riorganizzazione dei percorsi e dei nodi viabilistici attraverso l’istituzione di aree ZTL e la riduzione del traffico in alcune strade. Viene proposta la ristruturazione della stazione ferroviaria con l’inserimento di alcune attività, come ad esempio un ostello. La rifunzionalizzazione di alcune aree adiacenti alle principali piazze pubbliche, con particolare attenzione alla qualità urbana, favorisce inoltre lo sviluppo delle attività commerciali e culturali, mentre la tutela delle corti agricole, pensata attraverso una loro ristrutturazione che ne preservi l’originale valore, costituisce l’incentivo per la promozione della tradizione e dei prodotti gastronomici. Il tema ambientale e paesaggistico
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è sviluppato attraverso interventi che incentivino i visitatori a percorrere il territorio naturale della golena. Vengono pensati punti panoramici che valorizzino il teritorio del fiume e lo skyline dei centri storici, e aree verdi dedicate ai prodotti agricoli. Lo studio del sistema ambientale si concentra anche sulla mitigazione degli elementi critici e di inquinamento, attraverso barriere verdi e sistemi alberati lungo gli assi viabilistici golenali. Felonica La proposta progettuale focalizzata sul territorio di Felonica è anch’essa sviluppata attraverso i temi delle infrastrutture, del sistema insediativo e del contesto ambientale paesaggistico. Lo sviluppo del primo tema interessa il collegamento tra la rete ferroviaria e l’argine, riqualificato attraverso il recupero del sedime su ferro e il miglioramento del rapporto tra il paese e la sua stazione FS. Viene proposta la realizzazione e l’ integrazione dei percorsi ciclopedonali, coadiuvata da servizi di trasporto pubblico e dalla messa in sicurezza dei punti urbani critici, come gli attraversamenti pedonali per i quali viene pensato un sistema di segnaletica
interattiva. Il secondo tema è dedicato alla strutura insediativa, e in questo ambito viene proposto il recupero di alcuni manufatti, come cascine e corti rurali riqualificate per nuovi servizi, e per attività di supporto al turismo e alla promozione del territorio e dei suoi prodotti. Il terzo tema è focalizzato sulla proposta della realizzazione di un percorso agroalimentare, individuando le attività terziarie e i beni storici da valorizzare, in quanto elementi fondamentali per l’identità dei luoghi. Vengono inoltre individuati i principali punti di acceso all’argine per migliorarne la fruizione nel sistema già esistente di mobilità ciclopedonale, integrando i percorsi in relazione ai punti di interesse turistico e naturalistico. Vengono infine predisposti dei punti di visuale sul paesaggio in corrispondenza di alcune aree di sosta, specialmente sulle sommità arginali, e l’attenuazione dell’impatto ambientale causato da fabbricati e strutture incompiute, attraverso fasce verdi di mitigazione.
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Fig. 2. Lettura del territorio e carta dei temi progettuali, Felonica
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Scenario 1, 2 3.
Scenario di sintesi
Interventi diffusi
Interventi aggregati
Fig 1. Mappa degli interventi.Scenario 1: il ritorno del Merci
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Attraversamenti. Scenari territoriali 1 Erika Frigerio
Gli attuali fenomeni di trasformazione del territorio evidenziano un ritardo degli strumenti urbanistici, rispetto agli avvenimenti che dovrebbero controllare, anche a causa dei rimedi applicati troppo spesso a posteriori. Emerge la necessità di riflettere sull’aggiornamento di questi strumenti operativi, che devono orientare i cambiamenti di città e di territori e esplorare nuovi percorsi, con cui delineare una prospettiva futura per la società contemporanea. L’approccio dell’urbanistica, ormai carente nella gestione di politiche e risorse territoriali estremamente eterogenee, può essere superato attraverso l’adozione del metodo degli scenari strategici, in grado di fornire più ipotesi di sviluppo a partire dagli assetti attuali connotanti un territorio e dagli interessi degli stakeholders. Contestualizzando la tecnica degli scenari strategici per il territorio dell’Oltrepò mantovano e per la tratta ferroviaria storica della Suzzara-Ferrara, e sofffermandosi sulla porzione mantovana fin qui osservata, sono stati elaborati scenari differenti che propongono linee di sviluppo eterogenee aventi, tutti, come perno centrale la ferrovia. Ogni scenario è accompagnato da un
ideogramma di sintesi dei caratteri connotanti ogni direzione progettuale, che rende le ipotesi distinguibili tra loro. L’insieme delle variabili, osservate nella lettura della ferrovia e del suo territorio, ha consentito la selezione di ambiti strategici in cui concentrare le azioni di progetto: la distinzione netta degli interventi ha comportato lo sviluppo di tre scenari strategici primari, fortemente diversificati, e successivamente di un quarto scenario ricorrendo all’adozione di una matrice in cui si sono raccolte e gerarchizzate le varie azioni progettuali. Il primo scenario si intitola Il Ritorno del Merci ed è concentrato sulle questioni produttive ed economiche locali. Nonostante la Suzzara-Ferrara sia stata costruita principalmente per il trasporto delle merci, ora vige una significativa disaffezione ed un sottoutilizzo della tratta che ha perso il suo ruolo primario a servizio del comparto produttivo. Con una prima rilettura delle sue vicende passate si intende individuare situazioni innovative più adatte al presente e ad un ipotetico futuro, per riconferire alla linea una rinnovata funzionalizzazione per il trasporto merci e per renderlo più attrattivo per le nuove
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Fig 2. Mappa degli interventi. Scenario 2: Cultura e servizi in rete
Fig 3. Mappa degli interventi. Scenario 3: Fermare gli attraversamenti
aziende e per quelle esistenti. A questo scopo, si sono evidenziate le vocazioni produttive industriali ed agricole principali in grado di sviluppare e di qualificare nuovamente l’identità produttiva dei territori serviti dalla ferrovia. Il secondo scenario è Cultura e Servizi in Rete. La prospettiva è quella di attivare il potenziamento dei servizi lungo la tratta dei comuni interessati.
Lo scopo è di incentivare un processo di identificazione tra le nuove culture immigrate e quelle originarie, sfruttando le “forze endogene” dei comuni della linea. Le stazioni divengono elementi ordinatori e luoghi notevoli per la cultura locale, la fruizione dei servizi ed il turismo: ogni fermata deve identificare le proprie funzioni a supporto dei servizi urbani e turistici, divenendo
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Fig 4. Scelta degli interventi per il quarto scenario: re-infrastrutturare
luoghi di “coltura della cultura” anche con l’istituzione di presidi ecomuseali in corrispondenza di ogni fermata. Il terzo scenario è Fermare gli Attraversamenti ed affronta la percezione della ferrovia e del suo territorio come luogo di attraversamento, con cui raggiungere le connessioni intermodali con altre linee ferroviarie a Suzzara e a Poggio Rusco, con l’autostrada A22 a Pegognaga e con l’Eurovelo e la ciclovia Vento lungo il Po. Per porre ra-
dici forti e promuovere i luoghi della linea, l’obiettivo dello scenario verte sul potenziamento dell’importanza della ferrovia nel consentire a viaggiatori e residenti di fruire del territorio. In questo senso assume notevole rilievo l’intermodalità, oltre al profilo culturale, storico ed ambientale di queste terre. Come già accennato il quarto scenario, si intitola Re-Infrastrutturare e deriva dalla considerazione dei tre appena descritti e dalla messa a sistema dei
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Fig 5. Le azioni diffuse
Fig 6. Le azioni complesse
rispettivi interventi in una unica matrice. Le azioni di progetto, non sono considerate in chiave di semplice sommatoria, in quanto sono tutte rilevanti; esse sono gerarchizzate rispetto a tre diversi orizzonti temporali di tre anni ciascuno, pari a un totale di nove anni, cioè all’ orizzonte di realizzzazione di tutti gli interventi previsti dal piano. Lo scenario persegue più obiettivi, tra cui: quello che l’infrastruttura ferroviaria recuperi un suo ruolo e una sua nuova
caratterizzazione di opera in grado di ristrutturare i luoghi e di riconferire la vitalità di un tempo ai tessuti insediativi ampliando lo sguardo verso altri e più ampi orizzonti. Inoltre, la tratta deve tornare ad avere una sua funzione, attraverso l’attivazione di un processo di identificazione e di esaltazione dei valori culturali e produttivi locali. Suddividendo lo scenario Re-Infrastrutturare in tre archi temporali, la distribuzione delle azioni non avviene casualmente:
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gli interventi previsti sono catalogati in base al grado di priorità che assumerebbero in un’ipotetica realizzazione, dove alcune azioni riusciranno a compiersi solo successivamente alla realizzazione di quelle appartenenti alla fascia temporale precedente ed altre otterranno un notevole grado d’importanza in tempi successivi. Osservando la successione delle azioni distribuite lungo il tracciato della ferrovia, risulta evidente come alcune di esse si ripetano quasi costantemente, mentre altre riescano a caratterizzare determinati ambiti. Attraverso questa riflessione, le azioni di progetto sono state suddivise in due ulteriori categorie: le Azioni Diffuse, ovvero le proposte che interessano l’intera linea, e che si ripetono nella maggior parte delle stazioni; le Azioni Complesse, ovvero le proposte che interessano problematiche puntuali del territorio e che sono destinate alla specializzazione delle fermate nei diversi ambiti, in una prospettiva di coperazione e di complementarietà. A questo proposito risulta necessario evidenziare i significati attribuiti a alcuni termini. Per “specializzazione” si in-tende l’acquisizione di competenze e di abilità che ogni polo dovrà assumere
per acquisire un proprio carattere distintivo; mentre con il termine di “complementarietà” si fa riferimento a quelle soluzioni in cui più poli specializzati in uno stesso o più, ambiti possono coesistere se risultano sufficientemente distanti geograficamente tra loro, al fine di evitare che si contrastino a vicenda. Le Azioni Diffuse riguardano principalmente l’ambito ferroviario; mentre le Azioni Complesse interessano soprattutto l’intermodalità, l’industria, l’agricoltura, i servizi, i valori culturali ed ambientali. La distinzione delle azioni all’interno di diverse categorie ha comportato, quindi, l’individuazione di poli di rango superiore e poli che devono collaborare in quanto complementari. Il completamento di questa operazione risiede nella radicalizzazione delle differenze dello stato di fatto del contesto e nella esplicitazione di una proposta di piano sperimentale in grado di orientare le amministrazioni e i soggetti coinvolti nelle azioni sul territorio e nei rispettivi progetti. In questa fase si propone una territorializzazione dello scenario ReInfrastrutturare, indagando per ogni fermata quali azioni possono essere riportate nella rappresentazione grafica
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Fig 7 e 8. Due ipotesi di territorializzazione delle scelte dello scenario re-infrastrutturare: la prima individua tre polaritĂ , la seconda collega quattro realtĂ
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e quali appartengono invece ad un livello più astratto. Queste ultime sono dotate di una connotazione immateriale che può essere tradotta nella istituzione di reti di servizi culturali, e sociali e nell’assicurare la dovuta attenzione ai temi ambientali. Invece le azioni concretizzabili si esprimono nella promozione di aree industriali esistenti e nella individuazione di percorsi di fruizione da completare e di immobili da riqualificare. La territorializzazione dello scenario Re-Infrastrutturare ha consentito la individuazione di tre sezioni territoriali, rispettivamente dotate di tre caratteri distintivi: la prima può essere definita come quella del “polarizzare il discreto”, in cui Suzzara, Pegognaga e San Benedetto Po coesistono e funzionano come tre grandi poli autonomi messi in comunicazione tra loro grazie alla Suzzara-Ferrara; la seconda individua una situazione con più centri urbani e in cui, da Quistello a Poggio Rusco inclusi, si viene a formare un sistema di integrazione tra più servizi di mobilità anche grazie a fermate dove si realizza l’intermodalità; la terza si identifica con un ambito costituito da un sistema centripeto concentrato su Sermide, che
diventa il polo di maggiore importanza, ed è formato da una sorta di estensione che comprende Magnacavallo e Felonica. L’immagine che scaturisce dalla territorializzazione delle azioni di progetto del quarto scenario è quella di tre grandi costellazioni in cui: la prima è conno tata da tre centri pressoché autonomi; la seconda raccoglie quattro realtà, dove quelle alle estremità sono le più rilevanti; la terza, più ampia, ruota attorno ad un nucleo centrale ed unisce i territori di due comuni limitrofi. L’elemento unificante i diversi sistemi, lineare e centrale, è la linea ferroviaria ottocentesca. Note: 1.cfr-. Tesi di laurea magistrale. Politecnico di Milano, Polo di Mantova “La Suzzara-Ferrara re-infrstruttura il territorio:Uno scenario strategico per la pianificazione di area vasta” studentessa Erika Frigerio, relatore prof. Carlo Peraboni, a.a, 2015/2016
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Appendice
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Profili degli autori
Treu Maria Cristina Professore Ordinario di Urbanistica del Politecnico di Milano di cui è stata Prorettore Vicario e di vicepresidente della Fondazione. Tiene il laboratorio Fare Paesaggio presso il Polo di Mantova. Conduce studi, ricerche e nella pianificazione territoriale di area vasta. Tra le pubblicazioni si ricorda Città. Salute e Sicurezza(2009), la codirezione della collana La città e l’altra città (dal 2013) e la pubblicazione Per una città socievole (2015). Associazione “Amici della Ferrovia SuzzaraFerrara”: Roberto Santini Fondatore dell’Associazione Amici SuzzaraFerrara, è il principale conservatore e curatore della raccolta di materiale storico documentale e materiale della Ferrovia. E’ dipendente della FER (Ferrovie Emilia Romagna). Dante Maestri Sindaco per diversi mandati del Comune di Felonica (MN), è tra i gestori e animatori dell’Associazione e curatore di attività museali. E’ dipendente della FER (Ferrovie Emilia Romagna). Flavio Tiengo E’ titolare di uno studio fotografico a Torino, si occupa di grafica e di fotografia. Ha contribuito alla preparazione di tutti i libri pubblicati dall’Associazione negli ultimi anni. Fabio Malavasi Nato a San Benedetto Po [MN), ha raccolto attorno all’Associazione Amici della Ferrovia SuzzaraFerrara le persone interessate a non disperdere i valori morali e materiali della gente del territorio. Insegna all’Università di Torino: email Fabio.malavasi@unito.it Gianfranco Cavaglià Progettista di residenze, allestimenti, mostre; già ordinario di Tecnologia dell’Architettura presso il Politecnico di Torino; ha raccolto in libri e saggi e con esperienze dirette nuove possibilità di lavoro
nella valorizzazione del patrimonio esistente con una progettazione orientata alla autenticità, alla chiarezza, alla semplicità, con la partecipazione degli interessati e con il comune obiettivo di una minore ingiustizia. Teme la furbizia e la falsità. Fabio Ceci Architetto e dottore di ricerca in Pianificazione Territoriale e Mercato Immobiliare, esperto di pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale,insegna presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. E’ socio di Nord progetti srl di Parma e della Fondazione Alberto Crescini di Brescia, ed è stato socio di Caire di Reggio Emilia. Partecipa in veste di relatore a seminari e convegni e svolge attività professionale in italia e all’estero in qualità di progettista di piani e progetti. Paola Marzorati Pianificatore e Dottore di ricerca in progettazione paesistica, professore a contratto presso la Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano. Svolge attività didattica e di ricerca sulla pianificazione urbanistica, territoriale, paesistica e della progettazione del paesaggio. Autrice di saggi e articoli, pubblicati su volumi e riviste. Silvia Marmiroli Dottore in architettura con la tesi “Una Utopia? La Grande Mantova.”, aa 2013-2014; cultore della materia presso il Laboratorio Fare Paesaggio dal 2013 al 2016. Si occupa della presentazione di eventi. Cura rubriche fisse all’interno della rivista dell’associazione universitaria Starc Mantova “Versione”, e organizza l’immagine delle mostre del corso “Fare Paesaggio”. Dal 2012 è membro di AGAM, Associazione Giovani Architetti Mantova. Stefano Sarzi Amadè Dottore in Architettura con la tesi “Paesaggi agricoli da tutelare: il caso del Trincerone a Mantova”, aa 2010-2011; cultore della materia nel
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laboratorio Fare Paesaggio dal 2011 al 2016; si interessa delle discipline grafiche e informatiche e si occupa di allestimenti di mostre e di progetti tipografici. Tra le attività si ricordano i progetti grafici per i Paesaggi del Sacro. La chiesa come elemento ordinatore del territorio, gli articoli per la rivista universitaria “Versione”, e le mostre di elaborati del corso “Fare Paesaggio”. Carlo Peraboni Architetto, professore associato presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, svolge attività didattica presso la Scuola di Architettura e Società. È autore di saggi e articoli, pubblicati su volumi e riviste, sui temi dell’integrazione tra strategie di conservazione e tutela ambientale e progettazione urbanistica. Collabora alla redazione di studi e ricerche sul tema della pianificazione degli spazi aperti e delle reti ecologiche. Erika Frigerio Dottore in Architettura con la tesi “La SuzzaraFerrara Re-Infrastruttura il territorio. Uno scenario strategico per la pianificazione d’area vasta”, aa 2015-2016. Partecipa a workshop a sfondo urbanistico e paesaggistico all’interno del Politecnico di Milano e alla Summerschool dell’università IUAV di Venezia. Espone progetti a Mantova Architettura, e si classifica al terzo posto nel concorso Rinascimento 2015/2016 patrocinato da Lions Club Chiese Mantovano sul tema dell’ambiente.
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Della stessa collana
1. La città e l’altra città. Racconti ed esperienze in-disciplinate nella pianificazione anti-fragile AA. VV. a cura di Matteo Fioravanti e Margherita Bagiacchi, qart progetti acces_SOS; Iole Giarletta e Pasquale Persico, LAMA 2. Avant Garden. Il Paesaggio dei Community Gardens di Daniela Monaco 3. Per una città socievole. Le alterne fortune di piani e progetti a cura di Maria Cristina Treu 4. Urbanità e sicurezza a cura di Maria Cristina Treu 5. Fortezze e vie d’acqua a cura di Maria Cristina Treu e Fiorenzo Meneghelli 6. Appunti di un itinerario napoletano tra Chiaja e dintorni a cura di Giancarlo Ferulano
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