La città socievole

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Per una cittĂ socievole

Le alterne fortune di piani e progetti



La città e l’altra città

Collana diretta da Pasquale Persico e Maria Cristina Treu

Per una città socievole

Le alterne fortune di piani e progetti a cura di Maria Cristina Treu

In copertina: La Cattedrale Volante di Jan Kaeser e Matin Zimmermann. La mongolfiera è una replica dell’Abbazia di San Gallo, complesso religioso cattolico della città di San Gallo in Svizzera. L’Abbazia risale al 719 ed è stata dichiarata patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 1983. Fotografo: Böhringer Friedrich


Palazzo Bonaretti Editore srl Novellara (RE) Aprile 2015 Stampa e legatura DIGITALPRINTSERVICE via Torricelli, 9 200090 Segrate (MI)


A cura di: Maria Cristina Treu



Indice

Parte I Introduzione 7 Parte II Piani e progetti 72 Parte III Casi studio 153 Appendice Profili degli autori 229



Introduzione



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Introduzione

Prefazione Le parole dell’urbanistica Maria Cristina Treu 10 Per una città socievole. Non c’è solo il piano Maria Cristina Treu 12 Vincoli che trasformano la tutela in consumo. La fragilità delle aree protette Stella Agostini 28 Dall’esproprio alla perequazione: fattori di costo e di qualità in un bilancio costi e ricavi Riccardo Roscelli, Luisa Ingaramo, Stefania Sabatino 42


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Prefazione Le parole dell’urbanistica Maria Cristina Treu

Le parole che rinviano ai temi che possono essere ricondotti all’urbanistica comprendono il mondo nel senso che, accanto alla proliferazione interpretativa degli strumenti di piano, le più recenti esperienze della pianificazione e della progettazione urbana spaziano dalle questioni dell’ecologia a quelle della rigenerazione dei tessuti delle città affrontando i fattori fisici e sociali, la riqualificazione degli spazi pubblici, la valorizzazione delle aree agricole, il recupero degli sprechi e dell’abbandono delle risorse anche con il sostegno delle innovazioni energetiche e con le espressioni artistiche del design urbano. I progetti di piano incrociano più livelli istituzionali e più dimensioni problematiche, dagli aspetti strutturali della programmazione delle grandi opere e delle pratiche della mitigazioni alla deresponsabilizzazione nei confronti dell’approfondimento delle scelte di progetto anche per l’eccessiva ripartizione delle competenze tra troppi soggetti, dalla farraginosità di tutte le procedure decisionali soprattutto quando si interviene sul costruito alle difficoltà culturali nei confronti dei progetti attuativi, che richiedono maggiore immediatezza anche con

la sperimentazione di modalità d’uso temporanee come anticipazione e verifica delle stesse soluzioni definitive. La mia storia prende forma negli anni ’80/’90 con il riconoscimento istituzionale dei piani di area vasta di coordinamento provinciale e con la ricerca di inserire la tematica dell’ambiente e della valutazione nel processo di formazione del piano: al progetto urbanistico viene riconosciuta la valenza di bene comune, di quadro conoscitivo dei caratteri territoriali cui riferire le scelte urbanistiche attuative, le procedure di valutazione e le opere di compensazione. E’ questa l’esperienza che porta ad affrontare anche il progetto dei bordi urbani e la questione del consumo di suolo che con l’esperienza dell’Elogio della campagna, promossa dalle tre confederazioni degli agricoltori, e, poi, con la Carta di Matera approvata dalla Confederazione italiana degli agricoltori, cerca di coinvolgere i cittadini produttori e i cittadini consumatori nel riconoscimento del valore del beni e dei servizi della campagna. Oggi, questi temi si confrontano con le contraddizioni tra la città densa e l’altra città, quella delle densità rarefatte delle regioni metropolitane: la cerniera


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è lo spazio pubblico esteso al sistema delle reti verdi dell’ecologia urbana e ai progetti di risparmio energetico per come ognuno di essi può contribuire alla riqualificazione del territorio attraverso la dimensione multi segnica dei progetti di paesaggio. Il testo è un raccolta di riflessioni introdotte dalle asimmetrie presenti nella nostre vicende di piano nonostante l’acclarata riscoperta dello spazio pubblico, dalla fragilità dei vincoli difronte alla bulimia delle grandi opere e da un programma finalizzato alla contabilizzazione degli investimenti e delle rese di mercato a sostegno di scelte e di negoziazioni più consapevoli. La ricostruzione di un metodo sperimentato e attuato lungo un percorso che affronta più livelli di piano e di progetto è completato, nella seconda parte del testo, dai contributi che sottolineano l’importanza dei progetti di valorizzazione dell’agricoltura di prossimità e dalla esperienza di costruzione di una alleanza, nelle aree periurbane, tra conduttori dei fondi e i cittadini promotori di progetti urbani materiali e immateriali. I casi studio della terza parte del testo documentano i programmi di rigenerazione della rete degli spazi pubblici

urbani di più città: alcuni molto strutturati come il caso di Londra; altri avviati da tempo e utili riferimenti per i contenuti e per gli strumenti attuativi adottati; altri ancora rappresentativi delle contraddizioni oggi presenti tra la rincorsa all’architettura firmata e gli interventi di riqualificazione urbana e di risparmio energetico. L’obiettivo è aprire una riflessione sugli strumenti di piano e di progetto riconoscendo che solo la manutenzione attenta dei concetti che si nascondano dietro agli strumenti e alle parole più note e una ricerca appassionata di nuovi strumenti e di nuove esperienze potranno salvarci dall’invasione delle mode e da città che non fanno più comunità. Le parole del lessico urbanistico sono soggette a più interpretazioni con significati imputabili vuoi a emergenze tematiche vuoi a pratiche d’autore spesso improvvisate. Tra quelle che più ricorrono c’è il paesaggio, una parola a cui oggi si ispirano molti progetti di rigenerazione urbana e il cui significato tende a dilatarsi in ogni direzione: a ciò che vedo; a ciò che provo; a ciò che ricordo; a ciò che ascolto; a ciò che sento; a ciò che odoro; a ciò che penso di conoscere.


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Fig. 1: August Macke, Madre e bambino nel parco. Hamburg, Hamburger Kunsthalle.


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Per una città amica. Non c’è solo il piano Maria Cristina Treu

1. La riscoperta dello spazio pubblico e del valore d’uso. “La città è l’inizio della storia” e “la città ha inizio nei suoi luoghi pubblici, nei nodi dove possono essere poste nuove centralità, nuove accumulazioni di relazioni e di sensazioni”1: due affermazioni che ci ricordano come la città sia il luogo della conoscenza e dell’innovazione dove si formano e vivono le comunità sociali e dove l’agorà è, al contempo, spazio privato e pubblico, la metafora di luogo dove si possono confrontare problemi privati e pubblici e possono prendere forma idee e valori condivisi. Anche per questo l’uomo ha sentito l’esigenza di tutelare la città, prima con opere di difesa, poi con strumenti di organizzazione del suo sviluppo e, in epoca moderna quando la città diventa oggetto di studio della disciplina urbanistica, con il progetto di piano urbanistico che si è dato regole insediative2 secondo gli ordinamenti giuridici e amministrativi dei diversi stati nazionali. Sono gli anni in cui le città abbattono le proprie mura e si avviano verso l’espansione metropolitana, realizzando le gallerie commerciali, le esposizioni internazionali, le stazioni, gli insedia-

menti produttivi e i grandi quartieri residenziali in nuovi e più estesi ambiti extra moenia. Le città si organizzano in continuità con il proprio passato e si specializzano sulla base delle relazioni economiche e della dotazione di reti di trasporto e tecnologiche. L’industrializzazione e il progresso sociale e economico spingono verso l’ottimismo e fa apparire l’espansione urbana un fenomeno controllabile con gli strumenti urbanistici di governo dei processi di crescita demografica e insediativa. Dalla metà del secolo XX, con l’avvento dell’informatizzazione e con la riorganizzazione dei processi produttivi e dei mercati, tutto cambia con una velocità maggiore di quanto non sia avvenuto nei periodi precedenti. Mentre le capitali storiche mondiali mantengono il controllo delle risorse e delle relazioni geopolitiche e la potenza della tecnologia fa apparire tutto possibile, la crescita demografica delle megalopoli e delle economie extraeuropee tende a insidiare il primato delle città di matrice europea. Tutto il mondo, come dice Augè, sembra essere diventato una sola grande città, l’urbanizzazione diventa sinonimo di globalizzazione e gli stessi architetti costruiscono in tutte le città e


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tutte si assomigliano. Ogni cosa diventa oggetto di consumo, compresa la cultura, la sensibilità e l’emotività, mentre l’ombra lunga delle crisi, dei conflitti e delle catastrofi ricorrenti fa crescere nei singoli l’indifferenza e l’incertezza nei confronti del proprio futuro3. Tuttavia, ogni città racchiude molte differenze tra zone di marginalità e di sottosviluppo e altre con una forte immagine attrattiva: un complicato sistema insediativo e di relazioni, dove emergono i luoghi di consumo e i nodi di connessione che registrano il passaggio e gli spostamenti quotidiani. Il contrasto con l’ottimismo e con l’idea di città di un passato recente è disorientante e alimenta il distacco e il senso di insufficienza nei confronti dei più raffinati strumenti di governo, soprattutto, rispetto alla capacità delle città di costruire comunità. La società è attraversata da divisioni sociali che interessano tutti gli schieramenti e che si esprimono soprattutto con la diversità dei comportamenti tra chi cerca un più facile consenso popolare, chi ritiene di poter prendere drastiche decisioni e chi cerca di ricostruire relazioni di solidarietà. Queste sono alcune delle tante motivazioni che hanno portato alla riscoperta

recente dello spazio pubblico, un luogo per attivare la partecipazione della cittadinanza e per arrestare la tendenza alla solitudine indotta dagli eccessi della privatizzazione, della depoliticizzazione e della radicalizzazione delle posizioni. Ciò che interessa non è la forma più o meno grande e studiata di una piazza capace di far circolare moltitudini di consumatori, ma la capacità di seduzione e di attrazione di un luogo come quella di molti spazi che conservano i segni dell’accoglienza. Nelle città della storia questi sono spesso spazi pubblici e privati la cui forma, che può essere anche irregolare e residuale, si legge solo in pianta, non quando la si usa e la si frequenta4. In Italia, la crescita delle città è un fenomeno relativamente più recente rispetto a quanto avvenuto in altri paesi europei così come l’approvazione di una legislazione urbanistica nazionale e regionale e la sua applicazione a livello comunale5. Tuttavia, da subito, il piano urbanistico incontra fortune alterne: è caricato di valori e di ruoli, in alcuni periodi, ed è accusato di rigidità e di inefficace, in altri. Accompagnato da incertezze e da dubbi il piano si è trovato a dover affrontare interpretazioni controverse:


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ieri, quando Giovanni Astengo, rappresentante riconosciuto della scuola urbanistica, sosteneva che il piano è una tigre di carta; oggi, quando, come strumento di governo del territorio, si trova a dover sostenere l’onere di ogni prova e a essere oggetto di attese che spesso non gli competono. L’inarrestabilità dei fenomeni dell’urbanizzazione e la crescita della sensibilità nei confronti della difesa delle risorse ambientali impone a ogni amministrazione di dotarsi di uno strumento di piano che ne possa orientare le strategie, le scelte strutturali e operative con declinazioni coordinate a più livelli istituzionali pubblici e privati. L’esito è la moltiplicazione di piani, spesso distinti da neologismi esperti, che, con l’eliminazione della gerarchia tra i livelli di piano e con la separazione tra strumenti programmatici e quelli operativi, si propongono l’obiettivo di mettere in coerenza le scelte strutturali e di rendere più congruenti ai cambiamenti della domanda gli interventi nel momento in cui si realizzano6. Diventa evidente l’asimmetria tra le narrazioni degli strumenti programmatici con le loro linee di indirizzo e l’operatività dei programmi e dei progetti di riqualificazione urbana, soggetti

alla negoziazione tra soggetti pubblici e privati e alla farraginosità della regolamentazione attuativa. E soprattutto diventa evidente il contrasto tra le previsioni di una stagione in cui gli strumenti urbanistici ereditati sono appesantiti da un rilevante pregresso insediativo e da pesanti ipoteche economiche e gli obiettivi di una nuova stagione in cui l’attenzione si focalizza sulla prospettiva di un consumo di suolo zero e sulla domanda di riqualificazione dei servizi e delle attrezzature pubbliche. È l’effetto della crisi recente, innescata dalla bolla monetaria, che ha reso più evidenti gli eccessi di una offerta di costruzioni alimentata da troppo facili formule di acquisto e la difficoltà di avviare progetti di rigenerazione urbana e sociale e di nuovi modelli d’uso della casa e del territorio con l’accesso a più diversificati servizi urbani. Il paesaggio dell’urbanizzazione metropolitana appare caratterizzato da una sequenza di tessuti costituiti da grandi e piccoli centri storici, da comparti della città ottocentesca, dalla diffusione insediativa di manufatti produttivi e residenziali del novecento, da una presenza di centri commerciali e terziari e da una rete di tracciati viari che intersecano


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territori abitati e spazi abbandonati. In questo paesaggio tendono a prevalere i quartieri impersonali delle abitazioni rifugio per famiglie mononucleari e per persone sole, tessuti insediativi anonimi dove, con le difficoltà delle relazioni intergenerazionali e interculturali e dei rapporti sociali prevalgono la diffidenza e la paura. La manifestazione più evidente di questa fenomenologia è la perdita di qualità degli spazi pubblici di relazione nonostante gli episodi di grandi e piccoli interventi di riqualificazione urbana dove si ripetono le forme dei grattacieli d’importazione e il modello di rigenerazioni dei nuclei storici come centri commerciali naturali. I nuovi spazi pubblici in cui capita di imbattersi sono pensati per attrarre folle di consumatori, non per una comunità che in essi vive e svolge le proprie attività quotidiane. Questi spazi si assomigliano tutti e sono talmente pubblicizzati che il visitatore sa già cosa vi troverà e, come i grandi centri commerciali, sono in alcuni giorni troppo pieni, in altri troppo vuoti, oppure vengono dedicati in alcuni momenti per tutti giovani, in altri per tutti ricchi e vecchi7. Tuttavia, la riscoperta dello spazio pubblico e di

uso pubblico ha innescato l’interesse di molti cittadini non solo per rivendicare più spazi verdi e di salvaguardia delle aree non costruite e ha attivato molti interventi di riqualificazione di spazi abbandonati, di aree previste a standard e mai progettate, di lotti liberi non ancora costruiti e di tanti manufatti dismessi. Assieme alla domanda mai soddisfatta di alloggi e servizi a costi d’uso più accessibili questo è il tema oggi presente nel processo di formazione del piano e più sentito da chi vive nelle aree urbanizzate delle regioni metropolitane; un tema che ben si collega con i progetti delle reti di connessioni tra gli spazi verdi urbani e quelli extra urbani integrati da percorsi di mobilità dolce e da iniziative per un ritorno alla conoscenza della terra e della natura. Le proposte sono promosse, e spesso realizzate, da gruppi di cittadini al di fuori delle previsioni di piano, riprendendo le esperienze di riqualificazione di spazi residuali già iniziate da tempo in altre città, come i giardini di comunità di New York, e rivendicando la possibilità di destinare a utilizzi temporanei molte aree in attesa di essere costruite e gli spazi di molti manufatti sottoutilizzati o abbandonati8. Mentre


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le grandi infrastrutture e i grandi progetti di riqualificazione urbana sollevano dibattiti e frequenti opposizioni che trovano molto seguito nei quotidiani e nei rapporti degli esperti, i progetti che documentano la sistemazione di questi spazi pubblici sono meno pubblicizzati anche se permettono di riscoprire, oltre ai valori e ai tempi della natura, il valore economico indotto nell’intorno costruito dal riutilizzo di uno spazio degradato. Non tutte le iniziative promosse dalla cittadinanza attiva riguardano la progettazione di spazi aperti o di manufatti dismessi: la gamma di esperienze è molto più ampia, va dalla semplice apertura della propria casa a momenti di incontro anche informali; all’installazione di edicole per garantire servizi informativi e di ristoro in zone prive di servizi sotto casa; alla realizzazione di attrezzature non invasive in piazze e in aree verdi sotto utilizzate e al collegamento di queste aree con più quartieri residenziali tramite una rete di percorsi sicuri per tutti. Gli effetti di queste esperienze sono molteplici e vanno ben oltre all’ incremento del valore di mercato delle zone più direttamente interessate: sono esperienze che testimoniano le opportu-

nità di una polis amica e più socievole contro la solitudine del cittadino globale9 con iniziative dove prevalgono i temi dell’integrazione multiculturale e i modelli auto organizzati di rigenerazione urbana: l’entelechia di cui parlavano anche gli antichi greci10. Tutte queste esperienze possono contribuire al rinnovamento degli strumenti di governo della città anticipando modalità di uso temporanee con soluzioni progettuali e amministrative per riutilizzare manufatti e singoli spazi abbandonati. È la ricerca di rivitalizzare i tessuti urbani promuovendo nelle zone monofunzionali l’insediamento di una grande varietà di mix funzionali e di attività di vicinato ricorrendo a più criteri di intervento e di convenzionamento, che possono essere sperimentati dalle stesse amministrazioni e dalle comunità, laddove la città programmata ha più difficoltà di successo11. 2. La disciplina urbanistica. Asimmetrie e dimenticanze. Nel dibattito attuale, la disciplina urbanistica oscilla tra più scuole, quelle influenzate da argomentazioni estetiche e sociali, quelle radicate in diversi campi del sapere tecnico e quelle che cerca-


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no di integrare nel piano le tematiche ambientali. Le sovrapposizioni tra i diversi approcci al progetto di piano, pur differenziandosi nelle interpretazioni e nelle soluzioni, sono frequenti: da qualche anno tutti ripropongono il tema del contenimento dell’uso del suolo e della rigenerazione dei tessuti urbani esistenti. Mentre, sullo sfondo, si sottovalutano le difficoltà operative e l’urgenza di riflettere sulle esperienze già compiute e sulle contraddizioni nel merito tra la strumentazione generale di area vasta, quella locale e degli strumenti attuativi. La ricostruzione della sequenza delle azioni di progetto e la valutazione delle trasformazioni urbane diventano passaggi centrali non solo per l’avanzamento della disciplina, ma anche per opporsi alla tendenza di inseguire la riproposizione di temi e di ideologismi di moda, cancellando la memoria e evitando il confronto nel merito di più esperienze non necessariamente solo italiane La strumentazione urbanistica pensata per dimensionare la crescita della popolazione e la dotazione di abitazioni e di servizi deve rivedere il proprio punto di vista urbanocentrico e integrare gli standard urbanistici con gli standard

ambientali12 in un sistema di valutazione da impiegare unitamente a bilanci multi criteri delle scelte e degli effetti del piano.

Fig. 2: cfr; Territorio n. 8 1998. Op. cit nota n. 12

Gli approcci di progetto che integrano i fattori urbanistici e ambientali non possono trascurare gli scenari di riferimento alla scala ampia e i caratteri del contesto a livello della mesoscala e di singolo luogo. È una considerazione che riguarda la strumentazione tecnica di ogni piano, da quella del piano urbanistico generale a quella di ogni altro piano e azione con implicazioni territoriali, e che solleva il problema di dotarsi di un sistema di conoscenza su cui far convergere più apporti disciplinari e una più ampia condivisione, oltre che nei confronti degli obiettivi, nella


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accettazione dei limiti e delle soglie da rispettare. Ogni livello e tipo di piano si sviluppa nell’ambito di un più ampio processo di governo del territorio: questo richiede di adottare una coerenza programmatica nel merito delle scelte di pianificazione e urbanistiche di più soggetti istituzionali, pubblici e privati, ciascuno con una responsabilità specifica nell’applicazione non formale delle procedure e dei criteri di scelta. In questo processo, non mancano gli strumenti, manca - per quanto riguarda la disciplina - l’accordo su come implementare la strumentazione tecnica di ogni livello di piano e su come distinguere le responsabilità nell’identificazione dei fattori da tutelare e da valorizzare: da quelli a livello di scala vasta per orientare le scelte e evitare le localizzazioni a rischio a quelli a livello di singolo comune per garantire la salvaguardia delle risorse, le funzioni insediative e i servizi alla popolazione. Il governo del territorio richiede strategie di lungo periodo e una declinazione coerente delle scelte più direttamente operative che facciano leva sui punti di forza del territorio per valorizzare ogni risorsa, per rimuovere le criticità e mitigare i rischi per la salute e per la

sicurezza di ogni comunità13. Le maggiori contraddizioni non emergono nelle narrazioni introduttive dei documenti strutturali di piano: esse emergono nelle grandi e piccole scelte di ripartizione tra gli usi del suolo che formalizzano le scelte e che spesso rinviano alle valutazioni tecniche di funzionari e di consulenti esperti, troppo spesso confinati nell’ambito di continue mediazioni tra le pressioni di valorizzazione fondiaria e dei movimenti di opinione, le attese imputabili al ricorso della perequazione urbanistica, le distorsioni della compensazione e la ridondanza delle incentivazioni ecologiche e sociali. La riflessione e il confronto sui documenti programmatici e sull’attuazione degli interventi di piano evidenziano quelle che sono le asimmetrie che più incidono sulle difficoltà operative degli strumenti urbanistici, oltre a due questioni oggetto di colpevoli dimenticanze o sotto valutazioni. Innanzitutto, possiamo individuare le asimmetrie di natura riflessiva con ricadute attuative come: a) quelle tra studi teorici e lo studio di casi di buone pratiche, cioè tra le elaborazioni interpretative dei fenomeni


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urbani e territoriali e le riflessioni sul percorso di attuazione dei progetti urbani laddove i primi si fermano a livello di grandi narrazioni e i secondi sulla valutazione di progetti spesso non ancora attuati, oppure attuati parzialmente, e non verificabili rispetto ai criteri di valutazione delle attese enunciate; b) quella tra la pianificazione strategica dei piani di area vasta14 e le scelte insediative dei singoli comuni, cioè le contraddizioni tra gli scenari di lungo periodo e gli interventi soggetti ai tempi e alle pressioni di una quotidianità non sempre virtuosa e che può sfruttare le zone d’ombra tra gli strumenti urbanistici, i decreti e i regolamenti ministeriali e i cambiamenti di governo delle amministrazioni locali. Altre asimmetrie interessano le contraddizioni nell’applicazione della strumentazione tecnica urbanistica e nella sua interpretazione nei confronti dei destinatari pubblici e privati, come: a) quella tra i tempi di formazione del piano e i cambiamenti della domanda sociale, in particolare tra i criteri di zonizzazione e i cambiamenti delle domande insediative laddove la compatibilità/incompatibilità tra le destinazioni d’uso previste e quelle da modificare

richiede una nuova valutazione e la rivisitazione degli standard urbanistici e di quelli ambientali; b) quella tra la durata a termine del vincolo su aree destinate a servizi pubblici e quella senza scadenze delle destinazioni insediative su aree private, difformità che accentua le difficoltà dei comuni rispetto all’obiettivo di dotare la città di una organizzazione sostenibile con più servizi e più spazi di uso pubblico. Un ulteriore livello di asimmetrie riguarda le differenze tra le legislazioni regionali e tra queste e quelle statali, particolarmente evidente nella loro applicazione nei confronti delle scelte sostenute da grandi interessi piuttosto che nelle operazioni della quotidianità, come: a) l’assenza di norme statali nei confronti del consumo di suolo, in particolare la carenza di risorse a sostegno dell’obiettivo di privilegiare la ricostruzione sul costruito, tutelando le aree agricole dall’applicazione della perequazione urbanistica, contestualizzando e privilegiando i tracciati infrastrutturali su ferro e governando la localizzazione dei grandi manufatti tecnologici e commerciali che tendono a


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occupare aree libere15. b) il ritardo nell’adeguamento della legge urbanistica nazionale che non può fermarsi all’enunciazione di principi generali di fronte alla necessità di allineare le diverse interpretazioni della perequazione urbanistica, di chiarire la tutela delle aree agricole, di rivisitare i criteri di compensazione, di unificare quelli della incentivazione e di attribuire efficacia giuridica a strumenti come il Master Plan/Documento Quadro, i Parchi Locali di Interesse Sovracomunale e la Rete Ecologica16. c) la sovrapposizione tra responsabilità professionali e tecniche e quelle politiche nell’adozione di criteri per il rilascio delle concessioni a edificare, spesso riconducibili alle difformità di interpretazione degli interventi per la tutela del paesaggio e per le mitigazioni ambientali da imputare ai progetti di trasformazione urbana e alle grandi reti di trasporto piuttosto che a interventi di piccola dimensione17 nel confronto dei quali l’accanimento normativo e burocratico non fa sconti. Sullo sfondo due questioni rimaste irrisolte da tempo e poco presenti nel recente dibattito urbanistico. Mi riferisco, da un lato, alla necessaria,

e già citata, rimessa in gioco della legislazione urbanistica nazionale che oltre a non fermarsi ai principi, chiarisca le responsabilità del contributo delle tecniche e dei funzionari e dei professionisti nella valutazione delle scelte e nel bilancio tra costi, ricavi privati e tra costi e benefici sociali a ogni livello di piano rispetto al ruolo delle scelte politiche piuttosto che amministrative e giuridiche. In un periodo in cui i cambiamenti nelle relazioni sociali e economiche avvengono in tempi che generalmente sono più rapidi delle trasformazione dei sistemi urbani e territoriali, l’intesa sui principi e sulle tecniche giuridiche non può che essere preceduta e accompagnata da accordi tra le tecniche urbanistiche in merito ai criteri di scelta e di valutazione per la tutela delle risorse sociali, economiche e ambientali. Il richiamo al contributo delle competenze tecniche implica il riconoscimento delle professionalità che non possono esimersi dall’impegno etico del praticare una più responsabile autonomia rispetto al sistema delle convenienze di ogni tipo di committenza politica. La pianificazione territoriale è lo strumento da adottare per evidenziare aree


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Fig. 3: Schema delle fasi di valutazione della sensibilità e della vulnerabilità, delle potenzialità e delle compatibilità d’uso del suolo, delle scelte e delle verifiche di piano e degli interventi attraverso bilanci tra i vantaggi e gli svantaggi.

e abitati favoriti dalle grandi opzioni di sviluppo e dalle trasformazioni indotte mentre il piano urbanistico comunale è lo strumento che, nel contesto delineato dallo scenari di più ampia scala, deve dimensionare insediamenti, compensazioni e mitigazioni territoriali e paesaggistiche: due livelli per i quali è opportuno evitare, come avviene troppo spesso, che le autorizzazioni e le stesse mitigazioni e compensazioni debbano essere negoziate e rinegoziate a livello dei cambiamenti amministrativi e dei

rapporti con ogni amministrazione locale. D’altra parte, mi riferisco a una questione che è parte in causa nell’applicazione del principio della perequazione urbanistica e che riguarda la distinzione non risolta dalla L.10/1977 tra il diritto ad edificare e il diritto di proprietà del suolo18. Uno strumento e una legge che di fatto mantengono i soggetti pubblici e privati impegnati nella competizione dell’innovazione sociale ed economica subalterni rispetto alla tirannia del-


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la rendita fondiaria e agli interessi di una resa finanziaria, sempre più estranea anche allo stesso prodotto urbano e interessata piuttosto “all’acquisto di un diritto giuridico extraeconomico, pagato e riconosciuto dall’oligopolio bancario come anticipo di un possibile superprofitto”19. L’urgenza di riaffrontare la questione della proprietà privata e di una sua differenziazione interpretativa rispetto alle modalità d’uso dei suoli e dei beni immobili è sottolineata anche dal crescente abbandono e degrado del patrimonio demaniale20. Inoltre, dobbiamo prendere atto di valori immobiliari sovrastimati a fronte di una progressiva perdita di valore del patrimonio edilizio, spesso sottoutilizzato e invenduto anche se di nuova costruzione non solo per la crisi del mercato edilizio. In questo contesto, le difficoltà degli interessi degli operatori immobiliari è certamente di natura economica ma spesso è anche una questione culturale che ostacola la stessa ricerca di soluzioni nuove come quelle proposte dalle esperienze di uso sociale e di valorizzazione della stessa proprietà privata. L’investimento nell’edilizia non può più continuare ad essere l’unica soluzione per la tutela del risparmio delle

famiglie, né l’unico strumento volano per far ripartire l’economia. In questa logica il piano stesso, con i suoi principi e con le sue regole, deve essere riconosciuto come un bene comune immateriale: un quadro di riferimento, costituito da scenari con obiettivi di lungo periodo e da regole e criteri cui assegnare il ruolo di orientare le scelte in una logica di conciliazione e di nuova alleanza con le risorse e i tempi della natura: nel caso del settore delle costruzioni verso interventi di messa in sicurezza del territorio e della cura del paesaggio e della rigenerazione del costruito e degli spazi pubblici. Questo è l’obiettivo che ci deve far riflettere sui contenuti e sulle tecniche del piano urbanistico recuperando i contributi virtuosi di molte esperienze di piano e delle pratiche di comunità, soprattutto come antidoti alla indifferenza sociale che la martellante insistenza sui soli casi del malaffare sta producendo. La prospettiva è lo sviluppo di una cultura del fare positiva che sostenga un approccio capace di praticare ogni spazio di possibile innovazione nell’ambito di una struttura di piano dialogico che si alimenti attraverso l’attuazione di interventi progettuali e amministrati-


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vi e in cui si riconosca la centralità della partecipazione della cittadinanza attiva e della valutazione per alimentare un sistema di conoscenza e di regole condiviso e autonomo rispetto al rischio di strumentalizzazioni di parte.

Fig. 4: “Riviviamo la piazza” esperimento di rigenerazione urbana partecipata promosso dal gruppo “Reazione a Catena” coordinto da Antonia Araldi, ArciFuzzy, Valletta Valsecchi, Mantova, Ottobre 2014.


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Note 1) In apertura due citazioni, la prima, molto famosa, di Carlo Cattaneo e la seconda tratta dalla dichiarazione del Congresso CIAM tenutosi a Bergamo nel 1959. 2) Cfr., quando le città, a partire dall’800, si ampliano e si prende coscienza che, per prevenire le malattie, è necessario garantire la salubrità delle condizioni abitative. Per maggiori approfondimenti cfr., Guido Zucconi, La città dell’800, Laterza 2001 3) Se le città si assomigliano tutte, come dice Augè, la responsabilità è anche di famosi architetti che, progettano ovunque lo stesso edificio, o, come dice Koolhas, “ fuck the context”. Ma è anche l’effetto di un processo inarrestabile dell’urbanizzazione del mondo per cui si rimanda al testo di Jacques Véron, L’urbanizzazione del mondo, Il Mulino, 2006. 4) Nelle nostre città sono numerosi gli spazi apparentemente residuali, angoli appena separati dalla strada come tanti piccoli sagrati davanti a una chiesa o al fianco di un palazzo storico: un esempio la piccola area inclinata davanti al Battistero di Mantova nella Piazza del Mercato. 5) L’Italia è il paese della molte città, mediamente di piccole e medie dimensioni, e rimane fino alla fine della seconda guerra mondiale un paese prevalentemente agricolo. La parità tra popolazione urbana e popolazione agricola si registra nel 1950; la prima legge urbanistica nazionale è la L. 1150/1942 la cui applicazione è sospesa con l’istituzione, nel 1948, prima dei Lavori a Regia e poi dei Piani di Ricostruzione e poi applicata per più di un decennio, solo ai comuni capoluogo. 6) Negli ultimi decenni, la legislazione regionale

attribuisce alla strumentazione urbanistica più interpretazioni e più denominazioni, mentre, a livello centrale e degli enti locali, sono adottati più programmi di intervento integrati tra operatori pubblici e privati e sono avviate le esperienze dei programmi strategici e di strumenti come il master plan, una sorta di piani quadro non prescrittivi e non previsti nei nostri ordinamenti. Cfr., per un approfondimento, AAVV, I programmi complessi, innovazione e piano nell’Europa delle regioni, Sole 24 Ore, 2000 7) I grattacieli urbani, che Wright definiva uno stratagemma meccanico, non sono solo una innovazione strutturale ma anche una innovazione sul come concepire la vita della comunità urbana. Il problema della città moderna è come far parlare queste strutture per rimuovere la neutralità degli spazi che li accompagnano e perché questi spazi non rischino di diventare luoghi in cui si scoraggia il rapporto conviviale diretto, non mediato tra i cittadini, luoghi in cui per paura di esporsi si cerca protezione nella dimora, rifugio”, Richard Sennet in “La coscienza dell’occhio”, Feltrinelli, 1992 8) Cfr., l’origine e la diffusione dei comunity gardens nel testo di Daniela Monaco, “Avant Garden. Il paesaggio dei Community Gardens”, Palazzo Bonaretti editore, Novellara (R.E.). 2013. Il testo evidenzia la diversità di ogni giardino quando è espressione di diverse culture e il ruolo di questi interventi di recupero e di riuso degli spazi abbandonati nell’incremento anche del valore di mercato dei tessuti insediativi nel loro intorno. Per altre esperienze di comunità e di progetti di verde temporaneo e preventivo, gestiti in alcuni casi con lo strumento di convenzioni tra


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pubblico e privato.per si veda, AA.VV., “La città e l’altra città”, Palazzo Bonaretti editore, Novellara (R.E.), 2013 9) Cfr., Zygmunt Bauman in, “La solitudine del cittadino globale”, Feltrinelli, 2000 quando, ricorda che, con il mito della libertà individuale, si rischia di perdere l’importanza della dimensione di comunità: “E’ possibile che l’aumento della libertà individuale coincida con l’aumento dell’impotenza collettiva in quanto i ponti tra vita pubblica e vita privata sono stati abbattuti, anche se non esiste un modo semplice e ovvio di tradurre le preoccupazioni private in questioni pubbliche e, inversamente, di identificare e mettere in luce le questioni pubbliche nei problemi privati” 10) Cfr., come dice Aristotele la capacità delle comunità di auto rigenerarsi quando mantengono un equilibrio nella struttura sociale e economica con regole e limiti di sviluppo condivisi; oggi, diremmo che ogni contesto e ogni comunità deve essere resiliente. 11) Per esempio ricorrendo, come nel caso dell’attuale amministrazione di Milano, a bandi di assegnazione di spazi pubblici a prezzi convenzionati e in caso di aste deserte, con assegnazioni dirette a associazioni di cittadini. Una risposta certamente più efficace di quelle che alla domanda di spazi e volumi per iniziative, possibili fonti di disturbo per le vicine abitazioni, si risponde con l’individuazione di spazi isolati dove costruire grandi strutture utilizzabili secondo norme e procedure complicate e con costi rilevanti: soluzioni certamente meno flessibili, scarsamente accessibili e con alti costi anche di manutenzione per le amministrazioni pubbliche o per i privati che le gestiscono.

12) Cfr., Maria Cristina Treu (a cura di), Standard urbanistici e standard ambientali, numero monografico del periodico Territorio, rivista quadrimestrale del Dipartimento Scienze del Territorio, n.8/1998. Franco Angeli editore. La tesi sostenuta evidenzia la differenza tra la natura parametrica degli standard urbanistici (mq/ab) che rimangono dei minimi e la natura incrementale e prestazionale dei parametri ambientali che dipendono dagli input scientifici e dall’avanzamento delle tecniche di rilevazione e di misurazione. 13) Nel governo del territorio la comprensione delle potenzialità che caratterizzano ogni area urbanizzata rinvia a un sistema di conoscenza dei fattori territoriali con livelli di relazione a più dimensioni: da quelli più ampi sino a quelli intermedi e di maggior dettaglio. Per un approfondimento cfr., Maria Cristina Treu, Riferimenti e ipotesi per una procedura di pianificazione ambientale, in AAVV Territorio sistema complesso, Franco Angeli, 1993, pag. da 211 a 234 e a., Maria Cristina Treu, L’approccio ambientale alla pianificazione, in Filippo Schilleci (a cura di) Ambiente e ecologia, Franco Angeli editore, 2011, pag. da 23 a pag.47 14) Il piano strategico è uno strumento mutuato dalle programmazioni aziendali e nel caso delle scelte territoriali dovrebbe corrispondere al programma di un accordo tra più forze politiche e economiche a livello di regione e di area vasta più che di singolo comune. 15) Si veda come nel caso di grandi opere infrastrutturali o di grandi impianti tecnologici e commerciali si utilizzino spesso territori vincolati o aree libere con mitigazioni ambientali e paesaggistiche molto improbabili, come per


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esempio la pista ciclabile progettata per mitigare la Pedemontana il cui tracciato ha sacrificato l’infrastruttura strategica verde prevista, a suo tempo, da un piano dell’amministrazione provinciale milanese o il progetto della BREBEMI che intercetta una proprietà di grande valore paesaggistico come più avanti viene descritto da Stella Agostini. 16) La legge nazionale dovrà chiarire il ruolo di molti strumenti, alcuni già introdotti da leggi regionali come il Documento di Piano e ìl Piano Strutturale, altri ripresi dalle legislazioni di altri paesi europei, come per esempio il così detto Master Plan, utilizzato per anticipare progetti di maggior dettaglio. 17) La sottovalutazione dei rischi naturali e antropici e dello stesso contenimento dell’uso del suolo è più frequente nelle scelte di grandi opere imposte dall’alto: un fatto che richiede una più forte responsabilizzazione dei tecnici e dei consulenti esperti per adeguare le mitigazioni e contenere le domande di compensazione nelle negoziazioni con ogni soggetto interessato. 18) Con l’approvazione la legge 10/1977 viene adottata la divisione tra diritto di proprietà e diritto a costruire grazie all’introduzione di una tassazione specifica per poter comunque costruire: una soluzione tutta italiana che si aggiunge alla frequente sottostima dei contributi per l’urbanizzazione e che è ben diversa dall’ipotesi proposta dalla Legge Sullo nei primi anni ’60 e, subito ostacolata dai maggiori operatori economici. 19) “Il prezzo del suolo non esiste in se, ma è originato dall’attività del promotore e dalla sua capacità di farsi riconoscere il potere di regolazio-

ne della città”, in P. Persico, Morire di rendita, Il punteruolo rosso: nell’odissea dello sviluppo la rendita fondiaria è un naufragio, in Regione Emilia-Romagna Informazioni sulla riqualificazione Urbana e Territoriale, INFORUM, n.40/41, Aprile-Settembre 2012 20) Disponiamo di molte fonti e ricerche sul consumo di suolo anche se sarà necessario fare chiarezza sulle metodologie di rilevamento. Viceversa disponiamo di scarsi rilevamenti sul patrimonio dismesso, pubblico e privato, e sugli effetti che questo fenomeno induce nei tessuti urbani in termini di degrado, di insicurezza e di marginalità sociale.


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Fig. 1: Fonte PTCP Milano, 2014, Tav. 1, Sistema infrastrutture con due tratti della Brebemi di innesto sulla TEM. Nostra messa in evidenza della posizione dell’area del Parco di pertinenza della Villa Invernizzi.


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Vincoli che trasformano la tutela in consumo. La fragilità delle aree protette. Stella Agostini 1. La cecità dell’urgenza. Urgenza è la parola d’ordine che caratterizza tutti i tempi di crisi. La legislatura avviata dalla legge “obiettivo” del 21 dicembre 2001, n. 443 fa rientrare sotto questo ombrello il Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) finalizzato ad accelerarne tutte le procedure, dalla programmazione, all’approvazione dei progetti, sino alla realizzazione delle opere. Su queste premesse, se un’opera è definita d’interesse strategico nazionale non sono vincolanti i pareri degli enti locali, né quello della Commissione VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) o dei Beni Culturali né quello delle Regioni, che possono essere scavalcate dal Consiglio dei Ministri (Arona, 2014). E’ il caso dell’autostrada Cispadana, che va da Parma a Ferrara, una striscia d’asfalto lunga 65 km ritagliata in un paesaggio agrario storicamente consolidato. Il tracciato, bocciato per il forte impatto dal Ministero per i Beni Culturali nel Settembre 2014, sarà realizzato ugualmente grazie allo Sblocca Italia che lo promuove ad opera nazionale strategica. Mentre l’art. 131 del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” ribadisce che: “lo Stato, le Regioni, gli altri enti pub-

blici territoriali nonché tutti i soggetti che, nell’esercizio di pubbliche funzioni, intervengono sul territorio nazionale, informano la loro attività ai principi di uso consapevole del territorio e di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di realizzazione di nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti, rispondenti a criteri di qualità e sostenibilità” (art. 31 comma 6) e la Costituzione recita, all’art. 9 che: “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”, emerge una questione di fondo: qual è oggi l’interesse strategico della nazione? 2. Obiettivi di tutela. Il valore primario della tutela del paesaggio e del patrimonio culturale e ambientale nel panorama normativo italiano si afferma in quella stessa lunga strada di diritto che dalla Costituzione arriva sino al Codice Urbani, che si esprime poi nei piani territoriali e paesaggistici redatti dalle Regioni. Gli ambiti vincolati dal Codice includono gli immobili assoggettati a prescrizioni di tutela indiretta (art. 45), gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico (art. 136), le aree tutelate per legge (art. 142) , insieme a tutti i beni e le aree


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Fig. 2: Fonte PTCP Milano, 2014, Tav. 5 Ricognizione delle aree soggette a tutela con indicata l’area del Parco di pertinenza della Villa Invernizzi, a sud il Rodano, a nord la fascia di tutela della Martesana.

compresi negli elenchi compilati ai sensi della normativa previgente (decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490). In questo quadro di beni culturali da tutelare sono comprese anche le architetture rurali aventi interesse storico o etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale tradizionale. Gli edifici (o insediamenti) che presentino queste caratteristiche: – non possono essere distrutti, danneg-

giati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico-artistico, oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione; – possono essere demoliti anche con successiva ricostruzione, solo dietro preventiva autorizzazione da parte del ministero. La Corte Costituzionale ha sottolineato in più occasioni che la tutela del bene paesaggistico costituisce un bene pub-


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blico fondamentale che non può essere subordinato ad altri interessi. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree d’interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, hanno per questo l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi, corredato da una documentazione finalizzata alla verifica della compatibilità fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato. L’avvio dei lavori è subordinato all’ottenimento dell’autorizzazione da parte dell’Ente preposto alla vigilanza dei beni tutelati. Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegua lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici, è punito con sanzioni amministrative pecuniarie (art. 181 Codice Urbani, art. 44 DPR 380/2001) arrivando sino all’arresto nel caso di interventi edilizi nelle aree sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico o ambientale, in variazione essenziale o in assenza del permesso. Nel caso in cui i lavori ricadano su immobili o aree di notevole interesse pubblico (o tutelati per legge) abbiano comportato un aumento della volumetria superiore al 30% o un ampliamento della medesima superiore a

750 mc o, ancora, abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore a 1000 mc, la pena è la reclusione da uno a quattro anni. Specificando come l’autorizzazione non possa essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi , per alcuni casi particolari il Codice prevede l’accertamento della compatibilità paesaggistica da parte dell’autorità amministrativa competente. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica delle opere già eseguite senza autorizzazione, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria, stabilita dall’ente competente, è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria. La semplificazione avviata dall’entrata in vigore della “Legge Obiettivo” ha finito per allargare la possibilità di presentare la DIA (Denuncia di Inizio Attività) anche agli immobili vincolati. L’entrata in vigore della Legge 122/2010, riformulando interamente l’art.19 della Legge 241/1990, sostituisce la DIA,


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Fig. 3: Settimo Milanese: Gli ambiti tratteggiati indicano le aree agricole interessate dalla nuova centrale elettrica di conversione alternata/continua. La stazione di Baggio occuperà 115.000 mq in ambiti tutelati dal PTC del Parco Agricolo Sud Milano (Territori agricoli di cintura metropolitana e Zona di Tutela e valorizzazione paesistica) che secondo le norme del PTC dovrebbero essere conservati “nella loro integrità e compattezza, evitando che interventi per nuove infrastrutture, impianti tecnologici, opere pubbliche e nuova edificazione ne comportino la frammentazione”. Le stesse aree nel PTCP della Provincia di Milano ricadono in “ambiti agricoli strategici” (che secondo la Lr 12/05 dovrebbero avere carattere prescrittivo), “ambiti di rilevanza paesistica” (art.26) e “ambiti agricoli di rilevanza paesaggistica” (art. 28), dove non è ammessa” l’installazione di nuovi elettrodotti aerei che interferiscano con la percezione visiva dei beni culturali tutelati e del loro contesto”. (Elaborazione immagine Google Earth data acquisizione immagini 4 ott 2014).


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con la SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività), e ne esclude l’applicazione nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali. 3. Applicazioni contraddittorie. L’ inefficacia delle leggi che rischiano di trasformare la tutela in sopruso emergono bene guardando le aree agricole. Basti pensare alla Lombardia, in attesa dell’evento Expo 2015 (“Feeding the planet”). Mentre si continua a denunciare l’emergenza del consumo di suolo e si vigila sulla sostenibilità ambientale dei nuovi piani di governo del territorio per salvaguardare il suolo agricolo dall’urbanizzazione arrivano altri eventi, silenti e inattesi, strategici solo a livello nazionale, che oltre ad erodere suolo fertile, prezioso, stravolgono aziende agricole e territori innescando una serie di trasformazioni a catena, questa volta prevedibili, ma inarrestabili. Da sempre il suolo agricolo è teatro di conflitti d’interesse: nella provincia di Milano, il 50% appartiene a grandi proprietari, quali l’Ospedale Maggiore o gli Istituti diocesani per il Sostentamento del Clero o la Proprietà Fondiaria, non interessati direttamente alla produzione agricola, quanto piuttosto a valorizzare,

anche da un punto di vista urbanistico, il proprio patrimonio fondiario. Questa differenza di interessi, che è nella natura dei rapporti fra soggetti territoriali diversi, è in qualche modo contenibile; è una questione di sensibilizzazione, di dialogo e di progettualità che si sviluppa nel contesto del rapporto proprietari/ affittuari agricoltori e che, anche grazie alla contrattazione delle associazioni di categoria, ha già dato buoni risultati portando per esempio all’allungamento dei contratti di affittanza agraria in modo da garantire lo sviluppo aziendale e i miglioramenti fondiari. Il problema che si è venuto prospettando in questi ultimi anni va molto al di là di questi interessi privati e locali, ed è indicatore di come nei grandi processi di trasformazione sia cambiata la percezione non solo delle aree agricole e dell’agricoltura in generale, ma del valore stesso del territorio. Il riferimento al valore è conseguente al fatto che molte di queste trasformazioni sono avvenute e continuano ad avvenire in territori pluritutelati. Un primo esempio è il progetto Interconnector della società Terna S.p.A. che attraversa indiscriminatamente territori di grande valore ambientale e


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Fig. 4: Rivoltana. Casa senza vista. Effetti della Brebemi che prevede il raddoppio delle corsie delle strade provinciali e la sostituzione delle intersezioni a raso con le rampe d’ innesto. Fig. 5: Vista della Brebemi dalla Strada provinciale.


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paesaggistico, insediando anche volumi di forte impatto. E’ ciò che avviene a Settimo Milanese, dove il progetto di una centrale di trasformazione erode 115.000 mq di terra di un’azienda agricola, inserita in un’area di tutela e valorizzazione paesistica sotto la tutela del Parco Agricolo Sud Milano. Un altro esempio è rappresentato dal tratto della Brebemi, il corridoio autostradale che collega Milano a Bergamo e Brescia, che nel comune di Vignate, ha interessato la tenuta di Trenzanesio della fondazione Invernizzi, 4000 ettari di verde agricolo alle porte di Milano. Si tratta in questo caso di un grande patrimonio monumentale, non solo storico e agricolo, ma anche altamente simbolico per la produzione lattiero-casearia lombarda e italiana. Un patrimonio che ricade sotto la tutela del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Il passaggio dell’infrastruttura strategica ha determinato l’abbattimento dei filari di pioppi secolari che segnavano tutto il limite della tenuta, dalla Strada Cassanese alla Rivoltana. Nonostante le proteste degli abitanti e delle Associazioni, qualcuno ha detto che il problema non sussiste: i pioppi saranno ripiantumati e gli ingressi monumentali

smantellati potranno essere ripristinati. Fra dieci anni tutto, o quasi tutto, ritornerà come prima. In fondo si è persa solo qualche striscia di terreno e l’autostrada scorre ora a margine della tenuta. Ma il punto non è l’apparenza della tenuta. Il punto è cosa succede a tutte le aziende agricole i cui campi, attraversati dalla nuova infrastruttura, allontanati dalle loro risorse principali, come l’acqua, restano sbocconcellati fra lembi di superstrade. Eppure il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, per realizzare qualsiasi intervento anche connesso allo sviluppo aziendale, impone lunghe procedure e controlli per ottenere il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica a quegli stessi agricoltori che non è riuscito a proteggere, arrivando così al paradosso che l’efficacia di una legge nazionale si riduce ad attuare le proprie politiche bloccando gli sviluppi dei progetti locali di coloro che vorrebbe tutelare, senza poi riuscire a proteggerli da eventi esterni molto più pericolosi. Questo non può ne deve intendersi come il capitolo di un copione che si ripete e a cui si corre il rischio di abituarsi. Cambiano i nomi delle infrastrutture, cambiano i protagonisti, ma


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Fig. 6: Cassanese (2012). I filari monumentali della tenuta di Trenzanesio costeggiano la strada provinciale

Fig. 7: Cassanese (2013). Il cancello nudo. Il raddoppio della carreggiata si estende sull’area vincolata della tenuta di Trenzanesio (Villa Invernizzi). Il cancello è l’ultima vestigia dei filari monumentali di tigli e di pioppi cipressini abbattuti per il raddoppio della carreggiata


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le vicende e le modalità sono sempre le stesse. E’ la stessa trama della storia di un’azienda agricola di Mezzago del Rio Vallone. Un’azienda importante per il comune, perché produttrice di asparagi rosa, un prodotto di denominazione comunale su cui si è basato il rilancio economico e turistico della sagra del Maggio mezzaghese. Anche qui, come per l’azienda del Parco Agricolo Sud Milano, tutto avviene in sordina quando, nel 2006, gli agricoltori scoprono che la loro azienda sarà interessata dal passaggio della Pedemontana e della gronda ferroviaria. Il lungo contenzioso che ne è seguito non tiene in alcun conto la coltura pregiata né gli anni impiegati per lo sviluppo aziendale e la somma offerta non consente agli agricoltori di rilanciare la produzione, ricollocandosi in un terreno di pari pregio ed estensione. Intanto, in attesa che l’opera venga realizzata, la terra aziendale rimane vincolata e l’imprenditorialità degli agricoltori resta bloccata, anche se l’infrastruttura non venisse realizzata. A distanza di 12 anni solo il 13/% delle opere previste dalla legge obiettivo, legge 443 del 2001, è stato realizzato. E’ interessante notare che l’acronimo

del rapporto sull’attuazione della legge obiettivo sia SILOS (Sistema Informativo legge opere strategiche). In agricoltura il silos è la struttura di stoccaggio delle granaglie, il prodotto della terra che diventa alimento degli animali. 4. Distonie inefficaci. L’insieme dei vari tasselli di questo mosaico, che da una parte possono chiamarsi Interconnector, dall’altra Pedemontana, TEEM, BRE.BE.MI. o qualsiasi altra denominazione di opera strategica in divenire o di avvento futuro, lascia emergere come nelle politiche di sviluppo del territorio ci siano elementi eccellenti che possono essere considerati strategici, al di là di qualsiasi valore patrimoniale sia stato riconosciuto dalle leggi o dalle comunità. L’interesse strategico segnala il valore prioritario e assoluto da salvaguardare, l’unico considerato importante per il rilancio dell’economia e della vita del paese. In Lombardia, la Lr 25 del 2011 riconosce il suolo come bene comune e il sistema rurale come componente fondamentale del territorio. La Lr 12/05 riprende l’individuazione degli ambiti agricoli strategici operata dal Piano


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Fig. 8: Da recinzione a recisione. I vincoli storico-architettonici non sono riusciti ad evitare l’abbattimento dei pioppi secolari che circondavano la tenuta Invernizzi di Trenzanesio. Hanno prevalso le ragioni delle infrastrutture, benchè la Brebemi si sia andata ad affiancare alla realizzazione della quarta corsia dell’autostrada A4 (tratta Milano.Bergamo) e a quella della linea ferroviaria dell’Alta Velocità Milano-Brescia che attraversa 20 comuni nelle tre province.


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Territoriale di Coordinamento Provinciale, sottolineando il ruolo prioritario dei comuni nella loro salvaguardia. Le 33.000 aziende chiuse nel 2013 indicano il rischio che nella nuova pianificazione le aree agricole strategiche possano essere lette come contenitori astratti. Per evitare questo rischio è urgente tutelarne il contenuto operativo, introducendo per esempio l’individuazione delle aziende agricole strategiche. Strategiche per garantire la produttività del suolo e la sicurezza alimentare, riconoscendo che la terra e l’imprenditoria agricola sono una risorsa fondamentale per lo sviluppo dell’economia e per il futuro del paese almeno quanto il cemento evocato dalla legge obiettivo. Risorse fondamentali che senza un adeguato ruolo nelle politiche di sviluppo del territorio non possono sopravvivere. I paesaggi da vivere e da contemplare che vengono sostituiti da paesaggi incontemplabili, solo da attraversare, sono segno di una distonia fra teorie normative e pratiche pianificatorie. E’ l’immagine distorta di una norma che si specchia nella pratica del piano e in quella trasposizione trasforma la tutela in consumo, indicando un cam-

biamento di valori e significati. L’articolo 118 della Costituzione (comma 3) stabilisce che la legge disciplina forme d’intesa e di coordinamento fra Stato e Regioni nella materia dei beni culturali. Alla domanda iniziale se ne aggiunge almeno un’altra: “Chi tutela la Costituzione e chi ne è tutelato?”


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Fig. 9: Parco agricolo Sud. La costruzione dei 62 km della Bre.Be.Mi, la nuova infrastruttura, descritta come fondamentale per la crescita dell’economia lombarda, ha comportato il consumo di 900 ettari di suolo agricolo, con espropri che hanno interessato oltre 100 aziende e un costo ingente (38,7 milioni di Euro a km) su cui poi sono dovuti intervenire i finanziamenti degli enti pubblici (300 milioni di Euro dallo Stato e 60 milioni dalla Regione Lombardia). Se i pioppi potranno essere ripiantumati, il paesaggio è irreversibilmente cambiato, mentre sulla Brebemi transitano 20.000 automobili al giorno, rispetto alle 60.000 previste.


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Note 1. A. Arona, Grandi opere, via libera”veloce”, Il Sole 24Ore, 21 agosto 2014. 2. decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 recante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività’ produttive” (Gazzetta Ufficiale n.212 del 12 settembre 2014). 3. Codice Urbani, dlgs n. 42 del 2004 e s.m.i. in accordo con la Convenzione Europea del Paesaggio (Consiglio d’Europa, 2000), ratificata in Italia con la legge n. 14 del 2006 e in coerenza con l’articolo 117 della Costituzione che delinea le competenze esclusive dello Stato e delle Regioni in materia. 4. (articolo così sostituito dall’art. 12 del d.lgs. n. 157 del 2006, poi modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 63 del 2008) 5. art. 10 d.lgs. 42/2004, modificato dal d.lgs. 156/2006 6. Agostini, S. 2011, Progettare in area agricola, Regole e strumenti giuridici per l’edilizia rurale e per l’impresa agricola, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, pp. 300 , con DVD interattivo, ISBN 5904.9. 7. Sentenza n. 367 del 2008 8. art. 146 comma 4 9. art. 167, commi 4 e 5 10. Art. 1 comma 6 e D.Lgs. 27 Dicembre 2002 n. 301. 11. art. 49, comma 4-bis. 12. Legge del 03.05.1982, n.203; D. Lgs del 01.09.2011, n. 150 13. Agostini, S. Infrastructures versus agricul-

ture. Critical challenges in Lombardy planning. Scienze del Territorio, [S.l.], p. 19-34, Apr. 2014. ISSN 2284-242X. 14. Osservatorio Ismea-Unioncamere sulla congiuntura dell’agroalimentare italiano, Roma, 9 gennaio 2014. Fonte delle immagini: Figure n. 3,4,5,6,7,8 di di Stella Agostini. Figure n. 1,2, 9 estratti da strumenti di piano.


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Fig. 1: Le aree di trasformazione della Spina Centrale di Torino (Fonte: CittĂ di Torino)


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Dall’esproprio alla perequazione: fattori di costo e di qualità in un bilancio costi e ricavi Riccardo Roscelli, Luisa Ingaramo, Stefania Sabatino 1. Fattori di costo e fattori di qualità. Quale progresso per la Città pubblica? La scelta degli strumenti a supporto della valutazione di piani e progetti alla scala urbana è spesso espressione di esigenze contingenti, sollecitate dalle continue modifiche del clima sociale ed economico così come delle scelte intraprese dalle amministrazioni comunali. La propensione alla negoziazione tra operatori pubblici e privati si sta oramai affermando quale modalità efficace di governance del processo di trasformazione urbana, con il fine ambizioso di indurre una valorizzazione territoriale che si faccia garante sia dei benefici collettivi, sia della sostenibilità degli investimenti privati e pubblici. L’attuale scenario di mercato, caratterizzato dal permanere di una congiuntura economica negativa, influisce da più di un quinquennio sul comportamento degli operatori privati e delle amministrazioni pubbliche, condizionando la reale efficacia dell’approccio negoziale pubblico-privato. Gli effetti della crisi economico-finanziaria hanno infatti evidenziato, oltre a un generale indebolimento delle risorse e della fiducia di investitori e promotori, una diffusa

inerzia attuativa degli interventi, che rischia di ripercuotersi a medio-lungo termine sul valore, sulla qualità e in generale sulla competitività e attrattività dei sistemi urbani. Di conseguenza, il confronto tra operatori pubblici e privati, impegnati nell’attuazione d’interventi di sviluppo, trasformazione e riqualificazione immobiliare, richiede oggi di avviare una riflessione sulle potenziali strategie da adottare in una visione a doppio binario. Da una lato è infatti opportuno continuare a stimolare l’avvio di interventi urbani, dall’altro lato è tuttavia indispensabile rafforzare il clima di fiducia degli investitori, guidando il processo in modo inclusivo, al fine di minimizzare il rischio di insuccesso delle operazioni immobiliari. La questione, seppur avviata con riferimento al generale clima di recessione, è centrale anche in uno scenario di mercato caratterizzato da una congiuntura economica positiva, in quanto, l’ente pubblico, preposto alla massima realizzazione dei benefici derivanti dal progresso della Città pubblica, partecipa alla trasformazione urbana in qualità di soggetto regolatore della ripartizione dei sovra profitti generabili dalle opera-


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zioni immobiliari stesse. In sintesi, il tema tratteggiato, di interesse rilevante anche in relazione al particolare quadro macroeconomico, è analogamente interessante in chiave evolutiva: esso infatti permette di “fare il punto” sulle modalità operative di attuazione concreta del processo di trasformazione urbana tenendo conto degli obiettivi dei diversi soggetti coinvolti, delle relative risorse disponibili e delle modalità di gestione del processo, attraverso il supporto di modelli flessibili e negoziali di confronto tra le parti, finalizzati a quantificare i costi e i benefici innescati dagli investimenti. Va in questa direzione il richiamo ad alcuni strumenti inerenti la fattibilità degli investimenti, come ad esempio, l’istituto espropriativo, la negoziazione tra soggetti pubblici e privati e l’analisi Costi-Ricavi, che vengono illustrati anche attraverso la presentazione di alcuni casi studio di successo degli ultimi anni, a dimostrazione che il progresso della città pubblica è un fine perseguibile anche in sintonia con la convenienza economico-privata degli investitori pubblici e privati.

1.1 Obiettivi dei soggetti pubblici e privati coinvolti. E’ noto come la fattibilità di un progetto o di un piano alla scala urbana sia assicurata quando tutti i soggetti coinvolti nel processo di trasformazione raggiungono i loro obiettivi. Se infatti è l’amministrazione pubblica a prefigurare “quale” progresso per la Città, cogliendo le opportunità e tracciando le linee di intervento che possano assicurare i maggiori benefici per la collettività, sono di fatto i promotori privati che costituiscono la leva alla trasformazione, non solo in qualità di “proprietari delle risorse immobiliari” da trasformare e valorizzare, ma soprattutto in termini di principali investitori di risorse economiche, che, nella prospettiva d’investimento, ricercano il massimo profitto. La difficoltà principale, relativa alla continua interazione di soggetti di natura differente può essere affrontata attraverso l’allestimento di verifiche di fattibilità, utili a bilanciare le scelte d’investimento e ad esprimere giudizi di convenienza economica per tutti soggetti coinvolti. L’esigenza di vedere assicurata la fattibilità dei progetti e piani richiede quindi agli operatori pubblici la capacità di


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allestire strategie capaci di controllare il processo di trasformazione in termini di fattori di costo e di qualità, in linea con i rispettivi obiettivi di convenienza pubblici e privati. Un punto chiave a favore dell’equilibrio di operazioni di trasformazione urbana è dato dalla capacità di ponderare i fattori che condizionano la fattibilità tecnica e i vincoli di natura economicofinanziaria. Un classico caso riguarda, ad esempio, il reperimento di aree private da parte della Città in cui insediare beni e servizi pubblici, recentemente messo in crisi da: - la recessione economica e il generale stallo del mercato immobiliare; - modifiche inerenti il valore d’indennità espropriativa da corrispondere ai privati. 1.2 Processi flessibili e modelli negoziali di confronto pubblico-privato. Il quadro tratteggiato permette di cogliere come la “concertazione” e la “negoziazione” dei piani e progetti di trasformazione possono offrire una via possibile per gestire i naturali conflitti derivanti dal confronto sul mercato degli operatori pubblici e privati, a partire dalla definizione dei parametri confor-

mativi e di destinazione d’uso delle aree passibili di intervento, fino a coinvolgere il relativo profitto atteso dagli operatori privati e l’ottimale livello di qualità e coerenza economico-sociale indotta dalle scelte urbanistiche definite dall’amministrazione comunale. Gli strumenti attraverso cui le amministrazioni pubbliche stanno oggi impostando le politiche urbane sono: - approcci negoziali - modelli di valutazione flessibili - analisi “caso per caso” nella definizione delle varianti urbanistiche al PRG - equa distribuzione dei vantaggi e dei costi indotti dalle trasformazioni tra i proprietari dei suoli e la Città, anche attraverso l’introduzione della perequazione urbanistica in alternativa all’esproprio. 1.3 Lo strumento dell’analisi economico-finanziaria Costi-Ricavi. Gli approcci flessibili e i modelli negoziali sopra richiamati richiedono tuttavia alle amministrazioni di implementare la propria capacità di governance del processo anche attraverso la predisposizione di strumenti ad hoc, utili a


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potenziare il dialogo tra le parti pubbliche e private. L’analisi del tipo Costi-Ricavi (ACR) quale strumento di simulazione dei processi di trasformazione urbana, è uno strumento utile a supportare le parti nella definizione di soluzioni convergenti per una trasformazione equilibrata della città. Lo strumento, come

vedremo nei paragrafi successivi, si è di fatto dimostrato di rilevante utilità per la concertazione di varianti urbanistiche, perequazione dei diritti e oneri innescati dalle trasformazioni (i cui casi presentati in questa sede si riferiscono alla Città di Torino), così come nella gestione dei programmi integrati (con riferimento all’esperienza del Comune di Cagliari).

Fig. 2: le variabili in gioco tra operatori privati e pubblici nella definizione degli aspetti economici e conformativi relativi alle trasformazioni urbane.

L’elevata componente di flessibilità insita in strumenti di valutazione ACR offre infatti la possibilità di concertare tra le parti i parametri tecnico-economici e finanziari relativi ad operazioni immobiliari anche complesse. Con riferimento alla figura 2, le variabili che solitamente intervengono a

stimolare la concertazione tra operatori private e pubblici nella definizione dei principali aspetti economici e conformativi relativi alle trasformazioni urbane, sono: - per il soggetto privato: le quantità costruibili, le destinazioni d’uso, l’ammontare degli oneri e delle cessioni


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d’area previste dalla normativa vigente, la definizione delle aree richieste per allocare i servizi pubblici (aree a standard urbanistici), i costi di costruzione che la tipologia di intervento chiama in causa, nonché le aspettative di ritorno sul capitale, quale funzione del progetto, del clima economico generale e del relativo impatto esercitato da quest’ultimo sul mercato immobiliare locale; - per il soggetto pubblico: le quantità di aree da devolvere a standard urbanistici reperibili secondo le modalità normative previste dal contesto giuridico nazionale e locale di riferimento, i ricavi da oneri imponibili al soggetto privato fautore dell’intervento, in funzione dei vincoli di bilancio pubblico. A fronte delle numerose variabili che entrano in gioco nel confronto il metodo ACR appare uno strumento idoneo a supportare gli operatori in quanto non si limita a fornire un giudizio di convenienza economica degli interventi, ma, contemporaneamente, innesca processi retroattivi di apprendimento sullo sviluppo stesso dei progetti1. In questo contesto, le verifiche di prefattibilità economico-finanziaria sviluppate dal Politecnico di Torino2, in coordinamen-

to con le amministrazioni comunali dei casi studio qui presentati, hanno rappresentato uno strumento di supporto alla decisione, utile all’individuazione delle più idonee variabili conformative e funzionali da definire caso per caso con gli operatori privati. Tale attività, che rappresenta oggi una pratica consolidata ed efficace, ha di fatto consentito di incrementare il successo delle trasformazioni programmate, facilitando il progresso della Città pubblica e aiutando a superare l’inerzia attuativa degli operatori privati anche in tempi recenti, influenzata dal clima di recessione economica. Si ricorda che l’analisi costi-ricavi permette infatti di simulare i flussi monetari dipendenti dalle variabili della trasformazione. Tali flussi, vengono identificati dalla differenza, in ogni periodo temporale, tra i ricavi attesi e i costi previsti di realizzazione, permettendo di mostrare l’incremento di valore generato dai ricavi attualizzati, risultanti al netto dei costi, attraverso il calcolo di due indicatori significativi della redditività specifica dell’investimento: il VAN (Valore Attuale Netto) e il TIR (Tasso Interno di Rendimento).


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Il primo, in particolare, è il risultato della sommatoria dei flussi di cassa attualizzati. Ciò significa che esso è positivo quando i costi sono inferiori ai ricavi. Per comprendere se il vantaggio dei ricavi rispetto ai costi è sufficientemente remunerativo, si passa ad analizzare il secondo indicatore, funzione del primo: il TIR. Quest’ultimo, infatti, esprime il rendimento garantito all’operatore privato dal particolare intervento analizzato, e viene calcolato ponendo il VAN pari a zero e svolgendo contestualmente l’equazione in funzione del tasso effettivo di rendimento adottato nell’esercizio di simulazione. In particolare, il valore del TIR è rappresentato da una percentuale rispetto alla quale si può verificare se la redditività specifica dell’intervento è superiore ad una certa soglia di accettabilità, riferita a investimenti ordinari e simili per il settore immobiliare in esame, nello specifico momento temporale considerato. Tale soglia minima è generalmente interpretata come somma di tre componenti percentuali che devono essere necessariamente compensati dall’attività imprenditoriale: quella relativa all’inflazione (che viene elusa

ricorrendo ad una valutazione a prezzi costanti3), quella relativa ad un investimento a “rischio nullo” (i titoli di Stato, come ad esempio BOT e CCT) e il “premio per il rischio”, considerato mediamente pari a 5-7 punti percentuali. La soglia di accettabilità così fissata entra in gioco nell’analisi dei flussi di cassa insieme alle variabili relative all’esposizione finanziaria. E’ infatti intuitivo come l’ACR, considerando la variabile tempo, richieda di svolgere alcune ipotesi sulla disponibilità di capitale proprio rispetto a quello “a prestito”, sul quale devono essere calcolati gli oneri finanziari, rappresentativi del costo opportunità del capitale investito. Si sottolinea a questo proposito che, in un’ottica prudenziale, tutto il capitale necessario viene considerato a prestito, in modo da rimandare all’ACR la verifica della copertura dell’esposizione finanziaria al 100%. Le ulteriori variabili introdotte nella simulazione e nel conseguente sviluppo dei calcoli riguardano i valori immobiliari del prodotto edilizio finito (necessari per allestire le ipotesi del piano vendite) ed i costi necessari alla realizzazione dell’intervento (costo di costruzione, spese tecniche, spese di commer-


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Fig. 3: Principali modifiche introdotte dal Testo Unico in materia d’espropri del 2002.

cializzazione, costo di demolizione e bonifica, oneri di urbanizzazione, ecc.). Il costo-valore dell’area (il risultato della valutazione, ovvero il valore ricercato) è quel valore che soddisfa la condizione inizialmente fissata (stabilita a priori) della soglia di accettabilità del TIR: l’entità di tale valore viene calcolato iterativamente (tramite la funzione “ricerca obiettivo”), attraverso piccoli incrementi o decrementi del valore unitario dell’area (€/mq) fino a raggiungere il costo/valore totale dell’area (€/mq x mq/mc edificabili) che garantisce di soddisfare il TIR minimo del periodo4. In sintesi lo strumento ACR diviene risorsa gestionale dei potenziali conflitt che possono emergere nella definizione

delle variabili alla base degli interventi pubblico-privati in quanto permette ai soggetti di confrontarsi e dialogare in tema di equa distribuzione dei vantaggi e dei costi indotti dalle trasformazioni tra i proprietari dei suoli e la Città. 2. Dall’esproprio alla perequazione: crisi ed inefficacia dell’istituto espropriativo e l’avvio di soluzioni perequative. Tra le modalità e gli strumenti attivabili dal soggetto pubblico per gestire le trasformazioni alla scala urbana un ruolo decisivo per la realizzazione della Città pubblica è stato tradizionalmente attribuito all’istituto espropriativo, che permette alle amministrazioni comu-


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nali di imporre ai proprietari privati la cessione di aree utili alla dotazione di servizi di pubblica utilità. Tale procedura ha tuttavia presentato nel tempo limiti operativi, soprattutto nel soddisfare la gestione ex ante della fattibilità del processo attuativo. Si ricorda, a titolo di completezza, che il meccanismo espropriativo è trattato in via generale nel Codice Civile quale istituto giuridico che limita il diritto fondamentale di proprietà privata prevedendo “…il pagamento di una giusta indennità”5 a risarcimento del soggetto privato che detiene la proprietà fondiaria, e, in particolare, è regolato dal Testo Unico sull’espropriazione (DPR n° 327 del 2001 modificato dal DL n° 302 del 2002)6. Si tratta di un istituto preordinato ad esercitare effetti importanti sulla programmazione urbanistica, in quanto comporta il raggiungimento di nuovi equilibri generati dal trasferimento di risorse fisiche e di diritti giuridici privati a favore della Città pubblica a fronte di compensazioni economiche tra le parti coinvolte. Tra le maggiori novità introdotte dal T.U. si segnalano (vedi fig. 3): - una più chiara interpretazione del pro-

cedimento amministrativo e migliore connessione con le previsioni urbanistiche7; - una migliore sistematicità nella trattazione del calcolo dell’indennità di esproprio per aree edificabili e non edificabili8; - maggior supporto normativo e procedurale nel caso di rifiuto dell’indennità provvisoria da parte dell’espropriato. Nel riordino normativo è presente una importante modifica di natura risarcitoria, ovvero la valutazione dell’indennità espropriativa a valori di mercato, che ha di fatto irrigidito il campo di manovra pubblico nell’assicurare la fattibilità economica delle trasformazioni urbane. Ulteriori ragioni, di natura giuridica, urbanistica, economica ed etica, mosse a vario titolo contro il meccanismo espropriativo, hanno negli ultimi anni evidenziato l’inefficacia operativa dell’esproprio e hanno stimolato l’interesse ad esplorare soluzioni maggiormente flessibili di confronto tra operatori pubblici e privati9 (vedi figura 4). Per quanto riguarda la natura giuridica è rilevante sottolineare che l’inerzia attuativa più volte richiamata in questa sede spesso si scontra con la “caducità dei vincoli pubblicistici” imposti dall’i-


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Fig. 4: Quattro ragioni di crisi ed inefficacia dell’istituto perequativo

stituto espropriativo e rilevabili nei piani regolatori: essi decadono dopo solo 5 anni dalla loro apposizione (se non attuati, come previsto dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 179 del 1999) e sono difficilmente reiterabili. Se ne deduce che il diritto pubblico nelle attuali condizioni di tendenza all’immobilismo in tema di trasformazioni urbane non è abbastanza tutelato a garanzia dei programmi di reperimento delle aree da devolvere a standard. Un secondo limite può essere rin-

tracciato nella difficoltà dell’istituto espropriativo di operare in un contesto urbanistico radicalmente modificatosi negli anni. Il modello di crescita espansiva delle città, caratteristico del dopoguerra, terminato già negli anni ’80 del ‘900, permetteva, al di là delle differenti componenti macroeconomiche che caratterizzavano il mercato immobiliare, di agevolare un razionale reperimento delle aree per la dotazione dei servizi pubblici da parte della Città. Oggi, il progresso della Città, misura-


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Fig. 5: Perequazione urbanistica: dalle prime applicazioni comunali “extra legem” alle riforme giuridiche regionali.

bile e programmabile in termini di trasformazione e valorizzazione del tessuto consolidato, sta invece immettendo nuovi termini di discussione tra le parti, che spesso non consentono di reperire, a mezzo esproprio, aree di cessione nella misura e nella qualità desiderata da parte dell’amministrazione pubblica. Un terzo limite che caratterizza l’esproprio è riconducibile alla sfera economica. Le casse comunali non sono più in grado di sostenere una politica di acquisizione di aree pubbliche legata a valori di indennizzo (che come si è del resto evidenziato, oggi il Testo Unico in materia espropriativa riconosce al

valore di mercato), soprattutto a fronte dell’attuale congiuntura economica in sostanziale e permanente flessione. Infine si intravede nell’esproprio un quarto limite di natura etica, rintracciabile nella governance operativa del “doppio regime dei suoli”. E’ noto come l’espressione esprima la necessità di attribuire agli ambiti e lotti urbani una latente doppia natura proprietaria, che permette, secondo predeterminabili esigenze pubbliche, di garantire gli standard urbanistici richiesti per legge nella giusta quantità e qualità. Ne consegue che i piani regolatori sono di fatto tenuti a differenziare tra aree


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a destinazione pubblica (standard), ed aree destinate alla edificazione privata. L’attuale momento, caratterizzato da interventi urbanistici su tessuto consolidato, sconta nel meccanismo descritto un forte limite, in quanto, sollecita e incentiva l’avvio di contenziosi da parte dei numerosi e frammentati proprietari dei suoli espropriabili, che interpretano il doppio regime dei suoli definito dal Piano come un’imposizione iniqua e non correttamente bilanciata. A sua volta, la ragione etica, impattando sull’iter procedurale che viene di conseguenza rallentato, influisce in termini di sperequazione economica e contribuisce ad aggravare l’inerzia attuativa del settore immobiliare attuale. In sintesi i limiti richiamati costituisco-

no di fatto ostacoli alla gestione degli obiettivi di ottimizzazione dei costi, dei livelli di qualità dei progetti urbani pubblici e, allo stesso tempo, frenano il progredire degli interventi privati che già stanno scontano una battuta d’arresto a causa della crisi economicofinanziaria. 3. Il meccanismo perequativo: come verificare la convenienza pubblico – privata dei piani e progetti urbani a monte del processo attuativo. Per i motivi richiamati l’istituto perequativo, proposto inizialmente in forma extra legem a partire dagli anni ’90 del ‘900 (vedi fig. 5), sta subentrando oggi quale strumento ordinario di gestione delle trasformazioni urbane, attraverso

Fig. 6: Convenienze per le parti pubbliche e private derivanti dalla perequazione urbanistica.


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le leggi urbanistiche di “nuova generazione”10. L’istituto perequativo, via via riconosciuto quale tecnica pianificatoria alternativa all’esproprio, è finalizzato all’equa distribuzione dei vantaggi e dei costi prodotti dalle trasformazioni urbane, in quanto fondato sul concetto di “equa corrispondenza” nel trasferimento di diritti e oneri, tra soggetti che operano “attraverso” uno stesso territorio. Nel quadro ad oggi noto di strumenti di negoziazione, attuati da parte del soggetto pubblico per il prelievo del plusvalore fondiario privato, la perequazione, come ricorda anche Micelli11 opera direttamente nella fase di pianificazione dello sviluppo immobiliare, incidendo direttamente sulle scelte at-

tuative e reciproche convenienze tra le parti, facilitando, di conseguenza, la convergenza degli interessi privati e pubblici. In altre parole la perequazione, favorendo la condivisione delle scelte di pianificazione in una fase ex ante a quella di definizione attuativa, tende a minimizzare l’aleatorietà del processo attuativo in termini di contenuti, tempi e costi (vedi figura 6). Per comprendere come la logica perequativa intervenga di fatto a facilitare il dialogo tra operatori pubblici e privati si propongono gli schemi in figura 7 e 8 che esplicitano, a partire dal 4° limite “di natura etica” attribuito all’esproprio, la convenienza della scelta anche a superamento degli ostacoli di natura

Fig. 7: Reperimento di aree per servizi pubblici secondo il tradizionale regime espropriativo: un esempio.


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giuridica, urbanistica ed economica. La gestione del reperimento di aree a servizi pubblici, secondo la tradizionale via espropriativa, può essere efficacemente rappresentato dallo schema in figura 7, in cui, a titolo esemplificativo si propone il caso di esproprio per la creazione di un’area a parco all’interno di un ambito urbano. Come spesso avviene, l’area a servizi da insediare tende a coinvolgere solo in parte l’intero ambito, che, idealmente, si suppone organizzato in due proprietà inizialmente edificabili, distinte con le lettere “A” e “B”. L’esercizio espropriativo comporterebbe pertanto, una volta definita l’e-

stensione e la localizzazione ottimale dell’area da asservire a parco all’interno dell’ambito (area a parco prevista), un trattamento differenziato delle due proprietà. In altri termini, sulla base di preordinate scelte di conformazione, qualità e, non ultimo, di costi dell’intervento pubblico, verrebbero impresse differenti conseguenze economiche e qualitative ai regimi proprietari A e B. In particolare: - la proprietà A verrebbe indennizzata al 100% del valore venale dell’area e dei relativi diritti edificatori ad essa associati, in ottemperanza al TU espropri; - la proprietà B, indennizzata per una quota inferiore e proporzionale alla

Fig. 8: Reperimento di aree per servizi pubblici attraverso l’istituto perequativo: esempio di equa distribuzione dei vantaggi e dei costi.


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quantità di area ceduta (in questo caso solamente il 30%), manterrebbe parzialmente invariato il diritto edificatorio sulla quota di area edificabile residua di cui manterrebbe a pieno titolo la proprietà. In sintesi la proprietà A rinuncerebbe completamente all’area e alla potenziale suscettività di intervento (compresi i relativi profitti), mentre la proprietà B risulterebbe al limite perfino avvantaggiata dall’individuazione dell’area a parco, in termini di produzione di esternalità positive a beneficio dell’intervento immobiliare privato da realizzarsi. L’operazione esercita quindi effetti “eticamente” differenti sulle due proprietà, prevedendo di fatto trattamenti qualitativamente ed “economicamente” diversi. Applicando criteri perequativi alla stessa struttura proprietaria di partenza e con lo stesso fine, in termini di costoqualità per il servizio pubblico “area a parco” (fig. 8) si osserva come il trattamento resti invariato per due proprietà. La modifica interviene nel differente coinvolgimento ex ante delle due proprietà. La perequazione urbanistica coinvolge l’intero ambito al 100%, in modo che le due proprietà vengono

“invitate” a costituire un’unica entità controparte del dialogo con l’amministrazione pubblica. L’intero ambito così individuato permette di riflettere in modo indifferente sulle singole proprietà gli effetti della trasformazione. Ne consegue che, con riferimento all’esempio qui prodotto: - entrambe i proprietari cedono il 65% dei propri diritti edificatori; - entrambe i proprietari possono concentrare i diritti edificatori perequativi loro riconosciuti nell’area comune a regime privato, anche definita come “area di atterraggio” (pari al 35% della superficie fondiaria del lotto). Ne consegue che l’approccio perequativo permette di mantenere un certo diritto edificatorio (seppur di capacità inferiore a quello iniziale) ad entrambe le proprietà. Superato il vincolo etico, occorre osservare come tale logica permetta allo stesso tempo di incidere sui restanti limiti evidenziati, di ordine giuridico, urbanistico ed economico: - se l’operazione viene concordata formalmente a monte del processo attuativo la realizzazione dell’intervento è immediata, equilibrata e si evitano ricorsi giuridici che a loro volta incidono


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Fig. 9: Schema di verifica di fattibilità ex ante

in termini di dilatazione dei tempi e dei costi a svantaggio di entrambe le parti; - calibrando ad hoc l’operazione immobiliare è possibile individuare il punto di pareggio economico raggiungibile tra le parti coinvolte, in termini di “capacità edificatoria residua” per i privati e “quantità di area disponibile” per la Città. Ne consegue che a fronte di un’opportuna attività di negoziazione dei costi e ricavi indotti dalla trasformazione la Città può acquisire a titolo gratuito la percentuale di area dell’ambito necessaria all’offerta di servizi pubblici, evitando di pagare a valore venale il diritto all’esproprio di aree per pubblica utilità.

Quest’ultima riflessione è espressione di un pilastro fondamentale della fattibilità di operazioni di perequazione urbanistiche, e richiede un approfondimento relativo alla “verifica di fattibilità economico-finanziaria” ex ante tra gli operatori pubblici e privati coinvolti. La fattibilità del meccanismo dipende infatti dalla gestione di due variabili fondamentali (fig. 9): - l’indice edificatorio perequativo attribuibile al lotto di “atterraggio”; - la percentuale di area di cessione. Questi fattori chiamano in causa la definizione dei criteri estimativi per la determinazione del corrispettivo economico trattenuto al privato ed è funzione puntuale dei mercati immobiliari


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locali nonché della tipologia di servizio o bene pubblico da insediare. 4. Esperienze a confronto. Il reperimento delle aree a standard a favore della Città in funzione della definizione delle quantità di cubatura da edificare e della superficie da cedere alla Città da parte del privato costituiscono dunque le variabili di base attraverso le quali è possibile ragionare in termini di “modelli operativi”. L’analisi Costi-Ricavi viene quindi indicata come strumento snello ed efficace per coordinare la verifica di risultati “perequati” fra tutti i soggetti coinvolti.

In particolare si presentano, come casi studio esemplificativi: - il superamento dell’indennità d’esproprio nella valutazione delle monetizzazioni a Torino; - l’equa suddivisione del surplus di valore generato da varianti urbanistiche concertate tra la Città di Torino e gli operatori privati locali; - la valutazione dei programmi integrati a Cagliari. 4.1 Il superamento dell’indennità d’esproprio nella valutazione delle monetizzazioni a Torino. Un interessante caso applicativo in cui

Figg. 10a e 10b: La mappa dei valori immobiliari residenziali che associa i valori immobiliari alle 3.801 celle censuarie della Città di Torino (7a) e la mappa (7b) con la delimitazione delle microzone centrali (entro perimetro rosso) e semicentrali (entro perimetro azzurro).


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la Città di Torino si è dovuta misurare con la verifica della convenienza pubblico – privata nei piani e progetti urbani è relativa alla valutazione degli importi da richiedere ai privati in caso di monetizzazione degli standard urbanistici. Si ricorda a proposito che la normativa locale - PRG di Torino, all’art. 6 indica che, se nelle aree che sviluppano una SLP superiore a 4.000 mq non si riesce a reperire superficie

utile all’inserimento di standard per servizi pubblici, il proprietario dell’area può sviluppare il 100% del lotto corrispondendo alla Città la “monetizzazione” degli standard commisurata all’indennità espropriativa. La Città di Torino, grazie al supporto tecnico del Politecnico, ha avviato la negoziazione “caso per caso” della definizione degli importi, definita attraverso l’ACR che testano la fattibilità

Fig. 11b: Determinazione dei costi di costruzione standardizzati per il modello di calcolo.

dell’operazione simulando l’applicazione di input differenti alle variabili conformative, economiche e finanziarie in gioco, a partire da un primo schema proposto dal promotore privato, sulla base del quale la Città verifica la coerenza. Per quanto la procedura sia allineata a criteri di efficacia operativa essa sconta un’inefficienza intrinseca e una onerosità per la Città in termini di contrattazione e tempistiche. A partire dal 2010 è stata avanzata l’ipotesi predisporre un calcolo automa-

tico delle monetizzazioni, che tenesse conto delle caratteristiche fondiarie dei suoli, delle potenzialità edificatorie puntuali, di aspetti inerenti la finanza di progetto, in chiave flessibile e trasparente e, seppur automatico, ispirata alla logica negoziale “caso per caso”. Il modello di calcolo, che imposta in automatico analisi Costi-Ricavi, è basato sulla generazione di valori potenziali di vendita dei prodotti edilizi (in linea con gli aggiornamenti resi disponibili dalle maggiori fonti istituzionali locali


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e nazionali (OMI12, Fiaip13, Fimaa14), e sulla speculare generazione di voci di costo di costruzione degli interventi (per tenere conto di questi aspetti il modello si avvale dei costi distinti per tipologie edilizie e destinazioni d’uso del Prezziario Dei, cfr: prezzi informativi dell’edilizia). E’ stato quindi possibile produrre una mappatura aggiornabile dei valori immobiliari medi per destinazioni d’uso

residenziali e non (commerciale, terziario e produttivo) basata sull’unità spaziale della cella censuaria, che permette di ottenere un mosaico di valori immobiliari distinti per 3.801 celle urbane, a loro volta utili a definire, in via aggregata, zone urbane omogenee di valori. Si osservi a proposito come la mappatura puntuale dei valori immobiliari, soprattutto nei quartieri centrali e semicentrali, offra una delimitazione delle

Fig. 11a: Flessibilità operativa del modello di calcolo automatico on-line.

zone omogenee della Città molto più frastagliata di quella sottesa dalle macro delimitazioni di centro e semicentro predefinite dalla suddivisione in microzone censuarie (vedi fig. 10a e 10b). Analogamente, per quanto riguarda i costi di costruzione, si è tenuto conto di differenti aspetti da analizzare all’interno di ciascuna zona omogenea:

a. tipologia edilizia; b. destinazione d’uso; c. livello di finitura; d. (eventuale) livello di accessibilità del cantiere; e. (eventuale) utilizzo di soluzioni progettuali a favore della sostenibilità ambientale. Tale modello, pensato per essere pub-


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Fig.12: Gestione degli input dei dati generali e dimensionali nel modello di calcolo.

Fig.13: Gestione degli input dei dati urbanistici – generali e calcolo automatico del valore delle aree da monetizzare.


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blicato on-line attraverso successive maschere di inserimento di dati utili al calcolo personalizzato e automatico del valore delle aree, permette di verificare, sulla base di valori di riferimento standard per tutti gli operatori, quale valore di trasformazione (in termini di €/mq di superficie lorda di pavimento) può meglio esprimere l’importo parametrico della monetizzazione dovuta alla Città. Si osservi, nelle figure 11a e 11b, come, stante le condizioni attuali di recessione e inerzia operativa, la Città di Torino ha previsto la possibilità di scontare l’importo delle monetizzazioni di circa il 25% (fig. 12-13). 4.2 L’equa suddivisione del surplus di valore generato da varianti urbanistiche concertate tra la Città di Torino e gli operatori privati locali. Un secondo caso studio inerente i rapporti pubblici-privati nei processi di trasformazione urbana e che chiama indirettamente in causa il meccanismo perequativo, in quanto mira all’equa suddivisione dei costi e dei vantaggi derivanti dalla trasformazione attraverso l’attivazione di strumenti di negoziazione, è quello della gestione del surplus di valore innescato dalle varian-

ti urbanistiche tra la Città di Torino e i proprietari delle aree private.

Fig. 14. Ubicazione dell’immobile nel quadrante nord-ovest di Torino.

Come noto i privati possono avanzare proposte di modifica dei parametri conformativi o di destinazione d’uso facendone espressamente richiesta alla Città, a garanzia di un migliore e più conveniente utilizzo delle proprie risorse e al fine di ottenere dalla trasformazione un profitto maggiore di quello consentito dalle indicazioni di Piano. La Città, di conseguenza, deve poter testare il risultato della trasformazione nei termini richiesti, verificando che siano soddisfatte le condizioni di equilibrio di uso del suolo (volumetrie edificate, utilizzo e destinazione d’uso delle aree e, non ultimo, il surplus fondiario generato a favore dei privati). Nella realtà torine-


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se, caratterizzata da numerose aree di trasformazione individuate dal PRG del 1995, la possibilità di ultimare il processo di realizzazione della città privata, insieme a quella pubblica, ha reso necessario, ancor più negli ultimi anni di crisi, negoziare le variabili in gioco tra le parti. Si presenta in questa sede il caso della variante urbanistica al PRG del 2009 per la valorizzazione dell’area ATS di via Pisa 18 a Torino, sita nel quadrante nord-ovest della Città, a ridosso del fiume Dora che lambisce a nord il centro storico di Torino (vedi fig. 14). La destinazione d’uso originaria prevista dal Piano, in questo caso, era a

“servizi privati” - zona ATS – Area per Servizi pubblici (vedi fig. 15) in cui sviluppare servizi sociali e attrezzature d’interesse generale e impianti tecnologici. Il lotto privato interessato dalla trasformazione occupa una superficie fondiaria di 860 mq su cui si eleva un complesso immobiliare originariamente adibito a servizi Sip-Telecom, e datato agli anni ’30 del ‘900, in buono stato di conservazione, per uno sviluppo esistente di superficie lorda di pavimento pari a 2.201 mq. A fronte delle convenienze rilevate da parte della proprietà è stata quindi presentata alla Città una proposta di variante urbanistica, che prevedeva di re-

Fig. 15: Situazione originaria da PRG del lotto e ipotesi di variante da verificare.


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alizzare all’interno del volume esistente dell’edificio unità abitative (destinazione d’uso normativa R2), in linea con la restante destinazione d’uso attribuita al lotto dal Piano.

Fig. 16: Schematizzazione del procedimento di verifica attraverso l’elaborazione di due analisi Costi-Ricavi.

La verifica di prefattibilità è stata svolta sviluppando una doppia valutazione Costi-Ricavi, volta a stimare la differenza di valore (surplus) attribuibile

al valore di trasformazione a seguito dell’eventuale attribuzione della destinazione d’uso richiesta in modifica dalla proprietà (vedi fig. 16). Il plusvalore fondiario innescato dalla variante al Piano Regolatore (vedi fig. 17), risultato pari a 494.610 € è stato quindi suddiviso equamente tra le parti pubbliche e private coinvolte, comportando la richiesta, da parte della Città, di una compensazione monetaria pari al 50% del plusvalore stesso, commisurata in 225 €/mq di superficie lorda di pavimento. 4.3 La valutazione dei programmi integrati a Cagliari Un ultimo caso emblematico in tema di governance e negoziazione del naturale conflitto di interessi tra operatori

Fig. 17: Considerazioni sui risultati emersi dalle simulazioni di prefattibilità.


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privati e pubblici riguarda, come già accennato, il caso della valutazione dei programmi integrati a Cagliari. La Regione Sardegna è stata tra le prime, già dagli anni ’90, a dotarsi di una Legge Urbanistica attenta al problema della verifica preventiva della fattibilità economica. La Legge Regionale n° 16 del 1994 richiedeva infatti la presentazione, da parte dei proponenti di Programmi Integrati, di un bilancio economico-finanziario ad uso dei Comuni per la selezione delle proposte. Contestualmente il PUC di Cagliari del 2003, definendo le aree di trasformazione, aveva già richiesto di demandare la decisione di fattibilità delle proposte immobiliari al giudizio di convenienza economica

risultante da: • la verifica della soglia di fattibilità degli interventi; • il calcolo del teorico valore di mercato delle aree edificabili; • la verifica dell’equità distributiva del surplus di valore generato dalle trasformazioni tra pubblico e privato. Ciò significa che i programmi integrati avviati a Cagliari a partire dalla metà degli anni ’90 richiedevano, per rendere attuabili gli interventi, di svolgere analisi preliminari di fattibilità sulla base di ipotesi progettuali che verificassero l’attendibilità operativa delle destinazioni d’uso e delle cubature realizzabili. Tali analisi Costi-Ricavi, redatte con il supporto del Politecnico di Torino tra

Fig. 18: Dati urbanistico-economici relativi all’area “Ex Cementerie di Sardegna”.


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il 1997 e il 2002, si sono avvalse di ipotesi temporali medio-lunghe (7 anni), valori immobiliari del prodotto finito reperiti sulla base delle 5 microzone urbane di Cagliari, come rilevate dalla fonte Nomisma, e hanno impiegato gli oneri di urbanizzazione tabellari deliberati dal Comune all’anno della stima. La verifica del bilancio economico – finanziario dei progetti integrati PRU presentati per la riqualificazione delle aree degradate sono stati quindi analizzati secondo quanto previsto dalla normativa, per esplicitare indicatori di fattibilità e redditività per i soggetti proponenti privati e per il Comune. In particolare si presentano di seguito i ri-

sultati relativi all’area “Ex Cementerie di Sardegna” (fig. 18) su cui operava la società proponente denominata “I Fenicotteri”. La verifica è stata attuata attraverso la produzione di diverse schede riassuntive inerenti dati su: - il bilancio economico e finanziario dei Progetti Integrati; - l’indice di convenienza economica per il proponente privato (% data dall’utile netto post tasse sul totale dei costi di realizzazione); - l’indice di convenienza economica per il Comune (% data dai ricavi aggiuntivi – al netto degli oneri previsti - che spettano al pubblico sul totale dei

Fig. 19: Sintesi delle convenienze economiche per il soggetto privato e per il soggetto pubblico


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costi di realizzazione). Gli output dell’analisi Costi-Ricavi hanno pertanto permesso di calibrare gli input di costo e ricavo differenziati per tipologia di intervento privato di nuova costruzione non residenziale tra le opzioni di terziario direzionale, commerciale, servizi e ricettivo-alberghiero. Contestualmente sono state prodotte analisi di incidenza dei costi relativi alla realizzazione delle urbanizzazioni primarie e secondarie (a carico della Città di Cagliari), quali viabilità, verde pubblico, parcheggi, arredi urbani percorsi e costo relativo all’indennizzo di aree da espropriare, nonché gli importi relativi alle opere di urbanizzazione previste a scomputo e quindi realizzate dal proponente privato. Il confronto sintetico degli indicatori calcolati (vedi fig. 19) ha permesso di confermare la fattibilità del progetto promosso dalla società “I Fenicotteri” attraverso il controllo dell’indice di convenienza priva ta e pubblica (fig. 20).

Fig. 20: Cagliari. Gli edifici oggi realizzati nell’area di intervento


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Note 1 Si rimanda, per approfondimenti a: F. Prizzon, Gli investimenti immobiliari: analisi di mercato e valutazione economico-finanziaria degli interventi, Celid, Torino, 1998. 2 Gli autori fanno parte del gruppo di lavoro impegnato nel programma di ricerca relativo a “Analisi estimative a supporto del settore Valutazioni, con riferimento alla Valorizzazione del Patrimonio Immobiliare della Città di Torino” (contratto di ricerca tra il Politecnico di Torino, il cui responsabile scientifico è il prof. R. Roscelli, e la Città di Torino). 3 Tale semplificazione è giustificata dal fatto che l’inflazione può influire in modo differente sui prezzi utilizzati nella simulazione in quanto il processo inflazionistico non è omogeneo per tutti i prodotti e costi del settore edilizio. D’altra parte la scelta appare accettabile in analisi svolte all’interno dell’area Euro, in cui si avverte oramai da anni una generale stabilità del saggio. Cfr.: F. Prizzon, Gli investimenti immobiliari: analisi di mercato e valutazione economico-finanziaria degli interventi, Celid, Torino, 1998. 4 Per approfondimenti si rimanda a: L. Ingaramo, R. Roscelli, S. Sabatino, L’analisi dinamica di pre-fattibilità economico finanziaria nel caso delle varianti urbanistiche a Torino, in “La valutazione nel rapporto negoziale pubblico-privato”, DEI- ipografia del Genio Civile, Venezia, 2012. 5 Art. 834 del C.C. 6 A titolo di completezza si segnala che il Testo Unico sugli espropri è stato successivamente integrato dal D.lgs del 27/12/2004 n.

330 “Integrazioni al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, in materia di espropriazione per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche” che norma un procedimento unico per l’autorizzazione e l’asservimento di aree per la realizzazione di gasdotti, elettrodotti, oleodotti e reti di trasporto di fluidi termici, ivi incluse opere, impianti e servizi accessori connessi o funzionali all’esercizio degli stessi, nonché gasdotti e oleodotti necessari per la coltivazione e lo stoccaggio degli idrocarburi. 7 Si rimanda per approfondimenti alla sentenza CC n. 348 del 2007. 8 Come introdotto nel TU dalla Legge 24 Dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. 9 Per approfondimenti si rimanda a E. Micelli, La gestione dei piani urbanistici: Perequazione, accordi, incentivi, Marsilio Editori, Venezia, 2011. 10 Si ricorda, infatti, a seguito delle prime sperimentazioni extra legem condotte in Emilia Romagna tra il 1992 e il 1998, che è stata avviata una ristrutturazione normativa regionale, attraverso cui la perequazione urbanistica è divenuta negli anni modalità di attuazione dei piani e progetti di trasformazione. A partire dal 2000, quando anche l’Emilia Romagna si è dotata di una nuova legge, si sono diffuse, sempre in mancanza di un coordinamento nazionale, applicazioni sperimentali anche in altre regioni, tra le quali, nel 2005, la Lombardia. 11 Cfr. E. Micelli, La gestione dei piani urbanistici: Perequazione, accordi, incentivi, Marsilio Editori, Venezia, 2011. 12 Osservatorio Mercato Immobiliare.


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13 Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali. 14 Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari.

Bibliografia C.A. Barbieri, L. Ingaramo, F. Prizzon, R. Roscelli, S. Sabatino, Linee guida per la perequazione urbanistica eterritoriale in Piemonte, DICAS, Politecnico di Torino, 2009. F. Prizzon, Gli investimenti immobiliari: analisi di mercato e valutazione economico-finanziaria degliinterventi, Celid, Torino, 1998. E. Micelli, La gestione dei piani urbanistici: Perequazione, accordi, incentivi, Marsilio Editori, Venezia, 2011. L. Ingaramo, R. Roscelli, S. Sabatino, L’analisi dinamica di pre-fattibilità economico finanziaria nel caso dellevarianti urbanistiche a Torino, in “La valutazione nel rapporto negoziale pubblico-provato”, DEI-Tipografiadel Genio Civile, Venezia, 2012. Marta Bottero, Luisa Ingaramo, Giulio Mondini, Stefania Sabatino, Partecipazione pubblica e perequazione urbanistica: l’esperienza del Piano di Governo del Territorio del Comune di Volta Mantovana, in “La valutazione nel rapporto negoziale pubblico-provato”, DEI-Tipografia del Genio Civile, Venezia, 2012. R. Roscelli, La sostenibilità economico finanziaria delle trasformazioni urbane nel processo di pianificazione, in E. Abis (a cura di) “Piani e politiche per le città”, Franco Angeli, Milano, 2003.



Piani e progetti



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Piani e progetti

L’approccio ambientale al progetto di piano Maria Cristina Treu 76 L’agricoltura di prossimità: economia di cibo e di territorio Giovanni Sala 108 CIVES. Nuove alleanze tra urbano e rurale a Milano Angela Colucci 126


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Fig. 1: Il sistema della grande Mantova: al centro la città storica nel sistema dei laghi, del Parco del Mincio e dei comuni dell’ecomuseo. Fonte Laboratorio di Pianificazione ambientale, Politecnico di Milano, Polo territoriale di Mantova 2000-2013, resp. Maria Cristina Treu.


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L’approccio ambientale al progetto di piano Maria Cristina Treu

1. Le questioni aperte e le esperienze. Tre sono le convinzioni che è opportuno riprendere per quanto riguarda le interpretazioni da adottare nei confronti del fenomeno delle grandi estensioni delle aree urbanizzate che, oggi, connotano le regioni delle concentrazioni metropolitane. Noi continuiamo a chiamare città ciò che appare come un continuo edificato con densità che si alternano tra spazi abitati e spazi liberi e con espansioni che si rincorrono in più direzioni oltre i confini amministrativi anche di una stessa regione. E’ la dimensione dei territori urbanizzati in cui, da un lato, emergono gli interventi di grande dimensione dell’architettura firmata delle città capoluogo, i grandi e i piccoli centri storici delle piccole botteghe, la morfologia dei tessuti insediativi nelle diverse fasi dell’espansione urbana, le cittadelle del grande commercio, i vuoti urbani e i manufatti sottoutilizzati e, dall’altro, le aree dell’agricoltura industrializzata, quelle abbandonate e quelle in attesa di essere edificate ai margini urbani, i fiumi e i laghi, le aree umide e i boschi e ogni altra risorsa naturale e culturale da salvaguardare per il nostro futuro. Queste sono le immagini dell’urbanità programmata dalla

pianificazione territoriale: l’epifania di un processo di urbanizzazione più condizionato dagli investimenti con attese di alte rese finanziarie piuttosto che dai processi di rigenerazione urbana, di costruzione di comunità e di rinaturalizzazione del territorio. In questo contesto, i cambiamenti economici e sociali influenzati dalle relazioni geopolitiche e i tempi lunghi delle trasformazioni territoriali, richiedono di assumere come riferimento scenari di ampio raggio, con un orizzonte temporale di almeno una generazione, quella dei figli dei figli, cui allineare le scelte e i tempi di realizzazione dei progetti di riqualificazione urbana e delle infrastrutture, da quelle a sostegno della mobilità di persone e merci a quelle tecnologiche di salvaguardia e cura del territorio. E’ nell’ambito di questi scenari che si può disporre di uno spazio, anche temporale, in cui si possono individuare le alternative per “far pace con la terra”, cioè per rimodulare le scelte della città programmata e per valorizzare nuove forme d’uso delle risorse, naturali e antropiche, in cui le comunità si riconoscano. Sullo sfondo, la ricerca di una rinnovata centralità e autorevolezza della


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disciplina urbanistica che, alle politiche richiede di affrontare con decisione il passaggio da una fase di espansione insediativa verso una fase dove prevalga la trasformazione dell’esistente e, al pianificatore, di adottare scenari e quadri di conoscenza su cui far convergere più competenze disciplinari e il confronto con più soggetti privati e pubblici per evitare le azioni con esiti irreversibili e favorire la partecipazione della cittadinanza attiva1. Una ricerca che impone un approccio al governo dei processi di urbanizzazione in cui l’obiettivo di rendere competitivi i territori della città densa deve misurarsi con i fattori suolo, acqua e aria, cioè con la tutela, nella sua accezione di prevenzione, e con la manutenzione dei territori dell’altra città, quelli a bassa densità di presenza antropica e delle aree con coltivazioni agricole e abbandonate2. Le esperienze dell’approccio ambientale al progetto di piano, di cui nel paragrafo successivo si riportano alcuni passaggi e temi, evidenziano ritardi e conflittualità (ma anche il perdurare della ridondanza di alcune tipologie di intervento) che rinviano a aspetti irrisolti nel merito degli strumenti di piano, delle normative amministrative e

delle procedure attuative3. Alcune questioni riguardano le modalità di adeguamento della strumentazione urbanistica, in particolare degli strumenti di quadro generale sovra comunale che pur contenendo scelte operative e di indirizzo con valenza paesaggistica, possono essere sia disattesi sia fonte di esasperazione soprattutto per i tempi di autorizzazione. Per un verso, si sottovaluta il fatto che con l’adozione di strumenti di area vasta (come un PTCP, un parco concordato tra più comuni come un PLIS , un tratto di rete ecologica) non sia sancito che entri in vigore il regime di salvaguardia e che con l’approvazione abbia delle competenze per indicare delle prescrizioni. Per altro verso, sempre a livello nazionale, c’era l’impegno della riscrittura dei vincoli dei beni storici e culturali, individuando per ciascuno di essi il tipo di obblighi e i responsabili delle procedure di applicazione in modo di poter verificare che la tutela e la cura di ogni risorsa siano obiettivi prevalenti a ogni livello. Ne deriva un contesto contradditorio per cui per le piccole opere il rispetto di indirizzi e vincoli è nei fatti lasciato alla discrezionalità amministrativa di ogni singo-


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lo comune o dell’ufficio dei tanti livelli di governo, mentre per le grandi opere si può ricorrere al parere dirimente, anche nel caso di beni super vincolati, a livello del Ministero dei beni culturali e ambientali, oppure, nel caso di forti opposizioni dei movimenti ambientali a livello del CIPE e, in ultima istanza, allo stesso capo di governo4. Altre questioni riguardano la mancanza di integrazione programmatica tra gli interventi che richiedono investimenti certi e indivisibili fino al completamento delle opere (come quelle delle infrastrutture per esempio) e delle mitigazioni delle criticità che queste stesse opere possono indurre nelle attività quotidiane (come quelle dei servizi sotto casa per esempio) delle comunità interessate. D’altra parte per ricostruire sul costruito il progetto di piano e ogni scelta di intervento deve affrontare le problematiche che riguardano più fattori ambientali e più interessi sociali e fondiari che insistono in ogni luogo e deve ricorrere a normative più differenziate e a tecniche costruttive con tempi decisionali e costi sicuramente maggiori di quelli di un intervento su aree libere5. Inoltre la stessa ricostruzione sul costruito può

dover richiedere ambiti di perequazione e di compensazione più ampi individuando, in alcuni casi, l’opportunità di dover ricorrere a manufatti e aree anche in abitati vicini, in altri casi, spazi liberi contigui, ma funzionali alla realizzazione di una rete di rinaturalizzazione continua del tessuto abitato compatto. In altri termini si deve poter ricorrere a uno scenario e a un sistema di conoscenza più ampi del luogo su cui insiste l’intervento: è la conferma che ogni progetto di piano nelle sue diverse declinazioni di minore e maggiore dettaglio, richieda sempre un metodo e un approccio di analisi e di formulazione di proposte che si avvalga di una visione di ampio raggio, di dettaglio e intermedia: quest’ultima è certamente la dimensione più discrezionale e fluida dal punto di vista della individuazione delle scelte. Una ulteriore questione aperta riguarda gli strumenti per individuare le responsabilità di eventuali inquinamenti e le criticità connesse a attività precedenti; da chi e come verranno pagate le eventuali bonifiche e le opere di mitigazione; come verranno contabilizzate e ripartite le concessioni a costruire e le eventuali compensazioni e incen-


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tivazioni. Non c’è chiarezza a livello legislativo e non c’è una tradizione consolidata di applicazione di procedure di valutazione e di bilanci tra costi e ricavi e tra costi e benefici che possa accompagnare, come lo studio riportato nella prima parte del testo, gli interventi sul costruito influendo sulla stessa progettazione prima e sulla gestione del cantiere e della varianti poi. Una motivazione è certamente riconducibile alla sottovalutazione del rapporto ineguale tra proprietà privata e interesse pubblico e alle difficoltà di distinguere, tra i diversi soggetti interessati, la stima dei costi degli investimenti e della redditività finanziaria, quella del profitto imprenditoriale del prodotto edilizio e quella della rendita fondiaria. D’altra parte, anche le esperienze rintracciabili nella storia dell’urbanistica europea6 come quelle più recenti a cui possiamo fare riferimento, ci richiamano alla complessità attuativa di ogni programma di intervento sul costruito quando richiede la ricomposizione fondiaria di più proprietà private per individuare una unica e più congruente ricaduta dei volumi da costruire applicando la perequazione urbanistica. Nel caso italiano le difficoltà sono accentuate, certamen-

te dalle crisi politiche e amministrative ricorrenti e dal fatto che, mentre le destinazioni funzionali a servizi pubblici hanno una durata di cinque anni, quelle private non hanno scadenza. Infine le città, per ritornare ad essere centrali nella competizione globale tra le diverse regioni del mondo, devono imparare a rigenerarsi condividendo gli esiti positivi e negativi delle esperienze pregresse e dotandosi di un progetto corale di lungo periodo che si confronti con le grandi migrazioni in atto e con i più ampi contesti territoriali e culturali di provenienza7. Una questione che richiede alle città di affrontare una stagione di grande rinnovamento, come fu quella che le vide protagoniste nel corso dell’800, con i talenti, la tolleranza e gli strumenti di innovazione di cui dispongono. Una stagione che si misuri con le garanzie di una sicurezza possibile e con i nuovi modelli di abitare in comunità, aprendo varchi nei muri dei quartieri etnici, delle baraccopoli ai margini delle città degli stati emergenti e delle tendopoli ai confini tra zone di guerra: i ghetti invisibili di questi tempi recenti. Nel merito della disciplina, queste considerazioni confermano la centralità


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della programmazione e della pianificazione territoriale8 sostenuta da un sistema di conoscenza che accompagni la valutazione degli effetti delle azioni di ogni livello di piano e la verifica delle stime di impatto; ma anche l’urgenza di affrontare le modifiche per rendere più efficaci le regole di intervento con l’accordo indispensabile tra più professionalità e con la necessaria verifica della fattibilità giuridica. Nei confronti con le politiche territoriali e urbane, queste considerazioni rinviano a una più generale consapevolezza culturale che sappia adottare, di fronte alle problematiche ambientali e paesaggistiche, scelte capaci di superare le contrapposizioni di principio tra più livelli istituzionali che, troppo spesso, finiscono per bloccare ogni operatività anche in situazioni di emergenza, per un cambio di amministrazione o per la riorganizzazione degli uffici competenti. I problemi istituzionali vengono da lontano e riguardano soprattutto la presenza di adeguate professionalità a cui si deve poter richiedere di interagire nella costruzione di ponti tra le discipline che interessano il territorio e che vanno estesi alle scienze naturali e all’ecolo-

gia e alla storia dell’arte per una comprensione più matura di un tema come il paesaggio, particolarmente importante per l’Italia, ma soggetto a troppe, confuse e contradditorie interpretazioni. A questo proposito, una digressione è più che opportuna. Anche se c’è una consuetudine consolidata a percepire la natura come paesaggio quando essa coincide con un parco o un giardino oppure con i luoghi immortalati da pittori o da scrittori9 non si può difendere la natura in quanto ritenuta bella ma si devono attribuire caratteri di valore a tutte le manifestazioni dell’universo naturale. Con la legge Galasso n. 431 del 1985, tutto è diventato paesaggio, dalla città diffusa alle distese indistinte dell’agricoltura industrializzata, dal degrado dei territori e degli immobili abbandonati agli spazi colonizzati da fenomeni di rinaturalizzazione urbana, dalle acque dei fiumi e dei canali costrette entro stretti argini al territorio dei corsi d’acqua quando questi esondano e si riprendono gli spazi di un tempo. Il problema non è definire ciò che è bello e ciò che non lo è, ma piuttosto quanti e quali modelli estetici siano coniugabili con la sostenibilità ambientale e con la vitalità so-


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ciale e economica di un luogo. Il punto di vista ecologico e quello estetico sono due facce di una stessa medaglia come lo sono l’utilità e la bellezza di uno stesso manufatto artistico: due aspetti che non possono essere separati. Entrambi richiedono di abbattere ogni barriera di conoscenza e di riconoscere le potenzialità di ogni ambiente antropizzato anche se non risponde a una equazione predeterminata di bellezza. 2. I casi studio. Storia di un metodo. Le esperienze di pianificazione provinciale a valenza paesaggistica sono state l’occasione per impostare e sperimentare una struttura di piano per orientare le scelte tra le domande sociali ed economiche e tra le destinazioni d’uso in modo che ogni proposta di intervento possa essere compatibile con i caratteri insediativi e geomorfologici del territorio. Inoltre, hanno permesso di verificare come a ogni domanda, possano corrispondere più azioni e più effetti che richiedono di essere valutati rispetto a un sistema di indicatori che possono accompagnare il processo di formazione e di attuazione del piano e che possono motivare le sue eventuali modifiche e varianti: le alternative in-

dividuate dai tecnici e dagli amministratori derivano da input scientifici, economici e sociali che corrispondono a un determinato livello di conoscenza e da un insieme rapporti di forza economici e sociali in cui la stessa delega agli esperti e agli amministratori è oggetto di negoziazione. Le scelte del piano si definiscono lungo una doppia linea di confronto, quella tra le domande sociali ed economiche e quella tra le politiche e i vincoli strutturali come i fattori geologici, l’armatura delle infrastrutture e la cultura delle comunità locali di ogni sistema territoriale e ambientale. Le opzioni finali devono confrontarsi con l’opportunità di una prevalenza di soluzioni tecniche ottimali piuttosto che con la salvaguardia delle aree da tutelare; con la preferenza di una promozione di grandi impianti tecnologici piuttosto che con il sostegno alla diffusione di piccoli impianti locali; con l’urgenza di orientare gli investimenti nell’ innovazione tecnologica piuttosto che nei servizi in favore dell’inclusione sociale; con l’adozione di grandi macchine da abitare piuttosto che con il riuso, anche temporaneo, dei manufatti sotto utilizzati, abbandonati e mai utilizzati. L’esito dell’approvazione dei piani, di


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cui di seguito riportiamo alcuni passaggi, evidenziano una struttura di piano in cui alcune alternative interessano aspetti spaziali e altre riguardano vincoli di natura disciplinare e temporale; alcune azioni rinviano a trasformazioni che richiedono tempi veloci e altre trasformazioni lente, quelli dei cambiamenti ambientali e dei comportamenti sociali10. In sintesi, un progetto di piano in progress, la cui scientificità consiste nella esplicitazione del percorso che porta alle scelte e alla loro attuazione: ogni passaggio deve poter documentare che l’attenzione più importante va certamente posta sulle destinazioni e sulle modalità d’uso dei suoli, ma prima ancora deve conoscere dove, come e quanto si può costruire per non inficiare l’ambiente e la qualità e l’insieme delle scelte. I casi studio citati si riferiscono, in prima istanza, a piani di area vasta, provinciali, e documentano un percorso di scelte sostenuto da un sistema di conoscenza che utilizza più mappe tematiche, più indicatori e un percorso di valutazione cui far confluire le stime di più competenze11: è il quadro conoscitivo, richiesto anche da alcune legislazioni regionali, che dovrebbe ac-

compagnare la formazione e la realizzazione del piano e che dovrebbe essere costruito per essere implementabile e accessibile nel tempo anche da non addetti ai lavori. Su questi piani, il ruolo del sistema di conoscenza come quello degli indirizzi e delle direttive normative, dopo un primo momento di grande interesse, è andato scemando e riposto sullo sfondo delle scelte urbanistiche per effetto di cambiamenti amministrativi e dello spostamento dell’attenzione verso altri approcci, come i grandi programmi di riqualificazione urbana e territoriale e, più di recente, le scelte dei decreti legislativi finalizzati a far ripartire l’occupazione e che, a fronte della crisi del settore dell’edilizia, tendono a riconfermare le previsioni insediative pregresse di molti strumenti di piano, in contraddizione con lo stesso obiettivo del contenimento dell’uso del suolo non ancora costruito12. Queste stesse esperienze hanno evidenziato altre problematiche affrontate a livello comunale con gli studi per il Piano di Governo Territoriale di alcuni comuni. Questi hanno permesso di approfondire la situazione dei centri urbani investiti dal fenomeno della diffusione insediativa degli anni ‘60, ‘70


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e ‘80 e localizzati ai bordi del processo di concentrazione metropolitana. I casi studiati hanno in comune un importante centro storico oppure un centro coincidente con la villa e il parco appartenenti a grandi casate urbane e la permanenza di abitati rurali anche consistenti. In tutti si evince l’esplosione del tessuto insediativo coevo alla prima fase dell’industrializzazione, poi del decentramento produttivo e la domanda di ridisegnare i tessuti urbani ereditati da processi insediativi pregressi. In tutti è opportuno applicare lo strumento della perequazione urbanistica e una normativa attuativa premiante a sostegno della ristrutturazione dei tessuti insediativi, di mitigazione delle infrastrutture e di risparmio energetico. Da subito è emerso che la gestione delle scelte delle indicazioni di piano sarebbe stata difficile a causa della frammentazione delle proprietà, dei costi alti e dei tempi incerti di ogni riqualificazione urbana che avrebbero poi disincentivato piccoli e grandi investitori. La recente crisi di mercato ha accentuato le difficoltà di questi comuni, connotati da situazioni di immobilità sociale e economica, dal rischio di chiusura delle fabbriche simbolo della loro crescita, dall’attesa

dello spostamento di funzioni decentrate dall’area metropolitana oppure delle compensazione promesse dall’arrivo delle opere infrastrutturali di interesse regionale13. Sono comuni che testimoniano la mancanza di un progetto di area vasta, la fragilità delle analisi territoriali e delle proposte di mitigazione14 quando non sono accompagnate da valutazioni e da bilanci tra costi, ricavi e benefici. La ridondanza delle proposte di intervento non giustifica l’assenza di scenari di più ampio raggio che potrebbero rendere più convincente la fattibilità delle stesse proposte unitamente all’obiettivo del contenimento del consumo di suolo. In questo contesto anche gli indirizzi e le linee guida del Piano Territoriale Regionale e Paesaggistico, le Reti Ecologiche e i Parchi Locali di Interesse Sovracomunale, rimangono strumenti culturalmente importanti ma con una discutibile efficacia. Contemporaneamente, gli studi condotti nei laboratori di ricerca e didattici hanno avviato la riflessione sul tema dello spazio pubblico e sulla valorizzazione delle aree non utilizzate, intercluse e ai bordi delle città15. L’esito sono progetti che ridisegnano gli spazi urbani, dove la città con i tessuti com-


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patti, si confronta con l’altra città che si è estesa nella campagna accentuando le situazioni di abbandono di manufatti e di spazi un tempo funzionali alla coltivazione. Questi progetti hanno adottato un approccio di progettazione che si propone di ricostruire la continuità dei tracciati riutilizzando i manufatti e gli spazi abbandonati e valorizzando le connessioni tra i vuoti urbani e i tessuti in condizione di isolamento e di marginalità anche sociale. Le esperienze riportate documentano proposte molto differenziate per contenuti, dimensioni e soggetti intercettati, con l’obiettivo di riconoscere le potenzialità e le opportunità di una integrazione virtuosa tra più forme di urbanizzazione: da un lato la pianificazione e l’architettura della città programmata e dall’altro le esperienze promosse dalla cittadinanza attiva per riscoprire e rinnovare la capacità di auto riproduzione e di resilienza delle comunità di residenti. I casi citati non permettono alcuna conclusione e proiezione consolatoria e tanto meno l’imputazione di colpe a veri o presunti nemici. Viceversa le riflessioni confermano molti aspetti delle asimmetrie già citate nel merito della disciplina urbanistica, sottolineano l’urgenza di

praticare, nel merito, la convergenza tra più contributi disciplinari e l’opportunità di estendere le esperienze di contaminazione tra le forme d’uso delle risorse della città coinvolgendo sia i cittadini che vivono spostandosi tra i piani alti di più città sia quelli che vivono in un unico luogo e quartiere. La ricerca sulle regole e sulla molteplicità delle forme di progetto dello spazio pubblico richiede, tuttavia, di dare continuità alle pratiche di comunità soprattutto per alimentare un confronto propositivo virtuoso con i grandi progetti di riqualificazione urbana e con la stessa committenza amministrativa pubblica. In questo senso urbanisti e architetti possono farsi carico del riconoscimento di queste pratiche per il ruolo che possono svolgere anche rispetto alle stesse pratiche professionali e a una sua più articolata declinazione nei confronti della tutela delle risorse e della prevenzione di nuovi rischi e vecchie paure16. In sintesi per sostenere con più efficacia gli obiettivi dichiarati di sostenibilità sociale, economica e ambientale attraverso la convergenza di obiettivi e di azioni nella ricomposizione e nella ricostruzione del tessuto urbano, nella salvaguardia dell’ambiente e nella tutela del paesaggio, riprenden-


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do l’interpretazione che i nostri padri costituenti assegnarono all’art. 9 della Costituzione17. Ogni piano e ogni progetto richiede l’impegno e l’accordo tra più competenze, tecniche e artistiche, che devono precedere l’apporto della tecnica giuridica nella predisposizione delle normative: ogni azione di progetto produce infatti più effetti, alcuni più compatibili di altri e la giustezza dell’azione prescelta dipenderà dal significato che

si intende attribuire alla tutela dei beni pubblici e di uso pubblico, nella convinzione che un progetto più approfondito e più condiviso garantirà anche maggiori convenienze. 3 Progetti di piani di area vasta, di livello comunali e di territorio. Un metodo e più temi. Le esperienze dei progetti di piano di area vasta e di livello comunale, documentano l’approccio ambientale al pro-

Fig. 2: La rappresentazione dei passaggi del metodo per l’approccio ambientale al progetto di piano.


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getto di piano che mette al centro della formazione delle scelte, la conoscenza delle sensibilità e delle compatibilità d’uso del suolo. E’ il rovesciamento dell’approccio tradizionale di piano che generalmente anticipa i progetti insediativi e infrastrutturali rispetto alla valutazione e allo studio delle mitigazioni degli effetti sul territorio. In sintesi è un approccio di piano che richiede di contestualizzare gli obiettivi di sviluppo e di valorizzazione dei beni materiali e immateriali nell’ambito di un bilancio di convenienze sociali e economiche e di vincoli ambientali. Questo approccio è l’esito degli studi condotti in ambito di ricerca e sperimentati con più amministrazioni provinciali e comunali in occasione di convenzioni con il Politecnico di Milano, avviate con i PTCP di Mantova dagli anni ‘90, quelle di Cremona e di Lodi conclusesi nel 2010 e quelle degli studi per il PTCP di Milano interrotti dall’ultimo cambio di amministrazione. Inoltre questo approccio è stato approfondito con le convenzioni per gli studi di più PGT e con le ricerche condotte nei Laboratori didattici di Progettazione Urbanistica e di Fare Paesaggio nella sedi di Milano e di Mantova del Politecnico di Mila-

no nel periodo 1990-2014 sui temi di riqualificazione di aree di bordo urbano, di recupero dei manufatti abbandonati e di valorizzazione delle risorse ambientali con la partecipazione delle comunità locali. Il metodo adottato, di cui di seguito riportiamo brevi sintesi e alcune immagini, mette in evidenza l’importanza di adottare un punto di vista di area vasta per orientare i soggetti istituzionali, pubblici e privati, nella formazione delle scelte, cioè la dimensione d’area compresa tra le relazioni di più ampia scala e quelle più specifiche della dimensione locale che permette di valutare i vincoli e le potenzialità delle risorse unitamente ai rischi e ai costi di una loro sottovalutazione. Inoltre, è un metodo che, nel confronto con le comunità locali, fa emergere l’importanza della storia dei luoghi per identificare i segni e i significati del paesaggio e le alternative di progetto le cui attese sono da valutare e poi da monitorare nel corso della loro attuazione.


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Le immagini documentano: il primo studio di una mappa tematica realizzata con il sistema dell’overlay mapping in occasione del Piano d’area di Mantova (1992); il grafo della rete ecologica di livello provinciale, introdotta con l’adeguamento al primo PTCP (2002); la mappa con gli ambiti geografici, e/o i comprensori, messa a confronto con la mappa delle unità tipologiche di paesaggio; (Cfr., M.C. Treu “Un approccio ambientale alla pianificazione” in, Frederick Steiner, “Costruire il paesaggio”, seconda edizione 2004 McGraw-Hill Italia).


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3.1 La sperimentazione delle cartografie tematiche e l’impostazione della rete ecologica. Il PTCP di Mantova, preceduto nella sperimentazione dell’approccio ambientale dal Piano d’area di Mantova, è il primo piano approvato in Lombardia. Il PTCP fu avviato nei primi anni ’90 con riferimento alla legge n.192/’90 e fu poi adeguato alle linee indicate per il PTCP dalla legge urbanistica regionale n.12/ 2005. Il piano diventa l’occasione per avviare le mappe tematiche e per identificare i circondari provinciali ex lege 142/’90 e il ruolo di ogni comune e di indicare tra le priorità di progetto la messa in rete del capoluogo con il potenziamento del connessioni su ferro con Verona a Nord e con Modena a Sud (evitando la realizzazione della nuova circonvallazione attorno al capoluogo); di valorizzare il sistema delle sponde dei laghi e del Trincerone a sud coordinando lo sviluppo con i comuni contigui. Lo scenario è quello di consolidare tre polarità con: al centro quella del comune capoluogo, a nord-est quella costituita dai comuni di Porto Mantovano e di San Giorgio e a sud-ovest quella formata dai comuni di Curtatone e di Virgilio, oggi, Borgo Virgilio dopo

la sua unione con il comune di Borgoforte. Le pressioni e le contraddizioni riemergono con la seconda versione del PTCP di adeguamento alla legge regionale n.12/2005, quando la rete ecologica sostituisce ogni riferimento alle mappe tematiche e nonostante l’adozione dei criteri per contenere il consumo di suolo, ritornano sulla scena i fautori delle viabilità su gomma e che, a fronte delle contraddizioni dell’Amministrazione, riescono a far approvare due tracciati tangenziali, uno a nord e uno sud rispetto al comune capoluogo. La terza versione del PTCP, sviluppata nel 2010 internamente agli uffici tecnici della provincia, ripropone le due tangenziali, le soglie di consumo di suolo per ogni comune e un approccio che intenderebbe attrarre investimenti in un clima dove si fanno sempre più evidenti le difficoltà di coordinamento tra gli orientamenti regionali, provinciali e comunali. Le difformità e le incertezze interpretative sono riconducibili ai criteri di compatibilità nelle scelte dell’uso del suolo e di attuazione della rete ecologica, accentuate dalla contrazione delle risorse e dai contrasti istituzionali.


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Le immagini documentano: per Cremona, il sistema delle polaritĂ urbane, i sistemi ambientali di progetto e le aree di coordinamento intercomunali (ACI); per Lodi gli ambiti di pianificazione concertata, le unitĂ di paesaggio geomorfologiche e la mappa delle infrastrutture che attraversano la provincia da Milano verso le regioni centrali e del sud Italia.


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3.2 Lo sviluppo delle mappe tematiche e della rete ecologica. Cremona e Lodi sono i capoluoghi di due province caratterizzate da Comuni di piccole e medie dimensioni, dalla presenza dei fiumi Adda e Oglio e da una fitta rete di canali costruiti dal XVIII in un territorio che è dotato da alte classi di fertilità e di produttività. Nel caso dello studio per il PTCP di Cremona sono sistematizzate le mappe tematiche sulla sensibilità/compatibilità e, nel caso del PTCP di Lodi, la rete ecologica è integrata con la presenza dei beni storici e culturali. L’identificazione dei circondari viene reinterpretata, nel caso della provincia di Cremona individuando gli Ambiti di Coordinamento Intercomunale sulla base delle tradizioni associative (le ACI, prologo di una modifica della legge 12/2005 che per i piccoli comuni assegna al PTCP il ruolo di Documento di Piano) e, nel caso della Provincia di Lodi (che fu Comprensorio nell’ambito delle Provincia di Milano) individuando gli Ambiti di Pianificazione Concertata tra comuni di piccola dimensione. La rete ecologica multifunzionale viene estesa ai due territori, entrambi fortemente antropizzati dalle attività di coltivazione

e di allevamento e da una cultura materiale molto radicata nella trasformazione dei prodotti dell’agricoltura: da tradizioni di eccellenza nella musica e nella biotecnologia in agricoltura per Cremona e nei prodotti per la cura del corpo per Lodi. Le vicende di questi due PTCP (2003-2009) si divaricano nella loro applicazione e nei successivi adeguamenti. Nel caso di Cremona sono promosse due iniziative interessanti: il piano intercomunale dei comuni delle Terre dei Navigli, approvato seppure tra molte difficoltà anche per la richiesta della Regione di mantenere separata la stesura e l’approvazione di ogni PGT e il progetto del Distretto Culturale Evoluto della Provincia dedicato alla promozione dei settori dell’ospitalità turistica e della conoscenza dei prodotti locali e della musica. Nel caso di Lodi, l’amministrazione eletta nel 2010, ha fatto proprio il testo del PTCP già adottato, senza completarne l’iter di approvazione; dall’ottobre del 2014 il testimone è stato raccolto dal commissario con l’obiettivo di approvare il piano adeguandolo al nuovo PTPR e interpretando le indicazioni della legge Del Rio con l’individuazione di sub ambiti omogenei di governo del territorio.


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Le immagini documentano: con le prime tre mappe le analisi della caratterizzazione agricola, paesaggistica e naturalistica e a lato, la mappa di sintesi che distingue le zone, in chiaro, dove è prevalente la continuità delle aree coltivate; la terza mappa che distingue tra i macrosistemi fisici tra quelli di dominio dei corsi d’acqua e quelli con funzioni ambientali come l’alimentazione delle falde sotterranee e quelli con l’acqua a livello superficiale; la quarta mappa che distingue le aree agricole, in chiaro, da quelle costruite.


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3.3 Le aree agricole e il consumo di suolo. Il PTCP di Milano. L’amministrazione provinciale si è avvalsa di una struttura interna per coordinare più competenze tra cui il contributo, in convenzione con il Politecnico, per affrontare il tema delle aree agricole e per analizzare la consistenza e i rapporti di tali aree con il paesaggio, distinguendo le zone coltivate da quelle densamente costruite. La specificità di questa esperienza, condotta nel 2006 -2007, è consistita nella opportunità di produrre alcune mappe tematiche con il contributo dei settori e delle competenze presenti nella provincia e oltre che di poterle confrontare con il percorso che avrebbe portato alle scelte nel merito della salvaguardia del suolo e dell’ambiente sin dall’inizio di ogni considerazione e scelta. L’esperienza entra in crisi nel 2008. Le difficoltà sono emerse con le interpretazioni sul peso dei fattori che avrebbe inciso sull’ordinamento delle sensibilità e delle compatibilità d’uso del suolo e nei confronti del consumo di suolo diretto e indiretto connesso alle scelte infrastrutturali come il tracciato della tangenziale est previsto a ridosso del Parco Agricolo Sud e quello della

Pedemontana che avrebbe occupato le poche aree ancora libere tra gli abitati dei comuni a Nord di Milano (quelle dell’infrastruttura strategica verde) e cancellato più di un varco della rete ecologica provinciale. La maggioranza di governo di allora, non riuscì a approvare il progetto di piano e l’amministrazione successiva riorganizzò l’impostazione del PTCP interpretandolo come una cornice di razionalizzazione e di mitigazione dei progetti portati al tavolo della negoziazione. La vicenda del PTCP di Milano, anche a fronte della successiva gestione dei tracciati delle due infrastrutture, comunque adottate senza opposizioni, è il segnale che le contraddizioni sono spesso trasversali rispetto alle diverse maggioranze. D’altra parte un piano rappresenta sempre una mediazione tra più alternative di scelta e, in questo senso, le divergenze tra i tecnici, quando assumono posizioni precostituite, non contribuiscono né a rafforzare l’efficacia del sistema della conoscenza e dello strumento della valutazione né a riconoscere la rilevanza del contributo che comunque un piano approvato può dare.


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Le immagini riportano: nella prima e terza immagine il sito Expò nel territorio compreso tra il Ticino e Milano con i percorsi dei pricipali canali di stribuzione delle acque (il Villoresi a nord e il Naviglio Grande che dal Ticino scende fino alla darsena di Milano); nella seconda immagine il reticolo della distribuzione delle acque d’irrigazione; una quarta mappa con evidenziati i canali che convergono sulla darsena e che delimitano l’area del Parco delle Risaie (immagini presentate dall’arch. Anna Rossi al corso di aggiornamento di Tecnica Urbanistica V. Colombo nel 2011/2012).


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3.4 Un progetto di livello metropolitano. L’anello azzurro per Expo 2015. Nella vicenda di Expo 2015 il progetto consiste negli interventi previsti nel sito espositivo di Rho-Pero e nel sistema delle opere di riqualificazione della rete delle acque della Lombardia compresa tra il Canale Villoresi a nord e il sistema dei Navigli a Ovest sino alla Darsena: il nodo urbano da collegare allo stesso sito espositivo con un percorso con tratti via acqua e tratti asciutti. Tuttavia, l’attenzione si è concentrata soprattutto sulla realizzazione delle opere destinate all’esposizione. Nel passato, il sistema delle acque della Regione Lombardia è stato oggetto di un grande lavoro d’ingegno, di grandi risorse e di grandi fatiche per imbrigliare le acque con opere di bonifica e per tutelare un territorio a alta fertilità. Il progetto per l’Expo 2015, coerentemente con il tema proposto, ha previsto, con molte difficoltà, un sistema di opere per la gestione delle acque e del territorio agricolo in uno scenario di area vasta: una innovazione rispetto a una attenzione generalmente focalizzata sulle costruzioni previste entro i confini della città. La rete delle acque coinvolte dal progetto interessa tutto il territorio di mag-

gior valore agricolo della provincia di Milano: quello delle aree che dal Ticino si spingono da ovest fino ai bordi della città densa. Qui si è innescato, nell’ambito del progetto CIVES (CIttadini VErso la Sostenibilità), un processo di partecipazione di associazioni e di singoli cittadini che hanno sostenuto il riconoscimento del valore di un’area agricola periurbana da destinare a parco delle risaie e di molte altre proposte progettuali di connessione di questa stessa area lungo l’asta del Naviglio Grande sino alla Darsena, un’asse urbano che rinvia ai luoghi dei mestieri artigianali e del mercato dei prodotti agricoli, attività un tempo localizzate tra via San Gottardo e il Naviglio Grande.


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Le immagini documentano: l’anello verde lungo le sponde dei laghi con il completamento delle aree a parco e dei percorsi di mobilità lenta che dovrà affrontare più ostacoli come quelli delle aree industriali e dei quartieri mai completati (le prime due mappe); il Serraglio, cioè la campagna abitata a sud di Mantova che comprende l’area del Tricerone, oggi vincolata a parco; il disvelamento dei luoghi di Mantova dimenticata, come l’area di San Nicolò, un tempo utilizzata come porto e su cui si sono succedute più attività produttive, militari e civili e gli spazi di cortili interni che contengono beni dimenticati come quello dove è ancora presente la sede delle corporazioni della lana.


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3.5 La riqualificazione dei bordi urbani. L’occasione degli studi per il PGT di Mantova città (2004-2012), accanto alle problematiche connesse ai cambiamenti demografici, al fenomeno dell’abbandono di manufatti storici e industriali, al perdurare del disagio abitativo e delle difficoltà nella gestione dei servizi, ha evidenziato il tema della riqualificazione dei bordi urbani lungo le sponde dei laghi e, a sud, una espansione insediativa che si affolla lungo la viabilità di ingresso alla città e occupando in modo disordinato gli spazi dell’ex Campo Trincerato. In queste zone emergono aree e costruzioni sottoutilizzati e abbandonati con potenzialità inespresse che possono essere rimesse in gioco con poposte che colleghino la città storica con il sistema dei laghi, con il fiume Mincio, con le cascine e le aree fertili dell’agricolura di una campagna molto abitata, come si vede nell’immagine riportata del Serraglio, su cui sono censite le cascine ancora presenti. Nell’area della grande Mantova si legge, da un lato, il nodo della città storica riconosciuta dall’Unesco come bene dell’umanità per l’unicità e il valore

della sua architettura cinquecentesca e l’area perimetrale di salvaguardia (l’area buffer) estesa ai tre laghi che ne fanno un unicum e, dall’altra parte, il sistema degli abitati, a nord-est, di Porto Mantovano e di San Giorgio con parte delle aree industriali e, a sud- ovest, l’area industriale storica e la sua estensione sottoutilizzata a confine con il Porto di Valdaro oltre all’area del Trincerone, insidiata in più punti dallo sprawl insediativo della città capoluogo e dei comuni di Curtatone e Virgilio.


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Le immagini documentano: la realizzazione di un sistema di reti verdi per la riqualificazione del tessuto urbano su più versanti, mettendo in sicurezza e liberando le sponde le Lambro dalla presenza di molti insediamenti impropri, collegando il Lambro con il canale della Martesana e valorizzando soprattutto l’area libera a est di completamento del PLIS delle Cave dei comuni contigui; la ricucitura dei tessuti urbani con interventi di demolizione, ricostruzione e trasferimenti di diritti di volumetria. Le prime due mappe riportano lo stato del verde e l’obiettivo di progetto; le seconde due l’ipotesi di sistemazione dell’area libera a est e un’area interna al tessuto edilizio sottoposta a piano attuativo di riqualificazione.


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3.6 La continuità degli spazi pubblici e verdi urbani. Il comune di Cologno Monzese appartiene ai comuni della prima cintura di Milano e fu coinvolto, come molti di questi comuni, nella crescita insediativa del secondo dopoguerra. La crescita iniziata negli anni ‘50 è stata rapida e intensa con insediamenti destinati a residenza per la mano d’opera impiegata nelle attività produttive della zona. Il comune è servito da un ramo di metropolitana ed è attraversato dalla tangenziale est oltre che da una estesa rete di elettrodotti. Le potenzialità del comune sono collegate alle presenza della sede di Mediaset, all’indotto dell’ospedale San Raffaele e all’accessibilità rispetto al centro di Milano, con tre stazioni della metropolitana. Oggi, il comune di Cologno come altri dell’area metropolitana milanese, deve affrontare il tema della riqualificazione del proprio tessuto urbano con interventi di “rammendo dell’esistente”, di recupero di aree libere di uso pubblico e di valorizzazione degli spazi liberi. Questo è il tema di intervento che interessa comuni analoghi come per esempio Desio nel Monzese, Gallarate nel Varesotto e Suzzara nel Mantovano. Il tema deve fare i conti

con la più recente crisi di un mercato edilizio di bassa qualità e con l’astrattezza e l’opacità di una programmazione di area vasta. Molte difficoltà sono da imputare alle contraddizioni della disciplina urbanistica, altre appartengono alle discrasie decisionali tra livelli istituzionali e alla sottovalutazione dei grandi interessi. Il PGT di Cologno (2013) è un esempio paradigmatico di attesa di più rilevanti opportunità di intervento. Infatti ha un tessuto urbano frammentato e interrotto da due infrastrutture, mentre l’unica grande area libera rientra in un PLIS. I sedimi delle infrastrutture, compresi quelli delle stazioni della MM non sono di proprietà del comune di Cologno, fatto che rende complessi anche gli interventi per una loro riqualificazione. Cologno anticipa anche i probabili effetti sul territorio del controverso attraversamento della Pedemontana a Nord di Milano, a cui, è imputabile, come nel caso di Desio, l’occupazione dell’infrastruttura verde e l’indisponibilità di una fascia continua di mitigazione di proprietà comunale rispetto al tessuto urbano esistente.


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Le immagini documentano: un comune cui il PTCP affida il ruolo di polo urbano; la valorizzazione del paesaggio con il risanamento e l’adeguamento delle opere di bonifica per il controllo delle acque anche attraverso la riscoperta dei canali, delle cascine e degli spazi non più vissuti; la sequenza di più interventi come la ristrutturazione dei manufatti abbandonati ai bordi e nel centro di Suzzara e nelle frazioni; la promozione di un luogo storico come quello della battaglia sul Po che tra gli eserciti germanici e francesi e dove oggi, in località Riva di Suzzara, c’è il memoriale dedicato alla pace tra i paesi europei in onore del frate gaelico San Colombano.


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3.7 Il territorio del fiume Po. Il comune di Suzzara è la polarità urbana di riferimento per il comprensorio dell’oltre Po di Mantova: un comune che ha vissuto la stagione industriale legata alla produzione di macchine agricole e di autoveicoli Iveco del gruppo Fiat e che, oggi, si presenta con un centro storico di cui rimangono limitate testimonianze, un grande polo industriale, più frazioni e un tessuto insediativo caratterizzato da una edilizia mono e bi famigliare in un territorio dove si può ancora leggere la presenza di un passato agricolo. Le analisi della struttura demografica, delle costruzioni, dei servizi e delle infrastrutture evidenziano un comune interessato dai fattori di stagnazione economica e demografica, dalla presenza di manufatti abbandonati e degradati e da difficoltà di completamento di interventi già avviati. L’approfondimento delle analisi per il piano, concluso nel 2012, ha sottolineato l’opportunità, da un lato, di contenere le ipotesi di crescita a favore della riqualificazione dei tessuti esistenti e di cancellare la proposta di una nuova infrastruttura su gomma ancora presente, dall’altro, di finalizzare ogni iniziativa verso scelte di risparmio energetico nel

campo delle costruzioni e dei trasporti e di rivalutare le produzioni agricole e le risorse naturali anche con iniziative che rendano attrattivi i servizi connessi al Parco del Po e al Parco dedicato a San Colombano. Nella convinzione che sia necessario collegare le aree del centro con le frazioni e di mettere a sistema i servizi con misure di sostegno anche alla rigenerazione del tessuto sociale. L’incognita più rilevante riguarda l’assenza di una strategia che orienti scelte e investimenti per un ritorno alla terra con innovazioni nei settori dell’agriindustria e nel quadro di uno scenario di programmazione di lungo periodo e di area vasta.


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Fig. 3: L’immagine documenta il territorio del fiume Mincio tra Mantova e Verona, oggetto di studio e di proposte di valorizzazione paesaggistica condotti nell’ambito del Laboratorio Fare Paesaggio, AA 2010/2014, Politecnico di Milano, Polo di Mantova.


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3.8 Il paesaggio lungo il fiume Mincio. E’ la scelta di approfondire lo studio del territorio lungo il fiume Mincio dal Garda sino al Po con l’obiettivo di riscoprire le correlazioni tra il corso d’acqua e la geomorfologia del suolo, le funzioni delle opere idrauliche e dei canali rispetto alle attività ripariali di ieri e di oggi, il ruolo del Parco e di altri strumenti urbanistici e di gestione del territorio nei confronti dei centri abitati, delle riserve naturali, degli ecomusei e della tutela di coltivazioni da quella del riso a quella dei canneti di carice. La ricerca ha affrontato il tema della valorizzazione del paesaggio di più luoghi anche limitrofi al Parco come alcune aree demaniali e le Valli Grandi Veronesi, evitando i limiti posti dai confini istituzionali e privilegiando la valorizzazione delle risorse presenti originate dai fenomeni geomorfologici e dalla attività antropica. Con l’obiettivo di capire come la rinuncia attiva di aggiungere materia, nel senso di evitare nuovi interventi edilizi e viabilistici, su un territorio già sovra affollato da costruzioni, strade, cave e rifiuti, può far rivivere un territorio, un tempo, molto popolato e ricco di attività agro artigianali e sostituite, oggi, da coltivazioni

industrializzate e da grandi allevamenti. Nei progetti confluiscono più abilità che mettono a sistema azioni materiali e immateriali capaci di coinvolgere i cittadini di più generazioni e di più culture in un programma di interventi che possono essere anche temporanei ma utili per riaccendere l’attenzione degli abitanti e degli stessi investitori su luoghi il cui riutilizzo non è necessariamente e solo di natura immobiliare. Ogni progetto assume come riferimento la storia del luogo, indaga le potenzialità e i limiti del contesto e avanza proposte valutando le opportunità di intervento anche alternative. L’esito è una mappa percettiva dei segni e dei significati da tutelare e delle azioni che vanno a comporre le proposte da confrontare con tutti i soggetti interessati, le comunità dei cittadini e gli stessi investitori E’ la linea della valorizzazione del paesaggio nello spirito della dichiarazione della comunità europea e soprattutto nel rispetto del significato dell’artico 9 della nostra Costituzione che richiede a tutti (professionisti, amministratori e cittadini) di affrontare percorsi e proposte di intervento con la necessaria conoscenza dei valori ereditati dalla storia e utilizzando le potenzialità de-


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Le immagini documentano: gli interventi nelle aree veronesi del riso e quelli per la valorizzazione delle opere idrauliche a nord di Mantova; la promozione di luoghi storici in un comune delle colline moreniche e la zona demaniale del Monte Mamaor; i progetti per la valorizzazione di Bosco Fontana e per la riqualificazione della Conca di Governolo.


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gli strumenti di cui oggi disponiamo a sostegno di una immaginazione che si discosti con coraggio dalla banalizzazione dei progetti con attese di immediate rese finanziarie.

Fig. 4: La mappa documenta il sistema delle acque e dei valori paesaggistici del territorio del fiume Mincio con una estensione che comprende la parte del territorio mantovano a confine con le grandi Valli Veronesi, percorse da un sistema di corsi d’acqua di origine sorgiva dove si intravedono la previsioni di grandi aree industriali che si sovrappongono al reticolo idraulico e agrario della produzione risicola.


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Note 1) Il divario tra le proposte di piano e la loro efficacia che incide, più che nel passato, sull’autorevolezza dell’urbanistica, richiede uno sforzo da parte delle istituzioni pubbliche e private e dei tecnici per riannodare un dialogo effettivo tra gli strumenti formali del piano e la partecipazione della cittadinanza attiva accogliendo soprattutto le proposte di intervento che questa propone. 2) Cfr., l’impostazione della collana “La città e l’altra città”, e i testi già citati: 3) Si confrontino, oltre alle asimmetrie già citate nel testo introduttivo, quelle riportate nei contributi di altri autori. In particolare, ii ritardi italiani nei tempi di rinnovamento delle infrastrutture e degli interventi di riqualificazione urbana rispetto a quelli dei progetti avviati nelle capitali europee fin dal 1970. Anche se i primi segnali di riorganizzazione produttiva e dell’emergere dei vuoti urbani sono segnalati in, Lombardia, con il censimento dei manufatti industriali dismessi datato 1980. 4) Cfr., il contributo in questo testo di Stella Agostini. “Vincoli che trasformano la Tutela in consumo. La fragilità delle aree protette” 5) Ogni progetto che interviene sul costruito deve affrontare analisi di grande dettaglio da quelle sulle proprietà catastali e sulle condizioni delle infrastrutture nel sottosuolo, agli interventi di disinquinamento e, soprattutto, a all’identificazione degli interlocutori sociali. Un esempio significativo è proprio la frantumazione degli interlocutori sociali che possiamo registrare nel XXI secolo rispetto alla tradizionale tripartizione in classi della società, operai, classe media, alta classe. L’indagine svolta nella primavera del

2013 dalla BBC con la London School of Economics e con l’università di Manchester, York e Londra (Great Britain Class Survey) ha individuato ben sette livelli considerando la ricchezza economica, culturale e relazionale. 6) Cfr., Donatella Calabi, Storia dell’urbanistica europea, Mondadori, 2004; si confronti l’esperienza di Francoforte e l’applicazione della legge Adickes, pagg 106, 107 e seguenti. 7) Cfr., a proposito dei rapporti tra città e regione di riferimento, il testo S. Sassen e N. Negro, “Le città nell’economia globale”, il Mulino, 2010. 8) Cfr., a proposito della centralità della pianificazione e dell’inefficacia delle politiche dei due tempi e dell’impiego delle sole tecnologie nel mantenimento della coesione sociale e nella salvaguardia dell’ambiente, Giorgio Ruffolo, “La qualità sociale. Le vie dello sviluppo”, Laterza, 1985 e , “Il carro degli indios” in, Micromega n. 3, 1986. 9) Si vedano i racconti, i disegni e i dipinti di quanti parteciparono al Gran Tour e la scoperta dei paesaggi dei paesi mediterranei che influirono nelle prime legislazioni di tutela delle bellezze storiche e naturali; che, oggi, come già affermò nel 1985 la legge Galasso, ci si deve confrontare con una concezione olistica dell’ambiente e del paesaggio e che ad altri aveva già fatto dire che si deve vivere nel mondo come se fosse una navicella spaziale (cfr., Alan H. Cottrell , Ambiente ed economia delle risorse, il Mulino, 1984). 10) Si vedano le posizioni di molti autori come Rosario Giovannoni quando dice che nel riconoscere alla configurazione dello spazio naturale attributi di bellezza dobbiamo appurare anche la sua appropriatezza ai bisogni dell’uomo, ma-


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teriali e immateriali. Si confronti altresì quanto tramandatoci dallo stesso Vitruvio per il quale la bellezza dei manufatti deve rispondere a tre requisiti, venustas, firmitas e utilitas; e quanto in epoca più recente ha detto un altro autore, Victor Papanek, sostenendo che la bellezza e l’utilità sono due facce di una stessa medaglia (cfr., V. Papanek, Design For Real World, Human Ecology and Social Change”, Thames and Hudson, Londra, 2° Revised 2005 (1° ed. 1985/1997). 10) Cfr., Daniel Kahneman in,” Pensieri lenti e veloci”, Oscar Mondadori, 2012. 11) Per la costruzione del sistema di conoscenza si è fatto riferimento al metodo dell’ Overlay Mapping, sperimentato a suo tempo anche da Ian McHarg (cfr., “ Progettare con la natura”, edito da Feltrinelli ) e riproposto in occasione degli gli studi per i PTCP di Mantova, Cremona e Lodi; poi approvati e In quello per Il PTCP della Provincia di Milano, poi accantonato (cfr., la postfazione e il contributo di MC Treu in Freederick Steiner, Costruire il Paesaggio, McGraw-Hill, seconda edizione 2004, pagg 207-232 12) Il sistema di conoscenza a sostegno delle scelte urbanistiche è un obbligo di legge che, tuttavia, come la ricerca storica e la stessa procedura di valutazione, spesso non impegna le scelte politiche e il rispetto dei vincoli ambientali e paesaggistici. Oggi, il decreto legislativo “Sblocca Italia” si propone di far ripartire il mercato edilizio in crisi da sovra produzione, sbloccando molte opere infrastrutturali ferme da tempo e assorbendo molti immobili invenduti e ricorrendo (se non sarà rivisto) anche alla possibilità di avviare i cantieri in attesa dell’autorizzazione delle Sovraintendenze e in difformità rispetto alle de-

stinazioni d’uso del piano. 13) Il riferimento è a più comuni, alcuni contigui a Milano come per esempio Desio e Cologno, altri molto decentrati come Suzzara. In questi casi la mappa dell’evoluzione del costruito evidenzia una forte crescita a partire dagli anni 1970 in poi e, oggi, le indagini sullo stato di fatto sottolineano una situazione sociale e economica quanto mai critica per quanto riguarda il mercato del lavoro e quello immobiliare. 14) Cfr., la proposta di mitigare con una pista ciclabile il tracciato della Pedemontana che collega Varese a Bergamo a Nord di Milano e che nel frattempo è diventata una autostrada particolarmente impattante proprio tra Seregno, Desio e Lissone anche per la presenza di svincoli; tracciato e svicoli che consumano completamente l’infrastruttura verde prevista dalla versione del PTCP di Milano del 2005. 15) Cfr., la rassegna di progetti contenuti nel primo testo della collana La città e l’altra città, denominato con lo stesso titolo; mentre altri casi, di cui alcuni esempi sono riportati più avanti nel testo, fanno riferimento alle mostre degli elaborati dei laboratori di Pianificazione e di Progettazione ambientale del Politecnico di Milano nelle sedi di Milano e Mantova e del Corso Opzionale Fare Paesaggio. 16) Cfr., il testo sulla fragilità degli organismi complessi come le grandi città investite da fenomeni di grandi cambiamenti sociali di Lucia Salvadori e Rino Rumiati, “Nuovi rischi, vecchie paure”, Il Mulino. 17) Cfr., contributo di Tomaso Montanari nel testo di Leone, Maddalena, Montanari, Settis, “Costituzione incompiuta”, Einaudi, 2013, pag., 9.


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Fig. 1: Fonte:Osservater, “Lombardia: i paesaggi della pianura�, Silvana editori 2010 Foto di Vittore Fossati, Borgoforte, Mantova, pag. 95


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L’agricoltura di prossimità: economia di cibo e di territorio Giovanni Sala

1. Il ruolo del paesaggio agricolo. Oggi più che mai l’attenzione disciplinare è rivolta al grande tema del paesaggio, visto come bene irrinunciabile per il benessere dell’uomo e delle sue azioni sul territorio nella società contemporanea. Tale argomento, centrale nel dibattito attuale, non può non coinvolgere e non relazionarsi con il grande tema del ruolo dell’agricoltura nell’economia contemporanea e di conseguenza della tutela dei paesaggi rurali. La ruralità è infatti uno dei principali caratteri comuni a tutta l’Europa, nonché elemento unificante, riscoperto e sancito dall’Unione Europea nella Conferenza di Cork1 del 1995. Affrontando il paesaggio, inteso come opera collettiva data dalla sommatoria di azioni individuali con implicazioni estetiche e valenze sociali ed economiche, la questione assume subito un’altra dimensione al di là di ogni banalizzazione che ha portato spesso a spazi ibridi, in bilico tra città e campagna, senza una ben minima pretesa di emanare una qualità autonoma e tanto meno autoctona. Le discipline che si occupano di tutela del paesaggio si stanno con sempre

maggior rigore orientando alla salvaguardia del binomio ‘agricoltura-ruralità’. Ruralità intesa come storico rapporto uomo-agricoltura-natura per molto tempo custode e garante della qualità del paesaggio e che oggi rappresenta un valore aggiunto in una società del benessere che mira a prodotti di qualità, di origine controllata e soprattutto ad una maggiore trasparenza del ciclo produttivo. Ricondurre queste esigenze in termini spaziali significa ricordarsi maggiormente dell’origine del paesaggio agricolo, valorizzando i segni (canali, strade, filari, ecc) e le microstrutture (monasteri, pievi, santuari, borghi, ville, fattorie) che testimoniano la stratificazione storica dei luoghi. Rudolf Arnheim2, studioso dei rapporti tra percezione visiva e modelli psicologici, ha posto in primo piano, un’interessante considerazione per chi si occupa di paesaggio: “[...] L’ordine come grado e tipo di normazione che governa i rapporti tra le varie parti di un insieme [...] La complessità è la molteplicità delle relazioni tra le varie parti di un insieme. Ordine e complessità sono antagonisti in quanto l’ordine tende a ridurre la comples-


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sità, la complessità a ridurre l’ ordine [...] Tuttavia ordine e complessità non possono sussistere l’uno senza l’altra. Complessità senza ordine genera confusione, ordine senza complessità genera noia”. Non a caso il prevalere del disordine e la mancanza di una organizzazione comprensibile dei luoghi caratterizzano sempre di più i contesti urbani, periferici e rurali. Occorre invece dare una nuova prospettiva al cosiddetto buon governo del paesaggio agricolo attraverso uno sviluppo sostenibile, dove per difendere e valorizzare l’agricoltura si intende difendere e valorizzare l’ambiente da un punto di vista sia ecologico, che estetico. Proprio sul tema del paesaggio come volano per nuove forme di sviluppo sostenibile LAND Milano ha lanciato al MIPIM 2012, in collaborazione con ANCE e con il supporto di ANCE Piemonte, il tema della Green Landscape Economy, (www.greenlandscapeeconomy.org) una declinazione della Green Economy legata alle trasformazioni urbane e territoriali. Un modello tutto italiano, viste la delicatezza e la bellezza dei propri paesaggi che possono tornare a rappresentare,

non solo un elemento di forte identità culturale, ma anche uno straordinario motore di ripresa economica. Per far ciò diventa indispensabile ragionare non più in termini di singoli progetti ma di processi complessi, fondati su strategie che mirano alla valorizzazione delle risorse esistenti e all’attivazione di sinergie tra le diverse azioni progettuali con l’obiettivo di migliorare l’efficienza, l’operatività e l’economicità dell’intero sistema. La trasformazione del territorio rurale ha fortemente inciso, specie negli ultimi decenni, sulla configurazione e sulle caratteristiche intrinseche del paesaggio italiano ed europeo. Un approccio che cerca di dare risposte a domande che nascono dai problemi dello sprawl urbano, dai modelli di incondizionata crescita e da un continuo inquinamento soprasoglia, in attesa di una nuova forma di economia capace di risanare le ferite e nel contempo di rilanciare forme di produttività, incorporando il limite ecologico-ambientale al suo interno, integrando le specificità territoriali e promuovendo una cultura urbanistica e architettonica in grado di dare risposte a misura. I campi di applicazione sono moltepli-


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ci e coinvolgono in pieno i grandi temi che l’Europa è chiamata ad affrontare: il nuovo paradigma energetico, sempre più attuale anche con la politica europea 2020, l’adattamento ai cambiamenti climatici e l’incombente questione demografica. E’ l’urbanistica del paesaggio che dice “Sì alla rigenerazione urbana, No al consumo di suolo”, trovando la sua applicazione sia nei centri urbani consolidati che nei paesaggi agricoli e naturali, alla ricerca di nuove forme di promozione anche a fini turistici. 2. L’agricoltura oggi: nuovo motore di ripresa economica? A fronte dell’inarrestabile cementificazione e della perdita di biodiversità e agrobiodiversità e alla perdita di produttività delle più diffuse colture agronomiche a causa dei cambiamenti climatici e non solo, la figura dell’agricoltore riveste una duplice funzione: non solo custode del patrimonio agricolo e storico testimoniale ma anche tesoriere del bagaglio genetico, ecologico ed agroalimentare. Basti pensare che gli agricoltori italiani rappresentano l’1% della popolazione, producono l’1,6% del PIL e gestiscono il 66% del territorio e che per la

maggior parte sono aziende di mediopiccole dimensioni. Persone e famiglie che continuano a credere nei valori tradizionali e innovativi dell’agricoltura; una soluzione per la tutela del territorio è rappresentata dall’agricoltura multifunzionale, per una campagna viva e vitale, proprio come auspicato dalla FAO che ha dedicato l’anno 2014 alla promozione dell’agricoltura familiare. Il valore aggiunto delle produzioni agroalimentari è legato all’importanza del Made in Italy: gli Stati Generali della Green Economy, che si sono svolti a Rimini lo scorso novembre, hanno sancito che “le imprese maggiormente in grado di affrontare la crisi e di competere a livello internazionale sono quelle che sanno coniugare innovazione, internazionalizzazione e orientamento alla green economy, puntando sulla filiera cardine del Made in Italy.” Questo complesso sistema di valori porta con sè, non soltanto le produzioni agroalimentari di qualità ma anche il luogo specifico di produzione che evoca tradizione, cultura e bellezza. E’ attraverso questo stretto connubio, che lega il prodotto al luogo di produzione e trasformazione, che il Made in Italy potrà essere preservato, sconfiggendo il


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falso e favorendo forme di turismo sostenibile, affinché l’Italia, grazie al suo paesaggio, possa ritornare ad essere il Giardino d’Europa. E per capire il grande potenziale del settore agricolo basta dare uno sguardo ai dati sulla crescita della domanda e dell’offerta: la produzione agricola non tiene il passo con la domanda. L’aumento della popolazione e quello ancora più marcato, dei consumi, stanno facendo crescere a ritmi impressionanti le richieste alimentari, mentre la disponibilità di terre agricole e la loro produttività si riducono. Nel 2050 saremo più di nove miliardi ad abitare il pianeta, circa un terzo in più di quelli di oggi, e per soddisfare la domanda di cibo avremo bisogno di aumentare la produzione agricola del 70% rispetto a quella attuale. Per di più dovremmo farlo in maniera più sostenibile che in passato. Produrre di più inquinando di meno: un obiettivo che si presenta arduo da raggiungere senza un deciso intervento della comunità internazionale e un altrettanto significativo impegno pubblico in ricerca e innovazione, che negli ultimi anni è sceso a ritmi preoccupanti.

3. La opportunità dei programmi europei: la nuova pac 2014-2020. In ambito europeo, la comunicazione “Rio+20: verso un’economia verde e una migliore governance” è la road map della green economy per il raggiungimento di obiettivi ambiziosi e condivisi, tra i quali la promozione dell’agricoltura sostenibile e dell’uso del suolo per l’approvvigionamento alimentare, anche tramite la creazione di parternariati internazionali. Tali obiettivi sono stati adottati anche attraverso le numerose riforme che hanno interessato la Politica Agricola Comunitaria. Sul piano produttivo, l’orientamento al mercato e la competitività dell’agricoltura si arricchiscono di un’importante innovazione: una maggiore attenzione alla conservazione del paesaggio, alla protezione dell’ambiente, alla qualità e sicurezza dei prodotti alimentari, al benessere degli animali e alla multifunzionalità dell’agricoltura per uno sviluppo equilibrato del territorio. Alla domanda - quali figure professionali verranno incentivate - il Parlamento Europeo risponde, attraverso la nuova Politica Agricola Comunitaria 2014-2020, con la tutela e la promozione dei giovani e dei piccoli imprendito-


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ri: + 25% ai giovani nei pagamenti aggiuntivi e + 5% dei contributi ai piccoli agricoltori. Oltre a ciò, verrà premiato non soltanto l’impegno dei produttori di beni primari di consumo e servizi ma anche di coloro che si faranno custodi del paesaggio, tornando ad essere protagonisti nella protezione del territorio, soprattutto laddove è oggetto di incuria e abbandono. E’ proprio di manutenzione del territorio che si sente sempre più la necessità, come strumento ordinario per la protezione dal rischio idrogeologico, una emergenza purtroppo di attualità nel nostro Paese dal fragile e delicato equilibrio con risvolti drammatici ogni qualvolta si verifica un evento meteorologico intenso. Di seguito alcuni aspetti prioritari definiti dalla PAC che si presentano come pilastri della green economy: - Il rafforzamento e la valorizzazione delle identità paesaggistiche locali legate ai sistemi rurali, ormai culturalmente consolidati; - Il greening come strumento per la definizione della natura ed il ruolo delle infrastrutture verdi eco-paesaggistiche in ambito agricolo;

- La minimizzazione dei nuovi consumi di suolo per favorire la produzione agricola periurbana. Questi tre principi ruotano intorno al concetto della smart country e della smart city: ovvero un sistema integrato, basato su un insieme di sottoinsiemi (sicurezza, acqua, salute, infrastruttura, economia, ambiente agricoltura, ecc.) da gestire in maniera coordinata per assicurare crescita e sviluppo sostenibile. Nel quadro smart city, l’agricoltura urbana, così come un collegamento funzionale a un accorciamento della filiera tra aree rurali e centri urbani, può senza dubbio contribuire a garantire un’alimentazione sana ad un numero sempre maggiore di persone, utilizzando al contempo metodologie di coltivazione sempre meno aggressive verso l’ambiente e favorendo la creazione di una micro-economia. In quest’ottica l’agricoltura (così come l’acqua e l’energia) ripensata, attualizzata e riorganizzata è parte integrante e strategica del nuovo modo di considerare la città3. 4. Progetti per un’economia di cibo e di territorio. LAND Milano, sviluppa e promuove progetti di valorizzazione paesaggi-


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Fig.2: Area oggetto dell’intervento prima del progetto di valorizzazione di Parco Adda Mallero - anno 2005

Fig. 3: Il Parco Adda Mallero in seguito al progetto di valorizzazione - anno 2010


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stica che puntano sulla combinazione di tre temi fondamentali: l’ecologia, il paesaggio produttivo e la fruizione. Questi tre aspetti vengono approfonditi attraverso il racconto di tre esperienze significative che puntano allo sviluppo di un’economia di cibo e di territorio. 4.1 Ecologia: Il Parco Adda Mallero ‘Renato Bartesaghi’ - Sondrio. Il Parco Renato Bartesaghi è situato alle porte della città di Sondrio, alla confluenza del torrente Mallero nel fiume Adda e si estende per una superficie di circa 15 ettari. L’intervento ha permesso la completa riqualificazione di una vasta area periurbana strategica per l’immagine di Sondrio, occupata fino al 2006 da un impianto di lavorazione di inerti e da un deposito di materiali vari, con pessimo impatto visivo dalla principale via di accesso alla città. L’intervento di riqualificazione del sito promosso dal Gruppo Bancario Credito Valtellinese tramite le società Stelline Servizi Immobiliari spa è avvenuto prima dell’avvio delle opere edilizioarchitettoniche previste dal piano urbanistico, per altro non ancora iniziate, e ha portato alla formazione di un nuovo

grande parco urbano dedicato a riconnettere la città con il suo fiume, riconsegnando ai cittadini il loro storico “lido” sull’Adda. Partendo dalle caratteristiche principali del contesto ambientale, ed in particolare dai corsi d’acqua che costeggiano l’area, il progetto paesaggistico ha definito una serie di concavità e convessità del terreno che richiamano nell’assetto morfologico finale il tema del greto di fiume. In tal modo si vengono a formare rilievi e avvallamenti definiti anche dalla rete dei percorsi, isole asciutte come zolle dure circondate e innervate dall’elemento fluido a formare delle geometrie frattali. A queste si associano specchi d’acqua e macchie boscate compatte che per forma e disposizione riprendono il medesimo tema e, ispirandosi alle immagini di Alberto Burri, compongono un andamento morfologico tale da articolare l’ampio spazio disponibile, generando ambienti diversificati, scorci mirati e visuali allargate sui versanti circostanti. Data la valenza di parco periurbano dell’area di intervento, il progetto ha seguito sia obiettivi ecologici, con la realizzazione di interventi di recupero ambientale e qualificazione naturali-


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Fig. 4: Il biolago all’interno del parco Adda Mallero non soltanto come elemento di naturalità ma anche come luogo ludico - anno 2010

Fig. 5: I gruppi di alberi sviluppati all’interno del Parco Adda Mallero


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stica, sia obiettivi di potenziamento dell’attrattività e fruibilità, con la valorizzazione delle interconnessioni ciclopedonali con il contesto. Il parco si configura così come polo ricreativo dove il rapporto con il limitrofo fiume è valorizzato dalla presenza di un sistema di rivoli e specchi d’acqua, in parte balneabili e con sistemi di fitodepurazione delle acque di notevole impatto comunicativo. La presenza dell’acqua si espande dalla corrente del fiume e si irradia nel Parco dove il rapporto con questa risorsa, strategica in Valtellina, diviene diretto e in sicurezza. Si sono privilegiati materiali a basso impatto ambientale e si sono valorizzate tecniche come la forestazione per i rimboschimenti e la fitodepurazione per la formazione di un sistema di laghi connessi tra loro e in parte balneabili. Sono stati realizzati 4 ettari di nuovi boschi mettendo a dimora 400 alberi sviluppati, 5.000 alberi forestali e 4.000 arbusti forestali. I percorsi ciclo pedonali si sviluppano per circa 4.5 km e le aree gioco hanno una superficie di circa 1.000 mq.

4.2 Produzione agroalimentare: Orticoltura urbana e MIColtivo – Orti a scuola. Nell’ambito del progetto “I Bambini disegnano la città” promosso dalla Fondazione Riccardo Catella nel 2009, numerosi bambini hanno espresso il desiderio di avere nei loro quartieri orti dei quali prendersi cura: da qui nasce l’idea di “MiColtivo. Orto a Scuola”, il progetto avviato nel 2012 dalla Fondazione nell’ambito del proprio programma civico pluriennale “I Progetti della Gente”, che prevede la realizzazione di interventi di riqualificazione di spazi pubblici come contributo alla qualità della vita e alla socializzazione nella città. Nel contesto del programma, promosso dalla Fondazione Riccardo Catella, EXPO 2015 e Orticola di Lombardia in collaborazione con l’università degli Studi di Milano e il Comune di Milano, nel 2011 è stato firmato un accordo di collaborazione per individuare, promuovere e realizzare iniziative di comune interesse che abbiano ad oggetto esigenze particolarmente sentite dalla cittadinanza milanese e possano favorire lo sviluppo di modelli positivi da esportare anche a livello nazionale. Nell’ambito dell’accordo, sono stati


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Fig. 6: I gruppi di alberi e arbusti forestali all’interno del Parco Adda Mallero

Fig. 7: Gli orti realizzati nelle scuole e alcuni momenti di didattica e curiositĂ


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identificati i primi due progetti nelle scuole dell’ICS Pezzani di Corvetto e dell’ Istituto Comprensivo “Italo Calvino” in Via Frigia 4 nei quali è stata coinvolta, in qualità di co-promotore Orticola di Lombardia, storica associazione senza fine di lucro già attiva dal 2010 sul tema degli orti in città con il progetto “Orticoltura Urbana”. “MiColtivo, Orto a Scuola”, è un programma dedicato ai bambini e ai loro insegnanti che mira ad incoraggiare una corretta e sana alimentazione attraverso l’esperienza concreta degli orti didattici installati nei cortili delle scuole pubbliche cittadine, di cui LAND Milano ha seguito la parte progettuale, prevedendo una più ampia riqualificazione di questi spazi verdi, affiancando le competenze di Orticola. L’iniziativa viene sviluppata sotto forma di progetto pilota nel 2012, con l’obiettivo di mettere a punto un modello didattico in grado di radicarsi in modo permanente nella programmazione scolastica e di essere esportato in altre scuole anche a livello nazionale, nell’ottica di creare una rete EXPO sul tema. La Fondazione Riccardo Catella svolge un ruolo di coordinamento generale del progetto, con una parte

attiva nell’ambito della realizzazione didattica collegata agli orti. Il Comune di Milano, che è patrocinatore dell’iniziativa, è impegnato in attività di coordinamento delle iniziative finalizzate alla valorizzazione della fruizione, da parte delle scuole cittadine, delle proprie aree esterne e verdi. Il Comune di Milano è altresì impegnato in attività di educazione alimentare e ambientale nelle scuole4. 4.3 Fruizione: LET (Landscape EXPO Tour). Questo lavoro, promosso da Fondazione Cariplo, svolto da AIM - Associazione Interessi Metropolitani e da LAND Milano, prende le mosse dagli studi portati avanti dal Politecnico di Milano sempre su mandato della Fondazione Cariplo, sui futuri scenari dei territori intorno al sito Expo 2015. Il progetto ha avuto un duplice obiettivo: da una parte restituire un quadro completo sugli sviluppi territoriali, attraverso un’analisi che ha mappato tutte le progettualità in essere sul territorio; dall’altro costruire proposte operative per una valorizzazione e fruizione di questi spazi in un’ottica di Expo 2015 con effetti territoriali diffusi.


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Fig. 8: I dieci circuiti - LET Landscape Expo Tour - tracciati nei territori intorno ad EXPO

Fig. 9: Uno scenario di riferimento del sistema di mobilitĂ dei LET


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Il progetto Expo 2015, oltre alla realizzazione del sito espositivo che ospiterà la manifestazione, prevede una visione territoriale strategica per mettere a sistema l’area con tutto il territorio circostante. Allargando lo sguardo ad un territorio più vasto, si intende definire un altro sistema territoriale strategico che punti alla valorizzazione di un anello ciclabile lungo le Vie d’Acqua, partendo dal sito Expo 2015 lungo il Canale Villoresi, scendendo successivamente lungo il Ticino per poi correre lungo il Naviglio Grande e infine, attraverso i tratti della Via d’Acqua, ritornare al sito. Un progetto che valorizzi i grandi corsi d’acqua, messi a sistema in un “Anello Verde Azzurro”. Il progetto LET (Landscape Expo Tour) si colloca esattamente all’interno di questo ambito territoriale, intersecandosi ad esso in punti strategici ed innervando tutto il territorio compreso nell’anello. In questo modo il progetto LET determina un sistema di circuiti cicloturistici per la valorizzazione delle tante eccellenze naturali-storico-culturali del territorio facendo riscoprire questa risorsa non soltanto al turista di Expo 2015 ma soprattutto al turista di

prossimità. Il cittadino che vive a Milano o nei suoi dintorni spesso dà per scontato il territorio che lo circonda e non considera che esistono molteplici possibilità di turismo quotidiano o del week end molto più comode e altrettanto interessanti delle solite più lontane mete turistiche. Il progetto consiste in un sistema organizzato di 10 itinerari cicloturistici ad anello di lunghezza compresa tra 12 e 36 km per la valorizzazione e fruizione delle tante eccellenze naturali-storicoculturali delle realtà territoriali locali dell’Ovest milanese. Ogni greentour, pensato per il tempo libero, si caratterizza per le specificità e le ricchezze proprie del suo contesto, connotandolo in maniera univoca rispetto agli altri circuiti. Grazie agli obiettivi proposti ed alla strategicità della sua collocazione il progetto ha avuto il Patrocinio di Expo 2015, così che la comunicazione legata ad Expo 2015 e alla Via d’Acqua potrà rimandare ai LET con l’obiettivo di un’unica grande regia complessiva per una visione strategica del territorio metropolitano milanese. Complessivamente il progetto ha coinvolto 31 Comuni, centinaia di cascine e decine di


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Fig. 10: Uno scenario di riferimento del sistema di mobilitĂ dei LET

Fig. 11: La passeggiata intorno alle campagne milanesi in occasione del primo LET’S WALK


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edifici storici. Il processo di attivazione del territorio ha coinvolto molte figure, capaci di mettere a disposizione conoscenze e risorse specifiche per i settori di competenza. Uno step importante del processo per la valorizzazione del territorio è la fase di ascolto. Successivamente alla fase di definizione del progetto è risultato necessario condividere lo stesso con chi vive questi territori al fine di giungere insieme ad una visione condivisa sul futuro delle realtà locali. La costruzione di un forum di discussione sul modello già attivo delle IBA in Germania e già sperimentato per i primi quattro LET in fase di realizzazione esecutiva, ha permesso di definire progetti ‘sorti dal basso’. Un altro step fondamentale del processo per la qualificazione dei luoghi è stato portare l’attenzione su questi territori attraversandoli e vivendoli. Prossimo obiettivo è la ripetizione regolare di iniziative LET WALK, organizzando passeggiate ed escursioni giornaliere volte alla conoscenza di queste aree per chi non le vive quotidianamente, rendendo di conseguenza consapevoli i cittadini e gli amministratori sull’effet-

tiva potenzialità dei loro territori. All’interno del quadro di intervento unitario definito nel progetto generale, questa è l’articolazione dei temi che hanno una propria autonomia attuativa: PROMOZIONE CULTURALE E SEGNALETICA LET Predisposizione di segnaletica per la presa visione del circuito, delle eccellenze attraversate, delle attività e degli eventi sul territorio, anche in relazione ad Expo 2015. La segnaletica coordinata è intesa come primo livello ‘strutturale’, capace di mettere a sistema tutte le eccellenze mappate e di garantire la percorribilità del circuito. QUALIFICAZIONE PAESISTICOAMBIENTALE DEGLI INTERVENTI SUL PAESAGGIO Individuazione e realizzazione di interventi di valorizzazione del paesaggio circostante, come: piantagione di filari alberati, formazione di aree a prato fiorito, sistemazione di piccole aree verdi o sistemazione a verde di aree incolte. POTENZIAMENTO DELLA FRUIBILITÀ + NOLEGGIO BICICLETTE Miglioramento della percorribilità tramite l’individuazione di itinerari


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interni al LET4 di bassa, media e lunga percorrenza. Attivazione di un servizio di noleggio di biciclette e di assistenza al ciclista tramite accordi con le Amministrazioni Comunali, le cascine e le botteghe di biciclette locali. RIANIMAZIONE TERRITORIALE OFFRENDO UNA OPPORTUNITA’ DI COINVOLGIMENTO E VISIBILITA’ AGLI IMPRENDITORI OPERANTI NELL’AMBITO DI RIFERIMENTO Valorizzazione della presenza delle imprese agricole locali per la partecipazione attiva all’implementazione di contenuti e servizi del LET4.

Fig. 12: Un antico mulino recuperato lungo un itinerario dei Landscape Expo Tour

5. Alcune considerazioni. Al paesaggio viene riconosciuto non solo un importante ruolo come luogo identitario ma anche come catalizzatore

dello sviluppo sostenibile sia nei centri urbani sia nel territorio rurale. Grazie alla nuova strategia della Commissione Europea “Green Infrastructure” è stato avviato un nuovo dialogo tra natura, cultura, agricoltura e il paesaggio diventa l’elemento di connessione tra questi mondi abituati a non dialogare tra di loro, costantemente penalizzati dall’avanzata del cemento e dai cambiamenti climatici e sottoposti a discipline e normative autonome e spesso confliggenti. La nuova frontiera per la valorizzazione del territorio rurale è rappresentata da una vera e propria Strategia della rianimazione che si fonda su due processi imprescindibili: la coltivazione della terra e la produzione di servizi. Coltivare la terra non soltanto per garantire la produzione di beni alimentari diversificati nel rispetto della natura ma anche per prendersi cura del patrimonio rurale, storico e testimoniale legato alle nostre campagne; coltivare per innescare un processo di qualificazione complessiva partendo da singole azioni concrete e sostenibili non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico; infine, coltivare per creare attrattività nei confronti di un paesag-


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gio spesso impoverito dall’abbandono. Produrre servizi garantendo la valorizzazione multifunzionale degli immobili e degli spazi aperti, creando strutture di accoglienza e fruizione. Il mondo rurale si diversifica e le singole aziende agricole evolvono garantendo servizi di agriturismo e ristorazione, si trasformano in fucine didattiche e di sperimentazione, si sviluppano in centri attrezzati per la fruizione del paesaggio rurale. Lo strumento economico è rappresentato dalla prossima Politica Agricola Comunitaria – PAC 2014-2020 che finanzierà proprio questo approccio “Green” alla gestione del territorio rurale, pertanto diventa sempre più importante prepararsi in tempo per partecipare ai bandi che verranno pubblicati dalle Regioni a partire dal prossimo anno. Per gli agricoltori italiani saranno stanziati 27 Miliardi di euro a favore del primo Pilastro (Aiuti diretti) e 21 Miliardi a favore del Piano di Sviluppo Rurale (PSR). L’opportunità è rappresentata da Expo 2015 che richiamerà oltre 20 milioni di persone nelle strutture di accoglienza ed esposizione distribuite nel territorio rurale che rappresenta il vero protagonista dell’evento universale. Tuttavia, perché la strategia europea

possa trovare concreta attuazione nelle politiche e negli strumenti di piano e di progetto che a diverso titolo interessano il nostro paesaggio è necessario consolidare e dare continuità agli interventi appena descritti riconoscendone la specificità del contributo, a livello di ricerca e professionale, in ogni processo di governo del territorio. Note 1 Conferenza Europea sullo sviluppo rurale: “Europa rurale - prospettive future”. Cork, Irlanda, 1996 2 Rudolf Arnheim (Berlino, 15 luglio 1904 – Ann Arbor, 9 giugno 2007) è stato uno scrittore, storico dell’arte e psicologo tedesco. 3 AAVV, Green economy - Rapporto 2013 – Un green new deal per l’Italia, 2013. 4 www.micoltivo.it


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Figura 1: L’ambito territoriale di interesse del progetto CIVES. La mappa mostra gli ambiti, i nodi e le connessioni oggetto di riflessione.


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CIVES | Nuove alleanze tra urbano e rurale a Milano Angela Colucci

1. Cos’è CIVES. Il progetto CIttadini VErso la Sostenibilità [CIVES] nasce con l’obiettivo di costruire un percorso di conoscenza e progettazione condivisa nell’ambito territoriale del comune di Milano compreso tra il naviglio Grande e quello Pavese verso la [ri]attivazione delle relazioni e delle sinergie tra i luoghi e le comunità della città, del limbo periurbano e della campagna (figura 1). CIVES, promosso attraverso il bando “Educare alla sostenibilità” lanciato da Fondazione Cariplo nel 2010, vede la partecipazione di Fondazione Rete Civica di Milano (RCM), Associazione Parcodelle Risaie, ARCI Milano e il Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano quali soggetti promotori e trainanti con il coinvolgimento di molti attori sia istituzionali che del mondo associativo e dei cittadini. 2. Gli obiettivi del progetto. L’obiettivo principale del progetto è quello di costruire una nuova alleanza tra le comunità urbane e la realtà rurale attiva nel territorio periurbano milanese attraverso:

• percorsi di riflessione volti a comprendere i fenomeni urbani complessi, le molteplici declinazioni e le possibilità derivanti dalle relazioni tra l’urbano e il rurale, • laboratori di ascolto e condivisione delle progettualità al fine di innescare processi virtuosi di cooperazione e definire possibili visioni e iniziative per migliorare la qualità degli spazi di vita urbani e rurali e attivare nuove sinergie. Il progetto CIVES ha nella costruzione condivisa e nella capacitazione (capacity building) collettiva il cuore strategico e la sua principale finalità. 3. I temi. Rispetto alle molteplici sollecitazioni e alla complessità dei temi urbani e del rapporto con il rurale, nella costruzione del progetto CIVES sono stati individuati alcuni temi chiave rispetto ai quali sono stati attivati i laboratori partecipativi: • la difesa e la valorizzazione del ruolo di presidio ambientale, climatico, ecologico e paesistico dell’agricoltura di prossimità; • la riqualificazione urbana della Darsena milanese, come area strategica per la città;


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Figura 2: Il percorso del progetto CIVES: i principali momenti di condivisione, gli assi di lavoro e di mappatura.


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• il valore economico, culturale e ambientale di prodotti e servizi di qualità provenienti dalla cintura urbana (il cosiddetto “km zero”); • L’uso più sostenibile del tempo libero; la riscoperta del valore e del ruolo del paesaggio rurale alle porte della città; • la sensibilizzazione di tutti gli attori locali alla salvaguardia delle risorse idriche, della fertilità naturale dei suoli, della biodiversità e del paesaggio. 4. Il Percorso e le attività. Sotto il profilo temporale è possibile delineare il percorso (figura 2) del progetto CIVES attraverso le principali tappe di confronto pubblico e l’avvio delle differenti attività e dei laboratori partecipativi. [gennaio/febbraio 2011] Avvio del progetto CIVES e costruzione di un framework [fluido] per attivare le prime iniziative e azioni (avvio della mappature e delle letture di sintesi del contesto, progettazione e costruzione della piattaforma web, preparazione e predisposizione dei laboratori partecipativi …). 2 aprile 2011 Evento di apertura presso il SEIcentro

della Zona6 di Milano e, parallelamente, avvio dei forum partecipativi on-line sulla piattaforma web di CIVES (http:// www.cives.partecipami.it) e attivazione dei laboratori partecipativi tematici. 9 maggio 2011 Laboratorio partecipativo “La linea del tempo: Darsena e Navigli” presso il circolo ARCI Bellezza di Milano. Un pomeriggio e una sera tra presentazioni di esperti (storia e paesaggi), racconti e ricostruzioni dei cittadini e degli abitanti delle dinamiche di trasformazione della città di Milano lungo i due Navigli. 20 giugno 2011 Laboratorio partecipativo “La linea del tempo: il Parco delle Risaie” presso la Cascina Battivacco. Presentazione della raccolta di immagini storiche e di memorie sulla campagna milanese, dibattito con gli agricoltori e i cittadini sull’evoluzione del ruolo dell’agricoltura e dei suoi paesaggi alle porte di Milano. 29 settembre 2011 Avvio del forum web sui “possibili futuri per la città” con l’invito a tutti i cittadini, associazioni e comitati di sug-


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gerire e di condividere proposte progettuali (fisiche o immateriali) per costruire e ri-costruire una nuova alleanza tra città e campagna. 19 novembre 2011 Una giornata densa nella zona dei “Navigli”: nella mattina è stata organizzata la Passeggiata di Quartiere e nel pomeriggio si è svolto l’incontro “Quale città: Darsena e Navigli” presso il Seicentro della Zona Sei, durante il quale sono state presentati in forma seminariale alcuni progetti e sono state esposte, discusse e condivise le schede e le mappe che raccolgono tutte le progettualità proposte. 28 gennaio 2012 Incontro su Milano e la sua agricoltura, presso la cascina Battivacco. Sono stati presentati gli esiti del percorso di mappatura dei GAS (Gruppo di acquisto solidale) e presentate e discusse le mappature tematiche che restituivano la complessità delle proposte raccolte durante i laboratori partecipati e nel forum on-line. 17 giungo 2012 Incontro sul tema “Agricoltura e cit-

tà” presso lo Spazio MIL a Sesto San Giovanni con il coinvolgimento di produttori agricoli, GAS e cittadini per discutere sulle possibili soluzioni per strutturare l’offerta e la distribuzione di prodotti agricoli e di altri servizi alla città di Milano. Durante l’incontro è stata presentata la mappa online dell’agricoltura milanese. 15 settembre 2012 Convegno di chiusura “Milano agricoltura sull’acqua” presso il circolo Canottieri con la presenza di tutti i cittadini e dei partecipanti al progetto. esposizione dei poster dei progetti e dei temi strategici, banchetti agroalimentari, cena e seminario di chiusura. 5. Gli attori. Il progetto CIVES ha messo in rete molti soggetti istituzionali, attori del mondo associativo e cittadini. Promotori dell’iniziativa sono Fondazione Rete Civica di Milano (capofila con Mario Sartori e Giulia Bertone), l’Associazione Parco delle Risaie (Riccardo Castellanza), Arci Milano (Graziano Fortunato e Elisabetta Rossi), il DIAP - Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Mila-


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no (resp. Maria Cristina Treu con Angela Colucci). Il progetto CIVES ha avuto il patrocinio da parte della Zona 6, di Navigli scarl, del Parco Agricolo Sud, dell’Associazione “Bei Navigli”, del Comune di Milano, dell’Istituto per la Tutela e la Valorizzazione dell’Agricoltura Periurbana, della Società Agricola Fedeli, dell’Associazione Naviglio Domani – commercianti Alzaia Naviglio Pavese. Inoltre hanno partecipato numerosi comitati locali di cittadini tra cui il Comitato Ponti, il circolo Canottieri, WWF, associazione Mesopotamia, i GAS milanesi, gruppo PNG (…). 6. Le mappe. L’obiettivo di CIVES è la definizione di un progetto culturale attraverso un percorso di consapevolezza sui temi ambientali, di affezione ai luoghi urbani e di costruzione di alleanze tra città e campagna. Questo percorso richiede di essere accompagnato (ma non orientato) e supportato attraverso l’elaborazione di dati e informazioni (conoscenza) e, in parte, fornendo alcune regole (sintesi degli indirizzi e dei quadri di riferimento normativi e pianificatori).

Questo percorso è fluido e costruito nel tempo scoprendo, studiando e conoscendo i contesti ed i fenomeni assieme, accogliendo e comprendendo le progettualità verso possibili soluzioni di condivisione, con l’obiettivo di sviluppare strumenti e metodi flessibili in grado di sostenere un percorso di condivisione e rendere possibili reciproche contaminazioni, aperte all’ascolto e all’arricchimento comune. Le attività del DIAP (ora DAStU) hanno accompagnato e si sono adattate alle domande e alle necessità del percorso di CIVES individuando i metodi più adatti ed efficaci e ripensando metodi e strumenti disciplinari consolidati. L’azione di mappare è stata intesa non come la sola localizzazione fisica ma come un processo di integrazione di contenuti, proposte e riflessioni. Mappare come azione di arricchimento che ha messo a sistema differenti modalità di raccolta e di condivisione di differenti mezzi di comunicazione. Le mappe CIVES (pubblicate sul web da RCM) raccolgono le proposte, popolate con il contributo di tutti i cittadini e associazioni interessati, integrate con schede di sintesi, con mappe tematiche e documenti (presentati ai meeting ed ai labo-


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ratori ma anche pubblicate e rese disponibili sul sito web), con video interviste che testimoniano esperienze, posizioni e riflessioni. Nella costruzione del percorso di CIVES le mappature hanno svolto un ruolo strategico: la dimensione fisica e spaziale è stata utilizzata quale mezzo e punto di partenza per costruire alleanze e condivisioni su temi e visioni ben più complesse del progetto “fisico”. La dimensione spaziale è stata efficace nella lettura e nella comprensione delle dinamiche del contesto, aprendo il confronto ad un arricchimento che ha saputo accogliere molteplici sguardi e leggere in profondità i processi di trasformazione della città e del territorio verso soluzioni progettuali, o, meglio verso modelli di sviluppo condivisi, che implicano anche modelli di comportamento e interpretazioni culturali. Il supporto ai percorsi partecipati ed ai laboratori è stato sviluppato su tre fronti: • condividere la comprensione del contesto e delle sue dinamiche (mappare le trasformazioni); • mappare le proposte • mappare i temi emergenti.

7. Gli esiti. Gli esiti del Progetto CIVES sono la costruzione di reti di soggetti (per l’ascolto reciproco) verso la condivisione di progettualità e visioni condivise. Gli esiti del percorso CIVES possono essere sinteticamente ricondotti a: • la costruzione di una rete (molto ricca in termini quantitativi ma anche molto diversificata) di attori che hanno iniziato un percorso di reciproco ascolto; • l’attivazione di un dibattito su temi di ampio respiro (alla scala metropolitana come le relazioni tra l’urbano e il rurale) e su temi e criticità più puntuale (su luoghi fisici o su criticità specifiche rispetto ai quali attivare alleanze per individuare e proporre soluzioni condivise); • la costruzione della carta dei “patti di CIVES” sottoscritta da tutti gli attori e le associazioni coinvolte; • la raccolta e la sistematizzazione delle proposte, intese come un patrimonio comune per tutta la città e per il sistema metropolitano; • la germinazione di alleanze e sinergie per l’attivazione di iniziative congiunte (che si presentavano nella prima fase di CIVES separate o antagoniste). Sotto il profilo metodologico le esi-


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genze derivanti dall’approccio e dagli obiettivi del progetto CIVES hanno sollecitato un ri-orientamento dei metodi consolidati per la costruzione dei quadri interpretativi e hanno portato a sviluppare soluzioni dinamiche e capaci di accogliere e restituire la ricchezza e la profondità delle suggestioni derivanti dalla condivisione di più sguardi (linea del tempo, passeggiata di quartiere, mappe tematiche e interattive …). Un risultato importante è l’aver suscitato la consapevolezza del carattere trasversale di alcune questioni e della complessità delle relazioni tra aspetti puntuali e di sistema e l’essere riusciti a delineare visioni condivise. Metodi. La linea del tempo. Mappare le trasformazioni nel tempo non è una semplice operazione di censimento. La rappresentazione delle soglie temporali di sviluppo (utile come riferimento e base per il dibattito) non basta alla comprensione delle dinamiche di un sistema urbano complesso. La linea del tempo ha attivato due laboratori, uno relativo alla Darsena e ai Navigli ed uno al Parco delle Risaie che, in maniera parallela, hanno visto prima alcune presentazioni sulla storia

e l’evoluzione dei sistemi urbani e paesaggistici (del sistema delle acque e dei Navigli, della storia e dell’evoluzione dei paesaggi agricoli) e successivamente un dibattito sulle trasformazioni più recenti e sulla lettura dei fenomeni che tali trasformazioni hanno avuto sul territorio e sulle comunità e dunque sulla qualità della città e della vita. La linea del tempo è stata anche ricostruita durante i dibattiti individuando momenti o periodi salienti e i relativi fenomeni di trasformazione fisica o sociale che hanno influenzato e determinato l’attuale situazione. La ricostruzione della linea del tempo ha permesso di integrare e confrontare differenti sguardi sulla realtà, trovando letture a volte differenti dei medesimi fenomeni. Gli aspetti di difformità, che costituiscono per il percorso di CIVES una ricchezza, possono essere ricondotti sia a differenti interpretazioni degli effetti (positivi/negativi) che uno stesso fenomeno ha sul sistema socio-economico urbano che alla rilevanza che viene attribuita ai singoli fenomeni dai differenti soggetti. Tale percorso ha permesso un notevole arricchimento conoscitivo rispetto alle dinamiche di trasformazione (ricchez-


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Figura 3 Il poster a cura del DIAP “le trasformazioni, le dinamiche, le convergenze” presentato al convegno di chiusura di CIVES “L’agricoltura sull’acqua” del 15/9/2012 (fonte: http://www.cives.partecipami.it/content/ view/13).


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za e profondità variabile degli sguardi e delle prospettive di osservazione) e un arricchimento della conoscenza reciproca.

Metodi. Gli indirizzi e le trasformazioni. La mappatura descrittiva dei fenomeni di trasformazione avvenuti, in atto e futuri ha preso in considerazione: • il sistema dei piani attuativi e dei programmi complessi attuati e in attuazione (grandi trasformazioni) in cui si è voluto evidenziare come la città e i grandi progetti incidono sul sistema urbano esistente; • una panoramica (necessariamente parziale) delle trasformazioni diffuse che hanno cambiato e stanno cambiando dal basso e in maniera diffusa la città (ad esempio le trasformazioni della zona di via Savona o i piccoli interventi di recupero lungo i navigli ..); • il sistema delle previsioni e dei progetti sul territorio, a partire dai progetti di scala territoriale che intercettano l’ambito (piste ciclabili territoriali, reti ecologiche, sistemi di tutela …) fino a descrivere il sistema delle trasformazioni urbane e dei progetti istituzionali a partire dagli Ambiti di Trasformazione dei Piani di Governo del Territorio (che includono grandi porzioni dell’ambito di CIVES) ed e i grandi progetti (come i progetti per EXPO, il recupero della Darsena…).


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La mappa del sistema dei vincoli e dei regimi dei suoli permette una condivisione delle “regole del gioco” rispetto alle possibili trasformazioni e proposte. Le mappe sono state sviluppate sia in formato “classico” (GIS) che su web e sono arricchite da schede di sintesi e da materiali di approfondimento. Durante i meeting e i laboratori partecipati questi sono stati utilizzati come materiali di rifermento per il dibattito e spunti per meglio comprendere le dinamiche e i possibili scenari (voluti o non voluti) per la città. Per la comprensione delle trasformazioni è stata poi organizzata una Passeggiata di quartiere dalla Darsena lungo il Naviglio Grande fino a San Cristoforo. Il percorso ha toccato gli ambiti più “caldi” oggetto del dibattito in quanto la Darsena, lo scalo di Porta Genova, gli ambiti lungo il Naviglio Grande costituiscono da molti anni spazi vuoti e luoghi in attesa di nuove configurazioni progettuali.

Metodi. Mappare le proposte. A partire dall’avvio dei laboratori partecipativi e dei forum on-line sono state raccolte, grazie al coinvolgimento attivo di numerose associazioni, comitati e cittadini, molte idee e proposte di progettualità sul territorio. I temi ed i contenuti, le scale e i gradi di “definizione e avanzamento” delle proposte raccolte erano ovviamente molto


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differenti tra loro. L’uso dei metodi di mappatura e dei sistemi di interazione on-line ha permesso di arricchire e di aprire a tutti la possibilità di segnalare e di commentare le proposte; inoltre, ha reso possibile costruire un catalogo delle proposte, messo a disposizione on-line e presentato e reso consultabile in formato cartaceo durante gli incontri. La costruzione partecipata della CIVESMAP è stata occasione di arricchimento e di confronto perché ha permesso sia di raccogliere ma anche di connettere le molteplici proposte attraverso i principali assi tematici del progetto: _ progetti di spazi urbani (spazi pubblici e spazi verdi in città) _ progetti di spazi e luoghi rurali _ progetti di reti e connessioni (lente) _reti e iniziative di filiere (ad esempio il lavoro sui GAS svolto da ARCI) Parallelamente alla costruzione della CIVESMAP (on-line e con mappatura/ schedatura) è stata costruita una banca dati delle proposte progettuali su GIS.


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Metodi. Mappare le convergenze: i temi. Un passaggio efficace e utile al percorso partecipativo e alla discussione comune è stata la costruzione di mappe tematiche che, scomponendo le proposte (presentate sia dalle associazioni e dai partecipanti a CIVES sia derivanti dai piani, programmi e progetti istituzionali), hanno presentato un quadro della complessità delle dinamiche delle trasformazioni previste e possibili. La scomposizione e ricomposizione delle molteplici configurazioni ed esiti delle proposte è stata organizzata secondo tre principali temi: Agricoltura Connessioni Spazi urbani. Oltre a queste tre “letture” tematiche è stata sviluppata una mappa delle risorse immateriali (che comprendevano sia iniziative non fisiche che reti tra associazioni e con i media….). La scomposizione (effettuata attraverso delle mappature tematiche con i GIS) ha permesso di evidenziare e portare all’attenzione e alla riflessione comune durante i meeting partecipativi alcuni fenomeni: • assi di forza o meglio le possibili con-

vergenze (come gli assi di connessione della mobilità lenta, le connessioni e le ricuciture tra i sistemi urbani e tra le sponde dei Navigli); • luoghi densi di iniziative e di proposte (rispetto alle quali trovare convergenze e alleanze); • temi convergenti e condivisi, tra cui il tema della connessione tra i sistemi verdi, il tema dell’agricoltura in città, il tema delle connessioni lente, il recupero degli spazi e dei luoghi non utilizzati e abbandonati; • aspetti di confusione e sovrapposizione (in alcuni casi emerge un sovrapporsi di proposte simili ma non del tutto coincidenti con rischi di duplicazione delle possibili soluzioni); • aspetti di conflittualità, in particolare tra alcuni progetti e trasformazioni previste (come i progetti di potenziamento della viabilità stradale nel Parco, i contenuti di alcune previsioni urbanistiche..) e le proposte delle associazioni. La mappatura tematica (i suoi esiti e suggestioni) è stata presentata e discussa nell’ambito dei laboratori partecipativi. Accanto alla scomposizione e ricomposizione per “mappe tematiche” sono state attivate nel sito di CIVES (http://


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www.cives.partecipami.it/infodiscs/index/12) delle mappe interattive tematiche sia per sollecitare ulteriori proposte che per raccogliere riscontri sul lavoro e sulle suggestioni emerse durate i laboratori partecipativi.


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Figura 4 CIVESmap: la mappa dei progetti di oggi e di domani realizzata per il convegno di chiusura del progetto CIVES “Milano: L’agricoltura sull’acqua” del 15 settembre 2012.


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Metodi. Mappare le convergenze. Gli esiti e gli obiettivi principali del progetto CIVES sono l’avvio e la crescita della riflessione e la presa di coscienza attorno ai temi della sostenibilità ambientale, della qualità urbana e della relazione tra città e agricoltura nonché la condivisione di principi e la costruzione di alleanze in grado di dare sostanza e attuazione ai principi condivisi. Durante il percorso di CIVES la dimensione spaziale, la fisicità e la rappresentatività dei luoghi è stata utilizzata per far emergere e delineare problemi e criticità più generali. La dimensione del progetto urbano o spaziale è stata utilizzata quale leva e spunto nella prefigurazione di possibili soluzioni e scenari. In questo senso il progetto di città è stato inteso come strumento per individuare convergenze, attivare discussioni verso la condivisione di strategie e visioni ben più complesse e di ampia portata del disegno fisico dei luoghi della città e del territorio. Per confrontare le proposte progettuali e parallelamente per superare la sola dimensione spaziale del progetto sono state sviluppate mappature interattive in cui la localizzazione fisica è sem-

pre associata sia a schede informative o a materiali di approfondimento e alle proposte progettuali, sempre ricondotte e messe in connessione tra loro attraverso strategie di più ampio respiro. Le mappature, infatti, consentono una lettura immediata e diretta del singolo progetto, iniziativa o proposta e parallelamente consentono una lettura per grandi temi (agricoltura, verde e qualità urbana…) costruendo immediate sinergie tra le molteplici segnalazioni e le proposte verso convergenze, alleanze e visioni condivise.


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Progetti. Il Parco Lineare Naviglio Grande. Il Parco Lineare del Naviglio Grande, inteso come un raggio del tempo libero e della mobilitò ciclo-fluviale, è proposto dall’associazione Bei Navigli. Il Parco lineare del Naviglio Grande è un progetto urbano di scala metropolitana che vuole restituire ai Navigli e ai sistemi urbani interconnessi un ruolo di volano economico nella vita della città di Milano, valorizzando un patrimonio di storia, arte e capacità tecniche. Ha come obiettivo la riqualificazione di un vasto comparto urbano con proposte di un sistema articolato e continuo di spazi prevalentemente aperti e attrezzati di fruizione pubblica in connessione col Parco Agricolo Sud e il Sud milanese, da sviluppare lungo il Naviglio Grande e il Naviglio Pavese. E’ concepito come un parco aperto e diffuso, che non crea un ’isola nel tessuto urbano, ma vi si integra attraverso una serie di interventi progettuali improntati a valorizzare, connettere e mettere in relazione tra loro quartieri, infrastrutture di trasporto e aree pubbliche per: - promuovere una connessione estesa e


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continua dal centro alla periferia; - individuare nuovi spazi pubblici all’interno della città come cerniera tra zone urbane attualmente divise; - valorizzare le risorse economiche e edilizie esistenti nell’area. Le parole chiave che hanno orientato il progetto sono: agricoltura di prossimità, continuità e riconoscibilità, sostenibilità e innovazione, valorizzazione della cultura del territorio e sviluppo di un’economia del tempo libero, del turismo e della cura di sé come offerta diurna e per tutti, percorsi di partecipazione quale modalità necessaria per promuovere e far vivere il Parco e la stessa città.


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Progetti. Il Parco delle Risaie. Il progetto del Parco delle Risaie, promosso dall’associazione di cittadini del quartiere della Barona e dagli agricoltori, nasce a partire dal 2008 al fine di conservare la terra e il paesaggio rurale quali valori imprescindibili e di valorizzare le attività agricole quali strumenti per la salvaguardia e il potenziamento dell’ambiente, del territorio e della cultura rurale anche a beneficio dei cittadini. Il progetto del Parco delle Risaie, che si sostanzia in una visione strategica del “parco domani” è l’esito di un percorso di condivisione tra molteplici (e differenziati) soggetti e ha visto l’attivazione di numerose iniziative promosse anche con associazioni ed enti del territorio (come Connecting Cultures) e con la partecipazione di un numeroso pubblico di cittadini metropolitani. Attraverso il progetto CIVES, di cui l’associazione è promotrice, ha potuto costruire nuove alleanze e condividere e rinnovare progetti e visioni. Il parco delle risaie ha ottenuto il finanziamento di Fondazione Cariplo, nell’ambito del Bando SPAZI APERTI 2010; è stato inoltre selezionato nel Bando “Expo dei Territori: Verso il

2015” ed ha ricevuto nel 2011 il Premio Mediterraneo del Paesaggio, un importante riconoscimento europeo all’interno del progetto PAYS.MED.URBAN.


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Figura 6 Il progetto del Parco delle Risaie. La mappa del Parco “DOMANI” (stralcio del poster presentato dall’Associazione del Parco delle Risaie al convegno CIVES “Milano: l’agricoltura sull’acqua” del 15/9/2012).


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Progetti. Il Comitato Ponti. Il Comitato Ponti [cittadini per la Barona] nasce alla fine del 2010 dallo sforzo di un gruppo di cittadini per promuovere i luoghi in cui abitano, nel tentativo di renderli più belli e fruibili, per sé, per i propri figli, per la città. Con il coinvolgimento della comunità sono stati individuati tre assi di lavoro progettuale: il tema delle ricuciture urbane; il tema dell’accessibilità e della relazione con il Naviglio Grande; la proposta del Parco Fluviale lungo lo scolmatore Olona. I tre assi contengono e integrano iniziative diffuse (di ricucitura urbana) e due proposte progettuali: parco fluviale lungo il canale scolmatore del Fiume Olona e il collegamento delle sponde del Naviglio Grande mediante chiatte con il recupero della sponda sinistra del Naviglio Grande. Il progetto lungo le sponde dello scolmatore Olona integra in un unico sistema la riqualificazione ambientale, il verde, i servizi e le funzioni urbane. Il canale connette e interseca strade, funzioni e luoghi già esistenti; il progetto si configura come la ricucitura e la valorizzazione di risorse oggi non percepibili e luoghi/funzioni isolate e

sottoutilizzate. Realizzare una continuità attraverso una pista ciclabile e la riqualificazione delle sponde apre alla possibilità di localizzare o potenziare luoghi e funzioni per la comunità (aree ludiche attrezzate per i bambini, campi da gioco, campi di bocce e in parte anche orti urbani). Il progetto prevede la localizzazione di due punti di rifornimento di BikeMi e auspica l’insediamento di attività di servizio al parco stesso (bar, ristoranti, centri di riparazione bici, asili nido...).


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Progetti. Le Rotaie Verdi. Il progetto Rotaie Verdi | Per una rete ecologica urbana è un progetto proposto da WWF, Coop. Eliante, Comune di Milano e RFI per una rete ecologica urbana e per proporre un nuovo modello di verde pubblico. Il progetto è stato presentato durante il meeting di CIVES “Darsena e Navigli: quale città?” nel novembre 2011. Il progetto Rotaie Verdi propone un parco lineare tra lo scalo di San Cristoforo e quello di Porta Romana, utilizzando le fasce di rispetto dei binari ferroviari in attività come elementi di connessione percorribili dalla biodiversità (non dall’uomo) per connettere le oasi urbane realizzabili nei due scali in dismissione e aperte alla fruizione dei cittadini. Nella sua visione di lungo termine, il progetto si estende a tutta l’area metropolitana innervando la matrice urbana edificata e connettendo attraverso un’infrastruttura ecologica le zone rurali a sud ovest e a est della metropoli milanese con l’obiettivo di integrare anche brani di verde “selvatico” nel sistema urbano. Il progetto si rifà alle esperienze di successo già sviluppate a Londra (Oasi ur-


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bane) e New York (The High Line) e vuole proporre la realizzazione di una struttura che contamini l’habitat urbanizzato attraverso un nuovo concetto di parco urbano, caratterizzato da un “verde selvatico”, libero di crescere, morire e trasformarsi, rimanendo però fruibile da parte dei cittadini di Milano. Il progetto Rotaie Verdi, pur avendo un respiro di scala metropolitana, ha gemmato ed attivato nella città di Milano singoli laboratori partecipativi che con il supporto della comunità locale hanno avviato iniziative di riappropriazione e di riqualificazione degli spazi abbandonati lungo più tracciati dei sistemi infrastrutturali.


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Progetti. Il Portale Naviglio Grande. Il progetto civico Portale Naviglio Grande (PNG), avviato nel novembre del 2007, si può considerare un capitale di idee e progetti, contatti e relazioni per l’area del Naviglio Grande prospiciente al circolo Canottieri Milano a cui hanno aderito e partecipano una rete di persone, associazioni e differenti soggetti giuridici (tra cui la Canottieri Milano). Il PNG propone di valorizzare il territorio nel tratto del Naviglio Grande dal ponte di via Valenza al cavalcavia Don Milani attraverso il recupero e la ri-funzionalizzazione di alcuni spazi in disuso o sottoutilizzati, potenziando le strutture (e le potenziali attività) della Canottieri Milano e realizzando un sistema continuo attraverso il ponte di ferro Ex Richard Ginori. Questi luoghi, una volta connessi e attrezzati, possono ospitare alcune strutture di servizio fisse (come il polo multifunzionale, nodi di interscambio..) attorno ai quali gravitano le comunità di cinque quartieri (Ticinese/Porta Genova, Navigli, Lorenteggio, Giambellino e Barona) e destinare aree per allestimenti temporanei in relazione alle diverse manifestazioni ed iniziative (mostre, convegni, mercati, spettacoli,

meeting sportivi e quant’altro, sia in connessione con l’Expò che per altre occasioni, quali per esempio, Il Salone del Mobile e le Settimane della Moda) divenendo un centro polifunzionale per un pubblico più ampio. In tal senso la proposta vede nella riqualificazione e nel ripristino della connessione del ponte della Ex Richard Ginori il cuore strategico della proposta di connessione tra parti e funzioni urbane rinnovate: un landmark, porta di ingresso alla città stessa.


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Progetti. Le visioni per la Darsena [laboratorio partecipato I Navigli e la Darsena]. Nell’ambito del laboratorio partecipato I Navigli e la Darsena sono stati raccolti e confrontati differenti scenari e alternativi proposti per l’ambito della Darsena. La proposta istituzionale è stata presentata nelle fasi di chiusura del progetto CIVES. Qui si è inteso riportare tre proposte i cui temi portanti sono riconoscibili anche nel progetto “finale”. Il parco dell’Innovazione (proposto dall’associazione Bei Navigli) trova nella riqualificazione della Darsena l’occasione per localizzare funzioni innovative (ricerca, produzione e formazione) per la promozione di energia da fonti rinnovabili, per il recupero e il riuso dei materiali di scarto, per i mercati e i nodi produttivi delle filiere agricole locali. I progetti della Darsena Pioniera | Progetto per una Milano bella e sostenibile (associazione/comitato Darsena Pioniera) e della Darsena futura Oasi Urbana (promosso da Lega Nord, WWF, Italia Nostra, Fai e comitati locali) che propongono quale tema centrale la tutela dei valori naturalistici attualmente presenti (habitat pionieri) in Darsena.


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Il primo privilegia il tema della flora spontanea e il potenziamento dei luoghi verdi (piccoli giardini e orti tematici) che possano essere gestiti in maniera partecipata dalla cittadinanza. Il secondo intende valorizzare e conservare la zona umida che si è creata in questi anni di abbandono dell’area. I temi condivisi del laboratorio partecipativo CIVES sono: • la conservazione e l’integrazione dei valori naturalistici oggi presenti; • il riconoscimento lungo i Navigli e nella Darsena quali nodi e luoghi delle reti e filiere locali; • Navigli e Darsena quali nodi e luoghi di laboratori di comunità nella attivazione di partenariati urbano-rurali. Fonti delle immagini Fig. 1,2 e 3 autore Angela Colucci Fig. 4 elaborazione grafica di Angela Colucci sulla base della documentazione realizzata dallo studio Gioia Gibelli.



Casi studio



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Casi studio

Per una città più “socievole”: spazi aperti per costruire appartenenza Lucia Nucci 156 Natura e città. Progetti e temi di lavoro per una possibile altra integrazione Carlo Peraboni 180 Governo del territorio e trasformazioni urbane: progetti di riqualificazione per la città di Salerno Fulvia Pinto 196 Progetti di fonti energetiche rinnovabili. Un’opportunità di riqualificazione territoriale Roberta Pistoni 210


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Foto 1 e 2 : Alcune trasformazioni di aree già urbanizzate centrali: sopra visione d’insieme, sotto Canary Wharf e la Greenwich Peninsula.


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Per una città più “socievole”: spazi aperti per costruire appartenenza Lucia Nucci Il presente contributo illustra le modalità con le quali in Gran Bretagna si è cercato di promuovere il senso di appartenenza e di comunità ponendo al centro delle azioni delle amministrazioni locali per la riqualificazione urbana lo spazio aperto pubblico come luogo di integrazione tra persone e gruppi sociali diversi (per età, etnia, religione,…). Città incapaci di senso di comunità: la scommessa inglese. Una delle prime iniziative promosse dal governo laburista, dalla fine degli anni novanta, è stato il finanziamento di una ricerca ministeriale, condotta da un gruppo interdisciplinare di esperti, l’Urban Task Force, sulla qualità della vita sociale nelle città esaminando casi europei e statunitensi di rigenerazione urbana verso la sostenibilità, al fine di proporre indirizzi per la riqualificazione delle città inglesi ed in particolare dei quartieri di Londra. La ricerca, coordinata da R. Rogers e pubblicata nel volume Towards an urban renaissance del 1999, propone 103 raccomandazioni per migliorare la qualità delle città inglesi. A distanza di 15 anni dalla pubblicazione del volume la maggior parte di

queste raccomandazioni si è tradotta in politiche, riforme ed azioni attuate ed in parte già migliorate in base alle esperienze condotte. Il volume contiene un’articolata lettura delle cause del degrado sociale in ambiente urbano (forme di intolleranza razziale, generazionale, religiosa e culturale; disoccupazione giovanile; analfabetismo e scarsa conoscenza della lingua; ghettizzazione e gentrificazione; eccessiva settorializzazione della pubblica amministrazione,…) e propone “103 raccomandazioni” per combattere le situazioni problematiche. Le raccomandazioni sono basate sulla ricerca di maggiore qualità della progettazione urbana, di benessere sociale e di coscienza ambientale. Gli aspetti innovativi della proposta sono: - la riproposizione di un modello di città compatta e ben interconnessa; - il disegno del sistema del verde come componente ordinatrice della città alla scala urbana e locale. In questa prospettiva, Rogers propone, tra le altre strategie, l’utilizzo del sistema del verde come elemento ordinatore del disegno della città intesa sia come struttura unitaria che come aggrega-


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Foto 3 e 4: Il riuso delle aree industriali inquinate: Battersea.


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zione di quartieri (Borough) per i quali fornisce linee guida per le operazioni progettuali locali. In particolare, per il sistema del verde prevede: - la riconnessione a sistema della rete degli spazi pubblici; - il valore ed il ruolo del verde gerarchizzato come aggregante del mix funzionale urbano e locale; - i requisiti del disegno progettuale del verde urbano e locale; - le nuove modalità di coinvolgimento dei soggetti per la realizzazione e gestione del verde (dalla partnership al neighbourhood); -l’utilizzo delle aree inquinate ed abbandonate come luoghi di sperimentazione tecnologica (bonifiche dei suoli, fitodepurazione, centri di ricerca specializzati…), formale e funzionale sia alla grande scala sia alla dimensione locale del neighbourhood; - il tutto tenendo conto della nuova organizzazione amministrativa che in parte valorizza il ruolo di indirizzo dello stato in parte delega la progettazione alle strutture locali. Il rapporto dell’Urban Task Force ha avviato, nel periodo di governo di Tony Blair, una ricca stagione di ricerca

(Commition for Architecture and Built Environment, Cabe) di riforme (Urban White Paper del 2001, Planning and Compulsory purchase Act 2004), di piani e progetti di trasformazione realizzati in tutte le città inglesi ed a Londra in particolare. Il “nuovo” modello di trasformazione di Londra. La forte crescita di Londra, prevista nei piani generali (draft 2002, 2004-2008 e 2011), è avvenuta nel rispetto del modello di città compatta ad alta densità proposto dall’Urban Task Force. La grande produzione edilizia ha interessato prevalentemente la trasformazione di aree già urbanizzate, relativamente centrali: delle aree industriali inquinate e dismesse, i brownfields site; degli esistenti town centres che compongono la grande Londra. Alla nuova edificazione ha corrisposto: un forte investimento sull’ammodernamento della rete del trasporto pubblico su gomma e su ferro che ha reso la città uniformemente raggiungibile in tutte le sue parti; la realizzazione di nuovi parchi e servizi locali per la cittadinanza. Le aree libere periferiche sono state solo in parte aggredite minacciando


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Foto 5,6 : Il riuso delle aree industriali inquinate: king’s Cross.


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l’integrità della Green Belt. Infatti, ad esempio, grandi complessi di edilizia speciale pubblica sono stati realizzati trasformando servizi di interesse generale (ad es. ospedali…) in edifici ad uso residenziale.

Foto 7: Il riuso delle aree industriali inquinate: king’s Cross.

Il nuovo modello di trasformazione proposto a Londra non è costituito da un centro storico e da un tessuto compatto otto-novecentesco tutelati, e da una periferia indifferenziata in espansione, ne

tantomeno da una città per parti sempre più specializzate funzionalmente e gerarchizzate (quartieri direzionali, commerciali, espositivi, residenziali), nella quale la residenza è organizzata con modalità a sé stante che riduce l’integrazione locale degli abitanti. Il nuovo modello, isolate le funzioni internazionali, ha ricostituito la storica articolazione in centri principali e secondari (Metropolitan centres e town centres) definiti da due anelli verdi, uno agricolo ed uno boscato esterno (Green Belt), e serviti da un’efficiente rete su ferro per ridurre le disparità di opportunità localizzative e le differenze economiche e sociali. Questo modello recupera il rapporto tra popolazione residente e territorio locale. Per ciascun centro è predisposto uno schema di struttura che individua i luoghi di crescita accompagnato da una scheda progettuale disegnata. Tutti i nuovi interventi sono pensati a completamento (densificazione) o in sostituzione di parti (demolizione, ricostruzione con densificazione) ed esaltano i caratteri della struttura esistente in ciascun centro. Le high street dei town centres in corrispondenza delle stazioni del ferro ri-


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Foto 8,9 : La trasformazione del town centre di Dalston.


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Foto 10-11: La demolizione e ricostruzione di Elephant and Castle.

qualificate, sono tornate ad essere luoghi di incontro sociale per la presenza di densità insediative medio alte (40-60 ab/ha), del piccolo commercio e di attività terziarie. Tutti gli usi previsti in questi progetti hanno una relazione diretta con la strada e con lo spazio pubblico per costringere gli utenti ad un uso più attivo dello spazio (attraversare a piedi, sostare di fronte ad una vetrina o all’aria aperta, praticare sport, giocare...).

Questa operazione ha migliorato la vivibilità dello spazio pubblico di interi quartieri trasformandoli da zone di degrado fisico e sociale, impenetrabili sia di giorno che di notte, in spazi ricchi di attività, molto frequentati da residenti e turisti. In questo nuovo modello di trasformazione le aree libere residue interne sono portate a sistema da componenti naturali di connessione: al livello metropolitano la blue ribbon network, la rete


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Foto 12: La demolizione e ricostruzione di Elephant and Castle.

Foto 13: Gli open space come spazi di valore per la collettivitĂ .


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delle acque naturali ed artificiali, ed al livello locale i green corridors, i corridoi ecologici, e le green chains, le reti di percorsi pedonali progettate sull’origine destinazione degli spostamenti. La trama delle connessioni è l’elemento che articola ed unifica la città contemporanea. Infatti, questa disegna e distingue le diverse parti costruite che compongono la città e le unifica per il suo essere luogo di interazione sociale. Lo spazio pubblico o ad uso pubblico ritorna ad essere uno spazio legante luogo dove si svolgono le attività della vita quotidiana di giovani, vecchi e bambini, gli spostamenti casa-lavoro-tempo libero, il gioco, lo sport all’aperto nelle diverse ore del giorno e della notte. Questo spazio non ha bisogno di un linguaggio progettuale particolare ma necessita di essere pensato nella sua funzionalità quotidiana: deve essere continuo per consentire l’effettivo spostamento da un luogo ad un altro; deve conciliare usi diversi in contemporanea (sosta movimento, gioco, sport, contemplazione, piccolo commercio); deve avere come unità di riferimento l’uomo (nella lunghezza del percorso, avere zone di sosta o vie di fuga, avere zone di ombra o di luce, nelle dimensioni,

nei materiali,….). Lo spazio “pubblico” che risponde a questi criteri riesce ad essere apprezzato ed usato da tutte le diverse realtà sociali che caratterizzano la città metropolitana e contribuisce a costruire il senso di appartenenza alla comunità locale. Gli open space come spazi di valore per la collettività. Il diverso ruolo assunto dalle aree libere interne nel nuovo modello di trasformazione di Londra deriva dalle indicazioni della Planning Policy Guidance n. 17 del 2002 per le quali il termine open space ha assunto un significato più ampio che comprende tutto il sistema degli spazi pubblici o ad uso pubblico. La nuova definizione arricchisce sia quella dell’Open Space Act del 1906 che quella di Abercrombie del 1943. La PPG n. 17 definisce aree libere, open space… tutti gli spazi che hanno un valore per la collettività...comprendendo elementi di townscape come gli square, le piazze, i corsi d’acqua…ed auspica una loro organizzazione in forma di rete anche utilizzando le vacant e derelict land. La rete degli open space così composta diviene una trama capillare di verdi di prossimità a più diretto contatto con la


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Foto 14, 15 : Gli open space come spazi di valore per la collettivitĂ .


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residenza e con la vita quotidiana dei cittadini per la parte che si svolge nella dimensione locale e nell’ambito del quartiere. Assume il carattere di uno di quei servizi minimi che ciascun abitante dovrebbe avere in prossimità del luogo dove vive nelle sue attività e relazioni quotidiane a breve raggio, sviluppate tra residenza, servizi e lavoro. Questo verde di prossimità è stato oggetto di politiche e progettazioni sistematiche coordinate tra i vari livelli amministrativi, costruite e gestite nella dimensione locale dai 32+1 Boroughs in cui la città di Londra è articolata. In tal modo l’assetto e gli usi del verde di prossimità e degli open space sono divenuti componenti essenziali del disegno urbano locale. La nuova definizione di open space ha di fatto arricchito l’importanza del disegno urbano, nella dimensione del territorio locale della città, come definizione progettuale di uno spazio circoscritto, differenziato negli usi ed integrato al suo interno, che risponda ai quattro requisiti previsti per un neighbourhood urbano o unità di vicinato proposti dall’Urban Task Force : - una gerarchia di open space; - una buona dotazione di servizi locali;

- un sistema di trasporto pubblico integrato; - un mix funzionale vibrante. In particolare, la gerarchia degli open space è costruita a partire dal locale verso l’urbano, ossia dall’interno della città verso l’esterno. Essa si sviluppa come un verde continuo organizzato dal neighbourhood central square, lo square posto al centro dell’unità di vicinato, al pocket park with play, il parco attrezzato per il gioco, fino ad arrivare alle grandi aree naturali esterne alla città. Anche la contemporanea cultura della sostenibilità ha da tempo recuperato e reinterpretato l’idea di minuto miglioramento urbano affidando ai viali alberati, agli square, il ruolo di portatori di qualità ambientale. La reinterpretazione è legata all’aver inserito questi come principali elementi di connessione di una rete verde urbana che “deve nascere” dal portone di casa, attraversare i più importanti spazi pubblici ed arrivare alle grandi aree verdi di cintura ribaltando così il modo di procedere dalle aree più interne a quelle più esterne. La buona dotazione di servizi locali richiede di avere in prossimità della residenza i servizi di prima necessità quali le scuole dell’obbligo, i luoghi di culto,


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Foto 16, 17 : La sequenza degli open space dal locale verso l’urbano: gli interventi delle olimpiadi.


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Foto 18, 19: Altri interventi delle olimpiadi per gli open space dal locale verso l’urbano.

le community facilities come i centri anziani, gli ambulatori, i negozi. Questa esigenza non è solo di tipo strettamente funzionale ma viene considerata un fattore che rende più vivibili le città. Le attrezzature, gli spazi verdi di uso pubblico, le strade pedonali e le piazze costituiscono lo spazio pubblico collettivo che innerva e circoscrive lo spazio privato e complessivamente determina il disegno urbano del quartiere. La presenza continua di persone nello

spazio pubblico rende questo più sicuro per il controllo informale esercitato dagli stessi residenti (eyes and ears). Il motivo di interesse del caso inglese sta proprio in questo ritorno ad intrecciare fortemente attraverso il disegno urbano il verde locale con i servizi e con la residenza e nella valorizzazione del concetto di prossimità. …La principale attrazione del vivere urbano è la prossimità del lavoro, dei negozi e dei principali servizi ed usi


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Foto 20, 21 : La sequenza degli open space dal locale verso l’urbano: gli interventi delle olimpiadi.


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urbani. Il mix funzionale, sia esso organizzato orizzontalmente o verticalmente, deve incoraggiare un vivere vicino ai servizi di base. Il nuovo modello pone attenzione all’assetto del territorio locale della grande città ed all’individuazione dell’uso e dell’organizzazione del verde urbano e delle aree libere residue come componenti essenziali dello spazio pubblico locale, matrice della conformazione urbana. In particolare, il come caratterizzare l’assetto dello spazio pubblico locale in risposta: - alla domanda di integrazione e di usi legati alla vita quotidiana; - alle esigenze differenziate rispetto ai contesti sociali ed insediativi che compongono la città contemporanea; - alle esigenze del cittadino come singolo (in termini di tempo, di età, di modelli culturali) e come componente di una comunità (luogo per risolvere questioni di convivenza interetnica, intergenerazionale, di integrazione sociale…). Chi e come sperimenta questo nuovo modello. I Boroughs sono le autorità amministrative locali della Grande Londra delega-

te ed impegnate ad organizzare questi temi in rapporto alle domanda del cittadino.Le sperimentazioni dei Boroughs cercano di rispondere ad un diverso stile di vita urbana ed ad una domanda locale dei cittadini che chiedono, insieme a condizioni di fruibilità e sostenibilità ambientale complessiva della vita urbana, una maggiore attenzione dell’amministrazione alle esigenze del loro vivere quotidiano. Gli open space sono spazi “di valore per la collettività”, recuperati ed utilizzati in forma rinnovata; la progettazione del verde locale tiene conto delle esigenze espresse dai cittadini che lo utilizzano, nelle diverse situazioni insediative e sociali che offre la città; il verde locale condiziona la progettazione dello spazio pubblico, fattore determinante del disegno urbano di parti di città. La nuova accezione del verde come spazio con un valore per la comunità locale ha spinto gli amministratori alla predisposizione di strategie per gli open space (Open Space Strategy OSS) ed ad una revisione dei piani urbanistici locali (Local Development Framework LDF, local plan). Le diverse politiche locali per il verde promosse dai Boroughs hanno dimostrato come attualmente


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Foto 22, 23: Interventi di riqualificazione a Southwark: Burgess Park.


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la progettazione degli spazi verdi si stia attuando e realizzando con politiche e decisioni locali diversificate. Le risposte degli amministratori locali sono rilevanti perchè formulate nella concretezza “del fare” acquisita negli anni recenti dopo la chiusura del Greater London Council. La sperimentazione ha evidenziato l’importanza di aspetti determinanti quali: - il riconoscimento della “diversità” dei luoghi e delle comunità residenti nell’assetto della città; - il ruolo della partecipazione per l’espressione dei bisogni verso l’uso del territorio che sottende un diritto di tutti a partecipare attivamente alle decisioni del governo del territorio locale, la concretizzazione del diritto di cittadinanza; - l’insostituibile ruolo del progetto del verde nel disegno urbano del territorio locale come base di riferimento e di negoziazione per promuovere l’espressione della domanda e per sollecitare gli interventi finalizzati degli operatori. Per realizzare la rete verde locale i Boroughs di Londra utilizzano due documenti progettuali: le Open Space Strategy (OSS) ed il Local Development Framework (LDF)/Local Plan.

La Open Space Strategy è il documento che il Governo ed il Nuovo Piano di Londra richiede a tutte le amministrazioni locali per promuovere e caratterizzare le reti verdi e gli open space locali. Nelle OSS le questioni di maggiore interesse considerate riguardano: - l’analisi della struttura socioeconomica del borough e l’indagine sulle esigenze delle diverse comunità presenti nel territorio (l’audit); - le scelte progettuali da favorire circa le tipologie di spazi verdi ed i modelli di rete; - gli usi preferenziali scelti in base alle esigenze sociali locali; - la gestione affidata ai residenti. Il Local Development framework (LDF) è il piano di carattere urbanistico, impegnativo per autorizzare le trasformazioni fisico-funzionali. Per il LDF le questioni di maggiore interesse per la costruzione del verde locale riguardano: l’adeguamento alla situazione locale delle scelte del London Plan in termini di abitanti da insediare, la gerarchia degli open space, le nuove tipologie ed il disegno della rete verde adottato, gli usi da favorire, la dotazione di verde e servizi, le condizioni di re-


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Foto 24, 25: Interventi di riqualificazione a Southwark: l’ampliamento della Tate Modern.

Foto 26: La piazza verso il Greenwich Millennium Village.


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lazione ed integrazione con il contesto. La rilevante esperienza tecnica acquisita negli anni dalle amministrazioni locali dei Boroughs li ha portati a costruire una vision interna locale che integra ed, in alcuni casi, anticipa l’immagine/ la vision dell’intera città sviluppata dai documenti metropolitani della Greater London Authority (GLA) in un rapporto di interscambio e di cooperazione reciproca.

Foto 27: Il completamento del Greenwich Millennium Village.

Tra i punti di maggiore interesse del metodo di lavoro e delle politiche adottate dai Boroughs londinesi, emergono: - la grande attenzione alle domande e alle attese specifiche dei cittadini residenti verso il verde locale, nel suo ruolo sociale e di integrazione interetnica, nel suo disegno riconoscibile, negli usi preferenziali, nell’accessibilità. Domande analizzate nei loro fattori strutturali (demografici, economici, culturali, ecc.) e nei comportamenti ed attese specifiche legate alla vita quotidiana, indagata attraverso indagini ed interviste dirette; - l’organizzazione e l’espressione delle intenzioni progettuali di risposta dell’autorità locale attraverso due strumenti con contenuti distinti ma convergenti: strategie che definiscono obiettivi, requisiti da conseguire nell’organizzazione degli open space, operazioni da promuovere per la loro attuazione e soggetti da coinvolgere (OSS); scelte di assetto spaziale, tipologie, usi integrati, dotazioni, soluzioni e modelli del disegno urbano, tutti proposti in un’ottica progettuale a partire dallo spazio pubblico e dalle reti verdi (LDF); - una continuità di strategie, di politiche e sperimentazioni per il verde, gli open


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Foto 28, 29: Il completamento del Greenwich Millennium Village.


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space e lo spazio pubblico che attraversa le diverse scale di pianificazione della Greater London dalla dimensione metropolitana, a quella urbana, a quella del territorio locale dei Boroughs, attraverso una costante collaborazione tra le istituzioni ed un approccio a tutti i livelli di carattere cooperativo aperto all’interlocuzione con utenti ed operatori. Due realtà locali che sono l’espressione più positiva di questa sperimentazione sono: - tutti i progetti di riqualificazione promossi dal Borough di Southwark. Qui l’amministrazione ha saputo orientare le grandi trasformazioni del lungo Tamigi, l’apertura delle stazioni della linea metropolitana overground e la densificazione di Elephant and Castle come operazioni puntuali concentrate che hanno pagato una riqualificazione diffusa di nuovi spazi aperti gestiti dai residenti nelle aree socialmente più svantaggiate; - gli interventi previsti dall’Olympic Park Legacy Company per la valle del Lea. Le operazioni, frutto di un lavoro integrato di programmazione ed attuazione tra quattro Boroughs, hanno trasformato il Queen Elizabeth Olympic Park da area inquinata in un sistema di

parchi che attraversa in cinque quartieri collegando due parti storicamente separate di Londra, l’Est povero con l’Ovest ricco, e consente un graduale passaggio dagli ampi spazi verdi pubblici del parco, agli spazi semiprivati delle corti residenziali, al verde privato residenziale intercettando le funzioni del vivere quotidiano. I nuovi quartieri sono tutti progettati con una zona centrale dove sono concentrate le attività ed i servizi di prossimità (un asilo, tre scuole, un community centre ed un ambulatorio), riproponendo l’impianto centrale del town centres con l’asse commerciale principale. Anche a Londra la continuità degli spazi aperti è obiettivo di non sempre facile attuazione nel progetto. Essa richiede l’impegno di tecnici particolarmente preparati allo sviluppo del progetto urbano integrato, che non demandino, ad esempio il tema del verde a specialisti del settore come questione ecologica o estetico paesistica, oltre naturalmente ad amministratori pubblici che impongano la progettazione integrata dello spazio pubblico e del verde nelle intese con gli operatori privati. In alcuni casi è stato difficile sviluppare un disegno urbano in grado di esaltare


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i diversi caratteri dei luoghi, inoltre lo stile architettonico “internazionale” di alcuni progetti ha proposto spesso forme, usi, materiali, colori, indifferenti alle esigenze fisiche e sociali del contesto o in netto contrasto con esso. Progetti di questo tipo non si misurano con la complessità della realtà urbana nella quale si inseriscono, e hanno un carattere autoriale/autoritario che viene accettato male dai residenti perché estraneo alle esigenze locali. Altra questione non risolta è l’auspicata relazione equilibrata tra densità edilizia, qualità formale e sociale dello spazio urbano, giusto profitto dell’imprenditore e valore di mercato del bene edilizio prodotto. Molti progetti in sede di attuazione, per incrementare l’utile dell’imprenditore hanno aumentato la densità edilizia, a discapito della qualità della forma urbana e del valore di mercato del bene. Nel quartiere del Greenwich Millennium Village progettato da R. Erskine nel 2001, il recente completamento ha cambiato in parte l’impianto generale del progetto costituito da un doppio sistema di isolati e corti verdi disposti lungo l’asse centrale pedonale. Le nuove realizzazioni poste su una tripla fila di isolati interrompono

la trama dei percorsi di Erskine e presentano corti anguste con una ridotta quantità di spazi verdi semiprivati e la totale assenza di relazioni tra attività commerciali al piano terra e spazi pubblici antistanti. Anche l’esperienza dei distretti urbani e dei quartieri con regimi fiscali speciali ha favorito operazioni di investimento di grandi operatori economici riducendo nettamente la possibilità di integrazione tra le funzioni diverse (residenziale, commerciale, direzionale e dei servizi) e favorendo fenomeni di espulsione delle persone più povere (gentrification). Tuttavia va rilevato complessivamente come le sperimentazioni in Gran Bretagna per organizzare il verde locale di prossimità a partire dal basso, in funzione della domanda dei cittadini e come componente guida per la progettazione dello spazio pubblico locale nel piano urbano, malgrado le difficoltà richiamate ed alcune contraddizioni nell’azione delle amministrazioni locali propongano un metodo di lavoro e progettuale valido che, se generalizzato e seguito con costanza, nel tempo, realizza risultati apprezzabili per la riqualificazione delle città.


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Note 1. Urban Task Force, 1999, Towards an urban renaissance, Taylor and Francis group PLC. Gli indirizzi pubblicati in questo volume hanno stimolato un dibattito e la pubblicazione di numerosi documenti e di decisioni a tutti i livelli amministrativi (cfr. II parte, pg. 47-244, in Nucci, L., 2004, Reti verdi e disegno della città contemporanea. La costruzione del nuovo piano di Londra, Roma, Gangemi ed.). 2. Cabe Commission for Architecture and the built environment è stata la commissione governativa per l’architettura e l’ambiente costruito che monitorava l’eccellenza nel disegno e nella gestione degli spazi pubblici nelle città inglesi. Cabe ha lavorato con i gestori e gli utenti dello spazio pubblico per migliorarne al livello nazionale la qualità del disegno. Attraverso gli advisory scheme ha lavorato con le amministrazioni locali ed altre organizzazioni per sviluppare approcci strategici per la realizzazione di spazi pubblici di qualità. 3. Cfr. Nucci, L., 2004, II parte, cap. 3-5, Op. Cit. e Nucci, L., 2012, Verde di prossimità e disegno urbano. Le open space strategies ed i local development frameworks dei 32+1 Boroughs di Londra, Gangemi ed., II parte cap. 1. 4. …L’Open Space Act del 1906 definisce open space come ogni spazio libero, sia esso intercluso e libero, nel quale non vi siano edifici o non più di un ventesimo della superficie del lotto sia coperta da costruzioni, il vuoto che ne risulta è disegnato come un giardino o è utilizzato per attività ricreative o per collegare terre abbandonate o inoccupate… Il piano di Abercrombie del 1943-44 considera

open space un’ampia varietà di spazi aperti: strade o percorsi pedonali con ai margini strisce o aree con open space; campi da gioco per adulti e bambini; campi da gioco scolastici; centri ricreativi e sportivi; piccole aree gioco per bambini in prossimità delle abitazioni; piccoli giardini nella forma di square o di giardini per il ristoro nelle aree residenziali; divertimenti sul lungo fiume; amenity open space e campi da gioco tra comunità confinanti/adiacenti, in aree direzionali ed industriali; allotments…. Le definizioni degli open space di seguito riportate sono contenute in due documenti di Tom Turner. In particolare: Turner, T., Landscape and open space planning in London, downloaded dal sito http://www.londonlandscape.gre.ac.uk in data 13.9.2000. 5. Mayor of London, (2003), Guide to Preparing Open Space Strategies…, Greater London Authority, pag. 3-4. 6. Mayor of London, (2003), Guide to Preparing Open Space Strategies…, Greater London Authority, pag. 3-4. 7. Si fa riferimento in particolare alla lettura data dall’Urban Task Force nel testo Urban Task Force, 1999, Towards an Urban Renaissance, Taylor and Francis Group PLC, pag. 64. 8. Urban Task Force, (1999),Op. Cit., pag. 64. Fonte delle immagini La documentazione fotografica è a cura di Lucia Nucci.


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Nel Plan Vert RĂŠgional la visione regionale trova una puntuale declinazione nei progetti di intervento (IAURIF, 1994)


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Natura e città. Temi di lavoro per una possibile “altra” integrazione. Carlo Peraboni A livello comunitario ed internazionale, il verde urbano è sempre più percepito in termini di spazio vitale per lo svolgimento di alcune importanti funzioni che vanno da quelle più propriamente ambientali a quelle sociali ed economiche. Lo studio del verde urbano è però materia complessa, che nei suoi aspetti interessa diverse discipline scientifiche. La diffusione e l’accessibilità del verde urbano sono tra i fattori più considerati nella valutazione della qualità della vita urbana. La natura assume forme diverse nel contesto urbano fino a diventare un elemento strutturante del sistema insediativo e ad essere riconosciuta come componente dell’armatura ecorelazionale del territorio in virtù delle numerose funzioni che può assolvere, alle diverse scale di considerazione (Romano, 2005). In Italia non sono molte le esperienze significative a cui potersi riferire anche perché solo recentemente si è giunti all’approvazione di provvedimenti normativi che riconoscono la necessità di un approccio integrato al tema del progetto del verde urbano. A livello nazionale è con la Legge 14 gennaio 2013, n. 10 – “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”, che si riconosce

l’esigenza di mettere in relazione l’incremento quantitativo degli spazi verdi alla predisposizione di «cinture verdi» intorno alle conurbazioni funzionali a delimitare gli spazi urbani e l’esigenza di elaborare capitolati finalizzati ad una migliore utilizzazione e manutenzione degli spazi inedificati. A livello regionale la normativa lombarda prevede che nel Piano dei Servizi, siano da includere progetti di corridoi ecologici e ambiti da destinare al sistema del verde di connessione. Ciò in attuazione dell’articolo 9 della Legge per il Governo del Territorio del 2005 che recita “I comuni redigono ed approvano il piano dei servizi al fine di assicurare una dotazione globale di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico e generale, le eventuali aree per l’edilizia residenziale pubblica e la dotazione a verde, i corridoi ecologici e il sistema del verde di connessione tra territorio rurale e quello edificato, nonché tra le opere viabilistiche e le aree urbanizzate ed una loro razionale distribuzione sul territorio comunale”. Viceversa, a livello internazionale sono numerose le esperienze che dalla seconda metà degli anni ’80 pongono in evidenza il ruolo che la naturalità de-


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SDAU 1974 - Urban-

SDAU 1983 – Urban-

SDAU 1994 – Ricerca

izzazione prosegue

izzazione attraverso la

di alternanza e equi-

biamento sostanziale

lungo le principali vie

costruzione di “ nuclei

librio tra la città e la

di scala e di strumenti:

di trasporto, insegu-

verdi” e persegu-

campagna. Urbaniz-

la città arcipelago in rete

endo un modello “ville nouvelle”

endo uno sviluppo

zazione strutturata at-

equilibrato dei comuni

torno a polarità urbane

posti dentro la “cintura

complementari e

verde”

riconoscibili

SCoT 2007 – Un cam-

Sequenza degli strumenti di pianificazione elaborati (AUDIAR, 2014)

gli ambienti urbani viene progressivamente ad assumere nello svolgere una funzione ecosistemica ovvero capace di fornire servizi per la popolazione insediata ma anche in grado di sviluppare, laddove integrata nella città, le funzioni proprie degli ambienti naturali. Di seguito sono segnalati casi di progetto, differenti per contesto d’azione, scala di intervento e natura della strumentazione che riconoscono l’esigenza della conservazione e della riproduzione

di biodiversità ponendosi in relazione con le progettualità di livello locale e con le iniziative di carattere regionale, nell’ambito di quadri d’azione fortemente integrati. Il Plan Vert Régional della Région Îlede-France. Interessante riferimento per questo modello interpretativo è il Plan Vert Régional, redatto congiuntamente dallo IAURIF (L’Institut d’aménagement et


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d’urbanisme de la région Île-de-France) e dall’Agence des Espaces Verts et les services de la région Île-de-France. Il documento, pubblicato nel 1994, raccoglie gli esiti di un lavoro decennale impostato a partire da una riflessione sulle modalità di crescita urbana che hanno interessato la regione parigina. La lettura dei caratteri del verde urbano diviene pretesto per articolare una pluralità di considerazioni sull’efficacia della pianificazione urbana e più in generale sulla sua capacità di costituire riferimento per l’organizzazione della crescita e dello sviluppo urbano. Il Plan Vert Régional si basa su di una lettura gerarchica dello spazio regionale, verificando la coerenza dei diversi elementi che lo compongono, attraverso un approccio sistemico ai problemi ambientali che interessano le aree geografiche considerate. Il documento ha costituito un importante riferimento per lo sviluppo di politiche agricole periurbane che hanno dato luogo a strategie attuative orientate a generare ricadute in termini di controllo paesistico degli interventi e a organizzare la crescita urbana e l’offerta diffusa di servizi. I principi guida dell’approccio ecologico sviluppato dal Plan Vert Régional

si basano sulla gestione dinamica delle risorse, sulla valorizzazione delle diversità, sulla combinazione di funzioni, articolate nel tempo e nello spazio, verificate come coerenti ai differenti livelli di progetto. Il tema della verifica di coerenza diverrà, nei primi anni 2000, elemento centrale nella politica di governo di scala sovralocale con l’introduzione nell’ordinamento nazionale dello strumento dello ScoT – Schéma de cohérence territoriale a cui “…viene affidato il compito di elaborare previsioni rispondenti alle esigenze individuate per lo sviluppo economico, per la pianificazione del territorio e dell’ambiente, verificando l’equilibrio sociale in termini di disponibilità di abitazioni, trasporti, attrezzature e servizi.” 2 Il caso di Rennes - Ville pionnière. Il dossier tematico “La nature s’incruste en ville” della Rivista Sciences Ouest si apre con un saggio di Nathalie Blanc dal titolo “Espaces verts: Rennes, ville pionnière” in cui l’autrice riconosce alla municipalità il merito di aver promosso la crescita di un equilibrato rapporto tra città e natura attraverso differenti scale di intervento. L’evoluzione del quadro pianificatorio


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L’armature urbaine de la Ville archipel – Schéma de principe (AUDIAR, 2104)

Schemi interpretativi della struttura territoriale (AUDIAR, 2014)

evidenzia quattro passaggi fondamentali: • lo Schéma directeur d’aménagement et d’urbanisme (SDAU) del 1974; • lo Schéma directeur d’aménagement et d’urbanisme (SDAU) del 1983; • lo Schéma directeur d’aménagement

et d’urbanisme (SDAU) del 1994; • lo SCoT - Schéma de cohérence territoriale (SCoT) del 2007. Il principio organizzatore che pervade la strumentazione urbanistica può essere ritrovato nel tema della coerenza delle scelte di intervento che i differenti li-


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velli territoriali perseguono; questo non significa rinunciare ad esprimere opzioni progettuali relativamente alle proprie funzioni e competenze ma garantire che le singole iniziative si rapportino in modo coerente e continuo con l’insieme delle strategie di salvaguardia, di tutela e di valorizzazione. Questo approccio risulta importante per i progetti che interessano aree naturali orientate alla conservazione della fauna ed alla promozione della biodiversità che per attuarsi in modo efficace necessitano di tempi lunghi, di interventi stratificati e costanti, di contesti spaziali protetti. Tutto questo è stato tradotto in Pays de Rennes un progetto strategico contenuto nello SCoT del 2007 che assume

come riferimento progettuale la metafora della città-arcipelago (Ville Archipel) che guida l’organizzazione territoriale verso una struttura multipolare. I riferimenti progettuali che lo SCoT fornisce alla pianificazione locale, costituita dal Plan Local d’Urbanisme (PLU), relativamente al tema dell’inserimento di elementi di naturalità nella città possono essere schematicamente riassunti in due strategie principali: • Garantire la continuità dei collegamenti verdi intercomunali Ovvero valorizzare i collegamenti verdi e blu che connettono le foreste e gli ambienti naturali attraverso la composizione di un telaio minuto di elementi connettivi come sentieri, siepi, strade

L’individuazione dell’area di intervento e lo schema delle strategie (Rennes, 2013)


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vicinali, fossati, aree umide… per consentire alla fauna di muoversi ed alla flora di riprodursi sul territorio. Questi elementi di continuità “ritessuta” permettono inoltre alle persone di percepire in modo completo i valori degli spazi verdi della città. Questo insieme di elementi naturali può essere connessa a luoghi pubblici, parchi ornamentali, piazze, giardini… opportunamente collegati tra loro da reti di percorsi lenti. • Declinare i temi di carattere paesaggistico in tutte le situazioni urbane della città Ovvero trasferire i valori del contesto territoriale nelle strategie di attuazione del Plan Local d’Urbanisme - PLU, facendo in modo di permeare le differenti parti della città di quegli elementi di naturalità presenti nel territorio circostante e favorire una organizzazione razionale delle risorse verdi e blu a livello comunale. Lo strumento locale potrà strutturare il paesaggio urbano ricercando e valorizzando elementi di identità e punti di riferimento visuale. Il Plan Local d’Urbanisme diviene lo strumento di attuazione delle strategie di carattere territoriale e di verifica di coerenza delle stesse dentro il quadro delle risorse locali. Attraverso una pro-

gettazione di dettaglio il Piano locale traduce le indicazioni strategiche dello strumento di scala territoriale verificandone la coerenza e la trasponibilità ad una scala di maggior definizione. Questa operazione assume un significato progettuale che non si risolve attraverso una semplice operazione di dilatazione del set di informazioni disponibili; il progetto si colloca dentro un quadro informativo ri-ordinato, in funzione della scala di intervento, interpretando gli elementi costitutivi dell’ambiente interessato dal progetto. Il Caso di San Francisco – Making Connection. Making Connection è un progetto di potenziamento dei caratteri ambientali del sistema urbano, avviato dalla municipalità di San Francisco nel 2011, che si pone l’obiettivo di qualificare oltre 115 chilometri di strade urbane migliorando la vivibilità urbana e favorendo la fruibilità di luoghi pubblici come parchi, scuole, spazi ricreativi… Si tratta di un progetto che fissa degli obiettivi di lungo termine e che prevede una molteplicità di interventi verificati e coerenti rispetto ad un framework progettuale articolato. L’attuazione di


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questa progettualità richiede una spiccata capacità di coordinamento delle iniziative esistenti, promuovendo nuove iniziative e orientando una serie di attività, come ad esempio interventi di moderazione del traffico e di regimazione delle acque piovane, con l’obiettivo di realizzare una rete coerente di iniziative capaci di concorrere al miglioramento della vivibilità urbana. Questo articolato sistema di interventi, anche in virtù della scala locale del progetto, offre l’opportunità di coordinare ed orientare i progetti di trasformazione urbana sfruttando le interazioni tra enti pubblici e soggetti privati. La strategia di intervento è pertanto quella di limitare le nuove progettualità e, al contempo, di inserire il tema della green connection nell’insieme delle attività progettuali che si realizzano e che, attraverso questa contaminazione ideale, si qualificano in senso ambientale. In questo contesto assumono un ruolo rilevante le comunità urbane e i gruppi di quartiere i quali possono assumere una funzione importante nella realizzazione e nella gestione di questa rete di spazi urbani a forte caratterizzazione naturalistica. La Green Connection è pertanto da

intendere come un elemento di caratterizzazione progettuale che favorisce il coordinamento degli interventi ed il loro progressivo stratificarsi in modo orientato . Il Report Finale di progetto, presentato dalla municipalità nel marzo 2014, indica come prioritari tre obiettivi: • favorire la salubrità attraverso una progettualità attenta alla mobilità ciclopedonale che incentivi forme di trasporto compatibili ed ampli la potenziale utenza di parchi e spazi aperti. I temi di azione segnalati dal rapporto sono orientati a dedicare attenzione prioritaria alla mobilità pedonale e ciclabile; a attuare interventi di moderazione del traffico per sostenere forme di trasporto attive per tutte le categorie di utenti; a focalizzare l’attenzione sui punti di conflitto intermodali, a rendere maggiormente permeabili i bordi delle aree verdi per facilitare l’accesso e la fruizione degli spazi naturali. • promuovere la sostenibilità della città migliorando l’ecologia urbana in termini di maggior attenzione al ciclo delle acque, compreso un miglior deflusso delle acque piovane, e il miglioramento degli habitat della fauna presente. Le priorità evidenziate riguardano la ne-


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cessità di valorizzare il ruolo delle strade alberate e dei sistemi lineari verdi, riconoscendo la loro funzione ecologica oltre che paesaggistica; promuovere l’ecoliteracy, la capacità di interpretare l’insieme delle attività urbane; fare in modo che in ogni azione si riconosca il contributo all’obiettivo proprio delle green connection; lavorare per rendere iniziative puntuali di nuova naturalità parte riconoscibile di una struttura ecologica urbana.

I temi ordinatori del progetto (SFPD, 2014)

• incentivare l’abitabilità sostenendo le iniziative partecipative e le forme di responsabilizzazione nella realizzazione e gestione degli spazi verdi urbani. Le attenzioni di progetto dovranno essere prioritariamente rivolte a coinvolgere le comunità nella progettazione e gestio-

ne degli spazi; a favorire una progettazione degli spazi di aggregazione della comunità riconoscendoli come luoghi di aggregazione comunitaria e pertanto capaci di facilitare l’interazione tra i residenti; a sostenere la programmazione delle attività funzionali di placemaking; a promuovere una immagine riconoscibile ed identitaria del progetto per migliorare la leggibilità della rete e facilitare la mobilità in tutta la città. Il Report Finale segnala tre attenzioni a cui riferire le azioni di progetto funzionali a rendere gli interventi riconoscibili come orientati alla strategia della Green Connection: • Utilizzare un approccio basato sulla lettura del contesto. L’idea di fondo è legata a riconoscere che ogni strada è un luogo unico. Il ruolo dell’infrastruttura, gli elementi urbani che la circondano e la definiscono, le caratteristiche climatiche, l’esistenza di vita animale e vegetale sono elementi che contribuiscono alla definizione del contesto locale dentro cui le connessioni verdi dovranno attuarsi riconoscendo ed amplificando il carattere unico della strada. • Mantenere e valorizzare le funzioni essenziali per la vitalità della strada.


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Alcune tipologie degli interventi proposti (SFPD, 2014)

Le strade sono luoghi plurali, capaci di accogliere ed ospitare vari utenti e differenti funzioni. In questo senso, oltre a perseguire gli obiettivi propri del progetto, le strade appartenenti alla rete devono mantenere la capacità di ospitare le funzioni che tradizionalmente le animano, tra cui gli accessi per i residenti locali e per i ripettivi mezzi di trasporto; rispondere in modo adeguato alle differenti esigenze di mobilità, fornendo lo spazio per i servizi pubblici essenziali quali ad esempio le strutture proprie del trasporto pubblico locale. • Verificare l’efficacia delle iniziative in

relazione alla scala di azione del progetto. L’attenzione deve essere rivolta a riconoscere che il livello e il tipo di intervento devono verificarsi in relazione ai caratteri della rete verde; gli interventi possono variare, riflettendo il diverso contesto, offrendo soluzioni diversificate in funzione della tipologia della strada e delle opportunità presenti. La piena attuazione della rete potrà avvenire attraverso l’inserimento all’interno del progetto di tipologie di interventi differenti. Alcuni più complessi saranno funzionali alla ridefinizione delle


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A vision for San Francisco’s open space (SFPD, 2014)

intersezioni e delle geometrie stradali, altri caratterizzati da una minor complessità perseguiranno l’obiettivo di produrre miglioramenti diffusi e caratterizzanti la rete e volti a promuovere luoghi unici. La Municipalità prevede un orizzonte temporale di circa venti anni per realizzare pienamente il progetto di Green Connection; l’attuazione è condizionata da fattori esterni quali ad esempio la disponibilità di fondi e il sostegno delle

comunità coinvolte nell’attuazione del progetto e si fonda sulla consapevolezza che molti degli interventi di potenziamento ecologico individuati dal programma si potranno attuare contestualmente alla realizzazione di lavori ed interventi urbani già programmati ed in molti casi in corso di esecuzione nell’ambito di iniziative di trasformazione della città. Gran parte della rete sarà pertanto costruita attraverso il coordinamento dei progetti in corso e gra-


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Le strategie di intervento verificate rispetto ai soggetti coinvolgibili (SFPD, 2014)

zie alla cooperazione tra soggetti attuatori, pubblici e privati, identificati come curatori di questo articolato processo di pianificazione. I progetti di riqualificazione della viabilità urbana sono generalmente redatti dal Dipartimento dei Lavori Pubblici (DPW), dal San Francisco Municipal Transportation Agency (SFMTA) e dalla Public Utilities Commission di San Francisco (SFPUC). Poiché molte delle connessioni verdi proposte comporteranno sia interventi di carattere

ambientale che di ridefinizione dei caratteri viabilistici, è importante che le differenti agenzie progettino e lavorino in modo coordinato per garantire che le idee, i piani e i progetti che vengono realizzati possano migliorare la qualità dell’ecologia urbana di San Francisco. Caratteri delle eperienze ed indicazioni per il progetto. Dalle esperienze e dagli studi analizzati emergono alcuni temi che possono essere segnalati come i principi attorno


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Altre immagini utilizzabili (SFPD, 2014)

a cui organizzare il progetto dell’interazione tra natura e città. Il progressivo emergere del ruolo ecologico degli spazi aperti della città pone l’esigenza di ripensare a strategie di progetto differenziate che non trovano riferimento solo negli strumenti di pianificazione e che, al contempo, devono riferirsi a più scale di progetto: da provvedimenti normativi orientati a assicurare la conservazione dei valori di naturalità, a visioni di sintesi volte alla rappresentazione degli esiti complessivi delle trasformazioni fisiche e a esplicitare i sistemi di bilancio delle risorse (ecologiche, economiche e sociali) coinvolte dalle iniziative di trasformazione. Il progetto deve essere l’esito di una riflessione complessiva relativa al ruolo che la natura deve assumere nell’ambi-

to del progetto in cui i fattori naturali si collocano, permettendo alle comunità di partecipare alla costruzione delle scelte. L’elaborazione del progetto di natura dentro la città deve indagare il tema dell’interazione tra le differenti funzioni urbane, attivando un progetto coerente e consapevole dei significati e delle risorse coinvolte. Importante diviene in questo contesto la strategia comunicativa del progetto, che deve assicurare una facile ed immediata comprensione e permettere l’avvicinarsi delle comunità locali alla discussione. Il progetto deve al contempo fornire elementi di conoscenza, rifiutando la logica pseudo-rassicurante delle tante ipocrisie “verdi”, di più recente o antica proposizione. E’ il caso dei tanti progetti di “compensazione” proposti che


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evitano di affrontare i temi complessi dell’interazione e rispondono, con soluzioni al limite del banale, all’ansia di riempire gli spazi delle interazioni con imponderabili e improbabili “campiture verdi”, spesso alla ricerca di dubbie soddisfazioni quantitative. La consapevolezza deve essere che il progetto dello spazio verde deve collocarsi entro una visione strategica che precede ed orienta la definizione delle linee di intervento; deve essere, almeno per le sue linee fondamentali, precondizione al progetto delle trasformazioni. In questo senso un progetto di interazione definisce alcune priorità di intervento, spesso legate al ripristino degli spazi urbani, aiutando la comunità a trarre il massimo vantaggio dalle opportunità di trasformazione innescate dal progetto. Un secondo tema di attenzione è rappresentato dalla consapevolezza che se la connessione è il concetto chiave a cui riferire il progetto, la multifunzionalità d’uso deve essere l’obiettivo da traguardare. É essenziale verificare che ogni spazio agisca in quanto parte di un progetto più ampio capace di riferirsi ad ogni ambito che manifesta una propensione alla trasformazione, sia esso pubblico o privato. Connettività non

significa necessariamente collegamento fisico e diretto fra i diversi siti, anche se, questo aspetto della continuità è quello che garantisce la maggior efficacia dal punto di vista naturalistico. Per garantire continuità può essere sufficiente una condizione di prossimità o di connessione visuale; entrambe queste soluzioni permettono l’inclusione e l’integrazione funzionale di uno spazio nel più ampio sistema della naturalità urbana. Da ultimo pare utile sottolineare come il progetto di interazione coinvolga più ambiti amministrativi, agisca a differenti scale e raccolga i contributi dei differenti competenze. Il progetto deve, pertanto, essere uno, ma articolato e plurale, capace di collegare più livelli amministrativi e di connettersi a sistemi e reti che funzionano a scale diverse. Abbiamo bisogno di progettare spazi di naturalità per collegare i paesaggi e i luoghi urbani e suburbani, gli spazi rurali e la natura fino a comporre un mosaico di situazioni capace di restituire una visione unitaria pur partendo di elementi e spazi verdi differenti. In questo senso gli interventi devono essere differenziati rispetto ai contesti, ricchi di habitat e densi di collegamenti, capaci di fornire un’ampia gamma


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di servizi alla città e all’ecosistema. E’ evidente che questo ambizioso risultato non può essere raggiunto assemblando e unendo porzioni di superfici marginali, aree intercluse e derelitte aventi come unico elemento distintivo il non essere utili per l’edificazione. La natura in città per esplicare la sua funzione rigenerante deve essere integrata con i margini e con i varchi del sistema urbano, riconoscendo i caratteri, la dimensione e la composizione dei luoghi dell’ibridazione. Bibliografia AUDIAR - Agence d’Urbanisme et de Développement Intercommunal de l’Agglomération Rennaise, 2014, SCoT du Pays de Rennes. Document d’orientation et d’objectifs, Le Pays de Rennes, Rennes. Ahern J.,2007, Green infrastructure for cities : The spatial dimension, in Novotny V., Brown P. (eds.), Cities of the Future Towards Integrated Sustainable Water and Landscape Management London, IWA Publishing. Blanc N., Clergeau P., 2010, Installer une trame verte dans la ville? Le point de vue des chercheurs?, Numéro spécial d’Urbanisme “La démarche Écocité. Villes durables en projet”, Hors série n°36. Clergeau P., 2007, Une écologie du paysage urbain, Apogée Ed., Rennes. Fritjof Capra, 2008, The New Facts of Life, con-

sultato nel febbraio 2015: http://www.ecoliteracy.org/essays/new-facts-life IAURIF - Institut d’aménagement et d’urbanisme de la Région d’Ile-de-France - Agence des Espaces Verts de la Région d’Ile-de-France, 1994, Plan Vert Régional d’Ile-de-France, Conseil Régional d’Ile-de-France, Parigi. Rennes - Service Etudes Urbaines, 2013 – Plann Local d’Urbanisme. Orientations d’Aménagement par secteurs, Communaute d’agglomeration de Rennes Metropole, Rennes. Romano B. & Ciabò S., 2010, La città come sistema. In: AA.VV., La gestione della natura negli ambienti urbani. Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Romano B., 2005, La continuità ambientale: concezione e applicazione; L’armatura ecorelazionale: misure strutturali di controllo della frammentazione paesistica, in GABRIELE PAOLINELLI e altri, Frammentazione paesistica: permanenze e interferenze nel territorio di Conegliano, Regione del Veneto, Venezia. SFPD- San Francisco Planning Department, 2014, Green connections San Francisco. Final Report, consultato nel febbraio 2015: www.greenconnections.sfplanning.org Socco C., Cavaliere A., Guarini S.M., Montrucchio M., 2005, La natura nella città. Il sistema del verde urbano e periurbano, FrancoAngeli, Milano.


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Fig. 1: la cittĂ dominata dal Castello di Arechi


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Governo del territorio e trasformazioni urbane: progetti di riqualificazione per la città di Salerno Fulvia Pinto La città. Ieri e oggi. Salerno è stata interessata, nell’ultimo ventennio, da grandi trasformazioni urbanistiche che si relazionano, con un rapporto alterno di complementarità e di alterità, con il passato dell’antico principato longobardo, le cui testimonianze si confermano come potenti attrattori. La città, affacciata sull’omonimo golfo del mar Tirreno, riveste una posizione geografica di cerniera tra la Costiera Amalfitana (ad ovest) e la Costiera Cilentana (a sud) ed è prossima a luoghi turistici di richiamo internazionale quali le aree archeologiche di Pompei, Ercolano, Paestum e Vaelia, la Certosa di Padula, il Parco nazionale del Cilento e quello del Vesuvio. Dal punto di vista orografico il territorio comunale è variegato, si va dal livello del mare fino ad arrivare ai 953 metri del monte Stella. L’abitato si sviluppa lungo la costa e si estende verso l’interno fino alle colline retrostanti. La città è attraversata dal fiume Irno, che fino alla metà del secolo scorso ne segnava il confine orientale e da cui, probabilmente, deriva il suo nome. Altro corso d’acqua che scorre nel territorio comunale è il fiume Picentino, che ad

oriente di Salerno separa la città stessa dal Comune di Pontecagnano. Quartieri medievali e strade seicentesche si allungano verso le colline al di là dei palazzi ottocenteschi. La città è dominata dal Castello di Arechi dalle cui terrazze si vede il porto, il mare e il centro storico. Tra le potenziali risorse della città, il turismo è sicuramente quella più rilevante. Le attrattive che offre la città sono essenzialmente di carattere paesaggistico (il Lungomare Trieste, il centro storico, il Giardino della Minerva con l’Orto Botanico, il Castello di Arechi) e di interesse storico e artistico-culturale (la Cattedrale in stile arabo-normanno, il Museo Archeologico Provinciale di Salerno, il Museo diocesano, lo stesso Castello di Arechi e il recente Museo dello sbarco e Salerno Capitale). Nel periodo invernale, dal 2006, un attrattore turistico è la “mostra delle luci d’artista”. Durante il medioevo la città è stata capitale dell’omonimo principato Longobardo e poi del ducato normanno di Puglia e Calabria che comprendeva gran parte del Mezzogiorno continentale e fu il nucleo originario del futuro Regno di Napoli e delle Due Sicilie. A Salerno


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Fig. 2: piazza Portanova, cerniera tra corso V. Emanuele e via dei Mercanti

Fig. 3: Piazza Flavio Gioia, luci d’artrista


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ha avuto sede la Scuola Medica Salernitana, che fu la prima e più importante istituzione medica d’Europa all’inizio del Medioevo e come tale viene considerata un’antesignana delle moderne università. Ideale erede della celebre scuola medica è l’Università degli studi di Salerno, dislocata dal 1988, sotto forma di campus, nei limitrofi comuni di Fisciano e Baronissi. Dal febbraio all’agosto del 1944 Salerno fu sede del governo italiano, ospitando i governi Badoglio I, Badoglio II e Bonomi II che portarono alla Svolta di Salerno. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1944, Salerno aveva uno sviluppo urbanistico limitato ad 80.000 abitanti: la città era compresa tra l’area del suo vecchio porto e la foce del fiume Irno ed era contornata dai numerosi borghi collinari delle zone di Fratte, Ogliara e Giovi. Alla fine del periodo del boom economico, nel 1980, il capoluogo contava 161.000 abitanti, ossia aveva raddoppiato la sua popolazione. Un totale destinato scendere, come è avvenuto per altre città italiane e che oggi somma a valori attorno ai 140.000 abitanti (139.362, nel 2010). Vista la conformazione del territorio, questo sviluppo così rapido non po-

teva non segnare definitivamente la connotazione dei luoghi: da piccolo e caratteristico centro costiero, Salerno diventava una tipica città del boom economico. Origine e causa principale dell’inizio del boom edilizio fu la grave alluvione del 1954. Dopo l’abbattimento degli edifici pericolanti e anche dopo una serie di sventramenti incontrollati, furono costruiti gli edifici che hanno irrimediabilmente cambiato l’immagine della città. La mancanza di un vero piano regolatore e le speculazioni edilizie fecero il resto: i pochi spazi liberi nelle zone centrali furono “occupati” da palazzi dai 6 agli 8 piani, mentre la città continuava ad espandersi a nord e a sud-est senza alcuna pianificazione del sistema stradale. L’espansione urbana, avvenuta in maniera del tutto disorganizzata, ha generato lo sviluppo della zona orientale della città con i quartieri di Torrione, Pastena, Mercatello e Mariconda. Nel 1965 viene approvato il cosiddetto “Piano Marconi”, il quale accentua la tendenza ad uno sviluppo concentrato prevalentemente ad oriente. Inoltre, sulla base di sopravalutate previsioni demografiche, nonché di una sottostima della volumetria realmente prevista,


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Fig. 4: il tessuto della città storica vista dall’alto

il piano rende di fatto edificabili tutti i suoli liberi, specie se pianeggianti, riducendo al minimo le aree destinate a funzioni di uso pubblico. Dunque la città, tra gli anni cinquanta ed ottanta, continua a crescere con scarsa attenzione ai temi dell’urbanistica da parte di più amministrazioni comunali. La cementificazione selvaggia non terrà conto di un uso compatibile dell’edilizia con i luoghi della risorsa mare e dello stesso centro antico della città,

abbandonati all’incuria e al degrado. Il PUC di Oriol Bohigas e la “nuova Salerno”. Con gli anni Ottanta si è cercato di dare alla città una nuova identità urbanistica ponendo rimedio alla mancanza di una programmazione territoriale e prestando maggiore attenzione al sistema della mobilità. Con tali intendimenti viene dato l’incarico all’urbanista catalano Oriol Bohigas di redigere un nuovo


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piano regolatore comunale, attraverso il quale prende avvio il lungo e impegnativo processo di dare forma a un nuovo strumento di governo della città. Nei primi mesi del 1991, il Comune di Salerno stabilisce i primi contatti con lo studio MBM Arquitectes, S.A. di Barcellona, con l’obiettivo di verificarne la disponibilità ad accettare l’incarico di redazione del nuovo PRG. Il 13 gennaio 1992, il Consiglio Comunale incarica l’architetto Oriol Bohigas della redazione del nuovo piano; la convenzione che fissa i rapporti di tale prestazione viene sottoscritta il 26 aprile 1993. Il 20 aprile 1994 la Giunta Municipale approva il “Documento Urbanistico Programmatico”, contenente i criteri guida e gli indirizzi urbanistici da sottoporre all’esame del Consiglio Comunale. Dopo un lunghissimo iter burocratico ed infinite polemiche, il nuovo piano viene consegnato nel 2003 ma non viene adottato poiché dopo la promulgazione della Legge Regionale n. 16 del 2004 era necessario adeguare il piano regolatore alle nuove disposizioni imposte dalla nuova normativa. Il 20 febbraio 2005 il Consiglio Comunale approva un nuovo Documento Programmatico e, in particolare, la nuova metodologia

in esso illustrata che dà inizio effettivo al processo di studi, decisioni politiche, progetti e trasformazioni urbane per configurare la “nuova Salerno”. Nell’agosto 2006 viene presentato il nuovo Piano Urbanistico Comunale (PUC), approvato in seguito dalla Provincia e dalla Regione. Tuttavia, nel confronto tra il piano presentato da Bohigas nel 2003 e il nuovo piano adeguato alla Legge Regionale nel 2006 vi sono alcune sostanziali differenze: aumenta il volume edificabile totale, crescono gli indici di conversione a residenza degli immobili industriali dismessi e alcune destinazioni d’uso pubbliche divengono private. Bohigas suddivide l’intero territorio comunale in “Aree di Attuazione Puntuale Urbanistica”, le AAPU, che prevedevano progetti per alcuni ambiti urbani con un ruolo strategico. La loro individuazione, in parte prefigurata dal “Documento Programmatico”, deriva dall’esigenza di definire soluzioni a temi non rinviabili (opere pubbliche urgenti) e l’obiettivo di attivare un processo di riqualificazione trasferibile, in seguito, a tutti gli altri quadranti urbani, per poter coinvolgere le proprietà private. Anche accogliendo gli indirizzi formulati


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dall’Amministrazione, nel documento viene segnalata l’esigenza di predisporre i progetti per 7 aree specifiche: Centro Storico sud, Centro Storico nord, Santa Teresa e Villa Comunale, Lungomare Trieste, Piazza della Concordia, Litoranea Orientale e Lungo Irno. Durante il lungo processo di redazione del piano regolatore, l’amministrazione comunale dà il via a molteplici opere quali, ad esempio, la creazione di alcuni parchi urbani (il parco del Mercatello, il parco Pinocchio, il Parco urbano dell’Irno, il Parco del Seminario) e a nuovi edifici polifunzionali al posto di impianti industriali dismessi localizzati in zone centrali. È stato inoltre parzialmente recuperato il centro storico e sono state riqualificate alcune importanti strutture, tra cui il complesso di Santa Sofia, Palazzo Fruscione, il Convento di San Lorenzo, il Convento di San Nicola della Palma, l’ostello della gioventù e l’ex seminario. Infine, per migliorare la mobilità cittadina, è stata realizzata una metropolitana leggera e una nuova arteria stradale detta “Lungoirno”. Nel 1998, accanto al Piano Urbanistico Comunale (PUC), l’amministrazione Comunale affida al CENSIS l’incarico

di uno studio finalizzato alla individuazione dei bisogni futuri della città. Lo studio, svolto in collaborazione con la fondazione Carisal - Sichelgaita di Salerno ed il supporto dell’Ufficio di Piano, consente anche di censire le attrezzature sociali esistenti sul territorio. Nel 2000, la fondazione Sichelgaita presenta il progetto “Salerno Città Europea”, sintesi di una ricerca condotta in collaborazione con l’Ufficio di Piano. Il progetto individua le linee strategiche con maggiore possibilità di successo: le attività turistiche; le attività produttive d’innovazione legate alle nuove tecnologie; lo sviluppo dell’economia della logistica grazie al porto ed alla rete infrastrutturale; la manutenzione diffusa e la riorganizzazione urbana. L’anno prima, nel 1997, l’Ufficio Turismo presentava un rapporto dal titolo “Indagine su alcune componenti della risorsa turismo nella città di Salerno”, sui poli di attrazione turistica dove vengono censiti contenitori congressuali, spazi espositivi, cinema, teatri, strutture sportive. Viene rilevata la presenza di un grande patrimonio pubblico di opere d’arte privi di collocazione, e vengono censiti gli eventi culturali e turistici (mostre, fiere, spettacoli, manifestazio-


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ni civili e religiose) che potrebbero rivestire un ruolo attrattivo. Viene quindi definito un “Piano Strategico per lo Sviluppo Turistico della città di Salerno”, il cui obiettivo è quello di sviluppare una specifica offerta turistica, da portare avanti in maniera sostenibile e complementare con quella di altre destinazioni turistiche già esistenti.

Fig. 5: Via dei Mercanti

Per tale sviluppo si individuano la realizzazione di alcune iniziative come:

un acquario affiancato da una struttura educativa e di ricerca, situato in prossimità del mare; la programmazione di attività ricreative e culturali notturne attraverso la promozione di spettacoli teatrali e cinematografici in un cinema multisala; la costruzione di un impianto polivalente per lo sport, la musica e le fiere. Il Piano di Bohigas propone di puntare sulla specificità del centro storico della città creando un polo museale-monumentale concentrato che offra, contestualmente, itinerari storici, artistici, culturali e architettonici di elevato livello. Tra gli interventi previsti dal Piano emerge la valorizzazione del porto commerciale (poli cantieristici, nautica, scali crociere ecc.), la realizzazione di porti turistici (Molo Manfredi, S. Teresa) e la riqualificazione delle spiagge con il disinquinamento del golfo. Tra gli obiettivi principali viene proposta “la costante promozione di attività sociali e culturali che proiettino la città di Salerno ad alti livelli di considerazione internazionale e che generino una vita interna di grande comfort individuale e collettivo”, quali, ad esempio, congressi scientifici, gare e festival culturali e sportivi, potenziamento dei musei, re-


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stauro e valorizzazione del centro storico. Un altro aspetto riguarda l’intensità dell’attività culturale che, a parte il suo valore turistico, ha anche ripercussioni interne. La nuova lettura del territorio individua una serie di immobili pubblici o aperti al pubblico con l’obiettivo di censire il patrimonio già disponibile. “Se vogliamo che questi edifici rendano socialmente, sarà necessario attribuire loro adeguate funzioni e definire una gestione molto attenta. Il Comune deve far sì che Salerno diventi una città di cultura, specialmente riguardo alla sua antica tradizione dell’Università e delle istituzioni scientifiche che le appartengono. E bisogna potenziare attività già presenti come il teatro e gli spettacoli in generale, la musica, la letteratura e le arti plastiche, che possiedono punti di riferimento nella storia locale e nelle istituzioni esistenti” (dalla relazione di O. Bohigas). Contestualmente, viene dato il via ad un programma di riqualificazione urbana attraverso l’individuazione di indicatori per la definizione di un protocollo di sostenibilità che, avvalendosi della competenza di figure professionali specializzate in ambiti diversi si propone di risolvere problemi come la conge-

stione da traffico, la mancanza di spazi pubblici e l’elevata densità edilizia che rende assai difficile ogni allargamento e la realizzazione di spazi liberi e di aree verdi. Salerno punta, dunque, ad essere trasformata nella Barcellona del Tirreno ossia in un “laboratorio permanente di architettura” proprio come la città catalana ai tempi delle Olimpiadi; un obiettivo ambizioso che tuttavia non fa i conti con le differenze di contesto istituzionale e con le ricorrenti difficoltà economiche delle amministrazioni locali. I grandi progetti di trasformazione urbana. L’obiettivo di una trasformazione urbanistica dell’intero centro urbano si è, nel tempo, fortemente radicato all’interno della politica di sviluppo della città e ha avuto sicuramente il pregio di rivitalizzare il consumo interno, di far girare l’economia, di ridurre la disoccupazione, di far ripartire la crescita anche mediante iniziative che attirano l’intervento dei privati. Sono trasformazioni che hanno interessato la città dal centro della città romana, il Foro della Salernum, verso il decumano basso e caratte-


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ristico centro commerciale diffuso, fino al centro storico alto oltrepassando una sequenza di palazzi settecenteschi che raggiungono quello che secoli prima era il sito della Scuola medica salernitana con il Giardino della Minerva, primo orto botanico d’Europa. L’obiettivo è quello di rilanciare Salerno come meta turistica, ridarle un’anima ed un progetto di vivibilità, puntando sulla qualità della vita e dell’accoglienza, il tutto passando attraverso progetti di riqualificazione dei servizi, del sistema di trasporto, della risorsa mare, dell’offerta culturale, ma soprattutto attraverso una riqualificazione urbanistica complessiva. Tra le operazioni più importanti si segnalano anche gli interventi quali il recupero urbanistico e sociale del Centro Storico; la riapertura del Teatro Augusteo e del Teatro Municipale Giuseppe Verdi; l’apertura del Parco del Mercatello e la realizzazione del sistema delle Ville Comunali; la costruzione del Polo Annonario; l’attivazione dello Sportello Unico per le attività produttive; la strada Lungoirno, che ha generato un nuovo asse di mobilità mare-monti; molteplici lavori pubblici nei quartieri cittadini per la pubblica illuminazione,

l’arredo urbano, la sistemazione viaria e dei sottoservizi, la demolizione di manufatti degradati; un ciclo integrato per l’igiene urbana e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani attraverso la raccolta differenziata (che ha collocato nel 2009 Salerno ai vertici nazionali con una percentuale del 72%), la costruzione di isole ecologiche ed impianti di trasformazione, impianti di compostaggio e termovalorizzazione. Compresi, inoltre, i programmi più recenti come il Piano di Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), sulla base del Piano Energetico Comunale presentato nel 2010 in seguito alla firma del Patto tra i sindaci dell’area e il progetto “SustAinabLe EneRgy NOw”. Questo piano, sviluppato dal Comune di Salerno in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Salerno, è stato selezionato tra i 15 finalisti del prestigioso “Guangzhou Award for Urban Innovation” premio internazionale dedicato all’innovazione nell’ambito urbano, con particolare riguardo agli aspetti sociali, economici e della sostenibilità ambientale. Al di fuori del perimetro del centro antico, vanno segnalati i già citati due parchi pubblici: il “Parco del Mercatel-


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Fig. 6: Piazza della Libertà – Crescent in corso di realizzazione. Dall’inglese “mezzaluna”, indica una serie di unità immobiliari disposte a schiera, a formare un blocco unitario lungo un perimetro semicircolare, firmato da Riccardo Bofill.

Fig. 7: La Nuova Stazione Marittima progettata da Zaha Hadid, snodo fondamentale della riqualificazione del fronte del mare, sul molo Manfredi e collegata con la costruenda piazza della Libertà.


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lo” e il “Parco delle Terme Campione”. Il primo, con i suoi 10 ettari di estensione, è il grande polmone verde della zona orientale della città. Inaugurato nel 1998, oltre ad essere un punto di riferimento per coloro che praticano sport all’aria aperta, è elemento di congiunzione tra tre quartieri: Mariconda, Mercatello e il Quartiere Europa. Al suo interno è possibile visitare le serre e il rock garden. Il secondo sorge sull’area un tempo occupata da stabilimenti termali, lungo l’argine del fiume Irno. Il parco Terme Campione è conosciuto con il nome di “Parco Pinocchio” per la presenza al suo interno di una statua in bronzo del personaggio di Collodi e di una serie di ceramiche narranti la storia del burattino.

Fig. 8: Il Marina d’Arechi Port Village. Rendering. L’opera progettata da Santiago Calatrava e realizzata solo in parte.

Inoltre rimane da citare la realizzazione

della metropolitana leggera che si sviluppa per 6 Km e 6 stazioni dal centro storico allo stadio Arechi ma con problemi di gestione. Inoltre è previsto il prolungamento di altri 9 Km a sud di Salerno fino l’areoporto di Salerno-Costa d’Amalfi. D’altra parte, l’idea di fare di Salerno una sorta di “capitale” dell’architettura italiana con una serie di opere commissionate a partire dall’approvazione del nuovo Piano Regolatore della città di Bohigas, viene rilanciata in questi ultimi anni con progetti di grande impatto. Sono i progetti di architetti di grande richiamo internazionale, quali Oriol Bohigas, impegnato nel ridisegno del fronte di Mare; Zaha Hadid, con la futuristica Stazione marittima nei pressi del grande porto commerciale, David Chipperfield, con la nuova Cittadella Giudiziaria, prospiciente il boulevard del Lungoirno, Tobia Scarpa progettista del nuovo palazzetto dello sport adiacente lo stadio Arechi in litoranea orientale, Santiago Calatrava con il porto Marina d’Arechi, Maria Abouck con il Parco Sonoro, Dominique Perrault con la riqualificazione delle cave ex-Rainone, Massimo Pica Ciamarra con la Porta Ovest, Manuel Ruisanchez


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con la riqualificazione del litorale cittadino, Jean Nouvel progettista di un intervento edilizio privato nell’area dell’ex pastificio Amato a Mercatello; Massimiliano Fuksas progettista di un intervento di riqualificazione urbana a Fratte, lo studio inglese Arup con il Trincerone Est, Matteo Thun con il termovalorizzatore e Ricardo Bofill con il progetto della Piazza della Libertà e del “Crescent”. Lo stesso architetto spagnolo ha firmato il progetto di una gigantesca Vela, modello Dubai, che dovrebbe sorgere nell’area dell’attuale Piazza della Concordia, estremo limite orientale del centro cittadino. Sono opere di grande dimensione solo in parte realizzate o in fase di avanzata realizzazione che interessano due chilometri di lungomare, da Piazza della Libertà fino a Piazza della Concordia, oggetto dell’ambizioso intervento di riqualificazione. La trasformazione prevede anche il rifacimento delle due piazze che delimitano i due chilometri del waterfront da valorizzare: Piazza della Libertà e Piazza della Concordia. Entrambe ridisegnate da Ricardo Bofill, le due piazze ospiteranno rispettivamente una “mezzaluna”, il “Crescent”, e una “vela”.

Nel grande spazio di fronte al mare compreso tra l’arenile di Santa Teresa ed il Molo Manfredi, è già in corso di realizzazione Piazza della libertà, una piazza monumentale ad anfiteatro di circa 27.000 mq, con parcheggi sotterranei e vista sul golfo, circondata da un edificio alto circa 24 metri e un diametro di 155 metri, il cosiddetto “Crescent” , firmato dall’architetto catalano Ricardo Bofill. Il tutto dovrà essere completato da un’area per eventi e manifestazioni, da una passeggiata lungo la riva del mare, con negozi, bar, ristoranti, punti di ristoro per il tempo libero ed il divertimento.

Fig. 9: La “Vela”. Rendering. L’opera alta 72 m progettata da Riccardo Bofill, ospiterà uffici ed un albergo. E’ prevista e non realizzata nel tratto del lungomare interrato compreso tra Piazza della Concordia e Piazza Mazzini.


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Questo è un progetto, oggetto di molte critiche da parte di movimenti ambientalisti che contestano una riqualificazione urbanistica che si presenta eccessivamente imponente ed in grado di generare a livello paesaggistico forti dissonanze con l’ambiente circostante. Soprattutto ricordando che, nell’ottica della relazione programmatica presentata a suo tempo da Bohigas e approvata dall’amministrazione comunale, il mare si configura come la principale risorsa della città nonché il cardine su cui ruota la sua identità. Alla luce di tale

principio, si è lavorato nel corso degli anni per liberare la zona costiera da manufatti dismessi e degradati e arricchendo il litorale con nuovi approdi turistici, nuove piazze e nuove strutture ricettive. Tuttavia, tale logica non ha impedito di edificare e di prevedere nuove volumetrie nelle aree ancora libere dell’abitato, lasciando invece la periferia ed i rioni collinari abbandonati, prevedendo un aumento dei vani abitabili malgrado il decremento demografico della città.

Fig. 10 La Cittadella Giudiziaria progettata da David Chipperfield nell’area dell’ex scalo merci ferroviario in pieno centro cittadino. Il progetto comprende otto edifici di altezza variabile. L’opera finita non è ancora utilizzata.


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Fig. 1: Le stagioni dell’energia e del paesaggio


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Progetti di fonti energetiche rinnovabili. Un’opportunità di riqualificazione territoriale. Roberta Pistoni 1. I paesaggi dell’energia. Da sempre, nel corso della storia, l’uomo ha sfruttato le energie ed è sempre esistito un forte legame tra le fonti energetiche di un dato periodo e la forma del paesaggio, della città e del territorio corrispondente, grazie al rapporto che ha sempre legato energia e sviluppo (De Pascali, 2008). Ogni transizione energetica comporta anche una transizione paesaggistica (Nadai & Van der Horst, 2010) e di conseguenza dei cambiamenti del “cadre de vie” dell’uomo, così come percepiti dalla popolazione, secondo la definizione che ne dà la Convenzione Europea del Paesaggio entrata in vigore in Italia nel 2006. In epoca antica l’organizzazione insediativa della città è stata fortemente legata alla distanza ed alla dimensione dei luoghi per l’approvvigionamento di generi alimentari e di legname, dal momento che la forza muscolare di uomini ed animali è stata la principale fonte energetica per il movimento, così come lo è stata la legna per la produzione di calore. A queste forme energetiche si sono affiancate le produzioni di energia cinetica da fonte eolica ed idraulica che hanno prodotto in certi casi

dei veri e propri elementi identitari e caratteristici del paesaggio, come per l’Olanda i suoi mulini a vento; ma è solo con l’avvento delle fonti fossili, prima del carbone e poi degli idrocarburi, che si è rotto il vincolo di prossimità fisica fra produzione e consumo. In particolare l’invenzione della macchina a vapore, declinata sia nella produzione di energia cinetica che di calore utilizzato per la produzione industriale, ha avuto un grande impatto sulla forma del paesaggio, donandogli degli effetti strutturanti, favorendo l’ampliamento urbano e la nascita della città industriale, fatta di ciminiere, di periferie operaie e di capannoni. Un prodotto paesaggistico di quest’epoca sono state le infrastrutture ferroviarie che attraversano il territorio e le coketown, così definite in quanto città sorte in prossimità dei siti di estrazione del carbone, ma anche a causa del colore nero e dell’aria malsana che le caratterizzava, dovute alla polvere di carbone. L’avvento dell’energia elettrica negli ultimi anni del XIX secolo ha permesso il trasferimento di energia, prodotta da combustione di carbone o petrolio o da centrali idroelettriche, ad una grande distanza dal luogo di


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Fig. 2: un’immagine della Pianura padana. Il cuore verde dell’Europa


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produzione grazie alla realizzazione di apposite reti di distribuzione, inserendo così nel paesaggio nuovi elementi quali i tralicci elettrici. Forti innovazioni sono introdotte anche sulla forma urbana con l’utilizzo dell’energia elettrica per l’illuminazione notturna e con l’invenzione dell’ascensore che permise lo sviluppo in verticale degli edifici: sperimentazioni di cui un esempio è la città di Chicago alla fine del 1800. L’avvento del petrolio legato allo sviluppo del motore a combustione, oltre che alla produzione di elettricità, ha portato ad un altro cambiamento della forma della città, ponendo le basi per la così detta città diffusa: la città dell’auto sostenuta dall’espansione del mercato e dall’uso dell’automobile privata che permette più opzioni di scelta del trasporto pubblico. Nelle due ultime decadi ed a tutt’oggi, le preoccupazioni ambientali, il cambiamento climatico, il progressivo esaurimento delle fonti fossili hanno portato ad un rapido ed esteso sviluppo sul territorio degli impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile, quali pannelli fotovoltaici, pale eoliche, centrali a biomassa,

agro-energie ecc. che, sovrapponendosi all’esistente, producono un impatto paesaggistico considerevole e che spesso li rende oggetto di dibattito e di opposizione da parte della popolazione. La produzione di energia non è più concentrata in grandi impianti localizzati in certe aree, avviene tramite la costruzione di numerosi impianti che sfruttano più fonti rinnovabil distribuite sul territorio. Attualmente l’obiettivo della Comunità Europea per il settore energetico e per la lotta ai cambiamenti climatici è quello stabilito dal “Pacchetto clima-energia 20/20/20”, approvato dal Parlamento Europeo nel dicembre 2008, che introduce un nuovo piano di azione comunitario, prevedendo che entro il 2020 debbano essere raggiunti tre obiettivi prioritari: la riduzione del 20% delle emissioni di anidride carbonica, l’aumento del 20% dell’efficienza energetica attuando una riduzione dei consumi e la produzione di una quota pari al 20% di energia da fonti rinnovabili. In Italia, per raggiungere questo obiettivo sotto la spinta dell’Europa, sono stanziati numerosi incentivi a sostegno delle fonti di energia rinnovabili


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Fig. 3: Un impianto di pannelli fotovoltaici


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(certificati verdi e tariffe incentivanti) che hanno portato alla realizzazione di circa 700mila impianti, fra elettrici e termici, sparsi sul territorio, garantendo così una copertura del 15% dei consumi complessivi (Rapporto Legambiente 2014). Tali incentivi finora sono stati indirizzati verso i soggetti richiedenti gli aiuti basandosi su una politica degli incentivi senza un piano locale coerente con un bilancio dell’energia elettrica necessaria, cioè senza la stima della quantità degli incentivi da erogare per la realizzazione di un numero di impianti corrispondente a una determinata produzione d’energia e provocando di conseguenza un gap fra le politiche energetiche territoriali e gli incentivi rilasciati. Questa mancanza di coordinamento fra gli incentivi concessi e la politica territoriale porta a tutt’oggi a problemi di sovraccarico delle reti in alcune parti del paese, perché non vi è un accordo fra produzione e domanda energetica effettiva, in quanto non esiste un bilancio fra la quota di energia prodotta ed immessa in rete dagli impianti privati di fonti di energia rinnovabile e quanta di essa viene effettivamente

utilizzata dal privato stesso, cosa che non permette di avere un quadro completo della situazione. Altro aspetto da non sottovalutare e che dovrebbe essere chiarito, è che gli incentivi per la costruzione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili dati ai privati gravano su tutta la popolazione, in quanto il 15% della bolletta elettrica riguarda gli oneri per le incentivazioni alle rinnovabili (Rapporto Legambiente 2014). Le tasse pagate da tutti diventano una fonte di reddito solamente per alcuni, che, grazie all’impianto realizzato, “vendono” energia all’ente distributore Terna. Le “Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” del 2010 fissano i criteri per le Regioni, attraverso i quali individuare le norme per il corretto inserimento degli impianti nel paesaggio, delimitare le aree non idonee per specifiche tipologie di impianti e definire le misure compensative. Nell’introduzione viene scritto che “occorre comunque salvaguardare i valori espressi dal paesaggio e direttamente tutelati dall’articolo 9, comma 2, della Costituzione, nell’ambito dei principi fondamentali e della citata


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Fig. 4: Impianto di lavorazione delle carni suine


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Convenzione Europea del paesaggio; si rende pertanto necessario assicurare il coordinamento tra il contenuto dei piani regionali di sviluppo energetico e i piani paesaggistici per un più equo e giusto governo dei rilevanti interessi in gioco, Tuttavia la reale messa in pratica di questi direttive non è ancora diffusa. Quindi il progressivo cambiamento paesaggistico dovuto a questi impianti è per lo più influenzato dall’attesa di reddito dei soggetti interessati, più che da una reale programmazione e progettazione che si costituisca come riqualificazione urbana e territoriale, per attuare la quale è necessario che allo sviluppo degli impianti siano associate delle politiche energetiche su scala locale che li leghino al territorio, stabilendo il “che cosa”, il “quanto”, il “dove” ed “in che modo”, onde evitare una sconsiderata espansione a macchia d’olio degli impianti con conseguente esagerato consumo di suolo. 2. Il caso studio. Il caso studio è la provincia di Parma, caratterizzata da pianura, collina e montagna e dalla presenza di importanti permanenze storiche come il Cas-

tello di Torrechiara e la Reggia di Colorno, sede dell’European Autority for Food Safety. Questa provincia, come altre limitrofe, fa parte della food-valley italiana ed è il luogo di eccellenza di prodotti alimentari tipici, quali il parmigiano-reggiano e il prosciutto di Parma, indissolubilmente radicati alla qualità del territorio e del paesaggio, sempre che sia mantenuto il rapporto di equilibrio tra vacche da latte e campi a maggese (il tipo d’erba che garantisce la presenza nel latte degli enzimi propri del parmigiano reggiano) e la popolazione di maiali alimentati dal siero di risulta del latte usato per il formaggio reggiano. L’incremento dei maiali sembra tuttavia maggiore della domanda locale di mercato e rischia di mettere in crisi la stessa produzione del parmigiano-reggiano, sottoposto anche alla concorrenza del falso “made in Italy” di minor costo come il Parmesan. Inoltre Parma è una provincia che appartiene al cuore della pianura padana, un’area ricca di corsi d’acqua, di pregiati depositi ghiaiosi utilizzati per l’edilizia e da un tessuto di piccole e medie imprese manifatturiere attorno a un sistema di polarità urbane molto


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Fig. 5: Le escavazioni lungo uno dei due torrenti


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differenziate, in crescita quelle lungo l’asse pedemontano della via Emilia e in progressivo abbandono quelle lungo le dorsali collinari e Apenniniche. La Pianura Padana, secondo il “Rapporto dell’Agenzia per l’Ambiente Europea” del 2013, è l’area col maggiore inquinamento atmosferico in Europa e la quarta nel mondo. Se si guarda alla regione Emilia- Romagna, tutti i capoluoghi di provincia nel 2014 hanno superato la soglia del numero di giorni di sforamento del PM10 (Mal’aria di città, Legambiente 2014). Questo dipende da differenti fattori, fra i quali la conformazione fisica sfavorevole al riciclo dell’aria, a cui si affianca grazie al terreno pianeggiante, un territorio favorevole agli insediamenti ed alla rete stradale, rendendola così un’area fortemente industrializzata e densamente popolata. Nella regione risiede il 7,3% della popolazione italiana (15° Censimento della popolazione e delle abitazioni, Istat 2011) ed il Pil dell’industria del 2013 ha raggiunto una quota pari al 24% (dati Istat 2013), un quarto del PIL nazionale: da qui l’importanza del suo contributo nel rispondere agli obiettivi energetici europei e nazionali per il 2020. Tuttavia,

tale impegno dovrà essere governato integrando più aspetti, sia economicosociali che fisico-naturalistici, perché sono tutti questi elementi che concorrono a mantenere, in sicurezza, la produttività, la qualità dell’ambiente e del paesaggio.

3. I progetti. I progetti con l’impiego di fonti energetiche rinnovabili affrontano più situazioni: da un lato la riqualificazione di un’area di scavo integrata con la risistemazione delle sponde del fiume e la mitigazione ambientale di impianti industriali in ambito fluviale e dall’altro lato la realizzazione di un ecoquartiere e la valorizzazione di


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Fig. 6 e 7: Il paesaggio antropizzato lungo il torrente e una simulazione di inserimento di pannelli fotovoltaici


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un’area agricola periurbana. Le aree di approfondimento si situano lungo i corridoi ecologici dei torrenti Parma e Baganza, ambiti marginali e degradati a causa sopratutto della presenza di cave dismesse, nelle quali la produzione di energia da fonte rinnovabile può essere sfruttata come elemento di recupero delle situazioni di degrado paesaggistico, evitando consumo di suolo agricolo, fondamentale nella food-valley italiana. Inoltre la realizzazione di percorsi per accedere a tali aree, una volta riqualificate e connesse fra loro, possono offrire più utilizzi per la popolazione. Un primo progetto prevede interventi di messa a dimora di alberature e, allo stesso tempo, di impianti per produzione di energia da fonti rinnovabili, entrambi finalizzati al recupero e alla valorizzazione delle cave dismesse lungo il torrente Parma. In particolare, i boschi sono previsti con impianti a rotazione breve di 5 anni, funzionali alla produzione di biomassa legnosa e alla formazione di nodi ecologici e di stepping stone lungo il corridoio ecologico fluviale. Il paesaggio sarà connotato da una certa varietà, data dall’utilizzo di dif-

ferenti essenze arboree (Populus nigra, Robinia pseudoacacia ecc) e dal mutamento nel tempo dei campi ad arboricoltura che verranno ciclicamente impiantati, che cresceranno e verranno tagliati e di nuovo impiantati, permettendo anche alle persone in visita al parco un apprendimento diretto. Contestualmente, sono previste tre centrali di cogenerazione a biomassa di piccola taglia, in modo da permettere la chiusura di uno o due di esse nel caso venga a mancare materiale combustibile, poiché questo tipo di impianti è inquinante se non funziona a regime. Lungo i bordi coltivati a biomassa, vicino ai centri urbani è prevista la realizzazione di impianti fotovoltaici non tradizionali, disposti in maniera lineare a 2 m da terra: assetto che non occlude la visuale, permette un passaggio sottostante e crea un’interazione con i visitatori. L’energia prodotta da entrambi gli impianti di progetto, fotovoltaico ed a biomassa è stato stimato pari a 3391 MW/h anno; tale energia, usata a livello locale, permetterebbe di coprire il fabbisogno di circa 1250 famiglie, considerando che una famiglia media


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Fig. 6: L’antropizzazione industriale lungo uno dei due torrenti


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consuma 2,7 MW/h anno. Il secondo approfondimento progettuale consiste nella riqualificazione del paesaggio fluviale in corrispondenza dei centri urbani di Sala Baganza e Felino, attraverso la mitigazione ambientale delle aree industriali che si affacciano sul torrente Baganza e la produzione di energia mediante la collocazione di impianti fotovoltaici sulle coperture del 50 % dei capannoni industriali, al fine di preservare suolo agricolo. In questo caso, agli incentivi pubblici concessi ai privati per la realizzazione degli impianti per la produzione di energia fotovoltaica, il progetto di piano prevede di far corrispondere, attraverso un’apposita convenzione, che l’energia prodotta sia suddivisa in una quota che resti al privato ed una, pari almeno al 40%, che garantisca energia gratuita per i servizi pubblici a livello locale. Inoltre ai privati potrà essere richiesto di realizzare la mitigazione ambientale degli impianti industriali lungo il torrente, schermandoli con alberature autoctone compatibili con l’ambito fluviale e caratterizzate da un’alta capacità di assimilazione di anidride carbonica e da alte emissioni

di ossigeno. Nel complesso l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici di progetto può arrivare a coprire una percentuale proporzionale alla dimensione dei due comuni interessati, il 24% dei consumi energetici nel caso di Sala Baganza e il 5 % nel caso di Felino. Questi sono i progetti che possono essere previsti lungo i corsi fluviali che attraversano tutta la pianura padana e che generalmente sono stati tutti interessati, seppure con diverse intensità, da attività di escavazione e da una antropizzazione che alterna la presenza dei centri abitati con estesi tessuti industriali. Questi stessi progetti possono essere integrati dalla realizzazione di ecoquartieri in adiacenza ai centri abitati per incentivare il riciclaggio di rifiuti e il recupero dell’acqua piovana e delle cascine agricole abbandonate da ridestinare a attività di agricoltura urbana e a orti per i cittadini e per scopi didattici. In questo caso, il progetto residenziale prevede edifici passivi ad alta efficienza energetica, con particolare attenzione ad un corretto irraggiamento in estate ed in inverno, all’involucro edilizio, a coperture a


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shed fotovoltaico per la produzione di energia elettrica, orientate a sud e con inclinazione fra i 20°-30° ed ad impianti solari termici per ottenere acqua calda. Il maggiore costo iniziale per la costruzione di un’abitazione passiva (pari al 5-10%) viene recuperato in qualche anno, dal momento che il consumo energetico per il riscaldamento e per la ventilazione di un edificio passivo è di 15 kwh/mq anno, mentre quello di un edificio di classe C e B è più del doppio e quello di un immobile convenzionale del nord Italia arriva fino a 100 kwh/mq anno, quindi a quasi 7 volte di più. L’esito complessivo è un progetto di riqualificazione

dei bordi urbani che si inserisce nella valorizzazione delle aree agricole limitrofe e nel progetto di una cintura verde attorno alle città di maggiore dimensione attrezzata anche con punti di vendita dei prodotti agricoli e un rapporto diretto produttore consumatore. Nelle aree agricole, per quanto riguarda la produzione di energia da fonte rinnovabile, i più recenti approfondimenti progettuali tendono a favorire l’installazione di piccoli impianti nelle aziende di allevamento locali, per la produzione di biogas, di potenza pari a 20-50 kw, che utilizzino i liquami zootecnici per produrre elettricità e calore per il riscaldamento della stalla

Fig. 7: produzione integrata di energia rinnovabile


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e dell’azienda agricola stessa, a misura del ciclo produttivo aziendale ed evitando così le speculazioni di grandi consorzi e l’immissione in atmosfera del calore in eccesso. Le esperienze progettuali citate ci confermano che le energie rinnovabili possono essere considerate una doppia opportunità: quella di una maggiore autonomina energetica e quella del recupero delle aree degradate e problematiche. Tuttavia, è necessario che ci sia un governo degli incentivi finalizzato a integrare scelte private, produzione di energia, rischi e scompensi ambientali, tutela e valorizzazione della qualità del paesaggio

Note 1) Introduzione, Decreto 10 settembre 2010, Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare. 2) L’occasione che mi ha permesso di approfondire il caso studio e i progetti di impiego di tecniche di produzione di energia da fonte rinnovabile per riqualificare territori fortemente antropizzati e compromessi è la tesi di laurea magistrale sostenuta presso Il Politecnico di Milano nell’anno

accademico 2012-2013, relatrice Prof.ssa Maria Cristina Treu. Bibiografua - Nadai Alain, Van Der Horst Dan, Landscapes of energies, in Landscape Research, vol. 35, n° 2, pp. 143-155, 2010 - De Pascali Paolo, Città ed energia: la valenza energetica dell’organizzazione insediativa, Franco Angeli, Milano, 2008 - Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, Decreto 10 settembre 2010, Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare - Mal’aria di città, Legambiente, febbraio 2014 [in linea] Disponibile su: http://www.legambiente.it/sites/ default/files/docs/legambiente_malaria2014_ one.pdf - Zanchini Edoardo, Eroe Katiuscia, Nanni Gabriele, Vitelli Maria Assunta, Valle Marco e altri (a cura di), Comuni rinnovabili 2014. Sole, vento, acqua, terra, biomasse. La mappatura e il futuro delle rinnovabili nel territorio italiano, Rapporto Legambiente, aprile 2014 [in linea] Disponibile su: http://www.legambiente.it/sites/ default/files/docs/rapporto_comuni_rinnovabili_2014_0.pdf - www.istat.it Fonti delle immagini Fotografie, mappe e schemi a cura di Roberta Pistoni.



Appendice



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Profili degli autori

Maria Cristina Treu Professore ordinario di Urbanistica del Politecnico di Milano. Si è occupa degli aspetti di rinnovamento delle strutture universitari con più ruoli istituzionali, tra cui prorettore vicario del Politecnico di Milano e vicepresidente della Fondazione Politecnico di Milano. Promuove rapporti di ricerca con istituti pubblici e privati. Svolge studi sul settore delle costruzioni, sulla pianificazione ambientale e sulla valutazione dei grandi progetti urbani; Tra le pubblicazione si ricorda Città salute e sicurezza, collana Politecnica, Maggioli 2009. Nel 2013 fonda, con Pasquale Persico, la collana di testi, “La città e l’altra città”, e, da luglio del 2014, è presidente dell’Associazione Fiorella Ghilardotti che si occupa di problemi di integrazione culturale. Stella Agostini Architetto e dottore di ricerca in Genio Rurale, è ricercatore di Costruzioni rurali e Territorio agroforestale. Insegna al Politecnico e all’Università degli Studi di Milano sui temi della pianificazione territoriale sostenibile, della progettazione e del recupero del patrimonio rurale. Fra i suoi volumi in materia si segnalano “Guida alla pianificazione territoriale sostenibile. Strumenti e tec-

niche di agro ecologia”, Maggioli 2010; “Progettare in area agricola”, Maggioli 2011; “Manuale di Edilizia rurale. Criteri di progettazione integrata”, Edises, 2015; “Cibo e identità locale. Sistemi agroalimentari e rigenerazione di comunità”, Centro Studi Valle Imagna, 2015 Riccardo Roscelli Professore ordinario di Estimo al Politecnico di Torino, è stato pro-rettore del Politecnico di Torino, preside della Facoltà di Architettura, direttore del Dipartimento Casa-Città e presidente vicario della Società degli Ingegneri e Architetti di Torino. E’ autore di diversi volumi e articoli su riviste specializzate a livello nazionale e internazionale. Ha di recente pubblicato “Manuale di estimo. Valutazioni economiche ed esercizio della professione”, De Agostini – Utet Università, Novara 2014. Luisa Ingaramo Laureata in Architettura al Politecnico di Torino, ha poi conseguito la specializzazione in Storia, Analisi e Valutazione dei Beni Architettonici e Ambientali, il master europeo in Pianificazione Territoriale e Mercato Immobiliare e il dottorato di ricerca in Estimo e Valutazioni Economiche. È professore a con-


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tratto presso il Politecnico di Torino, project manager nell’area Patrimonio Ambientale e Riqualificazione Urbana presso SiTI e responsabile dell’area tecnica del Programma Housing della Compagnia di San Paolo (Torino). Stefania Sabatino Laureata in Architettura presso il Politecnico di Torino, ha conseguito nel 2008 il dottorato di ricerca in Estimo e Valutazioni Economiche. Da allora svolge attività di ricerca presso SiTI, occupandosi di valutazione di grandi patrimoni immobiliari, studi di fattibilità di interventi in aree di trasformazione urbana e di consulenza tecnica per gli interventi del Programma Housing della Compagnia di San Paolo (Torino). Giovanni Sala Agronomo, progetta e dirige la sistemazione di aree destinate a verde pubblico, il recupero di ex cave e di discariche di grande rilevanza nazionale, approfondendo le tematiche legate al restauro dei giardini storici. La sua attività professionale e progettuale si svolge nell’ambito del gruppo LAND, di cui è fondatore e presidente. Partecipa in qualità di relatore a corsi, convegni e tavole rotonde. Nell’ambito della Expo Universale di Milano 2015 ha contri-

buito a ideare e promuove diverse iniziative tra cui i LET – LANDASCAPE EXPO TOUR finalizzate a favorire le ricadute dell’Expo sul territorio nazionale. Dal 2006 è professore a contratto per il Corso di Agronomia e Aree verdi, presso il Politecnico di Milano. Angela Colucci Architetto e Dottore di ricerca in pianificazione (Politecnico di Milano), è professore a contratto presso il Politecnico di Milano di Urbanistica e Urban Design. Partecipa a ricerche nazionali e internazionali ed è consulente (socio fondatore della Co.O.Pe.Ra.Te. srl) su temi di governo del territorio e di pianificazione ambientale. Ha pubblicato saggi, articoli e libri sulla gestione sostenibile dei bacini fluviali, sulla resilienza urbana e territoriale, sulla pianificazione paesaggistica e sulla progettazione urbana. E’presidente del REsilienceLAB e membro del consiglio direttivo di SIEP-IALE. Lucia Nucci Architetto, professore associato in urbanistica, partecipa a ricerche internazionali e nazionali, svolge attività didattica presso il Dipartimento di Architettura, Università Roma Tre. Ha indirizzato le sue ricerche e la sua attività di progetti-


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sta sui temi relativi al sistema del verde urbano e dello spazio pubblico come componente fondativa nel piano urbanistico. Ha pubblicato su questi temi i volumi “Verde di prossimità e disegno urbano” (2012), “Reti verdi e disegno della città contemporanea” (2004) e più saggi su riviste internazionali e nazionali. Carlo Peraboni Architetto, professore associato presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, svolge attività didattica presso la Scuola di Architettura e Società. Si occupa di ricerche sui temi dell’integrazione tra le strategie di conservazione e di tutela ambientale. Ha pubblicato saggi e testi tra cui “Reti ecologiche e infrastrutture verdi” (2010), “Infrastrutture verdi tra tutela ambientale e valorizzazione degli spazi pubblici” (2013) e “Attraverso paesaggi complessi” (2014). Collabora alla redazione di studi e ricerche sul tema della pianificazione degli spazi aperti e delle reti ecologiche e di recente ha collaborato allo studio “Nuove connessioni per il Parco del Mincio. I corridoi ecologici tra Monzambano– Cavriana – Solferino” (2015).

Fulvia Pinto Architetto, specializzata in “Restauro dei Monumenti” e PhD in “Urbanistica Tecnica”. È ricercatore di “Tecnica e Pianificazione urbanistica”, presso la Scuola di Ingegneria Edile – Architettura del Politecnico di Milano, dove insegna “Tecnica Urbanistica”, “Pianificazione e trasformazioni urbane” ed è titolare del Laboratorio di “Tecnica Urbanistica” del Polo Regionale di Lecco. Svolge attività di ricerca su tematiche relative al governo del territorio ed allo sviluppo sostenibile delle città. È autrice di numerose pubblicazioni scientifiche di interesse nazionale ed internazionale. Roberta Pistoni Architetto con laurea magistrale conseguita nell’a. a. 2012-2013 presso il Politecnico di Milano sul tema “I paesaggi dell’energia. Un’opportunità di riqualificazione territoriale”. Frequenta il master “Théories et démarches du projet de paysage” presso l’École Nationale Supérieure de Paysage de Versailles e svolge ricerche sul tema del legame tra energia e paesaggio.



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Della stessa collana

1. La città e l’altra città. Racconti ed esperienze in-disciplinate nella pianificazione anti-fragile AA.VV. a cura di Matteo Fioravanti e Margherita Bagiacchi, qart progetti acces_SOS; Iole Giarletta e Pasquale Persico, LAMA 2. Avant Garden. Il Paesaggio dei Community Gardens di Daniela Monaco



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