Milano.Il Politecnico. Strategie e Rete Territoriale

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Impaginazione, grafica ed editing: Elisa Pozzoli

In copertina: Angela Colucci – Composizione delle immagini delle Sedi del Politecnico di Milano.

ISBN 978-88-916-2862-6 © Copyright 2018 Maggioli S.p.A. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, anche ad uso interno e didattico, non autorizzata. Maggioli Editore è un marchio di Maggioli S.p.A. Azienda con sistema qualità certificato ISO 9001:2008 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) • Via del Carpino, 8 Tel. 0541/628111 • Fax 0541/622595 www.maggiolieditore.it e-mail: clienti.editore@maggioli.it Diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. Il catalogo completo è disponibile su www.maggiolieditore.it area università Finito di stampare nel mese di Settembre 2018 nello stabilimento Maggioli S.p.A, Santarcangelo di Romagna (RN)


Adriano De Maio Maria Cristina Treu

Milano. Il Politecnico. Strategie e Rete Territoriale Una storia per il nostro futuro



Indice

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Prefazione di Stefano Paleari

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Introduzione degli autori

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Capitolo 1 L’approccio interpretativo

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Capitolo 2 La riorganizzazione dell’Ateneo 2.1  I Dipartimenti e l’articolazione delle Facoltà 2.2  Le relazioni con l’esterno e all’interno e le strutture centrali 2.3  I livelli di Laurea e la Scuola di Dottorato

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Capitolo 3 Esperienze e innovazioni istituzionali 3.1  L’esperienza dei Diplomi Universitari 3.2  La strategia dell’internazionalizzazione 3.3  La Fondazione Politecnico

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Capitolo 4 Il Politecnico e le strategie di crescita 4.1  L’emergenza spazi e le risposte delle Università 4.2  Il Politecnico. La fase di “allargamento” in zona Città Studi 4.3  La strategia del Politecnico Rete 4.4  L’istituzione dei Poli

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Capitolo 5 Il Progetto Bovisa 5.1  I prodromi della scelta della Bovisa 5.2  Il primo studio per la grande Bovisa e l’anticipazione degli interventi 5.3  Dal programma di riqualificazione urbana all’accordo di programma 5.4  Il concorso Internazionale per l’area della “Goccia” 5.5  La storia parallela della bonifica

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La linea del tempo

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Appendice Dalla nostra storia: Università, città e professioni 1.  Modelli insediativi, la crescita degli studenti e le risposte 2.  Sul sistema universitario in Lombardia 3.  Sulle figure di Ingegnere e di Architetto

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Postfazione di Giampio Bracchi

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Ringraziamenti

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Acronimi



Prefazione di Stefano Paleari*

*  Alunno del Politecnico, Rettore dell’Università di Bergamo 2009-2015.

Adriano De Maio e Maria Cristina Treu ripercorrono i profondi cambiamenti che il Politecnico di Milano ha vissuto dalla fine degli anni ’80 all’inizio del 2000, periodo densissimo di trasformazioni cui gli Autori del volume hanno dato un contributo determinante per le responsabilità assunte. E proprio questa caratteristica costituisce uno dei (numerosi) pregi dello scritto. Questo periodo di storia del Politecnico è raccontato con la passione di chi l’ha vissuto da protagonista e al tempo stesso anche con rigore e dovizia di particolari, come è nello stile della cultura politecnica. Il lettore è portato a cogliere la visione, le strategie di crescita e i valori condivisi che hanno ispirato le scelte compiute in quegli anni. Sono descritti puntualmente i soggetti, i numeri, i luoghi, i modelli insediativi e i tempi che a tali scelte strategiche hanno progressivamente dato forma. Ed emergono valori quali l’eccellenza scientifica nella ricerca, nella didattica e nell’innovazione, l’irrinunciabile autonomia, il merito, l'imprenditorialità, l’apertura alla dimensione internazionale ma anche il forte senso di appartenenza alla “famiglia Politecnico” e l’interazione costante con il territorio e la comunità locale in cui le diverse componenti della “rete Politecnico” hanno trovato casa e responsabilità sociale, soprattutto (ma non solo) in riferimento al progetto Bovisa. Gli Autori si soffermano sui passaggi cruciali nella storia del Politecnico relativi alla didattica, alla ricerca, ai processi di organizzazione interna, alla prospettiva internazionale, al rapporto con il territorio. Il progetto Bovisa è il modo con cui l’Università si pone come soggetto di riqualificazione e di riabilitazione secondo una lunga tradizione di nascita e crescita dell’università in Lombardia e in Italia. Lo scritto si sviluppa senza toni retorici e dalla prospettiva di chi vive ogni giorno l’incessante impegno per formare laureati e dottori di ricerca, cittadini consapevoli e preparati per la vita, e rispondere alle grandi domande di ricerca e al bisogno continuo di innovazione, scientifica e anche sociale. Il tutto in un contesto reso difficile da due fattori concomitanti e antagonisti: la crescente competizione internazionale tra università in uno scenario di accresciuta mobilità studentesca e la contrazione di risorse, già modeste in termini relativi, che porta, aldilà della retorica delle denunce, al dover “fare di più con meno”. La narrazione scorre diverse epoche, perché è ben presente agli Autori l’importanza di questa chiave di lettura per cogliere la complessità e l’unicità del percorso compiuto – fatto di cambiamento e stabilizza-


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zione, di apertura globale e solide radici – e per abbracciare le sfide dei futuri “scenari politecnici”. L’innovazione è continua e su tutto e conduce a scenari inediti ma sempre forieri di nuove opportunità. La Storia del Politecnico è quella di chi ha creduto nel sapere scientifico e nella tecnologia come impresa umana e come via per lo sviluppo sociale prima ancora che economico. È una Storia che unisce il riconoscimento delle individualità e il bene comune secondo il principio per cui, pur nelle sue turbolenze, la conoscenza e la proiezione positiva verso il futuro possono dare una consapevolezza collettiva e un senso alla vita di ciascuno. I passaggi che Adriano De Maio e Maria Cristina Treu tracciano in questo libro sono una bella eredità per quelli che, dopo di loro e oggigiorno, hanno la responsabilità di governare e far vivere il Politecnico. E sono motivo di orgoglio anche per chi come me frequentando questa Alma Mater ha trovato nutrimento alla passione scientifica e ai valori del merito e dell’uguaglianza delle opportunità. A tutti, la gratitudine di averlo fatto e di farlo in un Paese spesso avaro e cinico in termini prospettici ma, per fortuna, anche capace di sorprendere con grandi imprese come quella di questa Istituzione, da oltre 150 anni meneghina e proiettata nel mondo.


Introduzione degli autori

La decisione di ripercorrere gli anni che ci hanno visto impegnati in un periodo di grandi cambiamenti del Politecnico dalla fine degli anni ’80 all’inizio del 2000, non è stata facile. Abbiamo scelto di parlare di vicende che sono ancora molto vicine anche se è forte il rischio di una personale partecipazione nella loro ricostruzione, convinti tuttavia che altrettanto interessante sia ricostruirne lo sviluppo, pur sapendo che la memoria è sempre selettiva e che, da sempre, la storia si presta alla ricostruzione di molte storie. L’interesse è di ripercorrere un periodo denso di scelte e di realizzazioni discese da una visione e da una strategia, a cui oggi può essere utile richiamarsi di fronte ad un contesto che richiede un rinnovato impegno di idee e di individuazione di linee di azione mirate ad un futuro desiderato. La scelta temporale è dovuta a due fattori concomitanti: la presenza dei due autori in posizioni apicali nel governo dell’Ateneo: l’uno come Prorettore Vicario nel periodo 1990-1994 e poi Rettore per due mandati 1994-1998 e 1998-2002 e l’altra come componente eletta nel Consiglio di Amministrazione nei due mandati del periodo 1985-1991 e poi Prorettrice Vicaria nel periodo 1996-2002. Le informazioni restituite hanno il valore di avvenimenti riportati “di prima mano”, pur avendo cura di essere, come autori, il più “oggettivi” possibile, avvalendosi di verifiche complessive e di confronti con chi ha coperto ruoli importanti in quel periodo. A tutti loro è stata fatta leggere la bozza di questo scritto, chiedendo osservazioni, commenti, modifiche. La seconda motivazione, bene inteso nella totale responsabilità degli autori per quanto è scritto, è che nel periodo considerato si sono avuti poderosi salti quantitativi e qualitativi: dagli spazi totali disponibili ai laboratori sperimentali di fondamentale importanza per la ricerca e la didattica, dall’organizzazione interna alle modalità di governo dell’Ateneo, dalla costituzione di “poli decentrati” all’avvio di nuovi percorsi di studio e di nuove Facoltà, dai rapporti all’interno della comunità non solo di Milano e della Lombardia ma anche di tutto il Paese, dal ruolo giocato all’interno del sistema universitario nazionale al processo di internazionalizzazione ed ai rapporti con le migliori Università Tecniche in Europa, oltre Oceano e nei paesi del sud-est asiatico ed agli accordi per le “doppie lauree”.


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Per questi motivi abbiamo ritenuto quasi doveroso scrivere la “storia” di questo periodo cercando di rintracciare le “radici” del Politecnico alla base di ogni suo sviluppo ricorrendo a una breve memoria, riportata in allegato al testo. Nel caso di una istituzione si devono conoscere i fondamenti storici, la filosofia ed i diversi principi costitutivi per poterne analizzare i comportamenti nel loro divenire. Diversi libri apparsi sulla storia del Politecnico di Milano, in particolare in occasione del primo centenario dalla sua fondazione, avvenuta nel 1863, e nel 125°, sono importanti per poterne capire il comportamento relativamente ad aspetti fondamentali quali: –– la rivendicazione di una forte autonomia, anche rispetto alle leggi ed ai regolamenti che sono da seguire solamente se ritenuti conformi con i principi costitutivi e con le modalità di funzionamento ritenute le più adatte ed efficaci per la vita e lo sviluppo del Politecnico, in coerenza con la missione costitutiva; –– l’approccio alla formazione sia teorica che pratica, utilizzando anche docenti e persone provenienti dalle professioni e dal sistema industriale; –– il fortissimo senso di appartenenza da parte di tutte le componenti di un grande Ateneo come il Politecnico, dagli studenti, ai docenti, al personale tecnico amministrativo, senza parlare degli organi di governo, ai vari livelli; –– il rapporto molto stretto con tutta la comunità locale fino dalla fondazione del Politecnico in cui la comunità locale dette il supporto fondamentale (Comune, Provincia, Camera di Commercio, Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri, Cariplo, un insieme di imprenditori “illuminati” lombardi, senza dimenticare l’appoggio della Università di Pavia, allora unica università in tutta la Lombardia e la stessa rivista “Il Politecnico”). Senza questi collegamenti probabilmente il Politecnico come pensato dai “padri fondatori” Francesco Brioschi, Giuseppe Colombo, Cesare Saldini, che sono stati i primi tre direttori della Scuola (divenne Università solo dopo la Seconda guerra mondiale) non si sarebbe realizzato, in quanto il governo sabaudo del nuovo stato italiano voleva tenere la supremazia di Torino in questo ambito di attività. “El noster Politecnic” scrive Emilio Gadda ed è proprio così: il Politecnico appartiene alla comunità milanese e lombarda che ne è sempre andata orgogliosa; –– una intensa attività nella formazione, nella ricerca e nell’innovazione, tre termini che vengono mantenuti sempre molto congiunti fra di loro. Anche le discipline di base (Matematica, Fisica, Chimica) mai viste come separate dal contesto. Nessuna separazione fra la cosiddetta “ricerca di base” e “ricerca applicata” ma solo fra buona e cattiva ricerca; –– la stretta connessione tra i contenuti tecnici, umanistici e artistici che diede origine alle Facoltà di Architettura (a Roma nel 1922 e Milano nel 1933) distaccatesi dalle Accademie e riconoscendo


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all’Architettura una forte ruolo nella comunicazione dell’identità del paese, cui seguirono interpretazioni e percorsi formativi diversi tra le sedi anche in funzione dei diversi contesti economici e sociali e degli Atenei di appartenenza; –– la costante attenzione agli studenti, considerati come il patrimonio primario del Politecnico. «La bontà e l’eccellenza del Politecnico è data dalla qualità dei propri laureati»: questo è il motto che da sempre è stato scelto e che ha rappresentato, insieme alla bontà della ricerca e della innovazione, le linee guida per la strategia da adottare; –– “un rigore fin esagerato”, ma che si è via via adattato al mutare dei tempi, trasferendosi, fino da allora, al momento attuale. Rigore che parte dal corpo docente, dagli organi di governo, dal personale tecnico e amministrativo ed arriva agli studenti che sanno, fin dal loro ingresso, che il percorso costa “lacrime e sangue”, ma che viene ben ricompensato dal valore che il mondo della ricerca e quello del lavoro in tutti i campi (in Italia e oltre), riconosce al laureato del Politecnico; –– un forte orgoglio, senza supponenza, ma con la certezza del proprio valore, convinti che vale più la sostanza della forma. Senza capire queste caratteristiche che hanno costituito l’identità del Politecnico dalla sua nascita e che sono rimaste e rafforzate fino ai nostri tempi, pur con alti e bassi e, nel tempo, pur con prevalenza differente fra le varie anime, sarebbe difficile seguirne l’evoluzione. Questo scritto si propone di colmare un periodo di storia, grosso modo da metà degli anni ’80 del secolo scorso fino ai primi anni del nuovo millennio, con un fugace sguardo agli ultimi anni e, con una certa cautela, a quella che potrebbe essere un’evoluzione nel futuro prossimo. Non ci si è mai dimenticati, inoltre, che tutto il sistema di formazione deve provvedere a educare cittadini con una ferma coscienza politica e civile oltre che una preparazione professionale. Sotto questo profilo il Politecnico annovera tra i suoi docenti e i suoi laureati numerose personalità che possono essere ricordati come testimoni di un grande impegno nell’innovazione in moltissimi campi e nell’impegno civile nei confronti del Paese. Innanzitutto i primi tre Direttori, già prima citati e poi in diversissimi campi, Giulio Natta (premio Nobel), Carlo Emilio Gadda, Giò Ponti ed, ancora, Gino Cassinis (Sindaco di Milano e presidente dell’Accademia dei Lincei), Ercole Bottani (Commissario per l’energia nel secondo dopoguerra), Liliana Grassi (restauro della Ca’ Granda, futura sede dell’Università Statale), lo Studio BBPR (Torre Velasca), Luigi Dadda (che installò il primo calcolatore elettronico in Italia), Francesco Carassa. E questa è solo una brevissima serie di nomi, senza considerare i viventi. E senza dimenticare i tanti giovani, il cui ricordo alle volte non è nemmeno un nome su una lapide, impegnati nel corso dei conflitti mondiali e della Resistenza e, più recentemente, i tanti laureati che


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hanno scelto di trasferirsi all’estero e che spesso vengono ricordati per i riconoscimenti che ottengono in altri paesi. Ci auguriamo che quanto qui scritto possa essere utile per i più giovani, siano essi ricercatori e futuri docenti o anche persone esterne al Politecnico, che comunque hanno a cuore le sorti di questa istituzione, importante per il nostro Paese oggi più che mai. Un’ultima avvertenza sul criterio adottato per ripercorrere le vicende di quegli anni. Il racconto si apre con un capitolo sul modello interpretativo adottato per identificare le fasi delle strategie politiche del Politecnico che, nonostante le diversità e le tensioni degli anni ’60-’80, lo hanno portato a riassumere il ruolo di interlocutore nel contesto economico e sociale nazionale e internazionale. Seguono due capitoli: il primo che sottolinea la riorganizzazione delle strutture di ricerca con l’istituzione dei Dipartimenti; l’articolazione delle Facoltà, dei livelli di Laurea e l’avvio della Scuola di dottorato; il ridisegno delle strutture centrali dell’Ateneo, delle procedure di funzionamento interno e di relazione con l’esterno; il secondo che documenta l’esperienza del Diplomi di Laurea, l’anticipazione del processo di internazionalizzazione e delle doppie lauree e l’approvazione dello statuto della Fondazione Politecnico. La narrazione continua con il capitolo che descrive la strategia del Politecnico Rete e con quello che riporta le scelte e le fasi del progetto della grande Bovisa. Un progetto, quest’ultimo, che ha permesso di realizzare un programma di interventi di riqualificazione e di rigenerazione di una importante area della periferia ex industriale della città Milano e che va interpretato per il ruolo che il Politecnico ha voluto assumere nel contesto economico e sociale della Regione Lombardia e rispetto altre importanti economie del mondo. Il testo si chiude con un’appendice sull’origine del Politecnico e sulle figure dei suoi primi Direttori, poi Rettori, per l’impegno che essi profusero nei confronti della promozione della società e dell’economia della Regione Lombardia e dell’Italia.


Capitolo 1 L’approccio interpretativo

Le vicende del Politecnico possono essere ripercorse ipotizzando che si possa interpretare quanto è avvenuto secondo alcune leggi, sufficientemente invarianti (almeno in prima approssimazione e per fenomeni non troppo particolari) pur non ignorando la casualità e l’intervento di fenomeni non prevedibili. La scelta di adottare un modello di comportamento1 permette una più accurata interpretazione di quanto avvenuto e, contemporaneamente, fornisce anche utili stimoli a ragionare su quanto è fattibile nel futuro, soprattutto nel caso in cui sia possibile e utile individuare obiettivi da raggiungere. Il modello che qui proponiamo vede l’alternarsi di due processi (la cui durata può essere variabile ma mai troppo limitata) che possono essere distinti in periodi di cambiamenti e di innovazioni e in periodi di assestamento. I cambiamenti e le innovazioni riguardano: a) le aree di ricerca e, ove connessa necessariamente a tali nuove aree, anche la realizzazione di “laboratori sperimentali” di grande impatto; b) la crescita di spazi interni riguardanti sia l’attività di ricerca, sia, anche se talvolta in misura inferiore, la didattica ed i servizi; c) la logistica complessiva e gli interventi consistenti nella struttura dell’area metropolitana e territoriale di riferimento; d) l’organizzazione interna per le strutture di ricerca e didattiche, per le norme e i regolamenti di funzionamento interno; e) il modo di “porsi” nei confronti del mondo esterno: produttivo, economico, sociale, culturale, politico, amministrativo; f) il modo di relazionarsi, in particolare con le istituzioni vicine, sia da un punto di vista accademico (le altre università) che di ricerca; g) l’istituzione di una nuova struttura finalizzata a promuovere la domanda di ricerca multidisciplinare a livello nazionale e internazionale2 su cui coinvolgere le competenze presenti nell’Ateneo. Non sempre il cambiamento riguarda tutti gli aspetti citati sopra e non tutti hanno la stessa rilevanza, ma, generalmente, tutti sono stati interessati, anche se solo lateralmente (come ha avuto modo di osservare chi è stato testimone diretto di un processo di cambiamento) che negli anni cui si riferisce la nostra storia, ha coinvolto istituzioni come le università e le loro relazioni con il contesto urbano e territoriale. Il cambiamento e l’innovazione trovano sia fautori, sia oppositori, sia indifferenti. Rifacendosi a Niccolò Machiavelli,


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possiamo dire che, normalmente, gli oppositori sono più agguerriti e tenaci, mentre i sostenitori sono spesso solamente tiepidi. Gli oppositori, infatti, vedono un “danno” immediato; mentre, al contrario, i benefici non sono quasi mai immediati e, anzi, richiedono un periodo, più o meno lungo, in cui la turbolenza la fa da padrona. D’altra parte, come è stato detto in più occasioni, si fronteggiano miopi egoismi e preveggenti generosità. E questo è sempre vero. Il periodo che abbiamo chiamato di “assestamento” riguarda la realizzazione di quanto progettato in precedenza, eventualmente procedendo anche a modifiche, sia positive sia negative, che riguardano la codificazione e l’istituzionalizzazione di quanto iniziato. Ovviamente, anche i periodi di cambiamento hanno bisogno di una certa opera di stabilizzazione e viceversa, per cui, a ben guardare, i due momenti non sono così ben definiti, ma, con un certo grado di approssimazione, se ne possono distinguere abbastanza agevolmente i contorni. È assai facile, infatti, che i momenti di innovazione richiedano dei profondi cambiamenti su alcuni aspetti, in particolare, ad esempio, sulle regole di funzionamento interno e sul modo di interloquire con il contesto esterno. Proprio in questo la stabilizzazione ha un suo importante motivo di essere; per cui sarebbe assolutamente sbagliato attribuire ad una fase un valore essenzialmente positivo e all’altra uno negativo. Si può affermare, al contrario, che ciascuna fase necessita della presenza dell’altra. Un cambiamento continuo non può essere retto da nessuna istituzione, in quanto è assai facile che si trasformi in una forma di caos e di anarchia, in cui non vi sono regole di comportamento e, viceversa, se il periodo di stabilizzazione è eccessivo, si rischia di eccedere in posizioni di rinuncia3 che, seppure motivate da problemi di costo, possono condurre a una disaffezione nei confronti delle stesse istituzioni. Queste considerazioni valgono in modo generale, non solo per il Politecnico di Milano. Per ogni istituzione, bisognerebbe capire quali sono i fattori critici su cui è richiesta e possibile l’innovazione e, soprattutto, quali sono le condizioni di contesto per cui appare importante innovare. Per le università, in generale e per il Politecnico in particolare, le condizioni che stimolano la convenienza, per non dire la necessità di un cambiamento, si possono riassumere riferendosi alla capacità di attrazione: a) di ricercatori e professori competenti in campi di ricerca e modalità di insegnamento nuovi. Se questa capacità viene meno si rischia la contrazione del numero e della qualità degli studenti e si può arrivare a una situazione che richiede rilevanti interventi correttivi negli stessi equilibri interni e tra i settori scientifico disciplinari; b) di rapporti con il contesto nazionale e internazionale. Questo aspetto può accentuare, come conseguenza, la perdita di competitività rispetto ad altri Atenei e, a sua volta, la capacità di attrarre ricercatori, professori e studenti.


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Questi due aspetti sono tanto più sentiti quanto più un’università è “di qualità”, mentre è relativamente meno importante per una delle innumerevoli università che gestiscono una consolidata attività didattica e per le quali sono essenziali i rapporti tra le proprie strutture e quelli con le amministrazioni pubbliche, centrali e locali. Il Politecnico di Milano è stato, e vuole continuare ad essere un’università di livello internazionale, per cui gli stimoli al cambiamento e la crescita della competitività sono aspetti particolarmente sentiti. Pertanto, la ricostruzione delle vicende del Politecnico dal 1988 al 2002, con alcuni cenni sul trentennio precedente e sugli anni successivi, si è focalizzata su una sintetica presentazione delle fasi di cambiamento/consolidamento del periodo citato, trascurando, per altro, se non per soli cenni, quanto è accaduto negli anni troppo recenti per evitare giudizi che potrebbero essere affrettati. In ogni caso la disamina, riportata qui di seguito, sottolinea solo alcuni passaggi degli anni della nostra storia, mentre per gli approfondimenti si rimanda ai successivi paragrafi di questo capitolo e di quelli successivi.

Il salto degli anni ’60 – inizio anni ’80 Per Ingegneria. Il mondo tecnologico è in grande fermento e il Politecnico non può stare troppo indietro e, anzi, per quanto possibile, deve essere in prima fila. Ed è questo esattamente quanto è successo per quanto riguarda alcuni dei grandi temi tecnologici, di seguito richiamati per sommi capi. a) La chimica. In quegli anni la chimica rappresentava una delle tecnologie il cui sviluppo poteva portare a cambiamenti radicali nel mondo non solo tecnico-scientifico della ricerca, ma anche, o forse soprattutto, per le implicazioni nei processi produttivi e sul mercato dei consumatori finali. Il tema avrebbe richiesto ampi investimenti in laboratori e, soprattutto, accordi con i grandi gruppi industriali per i quali la ricerca e l’innovazione fossero fattori strategici: due nomi fra tutti, Giulio Natta (premio Nobel) e Montecatini (Centro Donegani). La Chimica Industriale, ma anche la Chimica Fisica e Chimica Generale, rappresentano una grande attrazione per studenti e per ricercatori, oltre al finanziamento di ricerche e alla riqualificazione di apparati e di impianti. b) L’elettronica. Questo settore, ancora più della chimica, costituiva un campo di rilevante e potenziale sviluppo, che partendo da un’unica matrice (almeno per il Politecnico) fu declinato in numerose aree e in specifiche competenze in cui le diversità risultavano superiori alle sovrapposizioni comuni. In particolare possiamo citare: b1) L’informatica. Si tenga conto che il Politecnico aveva il primato dell’installazione del primo calcolatore in Italia, non solo nel mondo della ricerca e dell’Università. Il calcolatore fu portato in Italia dagli Stati Uniti, nel 1954, da Luigi Dad-


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da e portò a una ripartizione di compiti e ruoli: al Politecnico lo sviluppo del software e a Pisa lo sviluppo dell’hardware con la partecipazione dell’Olivetti e del CNR. b2) Le telecomunicazioni. La previsione che la telefonia tradizionale sarebbe stata superata dallo sviluppo futuro, indusse il prof. Francesco Carassa a sostenere la scelta di aderire alla stazione satellitare (SIRIO) fin dall’inizio delle trasmissioni che porteranno poi alla telefonia cellulare. b3) L’elettronica “hard”. Si tenne conto che lo sviluppo di apparati e di circuiti unitamente agli investimenti nel software di elementi di base (i microprocessori) avrebbe dominato tutto il campo delle telecomunicazioni e dell’informatica. b4) La sistemistica (teoria dei sistemi). Questo è il campo che, grazie al prof. Emanuele Biondi, si differenziò in diversi filoni, dall’automatica alla bioingegneria, alle applicazioni nel campo del management, della finanza, dell’economia, della gestione della produzione. c) L’ingegneria gestionale. Una scelta voluta per favorire l’integrazione di due campi di competenze: l’uno espressione dell’ingegneria dei sistemi elettronici e l’altro maturato nell’ambito dell’ingegneria delle ricerche e delle produzioni meccaniche: una prospettiva fortemente connessa alla progettazione dei settori produttivi oltre che a quella di una prevalenza della gestione finanziaria. d) Il nucleare. La collaborazione dell’Istituto condotto dal prof. Mario Silvestri con il CISE, portò alla costruzione di un piccolo reattore con una tecnologia completamente innovativa e con prospettive molto importanti a livello internazionale, che, in Italia, venne completamente dismessa in seguito al referendum contro ogni impianto di energia nucleare. e) L’Aerospaziale. Gli accordi promossi dal prof. Ermenegildo Preti con l’industria hanno sostenuto grandi innovazioni e alcuni importanti primati internazionali: come esempio ci si può riferire all’elicotteristica, ma anche alle missioni spaziali alle quali l’Italia partecipava con un contributo fondamentale del Politecnico, integrando le competenze aerospaziali con quelle di altre discipline, dalle telecomunicazioni all’elettronica e alla meccanica. f) La meccatronica. Nasce con il prof. Mario Dornig e con le innovazioni introdotte nella meccanica tradizionale dall’integrazione della sistemistica elettronica nella progettazione della componentistica delle macchine utensili, nei tempi e nella sicurezza dei processi produttivi con controlli anche a distanza. g) L’energia e l’ambiente. Sono approfondite tematiche collegate, da un lato, alla qualità e/o al disinquinamento dei suoli e delle acque e, dall’altro, alla progettazione e all’insediamento di impianti di produzione dell’energia e di inceneritori che richiedevano più competenze tecniche e ambientali comprese quelle attribuibili alle scelte localizzative e agli effetti sul contesto.


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Per tutte queste nuove iniziative di ricerca, nascevano quasi contemporaneamente nuovi insegnamenti e nuovi corsi di Laurea finalizzati anche a promuovere un più adeguato sistema di incentivi per l’innovazione delle imprese dell’area Milanese. Data la risonanza e la qualità di queste iniziative vi fu un larghissimo concorso sia di studenti sia di ricercatori e di professori, quasi tutti provenienti da altre regioni, anche perché per molte di queste nuove discipline non esistevano, in Italia, altre scuole. Per architettura. Negli stessi anni anche il mondo dell’architettura è coinvolto da un grande fermento collegato all’urgenza di introdurre profondi cambiamenti nei metodi e nei contenuti dei percorsi formativi: un fermento che confluirà nei movimenti di contestazione dell’intero sistema universitario e che si normalizzerà alla fine degli anni ’70. La Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, come molte altre Facoltà in Italia, è interessata da un’esplosione delle iscrizioni che cambia significativamente la composizione degli studenti e la domanda di formazione, cui non è estranea la liberalizzazione degli accessi. La percentuale di iscritti proveniente dai licei di allora e quella di studenti che si potranno dedicare allo studio a tempo pieno non saranno più prevalenti, come era stato fino ad allora. Questi sono i fattori che, unitamente ai cambiamenti del contesto sociale e economico, configureranno il ritardo nell’adeguamento delle risorse, nell’organizzazione dei corsi e nelle difficoltà di integrazione tra gli approcci al progetto con i corsi mutuati da Ingegneria, cui non fu del tutto estraneo il corpo docente di allora. Tutto ciò accentuato dal fatto che la Facoltà di Architettura era ammantata da un’aura di creatività artistica e da un’impronta di formazione decisamente “elitaria”: aspetti che entrarono in contraddizione, oltre che con il cambiamento della domanda di formazione, con un approccio accademico al progetto come forma di espressione autonoma rispetto al contesto. Ne derivò un lungo periodo di tensioni e di agitazioni che può essere distinto in almeno tre diverse fasi. Nel corso degli anni ’60, le rivendicazioni dei giovani docenti e ricercatori richiedevano principalmente: –– di innovare l’approccio alla progettazione dell’architettura e allo sviluppo urbanistico delle città attraverso un confronto con le esperienze di altri paesi e con i progetti che, anche in Italia, alcuni architetti (come Piero Bottoni, Giuseppe Samonà, Franco Albini, Lodovico Belgiojoso, Franca Helg, Ernesto Nathan Rogers,) avevano già realizzato e stavano realizzando affrontando il tema della ricostruzione di alcune parti dei comuni capoluogo, il problema della grande dimensione urbana e quello dei nuovi quartieri in Milano e nell’hinterland milanese; –– il ripensamento di alcuni insegnamenti, da quelli mutuati dal percorso di conoscenza dei corsi di Ingegneria del biennio e poi del triennio a quelli della Composizione Architettonica, ancora influenzati dagli stilemi dell’architettura del passato e a quelli dell’Urbanistica e della Tecnica Urbanistica rimasti fermi ai temi e alle dinamiche insediative del periodo preindustriale.


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D’altra parte, con la fine della Seconda guerra mondiale, il rientro di alcune personalità come Bruno Zevi, e la conoscenza di testi sulla città, come quelli di Lewis Mumford e di piani urbanistici come quello per Londra di Patrick Abercrombie, avevano fatto conoscere le architetture d’oltre Oceano e d’oltre Alpe e i movimenti culturali, evidenziando il divario con la domanda di formazione, nelle Facoltà di Architettura, per la realizzazione di progetti di architettura e per la programmazione delle infrastrutture e dei servizi a sostegno dell’espansione urbana. Nel periodo compreso tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, le prime risposte alla domanda di cambiamento furono l’innovazione radicale degli insegnamenti di Urbanistica e di Composizione Architettonica mentre altri mantenevano la loro precedente organizzazione, evidenziando la frattura tra le discipline di carattere “umanistico e “scientifico”. Avviene in questo stesso periodo la chiusura dei locali dell’Istituto di Scienza delle Costruzioni che aveva sede nell’edificio degli Istituti di via Bonardi 3 e i cui docenti, compresi i titolari degli insegnamenti che contribuivano al Corso di Laurea in Architettura, si trasferirono nel Campus Leonardo; la sospensione di parte dei docenti ordinari del Consiglio di Facoltà di Architettura e l’integrazione dello stesso con la nomina di tre Commissari da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, cioè di tre professori ordinari coordinati dal prof. Corrado Beguinot. In seguito a accesi contrasti, cui non fu estraneo il peso della componente studentesca, la saggezza prevalse e il dialogo riprese a partire dalla riabilitazione dei professori sospesi e dalla ripresa dell’attività del Consiglio di Facoltà. Ciò permise di riformulare e di consolidare l’andamento dei corsi di insegnamento e delle attività di ricerca, con: –– l’organizzazione di percorsi didattici “sperimentali” da parte di quelli che si erano definiti “docenti subalterni” con l’individuazione di laboratori, di cicli di corsi sulla progettazione dell’architettura, sulla progettazione urbana, sul settore delle costruzioni e sulla tutela dei centri storici anche in relazione ai cambiamenti a livello legislativo per la casa e per la programmazione del settore delle costruzioni: –– l’approfondimento degli studi su temi come quello delle città, “le aree forti” dove si evidenziarono le tensioni e le criticità di una crescita incontrollata e come quello della campagna, “le aree deboli” dove, già allora, furono sollevati i rischi dell’abbandono e dell’eccesso di consumo della risorsa suolo; –– l’anticipazione di proposte di progetti sulla riqualificazione delle aree ex industriali, situate un tempo ai margini delle città (come si vedrà nel capitolo 5 dedicato all’area della Bovisa di Milano riconsiderati negli anni ’90 alla luce degli effetti della realizzazione del Passante Ferroviario) e dell’importanza dei fattori dell’accessibilità nelle scelte di riorganizzazione delle funzioni urbane di rango superiore.


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Ne conseguì un periodo finalizzato, grazie al serrato confronto anche con il contesto esterno, a una organizzazione dei percorsi formativi, che permise di arrivare, negli anni ’80, a una presenza propositiva della Facoltà sui problemi della riorganizzazione dell’Ateneo e sui temi, da un lato, dei diritti alla città, cioè alla casa e ai servizi urbani, e, dall’altro, delle problematiche territoriali, cioè sugli aspetti della mobilità e dell’ambiente. A questo proposito si ricorda: –– l’apertura di concorsi interni e di chiamate di professori da altre università che permise di sanare la grave carenza di docenti e di ricercatori e che contribuì a introdurre nel confronto nuovi punti di vista e nuove esperienze di altri colleghi4; –– l’innovazione nell’offerta, a partire dalla fine degli anni ’70, di un calendario di corsi, con l’istituzione dei Dipartimenti (tra cui quello di Scienze del Territorio che prevedeva la presenza di discipline economiche, della sociologia e della geografia) poi consolidatesi, nel corso degli anni della presidenza del prof. Bernardo Secchi, con l’individuazione di nuovi percorsi formativi degli architetti, nonostante le tensioni indotte dalla gravità di eventi esterni5; –– il successivo sviluppo della Facoltà con la presidenza del prof. Cesare Stevan che consolidò le relazioni con l’Ateneo e con il mondo esterno, contribuendo al superamento dell’isolamento della Facoltà e allo sviluppo di temi di ricerca e di didattica, tra cui: –– la questione ambientale, la valutazione dei progetti, la salute in fabbrica e le mappe di rischio; –– la crescita delle città e le periferie urbane sulla riorganizzazione del sistema delle sedi universitarie; –– la storia delle città, la crisi della città fabbrica e i microsistemi territoriali dei territori del decentramento produttivo; –– il progetto di architettura, le tematiche strutturali e tecnologiche e i primi studi sull’area della Bovisa. L’esito di questo ultimo periodo fu la messa a punto degli insegnamenti per anno di corso durante il quale si alternarono le aperture nei confronti delle nuove discipline, come economia, sociologia e geografia, ma anche la sottovalutazione di altre discipline che portarono a un’eccessiva “riduzione” di alcuni insegnamenti delle “materie scientifiche” e alla cancellazione di altre6, oltre che a un utilizzo del corso di Italiano per l’insegnamento della critica dell’arte e dell’architettura. A queste contraddizioni si devono aggiungere quelle riconducibili alle posizioni culturali sull’autonomia dell’architettura e sulle politiche urbane, che vedevano una serrata contrapposizione sulla supremazia tra i due settori scientifico-disciplinari, da sempre centrali nelle Facoltà di Architettura, la Composizione Architettonica e l’Urbanistica.


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La questione degli spazi A fronte delle innovazioni istituzionali, dell’aumento della domanda di iscrizioni e delle loro conseguenze, il contenitore storico (il quadrilatero Leonardo da Vinci, Bonardi, Ponzio e Celoria) non fu più in grado di soddisfare le nuove esigenze di Ingegneria e di Architettura. Ogni volume e ogni spazio fu riempito fino ai limiti dell’accettabile: si costruì un nuovo edificio per la Chimica con il contributo di Montedison all’interno del Campus Leonardo, si elevarono sopralzi, si chiusero molti spazi interni e si utilizzarono sotterranei e cantine. Gli interventi compromisero la funzionalità e l’estetica dell’insediamento senza migliorarne, se non marginalmente, le prestazioni. D’altra parte, l’idea e i progetti di collocare il Politecnico fuori Milano (a Gorgonzola lungo le linee celeri dell’Adda) aveva visto la contrarietà del corpo docente e degli studenti e l’iniziativa aveva perso la spinta iniziale. Non rimaneva che crescere in loco senza un disegno complessivo e razionale, anche ricorrendo all’utilizzo di cinema e di oratori e di qualunque altro spazio purché immediatamente disponibile. Inoltre, erano stati realizzati gli insediamenti in via Bonardi, dove all’inizio del Novecento, era previsto il trasferimento dell’Accademia di Brera e dove, viceversa, trovarono sede molti istituti e corsi di insegnamento, da Architettura a Matematica, dalla Meccanica all’Edilizia. Questi interventi avevano reso possibile: –– la didattica del biennio di Ingegneria nell’edificio denominato “Trifoglio” e in parte nell’edificio denominato “Nave”, dove trovarono sede anche alcuni istituti; –– il trasferimento, negli anni ’60, di Architettura dalla sede originaria del Campus Leonardo in quello di via Bonardi dove poi fu realizzato anche l’ampliamento su via Andrea Maria Ampère su progetto di Vittoriano Viganò. In seguito, nascono anche gli edifici per Nucleare e per Elettronica, davanti al Campo sportivo Mario Giuriati, nell’ipotesi di spostarlo e di occuparne tutta l’area. Ci si limitò viceversa a utilizzare alcuni campi da tennis anche perché si fece sentire la reazione degli abitanti di quella che allora era la zona 11 del decentramento amministrativo decisamente contrari all’iniziativa. Ma tutto questo non fu sufficiente. Infatti anni dopo in via Mancinelli, vennero insediate le attività di ricerca e di insegnamento riguardanti le Chimiche (ad eccezione della Chimica Industriale, rimasta nella sede storica) e fu costruito il prolungamento dell’edificio di Elettronica, mentre la sede della didattica e della ricerca nel settore Aerospaziale si trasferì in via Ponzio, dove negli anni ’90 furono costruiti altri due edifici7 destinati soprattutto alle attività didattiche, anche con aule attrezzate come quelle destinate all’Elettronica. In seguito, l’edificio di Aerospaziale fu utilizzato da una ulteriore espansione di Elettroni-


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ca quando Aerospaziale si trasferì nel Polo di Bovisa Sud, mentre l’altro dei due nuovi edifici di via Ponzio fu destinato a Segreteria Studenti. Il risultato fu che, nell’area di Città Studi, si sfruttarono tutte le opportunità possibili senza, tuttavia, risolvere i problemi di spazio della didattica e costringendo gli insegnamenti a seguire un orario giornaliero continuato dalle 8 alle 20 sia per i corsi del biennio di Ingegneria particolarmente affollati che per i corsi della Facoltà di Architettura (alcuni tenuti anche in orario serale tra le 18 e le 21) e di Ingegneria edile che nel frattempo avevano, entrambe, più che raddoppiato gli iscritti.

L’assestamento conseguente (fino alla fine degli anni ’80) Come si è accennato, le iniziative e i cambiamenti non sono stati modesti, ma la pressione della crescita degli studenti, lo sviluppo delle attività di ricerca e delle commesse esterne hanno reso insufficienti gli sforzi della costruzione di nuovi spazi e, soprattutto, dispersiva e poco efficace l’organizzazione delle attività. Il tentativo di adottare una localizzazione, purché disponibile, non rappresentava una scelta ottima e razionale ma, in assenza di un programma complessivo, era il meglio che si potesse fare. Anche perché il tentativo di proporre ulteriori insediamenti nell’area di Città Studi non ebbe esiti positivi, a parte gli interventi sopra citati. E non fu sufficiente nemmeno la sede di via Giuseppe Colombo, acquistata e ristrutturata negli anni ’90, per Ingegneria Gestionale, né l’affitto della Stazione Sperimentale per la carta e per gli oli combustibili, l’edificio di piazza Leonardo da Vinci 1, all’angolo con via Giuseppe Colombo. Proprio queste condizioni provocarono (scartata anche l’opzione di spostare l’Ateneo nell’area destinata alla Città della Scienza per il CNR in Bicocca) un cambio di direzione nella ricerca di spazi adeguati con alcune importanti conseguenze. In occasione della pubblicazione del primo censimento degli insediamenti industriali dismessi, emerse l’esistenza della disponibilità di grandi aree, tra cui quelle della zona di Bovisa, già studiata come si vedrà più avanti nel capitolo 5 (paragrafo 5.2) nell’ambito di alcuni corsi di Composizione dell’Architettura e di Urbanistica: un’area che si presentava già dotata del requisito di una grande accessibilità su ferro per la presenza delle Ferrovie dello Stato, delle Ferrovie Nord e del Passante Ferroviario, oltre al collegamento con l’aeroporto della Malpensa. Inoltre l’allora Rettore Emilio Massa, su sollecitazione del Preside di Architettura Cesare Stevan, furono convinti dell’idea di possibili insediamenti (all’inizio solo didattici) nell’area ex Ceretti e Tanfani adiacente a piazzale Giovanni Bausan e alla stazione delle Ferrovie Nord di Bovisa. Contestualmente, l’iniziativa di alcuni docenti di Architettura, tra cui lo stesso Preside Cesare Stevan, che si


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prestarono a tenere le proprie lezioni nel capannone ex FBM, un’azienda meccanica anch’essa da tempo trasferita, dimostrò la fattibilità di un’operazione di ricollocazione di una parte dell’Ateneo dando avvio al progetto per la Bovisa, di cui si argomenterà più avanti. Qui basta ricordare che il primo intervento in Bovisa, sostenuto da un comodato d’uso, non trovò molti sostenitori (eufemismo), ma fu giustamente e pervicacemente voluta dagli organi rettorali e dalle iniziative didattiche che lì vennero tenute da alcuni docenti di Architettura. Come forte era la convinzione che, allora, accompagnò l’insediamento delle prime iniziative didattiche in alcuni comuni capoluogo della regione, come Como, Lecco, Cremona e Mantova, e che poi influirono sul progetto Politecnico Rete. Inoltre, vanno ricordati altri aspetti come la maturazione del confronto avviato dall’Associazione Sviluppo Innovazione Milano 2000 per affrontare progetti relativi all’aumento della capacità competitiva dell’aerea Milanese oltre che ai provvedimenti sulla decongestione dei grandi atenei8. Fortuna? Preveggenza? Intuizione? Coraggio? Un poco di tutto questo, ma ciò permise di attuare un grande progetto di ampliamento del Politecnico e di compiere il “grande salto” successivo, pensato e avviato durante quella che abbiamo chiamato una fase di “assestamento”.

Il salto degli anni ’90 – inizio 2000 La situazione, all’inizio degli anni ’90, era quella di una crescita e di un’articolazione delle iniziative di ricerca e di didattica precedentemente citate, certamente favorita dai provvedimenti legislativi emanati nel frattempo come, per esempio, la L. 382/1980 e quelle sull’autonomia degli Atenei. Nel contempo però erano nate ulteriori iniziative: dalle scuole dirette a fini speciali, ai Diplomi Universitari, dalla localizzazione di alcune di queste attività didattiche fuori Milano, all’avvio della politica di Internazionalizzazione (già iniziata negli anni ’80 con il rettorato di Emilio Massa, e sviluppata con i due successivi rettorati), alla ripresa ed alla estensione di contatti con il sistema industriale e con la pubblica amministrazione che, per esempio, portò alla “Proposta per la Costituzione attorno al Politecnico di Milano di un rete di Poli Tecnologici”9 per l’area metropolitana di milanese (Politeckne).Inoltre si affrontò un’annosa questione: negli anni, il Politecnico era stato fortemente penalizzato dal Ministero della Università e della Ricerca Scientifica relativamente alla attribuzione di risorse. Furono fatte, seppure con molte difficoltà, le verifiche con altri Atenei, cercando quelli più similari, e si trovarono situazioni di gravi squilibri che costrinsero il rettorato a fare forti pressioni per rivedere i criteri di distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO). L’esito fu un parziale incremento dello stesso FFO annuale che ridusse, senza eliminarli, gli squilibri con altre sedi anche per l’opacità del parametro degli studenti iscritti a cui,


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ancora oggi, viene attribuito un peso eccessivo10 e che tuttavia permise di ottenere ogni anno un seppur contenuto incremento di risorse da reinvestire. Contestualmente, l’Ateneo si attivò anche nei confronti delle amministrazioni locali (innanzitutto con Milano e, di seguito, con altri importanti Comuni e Province della Lombardia), per rivendicare il ruolo storico del Politecnico, voluto dal connubio di accademici (pavesi, milanesi e lombardi), dal sistema produttivo, dalla finanza, dalle amministrazioni locali, dalla borghesia, che vedevano nella nascita del Politecnico la possibilità di uno sviluppo culturale, produttivo, economico, sociale dell’intera Regione. La pressione fu condotta non solo sulle amministrazioni locali, ma anche su tutte le altre istituzioni che, agli inizi della nascita dello Stato nazionale, avevano con lungimiranza istituito il Politecnico, allora Istituto Tecnico Superiore. Tra quelle ci furono la Camera di Commercio, la Cariplo, la Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri, il Comune e la Provincia di Milano e molti imprenditori tra cui Carlo Erba al quale è ancora dedicata la palazzina di Elettrotecnica su via Ponzio. Anche queste iniziative ebbero un esito favorevole, soprattutto, grazie alla situazione dell’Italia e della Lombardia di quel periodo che, di fronte agli scandali politici degli anni ’90, si rivolse al Politecnico come uno dei principali punti di riferimento per tutte le istituzioni prima citate. Di seguito si elencano, poco più che per titoli, in quanto si rinvia ai successivi approfondimenti, le principali iniziative che caratterizzano questo salto di cambiamento e di innovazione il cui ordine non indica né la specifica rilevanza e importanza, né la successione temporale: –– L’eliminazione progressiva delle sedi didattiche inadatte. Si disdettarono cinema, oratori e di altri spazi in posizioni scarsamente accessibili. D’altra parte, era assolutamente improponibile che un’Università di qualità avesse una così illogica dispersione delle attività didattiche e di ricerca; –– La costruzione di laboratori sperimentali competitivi. Uno degli esempi più significativi di questo periodo fu la costruzione della Galleria del Vento, con sede in Bovisa: un laboratorio che gode di un riconoscimento internazionale che, oltre agli impianti ed alle attrezzature, ha potuto godere di un personale di ricerca molto qualificato, dotato di passione, volontà ed intelligenza, a partire dal prof. Giorgio Diana, grande sponsor dell’iniziativa11. Un secondo intervento di grande successo fu quello dei laboratori per i prototipi del Corso di Laurea di Disegno Industriale che hanno qualificato l’avvio della nuova Facoltà di Design. L’istituzione del Corso di Laurea in Disegno Industriale, approvato con il Piano Triennale di sviluppo 1991-1993, fu preceduto dalla sperimentazione di un indirizzo e di un Corso di Laurea della Facoltà di Architettura avviata dal Preside Cesare Stevan che poi poté giovarsi della chiamata alla cattedra di Progettazione Ambientale di una personalità di livello internazionale, il prof. Tomas Maldonado, e dell’indicazione a Preside del prof. Alberto Seassaro che sostenne con grande passione lo sviluppo della Nuova Facoltà12.


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Fu inoltre realizzato il Laboratorio per la Sicurezza dei Trasporti (L.A.S.T) in via Giuseppe Candiani, a cui fanno riferimento i Dipartimenti di Scienze e Tecnologie Aerospaziali (sezione di sicurezza passiva) e di Meccanica (sezione di sicurezza attiva, e a cui contribuì anche come primo responsabile della sua gestione il prof. Vittorio Giavotto. Questo è un laboratorio riconosciuto dalla FIA (federazione Internazionale dell’Automobile) per le prove “crash” su telai e sedili per le vetture da gara e per le prove su sedili dell’aviazione in generale. Inoltre, il laboratorio è in grado di eseguire prove di assorbimento di energia su strutture aeronautiche e automobilistiche di piccole e medie dimensioni; –– Lo sviluppo di nuove attività di ricerca. Le ricerche in campi che hanno permesso di attivare corsi di studio di notevole rilevanza, non soltanto accademica e scientifica, ma anche di interesse sociale e industriale. In particolare, oltre alle aree già citate precedentemente, vanno ricordati altri grandi temi: i nuovi materiali, la bioingegneria, l’ambiente, la gestione delle istituzioni, l’urbanistica e il governo del territorio con attenzione ai temi della prevenzione dei rischi naturali e antropici e della salute e della sicurezza urbana; –– I Poli territoriali. L’istituzione dei Poli fu una delle carte vincenti dello sviluppo del Politecnico Rete, unitamente alla maggiore attenzione alla promozione dei poli di Milano e degli interventi per l’ospitalità di studenti e docenti; –– Il “Progetto Bovisa”. Se realizzato per intero, questo progetto (per il quale si rinvia al capitolo 5) avrebbe potuto risolvere più problemi tra cui una nuova sede per i Dipartimenti Chimica e per la ricerca sui nuovi materiali e sulle biotecnologie di livello europeo, anticipando anche alcuni temi del successivo progetto Human Tecnopole sull’area di Expo 2015. Nel frattempo, si realizzarono due Campus, il primo, per alcune Facoltà di ingegneria e il secondo per il trasferimento della Facoltà di Architettura Civile e per quella di Disegno Industriale. Quelle appena accennate sono iniziative fondamentalmente concentrate su aspetti relativi agli spazi. Tuttavia, contemporaneamente, sono state attivate molte altre iniziative che, forse, hanno inciso ancora più profondamente e radicalmente sulla riorganizzazione del Politecnico negli anni ’90. Di seguito vengono elencate quelle che riteniamo particolarmente importanti. Queste sono: –– Il passaggio dagli Istituti ai Dipartimenti multi cattedra, sull’esempio di quanto già esisteva nel caso esemplare di Elettronica e dei Dipartimenti Tematici di Architettura; –– L’articolazione delle Facoltà. Approfittando dell’istituzione dei Dipartimenti e delle differenziazioni dei Corsi di studio, la Facoltà di Ingegneria venne articolata in tante Facoltà quante erano le principali specializzazioni disciplinari. Come conseguenza, fu possibile riorganizzare la didattica inserendo in ogni Facoltà anche i cosiddetti “corsi propedeutici” (le matematiche, le fisiche,


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la meccanica razionale, la chimica di base, il Disegno) e di organizzare, poco dopo, i corsi di Laurea in Ingegneria Matematica e in Ingegneria Fisica. L’altra Facoltà, quella di Architettura, fu articolata in tre Facoltà: quella di Architettura e Società; quella di Architettura Civile; quella di Disegno Industriale. La prima Facoltà rimase in Città Studi, la seconda e la terza si insediarono in Bovisa; La breve esperienza dei Diplomi Universitari, che tuttavia fu presa ad esempio per la successiva istituzione delle lauree triennali e della Laurea biennale magistrale sulla base di quanto emerso dal cosidetto Processo di Bologna, del 18-19 giugno 1999; L’istituzione della Scuola di Dottorato, con l’obiettivo mettere in sinergia i corsi di quello che fu pensato come il terzo livello di formazione; Il cambiamento del modello organizzativo-gestionale con la rivisitazione dei rapporti fra Dipartimenti, Facoltà e contesto esterno; l’istituzione delle Facoltà territoriali nelle sedi decentrate con la nomina dei rispettivi Presidi e, dopo un processo durato 4 anni, quella dei Prorettori dei Poli, il ripensamento delle procedure per l’attribuzione delle risorse alle strutture dell’Ateneo e dei criteri per il rilascio dei permessi per attività extra università e la costituzione di centri finalizzati al trasferimento delle nuove conoscenze verso le imprese private e gli enti pubblici13; Il riconoscimento del ruolo dei Poli territoriali anche con una scelta simbolica, ma molto importante come la decisione di tenere la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico, forse la più importante simbolicamente per il mondo esterno, nelle sedi decentrate di Como, Lecco e Bovisa, negli anni dal 1999 al 2001; L’internazionalizzazione dell’Ateneo, avviato con il rettorato del prof. Emilio Massa e sviluppato nei due successivi mandati rettorali; e per il quale si entra più nel merito nel capitolo 3 (paragrafo 3.2) dedicato alla internazionalizzazione; La riorganizzazione delle strutture dell’amministrazione dell’Ateneo e dei suoi servizi come la segreteria studenti, l’ufficio tecnico, l’ufficio legale, l’economato e la logistica, il servizio Comunicazione e dei Rapporti con l’Esterno, i centri di servizio per la didattica e per lo sviluppo di specifici temi di ricerca multidisciplinari.

L’assestamento conseguente (anni 2002 e oltre) Con i primi anni del 2000 cominciano a farsi evidenti i segnali di cambiamento del contesto economico e sociale e di un’anticipazione per quanto riguarda l’università della progressiva contrazione delle risorse, particolarmente critiche da sempre. La crisi esploderà nel 2008, negli stessi anni in cui l’Ateneo avvia un processo di riduzione dei costi di gestione, per esempio con l’assorbimento delle funzioni


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di molti centri di servizio alla didattica e delle biblioteche e con l’accorpamento delle strutture di ricerca e di didattica, dei Dipartimenti e delle Facoltà. Inoltre, l’Università viene interessata dall’adozione delle misure introdotte dal Ministro dell’Istruzione Università e della ricerca scientifica, Mariastella Gelmini14 il cui esito più impattante fu la progressiva riduzione della sostituzione del personale docente in uscita secondo il rapporto di 1 ingresso ogni 10 uscite e l’aumento della docenza a contratto e dei ricercatori a tempo determinato. La riforma Gelmini ebbe un effetto particolarmente negativo per quelle università, come il Politecnico, che avevano strutturalmente una carenza di risorse. Successivamente, nel febbraio del 2012, viene emanato con Decreto Rettorale un nuovo statuto15 che prevede l’ingresso negli organi di governo centrali, accanto a soggetti esterni, dei direttori di Dipartimento, mentre i presidi e i Prorettori sono ammessi ma senza diritto di voto. L’insieme di queste scelte, ascrivibili soprattutto a circolari ministeriali, ha avuto l’effetto di sbilanciare l’equilibrio delle relazioni tra Dipartimenti, Facoltà, Corsi di studio e Poli Territoriali e di contribuire a una riorganizzazione della didattica in un numero ridotto di Scuole in sostituzione delle Facoltà. L’attenzione dell’Ateneo si è, viceversa, spostata, per un verso, sul processo di internazionalizzazione a cui corrisponde una crescita significativa del numero degli studenti provenienti da altri paesi (che nella seconda decade del 2000 raggiunge il 30% circa sul totale degli iscritti), e, per l’altro verso, sulle relazioni con i soggetti pubblici e privati, particolarmente attivi e più in vista, nel contesto nazionale e internazionale: due fattori che hanno certamente contribuito alla crescita del prestigio dell’Ateneo. Quest’ultimo è, tuttavia, un processo che ha sottovalutato il ruolo di altri Centri e altri Consorzi partecipati dell’Ateneo (come per esempio quello del Cefriel) e quello della stessa Fondazione Politecnico come si approfondirà nel capitolo 3 (paragrafo 3.3). Sul versante dell’adeguamento degli spazi le scelte adottate riguardarono, innanzitutto l’utilizzo dei nuovi edifici in Città Studi, come quello in via Golgi, dove sono state trasferite e riorganizzate le segreterie degli studenti e altri servizi correlati. Una scelta che, con il trasferimento di parte degli archivi amministrativi in Bovisa, ha permesso la riqualificazione del piano terreno della Palazzina del Rettorato dove oggi c’è la Fondazione Politecnico, a sua volta trasferita dalla sede in affitto da viale Abruzzi, disdetta completamente quando anche le strutture del MIP si spostarono nel campus di Bovisa Sud. Questi interventi di assestamento e di miglioramento degli spazi già esistenti e della distribuzione delle funzioni sono gli stessi che guidarono altre scelte dell’Ateneo come quelle per il controllo e il risparmio energetico nel Campus di via Bonardi e quelle nei diversi Poli come: a Lecco il completamento del campus sull’ex sedime dell’ospedale con un edificio per il CNR che ospita ricercatori di 7 differenti istituti e la realizzazione della residenza universitaria nell’edifico principale dell’ex ospedale; a Piacenza con l’ultimazione dei lavori di riqualificazione dell’area e degli edifici dell’ex Macello;


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a Mantova con la sistemazione di una Palazzina per i laboratori di Architettura nel complesso dell’ex convento di san Francesco adiacente alla sede di via Scarsellini dove saranno attrezzate aule e i laboratori di Architettura; a Cremona con l’adeguamento degli spazi della sede del Polo e l’istituzione del Laboratorio di Acustica con il trasferimento da Como della Camera Anecoica; a Como la messa in attività della sede di via Francesco Anzani, con il laboratorio in comunione con l’Università di Zurigo, a cui purtroppo è seguita la rinuncia all’ampliamento da condividere con l’Università degli Studi del complesso dell’ex ospedale e l’inizio della crisi dello stesso Polo. Viceversa, per quanto riguarda il Polo della Bovisa, nel 2003, il Politecnico decide di rivedere l’accordo di programma relativo agli interventi previsti dal Concorso Internazionale che riguardano il progetto Bovisa e per il quale si rinvia al capitolo 5.

Note 1   Cfr., Paul Watzlawick, John H. Weakland, Richard Fisch, Change. Sulla formazione sulla soluzione dei problemi, Ed. Astrolabio, 1974. Si veda il contributo interpretativo e applicativo relativamente all’importanza di distinguere livelli diversi del cambiamento nei comportamenti sociali. Si legga l’introduzione a pag. 14 e i due paragrafi “La prospettiva teorica”, “La prospettiva pratica” della Prima Parte su “Persistenza e cambiamento” da pag. 19 a pag. 44. 2   La struttura a cui si fa riferimento è la Fondazione Politecnico, per l’approfondimento della quale si rimanda al capitolo 3, paragrafo 3.3. 3   Quando, per esempio, viene decisa la cancellazione di alcuni centri finalizzati a mantenere viva la conoscenza della storia dell’Ateneo piuttosto che altri destinati a prestare servizi alla didattica e a certificare la qualità dei laboratori di ricerca contestualmente all’ipotesi di accorpare e di centralizzare nel rettorato le rispettive funzioni nell’ipotesi di evitare sovrapposizioni e, soprattutto, di contenere i costi. 4   Si veda l’avvio di contratti quadriennali per i ricercatori e di 9 posti per assistenti di ruolo, di tre concorsi fermi da anni, cui seguì la chiamata dei professori Bernardo Secchi, Paolo Ceccarelli e Bruno Gabrielli e la stabilizzazione all’inizio degli anni ’80 dei molti docenti, fino allora incaricati annuali. 5   Ci si riferisce al periodo del terrorismo culminato nel 1978 con l’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta: un periodo che, aveva coinvolto la Facoltà, portando per esempio a una gestione collegiale del Dipartimento di Scienze del Territorio con i professori Valeria Erba, Bruno Gabrielli e Maria Cristina Treu, dopo l’incriminazione, poi caduta, del suo primo direttore il prof. Alberto Magnaghi. 6   Tra questi ci fu oltre alla contrazione dell’insegnamento di Scienza delle Costruzioni, la cancellazione, per esempio, di quello di Statica Grafica, tenuto allora dalla prof. ssa Elisa Guagenti Grandori e particolarmente utile per gli studenti di architettura, che avrebbe potuto introdurre una innovazione nell’insegnamento della materia già segnalata da studi di oltre oceano. Al proposito si confronti anche, Mario Salvadori, Perché gli edifici stanno in piedi, collana Strumenti, ed. Bompiani, 2000. 7   Sulla base di un progetto, firmato dall’arch. Riccardo Licari, in collaborazione con la Società di Ingegneria Alpina per lo sviluppo dell’esecutivo e per il calcolo delle strutture. 8   Cfr., in Progettare Milano 45, anno 1, n. 2, la presentazione dell’Associazione Sviluppo Innovazione Milano 2000, costruita nel febbraio 1989, presieduta dal prof. Cesare Stevan e a cui tra il comitato dei garanti partecipava, tra gli altri, lo stesso Rettore in carica Adriano De Maio. Inoltre, si confrontino: “I provvedimenti sulla decongestione dei grandi Atenei, Napoli, Roma e Milano”, sostenuti dal Ministro Ruberti, che fecero maturare un clima favorevole alla riorganizzazione di alcuni Atenei come il Politecnico e la stessa Università Statale di Milano.


28   La proposta fu elaborata dal prof. Giampio Bracchi nel novembre 1994 con lo scopo del coordinamento delle iniziative per il trasferimento delle conoscenze tecnologiche nell’intera area regionale come in seguito si verificherà con l’istituzione di più centri di trasferimento tecnologico. 10   Cfr., Nell’ambito del Politecnico è sempre stata viva la questione sia dell’autonomia dell’Università sia che essa non possa essere attuata con scarsezza di mezzi. E al proposito, l’utilizzo del numero di studenti iscritti per la ripartizione delle risorse del FFO è sempre stato additato come «una disposizione che non ha riscontro in alcun paese civile», perché come ebbe a dire il Rettore, prof Gino Cassinis, in occasione della inaugurazione dell’a.a.1947-1948: «uno studente può rimanere iscritto per otto anni senza compiere alcun atto scolastico e senza perdere alcuno dei così detti diritti e questi anni possono diventare 10 e 12 e anche di più quando comprendono un periodo di servizio militare, ecc.». 11   A tale riguardo va notato che gli oppositori nei confronti della Galleria del Vento e agli altri laboratori furono molti: essi ritenevano che concentrare molte risorse su poche e costose iniziative non fosse conveniente. Al contrario, è solo investendo in un numero contenuto di laboratori, come poi è stato fatto, che si possono ottenere grandi risultati. Ma anche questo può non bastare. Infatti, come dimostrano le difficoltà insorte in alcuni casi è necessario che attorno a queste strutture si consolidino uno o più gruppi di ricerca in grado di promuovere relazioni in più direzioni. 12   Nell’a.a. 1984-1985 fu avviato un Ciclo di incontri sul tema "Contributi alla formazione dell'indirizzo di Laurea in Disegno Industriale e Arredamento”, coordinato dalla prof.ssa Raffella Crespi, con la partecipazione di molti docenti anche con posizioni in contrasto tra loro e i cui esiti furono poi raccolti negli Atti di un documento interno alla Facoltà di Architettura. I Dipartimenti interessati furono il Dipartimento di Progettazione dell'Architettura e il Dipartimento di Programmazione, Progettazione e Produzione edilizia. In quest'ultimo Dipartimento allora erano presenti i maggiori esponenti del Design milanese: Achille Castiglioni, Marco Zanuso e anche Carlo De Carli. Sono questi due i Dipartimenti che poi contribuirono all’indirizzo e al Corso di Laurea in Disegno industriale citati nel testo. 13   Come l’Acceleratore di impresa insediatosi in Bovisa e diretto dal prof. Giuseppe Serazzi; il Centro Politecnico Innovazione, poi Consorzio con più istituzioni di imprese e pubbliche, diretto dal prof. Sergio Campodell’Orto e l’ufficio Brevetti con Direttori i proff. Mauro Pezzè e poi Riccardo Pietrabissa 14   Si vedano al proposito la L. 169/2008 e la finanziaria triennale, la L. 133/2008 e il successivo decreto per l’università. Inoltre, nel corso della XVI legislatura del IV Governo Berlusconi, Mariastella Gelmini ministro della Pubblica Istruzione Università e della Pubblica istruzione 2008-2013, introdusse i cambiamenti nella composizione del SA e del C.d. A e nella separazione tra amministrazione e gestione degli Atenei, mentre, in seguito anche a altri provvedimenti, il Politecnico avviò l’accorpamento dei Dipartimenti e delle Facoltà, oggi denominate Scuole, a cui ne è seguita una più spinta articolazione e differenziazione dei Corsi di Laurea. 15   Il primo statuto dell’Ateneo risale al regio decreto del dicembre 1934, n. 2438, mentre quello qui richiamato è emanato con Decreto Rettorale il 23 febbraio 2012, n.623, cioè il terzo rispetto a quello emanato con D.R. nell’aprile 1984, n.384 e a quello emanato con D.R. nel maggio del 1994 e sue successive modifiche nel sett., nov., e dic. 1996 ai sensi della L. 168/1989, legge che nelle disposizioni generali, tra i principi di autonomia, riconosce agli Atenei il potere di Regolamentazione e ai Rettori quello di decretazione. 9


Capitolo 2 La riorganizzazione dell’Ateneo

2.1  I Dipartimenti e l’articolazione delle Facoltà Ritornando agli anni ’90 vediamo che con il passaggio dagli istituti mono cattedra ai Dipartimenti multi-cattedra, come previsto ex lege 382/1980, gli Atenei avviano un processo di riorganizzazione delle proprie strutture di ricerca e di didattica. La condivisione di questo passaggio, che interessa tutti gli Atenei, non è stato unanime e può essere ricondotto alla contrapposizione tra chi era orientato verso la difesa dei settori disciplinari e del loro potere nella comunità accademica e chi vedeva i Dipartimenti come la possibilità di un’apertura alle multidisciplinarità della conoscenza e all’importanza delle relazioni tra più discipline. Nelle due posizioni, per molti aspetti mai così nette, si intravvedono infatti la prevalenza, da un lato, del peso dei settori disciplinari collegati a quelli di giurisprudenza, di economia e di innovazione tecnologica e, dall’altro lato, le rivendicazioni ereditate dal 1968, orientate a affrontare i problemi sollevati dai cambiamenti del contesto con approcci che richiedono il contributo di più discipline. Le singole Università hanno affrontato questo passaggio con modalità e tempi diversi, su cui hanno influito il peso accademico e politico-sociale delle Facoltà presenti in ciascuna di esse, cioè con una differenza notevole per esempio tra gli Atenei con la presenza di Medicina e quelli senza, oppure tra Atenei con la presenza di più Facoltà come per esempio l’Università degli Studi di Milano e quelli con una unica Facoltà, come la Bocconi. Inoltre, per molte università questo passaggio richiese un profondo cambiamento. Non così per il Politecnico. Agli inizi degli anni ’80 gli Istituti mono cattedra a Ingegneria erano pochi per il fatto che, in molti casi, un “Istituto” conteneva i principali insegnamenti di un intero Corso di Laurea. Un esempio molto significativo è l’originario Istituto di Elettrotecnica Generale che generò un nuovo istituto, diventando per tutti l’Istituto di Elettronica, in cui oltre a Elettrotecnica, erano presenti gli insegnamenti di Telecomunicazione, Calcolatori Elettronici, Elettronica applicata, Misure elettroniche, Controlli automatici e Sistemi e che fu poi chiamato Dipartimento di Elettronica e Informazione. Anche gli Istituti di Architettura, erano prevalentemente organizzati attorno a tematiche affrontate da più insegnamenti, alcuni forniti anche da corsi di Ingegneria. La loro trasformazione in Dipartimenti sollevò


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comunque un ampio dibattito interno che portò all’unificazione dell’Istituto di Architettura degli Interni con quello di Composizione Architettonica nel Dipartimento di Progettazione dell’Architettura, al riconoscimento di un Dipartimento di Storia con Restauro e alla trasformazione dell’Istituto di Urbanistica nel Dipartimento di Scienze del Territorio integrato con la presenza discipline geografiche, economiche e sociali. Le Facoltà, al contrario, negli anni ’90 (o meglio fino al 19961997), erano ancora solo due: la Facoltà di Architettura e quella di Ingegneria. Entrambe con un numero di docenti afferenti a ciascuna di esse di una dimensione tale da renderle ingovernabili, anche se per diverse motivazioni. Anno

ProPro- Ricerfessori fessori catori ordiasso- e Assinari ciati stenti

Totale Docenti

ING

ARC

DES

Tecnici AMMammi- VI e nistra- AMM. tivi VI GEST.

1995

294

302

299

895

722

1996

299

297

338

934

727

1997

295

296

350

941

760

1998

288

414

252

954

820

1999

283

422

307

1012

837

2000

319

377

306

1028

735

293

868

618

2001

342

372

334

1078

755

323

942

545

2002

390

381

359

1157

803

270

84

959

561

2003

397

390

328

1138

792

259

87

1003

578

2004

395

393

333

1995

799

255

86

1035

576

2005

428

386

432

1269

877

296

96

1037

588

2006

457

383

448

1286

890

299

97

1083

612

2007

474

391

459

1308

903

304

101

1122

608

2008

443

361

599

1403

959

328

116

1191

620

2009

424

349

605

1378

945

318

115

1182

616

2010

375

375

610

1360

939

307

114

1175

617

2011

377

376

633

1386

960

304

122

1181

621

2012

358

363

625

1346

935

293

118

1180

616

2013

340

354

618

1312

925

276

111

1177

627

2014

331

435

531

1297

900

300

97

1200

635

2015

330

562

424

1316

925

297

94

1206

672

2016

350

548

451

1349

953

299

97

1203

651

2017

350

562

452

1364

965

299

100

1204

652

Tabella 1 Docenti, distinti per ordinari, associati e ricercatori e Il totale ripartito per Facoltà; totale personale tecnicoamministrativo di cui amministrativi e amministrativi gestionali


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Nel caso di Ingegneria, il Consiglio di Facoltà, anche per gli argomenti riservati ai soli Professori ordinari, vedeva la presenza di alcune centinaia di docenti. Pertanto le riunioni, sia quelle convocate su argomenti a cui tutti potevano partecipare, sia quelle convocate su specifici argomenti per i quali potevano intervenire i solo professori ordinari, o i professori associati e ordinari, erano in entrambi i casi di difficile gestione, rendendo impossibile avere l’attenzione di tutti e rispettare il numero legale, quando era prescritto, su ogni punto trattato. A queste osservazioni si possono aggiungere altre considerazioni, che possono sembrare (e in effetti lo sono) non molto gentili ma che corrispondono alla realtà. La prima riguarda la presenza numerosa di colleghi delle materie “del biennio”, generalmente interessati a aspetti delle loro discipline più che ai cambiamenti collegati alle tematiche delle lauree e al mondo della produzione e della società. La seconda riguarda il rischio di adottare “decisioni a priori”, in quanto, alle volte queste venivano prese prima del Consiglio, dai docenti più autorevoli, mettendo così in crisi il ruolo del Consiglio. Solamente quando gli argomenti da discutere erano di grande interesse, non solo per il Politecnico, ma soprattutto per l’intero sistema universitario, la partecipazione era viva e le discussioni erano serrate e fortemente sentite, soprattutto all’interno dei singoli “Consigli di Corso di Laurea”, corrispondenti ai Consigli di Istituto e, poi, di Dipartimento. L’unica Facoltà di Ingegneria venne articolata secondo il titolo di Ingegnere rilasciato dalle Facoltà di Meccanica, Civile, Chimica, Aerospaziale, Elettronica, Gestionale. Ad ognuna di queste Facoltà afferivano tutti i docenti che insegnavano nell’intero percorso di studio di 5 anni: dagli insegnamenti cosiddetti di base (quelli del biennio e poi parte di quelli del triennio) a quelli specialistici (quelli del triennio della Laurea quinquennale e poi quelli del biennio di Laurea magistrale). Fatto che permise di ottenere una migliore coerenza fra biennio e triennio e, poi, tra i livelli di Laurea triennale e magistrale. Nel caso di Architettura, l’unica Facoltà fu articolata in tre diversi percorsi formativi: una Facoltà di Architettura che rimase nel Campus Bonardi e un’altra Facoltà di Architettura che si insedierà in Bovisa, dove troverà sede anche una terza Facoltà, quella di Disegno industriale, con la concorrenza di docenti di Architettura e di Ingegneria. In questo caso, le difficoltà si manifestarono nei riguardi della separazione in due dell’unica Facoltà di Architettura, interpretata, in un primo tempo, come un attacco all’unicità e all’autonomia del Progetto di Architettura. Altrettanto discusse furono l’Istituzione della Facoltà di Disegno Industriale (avvenuta come già accennato dopo la sperimentazione di un Indirizzo e di un Corso di Laurea della Facoltà di Architettura) e quella di un Corso di Laurea della Facoltà di Architettura in Pianificazione Territoriale Urbanistica Ambientale (PTUA) che privilegiò l’ampliamento dei contributi formativi nelle politiche sociali e economiche. Pochi anni dopo, in seguito a un accordo tra i presidi Osvaldo De Donato e Cesare Stevan, il Corso di Laurea quinquennale in Ingegneria


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Edile-Architettura fu istituito a Lecco e non a Milano, mentre un analogo corso si insediò nell’Università di Pavia, adottando in entrambi i casi la Direttiva Europea. Contestualmente, i Corsi di studio in Tecnico dell’Edilizia (triennale) e in Architettura (completo di Laurea triennale e magistrale) si insediarono nel Polo di Mantova che avrebbe dovuto specializzarsi in Restauro. Nel Polo di Piacenza, si insedierà il Corso di studi della Prima Facoltà di Architettura in “Progettazione Architettonica dei luoghi della mobilità e Urbanistica dei tempi urbani” con Laurea triennale nella classe Urbanistica e Scienze della Pianificazione Territoriale e Ambientale. Per gli approfondimenti si veda a questo proposito l’Istituzione dei Poli nel capitolo 4 (paragrafo 4.4). Con l’istituzione dei Dipartimenti e di più Facoltà si ottenne un’organizzazione di struttura matriciale, in cui un lato della matrice è rappresentato dai Dipartimenti e l’altro dalle Facoltà. I Dipartimenti, presenti in Senato con il presidente del loro coordinamento, costituiscono i serbatoi di risorse qualificate il cui compito principale è lo sviluppo delle risorse soprattutto per lo svolgimento delle attività di ricerca e per il personale docente da fornire alle varie Facoltà. Le Facoltà, presenti in Senato con i loro Presidi, possono dedicarsi all’organizzazione della didattica differenziando i percorsi formativi sulla base della domanda e delle risorse disponibili. A questo punto, la struttura dell’Ateneo fu più “governabile” e permise l’identificazione di una strategia complessiva, armonizzando, da un lato, le varie proposte strategiche delle diverse unità costituenti l’Ateneo e, dall’altro lato, lasciando agli organi di governo centrale la proposta e l’adozione di strategie complessive, pur permettendo ai Dipartimenti e alle Facoltà un margine di autonomia. Pertanto, sia per i Dipartimenti che per le Facoltà, poteva essere più agevole individuare i principali criteri di valutazione che avrebbero permesso, agli organi di governo dell’Università, di ripartire nel modo più opportuno le risorse. Viceversa, da un punto di vista “teorico”, i Dipartimenti avrebbero potuto lavorare in una logica di merito oltre che di leale collaborazione con le stesse Facoltà. Proprio per questo, anche alle Facoltà fu assegnato un certo importo di risorse in base al quale la Facoltà stessa poteva acquisire da un Dipartimento la risorsa docente che riteneva migliore per raggiungere gli obiettivi dei propri percorsi formativi eventualmente entrando anche in contrasto con un Dipartimento piuttosto che con altre Facoltà. D’altra parte il Dipartimento aveva tutto l’interesse ad elevare sempre di più la qualità dei propri docenti sia per il mercato interno (le Facoltà) che per quello esterno. In sintesi, tutte queste scelte furono attuate nella prospettiva di ottenere: a) una forte capacità di attrazione degli studenti sulla base della qualità dei docenti e delle ricerche e della valutazione del mercato esterno misurato, ad esempio, dal grado di successo nei bandi di ricerca regionali, nazionali e, soprattutto, internazionali; b) una forte capacità di accedere a più tipi di risorse e la disponibilità da parte dei docenti di condividere le risorse disponibili;


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c) una caratterizzazione prevalentemente disciplinare, per ingegneria, e tematica, per architettura, concentrando la ricerca nei Dipartimenti mentre, la Facoltà, oggi Scuola, ha il compito di organizzare le migliori prestazioni per la didattica. Il processo di trasformazione sembrò aver dato risultati soddisfacenti come confermato anche dai colloqui con alcuni dei colleghi che sono stati promotori o hanno, più semplicemente, partecipato alle scelte di allora permettendo all’Ateneo di avere una posizione di vantaggio nei confronti di altre università che, nel processo, hanno incontrato maggiori difficoltà, soprattutto nel rapporto con il mercato della ricerca dove andava crescendo la domanda su temi e problemi affrontabili con più competenze.

2.2 Le relazioni con l’esterno e all’interno e le strutture centrali Un altro aspetto caratterizzante il periodo preso in esame riguardò il rapporto del Politecnico con il mondo esterno, in particolare con il sistema produttivo e industriale e con il governo locale e nazionale. Si trattava di rinforzare e, in parte, di riorganizzare la collaborazione istituzionale con il mondo delle imprese, sempre esistito, ma spesso prevalentemente a livello “individuale”, di uno specifico gruppo di ricerca o, addirittura, del singolo docente. Si trattava, pertanto, di dimostrare in modo chiaro che, al di là della giusta e necessaria collaborazione con persone o gruppi che, anzi, dovevano essere ulteriormente stimolati e potenziati, il rapporto era anche con l’istituzione Politecnico nella sua totalità. Per fare un esempio particolarmente significativo, anziché lasciare “liberi” i singoli (persone, gruppi o, addirittura istituti) di fare domanda di finanziamento su specifici progetti alla Fondazione Cariplo si chiese a tutti di far pervenire al centro (Rettorato) le singole domande, per poterle eventualmente organizzare in progetti di maggiore rilevanza, in modo di facilitare anche la loro valutazione: questo fu un successo di qualche rilievo, dopo aver vinto la perplessità diffusa di “cedere” la propria idea. Che il Politecnico trattasse globalmente un proprio insieme di progetti rendeva tutti più forti. Così come la possibilità di presentarsi alla singola azienda con una molteplicità di competenze spesso risultò essere l’arma vincente, in quanto in molti casi il problema da affrontare risultava “complesso” e, pertanto bisognava affrontarlo in modo multidisciplinare e non già con un approccio specialistico e settoriale. Proprio questo era un fattore fondamentale nel presentarsi in modo unitario. Ma il più stretto rapporto con il mondo esterno permetteva anche al Politecnico di mettere a punto nuovi indirizzi, sia didattici che di ricerca. Dallo sviluppo di Ingegneria Gestionale, che copriva una carenza nell’offerta formativa fino ad arrivare, in periodi successivi, alla Ingegneria dell’Ambiente, ai Nuovi Materiali, alla Ingegneria Matematica, novità assoluta nei percorsi degli studi in tutta Italia e alla Ingegneria Fisica, fino ad attivare un percorso di Laurea in Ingegneria Edile e Architettura.


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Il più intenso e proficuo rapporto con il mondo esterno significava anche sviluppare il ruolo del Politecnico nei confronti del territorio, quale fattore di sviluppo economico, culturale e sociale, incrementando la “capacità di attrazione” relativamente a persone, industrie, finanza. Ma quanto si è detto prima implicava una forte ristrutturazione organizzativa: da quella della istituzione di più Facoltà, allo sviluppo e alla crescita di autonomia dei Dipartimenti, alla promozione e sostegno di più Centri, sia specialistici sia interdipartimentali, e con strutture giuridiche diverse e, in alcuni casi, partecipate anche da soggetti esterni. A tutto ciò si aggiungeva la necessità-opportunità di rivedere le procedure interne, in particolare quelle relative alla ripartizione di risorse. Due sembrano essere state le direttrici principali. La decisione di rimandare al centro la decisione sugli investimenti di notevole importanza, a partire dai laboratori tecnologici, di grande interesse per la ricerca e le possibili applicazioni, anche quando non era elevato il numero di docenti e ricercatori implicati, quali, ad esempio, la Galleria del Vento e il Laboratorio LAST, in cui, soprattutto il primo, si è rivelato essere di grande successo. E con investimenti di supporto specifico alle nuove iniziative didattiche e di ricerca, come quelle di Ingegneria Matematica e di Disegno Industriale. La seconda decisione ha riguardato la procedura di valutazione e la scelta dei criteri di ripartizione delle risorse. L’idea, a posteriori, è sembrata essere banale. Normalmente la decisione di ripartire le risorse, in ambito universitario, si è dimostrata essere particolarmente difficile, in quanto i criteri quantitativi si sono sempre dimostrati eccessivamente semplicistici e, d’altra parte, una valutazione qualitativa risulta sempre più difficile, in quanto si devono confrontare aspetti molto diversi per quanto concerne aree di competenze, possibilità di sviluppi futuri sia scientifici sia applicativi, necessità di massa critica. Allora ci si è basati su un semplice assunto: chi può aiutare in questa opera di valutazione? La risposta esiste ed è positiva: dai programmi europei, da enti di ricerca nazionali ed internazionali, da Fondazioni e da una singola impresa. Se ciascuno di questi enti ha deciso di premiare un dato progetto o un gruppo e se l’ente stesso è valutato essere complessivamente di qualità, una parte dell’istruttoria di valutazione è fatta e, quindi devono essere premiati ulteriormente coloro che sono stati ritenuti di valore. Il che ha anche stimolato i Dipartimenti, i centri ed anche gruppi di ricerca, singoli e aggregati, a presentare domande al mondo esterno, conoscendo che la valutazione esterna sarebbe stata molto utile per la stessa valutazione interna. E questo valeva anche per la richiesta di trasferimento di docenti e ricercatori, così come per la capacità di attrazione di docenti e ricercatori di qualità. Negli stessi anni, viene avviata anche la riorganizzazione che ha coinvolto gli uffici amministrativi e tecnici dell’Ateneo, compresi i centri di servizio per la didattica e per la ricerca, cioè tutte le principali strutture che presiedono al funzionamento dell’Ateneo al suo interno e per i rapporti con il contesto esterno. La riorganizzazione


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dell’Ateneo è proseguita fino ai primi anni del 2000 con l’istituzione dei Dipartimenti Amministrativi e con la nomina di alcuni dirigenti. Fino agli anni ’90, l’Ateneo aveva un unico dirigente e più funzionari che svolgevano attività dirigenziali con competenza ma senza che fosse loro riconosciuto il ruolo. Pertanto, si procedette all’individuazione di più settori di attività cui potevano corrispondere altrettante responsabilità dirigenziali che avrebbero dovuto gestire più procedure e pratiche svolte dal personale afferente a ciascun settore in coerenza con gli obiettivi e con le delibere degli organi di governo dell’ateneo, Rettore, Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione. Questa riorganizzazione interessò molte persone, da quelle che già svolgevano funzioni apicali fin a tutto il personale tecnico amministrativo (cfr., tabella 1), un piccolo grande esercito di più di 800 persone di personale tecnico amministrativo, indispensabile per la gestione del rettorato (dal Servizio per la comunicazione e i rapporti con l’esterno al servizio per il protocollo delle pratiche), dei Dipartimenti e delle Facoltà con ruoli che vanno dalla collaborazione nelle ricerche al sostegno della didattica e dai servizi per l’accesso alle biblioteche, agli archivi e alla produzione di dispense e di cartografie tematiche digitali, dall’informatizzazione delle procedure amministrative, degli esami e dei curricula per le lauree e per i dottorati alla progettazione, ristrutturazione e manutenzione degli edifici dell’Ateneo (alcuni costruiti all’inizio del secolo scorso e altri più recenti, da costruire ex novo e da assoggettare a gara d’appalto). Inoltre, si dovrebbe citare, anche se coinvolto solo indirettamente da questa riorganizzazione, il personale dei centri di ricerca, partecipati da soggetti esterni al Politecnico e finalizzati a costruire ponti tra l’Ateneo e il mondo esterno, per sviluppare iniziative didattiche e ricerche su temi e settori specifici, come per esempio il MIP, il Cefriel e il Metid, Corecom e Cineas e altri centri già citati come l’Acceleratore d’impresa e l’Ufficio Brevetti. Per il funzionamento dell’Ateneo, possiamo ricordare, sempre come esempio, gli uffici dell’amministrazione centrale del rettorato, del personale docente e tecnico amministrativo, delle segreterie amministrative dei Dipartimenti e dei Poli della rete, delle segreterie studenti, delle biblioteche dei Dipartimenti, diventate poi biblioteche centralizzate; quello per le convenzioni con enti esterni, il centro stampa, l’economato, il centro di informatizzazione dell’Amministrazione, il Centro per la Grafica Informatizzata, il Centro di Documentazione della Facoltà di Architettura CeDar), il Centro della Storia dell’Ateneo (Cesa), il Centro di Cinematografia scientifica e l’Associazione Laureati Politecnico (Alumni). Tra gli uffici, su citati, ne devono essere sottolineati due: l’Ufficio Tecnico (resp. l’ing. Giancarlo Scagliotti) per il ruolo centrale che ha avuto nei confronti dello sviluppo edilizio dell’Ateneo e il Servizio per la Comunicazione e i rapporti con l’esterno (resp. la dott.ssa Maria Luisa Sangiorgio), una iniziativa molto innovativa per le Università pubbliche che anticiperà, anche se per le funzioni rivolte ai soli utenti dell’Ateneo, l’Ufficio Rapporti con il Pubblico (URP), voluto dal Ministero.


36

Tanti uffici e centri, ma soprattutto tante persone che hanno partecipato al processo di istituzione dei Dipartimenti Amministrativi e di attività specialistiche e che, al di là delle mansioni e delle posizioni in cui erano collocate, hanno risposto positivamente ai tanti cambiamenti introdotti, all’ esigenza di aggiornare e snellire i processi decisionali e a una partecipazione attiva alle innovazioni amministrative e alla ricerca, contribuendo all’ incremento delle risorse per tutto l’Ateneo con ricadute positive anche sulla retribuzione del personale tecnico amministrativo con un contributo di base riconosciuto a tutti e soprattutto con un secondo contributo erogato secondo criteri di merito. Per questi contributi fu predisposto un regolamento per la ripartizione dei proventi delle commesse ”Conto terzi“, ai sensi dell’autonomia regolamentare riconosciuta ai rettori ex lege 168-1989, che richiese la condivisione dei Dipartimenti sia delle trattenute loro imposte sulle ricerche e sulle commesse di privati (una sorta di riconoscimento dell’uso di spazi e di attrezzature), sia dei criteri di dimensionamento e di ripartizione del fondo da destinare al personale tecnico amministrativo, lasciando ovviamente ai docenti ricercatori una loro maggiore autonomia sull’uso delle risorse rimanenti. Tra i criteri di merito si individuarono da un lato la capacità di risolvere i problemi, che inevitabilmente emergevano, con le migliori soluzioni possibili e entro i termini di legge e, dall’altro lato, la consapevolezza che la corretta esecuzione della propria mansione avrebbe richiesto la conoscenza di tutti i passaggi per portare a buon fine anche la più semplice pratica. A questo proposito è sufficiente un’annotazione, tutt’altro che banale. Negli anni ’90, tutti i fornitori del Politecnico hanno potuto contare sulla liquidazione di ogni fatturazione entro il rispettivo mese di emissione, fatto che incise positivamente anche sul potere contrattuale dell’Ateneo. Pertanto, a conclusione di questo paragrafo, si può sostenere che l’attività di quegli anni diede, a molti e a tutti i livelli, l’opportunità di mettersi alla prova anche da posizioni critiche, in una istituzione che chiedeva molto, ma che dava anche molto in termini di professionalità e di riconoscimenti importanti, al di là delle retribuzioni che rimanevano comunque contenute. Di seguito si riportano alcuni grafici e tabelle che documentano: con il grafico 1a la situazione nel 20012002 dell’organizzazione dell’Ateneo, da confrontare con il grafico 1b, l’organizzazione introdotta successivamente e improntata a una separazione tra amministrazione e gestione delle strutture dell’Ateneo; con i grafici 2 e 4, l’articolazione delle Facoltà e dei Dipartimenti con i successivi cambiamenti intervenuti entro il 2010 e oltre. Fanno da sfondo il grafico 3: l’andamento del totale degli studenti iscritti, distinto per Architettura e per Ingegneri e la tabella 1, già citata, sull’andamento del totale dei docenti distinto per i livelli di ordinario, associato e ricercatore; l’andamento del totale del personale distinto tra personale amministrativo e tecnico e di seguito le tabelle 2a e 2b sugli iscritti anche per livelli dei corsi di Laurea, diplomi e stranieri e le tabelle 3a, 3b e 3c con l’andamento dei laureati per Facoltà e i laureati per livello di Laurea e i laureati stranieri dall’anno in cui questi ultimi hanno un’evidenza statistica.


37

Grafico 1a sopra L’organizzazione dell’Ateneo al 2001-2002

Grafico 1b sotto La riorganizzazione dell’Ateneo situazione al 2007


38

Grafico 2 sopra Le Facoltà tematiche. Offerta didattica nell’a.a. 2001-2002 e dal 2014-2015

Grafico 3 sotto Totale degli studenti iscritti, distinto per Architettura e per Ingegneria


39

Grafico 4 Il quadro dei Dipartimenti nel 2002 e dall’anno 2015


40 a.a.

CL Ing

CL Arch

CL Des

DU Ing

DU Arc

T Ing

T Arch

T Des

LS Ing

LS Arch

LS Des

1988-89 19.200 16.608

LSCU Totale Ing 35.808

1989-90 21.374 17.537

38.911

1990-91 23.155 17.794

40.949

1991-92 25.581 18.846

44.427

1992-93 27.415 20.896

575

48.886

1993-94 28.271 20.810

885

49.966

1994-95 27.098 19.945

1.055

58

48.156

1995-96 26.406 19.423

1.059

106

46.994

1996-97 25.268 18.894

1.364

187

45.713

1997-98 24.186 18.238

1.811

239

44.474

1998-99 22.921 17.326

2.389

275

42.911

1999-00 21.923 16.407

2.667

268

41.265

2000-01 17.410 10.838

2.516

1.707

195

2001-02 13.348

8.771

2.028

1.028

114

10.329

3.251

1.546

40.415

2002-03 10.369

6.660

1.559

249

19

15.499

5.126

2.461

41.942

2003-04 7.780

4.926

1.112

15.650

5.539

2.716

5.571

1.772

848

40.857

2408

852

500

41.483

2004-05

4839

3224

593

15924

6029

2899

4999

1787

1096

41.390

2005-06

2737

1930

252

15262

6216

2955

7031

2619

1483

40.485

2006-07

1802

1207

154

14930

6442

2932

7397

2839

1520

39.223

2007-08

1262

868

110

14647

6559

2981

7345

2760

1539

38.071

2008-09

911

588

56

14735

6514

2909

7389

2909

1441

37.452

2009-10

736

473

43

15357

6450

2857

7595

3038

1402

37.951

2010-11

606

395

38

15765

6635

2966

7847

3376

1434

39.062

2011-12

518

316

34

16133

6502

2856

8123

3340

1454

39.276

2012-13

450

261

31

17180

6396

2765

8634

3434

1439

40.590

2013-14

371

201

22

17762

5961

2546

9078

3468

1420

40.829

2014-15

323

164

17

18615

5140

2648

9281

3438

1448

41.074

2015-16

278

132

11

19209

4559

2658

10082

3368

1325

41.622

2016-17

250

114

8

19613

4163

2779

11167

3475

1417

42.986

Tabella 2a Totale degli studenti iscritti al Politecnico dal 1988-1989 con evidenziato il totale per Corso di Laurea, Diplomi Universitari, per Corsi di Laurea Triennale, Laurea Specialistica e Laurea Quinquennale LSCU


41 a.a. 1988-89

Totale stranieri

CL Ing

CL Arch

CL Des

T Ing

T Arch

T Des

LS Ing

LS Arch

LS Des

35.808

1989-90

38.911

1990-91

40.949

1991-92

44.427

1992-93

48.886

1993-94

49.966

1994-95

48.156

1995-96

46.994

1996-97

45.713

1997-98

44.474

1998-99

42.911

1999-00

41.265

2000-01

40.857

2001-02

40.415

2002-03

41.942

2003-04

41.483

750

54

97

15

266

170

112

11

15

10

2004-05

41.390

886

34

83

12

339

173

118

36

56

35

2005-06

40.485

1247

20

53

6

394

225

144

209

90

106

2006-07

39.223

1580

15

31

4

445

241

161

382

144

157

2007-08

38.071

1985

15

24

4

572

282

196

467

217

208

2008-09

37.452

2301

9

11

2

674

331

191

572

265

246

2009-10

37.951

2582

3

9

1

655

423

193

720

336

242

2010-11

39.062

3162

2

9

0

679

590

203

947

465

267

2011-12

39.276

3403

2

6

1

693

623

210

1046

548

274

2012-13

40.590

3719

2

5

1

734

658

193

1136

680

310

2013-14

40.829

3941

1

5

0

727

655

174

1281

782

316

2014-15

41.074

4231

1

4

0

743

606

179

1411

884

403

2015-16

41.622

4725

1

3

0

756

562

179

1731

1017

476

2016-17

42.986

5511

1

2

0

757

521

200

2241

1260

529

Tabella 2b Totale degli studenti iscritti al Politecnico dal 1988-1989, con evidenziato il totale degli studenti stranieri iscritti per Corso di Laurea dal 2003-2004 distinti per Laurea Triennale e Laurea Specialistica


10 20 20 24 28 32 48 18 14 23 21 21 20 55 40 39 48 50 68 74 65 37 66 53 60 92 106 88 76 131 115 109 118 163 208 681 301 438 402 272 433

M Des

M Ing

M Arch

T Des

T Arch

250 240 230 220 210 200 200 200 200 170 230 216 155 157 105 150 123 194 298 339 416 418 373 353 351 297 342 244 311 352 292 323 354 379 427 427 481 582 578 679 688 683 751 822 835 1016 927

T Ing

1927-28 1928-29 1929-30 193031 1931-32 1932-33 1933-34 1934-35 1935-36 1936-37 1937-38 1938-39 1939-40 1940-41 1941-42 1942-43 1943-44 1944-45 1945-46 1946-47 1947-48 1948-49 1949-50 1950-51 1951-52 1952-53 1953-54 1954-55 1955-56 1956-57 1957-58 1958-59 1959-60 1960-61 1961-62 1962-63 1963-64 1964-65 1965-67 1966-67 1967-68 1968-69 1969-70 1970-71 1971-72 1972-73 1973-74

CL Arch

DU Arc

CL Ing

DU Ing

a.a. - a.s

CL Des

42 Totale 250 240 230 220 210 200 210 220 220 194 258 248 203 175 119 173 144 215 318 394 456 457 421 403 419 371 407 281 377 405 352 415 460 467 503 558 596 691 696 842 896 1364 1052 1260 1237 1288 1360

Tabella 3a Totale laureati del Politecnico distinti per i corsi di Laurea Ingegneria e Architettura dal 1927 al 1992-1993


Tabella 3b Totale laureati al Politecnico distinti per Corsi di Laurea, Diplomi Universiari e livelli di Laurea dal 19931994 al 2016-2017

a.a. - a.s CL Ing

CL CL Arch Des

DU Ing

1993-94 1994-95 1995-96 1996-97 1997-98 1998-99 1999-00 2000-01 2001-02 2002-03 2003-04 2004-05 2005-06 2006-07 2007-08 2008-09 2009-10 2010-11 2011-12 2012-13 2013-14 2014-15 2015-16 2016-17

1672 1810 1985 2020 2151 2294 2094 1788 1932 1521 1437 1472 1293 772 312 145 81 53 40 31 26 18 23 12

101 193 201 235 183 318 490 512 700 636

2248 2461 2565 2864 2838 2706 2734 2595 2525 2566 2870 2469 2385 956 441 196 121 63 38 31 19 15 17 6

380 435 478 398 126 36 27 16 4 4 4 6 0 2 2

M Des

M Ing

780 592 597 615 969 1168 1016 1000 975 950 1025 1050 1100 1200 1294 1175 1195 1255 1310

M Arch

1108 1075 1112 1048 1016 1051 1066 1050 1050 1075 1025 1050 1100 1150 1179 1419 1484 1635 1849

T Des

1974-75 1975-76 1976-77 1977-78 1978-79 1979-80 1980-81 1981-82 1982-83 1983-84 1984-85 1985-86 1986-87 1987-88 1988-89 1989-90 1990-91 1991-92 1992-93

T Arch

CL Arch

T Ing

CL Ing

DU Ing

a.a. - a.s

DU Arc

Tabella 3a segue

CL Des

43 Totale 1888 1667 1709 1663 1985 2219 2082 2050 2025 2025 2050 2100 2200 2350 2473 2594 2679 2890 3159

DU Arc

9 24 67 46 75 84 105

T Ing

2186 2893 2991 2805 2838 2746 2728 2670 2910 2895 3118 3337 3456 3770

T T Arch Des

891 867 1098 1136 1120 1415 1358 1384 1366 1383 1431 1530 1456 1309

536 569 658 703 712 754 738 685 766 798 780 711 734 691

M Ing

M M Totale Arch Des

0 0 575 1787 2253 2324 2318 2117 2374 2383 2558 2895 2970 3108

4021 4464 4751 5128 5196 5385 5364 4970 5241 5208 8355 8748 9662 9125 8907 9000 8711 8298 9031 8981 9630 10123 10412 10580

0 0 87 489 808 887 865 895 1101 1030 1235 1162 1237 1196

0 0 177 351 387 506 486 427 432 426 457 455 517 486


44 a.a-a.s.

Totale

Stranieri

2003

8355

69

2004

8748

113

2005

9662

95

2006

9125

107

2007

8907

251

2008

9000

382

2009

8711

435

2010

8298

563

2011

9031

597

2012

8981

721

2013

9630

845

2014

10123

972

2015

10412

1048

2016

10580

1082

2.3 I livelli di Laurea e la Scuola di Dottorato I livelli di Laurea L’importante esperienza dei Diplomi, per cui si rinvia al capitolo successivo, ha contribuito e, per certi aspetti, ha anticipato la scelta di distinguere il livello di Laurea Triennale dal livello di Laurea Magistrale, introdotta sulla base degli esiti del Processo di Bologna del 1999, incontrando per la Laurea Triennale gli stessi aspetti favorevoli e sfavorevoli prima descritti per i Diplomi Universitari. A questo proposito, possiamo ricordare anche altri aspetti: –– il lavoro della Commissione nazionale, istituita dal Ministro della pubblica istruzione e dell’Università Berlinguer, che accompagnò la formulazione degli esiti del Processo di Bologna e a cui parteciparono anche alcuni docenti del Politecnico, tra cui il prof. Cesare Stevan in rappresentanza delle Facoltà di Architettura italiane; –– la resistenza dei docenti con più esperienza a insegnare negli anni del triennio oltre alla pressione delle famiglie per far riconoscere a conclusione del livello di Laurea triennale il titolo di dottore seppure con l’obbligo, che nessuno controlla, di specificare il livello di Laurea.

Tabella 3c Totale laureati del Politecnico con evidenziati i laureati stranieri a partire dal 2003, anno la cui presenza ha evidenza statistica


45

Non a caso, in occasione di una delle prime proclamazioni delle Lauree Triennali ci fu una forte reazione dei famigliari alla specificazione del presidente della commissione che ebbe l’ardire di ricordare che i laureati triennali avrebbero dovuto accompagnare al titolo di dottore il livello di Laurea. Fatto che conferma che a fronte di una distinzione nel merito, non c’è verità che tenga: l’approssimazione è sempre preferibile, come uno slogan al posto di una considerazione articolata: come la nebbia che offusca la realtà e rende indistinguibili i comportamenti virtuosi da quelli non virtuosi. Dopo una lunga discussione, l’Ateneo ha adottato una organizzazione del percorso formativo secondo una sequenza lineare invece di aderire a quella che fu la proposta iniziale. Tale ipotesi sarebbe stata quella di organizzare un percorso formativo che dopo un anno comune avrebbe dovuto dividersi in due direzioni: una corta e l’altra più lunga. Cioè in due percorsi: il primo, di ulteriori due anni, finalizzato a formare figure professionali con il contributo di docenti provenienti anche dal mondo imprenditoriale e delle professioni; il secondo, di ulteriori quattro anni, orientato a preparare figure con un profilo dirigenziale e da ricercatore, con un tipo di lauree teoriche e sperimentali, da inserire anche nell’ambito degli accordi per la doppia Laurea, come quelle del progetto TIME di cui si parla nel paragrafo sull’internazionalizzazione. Una scelta impegnativa, che avrebbe ripreso anche la prestigiosa tradizione delle scuole tecniche presenti non solo nella regione Lombardia e che, se si confrontano i rispettivi contenuti, sarebbero state paragonabili alle lauree triennali dei paesi europei che nelle classifiche internazionali vengono inseriti tra quelli con il numero di laureati più alto e con una minore età media. Viceversa, la scelta adottata fu quella di una Laurea triennale che difficilmente può preparare una figura professionale ben definita e che ha influito nel favorire la continuazione degli studi fino alla Laurea magistrale da parte della maggioranza degli studenti. Così, contrariamente alle ipotesi, la durata media degli studi fino alla Laurea magistrale si mantiene sensibilmente alta negli anni 98-99 (cfr., tabelle 4 e 4a) da confrontare sia con l’andamento delle carriere che registra percentuali di ritiro nel corso della Laurea triennale più alte rispetto a quelle delle lauree magistrali, sia con le tabelle 5 e 6) e con le carriere del corso quinquennale in architettura e Ingegneria edile (tabella 7). Fu lasciata alle singole Facoltà la caratterizzazione della tesi di Laurea di primo livello che in alcuni casi fu caricata di crediti (per esempio nel caso di Architettura), mentre in altri (per esempio nel caso di Ingegneria) furono lasciate aperte due possibilità: quella di una semplice riflessione sul percorso formativo già fatto, oppure di un lavoro più impegnativo concordato, talvolta, anche con una impresa esterna. Due scelte indipendenti dal tipo e dalle difficoltà del percorso di formazione triennale; l’unica differenziazione è legata all’incremento del punteggio finale.


46 Università

Tasso 97-98 98-99

Tasso 98-99 99-00

Milano S. Raffaele

-3,9%

-1,8%

Milano Bocconi

6,2%

6,5%

Milano UILM

5,0%

7,8%

Milano Politecnico

10,9%

13,1%

Pavia

17,1%

13,6%

Brescia

28,4%

16,4%

Bergamo

30,1%

16,5%

Milano Cattolica

14,1%

17,0%

Bolzano – Libera Università

n.d.

20,8%

Milano Bicocca

29,0%

26,6%

Milano Università Statale

30,3%

32,7%

Padova

22,8%

22,5%

Bologna

16,3%

17,1%

Napoli S.Orsola

n.d.

14,3%

Napoli Orientale

21,1%

19,0%

Napoli II Università

22,3%

21,0%

Napoli Federico II

26,9%

25,1%

Napoli Navale

38,0%

33,6%

Roma Luiss

4,9%

1,4%

Roma – Scienze motorie

n.d.

1,6%

Roma Campus biomedico

5,6%

5,3% 5,9%

Roma S.Pio V

21,7%

Roma LUMSA

6,4%

6,4%

Roma Tre

21,0%

11,1%

Roma La Sapienza

34,1%

21,5%

Roma Tor Vergata

39,4%

38,4%

Torino

7,1%

14,8%

97-98 98-99

98-99 99-00

4,6%

6,7%

Architettura – Lauree Architettura – Diplomi

7,6%

1,5%

Architettura

4,7%

6,5%

Ingegneria – Lauree

15,4%

17,9%

Ingegneria – Diplomi

10,1%

16,4%

Ingegneria

14,6%

17,6%

Lauree

11,4%

13,9%

Diplomi

9,9%

15,2%

Totale

11,2%

14,1%

Tabelle 4a Università italiane: tasso di abbandono precoce calcolato confrontando gli iscritti con un anno di anzianità accademica, A.A. “x”, e gli iscritti con due anni di anzianità accademica, A.A. “x+1”, pre adozione delle lauree triennali e magistrali

Tabelle 4b Politecnico di Milano: tasso di abbandono precoce calcolato confrontando gli iscritti con un anno di anzianità accademica, A.A. “x”, e gli iscritti con due anni di anzianità accademica, ’A.A. “x+1”, pre adozione delle lauree triennali e magistrali


47 L triennale

Tabella 5 Politecnico di Milano: carriere lauree Ingegneria e Architettura triennali con tasso di successo e di abbandono

% Laureati

% Studenti

% Ritiri

aa00-01

tot

7246

69,7

0,0

30,3

aa01-02

tot

6822

71,3

0,0

28,7

aa02-03

tot

7013

67,1

0,1

32,9

aa03-04

tot

7132

66,5

0,0

33,4

aa04-05

tot

7387

65,7

0,1

34,1

aa05-06

tot

6495

67,7

0,1

32,1

aa06-07

tot

6343

68,5

0,3

31,2

aa07-08

tot

6498

68,3

0,3

31,3

aa08-09

tot

7030

68,5

0,5

31,0

aa09-10

tot

7405

67,1

1,4

31,5

aa10-11

tot

7301

69,4

3,5

27,1

aa11-12

tot

7499

65,8

7,7

26,5

aa12-13

tot

8106

60,2

14,3

25,5

aa13-14

tot

7587

46,8

33,1

20,2

aa14-15

tot

7394

0,0

82,7

17,3

aa15-16

tot

7581

0,0

89,2

10,8

aa16-17

tot

7610

0,0

100,0

0,0

ingressi

% Laureati

% Studenti

% Ritiri

L magistrale

Tabella 6 Politecnico di Milano: carriere lauree Ingegneria e Architetturamagitrali con tasso di succeso e di abbandono

ingressi

aa03-04

tot

3390

91,7

0,1

8,2

aa04-05

tot

4110

90,7

0,2

9,1

aa05-06

tot

4789

87,5

0,3

12,3

aa06-07

tot

3680

90,0

0,2

9,8

aa07-08

tot

3696

91,7

0,1

8,2

aa08-09

tot

4020

91,2

0,5

8,4

aa09-10

tot

4046

90,0

0,8

9,2

aa10-11

tot

4247

90,9

1,0

8,1

aa11-12

tot

4487

92,1

1,7

6,2

aa12-13

tot

4786

89,2

3,2

7,6

aa13-14

tot

5071

83,8

9,6

6,6

aa14-15

tot

4899

49,1

45,0

6,0

aa15-16

tot

5657

0,0

96,8

3,2

aa16-17

tot

6335

0,0

100,0

0,0


48 L ciclo unico aa00-01 aa01-02 aa02-03 aa03-04 aa04-05 aa05-06 aa06-07 aa07-08 aa08-09 aa09-10 aa10-11 aa11-12 aa12-13 aa13-14 aa14-15 aa15-16 aa16-17

ingressi ing ing ing ing ing ing ing ing ing ing ing ing ing ing ing ing ing

120 90 122 99 123 125 154 151 148 151 148 144 144 119 107 111 113

% Laureati cu 66,7 56,7 65,6 61,6 69,1 52,8 54,5 49,0 43,9 46,4 28,4 4,9 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0

% Laureati tr 1,7 0,0 0,0 2,0 0,0 2,4 7,1 6,0 13,5 4,0 8,8 2,1 5,6 0,8 0,0 0,0 0,0

% Studenti

% Ritiri

2,5 2,2 1,6 8,1 0,8 4,8 7,1 5,3 10,8 19,2 34,5 68,1 70,1 81,5 85,0 84,7 100,0

29,2 41,1 32,8 28,3 30,1 40,0 31,2 39,7 31,8 30,5 28,4 25,0 24,3 17,6 15,0 15,3 0,0

La Scuola di Dottorato Il Dottorato di Ricerca costituisce il più alto livello di formazione nell’ordinamento degli studi universitari e il suo obiettivo è preparare figure che abbiano le competenze per esercitare attività di ricerca e di gestione presso le imprese e i servizi delle imprese manifatturiere, degli enti pubblici e delle università. Il Politecnico offre l’opportunità di frequentare corsi di Dottorati a un numero di laureati, selezionato annualmente, e provenienti da più Atenei per acquisire competenze nella conduzione delle ricerche anche su temi di frontiera tra più settori e in sedi estere convenzionate con l’Ateneo. I Corsi di Dottorato del Politecnico di Milano vengono attivati nel 1985 e, nei primi anni, si sono appoggiati a convenzioni tra più sedi universitarie e tra più soggetti esterni per poter accedere a più risorse sia per quanto riguarda la docenza che per quanto riguarda i fondi disponibili. Nell’ambito di questi accordi si procedeva alla scelta dell’università che sarebbe diventata la sede amministrativa per la gestione di ciascun corso di Dottorato. Nel caso del Politecnico lo sviluppo più significativo dei Corsi di dottorato si è avuto, nel 2000, con l’istituzione della Scuola di Dottorato e con i cicli XV e XVI, attivati nel 2000 e 2001. Con L’istituzione della Scuola di Dottorato, diretta dal prof. Roberto Verganti, i Corsi di Dottorato vengono riconosciti come il terzo livello di formazione e i bandi di partecipazione sono aperti, in seguito a una selezione dei curricula e delle motivazioni, alla partecipazione di studenti con borsa di studio, sempre in numero molto contenuto, e a studenti che viceversa,

Tabella 7 Politecnico di Milano: carriera quinquennio EDA con tasso di successo e di abbandono


49

non hanno la borsa di studio. Con l’istituzione della Scuola di Dottorato, il Politecnico si muove ancora una volta in anticipo, rispetto agli Atenei italiani, non così rispetto alle esperienze di altri paesi europei e non europei che, già dalla fine degli anni ’90, hanno aperto le Scuole di Dottorato a una frequenza che proviene dal mondo delle professioni. C’è un cambiamento significativo delle motivazioni che sostengono l’iscrizione al Dottorato: non più solo giovani laureati ma anche figure già inserite nel mondo del lavoro che investono in proprio su percorsi di formazione specializzati. Significativo, a questo proposito, è l’istogramma del Grafico 5 che distingue, tra gli iscritti ai Dottorati del Politecnico, la crescita del numero degli iscritti senza borsa di studio registrati dal 1999 al 2001 a testimonianza dell’attrattività dell’offerta della Scuola di Dottorato. Pertanto, gli aspetti più rilevanti della Scuola di Dottorato, sono: –– la formazione di ricercatori con la possibilità di scegliere su un ampio ventaglio di figure professionali a cui i diversi corsi possono essere finalizzati; –– l’offerta di percorsi formativi strutturati su corsi di base e specialistici più appetibili a chi proviene dal mondo delle professioni; –– l’inserimento degli studenti in un ambiente in cui i dottorandi possono partecipare a progetti di rilevanza anche internazionale; –– l’offerta di poter partecipare a progetti inseriti in una rete di collaborazione con enti pubblici e privati; –– la possibilità di poter partecipare all’orientamento internazionale anche tramite lo scambio di studenti con università straniere; –– l‘organizzazione di momenti di verifica della qualità formativa dei corsi, coinvolgendo revisori internazionali e soggetti qualificati del mondo industriale e culturale anche nel momento dell’esame di merito dei dottorandi. In sintesi, la Scuola di Dottorato si è data l’obiettivo di: sostenere la collaborazione con imprese ed enti esterni rimuovendo una serie di vincoli burocratici che rendevano difficile l’istituzione di borse di studio da parte di soggetti esterni; attirare più dottorandi con l’incentivo di contributi esterni e di borse ministeriali (si veda, nel grafico 5, il dato delle borse di studio esterne triplicate in due anni); promuovere corsi trasversali offerti a tutti i dottorati rendendo la trasversalità un fatto concreto tra settori dell’Ingegneria, dell’Architettura e del Disegno Industriale; ampliare una formazione capace di misurarsi con approcci quantitativi e qualitativi. Un esempio è stato il corso di “epistemologia della ricerca scientifica” curato dal prof. Guido Nardi, autore di libri di alto profilo sulla cultura politecnica. Con questo fine è stata pensata anche la struttura della scuola che è formata da: la Direzione, con sei professori di ruolo, compreso il direttore, di diversi settori scientifico disciplinari; il Consiglio, composto dalla direzione, dai coordinatori di ogni Corso di Dottorato e da 4 rappresentanti dei dottorandi; il Comitato di riferimento distinto in uno generale per la scuola e uno per ogni Corso di Dottorato, entrambi collegati con il mondo sociale economico e culturale; dall’ufficio Dottorati di Ricer-


50

ca. Infine ci sono le convenzioni su temi suggeriti da soggetti esterni e su progetti da sviluppare in convenzione con i Consorzi partecipati dal Politecnico e con imprese di settore. L’esito della Scuola di Dottorato è interpretabile: a) come lo sviluppo di un clima di confronto, tutto interno all’Ateneo, congruente con lo sforzo di offrire più alternative di formazione a livello specialistico a cui concorrono più competenze; b) come l’apertura dell’università all’esterno per coinvolgere a livello della formazione del Dottorato giovani laureati, ricercatori e professionisti del più variegato mondo del lavoro provenienti da paesi europei e extra europei. Tuttavia, negli anni successivi l’attrattività del titolo di dottore per accedere ai concorsi di ricercatore universitari si è molto ridotta a causa della progressiva contrazione del numero di posti messi a concorso. Il Decreto Ministeriale dell’8 febbraio 94-2013 ha disposto che possono essere ammessi alle procedure concorsuali candidati anche senza borse di studio a condizione che sia previsto uno specifico fondo dedicato alla ricerca che possa coprire eventuali spese; e contestualmente ha fissato un numero minimo di borse di studio per ogni corso di Dottorato, mediamente pari a 6 e un minimo di 4. Pertanto se il XVII ciclo del 2002 poteva contare su 30 corsi di Dottorato, negli anni successivi c’è stata una riduzione costante fino al XIX ciclo. Oggi siamo al XXXIII ciclo e i corsi di Dottorato sono confermati nel numero di 18.

Grafico 5 Numero dei dottorati del XIV, XV, XVI ciclo


51

Tabella 8 Quadro dal 1985 dei cicli e degli iscritti distinti tra i dottorati Architettura, Design e Ingegneria e quelli con borsa di studio sul totale (ultima colonna a destra)

Anno

Ciclo

ARC

DES

ING

TOT iscritti ARC ingressi

DES

ING

di cui con borsa

85-86

1

15

0

52

67

86-87

2

12

0

51

63

87-88

3

13

0

54

67

88-89

4

22

0

61

83

89-90

5

22

3

68

93

90-91

6

23

4

68

95

91-92

7

25

5

83

113

92-93

8

27

4

76

107

93-94

9

28

6

77

111

94-95

10

27

3

72

102

95-96

11

30

3

76

109

96-97

12

33

3

87

123

97-98

13

31

5

80

116

98-99

14

31

8

81

120

99-00

15

53

8

108

169

00-01

16

66

11

153

230

519

01-02

17

63

9

147

219

601

02-03

18

68

15

201

284

742

03-04

19

69

24

187

280

732

04-05

20

75

21

214

310

844

05-06

21

82

16

177

275

874

06-07

22

79

14

207

300

888

07-08

23

78

18

192

288

865

08-09

24

61

20

176

257

851

250

53

548

583

09-10

25

66

16

274

356

914

232

48

634

575

10-11

26

89

17

265

371

980

236

52

692

590

11-12

27

84

23

285

392

1123

268

57

798

606

12-13

28

62

16

286

364

1073

222

54

797

649

13-14

29

56

17

299

372

1136

225

58

853

650

14-15

30

58

19

308

385

1170

213

58

899

695

15-16

31

56

19

228

303

1122

200

60

862

646

16-17

32

60

12

228

300

1067

196

55

816

631

17-18

33

54

14

244

312


52

Note 1   Anche se, per poter gestire l’alto numero di docenti per Facoltà, si poteva procedere, fissando ai primi punti dell’o.d.g. gli argomenti per i soli ordinari, poi quelli in cui potevano intervenire gli associati e, infine, quelli “per tutti” per rispettare, quando era prescritto, il numero legale e per attirare l’attenzione del Consiglio sui diversi punti. In molti casi, tuttavia, esisteva una pressione morale esercitata sui colleghi “amici”, da chi era particolarmente interessato alla approvazione (o alla ripulsa) di una scelta, per farli essere presenti anche se non così interessati, ricambiando poi il favore in altre circostanze. In altri casi, non esisteva una discussione approfondita e, da molti, il voto era dato per simpatia e per stima nei confronti di alcuni colleghi più che per una propria convinzione. 2   Si ricordi che si sta parlando degli anni ’60, ’70 e, in parte, degli anni ’80, quando su ogni tema affrontato le discussioni assumevano forti connotazioni e contrapposizioni politiche, acuite dal fatto che la L. 382/1980 già allora indicava, oltre alla costituzione dei Dipartimenti e alla stabilizzazione della docenza, il superamento delle Facoltà e l’articolazione della didattica in Corsi di Laurea. 3   Con riferimento alla vicenda dell’istituzione di alcune dirigenze per cui i direttori amministrativi di allora e alcuni di noi dovettero subire un’ammenda amministrativa si può consultare la sentenza di condanna numero 169 del 13-3-2008, facilmente reperibile sul sito della Corte dei Conti. Con detta sentenza, che consta di 83 pagine a stampa, si legge: «il comportamento dei direttori amministrativi... ha impedito agli altri membri del Consiglio di Amministrazione un’adeguata conoscenza della legalità degli incarichi...»; il comportamento stesso ha generato anche nei revisori dei conti (peraltro sempre concordi e presenti nel momento delle scelte) secondo i magistrati contabili, un ragionevole affidamento sulla legittimità delle delibere adottate. Quindi tutti gli altri convenuti sono stati assolti. Quanto alla cosidetta compensatio lucri cum damno, la nomina dei dirigenti non è stata giudicata solo illegittima, ma anche pletorica, ridondante ed inutile: non è stato quindi dimostrato il vantaggio a favore del Politecnico derivante dalla loro attività. A parte una limitata quota di danno prescritto, la richiesta di condanna del procuratore regionale dott. Armando Spadaro è stata accolta. Gli incarichi dirigenziali considerati per l'attribuzione della responsabilità contabile sono stati quattro (Fabrizio Pedranzini, Luca Bardi, Antonio Marcato e Chiara Pesenti, con decisioni del C.d.A. rispettivamente del 29-10-2002, 27-5-2003, 30-9-2003 e 28-9-2004) e sei (L. Mario Oldani, Diego Camarda, Cesare Leardini, Luciana Giliberto, Gianni L. Perego e Vittorio Luise, con le delibere del 21-3-2000 per i primi quattro e del 29-10-2002 per Perego e Luise). Nella sentenza 169 stessa sono stati citati altri dirigenti (Moscuzza, Scagliotti, Sangiorgio, Starone, Recubini, Di Gennaro e Licari) ma la loro nomina non ha determinato danno al pubblico erario.


Capitolo 3 Esperienze e innovazioni istituzionali

3.1  L’esperienza dei Diplomi Universitari Sempre negli anni ’90 e in base ad una serie di valutazioni, suffragate anche da confronti con altri paesi, emerse che uno dei problemi per il sistema economico italiano, consisteva nell’ingresso nel mondo del lavoro di persone qualificate, ma non giovanissime. A causa dell’alto numero dei fuori corso (un fenomeno meno consistente in altri paesi) l’età media di un neolaureato, soprattutto nelle formazioni tecnico scientifiche, era sopra i 27 anni quando la creatività della giovinezza, la voglia di “fare carriera” e/o la disponibilità al cambiamento, sono qualità e aspirazioni che stanno scemando. Divenne, pertanto, opportuno pensare a un percorso formativo, che permettesse di anticipare l’età dell’inserimento nel mercato del lavoro. A questo scopo, si istituirono i corsi di studio triennali di Diplomi Universitari finalizzati a formare figure professionali specializzate, trascurando contestualmente la qualità delle nostre scuole di istruzione secondaria, che storicamente hanno formato giovani (periti industriali, ragionieri e geometri) altamente qualificati che avrebbero potuto contribuire a coprire bene le nuove esigenze1. Un errore, dovuto, probabilmente a due fenomeni concomitanti. Innanzitutto, ci fu un certo abbassamento di livello o, meglio, un distacco dalla realtà produttiva dei percorsi formativi erogati dagli Istituti Tecnici, collegato a una parziale, o addirittura totale, sostituzione degli insegnanti provenienti dalla professione e dall’industria con professori, anche bravi, ma provenienti dalle liste dei Provveditorati agli studi e, pertanto lontani e addirittura digiuni nelle applicazioni delle tecnologie del mondo del lavoro. Come già accennato, la formazione tecnica professionale era fornita, prevalentemente, da professionisti provenienti dall’industria o dalle libere professioni che ritenevano un privilegio insegnare. Ma questo richiedeva una selezione da parte dei Presidi che, pertanto, avrebbero dovuto essere competenti in materie anche tecniche per poter valutare il lavoro dei docenti2. Un secondo aspetto riguardava il comune sentire della “famiglia media”. Storicamente, in Italia, si ritiene che uno dei fattori che può sostenere l’ascensore sociale è l’acquisizione di un titolo di studio soprattutto se il titolo è di provenienza universitaria. In questo senso, ci fu una pressione perché la legge conferisse il titolo di dottore anche a chi raggiunge il diploma di primo livello universitario, legge assolutamente ridicola rispetto all’intero mondo, in cui il titolo di


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dottore spetta solo a chi ha conseguito il dottorato di ricerca. Inoltre ogni famiglia, che si sacrifica per far studiare i figli, si sente in diritto di pretendere un titolo adeguato indipendentemente dai risultati successivi, quali, ad esempio, la possibilità di accedere, con maggiore probabilità di riuscita, al mondo del lavoro. Pertanto, anziché focalizzare l’attenzione sugli Istituti Tecnici, potenziando, ad esempio, le attrezzature e i laboratori, modernizzando l’insegnamento delle tecnologie e accentuando la presenza di docenti provenienti dalle professioni, si è preferito accettare un loro lento ma inesorabile declino, che, per fortuna, vede ancora alcuni esempi di valore, che hanno saputo mantenersi all’altezza del passato3. Si veda il caso dell’ISTIM (l’Istituto Superiore di Tecnologie Industriali Meccaniche di Milano in piazza General Cantore) che attivò anche un biennio post diploma, con la presenza, fra i docenti e i tecnici, di persone provenienti dallo stesso Istituto Tecnico, da professionisti d’azienda e da ricercatori universitari D’altra parte anche l’esperienza dei Diplomi è una vicenda non sempre riuscita anche se alcune esperienze sono state certamente positive come: –– quella del Diploma in Tecnico in Edilizia, promossa dalla Facoltà di Architettura del Politecnico in convenzione con l’Assimpredil e gestita dal prof. Guido Nardi che ne fu per molti anni il responsabile. –– quelle dei Diplomi in Ingegneria Logistica e in Ingegneria Meccanica della III Facoltà di Ingegneria Meccanica di Lecco, i cui diplomati hanno trovato occupazione dopo un tempo medio di attesa di poco più di un mese4. Purtroppo, i Diplomi attivati sono stati condotti nella disattenzione del governo centrale e locale e del sistema industriale e professionale: il percorso non dava un “titolo riconosciuto” e, quindi non era socialmente appetibile. E, a questo proposito, è necessario segnalare anche l’influenza delle informazioni provenienti dalle “statistiche”, che spesso sono prese per buone nonostante l’utilizzo di numeri costruiti non si sa come, né su quali fonti. La notizia della bassa percentuale, ribadita anche ai nostri giorni, di giovani con diplomi, lauree e dottorati, rispetto all’intera popolazione, diventa assoluta e oggettiva soprattutto se presentata con comparazioni internazionali. Ammesso che questi dati abbiano una base effettiva (il che è vero nella maggior parte dei casi, ma non sempre), non viene minimamente preso in considerazione il diverso curriculum studi, il profilo professionale e l’intero percorso formativo che varia, non poco, da paese a paese. Nelle statistiche degli anni ’70 ottimi studiosi e scienziati sostenevano che uno dei nostri problemi era che avevamo pochi ingegneri, ad esempio nei confronti dell’URSS e degli USA, quando si sapeva benissimo che, proprio in questi due grandi paesi, gli ingegneri valevano quanto (e in alcuni casi, meno) dei nostri periti industriali, cioè dei diplomati dei nostri Istituti Tecnici Superiori. La morale è che


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bisogna sempre fare molta attenzione alle statistiche che, talvolta, portano ad affermazioni e a azioni sbagliate o poco congruenti con la realtà dei fatti. Queste sono le considerazioni che incisero sulla decisione del governo centrale, approvata in larga misura dalle Università stesse, di istituire i Diplomi Universitari. Una decisione, forse oggi ignorata, che avrebbe potuto rappresentare un percorso positivo parallelo a quello della Laurea tradizionale. Purtroppo, dopo un iniziale successo e un’esplosione degli iscritti, i Diplomi Universitari sono stati eliminati, con l’esito che in moliti casi i diplomati non furono riconosciuti dalla legislazione e dovettero optare sul titolo di studio ottenuto dall’eventuale diploma della rispettiva scuola superiore come nel caso dei diplomati geometri. Ciononostante è molto utile ripercorrere le principali cause di ascesa e discesa del fenomeno e come le stesse cause abbiano inciso su effetti e decisioni di altra natura.

Gli aspetti favorevoli al Diploma A partire dalla fine degli anni ’60 agli inizi degli anni ’70 ci fu, come già ricordato, un’esplosione delle iscrizioni alle università dovuta ad una serie di fattori fra cui se ne possono ricordare alcuni. La possibilità di iscriversi, senza il diploma di maturità liceale, da parte di diplomati di scuole superiori di vario tipo e senza la necessità di superare faticosi esami, permise a molti giovani, indipendentemente dalle effettive preparazioni e attitudini, di accedere agli studi universitari, non soltanto nelle discipline e nelle Facoltà considerate, a torto o a ragione, più facili, ma anche nelle più impegnative. L’esempio del Politecnico di Milano ci dice che, agli inizi degli anni ’70, erano iscritti complessivamente alle due Facoltà (ingegneria e di architettura) attorno ai 10.000 studenti con un rapporto doppio fra studenti di ingegneria e di architettura, mentre negli anni 1994-1995, in cui gli autori reggevano il Politecnico, gli iscritti hanno raggiunto la punta massima di circa 50.000 iscritti con valori per Ingegneria pari a circa 30.000 e per Architettura a circa 20.000 (cfr., grafico 4, Serie storica delle iscrizioni, capitolo 2, paragrafo 2.2). Questa possibilità aveva permesso ai diplomati (periti e geometri per quanto riguarda le scuole di ingegneria e di architettura, e ragionieri per le Facoltà di economia) di accedere a titoli che avrebbero aumentato il prestigio personale e reso felici le famiglie e che avrebbero permesso loro di svolgere attività prima negate, come ad esempio, la firma su progetti di costruzione di maggiore volumetria e sulle certificazioni di attività aziendali, oltre a permettere avanzamenti di carriera e più alte retribuzioni nella occupazione dipendente. I territori (le province e le città con una consistente presenza di abitanti e/o di attività economiche e industriali) trovarono, con l’istituzione dei diplomi, un’opportunità magnifica, nel senso che poterono


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godere della presenza ufficiale di una università senza dover vincere resistenze di vario tipo, ad esempio, da parte della stessa accademia. La struttura formativa curriculare dei Diplomi Universitari permetteva la presenza quali docenti, di professionisti, in modo analogo a quanto era già capitato, come detto prima, a proposito degli istituti tecnici. Inoltre, il sistema universitario italiano non è noto per le sue facilitazioni relativamente all’accoglienza e alle spese sostenute dalle famiglie per l’alloggio, il vitto ed il trasferimento. Pertanto, avere una università sotto casa è sempre stato il sogno di molte famiglie sia, per quanto riguarda gli aspetti economici, sia per la cultura “familiare/genitoriale” che soltanto da poco sta cambiando. La possibilità di accedere ad un “titolo universitario”, solo se successivamente si tradurrà nel titolo di dottore, connesso al primo livello di Laurea, ma pur sempre certificato e concesso dallo stato, è stata il motivo del primo iniziale successo dei diplomi. A questo proposito si è potuto verificare, infatti, che per alcuni diplomi specialistici (soprattutto per quelli nell’ambito delle Ingegnerie e non altri come per quelli nel settore dell’architettura e dei geometri, il cui titolo era comunque riconosciuto) ci fu una percentuale altissima di chi entrava nel mondo del lavoro appena conseguito il diploma e, in qualche caso, ancora prima5.

Gli aspetti che hanno contrastato il Diploma A fronte di tutti i fattori positivi sopra citati, ci si potrebbe aspettare un ampio successo dei diplomi, e invece è avvenuto esattamente il contrario: dopo qualche tempo sono stati letteralmente cancellati, fatto questo che capita assai raramente in Italia dove, una volta che un qualcosa è istituito, la sua eliminazione è sempre molto difficile. Osserviamo allora i principali fattori che hanno determinato la loro chiusura. Una latente opposizione è venuta da molte parti dell’accademia che hanno sempre considerato il diploma di livello molto inferiore ai normali corsi universitari, per cui, in molti casi, o i docenti “subivano” la nomina e l’accettavano “pro bono pacis” oppure l’insegnamento veniva assegnato ai più giovani, mentre, al contrario, il corpo docente avrebbe dovuto essere scelto fra i più maturi ed esperti in grado di trasmettere, in forma più semplice, ma non banale, le nozioni di base del proprio insegnamento, mantenendone la sostanza concettuale e applicativa, E ciò richiede una grande esperienza. Anche gli ordini professionali dei diplomati, hanno visto nei diplomi un grande pericolo, in quanto si sentivano presi in mezzo, mentre gli ordini professionali dei laureati vedevano i diplomati come una pericolosa ingerenza e volevano difendere la loro supremazia. Anche se questi ordini si rivolgevano ad una percentuale non eccessiva di iscritti tuttavia, il loro potere era molto elevato e, soprattutto, potevano gestire una quantità elevata di fondi.


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D’altra parte, il tentativo, da parte di associazioni dei diplomati, di aggirare l’ostacolo posto dalle leggi italiane e dagli ordini, facendosi riconoscere in altri paesi per, poi, trasferire tale possibilità anche in Italia, ha accentuato ulteriormente il conflitto per cui, come capita sovente, non sono le novità a vincere. La mancanza di un “titolo” che si potesse considerare adeguato, ha portato le famiglie a irrigidirsi davanti alla prospettiva di spendere denaro e di impegnarsi per quattro anni senza arrivare al sospirato titolo universitario. La maledizione del titolo è stata una causa, forse primaria, del mancato successo del diploma (cfr. tabelle 2a e 2b, capitolo 2, paragrafo 2.2).

3.2 La strategia dell’internazionalizzazione L’internazionalizzazione è diventata un mantra, un pensiero fisso, per la quasi totalità delle università che si sono attrezzate con servizi interni a ciò dedicati. Occorre però innanzitutto mettersi d’accordo su cosa si intende con questo termine che non può essere misurato prevalentemente, per non dire esclusivamente, dal numero di studenti stranieri. Per quanto concerne la ricerca, da sempre, anche in momenti in cui erano forti le contrapposizioni politiche (si pensi, per restare in tempi ancora relativamente recenti alla presenza della “cortina di ferro”), tra studiosi e ricercatori è sempre esistito un forte e continuo interscambio. Ufficialmente, erano esclusi gli interscambi solo degli addetti alle tematiche considerate strategiche, in particolare quelle militari. A questo proposito, è curioso constatare come alcune scoperte siano avvenute pressoché contemporaneamente in luoghi e con l’apporto di scuole differenti e in assenza di comunicazioni formali. E non è certo che questo dipenda esclusivamente dal fatto che i tempi sono maturi per una certa scoperta. Per quanto attiene agli studenti, fin dai tempi antichi esistevano scuole prestigiose a cui si rivolgevano giovani desiderosi di approfondire e migliorare le proprie conoscenze, indipendentemente dai paesi di origine e dalla localizzazione delle scuole di eccellenza. Si può ricordare, che tutta l’élite romana terminava la sua formazione ad Atene e, ancor prima, le scuole della Magna Grecia attiravano studenti da diversi paesi. Analogamente ciò valeva anche per i maestri. I clerici vagantes del Medioevo rappresentano forse l’esempio più significativo. In tutto questo periodo era presente una “doppia selezione”. Da un lato gli studenti sceglievano la scuola che appariva loro essere la migliore o, comunque, la più adatta ai loro desideri ed alle loro ambizioni. Dall’altro lato le scuole selezionavano gli aspiranti in base alle loro caratteristiche e, alle volte, anche alla loro preparazione. Possiamo chiamare questa una internazionalizzazione qualitativa. Gli studenti pagavano i docenti che reputavano essere i migliori e, d’altra parte, gli studenti dovevano essere accettati dai docenti.


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In tempi meno lontani si sono verificati due fenomeni: una minore propensione al trasferimento da un paese all’ altro anche se per un periodo limitato e una minore selezione dei richiedenti. In tempi più recenti, questi due fenomeni si sono attenuati grazie ai programmi Erasmus, Erasmus Plus e Socrates che rappresentano un esempio positivo di ripresa degli interscambi tra più paesi, europei e extra europei. Giustamente si stanno incentivando in tutti i modi possibili gli scambi, anche limitati temporalmente, in quanto si ritiene importante mettere a confronto altri metodi di studio, diversità culturali, costumi, abitudini, lingua. Proprio per questo gli scambi sono attivati, già dalla scuola media, con finanziamenti e borse di studio, anche privati, ma sempre con un riconoscimento pubblico. Per non parlare dell’effetto su tutto il processo formativo: in molti casi, infatti, gli studenti Erasmus sono differenti dagli studenti normali. Questo, forse, è dovuto al fatto che gli Erasmus continuano ad appartenere alla università originaria, e, pertanto, l’attenzione e la valutazione da parte dei docenti sono differenti rispetto all’impegno richiesto ai propri studenti. In molti casi lo studente Erasmus segue un singolo corso che viene visto come giustapposizione, non sempre armonica e coerente, con il curriculum nel suo complesso. Viceversa, il percorso formativo è più organico quando la progettazione del curriculum è svolta con la collaborazione tra la sede ospitante e quella di origine. Comunque questo tipo di studenti, se si vuole essere rigorosi, deve essere distinto dagli studenti stranieri iscritti a un intero percorso. A questo punto è opportuno ritornare alla domanda di cosa si possa intendere per “internazionalizzazione”. Nel tempo, infatti, si è passati, quasi inconsapevolmente, da una logica qualitativa a una logica quantitativa che deve rientrare in una programmazione istituzionale della formazione. In questo senso una università dovrebbe avere un coefficiente più alto di internazionalizzazione non solo in base al numero di studenti stranieri che si iscrivono all’università stessa, ma anche a quelli che si sottopongono a un doppio processo di selezione: si tratta di un radicale mutamento della politica di internazionalizzazione. Non è più sufficiente infatti basarsi su quanti siano gli studenti e su quali siano le loro motivazioni per la richiesta di un trasferimento, limitato nel tempo, in un’altra Università. Non è più sufficiente una logica esclusivamente quantitativa: bisogna avviare un programma per il riconoscimento reciproco tra le università ritenute, universalmente, di qualità in campo internazionale. Con attenzione ai metodi utilizzati per valutare la qualità di università che spesso si basano sulla scelta di fattori e di punteggi il cui valore, tuttavia, non è sempre chiaro. Il livello di internazionalizzazione si dovrebbe basare, infatti, sullo scambio di studenti di qualità e sui rapporti fra ricercatori e scienziati, cioè sull’esistenza di accordi e di programmi congiunti, fra università di alto livello. Purtroppo, per quanto riguarda i ricercatori e i docenti stranieri, vi sono molte e inaccettabili limitazioni per permettere l’accesso


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alle nostre università, anche quando tali ricercatori e docenti sono di alto livello. In questo senso accanto al problema della fuga dei cervelli dobbiamo porre quello della verifica del saldo fra ingressi ed uscite e se questo sia positivo o meno oppure su come tendere a un possibile equilibrio quantitativo e qualitativo. Oggi, bisogna considerare anche un altro aspetto molto reclamizzato, per cui una università sarebbe tanto più internazionale (o internazionalizzata) quanto più utilizza obbligatoriamente la lingua inglese per tutta o per una porzione significativa dell’attività di docenza. Nessuno mette in dubbio la convenienza di conoscere un’altra lingua e di saperla utilizzare correttamente per leggere e scrivere e per comprendere il parlato e dialogare. Questi sono i presupposti che permettono di seguire con profitto i corsi tenuti in un’altra lingua e l’inglese è diventata ormai una lingua franca. Tuttavia, ci sono alcuni problemi che dovrebbero essere analizzati con cura senza apriorismi e senza ideologismi. È assolutamente ovvio che l’uso della lingua inglese faciliti la presenza di docenti stranieri in quanto permette di tenere lezioni e seminari, laboratori con migliore qualità, sempre che anche la scelta dei docenti non si basi solo sul fatto che parlino l’inglese. D’altra parte, anche gli studenti devono essere in grado di seguire correttamente e con profitto, come si diceva una volta, un corso tenuto in inglese. Inoltre, si deve tener conto che anche il docente, soprattutto se anziano e che sia italiano o di altra nazionalità, possa non essere in grado di trattare con l’accuratezza necessaria più argomenti utilizzando una lingua non propria. Vogliamo eliminare tali docenti, anche se di grande valore? Che dire poi degli studenti stranieri per i quali, ex art.7 del D.M. 509/1999, è fatto obbligo che, entro la Laurea, sia acquisita la lingua italiana oltre a una lingua dell’Unione Europea. È ben vero che ci stiamo globalizzando, ma quanti dei nostri laureati andranno ad impiegarsi in organizzazioni in cui la lingua inglese è l’unica o quella normalmente utilizzata? Rischiamo di diventare provinciali, o meglio di disconoscere la bellezza di capire e di parlare più idiomi in nome di una unica lingua, non sempre la migliore per tutti i campi in cui l’umanità si deve poter esprimere. Recentemente, si è acuita la competitività tra le città e i territori e tra le stesse sedi universitarie e pertanto è un obiettivo fondamentale per ogni singolo Ateneo porsi il problema della capacità di attrazione anche se, in Italia, spesso non è capita la strategicità rappresentata dalla disponibilità di risorse qualificate, necessarie per l’innovazione in ogni campo di attività pubblica e privata. Su questo versante, il Politecnico ha individuato da tempo una propria strategia per l’internazionalizzazione che è stata anche tradotta in una procedura che monitora il percorso di questi studenti. Innanzitutto il primo passo è stato quello di conoscere le sedi universitarie e di farsi conoscere da quelle che nei vari paesi sono ritenute di qualità. In questo senso ci sono state di aiuto le tante classificazioni disponibili, nonostante non fossero sempre chiari i fattori delle rispettive valutazioni.


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Terminata una prima fase di indagine sulle sedi con cui confrontarsi, l’Ateneo è passato alla individuazione delle alleanze, che sono state di diversi tipi, da quello più leggero, in cui si sono individuati campi di formazione complementari e che permettono un periodo transitorio di formazione (da quello del tipo Erasmus a quello di una presenza e di un impegno più prolungato) fino alla programmazione di percorsi curriculari congiunti e alla doppia Laurea. Il fatto più significativo è certamente l’incremento quantitativo degli studenti e degli accordi tra Atenei che, tuttavia, è anche la rappresentazione di quello sviluppo qualitativo auspicato fin dall’inizio6 dell’avvio del progetto per l’internazionalizzazione, fondato sulla promozione di scambi culturali e di conoscenza reciproca tra istituzioni che possono contribuire al miglioramento della dirigenza del domani e a una maggiore capacità nell’arte di accordarsi tra Stati su più temi di ricerca. Comunque, le doppie lauree e soprattutto l’incremento degli studenti stranieri, che nel Politecnico frequentano un intero percorso formativo fino alla Laurea magistrale, a cui si aggiungono gli iscritti ai master e ai dottorati provenienti da un alto numero di stati esteri, costituiscono uno sviluppo positivo degli stessi programmi del tipo Erasmus basati sullo scambio di un’esperienza che non deve rimanere isolata. Anche se, di fronte all’alto numero di iscritti con provenienze così diverse, si impone di adottare ulteriori attenzioni: da un lato, l’applicazione nel passaggio tra il primo e secondo livello per gli studenti stranieri delle stesse regole adottate per gli studenti italiani ai fini di mantenere alta la qualità degli studi; e, dall’altro lato, la conoscenza della lingua italiana per l’accettazione dell’iscrizione all’Ateneo, necessaria per l’integrazione nel paese ospite e non sostituibile dalla conoscenza dell’inglese anche se questa è funzionale a altre importanti finalità. In sintesi, per quanto riguarda il Politecnico è possibile distinguere, anche se non in modo netto, tre fasi che permettono di riconoscere anche il ruolo indimenticabile dei Prof.ri Giancarlo Spinelli e Maurizio Vogliazzo che qui vogliamo ricordare. La prima fase consiste essenzialmente nella presenza dei docenti e ricercatori nelle “classifiche” disciplinari e nella reputazione accademica a livello internazionale. Questa fase era gestita a livello individuale nel senso che la presenza nel curriculum di lavori scientifici accettati e pubblicati su riviste internazionali, permetteva a un ricercatore-docente di acquisire titoli di merito accademici. Ciascuna università era tanto più nota e apprezzata quanto più poteva vantare di avere al proprio interno ricercatori e docenti qualificati internazionalmente. Tutto si risolveva in una gestione interna alla singola università anche perché questo livello di qualificazione non comportava effetti se non quelli di stima con qualche ripercussione sulla iscrizione di studenti qualificati, misurata ad esempio dal numero di iscritti provenienti da altre regioni e con una votazione alta all’esame di maturità. Con una certa approssimazione si può dire che questa fase è durata fino a tutti gli anni ’70. La seconda fase comincia negli anni ’80 quando il Politecnico, come altre università, decise che sarebbe stato opportuno conoscere


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e farsi conoscere all’estero in forma istituzionale e fu scelto di avviare i rapporti con le migliori università a base scientifico-tecnologica nel mondo europeo occidentale, per estenderli poi ad altre aree, come il Sud America, l’Estremo Oriente, l’Australia e, ovviamente, il “blocco orientale” dell’Europa a partire dall’URSS e da altri stati di notevole tradizione in campo scientifico e tecnologico. A questo punto divenne necessario identificare un docente che potesse assumersi l’impegno di coprire un duplice ruolo: di “ambasciatore itinerante” e di organizzatore di un “servizio interno”, limitato quantitativamente ma di alta qualità, soprattutto, per il ruolo strategico dello stesso servizio. La persona scelta avrebbe dovuto essere un professore di notevole spessore scientifico e che godesse della stima e della fiducia da parte dei suoi colleghi: una persona, di ottime capacità di relazione e con un’elevata proprietà di altre lingue oltre all’inglese, disponibile a spostarsi, con il gusto a sfidare ambiti nuovi e con un’ampia conoscenza del Politecnico nel suo complesso; un “ministro degli esteri”, un “ambasciatore”, che doveva sommare in sé capacità di ricerca e di didattica di grande spessore. Sembrava quasi impossibile trovare un docente con tutte queste qualità ed invece fu trovato nella persona del prof. Giancarlo Spinelli, a cui fu affidato un lavoro critico e fondamentale che prevedeva, da un lato, la valutazione (di marketing), dall’altro lato, l’investigazione sulle diverse sedi da contattare e con cui stabilire rapporti di ricerca e di didattica. In questo senso, la scelta del Politecnico, nella persona del prof. Giancarlo Spinelli è risultata ottima. Con lui ha lavorato anche il prof. Maurizio Vogliazzo in qualità di responsabile del CRIFA, il Centro dei Rapporti Internazionali per l’organizzazione di scambi tra i corsi di studio di più Facoltà Architettura. Nel corso degli ultimi due anni, questi professori ci hanno lasciato, ma i tanti che hanno collaborato con loro con diverse competenze potranno proseguire il loro impegno anche aiutandoci a ricostruirne i risultati. Di seguito riportiamo alcune tabelle con i dati più significativi del processo di internazionalizzazione del Politecnico. Dopo pochi anni, Giancarlo Spinelli aveva girato praticamente tutto il mondo godendo di un apprezzamento generale per cui, chiunque andasse in una università straniera non solo riceveva una ottima accoglienza ma trovava anche un ambiente favorevole per i legami che già aveva con il Politecnico. Come primo e importante risultato, a Giancarlo, venne offerta la possibilità di far entrare il Politecnico in un’Associazione di università di alto livello il cui scopo statutario è quello della formazione. Giancarlo sposò in pieno questa proposta che fu accettata dal Rettore. Il network è stato fondato nel 1989 da 16 membri fondatori, tra cui Polimi, e primo direttore fu il prof. Daniel Gourisse, dell’école Centrale de Paris7. L’atto costituitivo che “governava” il network è stato firmato il 13 ottobre 1989. Il network poi si è ingrandito con l’aggiunta di altri 13 atenei e le 29 istituzioni si sono costituite Associazione nel 1997. L’assemblea Costitutiva si è tenuta a ChâtenayMalabry (allora sede di Ecole Centrale Paris) il 15 maggio 1997.


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Questo fatto segna l’iniziò della terza fase che possiamo dividere in due momenti. Il primo momento fu rappresentato dalla partecipazione anche a altre Associazioni e dalla firma di rapporti istituzionali con altre università, con accordi a cui seguivano, in forma non episodica, progetti operativi comprendenti, ad esempio, scambi di studenti e di ricercatori. TIME rappresenta il caso esemplare che, forse bisognerebbe seguire replicandone l’elemento distintivo: ricerche congiunte e “riconoscimento reciproco” delle rispettive lauree. Per essere accettata, una università doveva essere riconosciuta “di alta qualità” e degna di entrare a far parte della Associazione, il che richiedeva un lavoro non banale di valutazione preliminare della candidatura. Nel caso di esito positivo l’accettazione dell’adesione era temporanea e diventava definitiva solo dopo un anno, a prescindere dalla “fama” dell’università stessa. I Rettori (o equivalenti) erano i membri dell’assemblea dell’associazione che eleggeva un management board che, a sua volta, eleggeva il Presidente e il Segretario. Il fatto che il Rettore del Politecnico sia stato eletto Presidente del TIME nel 2000, fu una evidente dimostrazione della stima per Il Politecnico (oltre che per il suo Rettore). L’importanza dell’associazione TIME è data dal progetto della “doppia Laurea”: uno studente, dopo i primi tre anni passati nella università madre si iscriveva per altri due anni in un’altra università dell’Associazione e, alla fine, svolgendo un lavoro di tesi congiunta fra le due università, riceveva il doppio certificato di Laurea. Alla cerimonia per il millesimo doppio laureato, tenuta al Ministero degli Esteri a Parigi, vi furono discorsi commoventi da parte di ex studenti che ringraziavano per l’opportunità concessa (grosso modo 1/3 lavorava nel paese dell’università madre, 1/3 nel paese della seconda università e l’altro terzo in un altro paese) e non solo per aver trovato lavoro immediatamente. Ci siamo dilungati su questa esperienza come “caso esemplare”, ma altri accordi furono sostanzialmente simili, anche se, nel tempo, anche il TIME ridusse il tempo di verifica per il riconoscimento dell’adesione all’associazione e la stessa durata degli studi per acquisire la doppia Laurea. L’altra associazione da ricordare a cui partecipa il Politecnico è quella fondata da Konrad Osterwalder dell’Università di Zurigo: è l’associazione UNITECH tra università tecniche e aziende, che si differenzia per l’obbligo di frequenza di stage presso aziende congruenti con il lavoro concordato per il conseguimento della Laurea. UNITECH è stato fondato ufficialmente il 1 settembre 2000 a Como dove si è tenuta la prima Assemblea Generale. Per i rapporti con altre sedi universitarie si può, inoltre, ricordare l’accordo del 1998 con l’Università di Buenos Aires (UBA) per la doppia Laurea in Disegno Industriale, un nuovo canale con l’Argentina e, in seguito, con altri stati dell’America del sud. Per quanto riguarda il progetto TIME e UNITECH si vedano le Tabelle 9, 9a e 10 allegate più avanti con la situazione dei rispettivi sviluppi per quanto riguarda la reciprocità degli scambi di studenti tra il Politecnico e gli altri Atenei.


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Il secondo momento fu prevalentemente dedicato alla promozione della iscrizione di studenti stranieri all’intero percorso formativo presso il Politecnico di Milano con lo scopo di posizionare l’Ateneo tra le più importanti università a livello europeo anche sulla base di una iscrizione di studenti stranieri che si avvicina al 30% del totale degli iscritti. Un risultato che è l’esito di un intenso lavoro, iniziato nel 2004 con la delega al prof. Emilio Bartezzaghi di promuovere «la capacità di attrazione dei migliori studenti non solo dal nostro Paese, ma anche dall’estero, unitamente a quella del coinvolgimento nelle attività istituzionali dell’Ateneo di professori e ricercatori stranieri»8. Lo sviluppo della mobilità verticale degli studenti in ingresso (contemporanea alla mobilità orizzontale con lo scambio di studenti con le università straniere, stage internazionali, doppie lauree) rappresenta il contenuto della delega rettorale alla Promozione Internazionale. Tale delega fu affiancata a quella relativa alle Relazioni Internazionali (Giancarlo Spinelli) e a quella sulla Ricerca (Carlo Ghezzi), con le quali si è integrata per costituire un’azione di supporto e sostegno alle iniziative di internazionalizzazione dell’Ateneo e delle sue diverse articolazioni: Facoltà, Dipartimenti, Scuola di Dottorato, strutture preposte dell’Amministrazione, Consorzi, Fondazione Politecnico. L’esito è la presenza di studenti stranieri nelle lauree magistrali, nell’ Alta Scuola Politecnica, nei master di specializzazione e nei dottorati a cui sono correlati anche rapporti di ricerca con Paesi di rilevante interesse per l’Italia (Cina, India, Russia, Paesi dell’Est Europa, del Mediterraneo e dell’America Latina) fino alla costituzione del Campus Italo cinese a Shanghai. Una scelta che non potrà essere messa in crisi dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 617 del 29 gennaio 2018 che non impedisce di tenere corsi e insegnamenti in inglese, ma esclude che tutti i corsi e insegnamenti siano tenuti solo in inglese. Comunque, per tutti noi, il prof. Giancarlo Spinelli rimane l’ambasciatore ufficiale del Politecnico. Un paio di settimane prima del suo decesso Giancarlo era ancora in giro per il mondo, pur soffrendo di un morbo devastante9. E probabilmente senza Giancarlo Spinelli il Politecnico non avrebbe la stima e l’apprezzamento internazionale di cui gode e il processo di “internazionalizzazione” avrebbe avuto uno sviluppo diverso dall’attuale. A chiusura del paragrafo si riportano alcune riflessioni sull’andamento della mobilità degli studenti in uscita dal Politecnico e in entrata da altri Atenei, riflessioni che, per ogni progetto, concordano nel sottolineare la progressiva crescita della capacità attrattiva dell’Ateneo. Un primo segnale da ricordare è quello degli studenti dei programmi di scambio Erasmus e Socrates, il cui numero tra quelli in uscita e in entrata tende progressivamente a avvicinarsi: da circa 450 a 560 in uscita a 290 a 420 in entrata, nel 1990, a quantità invertite pari a 688 in uscita e 703 circa in entrata nel 2005. Una tendenza confermata negli anni successivi e attribuibile probabilmente anche all’influenza positiva dei due progetti di cui abbiamo richiamato le caratteristiche e di cui di seguito si riportano le tabelle degli scambi annuali tra Politecnico e le altre sedi convenzionate10.


Out

In

Out

In

In

0

0

1

2

0

0

1

4

1

3

1

2

0

0

0

2

0

0

0

2

1

2

3

3

0

4

2

3

0

1

0

5

0

3

0

4

0

5

0

5

2

7

2

7

0

5

5

1

0

2

0

4

0

3

0

4

0

4

0

3

0

4

0

4

0

2

0

3

0

2

0

7

0

4

0

2

0

6

1

4

0

3

0

1

0

3

0

4

0

0

0

0

0

1

0

1

0

0

0

0

1

0

1

0

0

0

0

0

1

0

0

Helsinki University of Technology Instituto Superior Técnico de Lisboa

0

National Technical University of Athens Norwegian University of Science and Technology - NTNU Royal Institute of Technology - KTH Technical University of Denmark - DTU Technische Universität München Technische Universität Wien Universidad Politecnica de Madrid Universidad Pontificia Comillas Universitat Politecnica de Catalunya Université de Liège Université Libre de Bruxelles TOTALE

1

0

0

0

1

1

4

1

0

1

0

1

0

4

1

4

0

3

0

3

1

1

0

0

0

0

0

2

0

1

0

0

0

2

0

1

0

1

0

3

0

0

0

0

0

0

0

2

2

0

0

0

3

0

0

1

0

1

0

3

0

1

0

1

0

1

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

2

0

2 1

0

0

0

2

0

2

0

30 12 29

5

31 12

1 4

0

A.A. 1999-2000

Out

Out

In

0

0

A.A. 1998-1999

Out

2

4

A.A. 1997-1998

In

2

In

Ecole Centrale de Lille Ecole Centrale de Lyon Ecole Centrale Paris Ecole Nationale Supérieure des Techniques Avancées Ecole Supérieure d'Electricité Faculté Polytechnique de Mons

A.A. 1996-1997

A.A. 1994-1995 Out

0

Ecole Centrale de Nantes

A.A. 1995-1996

A.A. 1993-1994 Out

0

In

A.A 1992-1993 Out

0

In

A.A. 1991-1992

2

In

Out

0

In

A.A. 1990-1991 Out

2

In

A.A. 1989-1990 Partner POLIMI

Out

64

6

0

5

0

20

0

10

0

21

0

20

3

24

6

0


65

Incoming*

Outgoing*

Incoming*

Outgoing*

Incoming*

Membri dell’Associazione: 53 A.A. 2014-2015

Outgoing*

Membri dell’Associazione: 36 A.A. 2005-2006

Aristotle University of Thessaloniki

0

0

Doshisha University

0

0

Ecole Centrale Marseille

0

1

0

6

Ecole Centrale de Lille

2

2

1

0

0

4

0

3

Ecole Centrale de Lyon

3

0

2

2

2

3

4

1

Ecole Centrale de Nantes

2

1

0

1

1

2

1

3

Ecole Centrale Paris

6

0

7

1

4

4

3

7

2

0

2

0

2

0

1

1

2

0

3

0

1

1

0

0

3

0

6

0

1

1

2

1

1

0

0

1

1

0

0

1

1

0

0

0

1

0

2

0

1

2

0

0

1

3

0

0

0

0

0

1

0

0

0

11

2

0

0

0

0

0

2

0

8

0

6

0

6

0

7

0

1

0

0

0

2

0

0

0

3

0

1

0

2

0

Ecole Nationale des Ponts et Chaussees Ecole Nationale Supérieure de L'Aérotechnique et de l'Espace Ecole Nationale Supérieure des Techniques Avancées Ecole Supérieure d'Electricité Faculté Polytechnique de Mons Helsinki University of Technology Instituto Superior Técnico de Lisboa Istanbul Technical University Keio University

Tabella 9b Progetto T.I.M.E. con indicate le sedi dell’associazione e il numero di studenti che iniziano la doppia Laurea in uscita dal Politecnico verso ciascuna sede dell’associazione e viceversa dal 20002001 al 2014-2015

Membri dell’Associazione: 35 A.A. 2001-2002

Incoming*

Partner POLIMI

Membri dell’Associazione: 35 A.A. 2000-2001 Outgoing*

Tabella 9a sinistra Progetto T.I.M.E. con indicate le sedi dell’associazione e il numero di studenti che iniziano la doppia Laurea dal 1989 al 1999-2000 tra il Politecnico e una delle sedi dell’associazione

Lund University - Faculty of Engineering National Technical University of Athens Moscow State Technical University of Radio Engineering Norwegian University of Science and Technology - NTNU Royal Institute of Technology - KTH Technical University of Denmark - DTU Technische Universität Wien Technische Universität München Univeraidad de Sevilla

0

2


66

Sede Partner ETH Zürich Imperial College London RWTH Aachen

Outgoing*

Incoming*

Outgoing*

Incoming*

TOTALE

Incoming*

Université Libre de Bruxelles Universitat Politecnica de Catalunya Universitat Politecnica de Valencia Université Catholique de Louvain Vrije Universiteit Brussel Xi'an Jiaotong University

Tabella 9b segue

Membri dell’Associazione: 53 A.A. 2014-2015

Outgoing*

Université de Liège

Membri dell’Associazione: 36 A.A. 2005-2006

Incoming*

Universidad de Sevilla Universidad Estadual de Campinas Universidad Politecnica de Catalunya Universidad Politecnica de Madrid Universidad Pontificia Comillas Universidade de Sao Paulo - Escola Politecnica

Membri dell’Associazione: 35 A.A. 2001-2002

Outgoing*

Partner POLIMI

Membri dell’Associazione: 35 A.A. 2000-2001

0

0

0

1

3

0

2

0

1

4

2

3

0

2

0

0

0

2

1

0

0

1

0

14

2

6

1

0

0

2

2

0

0

0

2

0

2

0

0

7

0

9

0

0

0

0

2

7

39

7

31

7

29

36

32

74

Tabella 10 sotto Programma UNITECH, con le sedi del Network, partner del Politecnico e il numero di studenti in uscita e in entrata. Lo studente esprime una o più opzioni e il network fa le assegnazioni

A.A. 2000-2001 A.A. 2001-2002 A.A. 2005-2006 A.A 2014-2015 Outgoing Incoming Outgoing Incoming Outgoing Incoming Outgoing Incoming 3 0 1 0 1 0 2 0 2

0

2

0

2

0

0

0

2

2

0

2

2

3

TU-Delft

2

0

2

2

2

1

2

3

UPC Barcelona

2

1

2

2

2

1

0

2

2

0

2

2

0

0

2

3

1

0

2

1

1

1

10

11

ParisTech/Ecole Polytechnique Chalmers University of Technology Trinity College Dublin Loughborough University Insa-Lyon Tot.

1 9

1

11

6

11

9


67

3.3 La Fondazione Politecnico Nel corso degli anni ’90, in uno dei periodici incontri dell’associazione T.I.M.E., che si tenevano sempre in paesi diversi, si ebbe la possibilità di parlare dell’organizzazione della Chalmers University di Goteborg, in Svezia, un Ateneo con un numero di studenti paragonabile a quello del Politecnico, con più risorse di personale e soprattutto con un numero di Dipartimenti modulati sui diversi temi di ricerca pur non rinunciando a una gestione unitaria delle risorse. Per sommi capi l’organizzazione della Chalmers University era la seguente: ricevuto dallo Stato svedese tutto l’ammontare equivalente al finanziamento per un certo numero di anni (l’ammontare corrispondeva all’importo dato dal governo centrale per studente e al numero di studenti fissato) fu stipulato il “contratto” fra governo centrale e università e, da quel momento in avanti, l’università stessa non avrebbe più ricevuto altri finanziamenti e avrebbe avuto il compito di bene amministrare tale fondo. La decisione dell’Università fu di articolarsi in due “divisioni”, ovviamente tutte e due dipendenti dal proprio organo di governo centrale. La prima avrebbe dovuto occuparsi delle attività universitarie vere e proprie, cioè la didattica e la ricerca, mentre la seconda avrebbe dovuto gestire tutto il resto. Senza entrare in dettaglio, la seconda divisione avrebbe dovuto gestire il fondo finanziario, il personale non docente, i rapporti con il mondo esterno, l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali, la conduzione di servizi quali per esempio l’ospitalità, gli accordi e le convenzioni con enti esterni, le funzioni di marketing e ogni altra attività di promozione. Il rapporto fra le due “divisioni” doveva essere molto stretto in quanto il rapporto fornitore-cliente avrebbe dovuto essere biunivoco per “liberare” la struttura accademica centrale e la dirigenza dei Dipartimenti da tutti i compiti che non riguardassero esclusivamente la ricerca e la didattica e lo svolgimento, ovviamente, dei contratti di “ricerca applicata” e di consulenza con il contesto esterno. Questo modello organizzativo apparve molto interessante da adottare, con le modifiche necessarie per il contesto italiano, a partire dal sistema di finanziamento iniziale, inimmaginabile secondo le modalità “svedesi,” e tenendo conto della nostra storia e delle abitudini e del ruolo della “accademia” che non si sarebbe mai prestata a accettare una posizione che avrebbe potuto apparire subordinata. Bisogna considerare che un tema spesso presente, ma mai del tutto risolto, nella riflessione sulle università italiane, ha riguardato appunto la loro capacità di rapportarsi con il mondo esterno, per poter sia garantire una ricerca ed una formazione più correlate alla realtà economica e sociale sia affermare un ruolo dell’università come motore dello sviluppo e dell’evoluzione cultuale dell’intero contesto. Il Politecnico che, per sua storia, natura ed esperienza, aveva già sperimentato questa relazione poteva affrontare la sfida di una innovazione più strutturale con maggiore consapevolezza e con maggiori possibilità di successo.


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Si rendeva necessario un approfondimento ed un confronto prima di tutto di natura culturale per meglio comprendere come sviluppare questa innovazione nel contesto italiano. L’approfondimento di un modello da presentare agli organi collegiali per la relativa discussione e per una sua prima approvazione, fu quindi accompagnato da un convegno rivolto a tutti i docenti ed al personale dell’Ateneo con la partecipazione di numerosi contributi esterni In parallelo alla presentazione del modello di quella che si ipotizzò, fin da subito, come la Fondazione Politecnico, l’Ateneo avviò un ampio sistema di relazioni finalizzato, in prima istanza, a far approvare, entro il 2001, la legge, che mancava, sull’istituzione delle fondazioni universitarie e, in seconda istanza, la formulazione dello statuto della Fondazione Politecnico di Milano e la sua istituzione formale. I passaggi di questo processo sono riportati qui di seguito con una sintesi per punti, a partire da un approfondimento dei problemi e delle opportunità che questo tipo di struttura avrebbe permesso al Politecnico, da quelli più semplici a quelli più significativi, come: a) migliorare una serie di servizi, da quelli relativi al sistema della programmazione e gestione degli investimenti in nuove costruzioni e nella manutenzione di edifici esistenti, a quelli dei servizi legali e per la comunicazione istituzionale per i quali una struttura “pubblica” come il Politecnico si deve dotare di personale qualificato tecnico-amministrativo. In tutti questi casi, per l’Università sarebbe stato più opportuno poter operare con le regole di mercato11; b) rafforzare i rapporti con il mondo economico delle produzioni e dei servizi. I rapporti con l’esterno sono prevalentemente di natura funzionale, legati all’ottenimento di commesse e di finanziamenti non legati a iniziative specifiche, soprattutto da parte di enti pubblici, di fondazioni e di altri soggetti di natura analoga. Il fatto di poter costituire una “società” di diritto privato, ma governata dal Politecnico avrebbe potuto permettere ad enti esterni, privati e pubblici di prendere parte anche al processo di definizione della strategia dell’Ateneo proprio in merito ai rapporti con l’esterno. In tal caso, le relazioni con importanti soggetti del mondo sociale e economico, produttivo e finanziario, sarebbero diventate molto più strette, e avrebbero acquisito una rilevanza non trascurabile anche per gli stessi soggetti esterni, nel senso che i rapporti sarebbero potuti diventare più stabili e qualificanti per i diversi soggetti12; c) promuovere nuovi percorsi di ricerca. Forse è questo l’aspetto più importante in quanto riguarda la possibilità di affrontare progetti di natura sempre più interdisciplinare e sempre più richiesti. Purtroppo la cultura tradizionale all’interno delle università, è tale da ostacolare e, in alcuni casi, addirittura impedire la collaborazione fra diversi Dipartimenti, soprattutto in seguito alla trasformazione degli Istituti in Dipartimenti, in cui l’ampliamento di competenze favorisce una specie di valutazione di “autosufficienza” da parte di ogni Dipartimento per accaparrarsi il maggior numero


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di ricerche e di progetti, soprattutto quando appaiono particolarmente “ricchi”. La possibilità di poter acquisire la ricerca da parte di un unico organismo, in questo caso la Fondazione Politecnico, avrebbe potuto permettere di distribuire e di allocare il lavoro in base alle migliori competenze disponibili, evitando ogni logica di concorrenza che non fosse orientata a rispondere nel merito di ogni ricerca commissionata.

I passaggi del processo per l’istituzione della Fondazione Politecnico La preparazione del Progetto Acquisito un accordo di massima sulla possibilità e/o opportunità di dare avvio a questa nuova struttura organizzativa, ci si dedicò alla stesura di una proposta, prima di sottoporla all’approvazione formale degli organi del Politecnico (Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione). Occorreva costruire anche un ambiente favorevole, discutendo informalmente questa ipotesi. Pertanto, ci si dedicò a: a) Gestire una fase di informazione sostenuta da un gruppo di lavoro per mettere a punto la proposta. Tale gruppo fu composto dal Rettore, il prof. Adriano De Maio, dalla Prorettrice Vicaria Maria Cristina Treu, dalla delegato prof. Giampio Bracchi e dalla responsabile del Servizio Comunicazione e Rapporti con le Istituzioni Pubbliche, dott.ssa Maria Luisa Sangiorgio, per verificare che non ci fossero ostacoli di natura politica a livello del governo centrale. Inoltre parteciparono ai lavori il responsabile del servizio degli affari legali avv. Raffaele Moscuzza e l’allora Presidente del Collegio dei Revisori, dott. Domenico Marchetta, per la sua esperienza e per la sua posizione a Roma tra gli esperti del Presidente della Repubblica. b) Verificata l’impossibilità di istituire una struttura che prevedesse la presenza contemporanea di una “università stricto sensu “e di una società di servizio, ipotizzammo una modifica legislativa, cioè una legge specifica che permettesse questo tipo di organizzazione. Non si pensò a una legge ad hoc per il Politecnico ma a una norma “erga omnes” finalizzata a rendere possibile l’istituzione di fondazioni universitarie. Ma l’ipotesi cadde anche per la valutazione sia del dott. Domenico Marchetta sia dell’avv. Pier Giuseppe Torrani, per le difficoltà e i tempi lunghi che avremmo incontrato nel formalizzare una nuova legge. c) Inserire, sempre su consiglio del dott. Domenico Marchetta e dell’avv. Pier Giuseppe Torrani, una proposta ad hoc in un dispositivo legislativo già all’esame del Parlamento. Si procedette pertanto a fare tutte le verifiche necessarie con le forze politiche e la scelta fu quella di introdurre uno specifico comma nella legge finanziaria in discussione, scelta che in seguito risultò vincente e che, nel 2001, fu votata all’unanimità da tutte le forze presenti nei due rami del parlamento.


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La riforma legislativa Il convincimento delle forze politiche richiese un lungo e paziente lavoro e si procedette secondo quanto di seguito specificato: a) si scartò l’ipotesi della presentazione di tale norma da parte del governo, oppure da parte di un qualsiasi partito: la proposta non doveva essere valutata come una proposta “di parte”. Non si trattava, infatti, di una norma che si proponeva di essere un beneficio per qualcuno, ma che, al contrario, doveva rappresentare una opportunità per tutto il sistema universitario; b) a questo scopo fu condotta una forte attività di informazione nei confronti di tutti i gruppi parlamentari in cui giocò un ruolo determinante la dott.ssa Sangiorgio. La conclusione fu che la modifica alla finanziaria, presentata come una iniziativa parlamentare, venne approvata all’unanimità, dimostrando che, quando una proposta è bene motivata ed è di interesse generale, anche il nostro sistema politico è in grado di rispondere velocemente e positivamente; c) in questo esito ha inciso certamente anche la fama del Politecnico e il suo ruolo nell’ambito non solamente universitario, ma anche nel più generale contesto economico, produttivo, culturale e sociale. Una dimostrazione di come una grande università può giocare il proprio ruolo nel Paese. La forza di una istituzione universitaria è data dalla qualità della didattica e della ricerca e dal suo rapporto con le istituzioni: ciò che adesso, molto impropriamente, viene chiamata la “terza missione”.

La traduzione operativa Concluse positivamente queste fasi, fu necessario concentrarsi sulla concreta realizzazione della Fondazione Politecnico. Per questo passaggio, si adottarono due strade parallele. La prima si focalizzò sul contesto esterno, cioè sulle motivazioni per promuovere il sostegno del mondo economico, produttivo, sociale; lo sviluppo della cultura scientifica e tecnica della comunità; i rapporti con il mondo industriale e finanziario; il processo di innovazione generale e in particolare quello delle strutture della Pubblica Amministrazione; la realizzazione di grandi laboratori sperimentali e di centri di ricerca interdisciplinari; l’innovazione della formazione non istituzionale; la internazionalizzazione con la mobilità di ricercatori e studenti e l’offerta di servizi ad alta tecnologia. A questo scopo, la costituenda Fondazione Politecnico prevedeva la presenza di quattro soggetti principali: il Politecnico, i Fondatori, i Partecipanti istituzionali e altri partecipanti, ciascuno con un ruolo e responsabilità differenti. Ad esempio ai Fondatori, oltre a prevedere un’adeguata presenza negli organi di governo della Fondazione Politecnico, si chiedeva un sostegno finanziario con un impegno garantito per un periodo tale da permettere alla Fondazione Politecnico stessa di decollare.


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I Soci Fondatori furono il Politecnico di Milano come ente di riferimento, il Comune di Cremona, la Provincia di Cremona, il Comune di Piacenza, la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Milano, l’AEM S.p.A., ora A2A, l’Associazione UniverLeccoSondrio ora Associazione UniverLecco, l’Associazione UniverComo ora Fondazione Volta, e entro i successivi 90 giorni, la Banca Intesa S.p.A., ora Intesa San Paolo S.p.A. e Pirelli S.p.A. ora Pirelli &C. S.p.A. L’obiettivo era di coinvolgere i rappresentanti delle Pubbliche Amministrazioni, a partire da quelli dei territori dove è presente il Politecnico, e dei soggetti industriali particolarmente interessati alle problematiche della ricerca e dell’innovazione. Ai soci fondatori si sono poi aggiunti: Regione Lombardia, Comune di Milano, ENI S.p.A., Siemens S.p.A., Ariston S.p.A., già Indesit Company S.p.A. La seconda strada avrebbe dovuto approfondire il ruolo della Fondazione Politecnico all’interno del Politecnico. L’operazione di confronto non fu né breve né semplice: la comunità politecnica non si trovava, tutta, sulla stessa lunghezza d’onda. Era necessario convincere i docenti, i ricercatori e la stessa struttura organizzativa che la nascita e lo sviluppo della Fondazione Politecnico avrebbe rappresentato un beneficio per tutti. Alla fine, dopo un lungo e approfondito dibattito sulla composizione degli organi di governo e dell’organico (includendo la struttura organizzativa della Fondazione Politecnico) la proposta venne approvata dal Senato Accademico e dal Consiglio di Amministrazione, immediatamente prima della chiusura estiva dell’Università anche per evitare la fine del mandato del Rettorato (1998-2002) e il rischio che il tutto venisse rimesso in discussione. Il decreto relativo allo Statuto della Fondazione Politecnico viene firmato dal Rettore Adriano De Maio l’1 agosto 2002. L’istituzione formale avvenne senza scosse apparenti nel dicembre 2002, con Rettore Giulio Ballio. Il percorso di affermazione della Fondazione Politecnico proseguì con alti e bassi. La vita della Fondazione Politecnico non fu, infatti, lineare come si sperava, sia per quanto riguarda l’adozione del modello anche da altre Università sia, purtroppo, all’interno dello stesso Ateneo dove, ancora oggi alcuni si chiedono quale sia la sua missione e la sua utilità soprattutto rispetto al ruolo dei Dipartimenti e dei colleghi più intraprendenti che ritengono di poter gestire ogni rapporto con il contesto esterno con proprie strutture interne o esterne allo stesso Dipartimento. L’istituzione di altre Fondazioni Universitarie è stata tra le più varie e assai raramente hanno fatto proprie le finalità istituzionali per cui era stata pensata la legge. Nel caso del Politecnico, dopo un breve periodo di tempo, la Fondazione Politecnico fu trasferita da via Gran Sasso al piano terreno del Rettorato e lo statuto fu adeguato alla nuova composizione degli organi di governo dell’Ateneo. Inoltre, ci fu una silenziosa ma efficacissima opposizione da parte non solo di alcuni Dipartimenti che continuano a temere un possibile attentato alla propria autonomia ma anche da parte dello stesso governo dell’Ateneo che ha pensato fosse opportuno riservare al rettorato i rapporti con le


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maggiori strutture economiche imprenditoriali e con il governo centrale, lasciando alla Fondazione Politecnico i rapporti con le PMI e con i governi locali. Pertanto, la Fondazione Politecnico, invece di essere vista come un sostegno molto importante dell’università, venne interpretata (e, quindi, combattuta) come fosse una struttura “competitiva”: cioè come una pericolosa intromissione nell’acquisizione di commesse e nella promozione dei rapporti per acquisire progetti di sviluppo e di ricerche di livello nazionale e internazionale. Le conseguenze inevitabili sono, da un lato, il ridimensionamento del campo di intervento della Fondazione Politecnico e, dall’altro lato, una mancanza di sinergia con i Dipartimenti che sembrano preferire muoversi in autonomia. Con il rischio che nell’Ateneo prevalga la logica del condominio e il ricorso a un eccesso di regolamenti e di controlli di difficile applicazione cui seguono improbabili verifiche da parte dello stesso Servizio Ricerca del Rettorato. Nonostante tutto ciò, la Fondazione Politecnico è riuscita ad interpretare e a sostenere la propria missione, dai bandi per progetti di grande respiro come per esempio la partecipazione del Politecnico al progetto europeo Sharing Cities con le città Bordeaux, Burgas, Lisbona, Varsavia e Londra come capofila e il progetto più recente del distretto Bovisa Poli-Hub per la promozione del manifatturiero avanzato (impresa 4.0). Nel febbraio del 2018 (sempre in Bovisa, in un edificio progettato dall’arch. Alessandro Mendini di via Bonardi 39) viene istituito anche il Polo Innovazione Design sulla base della convenzione tra la Tsinghua University e la Fondazione Politecnico13. Comunque, la prospettiva rimane quella di far capire che le potenzialità della Fondazione Politecnico richiedono di poter agire sulla base di un rapporto positivo e di sinergia oltre che con il governo di ciascuno dei Dipartimenti anche con ciascuno dei Poli della rete dell’Ateneo, soprattutto con quelli che, lasciati soli, registrano maggiori difficoltà con i territori di riferimento. In questi ultimi tempi, l’atmosfera sembra orientarsi verso un cambiamento sia all’esterno, in cui sono sempre più richieste proposte interdisciplinari e posizioni inclusive di più competenze, sia all’interno del Politecnico che, forte della propria storia e delle personalità che lo hanno reso grande a livello scientifico e di impegno civile, deve dotarsi di un proprio scenario di sviluppo e di una propria riconoscibilità nei confronti dell’attuale contesto sociale e economico altamente competitivo. Il momento è adatto per un rilancio della Fondazione Politecnico come struttura fondamentale per sostenere la strategia del Politecnico. In altri termini, la Fondazione Politecnico può essere la struttura di sostegno per la costruzione di alleanze con il sistema economico e sociale e per uno sviluppo dell’Ateneo che si possa misurare oltre che con i diversi parametri di crescita quantitativa anche con i fattori di qualità imposti dalla globalizzazione: una struttura di più diretto sostegno delle strategie del rettorato che potrebbe liberare Dipartimenti, Poli, Facoltà e Corsi di studio da ogni incombenza che non sia quella della ricerca e delle didattica.


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Note 1   I benefici di un sistema quale quello esistente fino agli inizi degli anni ’70 erano evidenti, a tal punto che la formazione superiore professionale era ritenuta dall’ OCDE eccellente in confronto alle analoghe formazioni di altri paesi. Non ci dobbiamo dimenticare che i curricula erano un unicum a livello internazionale, in quanto univano la formazione tecnica professionale ad una formazione umanistica di buon livello per la quale erano fondamentali professori patentati. Senza dimenticare che a questi percorsi formativi si accedeva senza esame al primo anno di tali istituti solo se si proveniva dalla scuola media (allora quella non unica), altrimenti si dovevano superare esami non semplici. 2   Questo è uno degli aspetti interessanti anche dell’attuale riforma, quella della cosiddetta “buona scuola”, in cui però non appare chiara la scelta “professionale” dei Presidi, che devono, a loro volta, essere ottimi esperti nelle materie qualificanti i diversi percorsi formativi. 3   Una ulteriore motivazione che ha portato alla separazione tra formazione professionale e mondo del lavoro, è collegata anche al ruolo dei sindacati e dei professori universitari e alle difficoltà che questi avrebbero dovuto gestire con professionisti qualificati non universitari. 4   Cfr., L’Indagine Occupazionale Diplomati nell’anno solare 2000 condotta dalla III Facoltà di Ingegneria del Polo di Lecco. 5   In Italia la figura del geometra ha sempre avuto una presenza molto radicata a livello locale, sostenuta altresì da una presenza molto attiva del rispettivo ordine professionale. La stessa proposta di una Laurea triennale finalizzata a una formazione mirata non ha trovato un sufficiente interesse per motivi non certamente imputabili alla sola posizione dell’ordine dei geometri nei confronti delle proposte adottate dalle università. 6   Cfr. la relazione del Rettore il prof. Emilio Massa all’inaugurazione dell’anno accademico del 1988-1989 e la relazione del Rettore De Maio in occasione dell’inaugurazione del 2001-2002. 7   In realtà, il prof. Spinelli ha sempre ricordato che la primissima riunione sulle doppie lauree ebbe luogo presso Ecole Centrale Paris nell’autunno 1988 alla presenza di sole 4 o 5 sedi (Ecole Centrale Paris inclusa) e ha sempre identificato quella riunione come la riunione dove è nato il T.I.M.E. Negli anni, alcune sedi hanno cambiato nome e/o si sono fuse, e qualcuna non è più membro dell’associazione. Il Rettore De Maio è stato nominato Presidente nel 2000 in occasione dall’Assemblea Generale di Zurigo. Nel 2002, nell’Assemblea Generale di Vienna, c’è stato l’avvicendamento con il Rettore Giulio Ballio, che è rimasto in carica come Presidente fino al 2005 (rieletto ad Atene nel 2003). Successivamente Presidente nel biennio 2013-2015 è stato il Rettore Giovanni Azzone (eletto nel 2013 all’Assemblea Generale di Milano). Di seguito i membri firmatari dell’Atto Costitutivo e fondatori. Membri Fondatori del Network T.I.M.E. e firmatari dell’Atto Costitutivo del 13 ottobre 1989:1.Ecole Centrale Paris; 2. Instituto Superior Tecnico de Lisboa; 3. National Technical University of Athens; 4. Politecnico di Milano; 5. Politecnico di Torino; 6. Rheinisch-Westfälische Technische Hochschule – RWTH Aachen; 7.Royal Institute of Technology – KTH, 8.Technical University of Denmark – DTU; 9.Technische Universität München; 10.Technische Universiteit Eindhoven; 11.Universidad Politecnica de Madrid – ETSII; 12.Friedrich-Alexander Universität Erlangen-Nürnberg; 13. Universidad Pontificia Comillas – ICA; 14. Universitat Politecnica de Catalunya – ETSEIB; 15. Universität Stüttgart;16. Université Libre de Bruxelles. Membri Fondatori dell’Associazione T.I.M.E. firmatari dell’Atto Costitutivo del 13 ottobre 1989: 1. Ecole Centrale de Lille; 2. Ecole Centrale de Lyon; 3. Ecole Centrale de Nantes; 4. Ecole Centrale Paris; 5. Ecole Nationale Supérieure de l’Aeronautique et de l’Espace; 6. Ecole Nationale Supérieure des Techniques Avancées; 7. Ecole Supérieure d’Electricité – SUPELEC; 8. Faculté Polytechnique de Mons; 9. Friedrich- Alexander Universität Erlangen-Nürnberg; 10. Helsinki University of Technology; 11. Instituto Superior Tecnico de Lisboa; 12. National Technical University of Athens; 13. Norwegian University of Science and Technology – NTNU; 14. Politecnico di Milano; 15. Politecnico di Torino; 16. Rheinisch-Westfälische Technische Hochschule – RWTH Aachen; 17. Royal Institute of Technology – KTH; 18. Technical University of Denmark – DTU; 19. Technische


74 Hochschule Darmstadt; 20. Technische Universität München; 21. Technische Universität Wien; 22. Technische Universiteit Eindhoven; 23. Universidad Politecnica de Madrid – ETSII, 24. Universidad Pontificia Comillas – ICAI; 25. Universitat Politecnica de Catalunya – ETSEIB; 26. Universität Stüttgart; 27. Université Catholique de Louvain; 28. Université de Liège; 29. Université Libre de Bruxelles. 8   Cfr., il documento del 7-9-2004,”Linee guida per la promozione della internazionalizzazione della didattica del Politecnico di Milano”, firmato dai professori Emilio Bartezzaghi e Stefano Ronchi e che segnala come la percentuale degli immatricolati stranieri ai Corsi di Laurea è passata dal 1,23% dell’anno accademico 2000-2001 al 3,31% dell’anno accademico 2003-2004, mentre i dottorati raggiungono l’8%, un dato nettamente superiore alla media italiana (2%) e vicino a quella tedesca (12%), come gli iscritti ai master. 9   Il prof. Giancarlo Spinelli, nato il 31 maggio 1945, è deceduto il 15 settembre 2017. 10   Nelle tabelle 9 e 9a i numeri si riferiscono agli studenti che, nell'anno indicato, hanno iniziato la mobilità di doppia Laurea. I dati sono estratti da documenti prevalentemente cartacei fino al 2014, anno in cui l’informatizzazione avviene dal momento dell’iscrizione dello studente a uno dei due progetti. 11   Soltanto il forte senso di appartenenza, caratteristica storica del personale operante al Politecnico, avrebbe permesso di mantenere una buona qualità con i necessari ricambi. La posizione al Politecnico può essere appetibile per il reclutamento di giovani – neo diplomati e neo laureati – se, da subito, possono partecipare a attività in posizione di responsabilità, acquisendo così una professionalità che avrebbe richiesto un più lungo periodo di tempo rispetto a un’assunzione in istituzioni private. Ma questa opportunità avrebbe potuto mettere in crisi la stessa possibilità di mantenere personale di alta qualità, se non per le posizioni di vertice. Viceversa, poter operare con regole “di mercato”, avrebbe reso possibile un miglioramento notevole dei vari servizi e più ampie opportunità professionali per un numero più ampio di personale tecnico e amministrativo. 12   Nel 1925, per iniziativa di Giacinto Motta, docente di Tecnologie elettriche del Politecnico di Milano (1900-1922) si costituisce la Fondazione Politecnica Italiana per promuovere studi e ricerche in tutti i campi dell’Ingegneria: Aderiscono all’iniziativa le principali aziende del gruppo Edison (di cui Motta è Consigliere delegato dal 1918), diverse società elettriche lombarde, banche ed enti industriali privati. La Fondazione politecnica dal 1925 al 1945 rappresenta una delle principali fonti di finanziamento dell’Ateneo per iniziative di ricerca e per avviare scuole di specializzazione, cfr., Aa.Vv., 125° del Politecnico di Milano, Mostra storica 1914-1963 e Mostra dei Frattali “Spettacolo Tecnologico”, Milano Palazzo Reale-Sala delle Cariatidi, 11 novembre 1988 - 8 gennaio 1989, edizione Clup, novembre 1988 e, cfr., Politecnico di Milano, “Il Centenario del Politecnico di Milano 1863-1963”, Milano 1964, pagine 542. 13   La finalità del Polo Innovazione Design, promosso dal prof. Giuliano Noci, del Polo Territoriale Cinese, è il sostegno per lo sviluppo di startup selezionate tra le proposte di neolaureati provenienti dalle migliori università del mondo. La convenzione firmata nel febbraio 2018 prevede la partecipazione al 60% della Tsinghua University, tramite la Tus-holding, e della Fondazione.


Capitolo 4 Il Politecnico e le strategie di crescita

4.1 L’emergenza spazi e le risposte delle Università Tre sono gli aspetti che, negli ultimi decenni del Novecento, costrinsero gli atenei a affrontare, senza ulteriori rinvii, oltre ai percorsi didattici e di ricerca, il problema dell’adeguamento degli spazi. Innanzitutto, la crescita, in tempi rapidissimi, del numero di studenti universitari, conseguente alla liberalizzazione degli accessi agli studi universitari, ex legge 910/1969, “Provvedimenti urgenti per l’università”. Questa crescita ha avuto un più forte impatto soprattutto nelle Facoltà che richiedono l’obbligo di frequenza e non hanno la possibilità di introdurre criteri di selezione, basati sul merito e sulla disponibilità di risorse. Alcune università, tra cui il Politecnico, hanno adottato una “dissuasione preventiva”, fornendo la serie storica degli insuccessi legati al titolo di studio pre-universitario e dei risultati ai test d’ingresso, formula che non poteva essere vincolante e che è servita a poco. Mentre nelle università non statali non c’era nessun vincolo, il numero programmato delle iscrizioni fu adottato, solamente nelle università statali per Medicina e per Architettura. Inoltre, come già accennato, molti territori hanno espresso il desiderio di avere una sede universitaria, quale segnale di prestigio per le comunità e per le amministrazioni locali. Se, inizialmente, la richiesta era quella di ottenere l’insediamento di Diplomi Universitari, successivamente, questa si trasformò nella domanda di vere e proprie sedi universitarie anche a causa della convergenza di un mix di interessi che andava da quelli delle amministrazioni e delle imprese a quelli delle famiglie. Il terzo aspetto che ha pesato sulle scelte è stata la politica locale e centrale. Quasi tutti i partiti prevedevano, nei propri programmi, la nascita di nuove università, il più delle volte senza risorse adeguate e, soprattutto, senza rendersi conto delle differenze sostanziali tra i curricula formativi. Nei paesi con cui ci si deve confrontare, esiste una “classifica” che distingue le università tra quelle con e senza la presenza di attività e di strutture per la ricerca. In Italia, viceversa, non c’è distinzione di merito: ha vinto il motto “un campanile, una università” senza trascurare il fatto che, l’istituzione di nuove università ha offerto a molti giovani laureati l’opportunità di diventare bravi ricercatori. Un giudizio comunque non estendibile a qualsiasi situazione e a ogni giovane laureato. Tuttavia, prima di entrare nel merito dell’emergenza spazi è necessario ricordare che, da sempre, l’evoluzione tecnologica, sociale


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e economica è coincisa con un aumento del sapere teorico e applicativo che, retroattivamente, ha accelerato la stessa evoluzione tecnologica. A questo proposito, rispetto allo sviluppo delle condizioni di vita delle popolazioni, si possono citare alcuni eventi, in cui il Politecnico ha giocato un ruolo rilevante, come le invenzioni e i numerosi brevetti nel campo dei sistemi di volo che si devono a Enrico Forlanini1 e la scoperta del polipropilene da parte del gruppo diretto da Giulio Natta. Poi premio Nobel per la Chimica. Invece non ebbe un adeguato sviluppo la risorsa di ricercatori e di docenti la cui crescita numerica avvenne in modo consistente solo negli anni ’80, sanando situazioni pregresse, ma con una diminuzione significativa dei livelli retributivi se riportati al potere di acquisto. In Italia, il processo di alfabetizzazione, dall’unificazione fino alla fine della seconda guerra mondiale e alla sua successiva estensione in termini di età, è un esempio positivo dell’obbligo scolastico esteso a tutti: prima, con l’obbligo di frequenza dei cinque anni della scuola elementare che doveva preparare tutti a saper leggere, scrivere e fare di conto, e poi con il passaggio, nel secondo dopoguerra, all’obbligo di frequenza dei 3 anni della scuola media, esteso, successivamente, di ulteriori due anni, cioè fino ai 16 anni di età2. Inoltre, alla fine degli anni ’60, l’Italia si presenta con un sistema formativo “professionalizzante” di assoluta eccellenza: gli istituti tecnici formavano periti, ragionieri e geometri che, alla fine del ciclo quinquennale, potevano inserirsi nel mondo del lavoro in posizioni di assoluto prestigio. Per far fronte ad una richiesta di maggiore conoscenza, anziché pensare a “migliorare” la formazione secondaria o a proporre nuove formule, come per esempio i diplomi di cui si è già parlato, si è pensato bene di utilizzare l’università quale percorso aperto a tutti i maturati dei licei storici, classico e scientifico, nonché dei diplomati dei licei di più recente istituzione, tra cui quelli linguistici, artistici, industriali, dei geometri e di scienze umane. Con la denominazione di “liceo” si è pensato di superare le differenze culturali, spesso significative, tra i diversi istituti di formazione Con l’esito che l’omologazione e l’uniformità sono i caratteri unificanti del nostro sistema educativo. Gli effetti sono, ancora una volta, un aumento quantitativo, e una probabile diminuzione qualitativa della preparazione; e, contrariamente agli obiettivi, un ritardo ancora presente nell’immissione dei giovani nel mercato del lavoro, con esiti non sempre corrispondenti a quelli attesi dal mercato. Rispetto alla situazione in cui il sistema universitario si è venuto a trovare, gli Atenei e i territori hanno reagito adottando due diverse modalità: cercando nelle vicinanze altri spazi per svolgere attività didattica e di ricerca e promuovendo centri di specializzazione tecnica e professionale con il sostegno e la partecipazione di imprese e di istituzioni private; oppure accettando una localizzazione in Comuni in cui la disponibilità territoriale fosse sufficiente per le prospettive di crescita future.


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Gemmando, in questo ultimo caso, nuove università là dove si poteva contare anche sulla disponibilità di docenti dell’università madre3. La gemmazione poteva essere promossa anche da più università consorziate e aveva come punti di forza quello di assicurare un nucleo di professori provenienti dalle Facoltà con più risorse e di permettere ai docenti ed ai ricercatori di poter usufruire delle opportunità offerte da nuove sedi per soddisfare il proprio desiderio di fare carriera fino alla carica di Rettore oltre che per rispondere positivamente ad una serie di pressioni locali, delle amministrazioni e dei cittadini. In ogni caso, il nostro sistema universitario avrebbe garantito il valore legale del titolo di studio: la dote di ogni università statale che ha contribuito non solo nel determinare una grande confusione, ma anche il convincimento dell’inutilità della valutazione delle sedi, anche se periodicamente si assiste al confronto con Atenei, che occupano i primi posti nelle classifiche internazionali. Tuttavia, l’istituzione di nuove università rispose anche ad un progetto di grande respiro come per alcune università statali e non statali che hanno potuto avvalersi di una maggiore autonomia. Pertanto, mentre in tutti i paesi europei e extraeuropei, esiste una chiara classificazione fra università, che garantisce ai laureati la valutazione sul mercato del lavoro sulla base dell’università che ha rilasciato il titolo, la nostra scelta fu l’istituzione indifferenziata di più università disperdendo così le scarse risorse esistenti, finanziarie e di personale. Si perse, così, l’occasione per sostenere, da un lato, le università orientate a una formazione di base professionalizzante, e, dall’altro lato, le università più competitive sul mercato globale della ricerca e della innovazione4. Può essere utile, in questo senso, una sintesi degli aspetti, positivi e negativi, di questa tendenza alla “rincorsa delle sedi”. Tra gli aspetti positivi possiamo ricordare: –– gli oneri maggiori, per le famiglie, sono il costo dell’alloggio con quello del mantenimento dei “fuori sede”5 non le rette di iscrizione all’università che, sono limitate per legge e non facili da aumentare. Da qui l’importanza delle “università sotto casa” e, in alternativa, delle Facoltà che richiedono una minore frequenza; –– la presenza di una università aumenta il prestigio della città ospitante anche solo per motivi molto pratici come per esempio l’incremento e il miglioramento di alcuni servizi urbani da quelli commerciali a quelli più sofisticati delle iniziative culturali; –– una maggiore presenza e stabilità della docenza, anche con l’eliminazione dell’obbligo per i docenti vincitori di un concorso a cattedra di condurre un triennio in una sede esterna da quella di provenienza6. Fatto salvo il caso in cui un percorso formativo particolarmente innovativo fosse disponibile in una sola sede. Inoltre, il titolo di “professore” universitario, in una sede nuova di una piccola città, è un titolo riconosciuto di maggior prestigio, rispetto a quanto non lo possa essere in una sede storica di una grande città.


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Tra gli aspetti negativi ricordiamo: –– la disponibilità di una università “sotto casa” che favorisce il “mammismo” che, ovviamente, non riguarda solo le mamme, ma anche lo studente che non è costretto a cambiare abitudini, amicizie, stili di vita. L’esito è la conservazione di un atteggiamento che, viceversa, anche l’università dovrebbe tendere a combattere soprattutto con i progetti Erasmus. Ma il provincialismo e la conservazione sono caratteristiche (difetti?) tipicamente italiani; –– la limitata presenza in una nuova università del numero delle discipline e degli interessi di ricerca e la difficoltà maggiore nel poter integrare più culture e istituire corsi specialistici, al contrario di una università storicamente più radicata; –– l’istituzione di una nuova università si orienta “generalmente su Facoltà poco costose” che non richiedono laboratori e attrezzature innovative. D’altra parte, la limitata disponibilità di risorse rende difficile investire in laboratori sperimentali che richiedono risorse ingenti anche nelle sedi universitarie più consolidate; –– la scelta di chi intende sfruttare la possibilità di svolgere gli studi “sotto casa” è spesso motivata da convenienze logistiche più che da propensioni culturali. Mentre i migliori ricercatori e i giovani docenti preferiscono rimanere in una sede prestigiosa, piuttosto che trasferirsi in una sede nuova e meno nota dove la carriera può essere più difficile. Anche questo aspetto può incidere sulla qualità delle nuove sedi, rafforzandone il provincialismo; –– l’istituzione di nuove università e, in parte, anche la gemmazione, eccita i peggiori comportamenti e istinti accademici. Ogni università, indipendentemente dalle dimensioni, necessita di “cariche accademiche” e pertanto diventare Rettore, e Direttore costituisce comunque un titolo “di merito” e di carriera. Comunque, le risposte dell’università si focalizzarono, come spesso avviene anche oggi, prevalentemente sulla mancanza di risorse in termini di spazi e di attrezzature: una scelta necessaria che, tuttavia, non ha permesso di andare alla radice del problema, come sarebbe stata la valutazione e la differenziazione delle sedi. D’altra parte, una possibile distinzione tra “università” e “istituti di formazione superiore avrebbe richiesto una valutazione di merito e avrebbe sollevato uno schieramento ampio e trasversale di oppositori.

4.2 Il Politecnico. La fase di “allargamento” in zona Città Studi Nell’affrontare la questione degli spazi il Politecnico di Milano ha seguito due strade per l’adeguamento delle proprie strutture: secondo le opportunità insediative che di volta in volta si presentavano e secondo una strategia regionale e con una prospettiva di più lungo termine.


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Inizialmente, Il Politecnico sembrò accettare una sua completa delocalizzazione nell’area destinata alla Città della Scienza prevista nel comune di Gorgonzola in corrispondenza di una fermata della MM della linea verde. Allora, si era negli anni ’60 e questa proposta sembrò in linea con la stessa storia dell’Ateneo. La sede in piazza Leonardo da Vinci è, infatti, la terza sede del Politecnico in Milano: in via Senato, fu la prima nel 1863; a piazza Cavour, la seconda pochi anni dopo; la terza, nell’area di Città Studi, nei primi decenni del Novecento. Viceversa, in concomitanza con la discussione sull’opzione Gorgonzola, poi caduta, la strategia adottata dal Politecnico fu quella di “allargarsi” nelle immediate vicinanze della sede di piazza Leonardo da Vinci, investendo nella costruzione di nuovi edifici e nella ristrutturazione di alcune sedi dipartimentali già esistenti e di altre prese in affitto e nell’adeguamento e risanamento, delle reti dei sotto servizi. Questa fase richiese un impegno non indifferente, congruente peraltro con la complessità delle strutture di un Ateneo organizzato, per la ricerca, in 19 Dipartimenti e, per la didattica, in 9 Facoltà. D’altra parte molte di queste strutture erano datate e pertanto richiesero anche un programma di interventi, in parte preventivi e in parte in parallelo ai nuovi interventi, per l’adeguamento degli spazi e dei rispettivi accessi e vie di uscita alle nuove norme per la sicurezza; per l’innovazione tecnologica delle due reti informatiche, quella amministrativa e quella per la ricerca; per la riqualificazione della centrale termica al cui posto è stata realizzata uno spazio studio coperto e uno terrazzato difronte al bar e della rete di riscaldamento e per la gestione delle acque della rete fognaria, inclusa la realizzazione della vasca di laminazione nel cortile del Campus Bonardi di fronte al Trifoglio. Nel corso degli anni ’70-’80, come già anticipato, fu progettato e poi costruito un nuovo edificio per aule e uffici in via Ampère per la Facoltà di Architettura; furono divise le aule di grandi dimensioni per ricavare altri uffici e aule per la didattica; fu ristrutturato un edificio per Chimica Fisica in via Mancinelli; fu ampliato l’edificio del Dipartimento di Elettronica con un’aggiunta davanti al Giuriati e furono affittati spazi per aule e uffici, sempre nei dintorni di Città Studi come in via D’Ovidio. Nel decennio successivo, queste iniziative permisero di ampliare e di ristrutturare le sedi dei Dipartimenti di Meccanica, di Matematica, di Fisica, di Topografia e Rilevamento e di Tecnologia (Diset); di trasferire il Dipartimento di Ingegneria Gestionale in un edificio, acquistato e ristrutturato, in via Giuseppe Colombo e di adeguare la sede delle Presidenze di Ingegneria, affittando la Stazione Sperimentale della Carta e degli oli combustibili in piazza Leonardo 1. In via Golgi, fu sistemato l’edificio 34 e furono ricavate, in una parte dell’edificio della mensa di via Golgi, nuove aule didattiche e nella stessa via furono costruiti due nuovi edifici, il primo destinato a aule anche attrezzate e il se-


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condo destinato dopo il 2002 alle segreterie studenti. Il recupero di questi nuovi spazi in zona permisero di riqualificare e di adeguare anche la dotazione dei servizi dell’Ateneo: per esempio, le biblioteche di Ingegneria e di Architettura, il Centro per la grafica, il Centro di Documentazione della Facoltà di Architettura, il Servizio Medico e l’asilo per i figli dei dipendenti, le aule destinate a riunioni e attività di rappresentanza come l’Aula delle Vetrate, attualmente Aula Magna, al primo piano del Rettorato, uno spazio cui si accede dall’ingresso principale di piazza Leonardo da Vinci 32 e che guarda sulla piazza stessa. Nel frattempo, anche i centri partecipati dal Politecnico, quali il MIP, il Cefriel, il Corecom, e il Cineas trovarono localizzazione in edifici vicini. Ad esempio, il MIP trovò la prima sede, per concessione del Comune, nel palazzo Clerici e, successivamente, presso la scuola della Pirelli, per trasferirsi infine nella sede di via Gran Sasso n.28 in un edificio affittato e ristrutturato dal Politecnico e dove ebbe la sua prima sede anche la Fondazione Politecnico. Mentre sia Cefriel che Corecom furono collocati l’uno in piazza Bernini e l’altro in via Ampère. Il Corecom si trasferì successivamente, sempre nelle vicinanze, nel complesso chiamato da sempre “Cremlino”. Inoltre, furono avviate le prime iniziative per accrescere le strutture destinate all’ospitalità degli studenti, promuovendo: la convenzione con il Comune di Milano per l’utilizzo della ex Casa della Laureata, in via Filippo Corridoni 22; la costruzione di due nuove sedi convenzionate, la prima a Lambrate nelle vicinanze di Città Studi, e la seconda, in Bovisa, e la promozione di altre convenzioni per l’uso degli studentati gestiti dalla Ceur e dalla Rui. Contestualmente il Politecnico partecipò all’accordo tra più Atenei, patrocinato da Giancarlo Lombardi ex Ministro della Pubblica Istruzione, per la realizzazione del Collegio di Milano destinato a studenti meritevoli provenienti da diverse nazioni. Le iniziative a sostegno della ospitalità furono estese anche ai Poli del Politecnico Rete con una cura sempre maggiore nel garantire un livello di ospitalità che comprendesse l’attenzione sulla programmazione di iniziative culturali anche su temi extracurriculari, sociali e economici. E con una crescita della disponibilità di posti letto gestiti dal Politecnico che, nel 2002, raggiunse un numero pari a circa 850/900 posti letto. Una disponibilità che, nel 2015, è cresciuta per quanto riguarda Milano fino a 1.420 posti letto e per quanto riguarda i Poli fino a ulteriori 350 posti letto tra i quali 200 sono attribuibili al Polo di Lecco. Oltre a questa opportunità si deve considerare l’offerta di altri operatori come quella degli studentati Falciola, Ceur e Rui. Molto prima, alla fine degli anni ’60, il Politecnico aveva sostenuto l’aumento dell’offerta didattica anche con il trasferimento e l’impegno di propri docenti in occasione dell’istituzione a Pavia di una Facoltà di ingegneria e, in anni successivi, in quelle di Ingegneria a Brescia e poi in quella di Bergamo. Si ricorda in particolare


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per Pavia il trasferimento del prof Roberto Schmid e per Bergamo quello del prof. Stefano Paleari che diventeranno entrambi Rettore delle rispettive sedi7. Tuttavia, mentre si procedeva con questo programma di adeguamento e di manutenzione ordinaria e straordinaria degli spazi destinati alla didattica e alla ricerca si faceva strada anche la necessità di definire una strategia di più largo respiro: una strategia con una programmazione non più dettata dalle sole emergenze. Proprio per questo il Politecnico, oltre alla sintesi delle iniziative su riportate, ha deciso di assumere una strategia innovativa con l’istituzione di una rete di Poli Universitari in alcuni capoluoghi di Provincia e nella stessa città di Milano. E noi, per l’importanza e per l’impegno richiesto da questa scelta, abbiamo deciso di dedicare una particolare attenzione alla strategia del Politecnico Rete e agli interventi realizzati del progetto per la grande Bovisa.

4.3 La strategia del Politecnico Rete Entrando nel merito del Politecnico Rete è necessario richiamare il fatto che questa configurazione, fu facilitata dall’esperienza di corsi triennali di Scuole dirette a fini speciali e i Diplomi istituiti dall’Ateneo, avviate in più città della Lombardia nonché dalla reazione positiva del mercato del lavoro. Il tasso di occupazione stabile dei neo diplomati era altissimo, tanto è vero che, in molti casi, l’impiego era assicurato prima ancora della fine dei corsi. Come, per esempio, nel caso dell’istituzione del Polo di Como, dove l’allora Presidente della Camera di Commercio di Como, l’ing. Vico Valassi, convinse la comunità comasca a preferire il progetto del Politecnico di Milano e un programma di corsi di formazione e di attività di ricerca sostenuto da un accordo anche con l’Università degli Studi di Milano rispetto all’alternativa di gemmare una nuova università8. D’altra parte, un laureato del Politecnico di Milano avrebbe avuto un titolo più spendibile sul mercato del lavoro di un ingegnere o architetto laureato in una università nuova, meno nota. In altre situazioni, il convincimento incontrò più difficoltà, ma, alla fine, utilizzando come testimoni le comunità già coinvolte, il progetto del Politecnico Rete fu accettato quasi ovunque, salvo alcune eccezioni: quella di Brescia, in cui la costituzione dell’Università poteva contare su una sede già consolidata e su una comunità storicamente tanto forte da poter far valere autonomamente le proprie ambizioni; quella di Bergamo, collegata al supporto della grande industria locale e, infine, quella di Castellanza, nata come università non statale e con una Facoltà di Ingegneria gestionale che non richiedeva grandi investimenti iniziali.


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Un caso a parte è costituito da Sondrio. Per la dimensione del territorio di riferimento, e la logistica sarebbe stato impensabile proporre Sondrio come sede di un Polo. L’alternativa fu quella di organizzare percorsi formativi (tipo master e scuole di specializzazione) su particolari argomenti, quali, ad esempio, l’edilizia e la salvaguardia del patrimonio naturale montano e un laboratorio di monitoraggio delle frane e delle esondazioni. Ma tale ipotesi non andò oltre ad una proposta di larga massima9. In questo quadro, il binomio “Politecnico Rete”, riassume il significato del programma di riorganizzazione del Politecnico di Milano completato con i successivi insediamenti di Como, Lecco, Mantova, Cremona e Piacenza, e orientati, ciascuno, a assumere una specificità per sviluppare le potenzialità dei rispettivi territori. L’obiettivo del Politecnico Rete è la costituzione di più sedi che possano avvalersi sia della massa critica di risorse e di tecnologie della sede storica nonché del suo nome e del suo prestigio, sia dei vantaggi di un rapporto più diretto allievo/docente, nonchè di una più agevole interazione con le attività produttive e con le istituzioni pubbliche e private del contesto di riferimento. La proposta del Politecnico Rete, avviata alla fine degli anni ’80, sembra riprendere l’utopia di un precedente scenario avanzato negli anni ’60, quello di un sistema regionale di cittadelle del sapere. Allora, il progetto venne ripreso anche a livello centrale (anche se poi è stato abbondonato) quando l’Osservatorio del Ministero dell’Università, ipotizzando una sorta di distretto universitario regionale, richiama quella ipotesi parlando di un modello di reti di sedi che può essere considerato un’evoluzione di quello delle sedi autonome, con importanti differenze. In tal caso, il soggetto dell’autonomia è la rete di sedi nel suo insieme, nel senso che non vi è una sede madre collegata a sedi decentrate, bensì una confederazione di sedi, formalmente e sostanzialmente a pari livello tra loro. Negli stessi anni anche altri Atenei molto grandi come l’Università dello Stato della California (l’unica università dello stato, la “UC” allora costituita da una federazione di 9 sedi) aveva adottato una rete di Campus sul territorio, dotati di autonomia e qualificato ciascuno dalla presenza di ricerche e di laboratori sperimentali, coordinati da una organizzazione centralizzata finalizzata a sostenere scambi e informazioni reciproche.10 Una strategia che il Politecnico realizza nel corso degli anni ’90 e che, nel 1989-2000, viene ripresa nella copertina, qui di seguito allegata del supplemento del quotidiano La Repubblica, Lombardia Università. Inoltre, la proposta si rese necessaria per affrontare problemi che, nel frattempo, si erano aggravati rispetto agli anni ’60 soprattutto su due versanti: la carenza di spazi e di strutture di laboratorio e l’urgenza di collegare l’università con i centri e le attività di ricerca più innovative sia a livello nazionale che internazionale, mettendo in gioco le risorse dell’intera regione.


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Immagine 1 La rete delle cittadelle del sapere che comprende i capoluoghi della regione Lombardia e delle città di Novara e di Piacenza che, per molti aspetti come i collegamenti ferroviari, gravitano su Milano

A metà degli anni ’80, gli studenti iscritti sono compresi tra 20/25.000 unità rispetto ai 5/6.000 dei primi anni ’60; i percorsi formativi, nonostante il sovra-affollamento degli spazi e le tensioni del decennio 1968-1978 sono svolti con regolarità anche se i dati sugli abbandoni e sulla durata degli studi sono ancora insoddisfacenti. Tuttavia, per non ingenerare equivoci, è necessario sottolineare che il periodo non fu facile e che il Politecnico non fu sempre ben visto, soprattutto quando negava il proprio assenso a progetti, che in molti casi erano soltanto buoni propositi, fantasie e speranze. Il problema, spesso non compreso, non era quello di aver facili consensi, ma di fare qualcosa di utile che, nel caso universitario, vuol dire assicurare la qualità didattica e scientifica di ogni iniziativa in una prospettiva che possa reggere nel tempo anche a fronte dei costi degli ineludibili adeguamenti.


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Lo scopo comunque fu raggiunto con l’avvio delle sedi staccate del Politecnico di Como, Lecco, Cremona, Mantova e, successivamente, con un inserimento in altra regione, della sede di Piacenza, una città che ha sempre avuto forti relazioni con Milano. La strategia del Politecnico Rete richiede di ribadire aspetti di non poco conto e di ricordare le vicende intervenute nel percorso attuativo delle divere sedi. L’idea di base fu quella di “non replicare” nelle diverse sedi lo stesso percorso di studio. In altre parole, la “specializzazione di Laurea” doveva essere attribuita ad un’unica sede e la sede di Milano non avrebbe dovuto fare eccezioni. Quindi il “meglio” della ricerca e della didattica offerta dal Politecnico in un particolare ambito avrebbe dovuto concentrarsi in una unica sede, per evitare che si creasse, nel tempo, uno scivolamento delle sedi non milanesi verso una qualità inferiore. La realizzazione di tale impostazione poteva tener conto delle ragionevoli esigenze delle famiglie sul contenimento dei costi legati allo spostamento degli studenti fuori sede e, al contempo, questo poteva valere anche per studenti provenienti da altre regioni e dall’estero, perché il costo della vita sarebbe risultato complessivamente inferiore rispetto a quello della sede di Milano. Questo disegno fu agevolato anche perché non era ancora iniziato il cosiddetto “processo di Bologna”, con i due livelli di formazione. Prima di tale applicazione, infatti, il biennio propedeutico di Ingegneria avrebbe potuto essere svolto in tutte le sedi, poiché poteva essere pensato come un percorso unico, con piccole integrazioni a seconda del Corso di Laurea prescelto, mentre il triennio successivo avrebbe dovuto differenziarsi da sede a sede. Per Architettura, il progetto sarebbe stato diverso nel senso che ogni sede avrebbe potuto specializzarsi in un determinato orientamento formativo, come in uno di quelli proposti per Disegno industriale oppure in quello di Restauro. Per i settori del mobile e del tessile arredo, molto presenti in tutta la Lombardia, la Facoltà di Disegno Industriale istituita a Milano, nel Polo di Bovisa, e successivamente in altre città, poteva offrire l’opportunità di avviare iniziative formative anche in altre comunità indipendentemente dalla presenza di sedi dell’Ateneo. Nel Polo di Como, per esempio fu avviato il corso di formazione per il mobile e il tessile arredo. Qui, il successo iniziale incontrò successive difficoltà dovute probabilmente alla maggiore attrazione esercitata dalla sede di Milano, per la possibilità di accedere ai laboratori di Bovisa e alle sedi delle case di produzione di maggior prestigio. L’istituzione di Corsi di Laurea di Industrial design fu poi adottata anche da altre università, come a Genova e poi a La Spezia, dove fu aperto il corso di Progettazione Nautica e, a Palermo dove, fu avviato, un Corso di Disegno Industriale con più orientamenti ma con andamenti alterni. Nel caso di Mantova, apparve molto interessante l’ipotesi di sviluppare l’intera filiera formativa legata alla valorizzazione dei beni


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storici e culturali. Il percorso avrebbe dovuto interessare anche le scuole professionali per la formazione di maestranze qualificate per il restauro, potendo utilizzare come cantieri gli edifici antichi e di pregio e promuovere l’utilizzo di nuovi materiali e di nuove tecnologie impiantistiche, compatibilmente con i vincoli imposti dai manufatti storici. Sull’ipotesi di fare di Mantova, un Polo nazionale di Restauro, allora, si espresse favorevolmente il Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica che, tra il 1996-2000, fu Luigi Berlinguer e che condivise l’impostazione di un percorso formativo per il comparto delle attività di restauro e che, vista la ricchezza del patrimonio ereditato e spesso sottoutilizzato e abbandonato, avrebbe rafforzato il ruolo italiano nella gestione dei beni culturali. Tuttavia, molti docenti di restauro non furono altrettanto disponibili. Ma non sempre le idee buone, soprattutto se innovative, trovano risonanza e accettazione. Nello stesso periodo, con l’avvio del processo di internazionalizzazione seguito da una serie di accordi con università straniere, crebbe anche la presenza di studenti, provenienti dai paesi esteri. Un fatto che richiese di programmare la realizzazione di strutture dedicate all’ospitalità anche tramite accordi specifici con le comunità locali. Per esempio, come già accennato, costruendo residenze del Politecnico e ampliando l’offerta tramite convenzioni con organizzazioni con finalità sociali. A Como il Politecnico ebbe modo di disporre di uno studentato in condivisone con l’Università degli Studi; a Lecco, venne realizzato uno studentato con 200 posti all’interno del Campus, mentre nelle sedi di Cremona, Piacenza e Mantova l’ospitalità è, ancora, contenuta e convenzionata con diversi operatori, privati e pubblici. Nel tempo, questa questione si farà più pressante se si considera che, nel 2015-2016, gli studenti stranieri sono circa 6.000 e quelli che vengono da regioni diverse dalla Lombardia sono 12.000, per un totale di circa 20.000 su un totale di 42.000. Infine, durante il processo di realizzazione del Politecnico Rete, si presentò anche l’opportunità di avviare una struttura completamente nuova, in occasione della proposta fatta al Politecnico di partecipare, in accordo con l’Università degli Studi di Milano, alla gemmazione di una nuova Università nella sede di Como. La proposta, sostenuta da un importante centro di ricerca, il centro studi Alessandro Volta di Como, oltre che da molti accademici e dalle amministrazioni locali11 si presentava di grande interesse. Tuttavia, dopo un lungo e non sempre amichevole confronto e grazie al supporto, come già detto, dell’allora Presidente della Camera di Commercio di Como, l’ing. Vico Valassi, fu deciso di evitare l’istituzione di una nuova Università e di scegliere la strada di un Polo del Politecnico a Como con iniziative collegate a Lecco. Una prospettiva, diversa da quella per la quale optò l’Università degli Studi, che si orientò, da subito, per la gemmazione di nuove sedi e che, successivamente, si è orientata a far confluire nell’università dell’Insubria di Varese anche le attività della sede di Como12.


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In sintesi, i capisaldi del progetto del Politecnico Rete possono essere riportati nei sette punti, ripresi qui di seguito: 1) l’unicità della strategia. Un Rettore, un Senato, un Consiglio di Amministrazione. Questo fatto implicò la definizione di una strategia unitaria e coerente fra le varie sedi e con il contesto locale e internazionale; 2) l’unitarietà della strategia. Questa scelta richiedeva di investire in laboratori caratterizzanti ogni sede, nel senso che ogni triennio applicativo avrebbe dovuto differenziarsi per l’attività di ricerca richiamando i docenti interessati a ciascuna diversa attività di ricerca. Sperimentando, inoltre, in alcune sedi, l’istituzione di Facoltà Territoriali con la nomina dei Presidi e dei Direttori dei Centri di Sviluppo, prima dell’Istituzione dei Poli Territoriali e dei Prorettori di Polo; 3) la localizzazione territoriale. La scelta doveva essere coerente con la caratterizzazione sociale e economica del contesto, coinvolgendo le amministrazioni locali e la cittadinanza e utilizzando, per l’insediamento del Polo, i manufatti urbani disponibili e accessibili con i mezzi della rete pubblica. Inoltre, l’inaugurazione dell’anno accademico, doveva essere tenuta, a rotazione, nelle diverse sedi; 4) il modello organizzativo. Le caratteristiche del modello dovevano assicurare una grande flessibilità: da una parte, il meglio di una istituzione di grande prestigio e, dall’altra parte, una sede di dimensioni contenute e, per ciò stesso, più facilmente orientabili, pur rimanendo sedi del Politecnico di Milano e erogando un titolo di studio validato a livello internazionale; 5) l’ambiente internazionale. L’iscrizione a una università che è parte attiva di un circuito internazionale di relazioni, è un aspetto che conta dal livello più semplice dell’Erasmus alla doppia Laurea e alla partecipazione a ricerche congiunte con i migliori Atenei europei. Senza dimenticare l’opportunità di svolgere periodi di formazione pratica (gli stages) presso industrie, studi professionali e istituzioni per i quali il Politecnico si fa garante della validità del tirocinio in cui lo studente deve acquisire abilità che l’università non gli può offrire; 6) il fattore accoglienza. Lo scopo di attrarre studenti stranieri provenienti da tutto il mondo richiedeva di poter disporre di più sedi per l’ospitalità: un grande fattore positivo, in quanto l’accoglienza in città di minore dimensione poteva essere realizzata con in tempi relativamente più brevi rispetto a quelli di Milano senza sacrificarne la qualità; 7) il fattore gestionale. Ogni sede doveva avere un con un buon livello di autonomia e di responsabilità nei confronti dei risultati raggiunti dalla sede e con la possibilità di partecipare con diritto di intervento, alle sedute del Senato Accademico. Questi sono i capisaldi della discussione che, in pochi anni, portò allo sviluppo delle sedi del Politecnico Rete, oltre alla seconda sede del Politecnico di Milano.


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Le riflessioni condotte nel corso di questa ricognizione con i responsabili di sede, hanno tuttavia sottolineato che i Poli hanno avuto un diverso livello di sviluppo. Questa diversità è riconducibile, oltre che alla crisi economica degli anni 2000 a almeno altri due fattori: il grado di interesse delle comunità locali nei confronti di iniziative con impatti certamente non immediati e non sempre condivisi; il comportamento della stessa comunità accademica che, di fronte alla contrazione delle risorse, tende a privilegiare sedi e laboratori più consolidati come quelli di Milano, piuttosto che mantenere aperte altre opportunità con minori prospettive di sviluppo e di carriera. Un comportamento, forse di prudenza, che tuttavia ha portato alla chiusura e alla rinuncia di molte attività non autosufficienti economicamente, ma anche a un’asimmetria nella distribuzione della docenza con una tendenza alla polarizzazione nella sede di Milano di quella strutturata e nelle sedi dei Poli della Rete di quella precaria.

4.4 L’istituzione dei Poli La ricostruzione delle principali vicende di ogni Polo ha lo scopo di evidenziare il ruolo delle comunità locali e le opzioni espresse dallo stesso Ateneo: una sequenza di scelte avvenute in un periodo in cui le università sono state interessate anche dai cambiamenti introdotti da molti provvedimenti normativi. A livello legislativo si sono succeduti, in una sequenza di pochi anni, più provvedimenti: la L. 382/1980 sull’organizzazione delle strutture degli Atenei, l’istituzione del Diploma Universitario, l’attuazione del Processo di Bologna con l’istituzione della Laurea triennale e della Laurea magistrale biennale, l’avvio del processo di autonomia statutaria ex lege n.168/1989, e di seguito, di quella finanziaria ex lege 537/1993 e di quella didattica licenziata con il disegno di legge indicato come Bassanini 113. Un insieme di provvedimenti che, come per il processo di autonomia, completato con il decreto legge Bassanini 214 collegato alla finanziaria del 1997, non si sarebbe potuto concludere con l’emanazione delle sole norme. D’altra parte, l’attuazione del Politecnico Rete, come la stessa riorganizzazione dell’Ateneo, non avrebbe potuto essere realizzata secondo un percorso lineare e senza dover affrontare le ineludibili contraddizioni e le mediazioni anche tra gli interessi interni allo stesso Politecnico. Tuttavia, tra gli effetti dell’avvio del processo dell’autonomia, anche se mai interamente attuato, va sottolineato il fatto che si è dovuta dedicare una maggiore attenzione alle relazioni e alle alleanze tra le istituzioni pubbliche e private, tra più comunità scientifiche e tra più regioni a livello nazionale e internazionale, oltre che alla sostenibilità economica di ogni iniziativa. Pertanto, ripercorrere il progetto Politecnico Rete si è rivelato un modo per ricordare l’impegno dei soggetti istituzionali e i risultati riconoscibili nel decennio 1990-2000 e nei primi due anni del 2000.


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Anche se questi risultati non hanno impedito ripensamenti successivi che oltre ad essere imputati alla crisi emersa nel 2008 e al differente sostegno da parte delle amministrazioni locali, hanno evidenziato la sottovalutazione, da parte degli stessi proponenti il progetto, dei cambiamenti che possono insorgere in ogni comunità scientifica e che non sempre sono imputabili alla viscosità dei territori e degli interessi locali. Nelle vicende di ogni Polo due sono i fattori comuni che, come anche se già ricordati, devono essere ribaditi in quanto hanno influenzato le scelte organizzative e i percorsi formativi e di ricerca: –– i diversi Poli sono nati da esperienze precedenti di Scuole dirette a fini speciali e da corsi professionalizzanti regionali nell’ipotesi di investire in una iniziativa che si potesse caratterizzare come interfaccia tra l’Ateneo e il contesto culturale e economico, urbano e territoriale di ogni contesto locale; –– i Poli, promossi in accordo con Centri di ricerca e con Istituti Tecnici Industriali e Professionali, da tempo presenti a livello locale, hanno potuto utilizzare spazi, attrezzature e altre risorse già disponibili e, soprattutto, entrare in relazione con le amministrazioni pubbliche, con le associazioni industriali e del mondo del lavoro e con altri enti culturali locali. Queste sono state le precondizioni che hanno permesso di sviluppare un clima di consenso per la riuscita del progetto e che hanno inciso sulle date di istituzione dei Poli e dei corsi universitari. Per quanto riguarda la scelta insediativa, questa cadde sulla riqualificazione di volumi non più utilizzati e localizzati a una distanza pedonale dal trasporto su ferro, anticipando l’obiettivo di contribuire, a livello comunale, alla rigenerazione di tessuti urbani degradati e. a livello territoriale, al contenimento del consumo di suolo e del ricorso all’uso del mezzo privato. Il primo Polo istituito fu quello di Como, avviato con un accordo che prevedeva di tenere anche alcuni corsi a Lecco. I Poli di Cremona e di Piacenza, ebbero il sostegno di sedi universitarie già presenti. Il Polo di Mantova, fu avviato come sviluppo di corsi di formazione regionale FSE. Su ogni Polo hanno avuto un ruolo oltre alle scelte dell’Ateneo, le caratteristiche dei rispettivi contesti territoriali: in particolare, i settori industriali manifatturieri nel caso dei due Poli del Nord e le economie agroindustriali oltre alle valenze storico culturali tipiche delle città storiche italiane, nei casi di Mantova, Cremona, Piacenza. Tre città in posizioni molto diverse per quanto riguarda le relazioni con i rispettivi territori: –– Mantova, in una posizione geografica al confine tra tre regioni: una posizione spesso incerta per quanto riguarda le relazioni da privilegiare; –– Cremona e Piacenza, due città poste a confine tra due regioni contigue, lungo sponde contrapposte del fiume Po, ma molto più accessibili, diversamente da Mantova, grazie alle infrastrutture di trasporto nord-sud su ferro e su gomma.


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I Poli di Como e Lecco. La fase in comune Negli anni ’80, la domanda delle istituzioni pubbliche e private dei territori del nord ovest della Regione Lombardia induce l’avvocato Giuseppe Guzzetti, presidente della Regione Lombardia, a richiedere uno studio di fattibilità che definisse gli indirizzi e i criteri per l’insediamento di una o più sedi universitarie con l’obiettivo di innovare il tessuto industriale in crisi di competitività, e, contestualmente, di decongestionare le sedi universitarie milanesi. A tal fine, fu istituito un gruppo di lavoro presso il Centro Volta di Como15 che condusse un ampio lavoro di analisi territoriale e di consultazione dei diversi portatori di interesse, confluito in un corposo documento a sostegno della istituzione, in Como, e in sinergia con Lecco, di alcuni corsi universitari. L’ipotesi iniziale fu di decentrare almeno il 10% delle iscrizioni delle matricole gravitanti su Milano con l’istituzione, a Como, del biennio del Corso di Laurea in Ingegneria del Politecnico di Milano e del primo anno dei corsi di Laurea in Chimica e in Fisica della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università degli Studi di Milano. Nel 1989, dal primo agosto al primo novembre, furono avviate le iscrizioni, previa prova attitudinale obbligatoria non selettiva, al primo anno del biennio del Corso di Laurea in Ingegneria del Politecnico di Milano degli studenti residenti nelle province di Como e Sondrio, compresi quelli di Varese e di Bergamo, che avrebbero dovuto anche indicare la sede in cui seguire i corsi con l’opzione tra Como e Lecco. Inoltre, sempre a Como, fu successivamente avviato anche il corso estivo, full immersion, di italiano per gli studenti stranieri. Parallelamente, furono aperte anche le iscrizioni per il primo anno dei corsi di Laurea della Facoltà dell’Università degli Studi di Milano, sempre a Como, da tenersi tra il primo di agosto e i primi giorni di novembre, successivamente a un incontro informativo sui programmi didattici tenutosi a metà settembre. Per l’avvio degli insegnamenti dei corsi di studio dell’Università degli studi di Como ci si avvalse dell’apporto della Scuola diretta a fini speciali e inizialmente della sede della Fondazione Ratti e del Centro Volta e delle strutture didattiche dell’Istituto Tecnico Industriale P. Carcano di via Castelnuovo, mentre nel caso di Lecco, ci si avvalse della sede in comodato gratuito di via Matteotti 3, una proprietà ripartita al 50% tra la Provincia, e la società Carlo Valassi. Nel 1993, la sinergia tra Como e Lecco venne meno anche in seguito all’istituzione della Camera di Commercio di Lecco avviata nel 1992, seguita dalla istituzione della nuova Provincia di Lecco. Da allora per quanto riguarda il Politecnico furono avviati percorsi di formazione differenziati tra le sedi di Como e di Lecco mentre, a Como, si consolidarono i corsi di studio della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università degli Studi di Milano.


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Il Polo di Como. Le immagini

Immagini 2-3-4-5 Sopra il Polo nel suo complesso; sotto i laboratori del Politecnico nell’edificio di via Anzani e l’aula Magna

Il Polo di Como. La cronologia Il Polo fu istituito nel 1989 con l’avvio del primo anno del biennio in Ingegneria a cui fa seguito l’istituzione dell’intero Corso di Laurea in Ingegneria Informatica (indirizzo gestionale)16, come previsto dal Piano Quadriennale 1986-1990 del MURST. L’iniziativa era stata anticipata nel 1987 con l’attivazione della Scuola diretta a fini speciali richiesta e finanziata dagli enti locali e dall’Unione industriali di Como17. Nell’a.a.1994-1995 viene istituita la Facoltà di Ingegneria di Como, con Preside il prof. Pierluigi della Vigna. Nell’a.a. 20012002 viene istituito il Polo regionale di Como. Il primo di sede è stato il prof. Pierluigi della Vigna a cui sono seguiti come Prorettori di sede i professori Roberto Negrini e Maria Brovelli. Nello stesso anno, sono attivati anche due orientamenti della Facoltà di Disegno Industriale di cui era Preside il prof. Arturo Dell’acqua Bellavitis e sono avviate ricerche in accordo con il CLaC e con altre realtà produttive per iniziative di promozione del design italiano con più paesi anche non italiani.


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Nell’a.a. 2001-2002 i corsi di Laurea attivi, in seguito a D.M. 509/1999, sono quelli in: Ingegneria Gestionale, Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio, Ingegneria informatica, Ingegneria Informatica on line e Disegno Industriale con gli orientamenti per i settori del tessile e del legno arredo. Mentre in parallelo andavano a esaurimento i Corsi di Laurea del Vecchio Ordinamento e i Corsi di Diploma, sempre antecedenti al D.M. 509/1999, in Ingegneria Informatica e Ingegneria dell’ambiente e delle Risorse. Inoltre il Polo, con un numero di studenti immatricolati pari a circa 560 unità e un numero totale di studenti iscritti al polo regionale pari a 1.650 unità, può contare su 30 docenti, di cui 15 ordinari, e su 12 ricercatori. Mentre, sul versante dell’occupazione, il 97% dei laureati e dei diplomati trova lavoro entro 4 mesi, con offerte di lavoro provenienti anche dalla metropoli milanese. Per la sede, il Polo ha potuto utilizzare gli spazi messi a disposizione dagli enti locali per circa 3.000 mq e altri in coproprietà con l’Università dell’Insubria pari a circa 4.000 mq, realizzati con fondi ministeriali. In occasione dell’inaugurazione del 137° a.a., 1999-2000, viene allestita in tempi rapidissimi l’aula magna con il sostegno del comune di Como, il contributo della Comunità Montana del triangolo lariano e della Fondazione Cariplo: un luogo accogliente, come lo hanno definito i progettisti, gli architetti Achille Castiglioni e Gianfranco Cavaglià, destinato ad accogliere anche iniziative artistiche, teatrali e musicali rivolti agli studenti e alla cittadinanza. Contestualmente viene costruito e allestito anche uno stabile per l’accoglienza degli studenti Erasmus e, più in generale degli studenti fuori sede o svantaggiati dal punto di vista dell’offerta del servizio del trasporto pubblico. La sede fu ampliata anche con l’acquisizione in via Gerbetto, di circa 1.000 mq, al fine di realizzare, in accordo anche con l’Università Statale di Milano, un campus interuniversitario dotato di più servizi. In seguito, Il Politecnico acquistò, con il contributo della Fondazione Cariplo, uno stabile di circa 2.500 mq, situato in via Anzani. Questo stabile fu attrezzato con più laboratori tra cui quello per la ricerca sui nuovi materiali in collaborazione con il Politecnico di Zurigo. Nel 2002, nel Polo sono presenti cinque principali aree di competenza che concorrono in modo integrato su più temi di ricerca e su più percorsi didattici come esemplificato di seguito per tre di queste aree. Queste aree sono: –– Ingegneria informatica, con due corsi di Laurea in Ingegneria Informatica ex cattedra e on-line in convenzione con la società Somedia del Gruppo Repubblica-Espresso e con valutazioni per gli esami di merito sostenute in sede. –– Ingegneria gestionale, con il consolidamento del Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale e di corsi di Master TIME in collaborazione con le università di Stoccolma e di Madrid.


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–– Ingegneria per l’ambiente e per il territorio con i corsi di Cartografia GIS e Quantity Surveying, un master sui temi della mobilità e dei trasporti (MATTLAB) in collaborazione con Insubria, SUPSI e Accademia di Mendrisio. –– Disegno industriale con i corsi di Laurea di design Industriale, indirizzo legno-arredo, tessile-moda e arredamento, nella prospettiva di attivare un servizio anche per le imprese con un programma di istruzione permanente sul design di interni. –– Ingegneria fisica con insegnamenti in più corsi di Laurea, in accordo anche con l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e con ricerche nei laboratori di via Anzani, dove, dal 2002, è previsto l’arrivo del prof. Hans Von Kaenet dell’Università di Zurigo e la collaborazione con l’Istituto Nazionale per la fisica della materia (INFM) con il progetto per un Centro dei materiali e delle superfici nano strutturate Inoltre si sviluppano ricerche nei campi tematici dell’energetica, della matematica e dell’ingegneria strutturale con il rischio che non siano sufficienti nemmeno i 10.000 mq messi a disposizione dal comune nell’ex sede dell’ospedale psichiatrico, poi non utilizzati a causa dei costi di ristrutturazione non giustificabili. Successivamente, nel corso del 2016, il Polo entra in crisi. Chiudono i corsi di Ingegneria Civile e Gestionale e rimane attivo fino a esaurimento degli iscritti solo il Corso di Ingegneria Informatica e chiudono i corsi di Disegno industriale. Emerge, accanto a una caduta di interesse da parte del territorio, la preferenza da parte degli studenti per l’offerta formativa da parte delle sedi universitarie di Milano. Nel corso del 2017, il Politecnico ipotizza un programma di sostegno dell’incubatore di Impresa di Lomazzo e di approfondimento della mobilità intelligente con un programma di costruzione di auto intelligenti e di mobilità da remoto, sostenuto da più iniziative, tra cui un corso di mecatronica, e da più imprese locali, tra cui la Ditta Eldor, azienda leader a livello internazionale nel settore automotive. E in prospettiva di trasferire i propri corsi presso il Polo di Lecco. D’altra parte, molte sono le perplessità espresse dai Prorettori, che si sono succeduti nel Polo, e dallo stesso attuale Rettore Ferruccio Resta, circa l’opportunità di sostenere il Polo di Como anche a fronte dell’orientamento della comunità locale che sembra privilegiare l’Ateneo dell’Insubria, gemmato dall’Università degli Studi e con una sede a Varese e a Como, nonchè, dell’opportunità di poter trasferire le attività didattiche nel Polo di lecco.


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Il Polo di Lecco. Le immagini

Immagini 6-7-8 Sopra alcune viste interne al Campus e sotto la mappa nel suo complesso

Il Polo di Lecco. La cronologia Il Polo fu istituito nel 1989 in sinergia con quello di Como e divenne autonomo nel 1993. Istituito con lo scopo iniziale di rispondere alla crescita degli iscritti al Politecnico, il Polo si specializza, rispetto alle caratteristiche del territorio, nella produzione metalmeccanica e nel settore dell’ingegneria civile da integrare con competenze nei campi dell’innovazione del settore delle costruzioni, della protezione idraulica e della sicurezza del territorio e nella tutela dei beni ambientali anche per rispondere alla domanda di formazione proveniente dalla provincia di Sondrio. A Lecco, dopo il periodo in cui il prof. Andrea Cappello svolse il ruolo di delegato dal Rettore prof Emilio Massa, furono istituiti, nel 1997, la Facoltà di Ingegneria, preside il prof. Gasparetto e il Centro per lo Sviluppo del Polo presidente il prof, Turchini; nel 2002, con la modifica dello Statuto e la costituzione delle Facoltà Tematiche, venne chiusa la Facoltà e il Centro per lo Sviluppo del Polo fu trasformato in Polo Regionale i cui Prorettori sono stati in sequenza:


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i prof.ri Michele Gasparetto, Giovanni Azzone (per un breve periodo), RiccardoPietrabissa, MarcoBocciolone, e dal 2015, la prof.ssa Manuela Grecchi. A Lecco, dal 1988, fu attivo il biennio degli insegnamenti di Ingegneria con la Scuola Diretta a fini speciali in Organizzazione della Produzione; nel 1991-1992, vengono istituiti i Corsi di Diploma Universiario in Ingegneria Logistica e della Produzione e in Ingegneria Meccanica; nel 1993-1994, è avviato il completamento dei corsi di Laurea in Ingegneria Civile, Ingegneria Edile, Ingegneria Meccanica; nel 1997-1998, è attivato il corso del Diploma Universitario in Tecnica Edilizia e, nel 1998-1999, il Corso di Laurea in Ingegneria Edile viene riorganizzato nel Corso di Laurea in Ingegneria Edile-Architettura, unico Corso di Laurea con una durata quinquennale. Dal 1997 al Polo sono iscritti 1.600 allievi (circa 500 nuove matricole annue) e la sede si rafforza con un programma di riorganizzazione dei propri spazi di aule, laboratori, attrezzature tecnologiche e servizi. Inizialmente, la sede fu localizzata in corso Matteotti, in uno stabile in comodato d’uso gratuito; nei primi anni del 1990, si ampliò in via Promessi Sposi 29 nei 1.000 mq messi a disposizione dal Comune. Qui furono organizzati più laboratori, da quello per le tecnologie meccaniche a quelli della strumentazione per le misure geodetiche, per la protezione civile, per il rilevamento e la gestione territoriale, per la nautica e per la fotonica. Nel 1999, la sede si espande nello stabile di via Cairoli 73, dove il Politecnico acquista e ristruttura, con il sostegno della Fondazione Cariplo, altri 5.000 mq. Per sostenere le iniziative descritte, fu istituita un’apposita associazione, in seguito denominata Univerlecco, che fece da cerniera tra istituzioni locali, imprenditori e sindaci del Territorio e i vertici del Politecnico e con il CNR. Questa è la stessa associazione che, in seguito, propose alla Regione Lombardia la sottoscrizione di un accordo di programma finalizzato alla realizzazione di un Polo universitario per il territorio delle province di Lecco e Sondrio. Firmatari della proposta furono, con Univerlecco, il Comune di Lecco, le Province di Lecco e Sondrio, le Camere di Commercio di Lecco e Sondrio, il Politecnico di Milano. L’Accordo di Programma, firmato il 17 dicembre del 199818 comprendeva l’area dell’ex Ospedale di via Ghislanzoni di via Ghislanzoni e quella dall’altro lato della stessa via l’area di proprietà dellle FFS e denominata “La Piccola” e prevedeva il suo avvio con l’acquisizione dell’area dell’ex Ospedale di via Ghislanzoni e la sua trasformazione in un vero e proprio Campus Universitario19. L’attuazione dell’accordo richiese un notevole impegno per rispondere alle richieste della dirigenza del nuovo ospedale, per adeguare gli strumenti di piano urbanistico del Comune rispettando il mantenimento dell’adiacente scuola elementare; per salvaguardare con il


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programma di riqualificazione dell’ex ospedale la classica forma a pettine come richiesto dalla Sovraintendenza regionale e, soprattutto, per acquisire le risorse necessarie. I soggetti finanziatori furono, oltre a Univerlecco, la Regione Lombardia, il MIUR, il Politecnico e, infine, il CNR con la decisione di insediare sette dei suoi laboratori20. Inoltre ci fu l’intervento dell’INAIL che finanziò con la Regione Lombardia tre progetti sulla prevenzione dei rischi lavorativi e ambientali: due decisioni in sinergia con i percorsi formativi di Ingegneria e della Facoltà di Ingegneria edile e Architettura. Dal 2016, il Campus Universitario risulta dotato di aule laboratori e uffici per 2.000 studenti e di una residenza universitaria per 200 posti letto. Una realtà in sinergia con la sede del CNR che ospita i laboratori del CNR-IENI di Lecco e altri Dipartimenti di ricerca sempre del CNR (come i centri che definisco un sistema riabilitativo), IENI di Lecco (Istituto di Energetica e Interfasi); ITIA – Istituto di Tecnologie Industriali e Automazione; INO – Istituto Nazionale di Ottica; INSEAN – Istituto Nazionale per studi e esperienze di Architettura Navale; IFN – Istituto di Fotonica e Nanotecnologie; IPCB – Istituto Polimeri e Composti Biomedicali (20). Inoltre, anche altre Istituzioni possono partecipare grazie al Politecnico ai progetti HINT@ lecco (Health Innovation Network Technology) e Spider@ lecco (servizi e percorsi innovativi) entrambi cofinanziati da Fondazione Cariplo e finalizzati all’adeguamento degli ambienti di vita per persone disabili; due progetti che vedono protagonisti anche i Centri di ricerca di Villa Beretta a Costa Masnaga e della Nostra Famiglia a Bosisio Parini. I laboratori del Polo hanno anche il sostegno di donazioni della Banca Popolare di Lecco, oggi Deutsche Bank. Negli anni 2015-2016, gli studenti iscritti sono circa 1800, sui 2000 previsti a regime, e tra questi si contano circa 300 studenti stranieri sostenuti dal Progetto denominato “formare studenti stranieri in Italia”. La provenienza degli studenti stranieri è distribuita tra India, Iran, Cina Popolare, America del Sud, Europa, Africa, Asia con percentuali che vanno dal 20-26% per l’Europa e l’India al 7-10% per l’Africa e l’Asia. I laureati annui si attestano attorno alle 280 unità e, entro un anno dalla Laurea, trovano una occupazione con una percentuale attorno all’80% nel settore edile e con una percentuale maggiore del 90% nei settori industriali e dell’ingegneria civile. Le lauree triennali sono in Ingegneria Civile e Ambientale (dall’a.a.2018-2019, in Ingegneria Civile per la mitigazione dei rischi) e Ingegneria della Produzione Industriale; le lauree magistrali in lingua inglese sono Mechanical Engineering; CERM-Civil Engineering for Risk Mitigation, Building and Architectural Engineering. A questi Corsi di Laurea si deve aggiungere la Laurea quinquennale a ciclo unico in Ingegneria Edile-Architettura, con un profilo unico presso il Politecnico di Milano.


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Immagine 9 La ricerca nel Polo di Lecco


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Complessivamente i laboratori strumentali con i centri di competenza, strutture con una forte valenza progettuale nelle tecnologie applicate e nella sicurezza del territorio, sono 21 (cui corrispondono 19 gruppi di ricerca), di cui 7 nell’area Civile, 3 nell’area Edile, 7 nell’area Industriale Meccanica e Bio, 1 nell’area di Fisica applicata, 2 nella Nautica e 1 nell’area Elettronica e Telecomunicazioni. La sede occupa una superfice di 40.000 mq dedicati alla didattica e a servizi aperti anche al pubblico. Tra questi si contano 27 aule, 2 aule informatizzate e una multimediale, 4 segreterie e 36 uffici, 1 biblioteca, 1 bar con ristoro, un centro stampa, una sala lettura su due livelli per 150 posti, gli spazi per laboratori, quattro salette studio e uno spazio espositivo. Qui, a fianco, l’immagine 9, la Time Line, sullo sviluppo della ricerca del Polo di Lecco

I Poli di Cremona e di Piacenza Questi due Poli furono avviati in contesti urbani dove, da più tempo, era presente un’altra università. Per esempio, a Cremona, è presente l’Università di Pavia che teneva il corso di musicologia e l’Università Cattolica che aveva una sede decentrata da Piacenza orientata alle ricerche sui grandi animali e alla sperimentazione di tecniche di clonazione21. Mentre a Piacenza è consolidata, da più tempo, l’Università di Agraria dell’Università Cattolica. Nel caso del Polo di Cremona, l’ipotesi fu di sviluppare accanto ai corsi di Ingegneria informatica e automatica un percorso di formazione sui temi della salvaguardia e gestione delle acque con competenze provenienti dalle Facoltà di Ingegneria e di Architettura, rispettivamente dai Corsi di Ingegneria Ambientale e di Pianificazione Territoriale e Ambientale. Mentre, sul versante della tradizione musicale, il polo avrebbe dovuto collaborare per quanto riguarda la liuteria con l’Università di Pavia che doveva sviluppare la sperimentazione sui materiali22, mentre il Politecnico avrebbe approfondito l’ingegneria del suono. Nel caso del Polo di Piacenza, il Politecnico aveva ipotizzato di sviluppare un percorso di formazione sul trasporto su ferro e sul risparmio energetico potendo utilizzare in prima istanza gli spazi messi a disposizione dall’Università Cattolica. Nel 2000-2001 vennero attivati i corsi di Laurea di cinque anni in Meccanica (orientamento Trasporti) e in Energetica nella sede di via Scalabrini 76 nell’edificio denominato Caserma della Neve (un ex convento del Quattrocento di 6.000 mq) messo a disposizione dal comune per il Politecnico Nel 2001-2002 venne avviato anche il corso triennale in Progettazione Architettonica dei luoghi della mobilità e urbanistica dei Tempi Urbani con la Laurea di primo livello nella Classe “Urbanistica e Scienze della Pianificazione Territoriale e Ambientale” della Facoltà di Architettura di Leonardo.


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Il Polo di Cremona. Le immagini

Il Polo di Cremona. La cronologia Il Polo, anticipato dall’attivazione della Scuola Diretta a fini speciali in Informatica di durata biennale nell’anno 1987-1988, fu istituito nel gennaio del 1998 come Centro per lo sviluppo del Polo di Cremona, la struttura che permetterà la gestione della sede con un presidente, un comitato di gestione e un responsabile operativo. Nel biennio 1987-1988, la gestione della sede è affidata al delegato prof. Marco Somalvico. Dal 1989 al 2004 la sede ha avuto come riferimento il prof Claudio Maffezzoni, prima, come direttore del Scuola, poi, come presidente del Diploma Universitario e, come Presidente del Centro per lo Sviluppo del Polo di Cremona. In seguito alla morte del prof. Claudio Maffezzoni, il Presidente è diventato il prof. Gianni Ferretti. Nell’anno 1991-1992 viene avviato il Diploma Universitario in Ingegneria Informatica e Automatica, che conclude il suo primo ciclo nel 1993-1994 con i primi Ingegneri diplomati. Nel 1997-1998 sono avviati i Corsi del biennio delle specializzazioni del Corso di Laurea in Ingegneria, vecchio ordinamento. La sede individuata nell’ex Istituto Maria Ausiliatrice, viene acquistata nel 1993 dall’Amministrazione Provinciale e dall’ente comunale IIPPAB (ex ECA, Istituto Elemosiniere e ora Fondazione Città di Cremona). La sede è costituita da un edificio di 6.000 mq inserito in un parco di 9.000 mq. In una prima fase vengono realizzate le aule, una mensa, la biblioteca, poi ampliata per la ricerca e cablata con una linea dedicata al Cilea. La città avrà il primo sito internet che permetterà l’avvio del sistema telematico locale denominato Rete Civica di Cremona. Inoltre viene sistemata l’area verde con un campo sportivo e una zona a parcheggio, su progetto dell’ing. Davide Marchi e con la messa a disposizione di una residenza universitaria Quartiere Nuovo con 14 alloggi per 43 studenti.

Immagini 10-11 L’ingresso e l’ampliamento per la biblioteca e la ricerca


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Mentre gli studenti della Scuola diretta a fini speciali si attestavano su una media di circa 80 studenti/anno e quelli dei master su una media di 15/20 studenti/anno, i diplomati e i laureati del Polo si attestano, nei primi anni 2000, attorno ai 450 e i 520 con riconoscimenti inclusi23. Negli stessi anni, tra i laureati triennali del Polo di Cremona, il 75% degli studenti continuano gli studi; il 17% lavora già; il 3% sta valutando delle offerte di lavoro; il 3% è in attesa del servizio militare e il 2% sta frequentando uno stage post Laurea. Le aree di ricerca sono correlate, seppure con alcuni cambiamenti avvenuti nel corso del primo decennio del 2000, ai corsi di Laurea e corrispondono a: –– L’area informatica, con gli studi sulle metodologie e tecnologie legate a internet, alle applicazioni telematiche e al software di automazione. Tra gli esiti ci sono le applicazioni nel campo dell’acustica e, oggi, il cablaggio dell’intera città; –– L’area gestionale che studia l’impatto delle tecnologie web sulle imprese e gli strumenti per l’innovazione dell’organizzazione logistica dei sistemi agroalimentari con le applicazioni per l’osservatorio nazionale IIPC (il prototipo del portale Internet Integrated Prevention Pollution Control) e per la gestione dei prodotti agroindustriali per il mercato alimentare di Milano, il principale centro dell’Europa meridionale; –– L’area ambiente e territorio con la modellistica idrologica; il rilevamento delle coperture vegetali; le misure di salvaguardia dalle sorgenti di inquinamento diffuso agricolo e zootecnico con indicatori propedeutici alla pianificazione territoriale; i laboratori di analisi dei suoli e vegetazionali collegati alla rete IREALP e alle stazioni della Lombardia in collaborazione con ARPA e con AEM di Cremona; lo studio della produzione del biogas e l’osservatorio del MIP sul sistema agroalimentare e sul controllo della produzione del latte (sostenuto da Auricchio). Nell’anno accademico 2000-2001, disattivati i due anni del vecchio ordinamento, vennero avviati tre corsi di Laurea triennali del nuovo ordinamento: Ingegneria Informatica; Ingegneria Gestionale e Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio. Inoltre vennero avviate due lauree Magistrali: la prima, in Ingegneria informatica, con il corso in Music Acustic e con la disponibilità della camera anecoica trasferita da Como; la seconda, in Ingegneria dei sistemi agroalimentari per la trasformazione e la gestione delle produzioni agricole, in collaborazione con la Facoltà di Agraria della Università Cattolica, le cui sedi sono a Piacenza (quella storica) e a Cremona. L’impegno del territorio che dal 1987 si conferma oltre che con l’impegno del dott. Renzo Rebecchi, con l’Associazione Organizzatrice della Scuola Diretta a fini speciali, trasformata, nel 2002, nella Associazione Cremonese degli Studi Universitari (ANCSU), che continua a sostenere anche molti Corsi di Master con il sostegno dei fondi europei e in continuazione con l’esperienza della scuola diretta a fini speciali.


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Il Polo di Piacenza. Le immagini

Immagini 12-13 L’ex convento della Madonna della Neve e l’ingresso all’ex Macello

Il Polo di Piacenza. La cronologia Il Polo è avviato nell’a.a. 1997-1998 contestualmente all’attivazione del Diploma Universiario in Ingegneria Meccanica, ospitato fino a settembre 2000 presso l’esistente polo universitario dell’Università Cattolica nell’ambito di una convenzione cui partecipano la Fondazione di Piacenza e Vigevano e l’Ente di Piacenza e Cremona per l’Istruzione superiore (EPIS) e la stessa università Cattolica. Con la stessa Convenzione l’Università Cattolica ha permesso agli allievi del Politecnico di usufruire di strutture comuni come aule, laboratori, servizi di mensa e della riproduzione di materiali di studio. L’avvio del Diploma Universiario è stato l’esito di un lungo processo, iniziato negli anni ’90 con una convenzione allargata alla presenza del Comune e della Camera di Commercio, dell’Associazione Industriali e della Fondazione della Banca di Piacenza e Vigevano e con l’obiettivo e di rispondere alla domanda delle istituzioni e delle industrie locali, di istituire un centro di eccellenza didattica e di ricerca nei settori di macchine a controllo numerico e automatico, nella produzione e distribuzione di energia e nella logistica delle produzioni e dei trasporti. Il Polo, dopo l’avvio dei primi Corsi di Laurea, fu formalizzato nell’anno


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1998-1999, e ha avuto come responsabili della sede i prof.ri Stefano Consonni, il prof. Renzo Marchesi e, dal 2010, il prof. Dario Zaninelli. Nel 2000-2001 sono attivati i corsi di Laurea di cinque anni in Meccanica (Orientamento Trasporti) con esami in comune con l’indirizzo di meccanica (orientamento civile) e in Energetica e la sede sarà trasferita in via Scalabrini 76 nell’edificio denominato Caserma della Neve (un ex convento del Quattrocento di 6.000 mq) messo a disposizione dalla Amministrazione Comunale di Piacenza per il Politecnico tramite trasferimento alla Fondazione Politecnico. Nel 2001-2002 viene avviato anche un percorso formativo di Progettazione Architettonica dei luoghi della mobilità e urbanistica dei tempi Urbani con la Laurea di primo livello nella Classe “Urbanistica e Scienze della Pianificazione Territoriale e Ambientale della Facoltà di Architettura di Leonardo. La convenzione con gli enti locali sostenne anche il costo degli arredi e degli allestimenti, mentre la gestione dell’immobile e dei servizi della sede della Caserma della Neve è a carico del Politecnico e del Centro per lo Sviluppo del Polo di Piacenza. La dimensione della sede permetterà il trasferimento di tutte le attività del Politecnico, comprese quelle collegate alla Laurea triennale della Facoltà di Architettura di Leonardo. Un’altra opportunità è espressa dagli spazi messi a disposizione dalla società SIET per attrezzare più laboratori. Per Ingegneria gli ambiti di ricerca e di didattica, inizialmente, sono in Ingegneria meccanica, indirizzo in macchine utensili e meccatronica; in Ingegneria dei Trasporti e Tecnica di Pianificazione dei Trasporti; in Ingegneria Energetica e Ambientale per uno sviluppo sostenibile che cambierà denominazione in Ingegneria dell’Energia da Sorgenti Rinnovabili (R.E.S.). Questo ambito di ricerca è stato sostenuto dalla contestuale attivazione dei laboratori, LEAP, (energetica) diretto da Stefano Consonni e MUSP (macchine utensili), diretto da Michele Monno. Questi sono due laboratori dipartimentali che, nel 2004-2005, si riorganizzano in una Società Consortile con la partecipazione al 25% del Politecnico e per le restanti parti di enti locali e di imprese. entrambi dotati di certificazione di qualità, emessa dal Centro di qualità del Politecnico e poi del Cermet. In parallelo sono attivati anche i Master in Generazione di energia elettrica e di cogenerazione di energie rinnovabili; i Master in trasporti e logistica (promosso e gestito da Poliedra); i Master in Architettura e Paesaggio gestiti congiuntamente dalle Facoltà di Architettura di Bovisa e di Leonardo. Nel 2005-2006 viene riformulato un nuovo CDL in Trasporti e logistica che tuttavia viene a confliggere con una più generale contrazione delle iscrizioni che permettono di mantenere, intorno a numeri sostenibili economicamente, i percorsi formativi: –– dell’indirizzo energetico che consolida le proprie iscrizioni anche per il biennio magistrale (con circa 50 studenti) grazie soprattutto a un successivo sostegno di un progetto con ENI POWER che ha permesso l’attivazione di più borse di studio.


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–– dell’indirizzo di meccanica/macchine utensili che consolida gli iscritti del triennio (con 100-110 studenti) e non altrettanto nel biennio della magistrale, nonostante l’introduzione dell’inglese e l’esperimento di tenere i corsi per il primo anno nella sede di Bovisa a Milano (mettendo in comune anche alcuni corsi di Ingegneria gestionale) e quelli del secondo anno a Piacenza (anche per la possibilità di usufruire del laboratorio MUSP per eventuali lauree sperimentali). L’esito è stato il trasferimento del corso dei Trasporti nella sede di Bovisa, mentre nella sede di Piacenza si sono consolidati per Ingegneria Industriale l’intero percorso di Laurea in Energetica e Ambiente (con il sostegno di convenzioni come quella con Enel Power per borse di studio) e il corso triennale in Ingegneria meccanica indirizzo manifatturiero con un’alta percentuale di stranieri e con circa 50 studenti per corso. Per Architettura, a fronte della tenuta della Laurea di primo livello nella Classe “Urbanistica e Scienze della Pianificazione Territoriale e Ambientale” della Facoltà di Architettura di Leonardo, nel 20032004, viene avviata la Laurea magistrale in Architettura sostenibile e del paesaggio. I corsi verranno mantenuti nelle aule di Caserma della Neve mentre i laboratori si traferiranno gradualmente nella nuova sede del vicino ex Macello, un luogo interamente ristrutturato che si presta a più eventi. Negli ultimi anni, in coerenza con la riorganizzazione del progetto formativo della Scuola di Architettura Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni, attivato a partire dal 2014-201524, la sede di Piacenza rientra per la Laurea triennale nel Corso comune di Progettazione dell’architettura, e, per la Magistrale, in un proprio percorso di specializzazione in Sustainable Architecture of Large Project; nel 2015-16 viene aperto. il nuovo Master in Sustainable Architecture and Landscape Design. Nel frattempo è giunta alla 9° edizione, L’International Summer School OC Open City,che ha contribuito, attirando un’alta percentuale di studenti stranieri, a consolidare gli iscritti anche ai corsi di Architettura, attorno a oltre i 100 iscritti/anno. Nel tempo, la presenza del Politecnico è stata sempre sostenuta da un forte impegno di tutte le istituzioni locali, Comune e Camera di Commercio, Associazione Industriali e Fondazione della Banca di Piacenza e Vigevano anche di fronte alla crisi più recente tramite la costituzione di un Consorzio tra le sedi di Piacenza, Parma e Reggio Emilia. finalizzato a mettere in sinergia le risorse delle università presenti nelle tre città.

Il Polo di Mantova Il Polo nasce come sviluppo di un’esperienza dei corsi di formazione professionalizzanti, sostenuti dai fondi europei, per tramite della Regione, e dalla Amministrazione Provinciale, con sede in via Forattini. Questa esperienza è confluita nel Corso di Diploma (1989) in Tecnico in Edilizia e successivamente nella Laurea Triennale in Edilizia


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in coerenza con l’esperienza del Corso di Laurea Triennale gestito dal Politecnico presso l’istituto Bazzi di Milano. Diploma e Laurea Triennale si insediarono nella nuova sede di piazza D’Arco 1, dove, in parallelo, fu avviato il Corso di Laurea in Architettura con una specializzazione fortemente orientata alle problematiche del Restauro. L’ipotesi originaria era la costituzione di un Polo che si potesse occupare dell’intera filiera del Restauro, dai beni ereditati dal passato fino alle infrastrutture del territorio come le opere di bonifica e i manufatti idraulici di cui Mantova detiene un rilevante patrimonio rispetto a quello dell’intera regione: un ponte verso la formazione anche dei quadri intermedi degli addetti del settore delle costruzioni. Viceversa, difficoltà locali e ripensamenti dell’Ateneo hanno influito sulla chiusura del Corso triennale di Tecnico in Edilizia e nel privilegiare un unico Corso di Laurea in Architettura con differenziazioni riconducibili ai laboratori di Laurea triennali e magistrali nei settori della storia e del restauro e nei settori dell’urbanistica, dell’ambiente e dei beni culturali (compresa l’istituzione di un Dottorato in Beni Culturali). A queste difficoltà si è aggiunto un ulteriore rinvio della realizzazione di uno studentato, un tempo previsto nella ex sede degli Istituti Isabella Gonzaga e, poi programmato sin dal 2002, ma ancora non realizzato, in un ex edificio scolastico adiacente alla Stazione.

Il Polo di Mantova. Le immagini

Immagine 14 L’ingresso da piazza D’arco 1

Immagini 15-16 Ingresso da via Scarsellini con particolare del portale


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Il Polo di Mantova. La cronologia Nel 1987, con il Corso di Formazione per Tecnici in Edilizia viene avviato un Corso di diploma triennale sostenuto dal Fondo Sociale Europeo, con sede in via Frattini, in uno stabile della Regione Lombardia dove la Provincia di Mantova promuoveva anche altri corsi di formazione. In via Frattini si insediò, fino al 1997, anche la Segreteria del Consorzio Universitario Mantovano, che si trasferirà in via Scarsellini, piazza D’Arco 1, quando viene istituito il Centro per lo Sviluppo del Polo di Mantova e di seguito Il Corso di Laurea in Architettura, secondo l’ordinamento previsto dall’Unione Europea, e il Polo Territoriale di Mantova. I responsabili del Polo di Mantova sono stati i prof. Cesare Stevan, che da Preside avviò la fase iniziale e successivamente il prof. Raffaele Pugliese; in seguito si succedono, in qualità di Prorettori del Polo, il prof. Cesare Stevan e dopo una breve presenza del prof. Alessandro Balducci, il prof. Federico Bucci. Formalmente, l’attività del Polo di Mantova inizia partire dall’anno accademico 1994-1995, quando la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, in ottemperanza alla L. 341 /1990 e del D.M. del 7-2-1994 (GU 14-9-1994, n. 215), attiva il corso di Diploma Universitario in edilizia con sede a Mantova con gli indirizzi di Rilevamento (con la specializzazione nel settore del restauro architettonico) e di Gestione (nell’ambito della gestione dell’impresa e del cantiere). Concluso il corso di diploma lo studente avrebbe potuto iscriversi al Corso di Laurea Triennale in Architettura, attivata dal 1994-1995, sempre presso la sede di Mantova, oppure in Ingegneria Edile, presso il Politecnico di Milano. Dal 1997-1998 il Corso di Laurea quinquennale viene articolato in un Corso di Laurea triennale e in un corso Magistrale biennale ai sensi del processo di Bologna, mentre il Diploma Universitario in Edilizia si trasforma dal 2000-2001 in un Corso di Laurea Triennale parallelo fino al suo assorbimento nel Corso di Laurea in Architettura. Le attività della sede di Mantova si insediano nel complesso dell’ex Orfanotrofio Femminile della Misericordia, sito all’angolo di via Scarsellini con piazza d’Arco 1, messo a disposizione dalla Provincia di Mantova. La stessa Amministrazione Provinciale ha sostenuto anche i costi dei primi lavori per le aule e per i laboratori portati a termine nel 1999-2000 e poi proseguiti con la sistemazione di altre due aule, una da disegno e un’aula conferenze, con il trasferimento della presidenza e della segreteria del Polo. Dal 2000, il Polo ha stabilito anche una collaborazione con il Consorzio Universitario Mantovano (CUM) per garantire standard prestazionali per le attrezzature e per integrare con proprio personale di servizio quello destinato alla sede dal Politecnico. Nel 2000 è stata realizzata la biblioteca, sostenuta da un finanziamento


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del Politecnico su fondi dell’Ateneo provenienti dalla Fondazione Cariplo; sono realizzati i laboratori di Modellistica e di Cartografia e l’aula informatica con il contributo del FUM; infine è attuata la ristrutturazione e la messa a disposizione di uno stabile nell’area del complesso di San Francesco per aule studio studenti e per i laboratori didattici e di ricerca. Nella sede si sono consolidati due percorsi formativi: il primo è un Corso di Laurea Triennale in Edilizia, il secondo è in Architettura ed è organizzato con una Laurea Triennale e una Laurea Magistrale per un totale di studenti che, nei primi anni 2000, si attestano tra i 750 e i 1.000 iscritti comprensivi degli iscritti provenienti dall’America del sud, dalla Polonia e dalla Cina. Inoltre viene istituito il Dottorato di ricerca in Beni Culturali; viene attribuita alla sede la Cattedra Unesco; e, presso la sede di Palazzo Forti di Sabbioneta, sono organizzati corsi residenziali di master. La realizzazione di uno studentato, un tempo ipotizzato nella sede degli ex Istituti Gonzaga, viene prevista, ma non attuata, nella ex scuola in adiacenza alla stazione FFSS, mentre viene attivata una convenzione con un operatore privato per l’ospitalità degli studenti. L’attività scientifica si è focalizzata sulle aree tematiche di: –– Rilievo e Fotogrammetria con attività sostenute anche da un laboratorio che ha permesso di sviluppare attività con enti esterni e soprattutto, in occasione del terremoto del 2012 con moderne metodologie di rilievo, di rappresentazione, di catalogazione e di gestione dei dati delle architetture e dell’ambiente. –– Tecnologia, materiali e ambiente TEMA, con studi sulla storia del luogo e della conservazione dei beni culturali e del paesaggio, integrati con la progettazione tecnologica ambientale e dalla promozione di percorsi formativi a diversi livelli e con più enti pubblici e privati. –– Architettura e modellistica con attività sostenute dal laboratorio di modellistica e da iniziative di studio sui centri storici e sulle metodologie di inserimento nei tessuti storici di nuove morfologie e tipologie insediative. –– Pianificazione ambientale sviluppata tramite convenzioni con enti locali finalizzate alla redazione di piani e di criteri di valutazione dei programmi di intervento con seminari e sostenuta da un laboratorio di applicativi per la produzione di cartografie tematiche a partire da data base spaziali. A partire dal 2014-2015, la sede, in coerenza con il progetto didattico della Scuola di Architettura, Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni (AUIC) di Milano, attiva per la Laurea triennale il Corso di Progettazione dell’Architettura comune a tutte le sedi, e, per la Laurea Magistrale, in un percorso di specializzazione in Architectural Design and History, caratterizzante la sede del Polo di Mantova. Dal 2014-2015, anche i laboratori di ricerca sono unificati in un unico laboratorio, Mantova Lab, con un un responsabile e un comitato


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di gestione (resp. il prof. Daniele Fanzini e per il comitato di gestione i professori Roberto Bolici, Daniele Fanzini, Luigi Fregonese, Carlo Peraboni, Luigi Spinelli) pur mantenendo le attività di ricerca precedenti riorganizzate in altrettante sezioni: la sezione fotogrammetria (Heritage Survey Technology); la sezione di Tecnologia ambientale (Technology Environment & Management; la sezione Architettura e progetto urbano (Architecture and Urban Design); la sezione Pianificazione Ambientale (che diventa la sezione Land Repair.) Inoltre al laboratorio Mantova Lab fa riferimento anche la sezione Conservazione Preventiva e Programmata (ex Centro di Competenza per la Conservazione Preventiva e Programmata del patrimonio storicoarchitettonico), una struttura di ricerca nata con l'obiettivo di offrire consulenza e formazione sui temi della Conservazione Preventiva e Programmata per la Valorizzazione dei Beni Culturali Al Laboratorio unico fa capo anche la gestione delle attrezzature delle diverse sezioni, tra cui le attrezzature e gli applicativi per la documentazione con modelli tridimensionali per i beni culturali (Heritage Building Information Modeling) realizzati a partire da database spaziali acquisiti con tecniche TLS o IBM (Image Based Modelling), e tecniche basate sull’utilizzo di sensori Terrestrial Laser Scanning (TLS).


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Grafico 6 Politecnico di Milano. Previsioni insediative del 2000 con stima dello sviluppo al 2010

Grafici 7-8 Previsioni insediative dei Poli territoriali del 2000 con stima delle previsioni al 2010


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Note 1   L’ing. Enrico Forlanini, candidato più volte al premio Nobel, è ricordato come l’inventore dell’aliscafo. A lui si devono molti brevetti nel campo degli studi e delle prime realizzazioni di sistemi di volo, dagli elicotteri ai dirigibili (per i quali collaborò con Zeppelin) e la realizzazione, nell’area milanese, della prima galleria del vento, con un diametro 1.10 m e una velocità massima di 70 km/h, e della vasca idrodinamica (Froude). A lui è intitolato l’edificio B12 nella sede di Bovisa di via La Masa. 2   C’è da augurarsi un esame più approfondito sulla riforma della scuola media unica. che ha generato e continua a generare numerose perplessità e che richiede un confronto tra le attese e gli esiti ottenuti. 3   La scelta della gemmazione è spesso legata all’ipotesi che la nuova sede possa diventare autonoma. Come, rimanendo in Lombardia, il caso di Milano Bicocca, che per le Facoltà di medicina, ebbe l’appoggio di Monza e dell’ospedale San Gerardo; il caso dell’università di Brescia, dove esisteva la Facoltà di medicina della Università Cattolica e la Facoltà di Ingegneria gemmata dal Politecnico e che fu sostenuta dal fisico Bussolati costituendo con Medicina un unico Ateneo, poi retto per 22 anni dal Rettore prof. Augusto Preti di Medicina; il caso dell’Ateneo di Bergamo dove la Facoltà di Ingegneria fu sostenuta dall’Unione Industriali e trovò la sua prima sede a Dalmine; il caso delle sedi di Castellanza e di Como sostenute dall’ Associazioni Industriali di Varese e dalla Camera di Commercio di Como e Lecco e poi da quella di Como. 4   L’accesso all’istruzione è un diritto che va riconosciuto a tutti; tuttavia, esso deve coniugarsi con la padronanza dei mezzi culturali di cui ogni studente dispone al momento dell’accesso all’università. Nel momento dell’acceso alle diverse sedi universitarie dovrebbe corrispondere anche una diversa preparazione, fatto salvo l’offerta di corsi, denominati ahimè, di “azzeramento” del deficit di preparazione, introdotta da molti Atenei per ridurre la percentuale di abbandoni. 5   Il costo di un alloggio nella sede dell’università è certamente più alto nelle città in cui il costo della vita è elevato come Roma, Milano, ma anche Padova, Bologna, Genova, Torino, Napoli, Palermo, Bari, Firenze e Venezia. 6   Fino a tutti gli anni ’90, chi vinceva un concorso di prima fascia doveva prendere servizio per almeno un triennio nella sede che aveva bandito il concorso, sede spesso divera da quella di provenienza. Nel passato, questo obbligo ha favorito la costruzione di scuole di alto livello in sedi come per esempio quelle di Sassari e di Cagliari dove Paolo Mantegazza insegnò Medicina, prima di rientrare alla Università Statale, dove si era formato e dove diventò Rettore. 7   Nel caso di Pavia si trattò di una sorta di “restituzione” dell’aiuto dato nel 1863 dall’Università di Pavia, come socio fondatore del Politecnico, allora Istituto di Studi Superiori. Altre, più recenti, collaborazioni per aumentare l’offerta didattica furono le istituzioni della Facoltà di Ingegneria a Brescia e a Bergamo dove un ruolo significativo fu svolto dal prof. Andrea Capello del Politecnico di Milano. 8   L’ing. Vico Valassi fu presidente della Camera di Commercio di Como e Lecco; in seguito, divenne presidente della Camera di Commercio di Lecco quando questa si separò da quella di Como e da allora si prodiga per l’istituzione del Polo universitario a Lecco e per dotarlo di una sede adeguata. 9   Per soddisfare le richiese di Sondrio furono programmate, inizialmente, numerose iniziative che tuttavia non ebbero seguito anche se molti studenti di quella provincia frequentano la sede di Lecco che ha orientato molti suoi corsi sui temi della sicurezza e della valorizzazione della montagna. 10   Oltre all’ipotesi ripresa da un documento dell’Osservatorio del Ministero della Pubblica Istruzione degli anni ’60, per l’università della California, cfr., Paola d’Anna Pignatelli, L’università in espansione, Etas Compas, 1969. 11   cfr., lo studio del Centro Volta di Como sulla domanda di formazione universitaria nelle province del nord della Lombardia, (a cura di) Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Como, Sondrio e Varese,”Proposta di un polo universitario nella Lombardia Settentrionale”, febbraio 1987 e Amministrazione Provinciale di Como Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Como, “L’università in Provincia di Como. Studio delle risorse necessarie fino al 1993-1994 e delle prospettive di sviluppo”, a cura del Centro di Cultura Scientifica “A. Volta” Como, febbraio 1990


109   L’università degli Studi di Milano ha sempre privilegiato la gemmazione di nuove sedi universitarie; questa stessa propensione è rimasta sempre latente anche nel caso di Como che, non potendo diventare sede autonoma, fa riferimento alla Università dell’Insubria di Varese. 13   cfr., per la Bassanini 1, ex legge 15 marzo 1997, n. 59, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”. 14   Cfr., per la Bassanini 2, ex legge 15 marzo 1997, n.127, “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e controllo” 15   Il gruppo di lavoro fu coordinato dall’ing. Vico Valassi, allora presidente della Camera di Commercio di Como e ebbe la partecipazione dei professori Pierluigi Della Vigna e Roberto Negrini, del Politecnico di Milano; del prof. Federico Canobbio-Codelli per il Centro Volta; dell’avv. Lorenzo Spallino, del dott. Mario Boselli Presidente Camera della Moda; dei professori Giulio Casati e Aldo Gamba per l’università degli studi di Milano e dei centri di Sondrio e di Varese. 16   L’inserimento in parentesi dell’indirizzo gestionale fu funzionale all’utilizzo di una convenzione per l’avvio di Ingegneria Gestionale già adottata. 17   Cfr., Politecnico di Milano, Piani di sviluppo delle Facoltà dei Poli regionali e delle Sedi territoriali, 31 gennaio 2002, pag. 212 e seguenti. 18   Sottoscritto nel 2002 dal Comune e approvato, nel 2003, dalla Regione Lombardia. 19   Contestualmente all’ipotesi di riqualificare l’area della “Piccola” (quella del sedime della stazione ferroviaria storica) prospicente all’ex comparto ospedaliero. 20   Secondo le ipotesi iniziali dell’accordo, poi modificate e incrementate, la spesa prevista per i 45.000 mq coperti per i 3.000 studenti nell’area dell’ex ospedale di via Ghislanzoni, era di 85 miliardi suddivisa in: 50% dell’area in comodato gratuito da parte del Comune, 5 miliardi dalla Provincia e della Camera di Commercio, 20 miliardi dal Politecnico tramite Fondazione Cariplo, 40 miliardi dal Ministero e 20 miliardi dalla Regione Lombardia. Nel 2000 la prospettiva era di trasferire l’ateneo nel Campus entro 3-4 anni (cfr., la dichiarazione del Rettore De Maio il 28 ottobre 2000, in occasione dell’inaugurazione dell’a.a.). Nel 2007 viene stipulato anche la convenzione del Politecnico con il CNR, che si insedierà su una parte del Campus con lo scopo di mettere in sinergia i rispettivi laboratori. Mentre rimane aperto l’utilizzo dell’area prospicente all’Ospedale, di proprietà delle FFSS e denominata “La Piccola”, destinata dall’accordo di programma a attività e servizi urbani collegati all’università. 21   Cfr.,2011, il CIZ-LTR (Centro per l'Incremento Zootecnico-Laboratorio di Tecnologie della Riproduzione) di via Porcellasco, Cremona; Cesare Galli è il fondatore presidente della Fondazione Avantea onlus, per la sperimentazione di pratiche di clonazione assistita. 22   Si tenga presente che il Corso di Laurea di restauro degli strumenti antichi (degli Organi) è gestito interamente da Pavia mentre a Crema c’è ancora il corso di Informatica, organizzato un tempo dal prof. Degli Antoni della Università degli Studi, e un Corso collegato al settore dei prodotti per la cosmesi. 23   Il numero maggiore corrisponde a studenti dei corsi di informatica, tra i quali 342 corrispondono a Diplomati che hanno avuto accesso alla Laurea triennale 24   Dal 2014-2015 la Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle costruzioni prevede tre lauree triennali con diversi indirizzi per le Lauree Magistrali, come di seguito riportato: 1. Laurea Triennale in Progettazione dell’Architettura con le Lauree Magistrali in: Architettura e Disegno urbano, Architettura ambiente del costruito-Interni, ArchitetturaArchitettura delle Costruzioni, Architectural Design and History (Mantova), Sustainable Architecture and Lanscape Design (Piacenza); 2. Laurea Triennale in Urbanistica: Città Ambiente Paesaggio, con lauree magistrali in: Landscape Architecture, Land Landscape Heritage e Urban planning And policy Design; 3.Laurea Triennale in Ingegneria Edile e delle Costruzioni con le Lauree Magistrali in: Ingegneria dei Sistemi Edilizi, Building and Architectural Engineering, Management of Built Environment, Ingegneria EdileArchitettura; 4. Laurea quinquennale in Ingegneria Edile-Architettura, Lecco. 12



Capitolo 5 Il progetto Bovisa

5.1 I prodromi della scelta della Bovisa Prima di entrare nel merito del Progetto Bovisa è opportuno richiamare il contesto in cui sono maturate le proposte di programmazione del sistema universitario milanese, ripercorrendo la sequenza dei piani e dei progetti che accompagnò la scelta del Politecnico di Milano. Anche in questo caso, infatti, come già si è detto per il progetto Politecnico Rete, il Politecnico di Milano si è posto come un fattore di sviluppo da molteplici punti di vista non solo culturali e formativi ma anche nei confronti dell’innovazione della politica territoriale con l’anticipazione di un’azione di riqualificazione e di rigenerazione urbana, soprattutto delle aree più degradate delle “periferie storiche” in un contesto interessato da più tensioni non tutte attribuibili alla carenza di spazi. Un’altra scelta innovativa riguarda, anche se già detto in occasione della strategia del Politecnico Rete, il modello istituzionale adottato: un centro unico di gestione sostenuto anche dal ruolo – purtroppo – poco compreso della Fondazione Politecnico rispetto a un sistema di poli a cui, allora, veniva assegnata una certa autonomia, cioè una posizione diversa sia da quella che avrebbe potuto favorire l’istituzione di nuove piccole sedi universitarie che da quella di un Ateneo con un’unica grande sede decisionale e programmatica verso cui periodicamente emerge più di una tentazione. Dopo gli insediamenti universitari attuati negli anni tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, nel 1963 venne avviata una variante del Piano Regolatore Generale (PRG) del 1953 e un primo nuovo studio per lo sviluppo delle strutture del Politecnico di Milano in Città Studi. Nel 1968 il Politecnico formalizzò l’idea di costruire, sulle aree destinate all’Ateneo dal Consiglio Comunale (260.000 mq), edifici per una utenza di 8.000 studenti regolari (6.000 di ingegneria e 2.000 di architettura), considerata la dimensione ottimale di un complesso universitario tecnico scientifico. La proposta, approvata nel 1971, vide la protesta della zona 11 di decentramento amministrativo. L’episodio, preso a sostegno della protesta, fu il cambio di destinazione d’uso di un lotto che da area verde ex PRG del 1953 veniva destinato all’espansione del Politecnico oltre via Ponzio. In realtà l’opposizione della zona era motivata da un’espansione del Politecnico e della Statale in Città Studi che, da tempo, era cresciuta senza una politica urbanistica che tenesse conto dei servizi necessari per evitare le conseguenze di congestione e di disagio sia per gli abitanti che per gli studenti.


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Negli anni ’70, le condizioni si continuavano a aggravare e le posizioni di allora sembrarono concordare nel rilevare: lo squilibrio territoriale nella localizzazione delle sedi universitarie della regione, concentrate nelle città di Pavia e in quella di Milano; l’insufficienza dei servizi a sostegno del diritto allo studio, tra cui le borse di studio e la residenza, soprattutto nel caso di Milano, e il sottodimensionamento dei complessi universitari, carenti di spazi per le lezioni e per i laboratori. Gli studi, di allora, sottolinearono che andava riverificato anche il rapporto tra il sistema dell’istruzione superiore e il sistema economico e produttivo dei diversi sistemi territoriali regionali che chiedevano innovazione e nuove figure professionali. Le università, modellate su percorsi formativi prevalentemente superati, richiedevano, inoltre, più risorse e più autonomia per anticipare le direzioni di sviluppo e le domande di cambiamento. Una prospettiva che, per le relazioni con il mondo economico e produttivo, si sarebbe potuta riferire alla esperienza dei Parchi scientifici e che, nel caso italiano, avrebbe dovuto richiedere la riorganizzazione del sistema universitario attorno a poche e significative sedi di ricerca evitando l’istituzione di nuovi Atenei al di fuori di ogni ipotesi di programmazione nazionale e regionale e individuando tra le stesse università quelle dove investire nell’attività di specifici indirizzi di ricerca e di formazione. Nel caso della regione Lombardia le proposte furono due: quella del Piano Intercomunale milanese e quella della stessa Regione. Entrambe concordavano nel sottolineare soprattutto la congestione degli Atenei di Milano e i problemi di accessibilità e di accoglienza per l’utenza studentesca. L’ipotesi del PIM prevedeva un decentramento delle sedi universitarie nell’area metropolitana milanese e indicava come alternative possibili, aree del Monzese, di Gorgonzola, di Rho, di Melegnano, di Bollate e del quartiere Gratosoglio in Milano. L’ipotesi regionale prevedeva una sede universitaria completa in ogni capoluogo di provincia a parte Sondrio e il decentramento di alcune Facoltà nell’area del quartiere Gratosoglio per Medicina e nel comune di Pioltello per il Politecnico di Milano. Successivamente, il PIM si orientò verso la proposta della Città della Scienza e della Tecnologia che avrebbe dovuto ospitare l’intero Politecnico di Milano nel comune di Gorgonzola, mentre, le proposte della Regione trovarono un’attuazione parziale con la promozione delle sedi di Brescia e di Bergamo come si è detto anche nel capitolo 4 (paragrafo 4.2). Le due opzioni istituzionali ipotizzavano, entrambe, come dimensione ottimale un numero di studenti compreso tra 5000 e 10.000 iscritti per ciascuna nuova sede. Nel frattempo, tra il 1970 e il 1980, gli studenti dell’area milanese si collocavano tra le 70/80.000 unità, tra questi quelli del Politecnico tra le 20/25000 unità.1 Nei confronti delle proposte istituzionali ci fu una reazione vivace da parte di tutti gli studenti, non solo di quelli del Politecnico che temevano un allontanamento da Città Studi unicamente dell’attività didattica.


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Lo slogan più significativo fu: “vogliamo 100.000 studenti in via Festa del Perdono”, sede dell’Università degli Studi e cuore del movimento studentesco di allora. Nel 1973, il Comune di Milano concretizzò l’idea di un ampliamento universitario tramite la stesura di un documento ‘Proposte per un Piano dell’Università in Lombardia’. In quegli anni molti professori della Facoltà di Architettura del Politecnico, iniziarono ad inserire l’area di Bovisa come area da rivalutare all’interno dei propri laboratori di progettazione e cominciò a farsi strada l’ipotesi di un decentramento del polo universitario in quella parte della città: non più il campus, nel verde localizzato a Gorgonzola, bensì un campus urbano per riqualificare un ex area industriale. Nel Convegno del 1977, tenutosi presso il Politecnico di Milano, molti interventi sostennero la necessità di una politica di poli regionali di formazione con progetti che integrassero le sedi universitarie con lo sviluppo territoriale: il puro decentramento di qualche sede avrebbe solo spostato il problema in una zona più periferica. Inoltre in quella sede alcuni docenti come Guido Canella con Roberto Biscardini e Giovanni Di Maio, si richiamarono a studi precedenti sull’area della Bovisa nell’ambito di una politica regionale delle sedi universitarie. Studi ripresi e sviluppati in anni successivi dallo stesso Guido Canella con Antonio Acuto, poi da Giorgio Fiorese come si vedrà più avanti e approfonditi dall’associazione Sviluppo Innovazione Milano 20002. Negli anni ’80, seguì un periodo di stasi, collegato al dibattito interno agli Atenei e ai cambiamenti previsti dalla L. 382/1980. Inoltre, ci fu il mancato decentramento del Politecnico a Gorgonzola, anche se ufficializzato con la Relazione Generale al Piano Territoriale Comprensoriale del PIM del febbraio 1980, in cui si affermava che «il Politecnico è una struttura universitaria con una sede urbana in Città Studi e una sede ‘metropolitana’ a Gorgonzola e che ognuna di esse avrebbe dovuto avere non più e non meno di 6.000 studenti. Nella stessa relazione si affermava che la scelta di Gorgonzola era coerente con il Piano dell’Università del 19733 e che nella stessa zona era previsto un Centro di Ricerche CNR (o un insediamento equivalente) e l’arrivo di uno dei due sdoppiamenti della linea MM2. Nel 1980-1981, gli iscritti al Politecnico sono compresi tra 20/25.000 unità e alla fine degli anni ’80 gli iscritti arrivano a oltre le 30.000 unità4. Nel frattempo, con gli studi per la variante generale del PRG di Milano, che sarà approvata nel 1980, stavano maturando altre scelte da parte dell’amministrazione della città nei confronti degli accordi per la riorganizzazione delle sedi università e della riqualificazione dei tessuti urbani messi in crisi dalla dismissione dei grandi complessi produttivi. Nel febbraio-marzo del 1987, la Triennale organizzò la mostra “Le città immaginate”: nove progetti per nove città, nella quale furono esposti i quattro progetti richiesti per l’area della Bovisa: sono quelli dell’austriaco Gustav Peichl, dell’americano John Hejduck e dei milanesi Giorgio Grassi e Guido Canella con


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Antonio Acuto. In tutti i progetti furono proposti una serie di interventi in grado di legare la struttura universitaria con quelle della riqualificazione urbana. In particolare, l’area indicata per la progettazione comprendeva le aree ex Montedison, ex Sirio, ex Smeriglio e il triangolo delimitato dai binari FSS e FNM confinante a nord-ovest con l’area dei gasometri. Nonostante l’area dei gasometri non fosse compresa tra le aree da riprogettare, essa diventa comunque oggetto di proposta da parte di tutti i progettisti. Con il primo censimento dei manufatti industriali abbandonati del 1980 emersero, inoltre, le ipotesi di concentrare attività avanzate e a alto contenuto innovativo utilizzando le strutture dismesse dei grandi complessi manifatturieri. Con l’approvazione del Documento Direttore-Progetto Passante Ferroviario (1982-1984) a soli due anni dalla approvazione della Variante generale del PRG, il miglioramento dell’accessibilità regionale e metropolitana avrebbe favorito la concertazione dell’investimento pubblico con gli investimenti dei privati sulle aree valorizzate dallo stesso Passante: quelle dei nodi urbani di Cadorna, GaribaldiRepubblica, Portello-Fiera, Bovisa, Vittoria e Rogoredo. Tuttavia, nel luglio 1985, venne ufficializzato, tramite un protocollo d’intesa tra Regione, Comune, Pirelli Bicocca, il polo tecnologico della Bicocca su aree di proprietà della Pirelli all’insegna dell’innovazione totale. Venne avviato un bando di concorso per inviti e lo studio di una nuova variante del PRG in quanto la proposta Pirelli-Bicocca non era compresa tra i progetti d’area del Documento Direttore. La variante della “T rovesciata”, cioè il logo della variante al PRG che con il tratto lungo collega l’area della Bicocca all’asse centrale del passante, segnò la fine della supremazia pubblica nel campo delle proposte urbanistiche e la rete della metropolitana fu integrata da un nuovo ramo, quello che, anni dopo, diventerà la MM55. Venne, altresì, ufficializzato lo strumento dell’accordo di programma, una modalità di pianificazione adottata dall’amministrazione comunale di Milano (con sindaco Carlo Tognoli) in seguito all’introduzione, nel 1984, dei grandi progetti urbani6 per esplorare problemi e luoghi della città con uno strumento che potrà sostenere scelte di scala urbanistica e architettonica e la cui attuazione si dovrà misurare con tempi molto lunghi e con una grande capacità gestionale e di controllo della forma urbana. L’attuazione dei grandi progetti urbani avrebbe dovuto prevedere, infatti, molti passaggi istituzionali: dalla variante di PRG al Piano di Inquadramento Operativo, al piano particolareggiato (o al piano di lottizzazione) e alla concessione edilizia. Con il rischio di ridurre tali passaggi a vuoti adempimenti burocratici e di accontentarsi di una realizzazione parziale e/o per parti di un progetto in cui la variabile tempo può mettere in crisi la qualità del progetto. Lo strumento dell’accordo di programma divenne una modalità di lavoro che portò a modificare anche la contabilità degli standard dei servizi urbani con l’introduzione di nuovi parametri di stima collegati al mix funzionale e al


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mantenimento del 50% di area a verde, anche se non sempre furono realizzati nei modi e nei tempi previsti. Contestualmente, al Politecnico la società Pirelli propose di spostare alla Bicocca alcuni laboratori trasferendovi una parte dell’intero corso di Elettronica (allora di 6.000 iscritti). Nello stesso tempo, emersero altre opportunità insediative: quella di una città della Scienza e delle Tecnica spostata o riproposta nell’area di Sesto San Giovanni dell’ex insediamento Falck, e quella di utilizzare le aree di proprietà pubblica di Bovisa e di Vittoria, servite dalle rispettive stazioni del Passante Ferroviario, nell’ipotesi che la prima potesse essere destinata al Politecnico e la seconda alla Università degli studi. A livello regionale, la Commissione di coordinamento degli Atenei lombardi si espresse a favore delle ipotesi di riorganizzazione e di sviluppo delle rispettive sedi che garantissero l’accessibilità su ferro proveniente dalle aree con più utenza e che, al contempo, valorizzassero l’investimento del Passante ferroviario come struttura di collegamento tra le stesse sedi universitarie. All’ipotesi regionale si potevano collegare anche altri investimenti, alcuni già in attuazione, come: l’apertura del Passante con la stazione Bovisa, il nuovo cavalcavia di via Palizzi e il sottopasso di Mac Mahon, due opere viarie di connessione con lo stesso quartiere Bovisa. A questi si aggiungeranno il Programma di Riqualificazione Urbana (PRU) di CertosaQuarto Oggiaro a nord dell’ ex-area dei gasometri, la nuova stazione di Villapizzone del Passante e i prolungamenti della MM4, la metropolitana che collega oltre alla Bovisa anche il quartiere di Dergano e che arriverà fino a piazzale Carlo Maciachini e poi, lungo l’asse delle vie Carlo Imbonati, Pellegrino Rossi, Alessandro Astesani, fino al quartiere Comasina dove incrocerà il ramo delle Ferrovie Nord Milano che si dirige verso Seveso-Meda e il cuore della Brianza.7 Contestualmente veniva, altresì, confermato il Polo tecnologico in Bicocca dove la stima della valorizzazione della proprietà dell’ex struttura produttiva con quella del terreno entrerà nella convenzione tra l’operatore pubblico e quello privato, imputando allo stesso operatore privato la realizzazione del teatro Arcimboldi, la cui costruzione formalizzò l’adozione di un nuovo parametro del fabbisogno di servizi, che, dopo una lunga vertenza giuridica, furono chiamati standard di qualità. Viceversa, il Politecnico, alla fine degli anni ’80, optò per la scelta della Bovisa le cui aree pubbliche già offerte dal Comune saranno oggetto del primo studio da parte di tre Dipartimenti del Politecnico8 Questa fu la risposta, ratificata dal Senato Accademico, di una istituzione pubblica ai problemi maturati fin dagli anni ’70 con la crescita numerica degli studenti, la carenza di spazi, la riorganizzazione del sistema universitario e la riqualificazione delle grandi aree industriali dismesse. I criteri adottati per la scelta furono: una disponibilità di aree pubbliche che avrebbe permesso l’insediamento di un polo universitario con più Facoltà e Dipartimenti; un’accessibilità su ferro, seconda


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solo a quella dell’area Garibaldi Repubblica, per l’utenza proveniente dal nord ovest e con la stessa sede storica di Leonardo da Vinci in Città Studi, oltre che con il sistema aeroportuale della Malpensa9. Inoltre, la prospettiva era di poter innovare più relazioni di ricerca con i settori manifatturieri dei territori del nord della regione e della stessa Brianza. Un segnale forte quest’ultimo dal momento che l’istituzione dei Dipartimenti aveva ufficializzato la necessità di una ricerca collegata all’innovazione tecnologica e di un potenziamento delle attrezzature e degli spazi di ricerca a sostegno di una maggiore competitività contrattuale della nostra economia e della stessa università a livello nazionale e internazionale10. Nel frattempo, la questione degli insediamenti universitari era diventata, come già anticipato, di interesse nazionale e fu presa in considerazione in tempi diversi da più ministeri. Innanzitutto, nel 1989, quando fu Ministro del MIUR il prof. Antonio Ruberti, l’area della Bovisa venne inserita nel Piano nazionale dell’Università nell’ambito dei provvedimenti per il decongestionamento dei grandi Atenei11 e successivamente, nel 1997, quando il Ministro del MIUR il prof. Luigi Berlinguer riconosce al Politecnico un finanziamento sulla base dell’accordo di programma per il grande progetto della Bovisa; infine, nel 1999-2001, il Ministero dell’Ambiente, su interessamento dell’assessore all’ambiente di Milano, il prof. Domenico Zampaglione, inserirà l’area della Bovisa nel programma nazionale di bonifica e di ripristino ambientale.

5.2 Il primo studio per la grande Bovisa e l’anticipazione degli interventi Con l’avvio del progetto del Politecnico Rete si fa strada, come già accennato nel precedente capitolo 4, l’ipotesi di anticipare un programma di insediamenti nelle aree pubbliche dell’AEM (ex gasometri), cioè nelle aree della “Grande Bovisa” e/o della “Goccia”per la forma definita dalla cinta ferroviaria.

Le motivazioni della scelta L’area, servita da una stazione del passante ferroviario e posizionata in corrispondenza delle stazioni delle ferrovie FFSS e FNM, avrebbe potuto usufruire di un’accessibilità multimodale regionale e si sarebbe caratterizzata come una grande opportunità per la riqualificazione e la rigenerazione di un’area industriale già da tempo in fase di dismissione. La scelta, inoltre, avrebbe confermato l’ipotesi di valorizzare l’Asse nord-ovest del Sempione. Si tratta del territorio interessato dalla crescita industriale lungo le Ferrovie Nord e le Ferrovie dello Stato compreso tra Varese e Milano, nei poli di Legnano, di Busto Arsizio e di Gallarate con i primi insediamenti tessili: una


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grande area regionale in collegamento con i territori d’Oltralpe tramite il traforo del Gottardo e del Sempione e il mondo intero, grazie all’aeroporto della grande Malpensa, progettato e adottato fin dal 1964, ma realizzato dopo anni. La riqualificazione di Bovisa comincia nel 1988, l’anno in cui l’amministrazione milanese propose il documento direttore sulle aree “dismesse” con l’obiettivo di rimediare alla carenza di un ruolo propositivo da parte delle istituzioni pubbliche. Le aree abbandonate sono molte e di diversa dimensione: tutte sono campioni significativi di un periodo industriale del passato che andava affrontato con nuovi strumenti di accordo tra soggetti pubblici e privati come sarà tentato nel caso della Bovisa. Negli stessi anni, l’attenzione dell’amministrazione si era focalizzata anche su ulteriori problemi dell’accessibilità con la proposta della tangenziale Nord (poi non realizzata per l’opposizione degli abitanti) che avrebbe dovuto risolvere la connessione trasversale dei sistemi territoriali del nord e con la costruzione del Passante Ferroviario nel primo tratto Garibaldi-Bovisa e delle nuove stazioni sulla rete delle FFSS (Villapizzone e Certosa) e FNM (Bovisa Politecnico), aumentando la credibilità dell’ipotesi di un polo universitario nel nord-ovest dell’area metropolitana di Milano. I primi segnali forti in questa direzione furono dell’assessore Maurizio Mottini che inserì la stazione Bovisa nel Documento Direttore-Progetto Passante e, in seguito, dell’assessore Attilio Schemmari con la proposta del Politecnico in Bovisa, resa pubblica, nel gennaio del 1987, dalla dichiarazione del sindaco Paolo Pillitteri, che intendeva valorizzare aree di proprietà del Comune12. La proposta sollevò stupore e disappunto tra gli addetti ai lavori per i quali il Politecnico era previsto da più di 12 anni a Gorgonzola dove l’aveva collocato il Piano Comprensoriale del PIM. Tuttavia, l’area della Bovisa divenne importante e l’ipotesi di un suo utilizzo fu oggetto di proposte progettuali, da parte di alcuni insegnamenti del Politecnico esposti anche alla mostra, già citata, allestita dalla Triennale13. La posizione dell’amministrazione di Milano fece cadere definitivamente sia la proposta di insediare il Politecnico a Gorgonzola (nonostante la realizzazione del collegamento del prolungamento della MM2 fino a Gessate, mentre l’altro da Cologno Monzese a Vimercate non fu attuato) sia il progetto degli Orti urbani sulle aree della Bovisa, sostenuta dalla Regione. Conseguentemente, si fa largo l’ipotesi non della sede del Politecnico in Bovisa, ma più correttamente di un Polo del Politecnico in Bovisa. Ipotesi più che sostenibile anche dal punto di vista di uno scenario di sviluppo metropolitano in quanto la stazione sul passante di Bovisa, seconda solo a quella di Garibaldi, mette l’area in diretta connessione con l’aeroporto di Malpensa. Le risorse territoriali disponibili sono superiori a 600.000 mq e offrono ampie possibilità per insediamenti di funzioni rare e di rango superiore in grado di invertire il degrado della periferia industriale dell’asse nord-ovest di Milano14.


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I primi studi per la grande Bovisa In seguito alla dichiarazione del sindaco, viene stipulata una convenzione tra Comune e Politecnico di Milano con l’obiettivo di verificare la possibilità di insediare una parte dell’Ateneo, pari a una utenza di 15.000 studenti degli oltre 30.000 presenti in Città Studi, su 300.000 mq di superficie lorda di piano su un’area di 432.000 mq della quale metà sarebbe da destinare a verde, con l’obiettivo di un rapporto di almeno 20 mq/studente, lo standard minimo per gli Atenei tecnologici. Lo studio avrebbe dovuto concludersi entro il 30 novembre 1989 in tempo per predisporre la variante al PRG, poi adottata nel marzo del 199015. A tale scopo, il Rettore di allora, il prof. Emilio Massa16, coinvolse le competenze di tre Dipartimenti per sostenere lo sforzo di un studio che avrebbe dovuto approfondire gli aspetti di pianificazione, di progettazione e di programmazione per un sistema di interventi da gestire in tempi necessariamente lunghi e da integrare con quelli di bonifica del suolo. I tre Dipartimenti del Politecnico coinvolti nell’iniziativa furono il Dipartimento di Scienze del Territorio (direttore il prof. Cesare Macchi Cassia), il Dipartimento di Progettazione dell’Architettura (direttore il prof. Antonio Monestiroli) e il Dipartimento di Tecnologia e delle Costruzioni (direttore il prof. Pietro Maggi).17 Gli elaborati finali furono il risultato di un confronto continuo, da un lato, sul riconoscimento dei vincoli di contesto e di quelli di una struttura universitaria e, dall’altro lato, sull’esplorazione delle alternative morfologico progettuali del nuovo insediamento e delle opportunità di connessione con le parti di città esterne all’area interessata dall’intervento18. Nella proposta, il rilievo dei principali tracciati di collegamento tra esterno e interno e tra spazi costruiti e verdi furono interpretati alla luce di un obiettivo riconosciuto come centrale: quello di attribuire al futuro intervento una forte connotazione insediativa posizionando la nuova sede universitaria del Politecnico all’ incrocio ortogonale di due direttrici principali in modo tale da rompere il recinto ferroviario che l’area dei gasometri presenta rispetto al suo immediato intorno. Lo stesso insediamento del Politecnico fu pensato come un sistema aperto, attraversato dalle reti di comunicazione, quella della viabilità e quella del trasporto pubblico su ferro (poi non realizzate): le reti che dovranno collegare i quartieri di Quarto Oggiaro a nord e i quartieri di Villapizzone a ovest e di Bovisa e Dergano a est. Questi ultimi due sono i quartieri che storicamente fanno parte della zona7 del decentramento amministrativo, oggi Municipio 9. I due quartieri interessati sono molto diversi tra di loro: il primo è connotato da grandi insediamenti industriali dalla fine del secolo XIX e, poi, viene interessato dalla rete viabilistica tracciata


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dal Piano Beruto e da una commistione di attività produttive e di residenze, il secondo ha caratteristiche più urbane ed è connotato da una presenza di attività artigianali e culturali anche con i primi stabilimenti cinematografici, come l’Armenia film, nei capannoni della società anonima Milano-Films, situati nel rettangolo definite dalle attuali vie Filippo Baldinucci, Angiolo Maffucci, Giuseppe Candiani e Bernardo Davanzati, di cui sono rimasti i muri di cinta19. D’altra parte, i due quartieri sono diventati una icona dell’ambiente della prima fase di industrializzazione dell’area nord di Milano. A questo ambiente si ispirarono molte personalità della cultura milanese e non solo: pittori come Mario Sironi che, nato a Sassari, ci ha lasciato le immagini dei Gasometri; scrittori e cineasti come Ermanno Olmi che, nato Bergamo, qui trascorse una parte della sua vita e scrisse il libro “Ragazzo della Bovisa”; fotografi come l’architetto Gabriele Basilico che documentò con molti suoi scatti fotografici l’abbandono della periferia industriale di Milano.

Immagine 17 Passaggi dello studio del primo progetto per la grande Bovisa

Immagine 18 Viste del plastico del progetto per la Grande Bovisa, febbraio 1990


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Lo schema di progetto diede forma all’ipotesi di una organizzazione morfologica, tipologica e funzionale dell’area dei gasometri come una parte integrata con le caratteristiche territoriali e le permanenze storiche delle aree contigue e mettendo in evidenza gli elementi che non avrebbero dovuto essere modificati nel corso della sua attuazione. Con l’obiettivo, sempre problematico, di coniugare la continuità delle scelte, che l’unitarietà della proposta progettuale imporrebbe, con la flessibilità delle soluzioni funzionali e tipologiche che il tempo può inevitabilmente richiedere.

L’anticipazione degli interventi Mentre veniva svolto questo studio, fu avviato con la stipula di un comodato d’uso e a un costo simbolico di pochi euro, l’utilizzo dell’area industriale dismessa ex FBM in via Giuseppe La Masa, a sud dell’area dei Gasometri. Nei manufatti dell’ex FBM furono organizzati alcuni corsi della Facoltà di Architettura, che allora risultava in particolari difficoltà dal punto di vista della disponibilità di aule per la didattica20, mentre la Facoltà di Ingegneria si espresse, in un primo tempo, contro ogni ipotesi di inserimento di una parte delle proprie attività in Bovisa. Il comodato d‘uso per L’ex FBM, firmato nel 1989, fu oggetto anche di un confronto con i rappresentanti sindacali nel corso dell’inaugurazione dell’anno accademico 1989-1990, preoccupati che un arrivo del Politecnico potesse essere la causa di una dismissione delle attività della zona (peraltro già avvenuta da tempo come in molte altre situazioni contigue) e, nel caso dello stabile ex FBM, anche di una vendita a una società estera. Una posizione che, nel corso di più di una riunione convocata nella sede del decentramento amministrativo della zona, cambiò completamente. La percezione che, allora, si poteva avere dell’area non era delle più rassicuranti: a parte la presenza di una Osteria per ex camionisti e lavoratori AEM e di un servizio di street food davanti all’ingresso di via Giuseppe La Masa molto apprezzato ma presente solo fino alle ore 17.00, l’area era degradata e disabitata. Inoltre, il grave fatto di cronaca dell’assassinio di una giovane ragazza, Mary Amelio, non contribuì a migliorare la percezione di insicurezza che gravava su questa area periferica, soprattutto nei pressi della grande area della ex Montedison completamente abbandonata lungo la ferrovia. Tuttavia, la scelta di Architettura di anticipare la presenza del Politecnico in zona ebbe subito risultati positivi: si aprirono, seppure gradualmente alcune attività commerciali legate alla domanda di servizi degli studenti e successivamente ci fu la destinazione di parte dell’area della Montedison a un parco intitolato a Mary Amelio. Un fatto positivo che, seppure inconsapevolmente, riprese la destinazione a parco di una versione del PRG proposto nel 1948, approvato nel 1950, e poi dimenticato anche se prevedeva, un ingresso in città parallelo all’asse


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del Sempione e un parco lineare che da nord-ovest avrebbe dovuto correre in parallelo alla ferrovia fino al Cavalcavia Adriano Bacula. Inoltre, l’avamposto di Architettura in Bovisa fece maturare, da un lato, il decentramento di alcuni Dipartimenti e di alcuni Corsi di Laurea della Facoltà di Ingegneria anche nella prospettiva di poter disporre di importanti laboratori e di aule attrezzate e, dall’altro lato, l’ipotesi di un più organico insediamento in via Durando 10 di parte della Facoltà di Architettura sui manufatti dismessi dell’area occupata dalla ex Ceretti & Tanfani21. Per il Polo di Ingegneria, gli indugi furono superati con il trasferimento del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale che per primo si installò nel grande giallo capannone ex FBM. Gli insediamenti ex industriali, attestati sulle vie Giuseppe La Masa e Raffaele Lambruschini, furono acquistati per l’insediamento del primo nucleo della sede delle Ingegnerie Industriali (dei Corsi di Laurea di Aerospaziale, Meccanica e Energetica) e furono oggetto, inizialmente, della ristrutturazione del grande capannone della ex FBM e, progressivamente, del riutilizzo di tutti i volumi esistenti con il trasferimento degli uffici dei Dipartimenti, dei servizi di segreteria per gli studenti, di una biblioteca, di aule didattiche attrezzate per i laboratori di ingegneria, e soprattutto con la realizzazione del complesso della Galleria del Vento a bassa velocità. Quest’ultima realizzazione, la più caratterizzante per forma e funzione, risultava costituita dal corpo centrale della galleria vera e propria, da un corpo per la preparazione dei modelli di prova e da uffici e servizi di supporto distribuiti su un edificio a tre piani. Per il Politecnico, questa realizzazione ha permesso di disporre di una struttura di livello europeo per la certificazione di prove di resistenza alle sollecitazioni di forze, come il vento, di prodotti industriali e di un artigianato specializzato come per esempio le vele e gli scafi dei natanti che concorrono nelle gare della Coppa America. Nell’anno accademico 1999-2000, fu portato a termine il complesso del Polo di Bovisa Sud, compresa la ristrutturazione dell’ex IVI PPG contigua all’ex FBM. Con l’inaugurazione dell’anno accademico 2001-2002 la prolusione fu tenuta dalla prof.ssa Amalia Ercoli (prima e unica donna, fino ad ora, cui fu riservato tale onore) e fu aperto al pubblico lo spazio del Laboratorio della Galleria del Vento. Nel 1993 si avviò anche l’insediamento in via Giovanni Durando 10 per il trasferimento della Facoltà di Architettura Civile e, successivamente, per insediare la Facoltà di Disegno Industriale nel complesso di via Giovanni Durando angolo via Enrico Cosenz. In questo caso i lavori iniziarono con l’adeguamento degli edifici dell’ex Ceretti & Tanfani, lavori proseguiti negli edifici contigui dello stesso complesso di proprietà della Società Andumor S.r.l. e, in parallelo, sull’area ex Lepetit, un complesso farmaceutico situato in via Durando angolo via Enrico Cosenz. In occasione del loro completamento le sedi della Bovisa ebbero anche la visita – non ufficializzata – del Cardinal Martini, particolarmente interessato dalla opportunità di poter avviare iniziative di dialogo con gli studenti oltre che con gli abitanti della zona.


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Nel 1999-2000, risultò completato il trasferimento della seconda Facoltà di Architettura Civile e l’insediamento della Facoltà Disegno industriale per un totale di più di 5.000 studenti, su un’area dove sono stati riutilizzati gli stabili già esistenti e destinati a parcheggi e a verde le aree libere intercluse. Un intervento che avrebbe dovuto essere completato con la realizzazione di un auditorium a scomputo degli oneri concessori della società proprietaria dell’area e destinato a essere utilizzato sia da parte del Politecnico che da parte della zona di decentramento, oggi Municipio 9. La ristrutturazione dell’ex FBM, nel Campus di Bovisa Sud, venne realizzata attraverso una convenzione con il Fondo Pensioni della Cariplo, in attuazione dell’articolo 3 della L. 23-12-1992, n. 498, sulla base di un contratto di acquisto di proprietà futura, secondo il quale il fondo si impegna a ristrutturare il capannone e le aree di pertinenza e a affittarlo al Politecnico per 15 anni cedendolo allo stesso Politecnico alla fine del suddetto periodo. Il Politecnico presentò il progetto nel novembre del 1994, la Regione Lombardia espresse il suo assenso il 5 giugno del 1995, il Consiglio comunale approvò il parere in ordine alla ristrutturazione il 21 giugno dello stesso anno e il Ministero dei lavori Pubblici licenziò definitivamente il progetto il 30 giugno. Tutto ciò ha consentito l’avvio dei lavori l’1 ottobre 1995 e di consegnare le prime strutture ai Dipartimenti e agli studenti il 15 settembre 1997.

Immagini 19-20-21-22 Ristrutturazione capannone di via La Masa con in fondo gli uffici; Galleria del vento e la sagoma del gasometro; edificio del Dipartimento di Industrial Design; Dipartimento di Progettazione dell’Architettura di via Candiani


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Anche per la realizzazione della nuova sede di Architettura in via Giovanni Durando le procedure attuative ricorsero all’articolo 3 della legge di cui sopra, fatto che consentì a Enasarco di rilevare gli immobili e di metterli poi a disposizione del Politecnico con un’apposita convenzione. Inoltre, il decentramento dell’attività didattica che si trovava in oggettive difficoltà nella sede di Città studi, fu accompagnata oltre che dalla realizzazione della Galleria del Vento anche da altri laboratori per l’attività di ricerca e di didattica. Contestualmente all‘acquisto e alla ristrutturazione dell’edificio destinato all’insediamento del Dipartimento di Disegno Industriale con la formula di un contratto a riscatto (e destinato anche a alcune attività di Elettronica e del consorzio di Poli Design per la promozione dei rapporti con le imprese del settore), in via Durando 10, furono avviati i lavori per l’insediamento di aule e di laboratori della Facoltà di Disegno Industriale e per la costruzione del Laboratorio per la Sicurezza dei Trasporti (L.A.S.T) per prove “crash” e di assorbimento dei Dipartimenti di Scienze e Tecnologie Aerospaziali (sezione di sicurezza passiva) e di Meccanica (sezione di sicurezza attiva).

Un programma di riqualificazione in progress In tutte queste iniziative le procedure di approvazione e la tempistica degli interventi come si evince dalla sintesi allegata alla fine del capitolo, sono elementi molto significativi della programmazione e della realizzazione dell’intero progetto a cui collaborarono tutte le strutture dell’Ateneo22 oltre ai tecnici dell’Amministrazione Comunale e della Regione. Allora, concordemente giudicammo (almeno così ci sembrò) che la scelta di anticipare la realizzazione dei due insediamenti fosse certamente opportuna non solo per l’Ateneo ma anche per avviare il processo di riqualificazione e di rigenerazione dell’intera zona con un percorso unitario negli scopi ma flessibile nell’adeguarsi a un tessuto abitato e all’espressione di più voci in una stessa porzione urbana: cioè con una scelta molto diversa da quella di un percorso di demolizione e di ricostruzione secondo un unico progetto predefinito. Se da un lato, infatti, la filosofia della riqualificazione secondo l’approccio della rigenerazione si mosse privilegiando l’adattamento delle nuove costruzioni a quelli che da sempre sono i segni del linguaggio multiforme e stratificato della città, dall’altro lato, il radicamento del Politecnico nella zona fu affidato alle strutture dei grandi laboratori sperimentali di didattica e di ricerca23 e alle relazioni da attivare con il sistema economico e con il contesto sociale. Più in generale, infatti, il riammodernamento del tessuto sociale e urbano richiede oltre alla riqualificazione delle infrastrutture di mobilità e di quelle energetiche e delle comunicazioni, di potersi appoggiare su un sistema di attività che alimentino un processo di innovazione economica e di sviluppo di


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lungo periodo. Mentre la riqualificazione di una porzione di città, un tempo territorio di produzioni sedimentatesi nell’archivio della memoria dei luoghi, con le iniziative degli usi temporanei24 di quello che è stato definito l’approccio di una “organizzazione liquida del sociale territoriale”, sono utili ma non sono sufficienti. L’impegno del Politecnico in questa direzione è stato spesso sottovalutato, o equivocato, come espressione di una volontà espansionistica di pochi. Non è stato così anche se le scelte successive hanno preferito il consolidamento degli insediamenti già avviati, dando spazio di fatto a interessi che hanno impedito la conclusione di un progetto che aveva un orizzonte ben più ampio e trascurando lo sviluppo di spazi e di attività comuni tra gli utenti dell’Ateneo e gli abitanti della zona. Tuttavia, oggi, la zona di Bovisa è viva anche grazie alle molte iniziative temporanee che vanno e vengono proprio in virtù di una presenza, quella del Politecnico, che non si può più cancellare. E di questo, Il Politecnico non può che essere orgoglioso. C’è qualcosa di peggio dello sbagliare: è il non fare, travolti da incertezze, burocrazia e interessi, anche di parte, che possono insinuarsi e arrivare a dominare la scena. L’anticipazione degli interventi in Bovisa aveva messo in evidenza il fatto che il Politecnico, nonostante l’avvio delle sedi dei poli territoriali, aveva bisogno di trovare una soluzione adeguata e di ampio respiro anche per la sua sede di Milano. Infatti, anche l’acquisto di un nuovo edificio, in adiacenza alla sede di piazza Leonardo da Vinci, con la ristrutturazione dell’immobile di via Giuseppe Colombo per il Dipartimento di Ingegneria Gestionale e la costruzione di due nuovi stabili da destinare inizialmente ad aule in via Camillo Golgi si dimostrarono insufficienti oltre a aggravare ulteriormente la mono funzionalità della zona di Città Studi con l’ effetto di una sempre rilevante congestione nei giorni lavorativi della settimana. Nel frattempo, l’area di Bovisa a sud di via Giuseppe La Masa fu interessata dal trasferimento dell’Istituto Mario Negri e fu ipotizzato anche un possibile accordo per il trasferimento dei Dipartimenti Chimici. Contestualmente a questo trasferimento si sarebbe potuto stipulare una convenzione con il dott. Giorgio Squinzi, Amministratore delegato della Mapei, per l’insediamento del Centro direzionale della Società nell’area della Grande Bovisa25. Con la crescita della presenza del Politecnico in zona si intensificarono anche i rapporti con il quartiere e con il Comune di Milano per far fronte a una serie di richieste di opere di compensazione come standard di qualità, come quello già citato dell’auditorium in via Durando alle spalle dell’insediamento di Architettura lungo via Filippo Baldinucci da integrare con la realizzazione di parcheggi urbani. E furono avviate anche altre iniziative culturali: tra queste si ricorda che, nel 2002, nell’ex laboratorio dei costumi della Scala, viene messo in scena dal Piccolo Teatro di Milano, con la collaborazione di ricercatori e studenti del Politecnico, lnfinities, tratto da John David Barrow, con la regia di Luca Ronconi26.


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Lo stesso stabile, dove si tennero le due rappresentazioni di Infinities, sarebbe dovuto diventare un “college” per studenti in alternativa o in aggiunta a quello che avrebbe dovuto essere costruito in via Giuseppe Durando di fronte all’ingresso della Facoltà di Architettura Civile. Due ipotesi rinviate e non realizzate, mentre l’intervento per l’ospitalità di studenti fu costruito in un’area adiacente alla stazione FS di Certosa, contestualmente a quello realizzato in Città Studi nell’area ex Innocenti di Lambrate. Due interventi anticipati dalla ristrutturazione nel centro città di uno stabile pubblico la ex Casa delle laureate (un edificio dell’architetto Luigi Moretti in via Filippo Corridoni 22) in convenzione d’uso con il comune di Milano e destinato a ospitare studenti stranieri. Questo è il clima in cui si concretizzò l’ipotesi del concorso internazionale e, allo scopo, venne istituita una commissione di Ateneo presieduta dal Rettore, il prof. Adriano De Maio27. Ricordando, inoltre, che in seguito a un sopralluogo dei Dipartimenti di chimica dell’università di Zurigo, si ipotizzò di insediare i Dipartimenti Chimici come primo insediamento nella Grande Bovisa28 e si avviarono i primi contatti con la banca Europea degli Investimenti (BEI) per individuare un possibile accesso a finanziamenti agevolati.

5.3 Dal programma di riqualificazione urbana all’accordo di programma Nel 1995, il Comune di Milano fece un tentativo per superare l’impasse attuativo delle nuove previsioni insediative con la individuazione dell’ambito di riqualificazione urbana n. 6 Bovisa, Quarto Oggiaro, Scalo Farini, Garibaldi. A questo fine, l’amministrazione comunale di Milano recuperò parte dell’impianto del Progetto Bovisa, esito della convenzione con i tre Dipartimento del Politecnico, negli indirizzi progettuali del Programma di Riqualificazione Urbana e sviluppò le quantità del dimensionamento definitivo delle funzioni da insediare, la definizione della rete della mobilità e la distribuzione dei servizi per gli studenti e per la popolazione residente. La previsione quantitativa individuò un complesso universitario calibrato su una utenza di 15.000 studenti con uno standard di 20 mq/studente, su una superficie territoriale di circa 444.000 mq dove erano previste anche altre funzioni come la residenza e il polo operativo di AEM spa, già presente con sue attività su parte delle aree di proprietà del comune di Milano. L’esperienza del PRU diventò l’occasione per delineare un disegno organico di inquadramento territoriale, come premessa della promozione di un Accordo di Programma ex art. 27 della L. 142/1990, lo strumento introdotto dal legislatore per affrontare processi di pianificazione e attuazione di elevata complessità per il numero di operatori coinvolti e per la rilevanza delle opere previste, nonché per accelerare le procedure del tradizionale approccio che prevede in sequenza la pianificazione generale, il piano attuati-


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vo e le autorizzazioni. Il ricorso all’Accordo di Programma di Programma (AdP) si concretizzò il 24 maggio del 1995 con la richiesta dell’avvio del procedimento, formulata dal Politecnico e firmata dal Rettore Adriano De Maio, finalizzato a definire le condizioni per l’avvio dell’intervento previste nel Piano Ministeriale di sviluppo dell’Università. Valutata la necessità di procedere alla variante normativa del PRG vigente e di prevedere le infrastrutture collegate al sistema ferroviario regionale, l’adozione formale dell’AdP fu adottata della Giunta Comunale e la partecipazione della Regione fu deliberata nel marzo del 1996. Il 22 febbraio del 1997, l’Accordo di Programma venne sottoscritto da tutti gli operatori interessati, Regione, Comune, Politecnico e AEM S.p.A.29 anche grazie al lavoro della Segreteria Tecnica Operativa che rese possibile in soli due anni, tra l’avvio e la firma dell’AdP (1995-1997), l’approvazione comunale e regionale degli atti equivalenti alla approvazione della Variante al PRG. La segreteria tecnica, in cui sedevano i rappresentanti di Regione, Comune, Politecnico e AEM S.p.A., consentì, con un intenso calendario di incontri e di verifiche con le diverse istituzioni interessate, di definire gli aspetti normativi, progettuali e procedurali anche di un programma di interventi di bonifica, di infrastrutturazione e di integrazione tra più esigenze funzionali che riguardavano l’area della Bovisa compresa la realizzazione di servizi pubblici e collettivi, come il Museo del Presente, il Parco e la biblioteca, e il recupero dei gasometri e dei manufatti di archeologia industriale. Una particolare attenzione fu dedicata al calcolo degli standard, elemento centrale e qualificante dello strumento dei PRU, alla individuazione dell’area che avrebbe dovuto essere acquisita dal Politecnico e alla riduzione delle volumetrie per lo stesso Ateneo e per AEM in seguito a una valutazione più calibrata delle esigenze dei due enti e dell’opportunità di ridurre un indice di edificazione troppo elevato. Il contenuto tecnico del programma è contenuto nelle 29 tavole allegate alla relazione illustrativa della Variante del PRG e del Piano attuativo dell’Accordo di Programma (AdP), oltre che nella relazione contenente il piano finanziario e la tempistica degli interventi. In sintesi, l’Accordo di Programma, siglato nel 1997, definì le scelte urbanistiche della unità 1 della Zona speciale Z14 con la previsione dell’insediamento del nuovo polo del Politecnico di Milano in modo coordinato con il polo operativo della AEM, con gli insediamenti residenziali, con un sistema di verde e con gli edifici per alcune ipotesi di funzioni pubbliche quali una biblioteca e un museo del presente. A questo proposito si possono ricordare due ipotesi emerse nel corso dei molti incontri: l’assegnazione della progettazione di ogni stabile destinato a residenza a un architetto diverso e la realizzazione nella biblioteca di una sezione dedicata alla musica. Dal punto di vista quantitativo l’accordo di programma prevedeva: mq 86.846 per la spina dei servizi e per il parco centrale pubblico, mq 39.958 per gli impianti sportivi, mq 200.384 di s.l.p. per


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la funzione universitaria, mq 40.000 di s.l.p. per il Polo operativo di AEM, mq. 27.000 di s.l.p. per residenza oltre a impianti tecnologici. Complessivamente la superfice compresa nel piano esecutivo dell’accordo di programma coinvolgeva aree per un totale di 451.312 mq di cui oltre 80.000 mq per opere di urbanizzazione primaria. La riorganizzazione spaziale dell’area riprendeva le linee di forza del disegno proposto con la prima convenzione tra Comune e Politecnico e veniva ancorata ai due sistemi verdi nord-sud e estovest e ai principali assi di connessione viabilistica con particolare riferimento al sovrappasso del nodo della stazione FS-Passante Ferroviario e Ferrovie Nord e alla linea tranviaria di attraversamento. Lo schema complessivo, più equilibrato rispetto alle regole insediative indicate dalla commissione del Politecnico, identificava anche più fasi costruttive e alcuni margini di flessibilità nei confronti di un impianto urbano unitario e ben definito anche nel posizionamento dei laboratori pesanti dei Dipartimenti di Chimica e altri di Meccanica e nelle relazioni con le sedi già esistenti del Politecnico e con il tessuto urbano al suo intorno. In sintesi era un modello insediativo, che intendeva rendere possibile una flessibilità governata nei tempi necessariamente lunghi della sua realizzazione, ma ferme restando alcune scelte che allora vedevano la possibilità di rilanciare la ricerca nei settori della chimica e dei nuovi materiali anche in accordo con una delle maggiori imprese del settore come la Mapei e con un forte accordo tra i soggetti istituzionali allora coinvolti30. Il Programma per la grande Bovisa prevedeva una realizzazione degli interventi in tre fasi precedute dalle rispettive opere di bonifica: una prima fase (1998-2001) di 70.000 mq per insediamenti universitari (i Dipartimenti e i laboratori delle chimiche, di meccanica e l’insediamento di una sede della Mapei ); di 40.000 mq per insediamenti produttivi (il polo operativo di AEM) in una seconda fase (2001-2004)con 65.000 mq per più strutture universitarie e laboratori) e di 15.000 mq per la biblioteca, 50.000 mq per il parco e 40.000 mq per gli impianti sportivi; una terza fase (2004-2007) per il completamento del polo universitario con altri 45.000 mq e con 27.000 mq per la residenza31.

5.4 Il concorso Internazionale per l’area della “Goccia” L’accordo di programma affidava al Politecnico anche il compito di predisporre il bando di un concorso di progettazione preliminare degli edifici previsti nel piano esecutivo e per la progettazione definitiva di parte degli edifici universitari relativa alla prima fase di intervento prevista nel programma dei lavori (art. 6 dell’AdP). Il bando avrebbe dovuto comprendere anche la progettazione definitiva del nuovo Polo Operativo dell’AEM spa e dell’area riservata al Parco centrale, oltre a fornire il supporto tecnico al Settore Ambiente del Comune di Milano per la predisposizione del progetto esecutivo della bonifica.


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Il concorso internazionale fu indetto nel giugno 1997 con una procedura ristretta, ad inviti ai sensi del D.Lgs. 157/1995, con lo scopo di disporre di elaborati progettuali che rispondessero a requisiti interdisciplinari da verificare in fase di prequalifica e che fossero coerenti, entro alcuni margini interpretativi, con l’impostazione urbanistica e funzionale dell’accordo di programma. Con il concorso si dovevano infatti scegliere i progettisti cui affidare l’incarico di predisporre il progetto definitivo e quello esecutivo, secondo i criteri definiti dalla legislazione per gli appalti pubblici. Il concorso chiuse l‘insieme dei passaggi svoltesi tra il 19891997 con una prima fase tutta interna al Politecnico, 1989-1991, per gli studi di fattibilità; una seconda fase, 1990-1992, per la convenzione degli studi finalizzati alla variante del PGT (1990 Comune, 1992 Regione) e una terza fase di verifica del planivolumetrico, della variante e dei progetti preliminari delle edificazioni e delle infrastrutture e conclusasi con l’accordo di programma sottoscritto da Comune, Politecnico, AEM e Regione nel febbraio/marzo 1997. Questi passaggi avrebbero permesso al Politecnico di disporre delle indicazioni progettuali e delle informazioni tecniche e economiche necessarie per poter indire gli appalti dei lavori di costruzione con una relativa certezza, assegnando alla fase della costruzione la realizzazione di opere già progettate, cioè evitando gli inconvenienti a cui l’amministrazione pubblica va incontro quando il progetto richiede di essere sistemato in corso d’opera. Al momento della predisposizione del bando il Politecnico dovette affrontare due problemi piuttosto delicati a cui è stata data una risposta coraggiosa ma foriera di forti contraddizioni interne. Il primo problema fu quello della scelta della tipologia del progettista tenendo conto che come già accennato il progetto richiedeva il concorso di più competenze. Il secondo problema fu quello di consentire o meno la partecipazione di propri docenti e in particolare di docenti della Facoltà di Architettura dello stesso Ateneo. La scelta fu di evitare la partecipazione di studi di piccole dimensioni, dimostratesi spesso inadeguata se messi a confronto di concorrenti stranieri, imponendo come dimensione minima di fatturato 4 miliardi/anno (una soglia stimata come congruente per la dimensione dell’intervento) nei cinque anni precedenti il bando di Concorso. Questa fu la scelta sulla base della quale i colleghi-progettisti dell’Ateneo ritennero di essere penalizzati dai limiti di accesso al concorso cui avrebbero potuto partecipare solo consorziandosi con altri esperti32. A valle della pubblicazione del concorso, richiesero di essere invitati 26 gruppi professionali, dei quali 15 italiani e 11 stranieri. Fra questi furono selezionati, sulla base dei requisiti previsti dal bando, 11 gruppi, dei quali 8 italiani e 3 stranieri. Il concorso internazionale di progettazione si concluse nel 1998 con la proclamazione dei vincitori ex aequo Serete Italia S.p.A. (raggruppamento con Architecture Studio) e Ishimoto Architectural and Engineering Firm.

Immagini 23-24 Da sinistra a destra: i due progetti vincitori, il progetto di sintesi; planimetria dell’accordo di programma con la sequenza degli interventi del Politecnico e per altre funzioni urbane


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Con l’esito del concorso fu avviata una fase di messa a punto dei due progetti ex aequo tenendo presenti le esigenze funzionali del Politecnico e di AEM spa e la predisposizione degli strumenti tecnici di attuazione dell’Accordo di Programma: il progetto di sintesi fu poi approvato dalla segreteria Tecnica del Collegio di Vigilanza in data 5 marzo 1999. Di seguito sono allegate le mappe dei progetti premiati e del progetto di sintesi con le fasi della sua attuazione, confermato con la variante al PGT.


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Nello stesso anno, nell’agosto del 1999, venne completato il progetto generale di bonifica redatto dal Comune di Milano con il supporto tecnico e in scientifico del Politecnico di Milano e dell’AEM anche sulla base delle valutazioni di ASL, Provincia e Regione. Nel giugno 2000, la Giunta Comunale approva il progetto con il relativo capitolato speciale d’appalto impegnando contestualmente sulle opere di bonifica parte del corrispettivo proveniente dalla cessione delle aree al Politecnico in esecuzione dell’accordo di programma. Inoltre, il progetto di sintesi per la grande Bovisa venne inviato all’attenzione della Banca Europea d’Investimento con una relazione di accompagnamento sul contesto delle ipotesi di sviluppo del nord-ovest e degli interventi già avviati oltre che con l’indicazione di alcune priorità di intervento tra cui le opere di bonifica. A fine agosto del 2002, dopo le verifiche da parte di delegati della stessa banca, al Politecnico venne comunicata la possibilità di un’apertura di un credito33, con la possibile contabilizzazione degli interessi rapportata all’entità dei prelievi effettuati a partire da ciascuna annualità di utilizzo: offerta che non avrà seguito.

Immagine 25 Politecnico di Milano. Planimetria degli insediamenti previsti dall’accordo di programma 15 maggio 1997 e degli insediamenti realizzati al 2002


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Immagini 26-27 Ingresso al Campus Bovisa Sud e ai Dipartimenti di Aerospaziale e di Meccanica

Immagini 28-29 Ingressi al Campus della FacoltĂ di Architettura Civile e vista del Laboratorio Last

Immagini 30-31 Vista del laboratori del Dipartimento di Design in costruzione


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Immagine 32 Prova di resistenza orizzontale; laboratorio Crash; laboratorio prototipi di Industrial Design; prototipi

5.5 La storia parallela della bonifica Negli anni successivi alla conclusione del concorso si aprì la fase per la realizzazione delle opere principali, quali l’espletamento dei concorsi per la progettazione dei comparti destinati al Politecnico e all’AEM, l’affidamento del progetto esecutivo del comparto U1 del Politecnico (quello destinato all’insediamento dei Dipartimenti dei chimici), la gara d’appalto per la realizzazione del Museo del Presente, non previsto dallo AdP ma inserito nel frattempo in uno dei due gasometri dell’area, e la gara d’appalto per l’esecuzione delle opere di bonifica corrispondenti agli interventi sul suolo interessato dal progetto esecutivo del comparto U1.


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È in questa fase (cioè meno di tre anni dopo la firma dell’accordo di programma) che cominciarono a emergere le contraddizioni di una operazione che si pensavano superate e che si palesano di fronte a più concrete scadenze su aree di cui nel frattempo è aumentato il valore. La questione legata alla bonifica dell’intera area perimetrata dall’accordo diventò l’ostacolo sollevato nei confronti di un accordo che interessava più soggetti pubblici fino all’annullamento delle gare e alla mancata riqualificazione della grande Bovisa. L’accordo di programma che, all’art. 6, disciplinava l’esecuzione delle attività comprendeva anche le procedure e le opere collegate alla bonifica del suolo e delle acque che avrebbero dovuto essere interrelate con le destinazioni urbanistiche. Sulla base del tipo e della distribuzione della contaminazione era stata definita, una bonifica per lotti diversificata rispetto alle destinazioni funzionali degli azzonamenti come prevedeva la legge Ronchi (D.Lgs. 5-2-1997, n. 22 e s.m.i.).Tra il 1998 e il 2000 vennero predisposti e approvati dagli Enti e dalla Giunta Comunale il progetto generale di bonifica per tutta l’area e il progetto definitivo del primo lotto (quello di interesse del Politecnico) corrispondente al soggetto che avrebbe dovuto realizzare una quota consistente delle aree comprese nel perimetro dello stesso accordo. Nella seconda metà del 2000 venne, infatti, bandita anche la gara per la scelta del soggetto che avrebbe dovuto eseguire gli interventi su una parte consistente delle aree comprese nel perimetro dell’accordo di programma (quelle destinate ai Dipartimenti di chimica): la gara fu oggetto di numerosi ricorsi anche durante i lavori della commissione aggiudicatrice34 composta da Comune di Milano, Regione Lombardia, Provincia di Milano, ASL di Milano, nonché dal Politecnico di Milano e da AEM e dopo la chiusura degli stessi lavori. Nel 2001, il Tar Lombardia si pronunciò nel merito con l’annullamento del bando. Successivamente con il D.M. dell’ambiente e della Tutela del territorio, che aveva individuato ai sensi del D.M. 471/1999 la perimetrazione del sito di interesse nazionale di Milano Bovisa, venne specificato quanto già delineato con il D.M. 468 del settembre 2001 relativo al “Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale” e l’area della Bovisa, come già accennato, venne compresa, assieme ad altre 15 aree e a 23 ulteriori interventi, nell’elenco dei siti di interesse nazionale selezionati come prioritari. Per i siti compresi in tale elenco si prevedeva che, per l’accesso ai finanziamenti ministeriali, fosse lo stesso Ministero a valutare, a modificare e a coordinare il programma di caratterizzazione e gli interventi di bonifica. Pertanto, il ministero avocò a sé la rivisitazione del programma di caratterizzazione e degli interventi di bonifica affidando alla MM S.p.A., nel giugno del 2002, la progettazione e il management per il programma di bonifica. Il piano di caratterizzazione venne consegnato e approvato dal Ministero nel dicembre dello stesso 2002;


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nell’aprile del 2003 venne predisposto il progetto preliminare e, nel luglio 2004, venne consegnata formalmente al comune una nuova stima dei costi riferiti a tutta l’area dell’accordo di programma e molto più onerosi di quelli già calcolati dal Politecnico in accordo con il Comune. A questo proposito è necessario precisare che la stima dei costi della bonifica, fatta con il contributo del Politecnico, si basava sulla scelta dell’area destinata al primo intervento del Politecnico che in base a opportuni carotaggi era risultata la meno inquinata di tutto il sito. Lo scopo di tale scelta era proprio quello di far partire l’intervento del Poli che sarebbe diventato trainante per successivi investitori per esempio per quelli interessati alla residenza posizionata su aree anch’esse meno inquinate. Nel settembre 2004 il nuovo progetto preliminare fatto dalla MM spa, esteso a tutta l’area, viene trasmesso al Ministero per l’accesso ai finanziamenti. L’aumento dei costi della bonifica estesa a tutta l’area aprì la strada alla convinzione dell’inattuabilità economica dello stesso progetto preliminare di bonifica, redatto e approvato ai sensi del D.M 471/1999. Di conseguenza sarebbe stata confermata anche l’inattuabilità del progetto di cui all’accordo di programma, a causa della crescita dei costi derivante, da un punto di vista puramente tecnico, dall’enorme quantità di terreno di scavo da smaltire come rifiuti e non sufficientemente stimata dal progetto preliminare. Anche se non fu chiaro a quale quantità di terra di scavo ci si riferisse: a quella dell’accordo di programma che prevedeva più fasi di intervento cui erano correlate le rispettive opere di bonifica piuttosto che, come già accennato, a quella della bonifica dell’intera area i cui costi sono riportati nella relazione economica allegata al progetto affidato alla MM spa e che qui non riportiamo. Nel frattempo, nel febbraio 2002, l’AEM spa aveva inoltrato una propria istanza per il cambio di destinazione d’uso della superficie lorda di pavimento (s.l.p.) ad essa assegnata per la realizzazione del Polo operativo nell’area della “Goccia” della Bovisa. E, nel luglio 2003, la stessa AEM spa, aveva chiesto anche la convocazione della Segreteria Tecnica per procedere a una nuova istruttoria della Variante di piano conseguente all’Accordo di programma. Questa richiesta fu inoltrata poco dopo quella del Politecnico che, nel maggio 2003, aveva richiesto la convocazione del Collegio di Vigilanza al fine di verificare le ragioni della mancata attuazione della bonifica dell’area e le eventuali iniziative da intraprendersi. Inoltre, nello stesso mese, maggio 2003, anche il Politecnico presentava la propria istanza al Comune per la revisione dei contenuti dell’Accordo di Programma, coerentemente con la dichiarazione del Rettore Giulio Ballio, allegata al C.d.A. del febbraio 2003, che sosteneva la necessità di rivedere l’articolazione e la distribuzione dei propri insediamenti in Bovisa. Le motivazioni addotte dal Politecnico riguardavano la necessità di rivedere lo stesso accordo in seguito al mutamento di strategia d’azione di uno dei due enti firmatari (l’AEM); agli approfondi-


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menti sulle modalità e sui relativi costi degli interventi di bonifica e alla opportunità di rivedere il perimetro dell’accordo di programma, cioè il trasferimento delle quantità e delle aree dove realizzare i propri primi interventi. D’altra parte, di fronte al cambiamento del progetto originario di insediare i Dipartimenti Chimici nella parte a nord della “Goccia”, altri Dipartimenti, tra cui i Dipartimenti e i Corsi di Laurea di Energetica e di Ingegneria Gestionale, chiedevano, a causa dell’alto numero di studenti, l’ampliamento degli spazi in adiacenza a quelli dove l’Ateneo era già presente. A fronte delle incertezze, non solo dei tempi, per rivedere l’accordo di programma, l’Ateneo aprì un bando finalizzato alla verifica della disponibilità di aree e delle loro capacità edificatorie nelle immediate vicinanze del Campus Bovisa Sud. Precedentemente, anche l’altro attore dell’accordo, l’AEM, aveva rinunciato a insediarsi con un proprio polo operativo in Bovisa, di mantenervi la sola cabina del gas già esistente e di realizzare la sola centrale di cogenerazione con gli annessi uffici operativi. Alla luce dei cambi di strategia dei soggetti interessati, il Comune di Milano si trovò nella situazione di rientrare nella proprietà della quasi totalità delle aree dell’accordo e, di conseguenza, di non disporre delle risorse necessarie per la realizzazione della bonifica e per completare le infrastrutture e i servizi dell’intero ambito e di cui avrebbe potuto disporre in seguito al conferimento delle proprie aree al Politecnico e a AEM35. Pertanto, ai fini della valorizzazione delle proprie aree, il comune si orientò verso una revisione delle destinazioni d’uso con la possibile immissione sul mercato di nuovi diritti edificatori e di eventuali nuovi investitori. Una ipotesi fu quella di verificare con una metodologia integrata fra pianificazione ambientale e criteri di bonifica alcune alternative di progetto urbanistico che ottimizzassero gli interventi e i relativi costi. A questo scopo viene avviato il progetto Policity avvalendosi del sostegno dell’Unione Europea con il programma INTERREG III, che arrivò a individuare per l’area dell’accordo di programma alcune proposte con le rispettive valutazioni, presentate con una pubblicazione del 2006, senza, tuttavia, dare luogo a nuovi accordi e a nuove iniziative36. Contestualmente furono avviati altri due studi per individuare un possibile destino dell’area della “Goccia”: quello che disegnò un insieme di costruzioni con una capacità insediativa di circa 30.000 abitanti disposte attorno a un sistema di rotonde e di colline, previsto dalla proposta dello studio Oma, commissionato da Euromilano; e quello commissionato, nel 2005, dal Rettore il prof. Giulio Ballio agli stessi tre Dipartimenti, di cui nel frattempo i direttori che avevano redatto la precedente proposta utilizzata come base per il Concorso Internazionale erano cambiati37. Nel frattempo, ritornando al bando del Politecnico finalizzato alla verifica della disponibilità di aree e delle loro capacità edificatorie nelle immediate vicinanze del Campus Bovisa Sud, l’esito fu l’individuazione delle aree ex Broggi e ex Origoni. D’altra parte,


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nei primi anni del 2000, l’Ufficio Tecnico del Comune, aveva avviato con tutti i proprietari delle aree di Bovisa Sud un programma di inquadramento operativo per individuare delle linee di azione condivisi, i cui risultati avevano individuato un mix di più funzioni e un asse attrezzato urbano che avrebbe dovuto collegare la stazione delle Ferrovie FS con quella del Passante e delle Ferrovie Nord. Il lavoro dell’Ufficio Tecnico fu, tuttavia, interrotto dall’acquisto delle aree ex Broggi e ex Origoni da parte di Euromilano che, a fronte del cambiamento delle esigenze del Politecnico rispose positivamente al bando aperto dallo stesso Ateneo sulla disponibilità di aree edificabili nell’intorno di via La Masa offrendosi di realizzare per conto del Politecnico gli interventi necessari. A questo scopo, sulle due unità suddette, tra il Comune e Euromilano, in seguito a uno specifico accordo Stato-Regione e alla delega al Provveditorato delle Opere Pubbliche del controllo della corretta esecuzione delle opere, furono stipulati due permessi di costruire convenzionati che definiscono le volumetrie da realizzare e la cessione delle opere primarie e secondarie38. Con i disciplinari degli interventi per l’ex area Origoni e per l’ex area Broggi, il disegno urbano è stato sacrificato sull’altare della densificazione urbana. Infatti, per rispondere alla richiesta urgente di spazi sono stati realizzati interventi con il rapporto di 1 mq/mq corrispondenti a: una nuova Biblioteca (3.300 mq), le sedi dei Dipartimenti di Ingegneria gestionale (9.000 mq), del MIP (Consorzio per l’innovazione della gestione di aziende, 4.800 mq), una caffetteria e il completamento del Dipartimento di Energetica (9.500 mq) e di Meccanica (10.000 mq), circa 40.000 mq su una superficie di 60.000 mq. Un volume complessivo rilevante su unità da cui dovevano essere detratte le aree per le opere primarie e secondarie corrispondenti, soprattutto, agli assi delle connessioni di cui all’accordo di programma e al PRG, allora vigenti. D’altra parte, con la stessa logica erano state incrementate anche le costruzioni nel Campus Durando ai lati del capannone dei laboratori e delle aule di disegno Industriale. Tutte scelte, che, tuttavia, non hanno impedito la recente dismissione della porzione occupata dalla Facoltà di Architettura Civile, le cui attività sono state integrate nell’unica Facoltà di Architettura Urbanistica, Ingegneria delle Costruzioni (AUIC) con sede in via Bonardi di Città Studi. In altri termini, si può evidenziare come dopo il 2002 si sia adottato il criterio di addensare (peraltro non nuovo nella tradizione dell’Ateneo) una rilevante quantità di volumi per poi rinunciare, nel decennio successivo, all’utilizzo di parte del Campus di via Giuseppe Candiani 10, diventato un nuovo vuoto urbano a rischio di degrado. Mentre nei quartieri di Bovisa e di Dergano anche gli interventi attivati da singoli soggetti privati hanno beneficiato della presenza dell’Ateneo e delle infrastrutture su ferro e sono cresciuti senza un ridisegno del tessuto urbano, rimasto irrisolto dal punto di vista


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della viabilità e dei manufatti abbandonati soprattutto attorno alla stazione del Passante ferroviario e nelle zone più interne dei due quartieri citati. Questa è la messa in ordine della sequenza di fatti che, portò all’annullamento del progetto per la grande Bovisa nonostante l’impegno di chi ci credette e del rinvio di ogni altro utilizzo dell’area della “Goccia”. In sintesi, questa storia ci dice che il cambio di rotta dei due firmatari, AEM e Politecnico, avvenuto dopo pochi anni dalla firma dell’accordo di programma, e di conseguenza anche quello del Comune, ha certamente influito sulla definitiva messa in crisi dell’originario progetto Bovisa anche se, forse, potrà essere ripreso con nuove proposte, grazie alla chiusura della vertenza relativa alla bonifica e a quella aperta dal comitato per la “Goccia”. Il Politecnico rimane, tuttavia, l’operatore più significativo presente, oltre alle sedi del Centro di Ricerca Mario Negri, dell’ Automobile Club Italia (ACI) e di Tele Lombardia, mentre si trova a dover affrontare un nuovo programma di scelte per il territorio disposto sia lungo l’asse nord-ovest da Bovisa fino al polo dello Human Tecnopole nell’area dell’ex Expo 2015 e sia nell’area di Città Studi in seguito ai previsti trasferimenti delle strutture sanitarie del Besta e dell’Istituto dei Tumori oltre che della Facoltà di Agraria dell’Università Statale. Un programmma di scelte impegnativo con cui il Politecnico dovrà evitare di mettere in contraddizione tra loro il futuro dei due Poli urbani, tenendo presente oltre a quanto sta avvenendo nell’ex area Expo 2015, alle prospettive aperte nel Campus di Bovisa, in via Giuseppe Candiani 39, con il Distretto Poli Hub della Fondazione Politecnico di Milano e con l’accordo tra la Tsinghua University (la più grande Università della Cina che con la Tus Holding costituisce il più grande centro di investimenti in ricerca e formazione) e il Politecnico di Milano, per promuovere il Distretto Cinese-Italiano “Design Innovation”,tramite la Tus Holding e la Fondazione Politecnico di Milano. A questo proposito bisogna ricordare che gli interventi fatti in emergenza (necessari perché dovevano rispondere a urgenze non rinviabili) non sono ancora sufficienti per il fabbisogno di spazi dell’Ateneo se si vuole arrivare allo standard ottimale delle Università tecniche, che oggi è pari a almeno 27 mq per studente, e se, contestualmente si vuole anche rigenerare una intera porzione urbana. Allora, ancora una volta, servono scelte capaci di guardare lontano e di costruire le alleanze per sostenere le iniziative dell’università nei confronti della formazione e della ricerca integrandole con gli investimenti necessari per riqualificare anche i settori degradati di una città metropolitana in cui il Politecnico non può rinunciare a porsi come un esempio positivo anche per gli interventi di rigenerazione urbana di un’area che continua a presentare molte opportunità. Ma disponiamo della volontà e della preveggenza necessarie? Ci auguriamo che la risposta sia positiva.


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Grafico 10 Le previsioni insediative al 2000-2001

Grafico 11 La previsione della disponibilitĂ di spazi al 2010

Grafico 12 Politecnico di Milano. la previsione del rapporto mq/ studente al 2010


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Sopra Immagine 33 Bovisa: gli ex insediamenti industriali39, in blu gli interventi del Politecnico realizzati entro il 2002

Sotto Immagine 34a Le ipotesi studiate tra Comune e proprietari delle diverse aree comprensivo di un collegamento urbano tra le stazioni di Bovisa e di Villapizzone


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Immagine 34b Ampliamenti del Politecnico su aree Ex Origoni e ex Broggi: cfr., i contratti di acquisto di proprietĂ futura (CdA 21-12-2004 e CdA del 23-12-2004) e le convenzioni Comune/Euromilano per conto del Politecnico, per ex Origoni del 29-072005 e per ex Broggi del 02-05-2006


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Note   Cfr., grafico 3, capitolo 2, paragrafo 2.2.   Cfr., nota 8 del capitolo 1. 3   Il piano avrebbe potuto utilizzare anche il finanziamento della legge per l’edilizia universitaria, allora in discussione e adottata nel 1976, ma applicata più di un decennio dopo. 4   Nei primi anni ’80 la dimensione media nazionale è attorno ai 15.000 studenti per sede mentre quella degli Atenei del nord si aggira attorno ai 40.000: gli squilibri territoriali perdurano fatto salvo un leggero riequilibrio tra le università delle regioni occidentali del triangolo industriale e quelle delle regioni nord orientali. Si veda anche il contributo di Maria Cristina Treu in dsT Rassegna di studi e ricerche del Dipartimento di Scienze del Territorio n.1, 1988, pp. 12-13. Inoltre si veda il grafico di cui alla nota 1. 5   Cfr., Lotus International n. 54 del 1987, fascicolo dedicato a Milano. E si vedano anche la Variante al piano del 1980 e il Concorso Internazionale indetto da Pirelli spa, e il documento allegato sulle linee di indirizzo per la progettazione. 6   L’accordo di programma fu introdotto per semplificare, nel caso dei grandi progetti urbani, i passaggi urbanistici, necessari per governare gli inevitabili contenuti di pianificazione di tali progetti. Questo strumento era stato anticipato dai Programmi Integrati di intervento (PII) con una legge emanata dalla regione Lombardia, nel 1983, destinati a agevolare l’accordo tra operatori privati e pubblici negli interventi di riqualificazione di tessuti urbani densamente costruiti. 7   Al proposito si confrontino alcuni elementi della storia dell’abitato di Bovisa, una volta Cascina Bovisa, quando, nel 1873, fu annesso al Comune di Milano. Nel 1880 Bovisa era attraversata da un solo ramo ferroviario; la successiva nascita delle Ferrovie Nord di Milano portò alla costruzione della Stazione Bovisa. Le linee su ferro furono determinanti per la formazione dei primi bacini produttivi. Nel 1882, Giuseppe Candiani installò il proprio stabilimento per la produzione dell’acido solforico dando vita al polo di produzione della chimica inorganica. Alla fine del XIX secolo, quella che era un’area ancora costellate di strade, campi e cascine, diventò un polo industriale di rilievo nazionale richiamando anche fabbriche medie e piccole e iniziò a svilupparsi anche verso Dergano, diventando un’icona anche per chi vi passò solo una parte della sua vita. La sua immagine di quartiere industriale e operaio entrò in crisi, dalla metà degli anni ’60, con il decentramento produttivo a cui ne seguì un progressivo degrado. 8   Una risposta che avrebbe dovuto avere la forza di un accordo tra pubblico e pubblico e che, viceversa, fu uno dei motivi della sua debolezza. 9   Nel 1964 esisteva già un terminal di dimensioni contenute, mentre la grande Malpensa fu realizzata nel corso degli anni ’80 e fu completata per tutte le connessioni su ferro in anni successivi. 10   Si confrontino la distribuzione della ricerca universitaria a partire dal 1980 tra i Dipartimenti del Politecnico, riportata nel contributo di Maria Cristina Treu in in dsT Rassegna di studi e ricerche, op.cit., pagg. 14, 15 e 16. 11   Per l’attuazione del Piano Nazionale per il decongestionamento dei grandi Atenei, voluto dal Ministro Antonio Ruberti, fu istituita una commissione cui furono chiamati a partecipare docenti di più Università, tra cui, per il Politecnico, il prof. Cesare Stevan. 12   Si vedano, nel 1987, oltre alla dichiarazione del sindaco Paolo Pillitteri del settembre 1987, la delibera del C.d. A. dell’Ateneo e, nel 1988, in dsT Rassegna di studi e ricerche, op. cit., l’editoriale del prof. Cesare Macchi Cassia, direttore del Dipartimento di Scienze del Territorio, pag. 2. 13   Cfr., il corso dell’a.a. 1985-1986 del prof. Giorgio Fiorese che affronta il tema della riqualificazione delle aree ex Montedison, e molto prima i corsi dall’a.a. 19751976 all’a.a. 1977-1978 dei professori Guido Canella e Antonio Acuto che approfondiscono più alternative di progetto sull’area della “Goccia” rispetto al suo contesto territoriale; infine cfr., Aa.Vv., Le città immaginate. Un viaggio in Italia, nove progetti per nove città, Catalogo della mostra, XVII Triennale, 7 febbraio-17 maggio 1987, edizioni Electa, Milano 1987. 14   Si confrontino, gli studi e le tesi di Laurea svolti presso la sede del Politecnico di Milano sul tema della riqualificazione del territorio del nord-ovest e sui successivi insediamenti della fiera di Rho e dello Human Tecnopole. 1 2


142   La variante generale del 1980 mantenne in Bovisa l’azzonamento delle aree industriali anche se già, dagli anni ’60, tale funzione risultava in crisi. ll Documento Direttore, “Progetto Passante” e gli Studi di Inquadramento per il nord-ovest del 1984 individuano le aree della Bovisa come ambito di progetto prioritario e successivamente con il Documento direttore sulle aree dismesse e sottoutilizzate del 1988, le aree della Bovisa rientrano nell’ambito di trasformazione strategica e viene riconosciuta la necessità di rivedere le previsioni di PRG da cui la Variante per le Zone speciali Z14 (ex gasometri) e Z6 Z7 del 1990. 16   Cfr., la posizione del Rettore di allora, il prof. Emilio Massa, nel testo dell’inaugurazione dell’a a.1988-1989. 17   Cfr., le immagini 17 e 18 tratte da Quaderni del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura, Clup, Milano. 18   Cfr., dsT Rassegna di studi e ricerche del Dipartimento di Scienze del Territorio n.6 settembre 1990 con i contributi dei professori Cesare Macchi Cassia, Antonio Monestiroli e Pietro Natale Maggi, pag. da 21 a 44 e cfr., Quaderni del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura con l’editoriale, Un progetto per la città di Antonio Monestiroli a pag.11. 19   Cfr., Giorgio Fiorese e Marisa Deimichei (a cura di) MZ7 Milano zona sette/ Bovisa Dergano, Tipolitografia Signum, Bollate, giugno 1993, pag. 104,105 e cfr. a proposito dei caratteri dei due quartieri della zona 7, l’indagine coordinata da Vittorio Emanuele Parsi in, Bovisa in Aa.Vv. Bovisa-Dergano. La percezione degli abitanti e le aspettative di cambiamento attraverso il racconto di alcuni testimoni privilegiati, fascicolo a stampa, Milano aprile 2001 pag.104,105. 20   In via La Masa furono tenuti più corsi della Facoltà di Architettura, da quello di Analisi dei Sistemi Urbani e Territoriali della prof.ssa M. C. Treu, a quello dello stesso Preside prof. Cesare Stevan e del prof. Sergio Coradeschi. A questo proposito cfr., Il contributo di Cesare Stevan “architettura scopre lo spazio Bovisa” in, Milano ’90 anno IV, n.2, febbraio 1992 con le immagini dei corsi nel capannone dell’ex FBM e dove per agevolare gli studenti fu attrezzato anche un locale per la consultazione dei materiali del Centro di Documentazione della Facoltà di Architettura. 21   Cfr., il contributo di M. C. Treu. Il progetto del Politecnico rete in Abitare Segesta cataloghi, Politecnico Bovisa. Progetti per l’area dei gasometri, Aa.Vv. (a cura di Paolo Caputo e Giorgio Fiorese, Milano 1999, pagg. 50-59. 22   Il progetto, per l’FBM fu redatto dall’Ufficio tecnico del Poli con la consulenza architettonica dell’arch. Fabio Mello e ingegneristica dell’ing. Gian Maria Barzaghi; il progetto per l’ex Ceretti & Tanfani fu redatto dall’arch. Luigi Chiara per Andumor con l’assistenza dell’ufficio tecnico del Poli, diretto dall’ing. Giancarlo Scagliotti. 23   Nel caso di Ingegneria parliamo della Galleria del vento a bassa velocità gestito dal Dipartimento di Meccanica e del Laboratorio LAST gestito dai Dipartimenti di Aerospaziale e di Meccanica; nel caso di Architettura parliamo dei laboratori di modellistica e della prototipizzazione dei progetti di design. Contestualmente si avviarono il Polo di Architettura lungo via Durando (caldeggiato dal preside Stevan e accolto da De Maio allora vicario). 24   Si confronti a questo proposito, il trasferimento in adiacenza all’insediamento del Politecnico di via Giuseppe La Masa, di una sede della Triennale con il posizionamento di una installazione artistica verso la ferrovia (purtroppo a rischio di demolizione in quanto fuori regole rispetto alla distanza dalla ferrovia): due interventi accolti con molto entusiasmo ma con una durata temporanea come l’utilizzo di alcuni volumi da parte di giovani artisti. 25   Rodolfo Squinzi, ex operaio e padre di Giorgio Squinzi, fonda MAPEI – Materiali Autarchici Per Edilizia e Industria – nella zona nord della Bovisa, nel 1937, e dà inizio alla produzione della pittura sostitutiva di un prodotto francese: nasce SILEXCOLOR, pittura al silicato e primo mattone di quella che diventerà una grande impresa con la fine della guerra. 26   L’evento teatrale, Infinities, un testo scritto dal matematico John David Barrow, fu rappresentato con la regia di Luca Ronconi in un edificio dismesso di via Filippo Baldinucci con la partecipazione, accanto a attori professionisti, di studenti e ricercatori del Dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano coordinati dalla prof.ssa di Matematica Anna Zaretti. 15


143   La commissione giudicatrice, presieduta dal Rettore, Adriano de Maio, fu composta dal prof. Maurizio Decina, arch. Michel Desvigne, prof. Francesco Francani, prof. Giancarlo Giambelli, arch. Dominique Perrault, prof. Paolo Portoghesi, prof. Fernando Juan Ramos Galino, prof. Evandro Sacchi, prof. Giannantonio Sacchi Landriani, ing. Giuliano Zuccoli, avv. Raffaele Moscuzza (segretario), ing. Giancarlo Scagliotti (segreteria tecnica), e di cui furono membri supplenti nell’ordine del Rettore prof. Adriano De Maio il prof. Cesare Stevan, e di seguito il prof. Vittorio Trecordi, l’arch. Pauline Lévy, il prof. Paolo Berbenni, il prof. Giancarlo Chiesa, l’arch. Gaelle Lauriot-Prevost, l’arch. Mario Pisani, l’arch. Francesca Borgato, l’ing.Franco Nogheredo, il prof. Carlo Urbano, l’ing. Roberto Bacci, e il dott. Giovanni Di Gennaro (segreteria). 28   Cfr., le delibere del C.C. n.147/1995 del 30-6-1995 e del 01-07-1995 che individuano gli ambiti di riqualificazione urbana (PRU) ai sensi del D.M. 21-12-1994. 29   I rappresentanti delle istituzioni che firmarono l’accordo del 1997 furono il Sindaco di Milano Marco Formentini con l’Assessore all’urbanistica Elisabetta Serri, il Presidente Roberto Formigoni per la Regione Lombardia, il prof. Adriano De Maio Rettore del Politecnico e l’amministratore delegato Enrico Cerrai per l’AEM spa. 30   L’accordo per trasferire in Bovisa il centro direzionale dell’attività dell’impresa Mapei era, allora, in una fase di definizione molto avanzata per promuovere anche la ricerca sui nuovi materiali. 31   Fonte Politecnico Bovisa. Progetti per l’area dei gasometri, Abitare Segesta ed., Milano, 1999, pag. 92. 32   Il disappunto degli architetti si espresse con un ricorso al Concorso internazionale che arrivò fino al Consiglio d’Europa senza ottenere alcun esito positivo e che vide tra i soggetti più attivi i docenti della seconda Facoltà di Architettura, con l’allora preside il prof. Antonio Acuto e con il sostegno dell’avvocato, il prof. Pierluigi Mantini, del Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione (DUP). 33   Cfr., la lettera con la comunicazione al Rettore che, in data 16 settembre 2001, il Consiglio di Amministrazione della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) aveva approvato un finanziamento a credito di 190 milioni di euro a favore del Politecnico di Milano, specificando l’importo e la durata e rinviando altre specifiche a un accordo con la banca intermediaria OPI. 34   La commissione per gli studi finalizzati alla bonifica era composta da tecnici del settore Ambiente del Comune di Milano, della Regione Lombardia, della Provincia di Milano, dell’ASL di Milano, con il contributo scientifico dell’AEM e del prof. Luca Bonomo e dell’ing. Giancarlo Scagliotti per il Politecnico di Milano. 35   L’accordo del 1997 prevedeva il conferimento a AEM delle aree necessarie alla realizzazione del Polo operativo e al Politecnico la cessione delle aree fondiarie destinate all’università con il pagamento dei rispettivi importi al Comune di Milano. 36   Cfr., il volume realizzato dal Comune di Milano nell’ambito del progetto Proside Promoting Sustainable Inner Urban Developement, “Scenario Milano Bovisa Gasometri, contributo per un’idea di sviluppo sostenibile”, Grafica Speed 2000, Peschiera Borromeo (Mi), finito di stampare nel marzo 2006, pag. 33 e capitolo 8 pag. 60-122. 37   Nel 2005 il Rettore prof. Giulio Ballio, incarica i tre Dipartimenti di stendere un nuovo master plan per l’area della “Goccia”. Verranno presentate tre versioni che riprendono l’idea del parco tecnologico di cui all’Accordo di Programma del 1997 integrato con la residenza e con i servizi urbani. 38   Cfr., la convenzione per disciplinare l’intervento edilizio è registrato alla agenzia delle entrate dell’Ufficio di Milano per l’area ex Origoni il 5, agosto 2005, n.6787 e per l’ex area Broggi, il 31 maggio 2006, n.89. 39   Tesi di Laurea di C. Di Cerbo e M. Lonigro, relatore prof. G. Boatti a.a. 2012-2013. 27



La linea del tempo

La scheda cronologica Alla fine, il testo si chiude con una scheda che riporta la sequenza cronologica delle scelte organizzative e degli interventi attuati negli anni 1980-2002, integrati da alcune annotazioni sugli orientamenti dei mandati rettorali immediatamente successivi. La scheda si sviluppa lungo due pagine, inserite per comodità di lettura in due facciate continue, e evidenzia a sinistra le azioni promosse dall’Ateneo e a destra quelle di altri soggetti istituzionali. Essa restituisce i fatti avvenuti in una breve frazione della linea del tempo del Politecnico: una frazione di anni che si richiama ai caratteri fondativi dell’Ateneo ripresi nella appendice riportata in allegato e che è accompagnata da una sintesi degli interventi successivi e dalle prospettive più recenti che oggi pongono L’Ateno difronte a nuovi sviluppi anche nell’area di Città Studi. Le annotazioni che seguono, infatti, richiamano le iniziative, gli studi e i progetti dei primi decenni degli anni 2000 e di quelli che, sono in corso di attuazione come i progetti di cui alle due mappe dell’immagine allegata. In Bovisa, in seguito agli insediamenti già realizzati entro il 2002, l’Ateneo avvia infatti, altri interventi e promuove altri studi anche in accordo con l’amministrazione comunale. Nel 2003, cadute le ipotesi degli insediamenti previsti in Bovisa da AEM e dal Concorso Internazionale nell’area “Goccia”, viene firmata la Convenzione tra il Comune di Milano e Euromilano per avviare sulle aree ex Origoni e x Broggi, per conto del Politecnico, il completamento

Immagine 35 Mappa di riqualificazione del campus Bovisa Sud e del campus di Bonardi-Leonardo da Vinci Città Studi


146 LINEA DEL TEMPO (ANNI 1980-1997)


147 LINEA DEL TEMPO (ANNI 1997-2008)


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degli insediamenti dei Dipartimenti di Meccanica e di Aerospaziale e la realizzazione degli interventi per i Dipartimenti di Energetica e di Ingegneria Gestionale e per il MIP, finalizzati a dare una risposta alla crescente domanda di iscrizioni alle Facoltà industriali. Inoltre, per l’area degli ex Gasometri sono condotti nuovi studi: dal Comune per verificare i costi di un programma di bonifica integrato con diverse alternative insediative; dagli stessi tre Dipartimenti che avevano sviluppato il primo Master Plan, ma che nel frattempo avevano altri direttori, a cui il Rettore Giulio Ballio aveva affidato una consulenza per verificare una ulteriore alternativa (consulenza che ebbe come esito la proposta di “una città per i giovani e per un Parco Tecnologico”); dallo Studio Oma di Koolas, incaricato da Euromilano, che propose un insediamento urbano per 30.000 abitanti; dai Corsi dei Laboratori di Urbanistica che svilupparono più proposte sia per l’area della Bovisa che per quella di Città di Studi cui seguirono mostre, confronti e pubblicazioni degli elaborati. Negli anni successivi, l’Ateneo, contestualmente all’impegno sul versante dell’internazionalizzazione, si avvia verso l’aggregazione tra alcuni Dipartimenti e verso la riorganizzazione delle Facoltà In Scuole. Viene decisa la chiusura, cui seguì il trasferimento in Città Studi del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura (il 31-12-2012) e la riorganizzazione della Facoltà di Architettura Civile, istituita il 10 giugno e poi confluita nella Scuola di Architettura, Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni dal 31-12-2015: un Dipartimento e una Facoltà che avevano sede in via Candiani, nel polo urbano di Bovisa, dove oggi rimane oltre al Dipartimento e alla scuola di Design il vuoto di una parte del campus originario, nonostante l’avvio di altre iniziative. Tra il 2017 e il 2018, e sempre in Bovisa, sono istituiti il Distretto Poli Hub della Fondazione Politecnico di Milano e il Distretto Cinese-Italiano Innovation Design: due scelte che, comunque, sono una ulteriore conferma della strategia di sviluppo del Politecnico di cui fa parte il progetto di riqualificazione di una periferia ex industriale milanese, i cui prodromi risalgono alle ipotesi degli anni ’70 e agli insediamenti avviati e attuati negli anni ’80 e ’90. Oggi, la competizione tra le grandi città e tra le maggiori università, non solo europee, richiede, infatti, una visione d’insieme che orienti i singoli interventi del Politecnico nella prospettiva, soprattutto per quanto riguarda le sedi di Milano, di sostenere una competizione virtuosa con quanto verrà realizzato nell’area ex Expo e con le previsioni di trasformazione degli insediamenti di Città Studi in seguito al trasferimento di Agraria e degli Istituti Besta e dei Tumori. In questo senso, il Politecnico è impegnato su più fronti: da quelli sul versante dei servizi per gli studenti, tra cui quelli dell’accoglienza, e della riqualificazione del Campus di Bovisa Sud e del Campus di via Bonardi adiacente alla sede storica di piazza Leonardo da Vinci, a quello del progetto di una riunificazione dei Dipartimenti Chimici nel campus di via Ponzio e del riutilizzo dell’ex sede del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura e della Facoltà di Architettura Civile di via Candiani.


Appendice Dalla nostra storia: Università, città e professioni

1. Modelli insediativi, la crescita degli studenti e le risposte A integrazione della storia recente del Politecnico per il periodo che va dagli anni ’80 ai primi anni del 2000, è opportuno riportare alcune considerazioni che si riferiscono ai modelli insediativi e alle scelte adottate nei confronti dell’esplosione degli studenti negli anni ’70, di cui l’insufficienza dimensionale è uno degli aspetti più evidenti. A questo proposito, possiamo evidenziare, a partire da un quadro delle principali scuole presenti alla fine del Medio Evo (cfr. immagine 1), il consolidamento di due modelli principali, le caratteristiche più significative della crescita degli studenti e le scelte adottate in Italia con alcuni riferimenti a altri paesi europei. Il primo modello è la tipologia del campus posto ai margini delle città: una scuola che si basa sul principio educativo e sociale dell’autosufficienza. Il campus contiene le strutture per la didattica e per la ricerca, gli alloggi per studenti e docenti e le attrezzature per le attività complementari culturali, sportive e di svago, amministrative e commerciali. La scelta della localizzazione e della forma insediativa è quella che può garantire un più rigoroso isolamento degli studi ed è collegata a una organizzazione dell’istruzione superiore presente soprattutto nei paesi di cultura anglosassone1. Il secondo modello, di prevalente origine centro-europea, è assimilabile alle università di alcune grandi capitali, come Parigi, Roma e anche Milano se pensiamo al piano originario per Città Studi: insediamenti, coincidenti per certi aspetti al campus, ma insediati nel tessuto urbano di cui utilizza molti servizi. In questo modello possiamo inserire le università dei nostri centri urbani minori sia le città universitarie, sia le sedi con una o due Facoltà, spesso dipendenti da complessi universitari più importanti, che confermano la caratteristica di insediarsi nel tessuto urbano2. Dal punto di vista del rapporto con la città, i due modelli si sono dimostrati entrambi permeabili dalle tensioni proprie del sistema sociale e economico di cui l’università è comunque un’espressione, rimanendo coinvolti pur con diversi livelli di intensità nei processi di cambiamento e nelle conflittualità proprie della cultura urbana3. In epoca contemporanea, dopo la seconda guerra mondiale, la grande crescita della popolazione universitaria e l’espan-


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sione della innovazione tecnologica ha, infatti, messo in crisi la maggioranza delle strutture universitarie rispetto sia alla dotazione degli spazi didattici e delle attrezzature, sia all’organizzazione dei percorsi formativi e alla disponibilità di servizi per il diritto allo studio come quelli dell’accessibilità e dell’accoglienza4. In Italia, la popolazione studentesca, negli anni ’70, registra un incremento con provenienze da livelli di scolarità molto diversi dal passato quando prevalevano i diplomati liceali. In questo incremento ci sono segnali positivi come la riduzione percentuale degli studenti fuori corso (probabilmente attribuibile all’abbassamento dei criteri di valutazione) e l’aumento delle iscrizioni di popolazione femminile. Mentre emergono segnali negativi come il rapporto studenti/professori e lo squilibrio tra le iscrizioni ai corsi di studio con una chiara preferenza per quelli senza obbligo di frequenza. Se, all’inizio del Novecento, il numero degli studenti per ogni docente era pari a un intervallo compreso tra 18 e 20 unità, negli anni ’70 il numero di studenti per docente è compreso tra 40 e 50 unità e sarebbe servito un incremento del 12% di docenti all’anno per mantenere tale rapporto. Tra i diversi corsi di studio si registra una contrazione degli iscritti al gruppo umanistico, non compensata dalla crescita degli iscritti al gruppo scientifico.

Immagine 1 Europa. Le sedi universitarie nel XIV secolo. Alcune coincidono con città, piccole e grandi, altre con un monastero


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Tuttavia, il 90% della popolazione che avrebbe potuto iscriversi rimane esclusa: gli iscritti sono cresciuti più di tre volte ma sommano a un quarto della popolazione potenzialmente avente diritto, mentre i laureati e i professori sono aumentati di una volta e mezzo. La barriera più significativa per l’accesso all’università rimane la stratificazione sociale e, tra i fattori di diseguaglianza, si possono sottolineare gli squilibri nella rappresentatività dei soggetti sociali con riferimento alla percentuale di studenti iscritti su ogni 100 laureati. Nell’anno accademico, 1960-1961, poco più del 17% dei laureati ha il padre imprenditore, una categoria a cui corrisponde poco meno del 2% della forza lavoro; circa il 48% dei laureati ha il padre dirigente o impiegato, una categoria a cui corrisponde poco meno del 20% della forza di lavoro; poco meno dell’8,5% di laureati ha il padre lavoratore dipendente a cui corrisponde poco più del 56% della forza lavoro; senza evidenza statistica i laureati della categoria dei dipendenti occupati in agricoltura. Per quanto riguarda l’accessibilità all’università sono significative anche alcune osservazioni sulla localizzazione e sulla dimensione delle sedi universitarie. Negli anni ’70, la distribuzione delle 32 sedi è apparentemente equilibrata in quanto 13 sono localizzate in città dell’Italia settentrionale, 9 in città dell’Italia Centrale e 10 in città del mezzogiorno e delle isole. In realtà la loro distribuzione, influenzata certamente da ragioni storiche risalenti ai secoli precedenti, è conseguenza del frazionamento delle istituzioni e delle economie che hanno caratterizzato la storia d’ Italia sin dall’epoca dei Comuni e la loro ubicazione corrisponde spesso alle sedi di quelle che furono le Signorie5. Anche il numero degli iscritti per sede, il numero di Facoltà e i rispettivi raggi di influenza sono dati che confermano alcune disparità. Innanzitutto, sei sedi su 9, con il più alto numero iscritti, sono in città del nord e del centro e hanno un raggio d’influenza almeno nazionale, tra queste ci sono le sedi di Roma e Milano mentre due, quella di Napoli (l’unica sede, al sud, fino al secondo dopoguerra) e quella di Bari, devono la loro crescita prevalentemente alla carenza di altre sedi nelle regioni del sud, almeno fino ai tempi più recenti. Di seguito, quattro sedi su cinque sono di media dimensione, tra cui quella di Catania che avrà un forte sviluppo negli anni ’90; cinque sedi sono di dimensione ottimale sotto il profilo didattico tra cui spicca quella di Pavia e si sottolinea quella di Sassari e di Cagliari in Sardegna; tredici sono quelle piccole, caratterizzate dalla presenza di due Facoltà e di 500 studenti. Le sedi sono classificabili anche rispetto al rapporto tra popolazione studentesca e popolazione cittadina. Possiamo così distinguere le università che si identificano con la città e in cui la popolazione universitaria è attorno al 15% della popolazione cittadina come Pavia, Pisa, Camerino, Urbino e nei decenni prima del ’70, anche Padova; le università con una popolazione universitaria compresa tra l’1/15 e l’1/40 della popolazione urbana in cui l’università non è la funzione preminente rispetto a interessi turistici e commerciali,


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come Venezia, Bari e Bologna, Catania, e quelle di minore dimensione come Ferrara, Lecce, Modena e Messina; le università nelle quali la popolazione universitaria è decisamente inferiore alla popolazione cittadina (molto meno del 4%) come nei casi di Roma, Milano, Torino, Genova, Napoli, cioè in città in cui l’università è una funzione importante che si affianca alla pari con altri grandi centri dell’industria, della finanza e dell’amministrazione. Tuttavia, dal punto di vista del modello insediativo, l’espansione dell’urbanizzazione e l’incremento della mobilità dal secondo dopoguerra in avanti ha limitato il relativo isolamento dei campus esistenti, come per esempio quello di Città Studi in Milano, diventati, nel frattempo, luoghi di catalizzazione di attività, sociali e economiche integrati nella città. In Italia, la prima reazione al fenomeno dell’esplosione degli studenti è stata una crescita di sedi in ogni direzione spesso in contenitori storici come ex strutture conventuali e ex caserme, oppure in immobili pensati per altre destinazioni d’uso. In altri casi ancora, le sedi sono state decentrate in luoghi esterni alla città a imitazione della tipologia del campus, non sempre agevolmente accessibili con il servizio pubblico. Contestualmente, l’Italia è ricorsa a più riforme, spesso parziali, e a più sperimentazioni per adeguare l’offerta formativa alle nuove esigenze sociali e economiche.

Immagine 2 Le Università in Italia. Fonte: Istat, Annuari Statistici dell’Istruzione, Roma 1966-1967


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L’immagine riportata, delle sedi italiane alla fine degli anni ’60 (cfr., Immagine 2) ci restituisce le caratteristiche della distribuzione del nostro sistema universitario che: presenta, al nord, la concentrazione di Atenei con più Facoltà e con più specializzazioni dove anche le attività economiche sono maggiori; sottolinea, al centro la coincidenza delle sedi nei comuni delle grandi Signorie del passato; conferma, al sud e nelle isole accanto alle tre sedi dei tre capoluoghi di regione, poche altre sedi medio piccole. Negli stessi anni, i principali paesi europei contano 20-30 grandi università ciascuno e, a differenza dall’Italia, avviano una programmazione e una pianificazione a livello nazionale di nuove sedi, tenendo presente che, in una politica di sviluppo del territorio, l’università può contribuire a una politica di riequilibrio degli squilibri sociali e economici presenti. Esperienze di questo genere sono, per esempio, quelle realizzate: in Francia dove, per modificare il flusso su Parigi che raccoglieva quasi il 50% della popolazione universitaria nazionale, sono istituite le due università di riequilibrio di Reims e di Orleans; in Inghilterra, dove sono istituite sette nuove università attorno a Londra destinate a vitalizzare zone depauperate dalla eccessiva attrazione della metropoli; in Germania, dove sono avviati ampliamenti delle sedi esistenti e progetti di nuove università di riequilibrio localizzate ai margini della città, ma disegnate come porzioni di un brano urbano che sarà valorizzato dalla presenza di una funzione didattica e, soprattutto, dalle relazioni che l’università attiva con l’industria e con le diverse correnti della cultura urbana. Viceversa, in Italia, l’università che si affaccia alla fine degli anni ’70 tende a crescere su sé stessa: le richieste di formazione e gli input in entrata crescono più rapidamente della riorganizzazione delle prestazioni formative. Da ciò l’acuirsi della crisi che negli anni successivi l’università si trova a dover affrontare nei confronti del profondo cambiamento della domanda di nuove competenze da parte del mercato del lavoro e della crescita della competizione con paesi e settori economici più innovativi. Pertanto, se, in Italia, l’obiettivo era un nuovo modello di equilibrio con il passaggio da una università di élite a una università di massa, così non è stato.

2. Sul sistema universitario in Lombardia Nel quadro tracciato che fa da sfondo alle vicende delle università italiane è tuttavia opportuno anche un approfondimento sul sistema universitario della Lombardia, in particolare sulla sede di Pavia, l’unica sede esistente fino al 1863, e sul complesso degli Atenei di Milano: due casi esemplari sia per le rispettive caratteristiche insediative che per le vicende e le influenze reciproche che contribuirono alla definizione delle figure di ingegneri e architetti6.


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Dal punto di vista insediativo, nella storia dell’origine e dello sviluppo dell’università di Pavia si devono individuare almeno cinque fasi: –– la prima fase corrisponde a una sorta di insediamento e di espansione dell’università nella struttura urbana che si potrebbe definire di natura spontanea. Le sedi, fino a tutto il Medioevo, sono connotate da una grande flessibilità e mobilità: esse si localizzano dove trovano ospitalità senza alterare le caratteristiche del tessuto urbano che già esiste. Sono sedi molto piccole per il numero di studenti che si insediano con modalità simili a quelle delle corporazioni organizzate per quartiere, dove la residenza si associa al lavoro. Come, del resto, è avvenuto anche nelle città di Bologna e di Padova, le altre due città dove si sono insediate le prime università; –– la seconda fase è legata al consolidamento in settori specifici della città con sedi fisse in palazzi monoblocco, connotati da un cortile interno e inseriti nel centro urbano. Con l’apertura della “strada Nuova” che avrebbe dovuto collegare i luoghi significativi della città, gli Sforza e i Visconti promuovono anche l’istituzione di “Scuole nuove” e promuovono l’assorbimento di alcuni organismi claustrali e ospedalieri come il Monastero del Leano7 e l’ospedale San Matteo. Si avvia in questa fase un parziale isolamento dell’università dal contesto seppure con modalità originali che attenuano il fenomeno con una parziale percorribilità urbana attraverso i complessi universitari in alcune fasce orarie non coincidenti con le lezioni; –– la terza e quarta fase corrispondono ai secoli XVII e XVIII e sono legate ai periodi del governo austriaco con l’intermezzo del governo napoleonico, che adottarono scelte spesso contrastanti. Mentre il governo austriaco tende a trasferire a Milano le strutture universitarie di Pavia per garantirsi un maggior controllo anche sopprimendo le scuole di Medicina e di Matematica; il governo napoleonico appoggia un sistema integrato tra le due città promuovendo scuole specializzate a Milano come le scuole Palatine, un tipico esempio di scuole umanistiche laiche, ripristinando le scuole soppresse e la riorganizzazione degli studi a Pavia; –– la quinta fase è quella dei primi decenni del Novecento durante i quali si attua il decentramento e l’isolamento dal tessuto urbano delle Facoltà di Medicina e Chirurgia con l’istituzione del Policlinico San Matteo, un complesso che comprende le strutture didattiche, la struttura ospedaliera, le strutture residenziali e i servizi sportivi. Mentre il nucleo principale del sistema universitario con molte sedi storiche e con i servizi amministrativi e di governo dell’Ateneo rimangono nel centro del tessuto urbano. Pavia si conferma, anche oggi, come una città universitaria non solo per la percentuale della presenza degli studenti rispetto alla popolazione residente ma anche per il rapporto tra la maglia urbana e le sedi universitarie: un rapporto di dipendenza reciproca tra una tes-


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Immagine 3 Milano. Il nucleo originario delle prime università nel settore nord orientale del centro storico

situra a scacchiera e le addizioni successive degli spazi universitari e la consistente presenza di studenti residenti a fronte di una pendolarità molto contenuta, cui contribuisce la presenza dell’ospitalità di “Collegi” e l’erogazione di borse di studio. Sebbene la crescita della popolazione studentesca degli anni ’70 abbia colto di sorpresa anche questa università, la città ha saputo reagire con un progetto di riorganizzazione delle sedi universitarie esistenti e di una nuova loro espansione: un progetto pensato e gestito in coerenza con la revisione del piano urbanistico del 1974 e programmato per la sua realizzazione entro il decennio compreso tra il 1980 e il 1990. Nel caso delle università di Milano, è più opportuno individuarne l’origine a partire dalla comparsa delle prime figure di tecnici richiesti da una città in cui confluivano più interessi economici, distinguendo quattro fasi in gran parte tra loro sovrapposte. La prima fase è molto ampia: può essere fatta risalire al periodo che va dai primi anni del 1500, quando furono adottati i primi statuti dell’ingegnere-agrimensore e al Collegio degli ingegneri e architetti (1563) per arrivare fino alla comparsa nel XVIII secolo delle grandi scuole tecniche francesi che, nel 1797, sanciranno la fine dei Collegi, anche se questi riapriranno nel 1868 ma solo con un ruolo culturale, mentre le disposizioni napoleoniche del 1805 rimarranno invariate anche sotto la restaurazione asburgica.

ISTITUTO TECNICO SUPERIORE (1863 poi Politecnico)


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La seconda fase, è un periodo di passaggio, conseguenza delle misure della controriforma austriaca: parliamo delle scuole di Brera, cioè di quel nucleo originario di formazione che orienta il sistema universitario milanese nel settore nord-orientale della città delimitata dai navigli. Le scuole di Brera trovarono sede nel palazzo omonimo all’inizio del Seicento, in cui confluiscono anche le Scuole Palatine8 mentre, nel centro urbano, si avviarono gli interventi per la costituzione, nel 1863, dell’Istituto Tecnico Superiore (poi Politecnico, cfr. nota 16) nel palazzo del Senato, trasferito subito dopo in piazza Cavour (oggi, via del Vecchio Politecnico); la Regia Accademia Scientifica letteraria in via Borgonovo; la scuola superiore di Agraria in via Marsala. Questa singolare caratterizzazione di una porzione di città si conclude con l’apertura dell’Università Bocconi in Largo Treves, nel 1902 (cfr., Immagine 3). La terza fase si può far coincidere con l’istituzione, nel 1875, del Consorzio tra Stato, Amministrazione Provinciale e Comune, il cui obiettivo avrebbe dovuto essere quello di raggruppare in un unico ente l’Accademia Scientifico Letteraria, l’Istituto Tecnico Superiore (poi Politecnico), la Scuola superiore di Agraria, la Scuola di Medicina e Veterinaria, il Museo Civico, l’Orto Botanico, l’Osservatorio Astronomico. La decisione del trasferimento coordinato tra tutte con sedi nella zona, che verrà chiamata Città Studi, sarà realizzato con più di 35 anni di ritardo attorno al 1910, per interrompersi pochi anni dopo a causa dell’inizio della prima guerra mondiale9.

Immagine 4 Le nuove sedi all’inizio Novecento, nel periodo tra le due guerre e nel secondo dopoguerra

ISTITUTO TECNICO SUPERIORE DAL 1913 AL 1927 (POI POLITECNICO)


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Il programma di Città Studi, che nel frattempo avrebbe dovuto comprendere anche gli istituti di Fisiologia, gli Istituti Chimici e l’Accademia di Brera, riprende solo con la fine del conflitto, quando nel 1919 viene istituito un nuovo Consorzio cui aderisce anche la Camera di Commercio. La quarta fase sono gli anni in cui furono individuate le sedi delle maggiori strutture universitarie milanesi fatta eccezione per la Città Studi che rimane l’unico programma di organizzazione delle strutture dell’istruzione superiore di Milano. Nel 1930, infatti, viene acquistato l’ex monastero di Sant’Ambrogio che dopo una serie di interventi diventerà la sede dell’Università Cattolica Sacro Cuore (già istituita nel 1921); nel 1938, si attuerà il trasferimento della Bocconi da Largo Treves nell’area adiacente al Parco Ravizza dove sarà realizzata la nuova sede della Bocconi con ampliamenti successivi. Nel secondo dopoguerra, l’Università degli Studi, istituita nel 1922, si insedia con le Facoltà Umanistiche in via Festa del Perdono, in pieno centro urbano, nell’ ex Ospedale Maggiore, il cui recupero iniziato negli anni ’50 con i primi interventi di restauro durerà più di venti anni (cfr., Immagine 4). Sono questi ultimi gli interventi che definiscono il sistema universitario che si dovrà confrontare con l’esplosione della popolazione studentesca degli anni ’70 e la cui evidenza statistica verrà registrata con il censimento del 1981. Il Politecnico, anche se nel frattempo aveva occupato alcuni spazi di Città Studi non utilizzati dal programma del Consorzio come per esempio quello destinato al trasferimento di Brera in via Bonardi, ha dovuto affrontare una grande emergenza in termini di spazi e di risorse per la docenza, i ricercatori e gli studenti. Nel loro complesso, le scelte adottate per il sistema universitario di Milano sono state l’esito di un frazionamento del programma adottato dal Consorzio, motivato più da opportunità occasionali e di mercato che dagli obiettivi di una programmazione di sviluppo che avrebbe dovuto essere integrata con il fattore accessibilità e con la realizzazione di un set di servizi urbani per gli studenti oltre che per la cittadinanza urbana che, nel caso del Politecnico, era la zona 11 del Decentramento Amministrativo di allora. In sintesi, per i due casi di Pavia e di Milano ci troviamo di fronte a due università solidamente inserite nel contesto della città, anche se per Pavia l’università rappresenta un polo significativo sia sul piano economico che sociale, mentre per Milano il sistema universitario rappresenta uno dei poli di grande interesse presenti nella città, forse nemmeno il più importante. In entrambi i casi il loro ruolo va al di là di un impatto circoscritto nel tempo e nello spazio in quanto gli effetti di ogni strategia di sviluppo dell’università si faranno sentire nella formazione di più generazioni e richiederanno il coinvolgimento di un insieme esteso di interessi.


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3. Sulle figure di Ingegnere e di Architetto Come già anticipato, le vicende delle sedi di Pavia e di Milano sono state interessate anche da un lungo percorso per l’identificazione delle prime figure di Ingegnere e di Architetto10.

I primi ordinamenti scritti La storia risale ai primi anni del 1500, quando fanno la loro comparsa le prime distinzioni tra ingegneri e agrimensori con le regole del Ducato di Milano11, sottoposti all’autorità degli ingegneri ducali che fino al secolo XVI erano nominati dal governatore. Con la successiva istituzione del Collegio (contestuale a quello dei Fisici e dei Giuriconsulti) compaiono, con i primi statuti, i primi ordinamenti scritti, cioè “Le regole ordinarie e necessarie all’architettura e alla professione degli Ingegneri”12 e il titolo pubblico sarà conferito dal Tribunale di Provvisione, all’infuori del caso di Pavia dove non ci sarà un Collegio e la nomina rimarrà degli Organi Governativi, fino alla riforma di Maria Teresa.

I primi Collegi, da cui l’attributo di collegiati per gli iscritti Il Collegio, con i primi statuti promulgati nel 1563, divenne, fino al 1775, il depositario delle cognizioni scientifiche e pratiche dell’ingegnere e dell’architetto, riuscendo a introdurre qualche prova di Aritmetica e di Geometria. Gli aspiranti al titolo, se non avevano avuto una formazione privata, dovevano aver frequentato le scuole inferiori (le scuole elementari latine) da cui potevano passare, mediante esame, alle scuole superiori di Latinità che con le scuole superiori di Scienze costituivano il Ginnasio di allora dove c’erano corsi di Grammatica, di Retorica e di altre Humanitas, e non corsi di Aritmetica e di Italiano. In parallelo c’erano le scuole Superiori che furono organizzate, non come un completamento delle scuole inferiori, bensì come corsi a livello universitario divisi in due Facoltà, una teologica che conferiva una Laurea e l’altra filosofica (con Logica, Fisica e Metafisica e un’ora al giorno di matematica) che conferiva il dottorato essendoci stata un’equiparazione tra i corsi di Pavia e quelli del Ginnasio di Brera fulcro dell’istruzione milanese dal 1574 al 1773. Uno scarso spazio era dato alle materie scientifiche anche da altri due centri culturali di allora, Pavia e le scuole Palatine. A Pavia la cattedra di Matematica si aggiunse, nel 1645, a una cattedra di geometria e di architettura Militare e solo ottanta anni dopo fu istituita la cattedra stabile di Fisica. Lo stesso si può dire per le Scuole Palatine, le già citate scuole umanistiche laiche fiorenti sotto gli Sforza, che decaddero alla fine del Cinquecento con la controriforma dei Gesuiti e dei Barnabiti, per poi rifiorire nel XVIII secolo13.


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Le disposizioni napoleoniche L’arrivo dei francesi importò l’organizzazione delle scuole per Ingegneria civile soprattutto con il Corps du Génie. Nella formazione degli ingegneri cominciarono a distaccarsi le prime figure specializzate di architetti e di ingegneri militari14. L’invasione francese segna la fine del collegio (1797) che riapre nel 1868 con un ruolo culturale. Contestualmente, nel 1803, Pavia divenne università nazionale unitamente a Bologna.

La riforma austriaca Le scuole come le conosciamo con l’italiano e l’aritmetica furono attivate solo con la riforma Teresiana-Giuseppina del 1771-1773 che durerà quaranta anni investendo tutti i livelli di formazione, nell’ordine: –– la scuola in generale con il passaggio dell’educazione media dagli ordini religiosi al Governo; –– i nuovi ordinamenti dei Ginnasi, a partire dal Ginnasio di Brera la cui rilevanza fu aumentata dal trasferimento dei corsi delle Palatine e della scuola di Architettura, e dell’inserimento nelle scuole di grammatica degli insegnamenti della lingua italiana, di aritmetica e di geometria; –– le scuole Palatine che, non essendo parte dell’ordinamento scolastico statale, avevano precorso l’istituzione di cattedre scientifiche, già suddivise nel 1763 in Facoltà Teologica, Legale, Filosofica, Fisica sperimentale, Medicina con la presenza di un Orto Botanico, di una Specula (un gabinetto di astronomia) e di una Biblioteca, e con una Scuola di Architettura e di Ingegneria; –– il nuovo ordinamento dell’università di Pavia del 1771 e dove dal 1773 diventano operative quattro Facoltà: Teologia, Leggi, Medicina Filosofia, Arti (questa ultima con i corsi di geometria, algebra sublime, meccanica e fisica sperimentale), più o meno equivalenti a quelli delle Palatine con la differenza che presso le Palatine c’erano anche i corsi di idrostatica, di idraulica e di geodesia che a Pavia non c’erano; –– la scuola media inferiore divisa in due corsi, quello dei latinantes e quello dei non latinantes; questo secondo corso fu orientato alla formazione commerciale e di tecnici industriali, poi formalizzato nei due orientamenti alla fine del XVIII secolo; –– il nuovo ordinamento dei corsi medi inferiori, cioè dei vecchi corsi classici, con l’aggiunta di materie scientifico-sperimentali; dei corsi superiori presso i ginnasi dove si può scegliere tra materie umanistiche e scientifiche; i corsi universitari a Pavia che può rilasciare il titolo accademico mentre il ginnasio di Brera offre molte alternative tranne il titolo accademico.


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La riforma del collegio degli ingegneri La fondazione della Scuola di Architettura tra il 1771-1773 precedette di poco la riforma del Collegio degli Architetti e Ingegneri il cui nuovo statuto del 1775, dopo molti scambi con i docenti delle Palatine, rivoluzionò l’impostazione dei corsi per gli ingegneri con l’obbligo di frequenza di istruzione primaria, delle scuole medie inferiori, di tre anni di studi fisico-matematici presso un ginnasio pubblico oppure presso l’università di Pavia e obbligatorietà della Licenza Universitaria con la frequenza delle Scuole di Architettura di Brera e con quattro anni di pratica presso un ingegnere collegiato oppure seguendo corsi di meccanica, di idraulica e di geodesia aperti nel frattempo dalle Palatine di Brera e un esame teorico pratico con patente rilasciata da un unico Collegio, quello di Milano. Contestualmente negli anni compresi tra il 1787-1790 furono avviate le prime scuole elementari gratuite, le prime Scuole pratiche senza latino e le prime Scuole d’Arti e Mestieri con corsi tenuti anche presso industrie. Tra il 1820 e il 1842, la preparazione di maestranze tecniche ebbe inizio con il trasferimento della formazione dalle botteghe alle Società d’Incoraggiamento di Arti e Mestieri come in quella istituita a Milano nel 183815. Questo lungo processo venne ufficializzato nel 1860 da un articolo del Giornale dell’Ingegnere e Agronomo sulla legge Casati che aveva deliberato le tre classi degli ingegneri civili, architetti civili, periti e agrimensori. Nel 1863 a Torino iniziano i corsi di Ingegneria industriale mentre al Politecnico di Milano iniziano i corsi per ingegneri civili e meccanici. I corsi del Politecnico di Milano si avviano con una forte impronta teorico-applicativa come sottolineato in occasione dell’inaugurazione dell’a.a dell’Istituto Tecnico Superiore del 1863 dal Direttore il prof. Francesco Brioschi (poi primo Rettore del Politecnico) ricordando «l’importanza delle esercitazioni si farà anche maggiore se gli insegnanti condurranno gli scolari in ogni caso pratico fino al definitivo risultato numerico, mostrando loro l’uso di quei mezzi coi quali si semplificano i calcoli numerici, mentre si renderà in tal modo abituale nei giovani il considerare nelle questioni della pratica il legame che esse hanno coi principi teorici e questa abitudine, portata all’esercizio della professione, toglierà ad essa quell’apparente carattere di empirismo che non le conviene»16. Questo è il quadro che fa da sfondo alla ricostruzione delle vicende del Politecnico di Milano negli anni che vanno dagli anni ’80 ai primi anni del 2000 e che vanno collegate, oltre che alle caratteristiche della genesi delle istituzioni universitarie in Lombardia, alla riorganizzazione degli Atenei nel contesto regionale (cfr., Immagine 5). Negli anni ’90, le sedi universitarie, furono “corteggiate”, insieme a altre funzioni di rango superiore, come sedi estranee alle in-


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Immagine 5 Regione Lombardia. Gli Atenei con i Poli Territoriali e le sedi decentrate

dagini della magistratura e come fattori di rigenerazione sociale e urbana, pur nelle difficoltà di ogni processo di sviluppo di contesti dove accanto ai segmenti di una popolazione che vive ai piani alti delle città mondiali, c’è una popolazione che abita ai margini di un luogo e rischia di rimanere invisibile e di vedere crescere i costi di accesso a quel diritto alla città che richiede più formazione, più lavoro e più mobilità. Oggi, il clima recente è molto diverso da quando, nell’ultimo decennio del secolo scorso, gli Atenei si fecero promotori di nuovi percorsi di formazione e di ricerca oltre che interlocutori delle imprese e degli enti locali per l’innovazione tecnologica e per la riqualificazione delle aree dei margini urbani degradati. Gli Atenei, ora, si trovano a dover affrontare problemi analoghi, ma con meno risorse da dividere in un numero doppio di sedi a livello nazionale17 e regionale. Tuttavia, il Politecnico, si trova a dover scegliere, come allora, tra più alternative i cui esiti sono lontani nel tempo e richiedono programmi impegnativi in un contesto di grandi incertezze nelle relazioni economiche e sociali, sottoposte a cambiamenti sempre più rapidi.

L’immagine riporta le principali università lombarde ed i rispettivi Poli Territoriali (indicati qualora sia presente una segreteria e/o una struttura amministrativa) e le Accademie (incluse se appartenenti al sistema AFAM del MIUR al 2017 e indicate con un asterisco)


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Note 1   I primi campus furono fondati in Inghilterra nel XIII a Oxford e a Cambridge. Una tradizione che poi si trova anche negli Stati Uniti con insediamenti localizzati sempre in luoghi lontani dagli aggregati urbani ma più aperti soprattutto alla tolleranza religiosa. 2   Sui modelli insediativi e sulle tendenze alla dispersione insediativa si vedano Paola Coppola Pignatelli, L’Università in espansione, Etas Compas, 1969, pag. 211 e seguenti; sull’interpretazione del modello campus si veda la posizione di Giancarlo de Carlo in Pianificazione e disegno delle università, Edizioni Universitarie italiane, 1968, pag. 9. 3  Sulle contraddizioni urbane che tendono a polarizzarsi attorno a poli opposti e contrari, come individualismo e solidarietà, disimpegno civico e emancipazione, cfr., gli studi sulla città di Lewis Mumford e del prof. Fernando Clemente. 4   Sulla reazione al fenomeno della crescita della popolazione studentesca e sulla programmazione delle nuove sedi si vedano, Pietro Bellasi in Rivolta studentesca e campus universitari, Franco Angeli, 1968 pag. 12 e seguenti e Guido Martinotti, Gli studenti universitari: profilo sociologico, Padova 1969, pag. 29. 5   Sulla crescita degli studenti e sulla dimensione delle sedi si vedano le fonti ministeriali e ISTAT del periodo; sul fattore diseguaglianza nell’accesso all’università e sul rapporto popolazione studentesca e urbana si veda ancora il testo già citato di Paola Coppola Pignatelli, pagg. 206 e 207. 6   Cfr., per alcuni aspetti delle sedi di Pavia e di Milano, CRPE Lombardia, Istituto di composizione, Facoltà di architettura di Milano, Indagine preliminare alla definizione del sistema universitario in Lombardia. Analisi della consistenza e localizzazione delle attrezzature sulla distribuzione territoriale dell’utenza e sulla dimensione del fabbisogno al 1981, a cura di E. Battisti, G. Calza, S. Crotti, M. De Benedetti, L. Spagnoli, G. Lanza, Mi 1968; 7   Il monastero (detto anche del Liano) occupava con la chiesa la parte sud del Palazzo centrale della Università, all' incrocio fra Strada Nuova e via Mentana. Secondo il Giardini nel 1788, dovendosi ingrandire l’Università, questo Monastero e la Chiesa scomparvero; le monache passarono in S. Chiara la Reale ed il 30 maggio 1845, dove era il rustico, venne posta la prima pietra dell’Aula Magna, la quale venne inaugurata nel 1851. 8   Le Scuole Palatine sono le scuole umanistiche laiche, la cui documentazione nota risale al periodo degli Sforza e che a Milano avranno un ruolo significativo anche negli anni successivi. 9   Nel frattempo, nel 1913, in Città Studi fu realizzato il primo intervento del Politecnico di Milano: l’Istituto di Elettrotecnica intitolato a Carlo Erba che fu grande sostenitore dell’Ateneo. 10   Su queste vicende si veda, Gino Bozza e Jolanda Bassi (a cura di), in “La formazione e la posizione dell’ingegnere e dell’architetto nelle varie epoche storiche”, in Politecnico di Milano, Il centenario del Politecnico di Milano 1863-1963, Stabilimento Grafico Tamburini editore, 1964. 11   Cfr., Gli Statuti e le regole per l’ingegneri et agrimensori del Ducato di Milano, a cura di Bartolomeo Della Valle, Giovanni Pietro Bassi, Lazzaro De Palazzi e Maffeo De Giussani, ingegneri del regio Ducato di Milano 12   Al proposito si veda Paolo Mezzanotte, Storia del collegio degli Ingegneri di Milano, Milano, s.d. (1960 ?) 13   Le Scuole Palatine sono gli Istituti che, con il Ginnasio di Brera, hanno fertilizzato la cultura imprenditoriale lombarda. Di esse si conosce, per esempio, la figura di Giuseppe Meda, progettista del canale Paderno, un progetto molto contestato. 14   Per gli ingegneri militari siamo debitori a Sébastien Le Prestre Seigneur de Vauban (1633-1707), nominato primo Directeur Général des Ponts et Chaussées, la sede che formerà ingegneri civili per la costruzione di strade e di mappe topografiche e da cui, nel 1747, nacque l’école des Ponts et Chausées. 15   Alla costituzione della Società parteciparono molte personalità dell’epoca, tra queste: Enrico Mylius (1769-1854), imprenditore e mecenate; Carlo Cattaneo (1801-1869), patriota, filosofo, pubblicista; Gabrio Piola (1794-1850), matematico e fisico; Giuseppe Colombo, ingegnere e imprenditore; Gabrio Casati (1798-1873), politico; Max Abraham (1875-1922), matematico e Ettore Conti di Verampio (1871-1972), imprenditore.


163   “Il centenario ...”, op.cit., pag. 288. Nella stessa occasione il prof. Brioschi ricordò anche che: «La separazione fra le scienze positive e gli studi letterari, storici e filosofici se fu sempre funesta al progresso, se nello stato attuale di quelle scienze e di quegli studi è un anacronismo, non deve a maggior ragione essere principio fondamentale nell’organizzazione della scuola normale. Guardiamoci da confondere le Sezioni di una scuola normale, le quali possono condurre ad ottenere diplomi di abilitazione a speciali insegnamenti, con una separazione che avrebbe le più tristi conseguenze sulla coltura dei giovani professori» (op cit., pag. 148). D’altra parte fino a metà degli anni ’60, al Politecnico, c’era l’Istituto di Materie Umanistiche (con direttore Luigi Dodi) dove accanto alle materie di Storia dell’Arte, di Restauro c’erano i corsi di Lingua e Letteratura Italiana, di Lingua Inglese e tedesca (op.cit.). Inoltre si ricorda che il Politecnico fu riconosciuto come Università nel secondo dopoguerra e che fino allora come Istituto Tecnico Superiore era gestito da un Direttore. 17   In Italia, all’inizio degli anni 2000, le sedi universitarie sono 74 e nel frattempo il Fondo di Funzionamento Ordinario, da ripartire tra le stesse, è diminuito. 16



Postfazione di Giampio Bracchi*

*  Prorettore delegato 1990-2002, Presidente Fondazione Politecnico 2003-2015.

Il ripercorrere in questo saggio, nell’arco di tempo che va dagli anni ’90 ai primi anni 2000, la storia intrecciata del Politecnico di Milano, del sistema universitario, della ricerca tecnico scientifica e dello sviluppo economico e territoriale, non riveste solo un significato storico, ma consente di evidenziare in quel periodo la chiave di una feconda combinazione di iniziative e risultati, che ha cambiato allora il percorso dell’Ateneo, ed anche ha profondamente influenzato tutto il quindicennio successivo. In effetti, le grandi istituzioni come il Politecnico hanno un proprio ciclo vitale che va ben oltre le persone, e pur tuttavia, nel contingente, le istituzioni si identificano con le donne e gli uomini che vi operano e che, con le loro idee ed iniziative, ne assicurano la crescita o ne inducono il declino. È importante riaffermare i temi che hanno visto crescere il Politecnico negli anni ’90: rapporto con il mondo esterno, fiducia nelle possibilità della ricerca e dell’innovazione come leva per lo sviluppo, investimenti importanti in strutture e laboratori, apertura all'internazionalizzazione, ma anche autonomia e responsabilità. Una caratteristica dell'azione del Politecnico, infatti, è sempre stata quella di rivendicare la propria autonomia, intesa come responsabilità e iniziativa continua per progredire in un contesto in continuo cambiamento, ‘forzando le regole dall'interno’, come ebbe a dire un nostro Rettore, e come ricordano anche gli Autori del saggio, e sempre ritagliandosi spazi per le proprie scelte e per la propria diversità, pur in un sistema delle università statali strutturalmente centralizzato, burocratico e incline a non riconoscere e valorizzare le esperienze migliori. In tutti gli anni ’90 e nei primi anni 2000 ebbi personalmente il privilegio di svolgere al Politecnico il ruolo di Prorettore delegato – prima con il Rettore Emilio Massa e il Prorettore vicario Adriano De Maio, e poi con il Rettore Adriano De Maio e la Prorettrice vicaria Maria Cristina Treu – ed il compito che mi venne affidato fu soprattutto quello di rafforzare e rendere sistematici i rapporti con le imprese ed il settore pubblico. Già in quegli anni erano forti i segnali di cambiamento di scenario che l’Italia doveva prepararsi a cogliere e trasformare in stimoli e opportunità di rigenerazione del tessuto economico ed industriale. L’accelerazione esponenziale del progresso nei campi di Internet, delle grandi banche di dati, delle reti a banda larga, della robotica, delle nanotecnologie, dei nuovi materiali, delle nuove fonti ener-


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getiche, delle biotecnologie e di molte altre tecnologie stava già riscontrando a livello internazionale crescenti investimenti pubblici e privati per gli sviluppi scientifici e industriali. Sotto altri aspetti, la maturazione di nuove esigenze, e quindi di nuovi prodotti e servizi, legati alla tutela del territorio e dell’ambiente, a garanzie sociali maggiori e irrinunciabili (ad esempio, nel campo della salute) ed a stili di vita e di consumo più consapevoli, sollecitava a propria volta un impiego straordinario di nuove tecnologie e conoscenze. Sullo sfondo si profilava lo scenario di una nuova rivoluzione industriale che comportava il ridisegno radicale dei contenuti e dei confini della manifattura e dei servizi e dei loro fondamentali tecnologici ed economici, grazie a nuove soluzioni ed efficienze produttive legate a software avanzati, reti, robotica, materiali. Il Politecnico nella sua storia ha sempre ragionato sulle modalità con le quali accompagnare e precedere le esigenze del Paese, con le quali formare i quadri e la classe dirigente per l'industria, per il settore pubblico, per l'assetto del territorio e delle città, e da alcuni decenni anche per i servizi. E ciò attraverso le attività di ricerca, sempre attente alle possibilità applicative, e tramite l'offerta didattica, per garantire agli allievi una formazione culturale e professionale solida, in grado di rapportarsi con un mercato del lavoro in trasformazione. Ed è proprio come una risposta anche a queste nuove esigenze che va interpretata la riorganizzazione dei Dipartimenti e la rivisitazione dell’offerta didattica che fu allora attuata e che è illustrata dagli Autori nel saggio. Una formazione che in altri tempi doveva risultare aperta all'Europa, ma che già negli anni ’90 doveva necessariamente essere orientata anche ai più ampi orizzonti della incalzante globalizzazione. Se difficili erano le sfide che il Paese dovette affrontare in altri periodi critici, ancora più insidiose erano quelle che la globalizzazione poneva: cambiamenti profondi, dove era di pressante attualità la necessità di sostenere la crescita, l'innovazione e l'internazionalizzazione del tessuto produttivo, l’ammodernamento della pubblica amministrazione e il riassetto dei contesti urbani e delle infrastrutture. In effetti, negli anni ’90 – nonostante non fossero ancora del tutto evidenti le problematiche economiche e sociali che sarebbero esplose nei decenni successivi – l’Italia era già sulla difensiva, in una situazione difficile. Stava già pesando, più di quanto non fosse stato nei decenni precedenti, la spaccatura tra la nostra creatività e capacità di ricerca e la propensione del sistema Paese ad assorbire nuove conoscenze e tecnologie ed a ospitare efficacemente iniziative imprenditoriali innovative che potessero dare opportunità di impiego alle risorse umane ad alta qualificazione. Nella giusta difesa del ‘Made in Italy’ si era trascurato il rafforzamento e la valorizzazione della incompiuta filiera del ‘Research in Italy’. Il permanere di un deficit di innovazione (troppo poca innovazione realizzata da troppo poche imprese, e per di più troppo piccole) portava a intravedere una traiettoria fondata sulla bassa produttività


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e sull’inseguimento di una competitività ancorata alla disponibilità di un lavoro di limitata qualificazione e a bassa remunerazione. All’orizzonte vi era il rischio, in seguito realmente materializzatosi, di un mercato del lavoro in cui le future generazioni, a più alto livello di istruzione, come quelle formate dal Politecnico, si trovassero spiazzate e forzate ad un’occupazione che non valorizzasse pienamente la qualità della loro formazione. All’insufficiente livello di investimento in ricerca e sviluppo si aggiungeva la scarsa capacità di valorizzare economicamente la stessa attività di ricerca, attraverso la traduzione delle innovazioni e delle scoperte in prodotti e processi che avessero un potenziale di mercato. Problemi di struttura, di quantità e di qualità della spesa in ricerca e sviluppo, non favorivano la formazione in Italia di un modello di “ricerca per il mercato”, ma lo sviluppo solo di un sistema di “ricerca per la ricerca”. Di fatto, emergeva un’eccessiva focalizzazione sulla ricerca di base che ci distanziava dai paesi in cui la connessione tra mondo della ricerca, mondo della finanza e imprenditorialità risultava più saldo. Queste considerazioni giustificano, da un lato, l’assenza anche oggi rilevabile di un ecosistema high-tech e, dall’altro lato, l’elevato grado di produttività di pubblicazioni di origine italiana. Tale indicatore premia, infatti, la buona qualità del sistema ricerca, ma è poco significativo ai fini della valutazione dell’impatto sulla competitività industriale del nostro Paese. Si tratta di un problema di carattere strutturale che influenza e riduce la capacità di generare innovazione. Già negli anni ’90, dunque, appariva necessario che il Politecnico ampliasse i propri servizi per contribuire a rigenerare il tessuto produttivo, accompagnando le imprese nella direzione dell’innovazione e delle nuove tecnologie, e favorendo la creazione di startup che rimpiazzassero le tante aziende senza prospettive future. Il tessuto economico italiano è notoriamente fatto soprattutto di aziende piccole. L’essere piccoli rende difficile acquisire ed adottare metodi e tecniche che richiedono investimenti iniziali significativi in capitale umano, formazione e tecnologie. D’altra parte la nostra economia non può competere se non innovando, anche nei settori più tradizionali e nelle aziende di piccola dimensione, ma nessuna azienda ha al proprio interno le competenze e le capacità per innovare in modo totalmente autonomo. Risultava chiaro che occorreva un coinvolgimento fattivo di filiere produttive insieme alle istituzioni universitarie operanti nella ricerca e nell’alta formazione. In molti paesi il ruolo delle Università ha da tempo conosciuto una profonda trasformazione, evolvendo da quello di pura istituzione erogatrice di conoscenza, verso quello di istituto teso anche a contribuire alla competitività e allo sviluppo socio-economico. Il cambio di mentalità richiesto da tale trasformazione è sicuramente molto profondo, ma il ruolo determinante che le strutture universitarie di collegamento industriale giocano a favore dello sviluppo è ampiamente documentato.


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Il Politecnico nel marzo 2000, per rafforzare la collaborazione con le piccole e medie imprese, trasformò il Centro Politecnico Innovazione, costituito già negli anni ’90, in un apposito Consorzio, con la partecipazione di Associazioni industriali, Camere di Commercio e altre strutture di ricerca della Lombardia. Tale esperienza risultò preziosa per il successivo progetto e il concreto sviluppo della Fondazione Politecnico, peraltro concepita con obiettivi molto più ampi ed istituzionali, come è ben illustrato dagli Autori in questo saggio. In effetti, fra i molti obiettivi posti a base del progetto della Fondazione Politecnico, quello che nel primo decennio 2000 si riuscì a far meglio accettare dagli organi accademici e a sviluppare con notevole successo, con il supporto del Rettore Giulio Ballio, fu proprio la promozione, la gestione e la ricerca di finanziamenti pubblici per la collaborazione organica e continuativa dell’Ateneo con le imprese in progetti di ricerca applicata. Ciò portò al coinvolgimento ripetuto nei progetti di oltre un migliaio di aziende grandi e piccole, e l’ottenimento da parte delle strutture del Politecnico di contratti aggiuntivi per decine di milioni di Euro. Nel secondo decennio 2000, con il Rettore Giovanni Azzone, l’orientamento delle collaborazioni della Fondazione Politecnico ritornò poi ad essere prevalentemente orientato alle medie imprese, avendo l’Ateneo riportato nelle strutture interne tradizionali la gestione di gran parte delle collaborazioni con le grandi imprese, la quale pone generalmente minori problemi di differenze culturali ed operative con l’Università. Un problema delle nostre Università, che negli anni ’90 non risultava ancora affrontato in modo strutturale, era poi quello della brevettazione dei risultati della ricerca e in generale della tutela e valorizzazione della proprietà intellettuale, a differenza di quanto già allora si riscontrava invece in molti Atenei americani ed anche europei. Negli Stati Uniti, ad esempio, si è passati dalle circa 20 università dotate di un centro di trasferimento tecnologico nel 1980, alle 200 nel 1990, mentre oggi ogni università di rilievo ne possiede uno; questo incremento, favorito da un adeguato contesto normativo, si è tradotto nella concessione in licenza di circa il 60% dei brevetti depositati, di cui i due terzi ad imprese piccole e medie ed a startup. Oggi anche in Italia oltre una metà delle Università ha creato un Ufficio Brevetti/Trasferimento Tecnologico, ma con risultati molto variabili fra i diversi atenei e in generale con assai modesti ritorni economici dalla concessione di licenze. Il Politecnico, anche in questo ambito, ha svolto un ruolo di avanguardia nel nostro sistema universitario, istituendo formalmente nell’anno 2000 un Ufficio Brevetti, in seguito ridenominato Technology Transfer Office, con la supervisione inizialmente del prof. Mauro Pezzè, poi del prof. Riccardo Pietrabissa, e in anni successivi potenziato dal prof. Ferruccio Resta. Nel 2001 venne anche istituito un regolamento per i brevetti, che ‘forzava dall’interno’ una specifica legge appena introdotta – la quale poneva molti ostacoli operativi allo sfruttamento dei brevetti da parte delle Università – introducen-


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do un meccanismo di valorizzazione della proprietà intellettuale che equilibrasse gli interessi sia dell’Ateneo che dei ricercatori. Le esperienze di successo riscontrabili presso gli atenei americani, inglesi o israeliani dimostrano chiaramente come le strutture per la valorizzazione della proprietà intellettuale degli atenei ottengono i migliori risultati quando sono collocate in una posizione relativamente autonoma rispetto all’ateneo stesso, dal punto di vista sia operativo che economico, per più chiaramente assicurare indipendenza, assenza di conflitti di interesse nelle scelte, professionalità specifiche e orientamento al mercato esterno. Il Politecnico, almeno sotto questo aspetto, è invece rimasto allineato alle modalità operative della quasi totalità delle Università italiane: esse non rinunciano a mantenere all’interno le strutture ed i processi deputati alla scelta degli sviluppi brevettuali ed alla relativa commercializzazione, con il generale risultato di limitarsi concretamente ad ottenere dalla valorizzazione della proprietà intellettuale solo piccoli ritorni economici, che spesso non coprono neppure i costi sostenuti per personale, funzionamento e registrazioni brevettuali. Un altro tema che risultava già negli anni ’90 centrale nelle politiche per lo sviluppo economico e la rigenerazione industriale è quello delle nuove imprese tecnologiche: non solo esse possono arginare la preoccupante crescita della disoccupazione nei giovani, ma anche costituiscono un veicolo dei processi di innovazione dell’industria e dei servizi e della crescita della competitività tecnologica del territorio, soprattutto quando riguardano persone in uscita da percorsi universitari qualificati come quelli del Politecnico. Il fenomeno della creazione di nuove imprese tecnologiche costituisce, probabilmente, il più importante motore di innovazione nella moderna economia della conoscenza (si pensi agli esempi che hanno determinato il successo della Silicon Valley e dell’intera California). In effetti, i cambiamenti radicali nel campo delle tecnologie hanno creato opportunità di mercato che possono essere sfruttate molto più efficacemente da nuove imprese, piuttosto che da imprese consolidate. Questo fenomeno presenta dunque opportunità uniche per i giovani del Politecnico: se i giovani, infatti, da un lato risultano penalizzati nell’accesso alle risorse economiche, dall’altro lato hanno spiccata attitudine internazionale, dimestichezza con le tecnologie e strutturali doti di creatività e dinamismo. Diverse ricerche mostrano che la gran parte delle probabilità di successo di una nuova impresa tecnologica è attribuibile proprio alla qualità umana, professionale e imprenditoriale dei suoi protagonisti. Un ruolo fondamentale a questo proposito rivestono gli incubatori di impresa, e gli incubatori universitari in particolare. Essi hanno come obiettivo principale di fornire servizi e spazi ai propri studenti, ricercatori e docenti per poter far evolvere i risultati delle ricerche verso forme imprenditoriali, favorendo così le applicazioni industriali della ricerca e sviluppando la ‘terza missione’ dell’uni-


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versità. È agli incubatori che spettano i compiti di organizzare spazi aperti in cui i potenziali imprenditori possano far maturare l’idea e trovare compagni di avventura, e di aiutare nella ricerca di partner industriali e di finanziamenti che supportino le varie fasi di crescita della startup. Senza trascurare fin dall’inizio l’attivazione di reti di collaborazione sul piano internazionale, perché internazionali e non locali sono in molti casi i mercati delle aziende tecnologiche. Sulla scorta delle positive esperienze già riscontrabili e attentamente studiate, non solo a San Francisco o Boston, ma anche a Oxford, Cambridge e Haifa, nel 2000 fu creato l’Acceleratore d’Impresa del Politecnico, in seguito ridenominato Polihub, che venne gestito prima dal Consorzio Politecnico Innovazione, e poi dalla Fondazione Politecnico, con la supervisione del prof. Giuseppe Serazzi, ed in anni più recenti del prof. Ferruccio Resta. Pure in questo caso le esperienze di successo riscontrabili presso gli atenei americani, inglesi o israeliani dimostravano chiaramente come gli incubatori universitari ottenessero i migliori risultati quando erano organizzativamente autonomi rispetto alle strutture universitarie, anche dal punto di vista economico, per garantire indipendenza e assenza di conflitti di interesse nelle scelte, favorire l’acquisizione di professionalità specifiche e l’orientamento al mercato, e consentire flessibilità di azione al di fuori della burocrazia universitaria. Un successo, che ha oggi portato Polihub a raggiungere i primissimi posti nelle classifiche mondiali di settore e ad essere un modello di riferimento non solo in Italia. È agli incubatori universitari che compete anche il compito di stimolare la valorizzazione dell’idea imprenditoriale dei giovani attraverso ‘business plan competition’ che ne facciano emergere la potenzialità di successo commerciale. Per questo, l’Acceleratore di Impresa ha ogni anno organizzato numerose competizioni rivolte a ricercatori e studenti, come ‘Start Cup’ e ‘Switch2Product’, assistendo poi i vincitori nella creazione di spin-off e startup. L’imprenditorialità mette in gioco nei giovani formati dall’Università tutta una serie di fattori come la creatività, l’abilità, il coraggio, nonché i limiti di un individuo al fine di trasformare conoscenze e competenze in valore concreto: le Università, in quanto luogo di produzione e trasmissione della conoscenza, costituiscono un passaggio naturale per l’imprenditorialità, soprattutto nei settori tecnologici. E sono soprattutto le startup, per loro natura più flessibili e creative rispetto alle grandi aziende, il luogo in cui si applica e valorizza in modi innovativi la conoscenza tecnica: nelle startup trovano maggiore spazio, infatti, i fattori che generano valore, come la motivazione individuale, le nuove idee e l’assunzione del rischio. Esiste dunque un legame naturale tra l’attività scientifica in senso stretto del Politecnico e il suo trovare uno sbocco attraverso percorsi imprenditoriali innovativi: l’attività imprenditoriale, così sostenuta dall’Ateneo, emerge con tutte le sue caratteristiche di percorso di co-


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noscenza e di valorizzazione delle persone, svolgendo un ruolo anche educativo ben consono alla missione di una moderna accademia. L’esperienza del Politecnico negli anni ’90 e nei primi anni 2000, che gli Autori illustrano in questo saggio, mostra che la direzione in cui continuare a muoversi, insieme alle nostre strutture di ricerca, didattica e sostegno all’imprenditorialità e ai nostri giovani qualificati, è fatta di autonomia e meritocrazia, di investimenti in infrastrutture di formazione e di laboratorio, di continuo rilancio di una forte e stabile alleanza fra l’Ateneo, il sistema produttivo e il territorio. Essa può essere percorsa coniugando nel contempo quei grandi valori che sono il capitale intellettuale e le competenze ideative e produttive italiane, un patrimonio distintivo nel panorama mondiale che i nostri talenti migliori sono chiamati a reinterpretare e valorizzare nel nuovo contesto di tecnologie e di globalizzazione. E ciò nella consapevolezza che, ben lungi da sterili disfattismi, il nostro Paese – ricco di storia ma anche di stili di vita, di buona qualità del capitale umano, di una creatività e di una capacità manifatturiera non disperse, di una tradizione artigianale gloriosa, di una cultura della bellezza – era negli anni ’90, ed è ancora oggi, capace di creare il nostro domani, e che, in questa continua rigenerazione e riqualificazione del tessuto socio-economico, il Politecnico è chiamato a svolgere un ruolo sempre più centrale.



Ringraziamenti

I nostri ringraziamenti vanno a tutti coloro che hanno contribuito alla stesura del libro partecipando agli incontri e alle nostre riflessioni: non sono solo professori, sono tutti quelli che con diversi ruoli e responsabilità sono stati presenti negli anni della nostra storia e che qui di seguito riportiamo: Giovanni Azzone, Giulio Ballio, Emilio Bartezzaghi, Guya Bertelli, Giampio Bracchi, Maria Brovelli, Federico Bucci, Andrea Campioli, Stefano Consonni, Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Pierluigi Della Vigna, Giorgio Diana, Graziano Dragoni, Amalia Ercoli Finzi, Gianni Ferretti, Michele Gasparetto, Manuela Grecchi, Gianantonio Magnani, Renzo Marchesi, Claudio Molinari, Giuseppino Molinari, Antonio Monestiroli, Roberto Negrini, Riccardo Pietrabissa, Ferruccio Resta, Giancarlo Scagliotti, Donatella Sciuto, Andrea Silvestri, Maria Luisa Sangiorgio; Cesare Stevan, Vico Valassi, Roberto Verganti, Piero Zanello, Dario Zaninelli Inoltre ringraziamo per la collaborazione della messa a punto di tabelle, grafici, immagini e per la verifica della documentazioni d’archivio e dei testi: Giancarlo Scagliotti, Dora Cornelia Longoni e Francesca Fogal, Tiziana Visconti, Paola Bertoli e Rossella Magnani e Simona Colombo, Elena Gasti, Riccardo Licari, Stefano Sapone e Chiara Ragona, Silvia Bergna, Chiara Pesenti, Roberto Biscuola, Ivano Ciceri, Elena Tancredi, Lucia Luise, Carla Reichel, Gabriella Rega, Elena Gorla, Angela Colucci, Simona Collarini, Elisabetta Marchetto A completamento dell’informazione ricordiamo i componenti degli organismi del governo dell’Ateneo e dei dirigenti negli anni 1994-2002 Rettore, Adriano De Maio 1994-1998 e 1998-2002 Prorettrice Vicaria Maria Valeria Erba 1994-1996, Maria Cristina Treu 1996-2002 Delegato Giampio Bracchi 1994-2002 Membri del senato Accademico 1994-1998 Presidi professori Osvaldo De Donato e Cesare Stevan; Dir. Amm. vo Giorgio Coppini; professori Valerio Di Battista, Giancarlo Consonni, Giuseppe Turchini, Giorgio Diana, Giuseppe Zerbi, Anna Za-


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retti, Guido Tartara, Carlo Ortolani; Ric. Marco Boniardi, Gabriella Belotti; Pers.T.A. Pasqualino Ricella, Angelo Civardi; stud. Emilio Maiandi, Paolo Feliciani Con una integrazione nel corso del quadriennio: Preside Pierluigi Della Vigna e due sostituzioni: dir. Amm.vo Piero Zanello; stud. Giulio Padovani Membri del Senato Accademico 1998-2002 Presidi professori Antonio Acuto, Osvaldo De Donato, Pierluigi della Vigna, Michele Gasparetto, Luigi Puccinelli, Cesare Stevan; dir. Amm. vo Piero Zanello; professori: Giuseppe Allegra, Rinaldo Cubeddu, Armando Brandolese, Marco Dezzi Bardeschi, Giorgio Diana, Carlo Ghezzi, Claudio Molinari, Giuseppe Turchini; ric. Marco Ricotti, Alessandro Gandelli; Pers. T. A. Filippo Manzone, Michele Fachin; stud. Giulio Padovani, Nicola Signorelli Con tre integrazioni nel corso del quadriennio Presidi Nicola Schiavoni e Alberto Seassaro; Ric. Danilo Palazzo e con tre sostituzioni nel corso del quadriennio Preside Antonio Monestiroli; Pers.T.A. Giancarlo Montoli; Stud. Daniele Fabrizio Bignami Membri del Consiglio di Amministrazione 1994-1996 (con presenze degli anni del rettorato Di Massa) R. Governo dott. Angelo Bisesti e ing. Vico Valassi; R. Camera Comm. ing. Rosario Alessandrello; R. Regione dott. Luigi Canovi; R. Provincia dott. Piergiorgio Borgonovo; R. Comune professori Roberto De Santis; R. CNR prof.Francesco Archetti; R. Enti contr. ing. Giuseppe Luraschi; R.ti professori di ruolo Fabrizio Schiaffonati, Stefano Crespi Reghizzi, Domenico Zampaglione, Vittorio Giavotto, Giancesare Belli, Adalberto del Bo, Francesco Pinciroli; R. Ric. Fabrizio Pizzutilo, Federico Casolo; R. Pers. Patrizia Fabrini; R. Stud. Andrea Crepaldi, Matteo Puricelli, Carlo F.M: Castelli, Ignazio Bruno Mirabella, Gianluca Bresciani, EdoardoE. Ongaro, Dir. Amm.vo Giorgio Coppini Il consiglio di Amministrazione è a scavalco dei quadrienni rettorali Membri del Consiglio di Amministrazione 1996-2000 R. Governo ing. Vico Valassi; R. Dir.R.E.L. dott. Angelo Bisesti; R.C.C.I.A. prof. Francesco Archetti; professori di ruolo prof. Vittorio Giavotto, Fabrizio Schiaffonati, Bruno Mazza, Stefano Crespi Reghizzi; R. Ric Fabrizio Pizzutilo; R. T.A. Renzo Marchesi, R. Stud. Cecilia Hugony, Luca Marzegalli, Matteo Minetti; Dir. Amm.vo Piero Zanello Con le sostituzioni nel periodo della durata in carica del CdA (nel 1997): R. Dir R.E.L. dott. Antonio Caso; Unioncamere-Lombarde dott. Piero Bassetti; professori Adriana Baglioni, Giulio Ballio, Giancesare Belli; R.T.A Vittorio Luise; R.Stud. Matteo Pavini Rosati


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Con le sostituzioni nel periodo della durata in carica del CdA (nel 1998): R. stud. Alessandro Chiesa, Simone Radovan, Andrea Maria Stalletti Con le sostituzioni nel periodo della durata in carica del CdA (nel 2000): Dir R.E.L. Maneggio Mario; prof. ruolo Adolfo Zavelani Rossi; R. P.T.A. Michele Fachin; R.stud. Andrea Roscetti, Andrea Uccelli Membri del Consiglio di Amministrazione nel 2000-2004 (con presenze al 2002 fine del rettorato di De Maio) R. Governo ing. Vico Valassi, Dir. R.E.L. dott. Massimo Orsi; R. Unione camere Lombarde dott. Bruno Ermolli; prof.ri Giulio Ballio, Adriana Baglioni, Adolfo Zavelani Rossi, Bruno Mazza, R. Ric. Fabrizio Pizzutilo; R. P.T.A. Michele Fachin; R. stud. Andrea Tricoli, Francesco Tardini, Pietro Mezzanotte; Dir. Amm.vo Piero Zanello Devono essere ricordati, in aggiunta a quanti già citati, i dirigenti: Giovanni Passoni (dir. Vicario del D.A. Gesualda Assante), Raffaele Moscuzza, Luciana Giliberto (dir. Vicario dei D.A. di Giorgio Coppini e di Piero Zanello), Diego Camarda, Mario Oldani, Cesare Leardini. E ancora: Giovanni Reale, Fabrizio Vaiani, Laura Starone, Laura Anselmi, Annalisa Riccardi, Gianluigi Perego, Mario Recubini, Giovanni Di Gennaro, Daniela Fagnani, Vittorio Luise, Tindaro Lembo, Franco Ravese, Benedetto Alemagna e Luca Gotti. Infine riportiamo i Direttori di Dipartimento non citati nel testo e nelle note: Paolo Mantegazza, Marco Borri; Sergio Cerutti, Antonio Pedotti; Giuseppe Allegra, Pietro Pedeferri, Mario Dente, Eliseo Ranzi, Alberto Cigada; Arnaldo Brandolini, Renato Manigrasso, Enrico Tironi; Guido Guardabassi, Andrea Lacaita, Arturo Locatelli; Ennio Macchi, Ernesto Pedrocchi, Giancarlo Giambelli; Oratio Svelto, Sandro De Silvestri; Flaviano Celaschi; Salvatore Baldone, Alessandro Pozzetti; Roberto Contro, Adolfo Zavelani Rossi; Vincenzo Petrini; Costantino Fassò, Enrico Larcan, Carlo Monti; Sandro Salsa; Giuseppe Bernasconi, Sergio Sirtori, Marzio Falco; Giuseppe Caglioti, Sergio Terrani;Gianni Ottolini, Massimo Fortis; Mimmo Scoccimarro.



Acronimi

CEFRIEL, Associazione imprese e università per l’innovazione digitale, progettazione creativa e sviluppo capitale umano CEUR, Fondazione collegi universitari per la formazione di giovani universitari CERMET, Centro di certificazione materiali, beni e servizi CINEAS, C onsorzio universitario per l’ingegneria nelle assicurazioni CNR, Centro Nazionale Ricerca CORECOM, Comitato regionale per la comunicazione FAA, Federal Aviation Administration, USA IFFO, Fondo di Funzionamento Ordinario FIA, Federazione Internazionale dell’Automobile IREALP ISTIM, l’Istituto Superiore di Tecnologie Industriali Meccaniche LAST, Laboratorio per la Sicurezza dei Trasporti, Dipartimenti di Scienze e Tecnologie Aerospaziali e di Meccanica, Politecnico di Milano METID, Metodologie informatiche MIP, International Business school, Politecnico di MIlano Polidesign, istituto moda design per Master di primo e secondo livello, Politecnico di Milano Poliedra PoliHUB, Innovation District & startup accelerator by Fondazione Politecnico Milano RUI, Fondazione di residenze universitarie internazionali TIME (Top Industrial Managers for Europe) SUPSI, Scuola Universitaria professionale della svizzera Italiana UNITECH, tra università tecniche e aziende ANCSU, Associazione Cremonese degli Studi Universitari


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CIZ-LTR, Centro per l'Incremento Zootecnico-Laboratorio di Tecnologie della Riproduzione, Cremona CLaC, Centro Legno Arred, Cantù EPIS, Ente di Piacenza-Cremona per l’Istruzione superiore FUM, Fondazione Università Mantova HINT@ lecco, Health Innovation Network Techno IIPC, Portale internet integrated prevention pollution control, Cremona IIPPAB, ex ECA, Istituto Elemosiniere e ora Fondazione Città di Cremona IENI, Istituto di Energetica e Interfasi, CNR Lecco IFN, Istituto di Fotonica e Nanotecnologie, CNR Lecco INO, Istituto Nazionale di Ottica, CNR Lecco INSEAN, Istituto Nazionale per studi e esperienze di Architettura Navale ITIA, Istituto di Tecnologie Industriali e Automazione, CNR Lecco LEAP, Laboratorio di energia ambiente, Politecnico Piacenza MATTLAB, laboratorio mobilità e dei trasporti, Piacenza Cremona MUSP, Laboratorio macchine utensili, Piacenza PCB, Istituto Polimeri e Composti Biomedicali, CNR Lecco Spider@ Lecco, servizi e percorsi innovativi UBA università di Buenos Aires


Adriano De Maio, già professore ordinario al Politecnico di Milano, di cui è professore emerito; già commissario straordinario del CNR, Rettore del Politecnico, della LUISS “Guido Carli” e della Università degli studi “Link Campus University”, Presidente IRER e Presidente Parco Scientifico e Tecnologico Trieste. Tra le pubblicazioni ricordiamo Una svolta per l’Università. Riforme per costruire una formazione europea Il Sole 24 Ore, 2002 e con Lodovico Festa, Sotto le ceneri dell’Università. Una riforma necessaria, quasi impossibile, Boroli Editore, 2009. Maria Cristina Treu, già professore ordinario al Politecnico di Milano, è stata componente eletta del CdA (1985-1991), Prorettore Vicario (1996-2002), vicepresidente della Fondazione del Politecnico di Milano e componente del Consiglio scientifico di Sistemi territoriali per l’innovazione (SiTI) del Politecnico di Torino. Tra le pubblicazioni ricordiamo Per una città socievole. Le alterne fortune di piani e progetti, Palazzo Bonaretti Editore Novellara (RE), 2015 e Urbanità e sicurezza, Maggioli Editore, 2015.




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